Il Biancorosso n.20 - periodico de "La Gazzetta del Mezzogiorno"

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O BIANC ROSSO

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Supplemento al numero odierno de La Gazzetta del Mezzogiorno Anno II numero 20 / € 0,70 più il prezzo del quotidiano

periodico di informazione sportiva de

LA DIFFERENZA

FLORIANO

L’ANALISI

CORNACCHINI QUALE FUTURO

IL RITRATTO

TURBO-SIMERI VADO A 100 ALL’ORA

LONGO

L’UOMO DELLE CARTE



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L’EDITORIALE

di Gaetano Campione

UN NORMALE CAMPIONATO DI VERTICE C

hi più ama, più rimane deluso. È una delle leggi della natura. Ecco perché il tifoso biancorosso pretende tanto. A volte, in maniera eccessiva. Purtroppo il cuore del San Nicola ha smesso di battere come una volta, dopo anni di promesse e di delusioni. E la passione è stata relegata in una terra di Mezzo della normalità in attesa di stagioni migliori. Così, quando alla fine scopri che la supercorazzata della vigilia in realtà sta disputando un normalissimo campionato di vertice (la differenza in punti con la seconda ci sta tutta, vista i diversi valori della rosa dei giocatori di Cornacchini con le altre), prevale il sentimento freddo dell’attesa. E’ difficile trovare più di 10mila persone sugli spalti, nonostante il potenziale bacino d’utenza dei tifosi faccia registrare cifre da brividi. Il Bari gioca, subisce gol, rimonta, vince tra alti e bassi, fa soffrire. Roba da comuni mortali, non da extraterrestri. Anche la partita col Marsala è stata vissuta con un misto di passione e di rabbia. Comprensibile se si esaminano gli ultimi avvenimen-

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ti. Il Bari in serie D? Impensabile. Eppure è accaduto. In attesa di riconquistare l’orgoglio perduto, in molti pretendono un’eleganza funzionale nel gioco di squadra che tra i dilettanti è merce rara. Vorremmo tutti la squadra perfetta, che non stecca mai. Quando si vince sempre il successo diventa scontato, si pretende per abitudine. Il ”ritorno sulla terra“ a Torre del Greco, invece, è servito a ritrovare quell’umiltà smarrita strada facendo, a suon di risultati. Può anche sembrare paradossale, ma la parentesi negativa è stata metabolizzata e trasformata in energia per riprendere il cammino. Grazie anche all’inspiegabile tonfo dei diretti avversari che ha trasformato i pettegolezzi in un fiume in piena: avanti di due gol per poi prenderne cinque, dopo aver battuto la capolista del girone, è roba soprannaturale. A noi, però, interessa il Bari. Prima sia arriva alla metà promozione, meglio sarà anche in chiave programmazione futura. La fretta può sempre combinare guai. Il Bari in questo campionato ha subito finora due sconfitte dopo 23 partite, segnando finora 51 gol. È un biglietto da visita di spessore.

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SOMMARIO

il Biancorosso anno II n. 20 Periodico sportivo de La Gazzetta del Mezzogiorno reg. Trib. Bari n. 12372EL1/81

SIMERI

Direttore responsabile Giuseppe De Tomaso Edisud SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari www.lagazzettadelmezzogiorno.it A cura di Redazione sportiva Coordinamento Gaetano Campione Hanno collaborato Gianni Antonucci Francesco Damiani Michele De Feudis Gianluigi De Vito Filippo Luigi Fasano Davide Lattanzi Giulio Mola Vito Prigigallo Il Nostro Bari Fotografie Luca Turi Archivio storico de La Gazzetta del Mezzogiorno Archivio Antonucci Giuseppe Corcelli Sergio Scagliola Saverio De Giglio Foto poster: A. Scuro

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Stampa Dedalo Litostampa srl viale Luigi Jacobini, 5 70132 Bari

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8 ANDRISANI

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GAUDINO SIGNORILE

Progetto grafico e realizzazione Clara Specchia Concessionaria di PubblicitĂ Mediterranea SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari

CORNACCHINI

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L’ANALISI

CORNACCHINI

IL VOLO DEL CONDOR Davide Lattanzi

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Il mio compito è fare meno danni possibili». Giovanni Cornacchini si è presentato così a Bari. Senza mai nascondere di avere per le mani una corazzata che, quindi, era chiamato a condurre senza particolari alchimie, gestendo a dovere i tanti elementi fuori categoria a sua disposizione. Eppure, è difficile passare in secondo piano in una piazza che, malgrado le mortificazioni in serie degli ultimi sette anni, resta grande, attenta, appassionata. Essere l’allenatore della squadra biancorossa comporta l’inevitabile esposizione sotto i riflettori. Il trainer di Fano, onestamente, non si è mai sottratto al confronto. È un uomo che spiega, argomenta, risponde ad ogni argomentazione. Da addetto ai lavori, ha compreso, forse anche prima di tanti altri, il contesto in cui è arrivato, senza mai sottovalutare il dovere di vincere subito. Perciò c’è da star certi che non si meraviglierà se un po’ di tormenta si è alzata anche su di lui, nel frangente più delicato della stagione, ovvero dopo la sconfitta con la Turris, ora inseguitrice più vicina ed agguerrita. E allora, ecco pregi e difetti dell’ex “Condor”, almeno per quanto si è visto in questo primo mezzo anno biancorosso.

PERCHÉ SÌ

Doverosa la premessa: se il Bari è primo nel girone, con un vantaggio comunque rassicurante sulla seconda, allora è scontato che i pregi superino i difetti. Non è semplice il ruolo di Cornacchini: ha un gruppo che, escluso il solo Cacioli tra gli over, è composto da elementi provenienti da categorie superiori, comprese la B (Bolzoni, Floriano e Brienza) e addirittura la A (Di Cesare). Deve, inoltre, gestire una straordinaria abbondanza offensiva, prestando attenzione a non alterare umori ed equilibri. Ebbene, poco gli si può imputare sul piano della gestione dello spogliatoio. E se qualche sporadico mugugno è inevitabile (costantemente si parla del minutaggio più o meno ampio di Brienza), è pur incontestabile che fin qui non sia esploso alcun “caso”. Non solo: si è rivelato eclettico nelle letture tattiche, adattando di volta in volta la formazione al talento dei suoi big. Senza fissarsi su un inutile integralismo, ha alternato il 4-3-3 al 4-2-3-1, passando pure per il 4-4-2 e persino dalla difesa a tre, in talune occasioni proposta a gara in corso. E ancora: ha miscelato a dovere gli under, riuscendo a non scompensare il livello medio della squadra, a seconda dei giovani utilizzati. Merito della società che gli ha messo a disposizione un parco baby di tutto

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come è costruito, ci si aspetta che il Bari faccia la voce grossa su ogni campo e contro qualsiasi avversario. In tal senso, più che la sconfitta di Cittanova, sono emblematiche tre gare piuttosto discusse: le sfide di andata e ritorno con la Turris ed il pari interno con il Roccella. Contro i campani, il Bari ha dominato all’andata, ma ha impiegato troppo per spingere con convinzione sull’acceleratore, come se fosse meglio assicurarsi di conservare innanzitutto il vantaggio di otto punti accumulato già nei primi quattro turni sui rivali più temuti. Discorso simile al ritorno: i corallini hanno disputato la partita della vita, i biancorossi hanno dato l’idea di potersi accontentare del pareggio, salvo poi rimetterci l’intera posta. Con il Roccella, invece, Cornacchini ha voluto serrare i ranghi nel frangente di sofferenza, pur a fronte di un avversario modesto, sciupando così il 2-0 di vantaggio. Il trainer stesso ammise l’errore. Forse è meglio che i galletti seguano la loro filosofia offensiva sempre e comunque. Senza far calcoli che, forse, hanno prodotto più beffe rispetto ai vantaggi.

IL FUTURO

rispetto, ma anche suo ad averne compreso le inclinazioni (spostando, ad esempio, Piovanello dall’iniziale posizione di mezzala al più congeniale ruolo di esterno offensivo) e a tenerli tutti coinvolti nel progetto: emblematico il caso di Liguori, poco utilizzato nella prima fase del torneo, ma pronto alla chiamata al momento del bisogno.

PERCHÉ NO

Gli si rimprovera il poco spettacolo. Ma davvero è possibile sciorinare un calcio brillante in serie D? Soprattutto su campi sovente ai limiti della praticabilità? Gli va dato atto che fin qui, almeno al San Nicola, alcune prove sono state nel complesso divertenti, nonché sovente ricche di gol. Piuttosto, emerge un altro particolare. Ovvero, una certa dipendenza dal risultato. In diverse circostanze, le sue scelte sono state votate alla prudenza talvolta nelle decisioni iniziali, in altre circostanze nello svolgimento dei match (con cambi conservativi che hanno visto l’ingresso di difensori o centrocampisti al posto delle punte). Ebbene, se il pragmatismo è sacro in queste categorie, è altrettanto importante non rischiare di infondere nella squadra una mentalità attendista. Per 15 febbraio 2019 anno II n. 20

PREGI E DIFETTI IN QUESTO PRIMO MEZZO ANNO ALLA GUIDA DELLA SQUADRA DEL BARI

Dando per scontato che, a meno di cataclismi, il coach marchigiano terminerà la stagione, fin da ora ci si chiede quale sarà il suo destino. La società non ha mai perso occasione per elogiarlo, sottolineandone l’abnegazione e lo spessore morale. Perciò, se porterà a termine la missione promozione, non mancherebbero i presupposti per una conferma. A patto che ogni componente sia convinta: se la prima difficoltà deve diventare un pretesto per discuterlo, allora meglio bandire a giugno ogni indugio. E magari puntare su un profilo più esperto di serie C (non arrivare in Lega Pro non è nemmeno contemplabile) oppure su un nome di spicco con cui avviare un programma almeno biennale che contempli la conferma anche in B se si riuscirà a proseguire la scalata. Cornacchini, dal canto suo, ha un contratto annuale, ma dopo tanta gavetta da tecnico (Cagliese, Canavese, San Sepolcro, Città di Castello, Fano, Fermana, Civitanovese, Ancona, Viterbese e Gubbio, praticamente sempre tra i dilettanti), è scontato che veda in Bari l’opportunità di dare una svolta al suo percorso. Senza dimenticare che senza dubbio vorrebbe proseguire il cammino cominciato da zero in questa stagione. Per ora, è bene che si concentri sulla vittoria del campionato. Che magari gli varrà una polizza per vivere in ogni caso un torneo di C nella prossima stagione. Anche se fosse lontano da Bari.

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L’INTERVISTA

SIMERI «DEVO ANDARE SEMPRE A 100 ALL’ORA» Filippo Luigi Fasano

«

Ho bisogno di sentirmi sempre a cento all’ora. Se non sono “ossessionato” dalla partita, non riesco a rendere». La cresta non c’è più, dopo le sforbiciate del barbiere. Ma la carica di Simone Simeri è rimasta la stessa: inseguire la palla come se fosse l’ultima da giocare, sempre. A risultato acquisito come a punteggio ancora in bilico. Forse è per questo che è difficile, da tifoso, non voler bene a uno come lui, capace di tutto e del contrario di tutto. Di ciccare una palletta dopo troppo sbattimento, come di mirare e centrare il sette, azionando il destro come fosse il tasto “tiro” della playstation. Gol di rabbia, per riprendersi ciò che la partita gli ha negato fino a quel momento. È stato così pure in carriera: bassi e alti, vuoti e pieni. Ma, a 26 anni da compiere il 12 aprile, la maglia biancorossa può essere ancora un ascensore. Specie se sei sicuro di poterti caricare il “nove” anche ai piani superiori. «Queste – confida l’attaccante napoletano – sono le stagioni in cui devo meritarmi categorie importanti, le stesse che spettano al Bari. Voglio crescere assieme alla squadra». Sembrava essere di nuovo Juve Stabia, quest’anno. «Avevo già trovato l’accor-

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«SE NON SONO OSSESSIONATO DALLA PARTITA NON RIESCO A RENDERE» UNA CARRIERA DI BASSI E ALTI VUOTI E PIENI «LA SERIE C? RITROVI IL VERO CALCIO»

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do per tornare a Castellamare. Poi, mezz’ora prima della firma, mi chiama il procuratore: “Ti vuole il Bari”». Reazione? «Stupito, stravolto. Ho accettato senza esitazioni. Mi è bastato il nome». La prima grande opportunità l’ha avuta da piccolo. «Ho cominciato in una scuola calcio di Fuorigrotta, il mio quartiere. Poi è arrivata la chiamata dell’Inter. Avevo solo 10 anni. Ci sono andato con Lorenzo Insigne». Che è successo? «Io sono stato preso, lui no. Nelle interviste lo ricorda ancora (sorride, nda). La mia famiglia, però, non poteva raggiungermi. E allora dopo qualche mese sono tornato io». A casa, al Napoli. «Sì, tutta la trafila. All’inizio nella vecchia società, poi nel nuovo corso con i De Laurentiis. Fino alla Berretti, abbiamo vinto lo scudetto. Mancava da vent’anni. Battute Atalanta, Milan e Brescia, che in porta aveva Cragno». Quindi il passaggio nel calcio dei grandi. «In C2, a Melfi. Trenta presenze a 18 anni, con Rodolfi in panchina. Poi è arrivato Bitetto, e ho giocato molto meno. In attacco c’erano Improta (Giancarlo, fratello dell’ex biancorosso Umberto) e Marolda, il vice di mister Cornacchini. Periodo difficile, mi ruppi anche il crociato». Come è ripartito? «Da Pozzuoli, in serie D. Nessuno mi voleva più, ho giocato sei mesi senza vedere un euro. Però mi sono rilanciato: sette gare e quattro gol. E a dicembre mi ha cercato il Rende». L’inizio di una seconda carriera. «Mi chiama il mister, Trocini, l’attuale allenatore del Francavilla, e mi fa: “Ho visto le tue partite, mi serve uno come te”. Poi la promessa: “Se vieni qui, ti facciamo rinascere”. Così fu: dieci reti in quindici presenze. E pensare che stavo per smettere...». Ancora D, da Sud a Nord. «Tante reti anche a Potenza, quattordici. Abbiamo

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LA CRESTA NON C’È PIÙ DOPO LE SFORBICIATE DEL BARBIERE

avuto qualche problema con la tifoseria ma la piazza merita tanto. Quindi la Caratese, una seconda giovinezza: ventuno gol in campionato, tre in coppa. Il più bello a Casale, dieci contro undici: prendo palla sull’esterno, rientro, destro a giro sul secondo palo. Mi dedicarono uno striscione: “Siam venuti sin qua, per vedere Simeri segnar”». La sua stagione più prolifica, 2016/17. «C’era un presidente fantastico come Michele Criscitiello (giornalista sportivo e conduttore televisivo, nda). Mi ha dato tanto, ho dato tanto. Ancora oggi ci sentiamo spesso». Il suo messaggio dopo l’arrivo a Bari? «Era entusiasta: “Cerca di fare bene, perché questa è la piazza giusta per te”». Nell’estate 2017 era arrivato in B, a Novara. «Avevo fatto un buon ritiro, ero piaciuto all’allenatore Corini. Ma dopo quattro anni da titolare, volevo dare continuità. Ed eccomi in prestito alla Juve Stabia». Dimostrandosi all’altezza della C. «Mi sono trovato benissimo. Soprattutto con il tecnico Caserta, una persona eccezionale. Un gruppo molto coeso, siamo arrivati sino ai quarti dei playoff. Si sono gettate le basi per il bel campionato di quest’anno. Non è un caso che siano primi, con distacco. Mi auguro vincano il girone». Bilancio provvisorio della stagione in corso. Soddisfatto del suo rendimento? «Sono molto contento. Ho imparato ad essere altruista, a capire quando un assist è più importante di un gol. Meglio nove reti personali e la promozione del Bari che farne venti con un secondo posto della squadra». Ce l’ha un modello? «Da piccolo andavo matto per Di Natale. Oggi? Suarez, per la grinta che mette nel gioco». Soprannome? «Quando ero il più “corto” della comitiva, mi chiamavano “mozzone” (mozzicone di sigaretta, nda). Ora sono il “galletto”, per l’esultanza». Il Bari non fa la C da 35 anni. Ce la ricorda com’è? «Ritrovi squadre importanti come Catania, Reggina, Catanzaro. Guardi gli spalti e vedi 10mila persone... Insomma, comincia il vero calcio».

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IL PERSONAGGIO

LONGO L’UOMO DELLE CARTE SEGRETARIO GENERALE DEL TORINO È BARESE PUROSANGUE 10

Francesco Damiani

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n settimana siede dietro la scrivania, la domenica è al fianco di Walter Mazzarri (e degli altri tecnici che si sono avvicendati negli anni sulla panchina del Torino). Pantaleo Longo, segretario generale del club granata, barese purosangue, è uno dei massini esperti di carte federali dopo aver attraversato il calcio praticamente in ogni ruolo. Da arbitro a segretario generale del Torino. Una carriera che finora le ha regalato soddisfazioni in ogni settore. «Quasi ogni settore, perché da calciatore decisamente non ero un granché e per questo motivo decisi di cominciare ad arbitrare. Mi piaceva, dicevano anche che fossi bravo e in pochi anni ero arrivato all’Eccellenza. Poi c’era anche la soddisfazione di poter entrare in tutti gli stadi con la tessera da arbitro e spesso, con alcuni colleghi, andavo a vedere il Napoli di Maradona e Careca. Purtroppo dovetti smettere da causa di un incidente stradale dopo una partita arbitrata. Ma, grazie ai rapporti instaurati con i dirigenti federali pugliesi, entrai nel settore giovanile regionale da dirigente. Da quel momento, ho continuato a studiare indirizzando il mio interesse sempre verso il settore sportivo sia all’Università negli studi in Giurisprudenza, sia successivamente con un master in marketing delle strategie delle organizzazioni sportive conseguito a San Marino. Grazie a quel master, ottenni uno stage in Federcalcio e successivamente fui assunto. Dopo sei anni in FIGC, il presidente Lotito mi propose di andare a ricoprire l’incarico di segretario alla Lazio e dopo due anni arrivò la proposta del presidente Cairo che stava riorganizzando il Torino». La storia e la tradizione del Torino hanno un fascino unico. Si avvertono anche dietro una scrivania o soltanto indossando quella maglia? «È chiaro che da calciatore senti tutto in maniera più amplificata, ma anche lavorando all’interno della società vivi tutto quello che il Torino rappresenta ogni giorno, per la strade, parlando con i tifosi. Ancora di più nelle celebrazioni storiche penso a Superga e al 4 maggio. E, ovviamente, anche da quando è stato riaperto il Filadelfia». Lei è barese ma non ha mai lavorato nel Bari. Le è mai stata offerta questa opportunità? Le piacerebbe? «Non mi è mai stata offerta l’opportunità di lavorare nel Bari nonostante gli ottimi rapporti con la famiglia Matarrese e con Antonio in particolare. Certamente mi piacerebbe perché sono molto legato alla mia 15 febbraio 2019 anno II n. 20


città e ai colori della squadra, come è ovvio. Ma penso anche al detto: nessuno è profeta in patria. E questo mi fa riflettere». Cosa ne pensa di quello che è successo al Bari negli ultimi mesi? «Mi ricollego alla risposta precedente dicendo che se non ho mai lavorato nel Bari e anche per il grosso limite del calcio di questa città e della Puglia in generale. È molto particolare e anche per questo ho preferito crescere professionalmente altrove. Qui tutti pensano di sapere tutto sul calcio e di essere i depositari della bibbia calcistica. Ma poi, al momento opportuno, nessuno si rimbocca le maniche. Uno dei motivi del fallimento è questo. Non si può pensare di sapere tutto di un mondo in cui non si è mai vissuto. Si sono fatte cose troppo avventate ed è un peccato perché in pochissimo tempo è stato distrutto quello che avevano costruito i Matarrese. Il fallimento è stato determinato dalla presunzione di chi pensa di essere padrone del calcio». La città di Bari non meritava tutto questo? «Assolutamente no. Uno dei ricordi più nitidi che ho dell’esperienza alla Lazio è la 15 febbraio 2019 anno II n. 20

«IL FALLIMENTO DEL BARI? È STATO CAUSATO DALLA PRESUNZIONE DI CHI PENSA DI ESSERE PADRONE DEL CALCIO»

gara di campionato all’Olimpico contro il Bari di Ventura con il settore ospiti strapieno. Bari è una città che può vivere da sola di calcio per la voglia e la storia che ha. Merita palcoscenici migliori e i quasi ottomila abbonati di quest’anno, più tutti i tifosi che seguono la squadra in trasferta in serie D, lo dimostrano». Lavorando da tanti anni in società di serie A, ha avuto modo di osservare da vicino l’operato di Aurelio De Laurentiis a Napoli. Cosa ne pensa del proprietario del Bari? «Tutto il bene possibile. Con questa nuova proprietà le cose non possono che migliorare. Vedo come è stato impostato il Napoli e se De Laurentiis farà lo stesso con il Bari potrà ricevere ancora più soddisfazioni». Da barese che consigli darebbe al presidente De Laurentiis? «Più che consigliare, da lui posso soltanto imparare. La sua storia da imprenditore nel calcio e negli altri settori lo dimostra. Oltretutto, sono certo che lui sa già cosa fare». A quando un derby con il Bari? «Spero il più presto possibile per poter rivedere il Bari in serie A. Ma per scaramanzia spero anche il più tardi possibile».

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FOCUS

ANDRISANI

E IL TESORO DEGLI UNDER

Filippo Luigi Fasano

NECESSARI E PRECARI AL TEMPO STESSO. GIOVANO PER LA SQUADRA E PER SÉ STESSI SONO UNDICI I GIOVANI CHE HANNO AVUTO SPAZIO FIN QUI NELLA SQUADRA DI CORNACCHINI

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ggi imprescindibili, domani chissà. Strano destino, quello degli “under”, necessari e precari al tempo stesso, in un campionato di vertice in serie D. Un ‘98, due ‘99, un 2000: praticamente, un gioco di pesi e contrappesi, per osservare l’obbligo di schierarne quattro e mantenere bilanciato l’assetto complessivo. Giocano per la squadra e per sé stessi. Perchè la conferma al piano superiore, dove non scenderebbero in campo per forza, se la guadagnano ora, garantendo affidabilità anche oltre i rispettivi anni di nascita. Marfella fra i pali, Turi, Aloisi, Bianchi e Nannini in difesa, Langella e Piovanello 15 febbraio 2019 anno II n. 20


a centrocampo, Quagliata jolly a sinistra, Liguori in attacco. Si arriva quasi ad undici, contando i giovani che hanno avuto spazio sin qui. Qualcuno potrebbe rivedersi in biancorosso anche l’anno prossimo, secondo Michele Andrisani, ex centrocampista di Bari e Taranto e allenatore delle giovanili biancorosse sino allo scorsa stagione: «Stanno facendo bene – osserva il tecnico 46enne, che fra stadio e tv non si perde una partita – Fortunati loro a trovare un allenatore come Cornacchini, bravo a gestirli». Fatta la premessa, si entra nel dettaglio, cominciando dall’unico barese del gruppo, Nicola Turi: «Lo conosco bene, l’ho visto crescere nel vivaio – ricorda Andrisani – Gran fisico, tecnica da migliorare. Ma nella fase difensiva si fa sentire e sa proporsi per il cross: nasce centrocampista, ha fatto anche la mezzala. Da barese, tifo per lui. E poi è un bravo ragazzo, che dà sempre il massimo in allenamento. Un giocatore di temperamento, su cui poter contare». L’altro ‘98 è Liguori, impiegato con sempre maggiore continuità: «Poche possibilità per mettersi in mostra ma ben sfruttate. Rapido e dotato tecnicamente. Uno scugnizzo alla Insigne, di quelli che mettono in difficoltà le difese avversarie. La taglia ridotta? In quel ruolo non è un limite, se dimostri personalità e forza nelle gambe. Queste sì che servono per imporsi, soprattutto in una piazza come Bari». Tutta difensiva la batteria dei quattro ‘99: «Aloisi si è espresso con più continuità – riconosce Andrisani – Al primo anno da protagonista, ha fatto cose egregie. Attitudini più di spinta che di contenimento, crossa bene. E se migliora in difesa, è un elemento su cui fare affidamento. Il tempo è della sua parte». Dall’altra parte, a sinistra, c’è Nannini, che ha conteso la fascia a D’Ignazio (poi passato alla Sambenedettese) nella prima parte di stagione: «Il classico esempio – spiega Andrisani – di quanto possa incidere la continuità di impiego. E’ partito in sordina, poi ha preso fiducia ed ora offre un rendimento regolare. Bianchi? L’ho visto poco ma ne parlano tutti bene. Era nel giro delle nazionali, è passato da vivai importanti. Un ragazzo da seguire». Un discorso a parte lo merita Marfella, promosso con riserva: «Portieri under come lui in D non ne vedo. Non è facile giocare nel Bari e lui si sta dimostrando all’altezza. Qualche errore di gioventù è comprensibile. In C, però, si tende a prendere un portiere più esperto, di categoria. Affiancato ad un tipo così, Marfella potrebbe crescere ancora». Fra i 2000, l’ultimo arrivato è Quagliata, in grado di disimpegnarsi in tutti i ruoli, a sinistra: «Viene dal Latina, sembra già pronto 15 febbraio 2019 anno II n. 20

IL VIVAIO CHE VERRÀ: «IL TERRITORIO DI BARI È FLORIDO»

In biancorosso, 11 presenze in B fra 1992 e 1994, otto minuti a Parma, nell’aprile ‘96, per l’unica presenza in serie A. Poi oltre 150 partite in C e tante piazze di prestigio, da Taranto a Palermo passando per Catanzaro. Più una medaglia d’oro alle Universiadi di Sicilia, nel 1997. Ma il presente di Michele Andrisani, nato a Bari il 6 agosto 1973, si chiama Asd Pro Calcio, la scuola di educazione allo sport fondata nel 2010 assieme all’ex azzurro (e biancorosso) Antonio Di Gennaro e Marcello Sansonetti: trecento ragazzi che si dividono fra Mungivacca, dove si svolge l’attività di base, e le partite a Campo dei Fiori, a Santa Caterina. Numeri che riflettono grande considerazione per le potenzialità del capoluogo: «Il territorio di Bari è florido – assicura Andrisani, protagonista lo scorso anno di una bella stagione con l’under 15 di Fc Bari 1908 – Basti pensare che in pochissimi anni, con la precedente società, sono stati allestiti gruppi di valore. Tanto che alcuni ragazzi sono finiti nel mirino di grossi club, se non addirittura in serie A. Ora c’è una proprietà forte, in grado di valutare tutte le opportunità locali per strutturare al meglio il proprio vivaio. Farà il bene del Bari, ne sono sicuro».

per la categoria. Un altro su cui investire». Già tre gol a testa per Langella e Piovanello, forse i due under che più hanno colpito Andrisani: «L’impatto di Langella mi ha impressionato. Forse il fisico lo penalizza un po’, in quella zona del campo. Ma è uno che ci crede, molto bravo a indovinare i tempi dell’inserimento. Piovanello? Può far bene anche in C, ho letto che la società si sta già muovendo per trattenerlo. Ha tecnica, qualità. E poi sa il fatto suo. A centrocampo può giocare ovunque. Anche regista, con i piedi che ha. Ma lo vedo meglio da esterno, con il piede invertito. Per accentrarsi e calciare di sinistro».

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I TIFOSI

DAL CILE PRONTI A FESTEGGIARE LA PROMOZIONE IN C

Francesco Damiani

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e li immaginate Ivan Zamorano e Ruben Sosa tifosi del Bari? No, in effetti non è proprio così, eppure entrambi in tasca hanno la tessera del Bari Club Santiago del Cile, un caposaldo del tifo biancorosso nella terra che ha accolto tanti emigranti italiani e pugliesi. Fra questi c’è anche Carlos Puelma Marchetti, origini lucane per parte di madre e tifoso biancorosso per merito del nonno di Tolve, in provincia di Potenza. Carlos, come è diventato tifoso del Bari? «Quando ero piccolo e venivo in Italia con i miei genitori per trascorrere le vacanze con i parenti, mio nonno mi portava sempre a vedere le partite del Bari allo stadio della Vittoria. Mi ricordo di grandi calciatori degli anni ’80 come Carmelo Bagnato. Da allora sono diventato tifoso del Bari». Come le è venuta l’idea di fondare un Bari Club? «A Santiago del Cile c’è una grande comunità di italiani e moltissimi pugliesi. C’è anche

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NELLA CITTÀ SUDAMERICANA C’È UNA SQUADRA CHE SI CHIAMA STADIO ITALIANO

una squadra che si chiama Stadio Italiano. Ho fondato questo club a Santiago perché sono molto amico dell’avvocato Piero Ingravallo e del presidente de La Bari Siamo Noi Franco Spagnuolo e con loro è nata l’idea. In questo momento abbiamo circa 500 soci attivi e ci incontriamo due o tre volte al mese. Purtroppo da quando il Bari gioca in serie D non riusciamo a vedere le partite, ma ai nostri incontri partecipano tanti ex del Bari che vivono qui come Jaime Valdes, Nicolas Cordova, Pascual De Gregorio, Jaime Gonzalez». Cosa vi raccontano del loro passato barese? «Proprio pochi giorni fa è venuto a trovarci Pascual De Gregorio e abbiamo parlato della recente scomparsa di Masinga, della loro amicizia e di quanto sia triste per questa tragedia. Ma viene sempre anche Jaime Valdes, “il pajarito” che gioca ancora nella più importante squadra cilena, il Colo Colo e siamo molto amici. Tutti parlano molto bene degli 15 febbraio 2019 anno II n. 20


I 500 SOSTENITORI DI SANTIAGO SONO GIÀ MOBILITATI TRA I SOCI DEL CLUB ANCHE ZAMORANO E RUBEN SOSA VALDES GIOCA ANCORA NEL COLO COLO LA PIÙ IMPORTANTE SQUADRA CILENA

IL PRESIDENTE Marchetti con la sciarpa biancorossa e i campioni di ieri

anni che hanno trascorso a Bari, e una volta all’anno tornano in città in vacanza. Ma non ci sono soltanto loro. Altri ex calciatori cileni come Ivan Zamorano e Ruben Sosa ci vengono a trovare e sono soci del club». Fra i soci c’è anche qualche cileno innamorato del Bari? «La metà più o meno è pugliese, abbiamo anche foggiani e monopolitani. Per il resto sono cileni che si sono avvicinati al club per amicizia con i soci e ora tifano Bari». Organizzate trasferte per vedere il Bari dal vivo? «Sì, almeno due volte all’anno in cinque o sei riuscivamo a venire a Bari per vedere le partite allo stadio. Ricordo di aver visto Bari-Perugia e Bari-Palermo della scorsa stagione». Cosa pensa di quello che è successo al Bari negli ultimi mesi? «È stata una grande delusione. Speravamo di andare in serie A e invece da un 15 febbraio 2019 anno II n. 20

«IL CRUCCIO? IN SERIE D NON RIUSCIAMO A SEGUIRE LE PARTITE IN TV»

giorno all’altro ci siamo ritrovati in serie D per colpa di persone che non volevano bene alla squadra, ma pensavano soltanto al business. Speriamo che con De Laurentiis si ripulisca tutto, si riparta da zero e si possa fare bene. Il nostro cuore sarà sempre vicino alla città e alla squadra». Ha in programma di venire a Bari per festeggiare la promozione in C? «Speriamo che succeda il più presto possibile. Verremo sicuramente a festeggiare con i nostri fratelli baresi». Se qualche barese raggiungesse Santiago e volesse rintracciarvi come potrebbe fare? «Abbiamo la sede del club che è aperta ogni giorno e anche una pagina facebook Bari Club Santiago del Cile. Da lì ci può contattare. È successo spesso che Franco Spagnuolo mi abbia detto che qualche barese sarebbe venuto a Santiago e lo abbiamo invitato al club come ospite d’onore. Ne aspettiamo ancora tanti».

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VELOCITÀ Il passo e la progressione non gli mancano, sebbene non sia uno scattista puro

DESTRO Il vero punto forte: calcia fortissimo anche dalla grande distanza

presenze

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3

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BA R I (D ) gol

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intensità sui 90’

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013 2-2 201 14 RUOLO 2013-20 attaccante 2 014-201 5 gen -g i u 201 5

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L’AQ U ILA (C)

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SINISTRO Non è il suo piede, ma non ne disdegna l’uso e produce potenza anche con il mancino

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IL POSTER

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Demiro

POZZEBON Data di nascita: 31-08-1988 (30 anni) Luogo di nascita: Roma Altezza: 186 centimetri Peso forma: 76 kg

PERSONALITÀ Non si nasconde mai: chiede palla e non teme responsabilità o giocate ardite

COLPO DI TESTA Non è la specialità assoluta, pur possedendo fisicità e centimetri per farsi valere

DRIBBLING Non eccelle nel cambio di direzione, ma con la stazza riesce a liberarsi dell’avversario

PRESTANZA FISICA Il Cristiano Ronaldo del Bari: alto potente, armonico. Spostarlo è un’impresa.

RESISTENZA

L’impiego limitato rende difficile il raggiungimento dell’opportuna

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MERCHANDISING

ECCO LE NUOVE MAGLIE Sono eleganti e mantengono intatto il richiamo alla tradizione. Ecco le nuove magliette del Bari, da sempre il cimelio più ambito, che finalmente anche i tifosi potranno acquistare. Da quando? C’è stato uno slittamento nella produzione. Dovevano essere pronte per metà febbraio, saranno in vendita a marzo nei punti vendita ufficiali, in attesa di sbarcare sul mercato globale di Amazon Tessuto tecnico morbido e di grande comfort, non poteva essere altrimenti, griffate Robe di Kappa, le divise sono tre: bianca, rossa e blu. Le prime due hanno delle sottili righe colorate che cambiano a seconda della versione. La terza ha un colore celeste con la banda bianca e rossa sul davanti. Il primo colpo d’occhio è positivo in attesa di vederle dal vivo. Siamo sicuri che non deluderanno le aspettative, E voi, tifosi, cosa pensate? Dite la vostra. Scriveteci a ilbiancorosso@gazzettamezzogiorno.it 15 febbraio 2019 anno II n. 20

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AMARCORD

GAUDINO

IL BISONTE DA EUROGOL Gianni Antonucci

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ra cominciato nel giugno 1978 il reale intervento dei Matarrese nel Bari calcio. Il primo atto? La riconferma dell’allenatore Mario Santececca, il quale, dopo le incomprensioni nel finale del torneo precedente, chiedeva ed otteneva le cessioni di Penzo, Scarrone e Sigarini per acquistare altri giocatori. Faceva, peraltro, sensazione l’acquisto di un giovane attaccante Luciano Gaudino già nella Primavera del Milan. Un’abile manovra del ds Regalia era riuscita a sottrarre il giovane attaccante dai piani di Verona e di Catanzaro. Gaudino fu preso in comproprietà per di 200 milioni di lire, un importo abbastanza importante per un Bari in serie B. Chi era Luciano Gaudino? Nato a Pompei il 13 luglio 1958, sbarcava alla corte biancorossa appena ventenne caricandosi la responsabilità di fare meglio di Nico Penzo.

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IL REBUS DI SANTECECCA CON I NUMERI SULLE MAGLIE INDOSSATE DAI GIOCATORI

Gaudino si era fatto notare nelle giovanili del Milan che lo aveva tesserato prelevandolo dalla Nocerina. Con il Milan raggiungeva una prima notorietà indossando, nel 1977, la maglia dell’Under20. Per la sua statura fisica (1,82 cm) lo ribattezzavano il “bisonte”. Prima di sbarcare a Bari aveva totalizzato 10 presenze nel Milan segnando pure 2 gol. A Bari, comunque, debuttava nel campionato di serie B e si rendeva conto anche di quanto difficile fosse catturare gli umori della folla. «Ad agosto del 1978 - ricorda oggi Gaudino, da Savona dove abita - giocammo in amichevole a Barletta dinanzi a quasi 10 mila tifosi i quali mostrarono una certa diffidenza nel vedere in campo il terzino Frappampina con la maglia numero 5 anziché con quella con il numero 3. Santececca cercava di spiegare che le maglie non contavano nel 15 febbraio 2019 anno II n. 20


CINETECA A sinistra, la rovesciata in MonzaBari del 1978 Sopra, Gaudino ostacolato da Lippi con la maglia della Samp

ARRIVÒ DALLA PRIMAVERA DEL MILAN. A MONZA IN TRASFERTA REALIZZÒ UNA RETE DA ANTOLOGIA POI L’INFORTUNIO AI LEGAMENTI OGGI VIVE A SAVONA

gioco. I suoi metodi derivavano dalla lezione di calcio che aveva frequentato in Brasile. Qualche anno dopo proprio Santececca dirà che a Falcao, nella Roma, pur giocando con la maglia numero 5, gli erano state assegnate le stesse funzioni che lui pretendeva applicasse Frappampina». I tifosi, però, non ascoltavano le spiegazioni del tecnico: Santececca, nonostante gli sforzi compiuti della stampa per avvicinarlo ai tifosi, non rientrava, purtroppo nelle simpatie della piazza. «Si andava avanti - ricorda Gaudino - per qualche settimana con Santececca contestato sino al punto da farlo esplodere con una frase che aveva l’effetto di fargli perdere la ragione nonchè le simpatie residue: con questa squadra siamo in grado di battere prima in campo gli avversari e poi di salire in tribuna e in gradinata e vedercela faccia a faccia pure con i tifosi contestatori. Non 15 febbraio 2019 anno II n. 20

LA CONTINUA BATTAGLIA CONTRO LA SFORTUNA CHE HA CONDIZIONATO LA CARRIERA

l’avesse mai detto. Prima, durante e dopo l’amichevole con il Milan (perduta per 3-4) la folla faceva chiaramente capire di non voler perdonare il tecnico per quelle dichiarazioni. Si aveva ormai netta la sensazione che per Santececca sarebbero stati giorni duri e difficili a Bari. Quella frase, insomma aveva creato la discordia». Iniziava il campionato ed alla prima giornata il programma prevedeva la trasferta di Monza, attesissimo l’esordio di Gaudino il quale, dinanzi a migliaia di tifosi baresi presenti prima dell’intervallo riusciva a portare in vantaggio il Bari con un vero e proprio eurogol. Raccoglieva un cross dalla sinistra di Tivelli (che sostituiva Pellegrini) ed in mezza rovesciata, in elevazione, mandava il pallone alla spalle del portiere avversario Marconcini. Un gol rimasto nella storia biancorossa. Purtroppo all’inizio del secondo tempo Silva attaccante monzese, in netto fuori gioco (oltre 6 metri dietro i giocatori baresi rimasti fermi) segnava il pareggio che l’arbitro Pieri, su segnalazione del guardalinee convalidava fra le proteste dei baresi. Proteste rimaste nel nulla nonostante la irregolarità fosse stata palese a tutti. Lo evidenziavano, il giorno dopo, tutti i giornali: la Gazzetta dello Sport di Milano pubblicava anche due foto che dimostravano chiaramente la posizione irregolare del centravanti del Monza. Quel segnalinee, proprio per l’errore commesso a Monza, veniva sostituito nel prosieguo del campionato. Nonostante il pareggio, Luciano Gaudino saliva così sul podio degli indimenticabili biancorossi. Quando, a fine anno 1979, un po’ tutti cominciavano a credere in un possibile ritorno in A del Bari arrivarono gli infortuni: le due punte Gaudino e Libera si facevano male nella trasferta di Verona del 9 dicembre, perduta per 2 -0, dopo otto giornate di imbattibilità. Risultava grave l’infortunio di Gaudino: rottura dei legamenti del collaterale interno. Ancora peggio per Libera: ginocchio lesionato. Bari bloccato proprio nel momento di maggior euforia e con un posto raggiunto nell’alta classifica. Gaudino continuerà a lottare contro la malasorte. Per Libera fu l’inizio di un definitivo addio al calcio giocato. Dopo 45 partite in biancorosso ed 11 gol all’attivo, Gaudino passava prima al Forlì, per ritornare in Puglia per breve tempo al Casarano, poi aò Savona (dove è rimasto), successivamente al Frosinone e ancora alla Reggina, terminando la sua carriera negli anni 90 con Lodigiani e Velletri.

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L’INTERVISTA

SIGNORILE DOMENICA TRA CALCIO E TEATRO

«SONO ANDATO AL SAN NICOLA UNA SOLA VOLTA A VEDERE BARI-MILAN, NEL ‘91 QUANDO ERO DIRETTORE DEL CORTE STORICO. IL BARI VINSE E I TIFOSI MI DICEVANO “MAESTRO, LASS PERD’ U’ CORTEO, LA DMENIC VIN O CAMB”

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Michele De Feudis

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Tifo Bari e tifo Sud, perché la forbice di opportunità con il Nord è sempre più intollerabile. Non mi posso però definire un grande appassionato di calcio». Vito Signorile, da cinquant’anni attore e regista, ricercatore di canti e racconti della tradizione popolare e sceneggiatore radiotelevisivo, considera il calcio un fenomeno identitario corroso dalle logiche economiche. L’artista barese è al lavoro su una piece che sviscera il rapporto tra padre e figlio in una città meridiana che assomiglia molto al capoluogo regionale pugliese (tra qualche settimana in scena all’Abeliano). Maestro, i suoi spettacoli sono spesso in cartellone la domenica. Come la mettiamo con il calcio? «Sono un tifoso anomalo, soprattutto televisivo. Seguo la Nazionale, ovviamente. E nelle gare di campionato di serie A mi riconosco in un criterio geografico, sostengo sempre il club più vicino al Mezzogiorno. Tra Milan e Roma? Roma… Tra tutte ovviamente il Bari». Il suo rapporto con il calcio allo stadio? «Sono andato al San Nicola una sola volta. Bari-Milan, il 19 maggio del 1991. Vincemmo con doppietta di Joao Paulo. Allora dirigevo il corteo storico di San Nicola e i tifosi che erano seduti accanto a me - dopo aver saputo che era la prima volta che andavo in gradinata, mi considerarono subito un portafortuna. “Maestro, lass perd’ u’ corteo, la dmenic vin o camb”, mi dicevano». La domenica è una giornata di calcio e teatro al Sud… «Da noi si va soprattutto nel fine settimana. La concomitanza tra calcio e teatro non danneggia nessuno. Parliamo di pubblici e passioni distanti tra loro. Chi va allo stadio ama uno spettacolo forte, meno artistico e più agonistico. Vivo nei teatri e così le mie domeniche sono scadenzate dalle esibizioni e non dalle partite». La Bari del calcio ha maschere teatrali? «Antonio Cassano, con il suo viso butterato e tutta la sua storia. È diventato un personaggio e ha pieno diritto a far parte dello spettacolo. Ha alimentato orgoglio e identità. Lo reputo come personaggio molto positivo. Veniva da Barivecchia. Si è fatto da solo, riscattandosi. Un po’ come Totti». Dai fallimenti sportivi dei presidenti Gianluca Paparesta e Cosmo Giancaspro all’arrivo dell’imprenditore del cinema Aurelio De Laurentiis. Un salto in avanti? «Non mi hanno appassionato molto le vicende societarie, ovviamente dolorose. Tutti volevamo il Bari in A. Ma il calcio è prigionie15 febbraio 2019 anno II n. 20


POLIEDRICO Vito Signorile continua a interpretare sul palcoscenico del teatro Abeliano una miriade di personaggi. A sinistra con Sergio Rubini e, accanto, con Toni Servillo

ro dei soldi e ha perso fascino. Il calcio doveva essere identitario, solo con giocatori baresi o pugliesi in campo con la maglia biancorossa. Ho una idea romantica, come al tempo in cui le repubbliche marinare si affidavano ed erano competizioni tra comunità». Ha mai messo le scarpe con i tacchetti per calcare un campo di calcio? «Un paio di volte nella squadra del Panetti. Mancò un giocatore e fui arruolato. Sparsero la voce chi si avvicina a me o lasciava il pallone o la gamba. Ma appena arrivò un pallone feci un violino…». La sua famiglia tifava per i galletti? «Mio padre era un tifoso, seguiva il Bari alla radio. Si giocava allora la schedina e si attendevano i risultati dalle radiocronache con emozione». Una bandiera del Bari come Totò Lopez, 15 febbraio 2019 anno II n. 20

«SPERO CHE QUESTA STAGIONE SPORTIVA ALIMENTI UNA NUOVA SPERANZA DI RISCATTO PER IL SUD»

Giovanni Loseto o lo stesso Cassano potrebbe meritare una parte o un cameo in suo spettacolo? «Chiunque diventa protagonista nel suo lavoro e nella sua arte può diventare un personaggio, poi utilizzabile in uno spettacolo dal vivo. Sono icone di baresità, magari da integrare in uno spettacolo ad hoc». Il Bari lotta per la promozione in Lega Pro. La serie D non alimenta tanti entusiasmi. C’è nostalgia di campionati più ambiziosi. «A me fa simpatia e mi piace che un personaggio come Aurelio De Laurentiis, uomo di cinema e patron del Napoli, abbia scelto Bari per questa nuova avventura. Oltre alla scelta societaria, spero che questa stagione sportiva alimenti una nuova speranza di riscatto per il Sud».

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CALCIO GIOVANILE

ALFIERI TRAGUARDO ANCORA LONTANO Francesco Damiani

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l Bari Juniores di Salvatore Alfieri prosegue la sua marcia verso la seconda fase del campionato. In un girone dominato dalle formazioni pugliesi, i biancorossi sono saldamente in quinta posizione, ma il secondo posto attualmente occupato dal Gravina alle spalle di un Cerignola che per il momento appare irraggiungibile, dista soltanto 3 punti. E in questo weekend le prime quattro si sfidano fra loro mentre il Bari osserva il turno di riposo. Sulla squadra di Alfieri, pesano i risultati negativi contro le squadre che la precedono in classifica, ma c’è tempo per rifarsi e provare lo scatto decisivo per la qualificazione alle successive fasi nazionali. «La classifica la guardiamo ma ci interessa relativamente» dice però Alfieri. «Portiamo avanti il lavoro che abbiamo iniziato a settembre e siano già oltre le aspettative. Per questa posizione di classifica c’è da elogiare i ragazzi che si impegnano ogni giorno in allenamento e in partita». A inizio stagione, anche per la situazione societaria, c’erano più speranze che certezze. Oggi la situazione è ribaltata. «Quando siamo partiti, il traguardo appariva lontano, c’era tutto da costruire e c’è ancora un bel po’ da fare. Io, il mio staff, dirigenti e collaboratori che sono con noi sul campo stiamo portando avanti questo straordinario lavoro al di là del risultato sportivo perché in questi mesi siamo riusciti a dare ai ragazzi un’identità, la voglia di lavorare e sacrificarsi. I ragazzi hanno raggiunto la consapevolezza che attraverso il lavoro e i sacrifici si possono raggiungere risultati anche inaspettati». Non solo i bei risultati sul campo, ma anche riconoscimenti per i giocatori con le convocazioni di Pinto e Dinoia nelle rappresentative nazionali. «Sono contento per loro perché per loro si tratta di un’esperienza utile per il loro cam15 febbraio 2019 anno II n. 20

IL BARI JUNIORES PROSEGUE LA SUA MARCIA VERSO LA SECONDA FASE DEL TORNEO

mino e per la carriera che affronteranno. La nostra soddisfazione è per loro. Siamo contenti di queste convocazioni, ci servono a portare avanti con ancora più passione il lavoro iniziato». La società attraverso il continuo arrivo di rinforzi per questa squadra sta dimostrando che anche a livello giovanile si vuole fare bene. «La società ci è sempre stata vicina fin dal primo giorno. Sono arrivati in quest’ultimo periodo dei ragazzi che ci hanno portato valori aggiunti. Numericamente eravamo un po’ corti e la società ci è venuta incontro. Ora spetta ai nuovi arrivati mettersi al passo con gli altri». C’è qualcosa che l’ha sorpresa e qualcosa che invece non è andata secondo le aspettative? «Sinceramente mi ha sorpreso tutto. Mi aspettavo l’atteggiamento positivo dei ragazzi e, da pugliese, sapevo che Bari è una terra con dei valori. Ogni giorno sento a pelle il senso di appartenenza dei ragazzi alla squadra. Mi aspettavo queste cose e fortunatamente le ho ricevute e su questi aspetti abbiamo lavorato molto». Guardando la classifica, l’obiettivo è il secondo posto? «No, non è quello l’obiettivo. Non guardiamo la classifica. Come ho detto ai ragazzi dobbiamo fare la corsa su noi stessi senza pensare che posizione occupiamo. Dobbiamo correre senza fermarci e poi vedere dove arriviamo alla fine. Soltanto alla fine della stagione sapremo quale sarà stato il nostro traguardo. Primi, secondi o quello che sarà. Ma dobbiamo sapere che il traguardo è ancora lontano». Si può cominciare già a buttare un occhio alla prossima stagione? «C’è tempo. Aspettiamo. Finiamo questo percorso e poi vediamo cosa succederà».

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A SPASSO COL BARI

LOCRI

NELLA VALLE OLIMPICA EUTIMO FIGLIO DI ASTICLE VINSE PER TRE VOLTE L’ORO NEL PUGILATO DA NON PERDERE LA VISITA ALL’AREA ARCHEOLOGICA

TUFFO NELLA STORIA

La Locride è impregnata di cultura greca tra filosofi ed eroi mitologici. Senza dimenticare le antiche Olimpiadi

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Gianluigi De Vito

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a vitamina per l’ultimo tratto di una marcia che si rivuole trionfale è nella valle gloriosa delle Olimpiadi. Locri è storia sportiva antica. È ritorno alle origini. Sicché mettere in conto in nome del Bari quasi cinque ore di auto (431 chilometri: 106 fino a Sibari, poi Autosole E45, uscita a Rosarno/ Gioiosa e statale per Locri), vale la pena solo a patto di un tuffo che non potendo consumarsi nello splendido Jonio, ancora troppo gelato, dovrà essere fatto tra parchi archeologici dove le tracce dei nonni olimpionici sono evidenti quanto emblematiche. Il tre volte medaglia d’oro olimpica, nella regina delle discipline, il pugilato, ha un nome lasciato sbiadire nelle pagine della Magna Grecia: Eutimo, figlio Asticle. Ne ha vinte appunto tre di Olimpiadi ed era così famoso, in tutto il mondo ellenico che, come per tutti i pluriolimpionici senza né social né tubo catodico, la città natia, Locri Epizefiri, gli fece erigere una statua presso Olimpia, venerandolo come fosse un eroe della mitologia antica. Secondo una leggenda raccontata da Pausania, Eutimo era figlio del fiume Cecino, che all’ora divideva il territorio della città di Locri Epizefiri con quello di Rhegion. E a lui, pugile decorato è ancora il «santo» pagano di tanti sportivi, magari anche millenial, in cerca di primati e troni. E a conferma di un dna olimpionico, passarono alla storia anche Agesidano ed Eutiche. Non c’è niente nella Locride che s’allontanti dalla cultura greca. Sentite la «squadra» dei filosofi pitagorici: Adico, Evete, Caeto, Filistione, Cyptio, Eutipo, Filodamo, Sosistrato, Stenonide, Xenone, Euticrate, Acrione, Aristide, Timeo. Nomi che diranno poco, ma quel tale Xenone e Timeo, maestro di Platone, proprio nessuno di chi s’imbatte nelle pagine di storia della filosofia riesce a scansarli. Tanto vale andare a rifletterci lì dove portarono avanti il «pensiero» occidentale. Tutto questo per dire che tra le 13mila anime di una città che fa parte dell’area metropolitana di Reggio Calabria, cultura e religione antica sono un invito a nozze per chi ha passioni parallele a quelle per il 15 febbraio 2019 anno II n. 20


Dio Pallone. E l’area da visitare è appunto quella di Locri Epizefiri, città della Magna Grecia, fondata sul mar Ionio, nel VII secolo a.C., da greci provenienti dalla Locride: fu l’ultima delle colonie greche fondate sul territorio dell’attuale Calabria. Ricordata come patria di Zaleuco, primo legislatore del mondo occidentale, la città si è evoluta a partire dalla colonizzazione greca (VII a.C.) e dalla fondazione della vicina e nota Gerace (X sec.) per poi procedere al ritorno sulla costa con una notevole urbanizzazione, avvenuta sul finire del secolo scorso a tre chilometri dalla antica Locri greca. E la Locri moderna è equidistante dal capoluogo di provincia ( Reggio Calabria) e dal capoluogo di Regione (Catanzaro): un centro vivace, specie d’estate, con un nucleo storico compreso tra corso Vittorio Emanuele e il viale Matteotti, entro cui si inseriscono i primi palazzi caratterizzati dallo stile borghese di fine Ottocento, con le quattro chiese dedicate a Santa Caterina (1855), stile romanico - lombardo, Santa Maria del Mastro (Cattedrale), San. Biagio e dell’Addolorata. Il Palazzo di Città, opera dell’architetto fiorentino Spinola, e la verdeggiante villa, costituiscono il centro cittadino. Ma è a due chilometri la tappa d’obbligo, la zona archeologica, che si estende dal litorale alle colline peraltro non ancora del tutto esplorata. I testi che accompagnano i viaggi con le ragioni della Storia dicono che Locri Epizephiri oggi offre ai visitatori buone possibilità di fruizione dei resti archeologici, inseriti in un quadro ambientale tipicamente mediterraneo, ricco di valori paesaggistici e naturalistici soprattutto nel settore colli15 febbraio 2019 anno II n. 20

nare. «A Locri Epizephiri conosciamo una molteplicità di santuari, dagli aspetti assai differenziati: alcuni erano dotati di templi monumentali, risultano molto frequentati dai fedeli che offrirono numerosissimi doni votivi, spesso di eccezionale qualità artistica come i celebri pinakes rinvenuti nel santuario di Persefone. Le iscrizioni su tabelle bronzee dell’archivio del santuario di Zeus Olimpio forniscono una documentazione unica in tutto il mondo greco sulle attività amministrative ed economiche che si svolgevano tra un santuario e gli organi della polis che lo reggevano. L’edificio del teatro, forse il monumento locrese più suggestivo pur nella evidente fragilità delle sue strutture, ci testimonia la cultura letteraria della città,ricordando anche il possibile uso dell’edificio per riunioni e assemblee politiche. Le necropoli si estendevano,come di consueto,all’esterno della città; non si sono rinvenuti mausolei mo sepolture monumentali, ma gli oggetti deposti nei corredi funerari documentano i rituali funebri e molti aspetti delle attività quotidiane degli antichi locresi». Non andò meglio nell’età romana a tardo antica, ma nemmeno peggio. Si tratta di periodi lunghi otto secoli, nei quali la città,pur avendo perso il ruolo di capitale e di autonoma produttrice di cultura tipico della fase greca, rimane un centro amministrativo di importanza locale ma inserito nella vasta circolazione di idee, forme di cultura, economia, che la civiltà romana diffonde dal mondo mediterraneo fino al Reno e al Danubio. Chiuso il libro di filosofia e arte, c’è da aprire quello enogastronomico. Pesce, anzitutto pesce, gustosamente «pesce stocco» con olive e pomodorino, specialità proposto in molti ristoranti («La Fontanella» in contrada Moschetta). Così pure la «pinsa» (B White Pinseria, in via Marconi 182), la nonna della pizza. Il tutto innaffiato dal «Greco di Bianco», famoso anche per le sue qualità afrodisiache. C’è un auspicio migliore se non un cin cin per la corsa trionfale biancorossa verso la C? No. E allora buona vita nella valle olimpica che genera eros.

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IL BARI VISTO DA

USCIRE VELOCEMENTE DALL’INFERNO

Giulio Mola*

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ra che più che mai la parola d’ordine è: «Uscire velocemente da questo inferno». Un ritornello che il tifoso barese va ripetendo da settembre, diventato un imperativo categorico proprio ora che è cominciato il lungo rettilineo finale del campionato. Vero, detto così, dopo il ritorno alla vittoria e un distacco tornato ad essere più che rassicurante sulla Turris, potrebbe sembrare un controsenso. E invece, da alcune settimane, non c’è partita dei biancorossi che non sia accompagnata dalla sofferenza, in campo e sugli spalti. Anche quando si vince, come è accaduto domenica contro il Marsala. Se avessimo una racchetta fra le mani potremmo parlare di “braccino del tennista“, il nemico mentale numero uno per chi gioca a tennis, ovvero quella naturale tensione che riesce a bloccarti nei momenti decisivi. Succede anche nel calcio, dove però si preferisce parlare di “mentalità”, parolina magica buona per tutte le occasioni. La “mentalità“ è quel qualcosa in più, oltre al talento e alla condizione fisica, che devi avere dentro. Perché non la compri al supermercato. Del termine “mentalità” si fa uso e abuso nel calcio, dalla serie A ai campionati minori, perché può servire a spiegare una vittoria o a mascherare una sconfitta. Non poteva farne a meno anche mister Cornac-

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chini per inquadrare e analizzare (e magari giustificare) alcune opache prestazioni, per esempio il ko proprio in casa della Turris, secondo scivolone del Bari dopo quella sul campo della Cittanovese. In quell’occasione, senza troppi giri di parole, il tecnico biancorosso si era aggrappato alla “mancanza di mentalità di categoria”, quel che ha (avrebbe) fatto la differenza a favore dei campani. Stupisce però che l’allenatore possa parlare di assenza di mentalità a questo punto della stagione, con il Bari che ha più di un piede in serie C e che è pronto a giocarsi i suoi primi match-ball: sì, diciamolo chiaro, perché solo un impobabile suicidio di massa nelle restanti undici partite potrebbe mandare in fumo una promozione che sin dalle prime giornate è parsa scritta, considerata l’evidente differenza tecnica (e lo si è visto pure contro il Marsala) fra i biancorossi e le altre squadre del girone. Ci sta, dunque, che dopo un girone fatto di corsa e con un vantaggio importante, Floriano e compagni abbiano tirato il freno a mano. Perché se parliamo di mentalità, nessuno può mettere in discussione il fatto che il Bari sin dalla prima giornata si sia calato perfettamente nel ruolo di protagonista in un torneo cui non era abituato. Affrontando ogni gara con concentrazione e umiltà, andando in tutte le trasferte senza paura ma neppure senza l’arroganza che in certi casi può creare solo danni. No, il Bari si è conquistato il primo posto a suon di gol, con sudore, carattere e intelligenza. Col cinismo (in certe gare) dei più forti, con la classe di alcuni calciatori (Brienza) sempre presenti nei momenti decisivi e che meriterebbero altre platee. Capita anche ai migliori di scivolare quando meno te l’aspetti, è successo pure alla Juventus lanciata verso l’ennesimo scudetto frenare in casa col Parma. Ma farne un dramma sarebbe eccessivo, così come addossare le colpe solo ai giocatori. Cornacchini, prima di attribuire ai suoi “la mancanza di attributi”, dovrebbe prendersi le proprie responsabilità, partita dopo partita. Perché l’agonismo e il carattere lo mettono in campo i calciatori, il gioco e l’organizzazione dipendono dall’allenatore. Dunque da qui alla fine calma e sangue freddo, perché si vince e si perde tutti insieme. Forse da Natale in poi, con la promozione ipotecata, il gruppo si è imborghesito; a maggior ragione, prima arriva la promozione, meglio è per tutti, perché il Bari con questa categoria non c’entra nulla. Piuttosto, ben altra mentalità ci vorrà in serie C. Dove non sarà affatto una passeggiata di salute. Bene farebbe De Laurentiis ad attrezzarsi sin da ora. *Responsabile redazione sportiva “Il Giorno” 15 febbraio 2019 anno II n. 20


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L’AVVERSARIO

LOCRI UNA DANZA RISCHIOSA Vito Prigigallo

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ocri continua a ballare sul confine. Una danza rischiosa: la zona rossa, quella che va dal sestultimo posto in giù, è a pochi pasi. Con i pareggi non si va molto lontano: e quello con la Sancataldese è il 5° collezionato dalla formazione allenata da Pellicori. Figuriamoci con le sconfitte: il Locri, prima di ospitare il Bari, ha giocato (e perso) al Donato Curcio di Picerno con il Rotonda, la maglia nera della classifica, lontana 8 punti dalla chance di giocarsi la permanenza ai crudeli spareggi dei playout. Cinque minuti di black-out nell’ultimo segmento di gara, dopo il vantaggio ottenuto nel primo tempo su autogol propiziato da Pannitteri. Anche il presidente Antonella Modafferi non aveva resistito alla tentazione: con la latitanza di risultati, a pagare è stato l’allenatore: a metà dicembre, via Umberto Scorrano, con i quali gli amaranto avevano vinto il campionato di Eccellenza calabrese che aveva consentito il salto in D, ecco Alessandro Pellicori. Cosentino, ex attaccante, 37 anni, è stato tra gli artefici della salvezza della Palmese la primavera passata. Da calciatore ha indossato, fra le tante, le maglie di Lecce (esordio in A il 14 gennaio 2001) e Foggia (C1), oltre a quelle di Queen’s Park Rangers (con Flavio Briatore) e Torino. Il 28 maggio 2012 Pellicori venne arrestato nell’ambito dell’operazione Last bet (letteralmente ultima scommessa) condotta dalla procura di Cremona, per poi essere squalificato per 3 anni dalla Commissione disciplinare della Federcalcio. La gestione della Modafferi è sempre stata tormentata, fra “lascio” e “va bene, riprendo per il bene del Locri e di Locri, nonostante sia stata lasciata sola”. In una intervista a Tuttobari.com, alla vigilia del match dell’andata, si è un po’ raccontata, annunciando che avrebbe chiesto l’autografo a Brienza: 15 febbraio 2019 anno II n. 20

LA SQUADRA Lo stemma e,in alto, la squadra impegnata nel campionato di serie D e l’allenatore Pellicori

«Se mi avessero detto che il Locri avrebbe giocato con il Bari mi sarei fatto una risata pensando a una barzelletta». Assunta la carica di numero uno del club griffato “1909” in Promozione, aveva promesso di portare i calabresi in D. Parola mantenuta. A proposito del Bari e dello stupore di patron Antonella, il 28 ottobre, nella fase ascendente del campionato, i galletti sormontarono agevolmente i cavalli alati, con Pozzebon abile ad aprire la serie dopo appena 7’ e Floriano e Simeri bravi a chiudere i conti, il bomber in pieno recupero. Gli atleti della Locride, in quell’ottobre ormai lontano (in ogni senso) si presentarono al San Nicola secondi in classifica. In casa, sul sintetico del Comunale di via Angelo Cusmano, il Locri ha conquistato 15 punti, realizzando il doppio dei gol in trasferta (18 a 9, quest’ultimo dato senza il conforto del viaggio contro il Rotonda). Il momento migliore per i reggini è stato l’avvio: dopo il pari di Nocera, sono arrivate le vittorie con Portici e Troina, inframmezzate dal trionfo a Roccella Jonica. Poi, dopo i 10 punti in 4 gare, il lento ma inesorabile declino fino al buio di domenica in Lucania. Dove Pellicori ha perso Pagano, espulso, non giocherà col Bari, e non ha ricevuto buone indicazioni dal tridente composto da Condomitti, Strumbo e Pannitteri. I migliori realizzatori finora sono i 23enni Simone Caruso, un difensore, e Giuseppe De Marco, quest’ultimo entrato a poco dalla fine a Picerno, 6 gol a testa.

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GLI ANNI ‘90

DEBUTTANO I ROMBI ROSSI Il Nostro Bari

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ell’estate del 1990 durante il ritiro precampionato la truppa biancorossa venne immortalata con una insolita divisa a strisce bianche e blu griffata Adidas riportante lo sponsor Sud Leasing racchiuso in un rettangolo rosso, probabilmente un modo per richiamare il Liberty. Nella stagione 1990-91 cambia radicalmente la tenuta da gioco dei galletti: il main sponsor è ora Sud Factoring e la divisa è un’autentica innovazione che troverà impiego in varie squadre italiane come Cesena ed Empoli o il Montpellier di Valderrama e verrà considerata da Nazionali quali la Francia di Eric Cantona o gli Emirati Arabi Uniti. Per le forme degli inserti, che ricordavano un noto marchio di sigarette presente sull’auto da corsa pilotata in quegli anni da Airton Senna, la divisa è stata ribattezzata Mac Laren. La maglia risulta elaborata nella parte superiore in cui sono presenti due triangoli rossi sui quali spiccano tre parallelogrammi biancorossi, le maniche riportano tre strisce rosse stesso colore dei numeri. Per questo modello c’è anche la colorazione rossa. Il galletto è collocato al di sotto del triangolo rosso di destra. Nell’estate del 1991 arriva Platt, e il Bari è di scena per una tournèe in Svezia dove sfoggia una insolita divisa color oro, mentre per la stagione in corso le maglie sono di fatto identiche da un punto di vista strutturale a quelle dell’anno precedente, ma questa volta lo stemma, dato dal galletto racchiuso in un ovale, si trova al di spora dell’inserto rosso. Curiosa la stagione 1993-94 in cui sono presenti due varianti di maglie: la prima parte del torneo è caratterizzata da una maglia bianca con sulle spalle due V rosse dirette all’indietro, un colletto rosso e un nuovo sponsor, Wüber. In seguito ecco una casacca bianca con stesso colletto rosso e sulla destra 3 strisce rosse che si interrompono e sfumano per far spazio allo sponsor. L’anno seguente in serie A si utilizza una delle più belle e apprezzate casacche dai tifosi biancorossi: la divisa è semplice ma riporta nella metà superiore un gioco di rombi rossi che impreziosiscono il modello, proposto anche in altre due tonalità: rosso e blu, quest’ultimo indossato in quel di Piacenza e Cremona.

LE PROSSIME PARTITE domenica 17 febbraio ore 14.30 LOCRI - BARI domenica 24 febbraio ore 14.30 BARI - ACIREALE 30

LA CLASSIFICA 1

Bari

55

2

Turris*

43

3

Cittanovese

37

4

Marsala

36

5

Acireale

36

6

Gela

35

7

Portici

35

8

Castrovillari

33

9

Palmese

31

10

Nocerina

31

11

Troina

31

12

Locri

26

13

Sancataldese

24

14

Città di Messina

24

15

Roccella

24

16

Messina

24

17

Rotonda*

16

18

Igea Virtus

15

*una partita in meno

BR

il

Il Bari in questo campionato ha subito finora 2 sole sconfitte in 23 partite. Il minor numero di sconfitte in un campionato è il seguente: 2 SCONFITTE (una sola volta nel 1953/1954 in serie D) 3 SCONFITTE (3 volte: nel 1966/1967 in C, nel 1974/1975 in C, nel 1988/1989 in B) Sempre in questo campionato (23 gare) il Bari ha segnato 51 gol. Ha superato i 50 gol realizzati in 30 partite nella serie D 1953/1954. Il massimo dei gol in un campionato è: 72 gol nel 1929/1930 in serie B 65 gol nel 2008/2009 in serie B

Hai commenti, consigli, suggerimenti? Scrivi a:

ilbiancorosso@gazzettamezzogiorno.it 15 febbraio 2019 anno II n. 20




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