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O ilBIANC ROSSO
periodico di informazione sportiva de
RIALZATI
BARI, FORZA
BR L’EDITORIALE
il
di Gaetano Campione
una scommessa da vincere insieme S
cendiamo in campo anche noi. Con voi. Questo periodico rappresenta una scommessa da vincere con il vostro contributo. Proveremo a far parlare tutti - non sarà facile - e cercheremo di raccontare al meglio la complessa galassia biancorossa. Idee e tagli diversi, esclusivi, originali per accendere i riflettori sui personaggi e sulle storie, così da completare e arricchire l’informazione della Gazzetta. Scendiamo in campo con un’identità grafica forte, smart, per divertirvi, per catturare la vostra attenzione, valorizzando al meglio le foto e i testi, convinti come siamo che la qualità possa fare la differenza. Scendiamo in campo anche noi. Con voi. Con la nostra squadra migliore, composta da redattori, collaboratori, grafici e fotografi. Insieme con l’unico obiettivo di valorizzare il più possibile tutto quanto si colori di biancorosso. Importante, sotto questo aspetto, il filo diretto che stabiliremo con i tifosi attraverso la rubrica della posta: consigli e critiche possono migliorare il prodotto complessivo e servire da stimolo per raggiungere gli obiettivi comuni. Senza dimenticare la collaborazione della società: le 32 pagine possono diventare una vetrina privilegiata anche per il club. Quella che si concluderà sarà per forza
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di cose una stagione spartiacque. Se il Bari riuscirà a raggiungere l’ambizioso traguardo della serie A - è l’augurio di una città intera - toccherà al presidente Giancaspro far sì che la presenza nell’Olimpo del pallone non si trasformi in una comparsata mordi e fuggi. La serie A va difesa, consolidata, rafforzata perché diventi la collocazione naturale per una piazza come la nostra. Se, invece, malauguratamente, ci toccherà assistere ad un’altra stagione di sogni infranti e di illusioni disattese, il presidente ci dovrà far capire quale futuro immagina per questa squadra. La
gratitudine e la riconoscenza per aver evitato il secondo, probabile, fallimento non possono durare in eterno: un club di calcio non si può gestire come una qualsiasi azienda, perché il capitale più importante è rappresentato dalla passione di decine di migliaia di tifosi. Stagione cruciale anche per il direttore sportivo Sogliano, protagonista di un mercato da record, in termini numerici, anche se alcuni dei grandi nomi, alla prova del campo, non hanno ancora reso secondo le aspettative. Lui ha avuto praticamente mano libera sulle scelte, si è circondato di collaboratori fidati e collaudati. Una stagione anonima, se non fosse nemmeno raggiunta la qualificazione ai playoff - già sfuggita l’anno scorso - e fallimentare imporrebbe anche da parte sua un chiarimento sul proseguimento del progetto. Ma ci sarà tempo per i bilanci. Adesso godiamoci questa fine di campionato che si annuncia al cardiopalma. “Il Biancorosso” sarà in prima fila. Due parole sulla scelta della copertina. La cultura della sconfitta deve rappresentare un valore aggiunto per evitare di commettere altri errori e ripartire. Con una motivazione in più. Dopo una caduta ci si rialza sempre. È questo che tutti ci aspettiamo dal Bari a Venezia.
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BR sommario
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petriccione
il Biancorosso Periodico sportivo de La Gazzetta del Mezzogiorno reg. Trib. Bari n. 12372EL1/81
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nunziante
Direttore responsabile Giuseppe De Tomaso Edisud SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari www.lagazzettadelmezzogiorno.it A cura di Redazione sportiva Coordinamento Gaetano Campione Hanno collaborato Fabrizio Nitti Michele De Feudis Davide Lattanzi Nicola Lavacca Tiziano Tridente Gianni Antonucci Filippo Luigi Fasano Francesco Damiani Fotografie Luca Turi A. Scuro Ricciolo Archivio storico de La Gazzetta del Mezzogiorno Archivio Antonucci Progetto grafico Clara Specchia Concessionaria di PubblicitĂ Mediterranea SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari Stampa Grafiche Deste via Casamassima, sn Z.I. Capurso (Ba)
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BR IL PERSONAGGIO
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PETRICCIONE A CUORE
APERTO OGNI CARTA UN SIGNIFICATO OGNI PUNTEGGIO UN’ANALOGIA PER RACCONTARE A CUORE APERTO LA VITA PRIVATA, L’AMORE LE AMBIZIONI, I SOGNI IL BURRACO SPOPOLA DA SEMPRE A BARI JACOPO PETRICCIONE NATO IL 22 FEBBRAIO 1995 A GORIZIA NUMERO SETTE DEI GALLETTI GIOCA COSÌ LA SUA PARTITA CARTE IN MANO… SI COMINCIA
LE ORIGINI
Davide Lattanzi
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Non ricordo nemmeno quando ho cominciato. È come se ogni mio ricordo da bambino sia legato ad un pallone. Mio padre è un grande appassionato di calcio così come mio fratello più grande che ha 25 anni e gioca nella squadra del paese, vicino Gorizia. La mamma ha dovuto sopportarci…La prima occasione è venuta dal Cagliari: non avevo nemmeno 15 anni e dovevo trasferirmi dall’altra parte dell’Italia. Non è stato facile e sulle prime mia madre l’ha presa male. Poi mi sono spostato a Siena, quindi a Firenze ed ora a Bari. Diciamo che, dopo tanto viaggiare, oggi i miei sono più sereni e contenti di vedermi sulla strada giusta per affermarmi.
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IL JOLLY
IL POZZETTO
Ho avuto la fortuna di essere allenato da molti tecnici bravi, così come non sono mai mancati gli affetti che hanno sostenuto il mio percorso professionale e di vita. Ma forse una cosa la devo a me stesso: LA PERSONA sono stato io a crederci sempre, in DETERMINANTE qualsiasi momento. Diciamo che il jolly è stata la mia determinazione: sono un tipo tenace, non mollo mai. Qualcuno può prendermi per testardo, ma spero di non perdere mai questa mia dote.
Sono una persona positiva e devo ammettere che anche la mia avventura nel calcio è proseguita senza intralci insormontabili. Non c’è stato un frangente in cui ho pensato: “mollo tutto”. Tuttavia, scelgo due situazioIL MOMENTO ni che mi hanno un DIFFICILE po’ segnato. La prima a Cagliari: avevo 14 anni e, essendo fuori sede, vivevo in un convitto dalle suore. Ero l’unico non sardo: il controllo non era il massimo e ho subito un po’ di nonnismo…Poi il distacco dalla Fiorentina: amo Firenze e la Toscana, magari un giorno mi stabilirò da quelle parti. Essere ceduto dai viola un po’ mi è dispiaciuto e l’avrei presa peggio se non fossi venuto in una grande piazza come Bari. A proposito: sento parlare di pressioni, di grandi aspettative. A me piace la gente ambiziosa, ma ciò che mi ha colpito dei baresi è la straordinaria umanità. Abito dalle parti di Torre a Mare e nei primi giorni mancava la luce a casa, ma l’intero il vicinato ha fatto di tutto per aiutarmi: chi mi ospitava per ricaricare il telefono, chi mi invitava a pranzo o a cena. Eppure, nessuno sapeva che fossi un calciatore del Bari.
LA CANASTA Spero che debba ancora venire, visto che la mia carriera è ancora all’inizio. Il primo gol in B fu una soddisfazione parziale: l’ho realizzato lo scorso anno con la maglia della Ternana, ma perdemmo con il Vicenza. E allora è stata molto più intensa la mia prima gioia in biancorosso, nel match di Novara, perché è servita a centrare la prima vittoria stagionale in trasferta sbloccando una crisi di risultati che durava fin dallo scorso campionato.
IL GIORNO INDIMENTICABILE
LA PINELLA L’ho trovato qui a Bari, l’amore. Lei ha 29 anni, sette più di me, ma la nostra è una storia seria. Magari qualcuno pensa che se fai il calciatore ed hai 22 anni devi pensare solo a divertirti. La realtà, invece, è che io ho dovuto provvedere a me stesso fin da bambino ed oggi mi sento molto più grande rispetto all’età che ho. Credo nel rapporto di coppia e quando trovi la persona giusta devi lasciarti andare. Non mi spaventano le responsabilità: e se è vero che molti miei coetanei sono ancora “ragazzini” come mentalità, nel calcio ho conosciuto colleghi che sono diventati genitori anche L’AMORE molto prima di me. Perciò, vivo la quotidianità con entusiasmo e serenità.
2000 PUNTI: VITTORIA
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IL MONTE DEGLI SCARTI
GLI HOBBY LE PASSIONI I RIFERIMENTI
Faccio una vita semplice. La mia fidanzata lavora a tempo pieno, quindi la sera stiamo insieme, magari guardiamo qualche serie in tv. Il vero impegno extra calcio è il mio cane. Un labrador di tre anni, lo porto ovunque e mi fa un sacco di compagnia. Non riuscirei mai a separarmi da lui.
Direi cose banali: giocare in serie A o in Champions League perché sono obiettivi di qualunque giocatore professionista. Il sogno per eccellenza resta la nazionale. Il calcio italiano vive un momento particolare e ho sentito mille teorie a proposito dell’eliminazione dal mondiale. La realtà, secondo me, è che ci siamo meritati di non andare in Russia perché oggi non siamo i più forti. E’ un errore madornale, tuttavia, pensare che ai calciatori non sia dispiaciuto. Io sto male al solo pensiero di vedere altre nazioni protagoIL SOGNO niste e non vivere le “notti magiche” tifando per gli azzurri con gli amici, riunendosi magari davanti a NEL CASSETTO una pizza. Forse un’intera generazione di giovani scoprirà in ritardo certe emozioni. Ecco: io penso che per ripartire al meglio sarà riconquistare l’affetto della gente verso la maglia azzurra.
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BR LA CURIOSITÀ
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PRIMA DI
FABIO C’ERA
ANDREA I FRATELLI Francesco Damiani
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rima di Fabio, Andrea. L’arrivo in Puglia del tecnico del Bari Fabio Grosso è stato per così dire preceduto da quello di suo fratello minore Andrea, classe 1987, professione cestista, che ha giocato due volte dalle nostre parti in periodi diversi e distanti fra loro, nel 2008-2009 a Ruvo e nel 2014-2015 a Monteroni. Due avventure durate entrambe una sola stagione, ma se a Ruvo lo spazio per lui in quanto “under” era piuttosto limitato, a Monteroni minutaggio e punti realizzati sono abbastanza cresciuti. Tra l’altro, una coppia di fratelli calciatorecestista per la Puglia non è una novità assoluta se si pensa ai foggiani Daniele e Gigi Delli Carri e ai baresi Raffaele e Onofrio Rubino. Fra i due fratelli Grosso, il legame è molto saldo e soltanto poche settimane fa, approfittando della sosta del campionato cadetto, il tecnico del Bari è andato a vedere dal vivo suo fratello impegnato nel campionato di serie B (terza serie nazionale) nella sfida fra il suo Amatori Pescara e il Bisceglie. Una presenza che non è passata inosservata, anche perché proprio in Abruzzo Fabio Grosso ha vissuto gli anni della sua formazione calcistica. La prima esperienza in Puglia di Andrea Grosso risale quindi al 2008 quando ancora negli occhi degli italiani erano vive le immagini del fratello Fabio che andava sul dischetto del rigore dell’Olympiastadion di Berlino per battere il portiere francese Barthez e regalare agli azzurri di Lippi il quarto titolo mondiale della storia. Un’impresa che lo ha reso un eroe nazionale e che seguiva di pochi giorni un altro
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Andrea Grosso gioca nell’Amatori Pescara nel campionato di basket di serie B Fabio Grosso allena il Bari nel campionato di calcio di serie B
DAL BASKET AL CALCIO, LO SPORT VISSUTO DALLA FAMIGLIA GROSSO gol decisivo segnato in semifinale contro la Germania padrona di casa. Arrivava dunque con un fardello pesante sulla schiena il giovane Andrea, appena ventunenne, in una realtà cestisticamente molto ambiziosa con grandi nomi nel roster. «Andrea non ha mai parlato molto di suo fratello Fabio» ricorda Dimitri Patella, assistente di coach Sandro Guidi in quella stagione. «Certo i compagni più appassionati di calcio gli chiedevano qualche notizia, erano curiosi, ma lui è un ragazzo molto garbato e riservato e toccava poco questo argomento». Che Andrea sia un ragazzo riservato lo conferma anche un suo compagno di squadra di quel Ruvo, Stefano Marrocco. «Andrea ci parlava pochissimo del fratello in generale e del mondiale in Germania in particolare. È un ragazzo riservatissimo come del resto tutta la sua famiglia, quindi era impossibile che si vantasse delle imprese di Fabio». In effetti, in questa riservatezza non si fatica a ritrovare i tratti caratteristici anche del tecnico biancorosso, un tipo davvero di poche parole.
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BR L’INTERVISTA
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GENNARO NUNZIANTE
IL MIO FILM
SU MILITO IL VEGETALE
In questi giorni sugli schermi l’ultima pellicola di Gennaro Nunziante interpretata da Fabio Rovazzi e Luca Zingaretti Il prossimo lavoro del regista sarà un film sull’interista Diego Milito (a sinistra nella foto). Gianluca Zambrotta (a destra), per Nunziante è stato il più grande giocatore biancorosso. Accanto, lo stadio Della Vittoria negli anni Settanta
Michele De Feudis
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ennaro Nunziante, il calcio e il Bari tra amarcord e una visione sociale del gioco più amato al mondo: un diario sentimentale che va dalle piazzette di periferia con una maglietta arancione e scarpini improvvisati allo stadio Della Vittoria, passando per un poster di Boninsegna, il gol di Bergossi contro il Lecce, l’elogio di Zambrotta e Serena, fino all’anticipazione del progetto di un film su Diego Milito. Il regista, dopo i record di incassi registrati in questi anni con i film di Luca Medici in arte Checco Zalone, è tornato nelle sale per proporre “Il vegetale”, esordio cinematografico di Fabio Rovazzi, definita dal settimanale “Sette” “una brillante satira romantica sui nuovi mali dell’Italia”. Nunziante, per la teologa tedesca Dorothee Solle la felicità di un bambino è riassumibile, come racconta lo scrittore sudamericano Eduardo Galeano, così: “Gli darei un pallone per farlo giocare”. Cosa rappresenta nel suo immaginario il calcio? «Felicità è una parola immensa, non la considero di questo mondo, contentezza va meglio. Il calcio è stato lo sport col quale mi sono introdotto nella comunità di ragazzi al quartiere Libertà,
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«DIEGO PER ME È L’UMILE E GRANDE BOMBER DEL TRIPLETE»
tutti figli di operai col sogno di diventare calciatori, e Claudio De Tommasi riuscì, fortissimo, ho sempre tifato per lui». Non è solo uno sport. È anche uno degli strumenti per conoscere l’animo umano? «Giocando a calcio un uomo si mostra per quello che è. Rivela generosità, spirito di sacrificio, disponibilità all’aiuto degli altri. Anche quando realizza un gol, nell’esultanza garbata o accentuata, c’è tanto di valore umano». Giocava a pallone da ragazzo nelle piazzette baresi? «Giocavo per le strade del quartiere Libertà, la zona del Redentore. Sono nato in via De Bernardis. E ho iniziato facendo il centrale di difesa, il mio giocatore preferito era Ruud Kroll. Non c’erano soldi per comprare magliette, io avevo trovato una divisa di colore arancione al mercato del lunedì di via Calefati e usavo quella. Col tempo passai a fare l’ala sinistra col piede destro. Poi con l’adolescenza, c’è stata la fine del calcio, e ho iniziato a suonare la chitarra acustica e a conoscere le ragazzine. Altri mondi da esplorare». La prima partita allo stadio Della Vittoria? Con chi andava “al campo”? «Per me il Della Vittoria è l’unico stadio citta-
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dino, una relazione d’amore fatta di tantissime domeniche con papà e i suoi amici». Un rito. «Si partiva tutti dal Bar Anna di via Crispi e poi si saliva a piedi viale della Carboneria fino allo stadio. La mia prima volta, il 3 febbraio del 1974, fu terribile: Bari-Atalanta fu interrotta per invasione di campo. Ho il ricordo di un rigore sbagliato da Casarsa, sì forse era lui, e poi mi ritrovai senza mio padre accanto e nel caos totale». Faceva la raccolta di figurine Panini? Un poster di calciatore in camera? «Mai avuto grande interesse per gli album, non ne ho mai completato uno. Il poster sì, quello di Roberto Boninsegna: sono diventato interista per lui». La storia recente dei presidenti del Bari è la traccia di un romanzo civico: dal ginecologo mecenate Angelo De Palo, ai costruttori Matarrese, all’ex arbitro Gianluca Paparesta, fino all’imprenditore Mino Giancaspro. Albert Camus la vedeva così: “Tutto quello che so sulla moralità e sui doveri degli uomini, lo devo al calcio”. Di che città sono stati espressione questi presidenti?
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«ZAMBROTTA LA STORIA L’HA SCRITTA CON SACRIFICIO E FORZA DI VOLONTà”
«Di una divisione sempre netta tra proprietà del club e città, una frattura che porta a non avere mai un progetto a lungo termine. E poi che tristezza vedere ancora la politica scodinzolare dietro la squadra del Bari, una tristezza infinita». Il San Nicola ora è quasi un rudere. La maestosità dell’opera, con il senno di poi, fu un passo più lungo della gamba della città? «Fu un errore madornale, una follia, ma è ancora più folle chi vorrebbe continuare a tenerlo in piedi. Occorre rigenerare lo stadio Della Vittoria e renderlo un impianto funzionale e accogliente da trentamila posti, o anche meno». C’è un film di calcio che ricorda con emozione? «Sto scrivendo un film sulla storia di Diego Milito, ci siamo incontrati a Milano e per me è l’umile e grandissimo bomber del “triplete”, qualcosa d’irraggiungibile». La vittoria del Bari o il gol che porta nel cuore? «Indimenticabile la rete dopo una interminabile serpentina di Alberto Bergossi nel derby con il Lecce nel settembre 1984 (finì 2-0, ndr), ma anche quello di Alessandro Scanziani in Bari-Samp 1 – 2, nel 1981, fu una botta al cuore terribile». Antonio Cassano: occasione perduta per dare un senso di riscatto alla Bari più popolare? «Il mio giocatore preferito del Bari (il regista dribbla il quesito, ndr) è Gianluca Zambrotta, uno che la storia l’ha scritta davvero con sacrificio e forza di volontà, educato al lavoro, il più grande di tutti. Ho il ricordo della sua fascia di gioco, padrone assoluto, contro la Juventus giocò da solo contro tutti, perdemmo uno a zero ma la sua partita fu commovente, qualcosa di leggendario, un ragazzino neanche ventenne che da Como era arrivato a Bari e che sembrava un veterano, di un altro pianeta calcistico. Sempre onore a Gianluca. L’altro giocatore che ricorderò sempre è Aldo Serena, il centravanti più potente che ho mai visto giocare con la maglia biancorossa, anche lui solo un ventenne ma dal carattere fortissimo». Qualcuno potrebbe definirla il Guardiola del cinema italiano. Allora nella sua squadra ideale degli attori, Checco Zalone giocherebbe centravanti? «Luca le partite le vince da solo, non ha bisogno di Guardiola».
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BR COME ERAVAMO
PRESENZE E GOL
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CHE EMOZIONE
LA FASCIA AL BRACCIO PARLA DI GENNARO L’ULTIMO CAPITANO BIANCOROSSO AL DELLA VITTORIA E IL PRIMO AL SAN NICOLA Fabrizio Nitti
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apitani si nasce, a volte si diventa. Antonio Di Gennaro appartiene alla prima categoria, gente che nasce con la fascia al braccio e con quella si accompagna per il resto della carriera. Qui, a Bari dove ha scelto di vivere una volta terminato di giocare al calcio, per tutti è «Dige il capitano», pronunciato tutto d’un fiato. In biancorosso dal 1988 al 1991, ha rifinito la sua vita calcistica conquistando una promozione in serie A, una Mitropa Cup (resta l’unico trofeo internazionale del Bari), due salvezze nella massima serie, prima di chiudere definitivamente con il pallone giocato a Barletta, in serie C1. Oggi è una delle voci televisive (Mediaset) più competenti in circolazione. «Confesso subito una cosa: aver indossato la fascia da capitano del Bari, mi ha trasmesso sensazioni che altrove non ho mai conosciuto. E non lo dico per arruffianarmi nessuno. Anche a Verona, nel dopo Tricella, ebbi questa responsabilità. Ma è stata tutta un’altra storia. Vi garantisco che “fare” il capitano a Bari, è una cosa seria. Soprattutto il vecchio glorioso stadio Della Vittoria mi ha regalato emozioni incredibili. Quando, da avversario, scesi in Puglia con il Verona per giocare la semifinale di Coppa Italia, capii immediatamente cosa fosse quello stadio. Ne ebbi conferma poi giocando la stagione della promozione dalla A alla B».
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Tre le altre cose, vanta un piccolo primato, destinato a rimanere scolpito nella storia del calcio barese: è stato l’ultimo capitano biancorosso al Della Vittoria ed il primo al San Nicola: «Ricordo ancora la prima volta con la fascia al braccio nel nuovo stadio. Bari-Torino, vincemmo 2-1 in rimonta. In linea generale, il capitano del Bari “sente” di più degli altri la responsabilità, è una specie di punto di contatto con una delle tifoserie top d’Italia. Quando arrivai, Vincenzo Matarrese e Gaetano Salvemini mi chiesero di fare un po’ da guida, vista la mia esperienza. Qui c’erano giocatori del calibro di Giorgio De Trizio e Giovanni Loseto, con i quali sono rimasto in contatto. In campo non c’era storia per nessuno. Ho ancora un cruccio, quello di non aver conquistato l’Europa in quegli anni, avremmo potuto farcela, non fummo fortunati. Un inciso: mi piacerebbe che il vecchio stadio fosse rimesso a nuovo, visto che rappresenta anche la storia calcistica di questa città». Un ultimo flash, sul Bari odierno: «Forse una mezz’ala sarebbe utile in questo centrocampo, perché può assicurare gol in più. La difesa credo sia stata ritoccata dove serviva, poi è ovvio che in campo vanno i giocatori... L’attacco è un po’ il tarlo di quest’anno, l’assenza di un bomber vero può farsi sentire. Ma è una squadra decisamente in grado di dire la sua nell’alta classifica».
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BR COSA FANNO
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MAIELLARO OSTRICHE E PALLONE OGGI STUDIA DA RISTORATORE A LUCERA: «SE FOSSI RIMASTO A BARI MI AVREBBERO DATO LE CHIAVI DELLA CITTÀ»
26 GOL 13 segnati in serie B e altrettanti in serie A in 119 partite con la maglia biancorossa
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BARI-INTER 1-1 Maiellaro contrastato da Berti. Il gol barese fu realizzato da Maccoppi
Filippo Luigi Fasano
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striche reali e linguine all’astice, l’immancabile riso, patate e cozze. Rombo all’acqua pazza e sporcamuss. Un pranzo da n’derre a la lanze al centro di Lucera, e non per caso. È qui, a due passi da piazza del Duomo, che Pietro Gerardo Maiellaro studia da ristoratore, scendendo a patti con le sue tentazioni da calciatore. A 54 anni compiuti a settembre, il fisico è lo stesso di quando ondeggiava fra i difensori avversari, fra Della Vittoria e San Nicola. Non servono foto sulle pareti a ricordarlo. Basta quel menù che sembra una lettera d’amore: «C’è di tutto, ma sopratutto pesce e cucina barese – precisa – Ho affiancato un amico che lavorava nel settore. È stato quasi naturale, dopo una carriera in giro per alberghi e ristoranti». E del pallone, che cosa è rimasto? «Le partite dal vivo e le ospitate in tv. La panchina? Ormai non ci penso più». Che cosa le è mancato per sfondare come allenatore? «La fortuna di guidare la prima squadra, dopo le giovanili. Non parlo di bravura, quella si vede dopo. Ma all’inizio serve una possibilità. Quella che hanno avuto Montella e Stramaccioni. E che non ho avuto io». Pensa a quando allenava la Primavera del Bari? ªPoteva essere la mia grande occasione. Due anni da professionista per mettermi alla prova». C’era Galano, in quella squadra. «Christian sta giocando molto bene. Ma può fare ancora meglio: deve andare a prendersi il pallone. E la serie A? Certo, perchè no. Magari
con il Bari». Un altro foggiano protagonista, quasi trent’anni dopo Maiellaro. «Eppure i primi due mesi son stati tristi, avrei voluto scappare. Dai baresi devi farti voler bene, ci mettono un po’ ad accettarti. Ed io ero burbero ed introverso. Ma poi è stato bellissimo. Gente e ambiente fantastici che porterò per sempre dentro di me». Per i tifosi era un’icona. «Una volta mi portano a Palese, per un pranzo in famiglia. Aprono la porta, un ragazzo mi guarda ed esclama: “Non è possibile!”. E mi sviene davanti». La Nazionale? «Doveva chiamarmi Vicini. Saltai la partita con la Samp e il ct disse che non avrebbe potuto convocarmi. Tutte storie. Forse si ricordarono di qualche marachella ai tempi della nazionale militare. Ritardi, roba così». E con Sacchi? «C’era un precedente. Fine anni Settanta, provino a Cesena: lui era al settore giovanile. Stava su una montagnola e mi gridava di correre. Due giorni per giocare solo sette-otto minuti. Facciamo gol e gli dico: “Vado via, voglio il rimborso per il viaggio”. Tornai a passaggio, almeno fino a Vasto». Rimpianti? «Non avrei mai dovuto lasciare Bari e la famiglia Matarrese. Il presidente Vincenzo ha fatto di tutto per acquistarmi: benedico il giorno in cui l’ho incontrato. Se fossi rimasto, mi avrebbero dato le chiavi della città».
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L’INTERVISTA DOPPIA
COME TI CHIAMI? Michele Francesco Salomone all’anagrafe. SOPRANNOME? Quando da piccolo balbettavo “Salomon u caccà”. QUANTI ANNI HAI? 64 e quattro mesi. SEGNO ZODIACALE? Bilancia. PROFESSIONE? Giornalista e funzionario nella Pubblica Amministrazione. TRE AGGETTIVI PER DEFINIRTI? Onesto intellettualmente, brutto fisicamente, bravino professionalmente. IL TUO PUNTO DEBOLE? Non saper rispondere facilmente “no, non posso”. COME TI VESTI DI SOLITO? Camicia, giacca e cravatta.
MICHELE SALOMONE La voce narrante delle partite del Bari calcio
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COSA TI DICONO PIU’ SPESSO? “Salomon ama veng iosc? A ma sci in serie A? “Che si dice al Bari Calcio?” Insomma la domanda sul Bari non manca mai. LA PRIMA COSA CHE FAI AL MATTINO? Caffè alle 5,30 e poi 45 minuti di corsa a Parco Due Giugno immerso nel verde e nella musica italiana. L’ULTIMA COSA CHE FAI LA SERA? Fumare in poltrona mezzo Antico Toscano sorseggiando due dita di liquore di alloro preparato in modo speciale da mia moglie Silvana. UN SOGNO RICORRENTE? Ritrovarmi a correre nudo sperando che la gente non mi veda e perdere l’aereo. UNA FIGURACCIA MEMORABILE? Agli inizi degli anni 80 per Bari Canale 100 intervistai Raffaella Carra’ ed esordii con “Lei è una showman di successo”. La Carrà mi corresse: “Showwoman”, ma io non capivo e rischiai di far saltare l’intervista.
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ULTIMO LIBRO LETTO? “Treblinka”, che descrive gli orrori di quel lager. Sono attratto dalle storie vere della Shoa e dello sterminio nazista che mi fanno molto riflettere. COSA FAI SE UN GATTO NERO TI ATTRAVERSA LA STRADA? No, nulla, continuo per la mia strada. Non credo a queste sciocchezze. DI COSA HAI PAURA? Dei monumenti alti se ci passo vicino di sera e poi della morte. Sì, della morte e della sofferenza per la malattia ancora prima. FRASE PREFERITA? “Meglio farlo ed eventualmente pentirsi, che pentirsi per non averlo fatto”; oppure “divertiti e fai divertire”. PER QUALE SQUADRA DI CALCIO TIFI? Per il Bari, ovviamente. COSA TI RIFARESTI DAL CHIRURGO PLASTICO? Nulla, perché la mia natura è questa (ho già detto che mi considero brutto) e l’accetto. E poi perché dal chirurgo ci deve andare solo chi ha problemi seri di salute. COME TI IMMAGINI FRA 20 ANNI? Non è che sia proprio sicuro di esserci. A 84 anni realisticamente potrei essere altrove. Ma se provo ad immaginarmi mi vedo più o meno come sono ora con molte rughe in più. Del resto ho già pagato sotto questo aspetto…. COSA CAMBIERESTI DEL TUO CORPO? Ho già detto, nulla. Il Signore mi ha fatto così e mi accetto senza riserve.
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IL RICORDO INDELEBILE? Il pomeriggio del 17 ottobre del 1994 quando il Professor Sergio Schonauer mi fece assistere alla nascita di mio figlio Niccolò.
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QUELLO PEGGIORE? La morte dei miei genitori, non c’è dubbio. Perdi le radici e sai che non li rivedrai più almeno in questa vita terrena e ti penti per tutto il tempo in più che avresti potuto dedicargli.
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SALOMONE-TAMBORRA 24 25 26 27 28 29 30 31 32
Una persona che stimi? Mia moglie e i miei amici più intimi fra i quali vorrei citare Franco Fiordalisi, noto dermatologo che conosco da 45 anni. Ma per esempio ho molta stima di Fabio Grosso come uomo. Mi sembra una persona molto per bene. Dove vorresti vivere? A Bari. Per me è irrinunciabile. Ma come: gli altri farebbero carte false per venirci a vivere! In alternativa se Decaro mi cacciasse, mi piacerebbe vivere in Australia, un paese molto civile e in gran parte incontaminato. San Nicola o Della Vittoria? Nessun dubbio: il Della Vittoria! Vogliamo scherzare? Quello era uno stadio, questo… meglio sorvolare. E poi al Della Vittoria ci andavo con mio padre ed ho fatto le prime radiocronache. La canzone che interpreti meglio? Sono stonato come una campana, ma con “C’era un ragazzo” me la cavicchio. Quella che ti ha fatto innamorare? “Sabato pomeriggio” di Baglioni che (non me ne vogliano i baglioniani) con la voce di Morandi è ancora più bella. Hai nemici? Certo ed anche un bel po’. Non amo la diplomazia e i mezzi termini e mi costa simpatie e amicizie. Ma il mio modo di fare, con tutti i difetti, non lo cambio per nessuna ragione al mondo. Il piatto preferito? Le cose semplici: per esempio spaghetti (molto, ma molto al dente) con i pomodorini appesi. Una goduria! E i panzerotti, rigorosamente mozzarella e pomodoro. Cosa pensi dell’altro? Tutto il bene possibile. È un grande professionista che si è fatto da solo. È un giornalista considerato scomodo e che per questo paga anche personalmente. Ha tutto il mio apprezzamento. E poi è un collega corretto, un amico. Meglio la radio o la televisione? La radio, senza il minimo dubbio. E poi chi fa radio può fare tran-
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quillamente televisione. Non è sempre vero il contrario.
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Il tuo portafortuna? Non è che ci credo molto alla fortuna e alla sfortuna. Comunque c’è un numero (che non rivelo) coincidente con molti avvenimenti positivi della mia vita. E poi ho un oggetto che porto sempre in tasca regalatomi da un amico. Destra o sinistra? Governare bene non è né di destra, né di sinistra. Comunque sono cresciuto alla scuola di Aldo Moro e Renato Dell’Andro, quindi non devo aggiungere molto…
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Chi getteresti dalla torre? Trump. Peraltro da una delle sue. Slip o boxer? Boxer. Gli organi… vitali devono respirare.
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La cosa piu’ trasgressiva che hai fatto? Non lo posso dire per non far sequestrare questo Magazine. Comunque c’entra una donna (ovviamente) e un’auto in corsa…
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Un lavoro che avresti fatto? Volentieri l’avvocato penalista. Cosa non sopporti? La disonestà intellettuale, l’arroganza e l’ipocrisia. Compagno di viaggio ideale? Lo è stato per anni Vito Marino, inviato della Gazzetta. Abbiamo fatto insieme centinaia di trasferte. Perfetta sincronia di orari. Io sceglievo gli alberghi, lui i ristoranti e non ne sbagliavamo uno! Il miglior giocatore del Bari visto in azione? Senz’altro Antonio Cassano. Ma mi riferisco alle sue qualità e potenzialità. Peccato! Noi baresi potevamo vantarci di avere uno fra i 10 calciatori più bravi al mondo di tutti i tempi e invece alla fine non ha vinto quasi nulla. Un pregio dei tifosi baresi? La passione e il saper applaudire la squadra anche di fronte ad una sconfitta se gioca bene. E fischiarla di fronte ad una larga vittoria se ottenuta giocando male.
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Un difetto dei tifosi baresi? Basta poco per farli passare dall’esaltazione alla depressione e viceversa. Ma è il prezzo della passione e della genuinità. Il gol piu’ bello segnato dal Bari? Quello di Igor Protti a Bergamo con una spettacolare rovesciata nel campionato 95-96. Con quella vittoria in inferiorità numerica, si sperò nella salvezza che purtroppo non fu evitata. La partita da dimenticare? Venezia-Bari del 19 giugno 2004. Nonostante due sole retrocessioni per la riforma dei campionati al termine di quella partita, ritorno dei play out, il Bari finì in serie C, salvo poi essere ripescato per il fallimento del Napoli. Hai letto un libro di Antonucci? Quasi tutti. Gianni ha avuto il merito di ricostruire la storia del Bari. Un tesoro che va custodito in tutti i modi. La maglia del Bari piu’ intrigante? Quella del Bari di Conte che ottenne la promozione nel 20082009. Quella gradazione di rosso mi piaceva molto. Il complimento professionale piu’ bello? Qualcuno (in verità più di uno) mi ha detto: “Ho Sky, ma preferisco ascoltare la tua radiocronaca. Mi fai stare con te in campo, la preferisco alle immagini”. Se non mi hanno preso per il c… è il complimento più bello che un radiocronista possa ricevere. La critica piu’ feroce? I baresi sono sempre stati molto buoni con me. Le critiche le ho ricevute dagli addetti ai lavori (presidenti, direttori sportivi, allenatori, calciatori), ma quando arrivano vuol dire che si sta lavorando bene. Con chi vorresti andare a cena? Con Rosati e quelli che hanno votato la nuova legge elettorale che non ci da la possibilità di scegliere i nostri rappresentanti in Parlamento. Gliene direi quattro, anzi otto. E non è detto che non volerebbero i bicchieri.
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BR L’INTERVISTA DOPPIA SALOMONE-TAMBORRA
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COME TI CHIAMI? Vincenzo detto Enzo Tamborra. SOPRANNOME? Nessuno. QUANTI ANNI HAI? 52. SEGNO ZODIACALE? Cancro. PROFESSIONE? Giornalista. TRE AGGETTIVI PER DEFINIRTI? Tenace, intuitivo, ansioso. IL TUO PUNTO DEBOLE? Scarsa puntualità. COME TI VESTI DI SOLITO? Lacoste d’estate, maglioncini blu d’inverno. COSA TI DICONO PIU’ SPESSO? Come lo vedi il Bari? LA PRIMA COSA CHE FAI AL MATTINO? Segno della croce. L’ULTIMA COSA CHE FAI LA SERA? Guardare la tv. UN SOGNO RICORRENTE? Di essere interrogato in matematica (un incubo).
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ENZO TAMBORRA Protagonista della trasmissione Tv cult “Il bianco e rosso”
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UNA FIGURACCIA MEMORABILE? Scesi dal treno dopo la fermata di Genova. Iniziai la radiocronaca a Marassi che Tovalieri aveva già segnato. ULTIMO LIBRO LETTO? Quello di Antonucci sui 110 anni di storia del Bari. COSA FAI SE UN GATTO NERO TI ATTRAVERSA LA STRADA? Cambio strada, naturalmente. DI COSA HAI PAURA? Delle brutte malattie. FRASE PREFERITA? Niente è impossibile. PER QUALE SQUADRA DI CALCIO TIFI? Bari, ma ho simpatia per la Juve. COSA TI RIFARESTI DAL CHIRURGO PLASTICO? Niente. COME TI IMMAGINI FRA 20 ANNI? A giocare a tennis ogni mattina. COSA CAMBIERESTI DEL TUO CORPO? Mi accetto così come sono. IL RICORDO INDELEBILE? La nascita delle mie due figlie. QUELLO PEGGIORE? Quando ho rischiato di perdere mia madre. UNA PERSONA CHE STIMI? Il mio medico, Mario Quero. Non c’è più, era il migliore. DOVE VORRESTI VIVERE? Io da Bari non mi muovo.
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IL SAN NICOLA O IL DELLA VITTORIA? Della Vittoria tutta la vita.
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LA CANZONE CHE INTERPRETI MEGLIO? Soli, di Adriano Celentano.
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QUELLA CHE TI HA FATTO INNAMORARE? Una carezza in un pugno, sempre di Celentano.
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HAI NEMICI? Per un giornalista credo sia quasi inevitabile.
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IL PIATTO PREFERITO? Orecchiette con la ricotta marzotica.
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COSA PENSI DELL’ALTRO? Che posso imparare da chiunque. MEGLIO LA RADIO O LA TV? La radio. IL TUO PORTAFORTUNA? È un segreto. DESTRA O SINISTRA? Destra, ma non in senso politico. CHI GETTERESTI DALLA TORRE? Tanti di quelli che dirigono il calcio italiano. SLIP O BOXER? Entrambi. LA COSA PIU’ TRASGRESSIVA CHE HAI FATTO? Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. UN LAVORO CHE AVRESTI FATTO? Psicologo. COSA NON SOPPORTI? Le calunnie. COMPAGNO DI VIAGGIO IDEALE? La mia famiglia. IL MIGLIOR GIOCATORE DEL BARI VISTO IN AZIONE? Igor Protti. UN PREGIO DEI TIFOSI BARESI? Innamorati del Bari. UN DIFETTO DEI TIFOSI BARESI? A volte credono alla Befana. IL GOL PIU’ BELLO SEGNATO DAL BARI? Protti contro la Cremonese. LA PARTITA DA DIMENTICARE? Lo spareggio perso a Venezia. HAI LETTO UN LIBRO DI ANTONUCCI? Ho già risposto. LA MAGLIA DEL BARI PIU’ INTRIGANTE? Quella rispolverata per i centodieci anni di storia. IL COMPLIMENTO PROFESSIONALE PIU’ BELLO? Dici sempre la verità. LA CRITICA PIU’ FEROCE? Che ce l’ho con il Bari (follia). CON CHI VORRESTI ANDARE A CENA? Con Roger Federer.
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BR BIANCOROSA
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SCAMBIEREI LA MAGLIA CON BRIENZA Tiziano Tridente
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rent’anni da compiere a marzo, gli ultimi diciassette vissuti con la maglia della Pink addosso e una passione per il pallone made in Bari che dal rettangolo verde del calcio femminile spesso l’ha portata sugli spalti del San Nicola per supportare il lavoro dei colleghi uomini. Marina Rogazione, bomber più prolifico nella storia recente della Pink Bari, è nata e cresciuta nel quartiere Murat: un reticolo ortogonale di strade, nel cuore della città, da sempre roccaforte della tradizione locale. Anche quella del tifo biancorosso. Rogazione, lei è una barese doc. Quanto è interessata alle avventure dei galletti? «In una scala da 1 a 10 sento quasi di meritare la lode. Sul braccio porto ancora la cicatrice causata da un fumogeno acceso da un buontempone della curva nord in un Bari-Udinese: non ricordo esattamente l’anno ma in attacco i bianconeri schieravano Bierhoff e Amoroso. Finì 1-1. La mia partita però durò solo alcuni minuti: mi portarono in infermeria per le cure del caso e tornai a casa senza aver visto i gol». Un’esperienza negativa che tuttavia non l’ha allontanata dal San Nicola… «Tutt’altro. Ho continuato a vivere lo stadio tra mille partite in curva e qualche gara mi sono in tribuna. Quest’anno però non divertita troppo. Il tifo sembra essere un po’ meno rumoroso rispetto al passato. Ho notato meno entusiasmo: un vero peccato». Le piace il Bari di Fabio Grosso? «A tratti. Il potenziale della squadra è elevato, ma in campo non sempre si vede: gioco e risultati sono altalenanti. Con lui il Bari è migliorato nel possesso palla ma negli ultimi metri siamo poco incisivi. Sbagliamo i movimenti nella fase più calda della transizione offensiva e spesso siamo nelle mani della giocata estemporanea dell’attaccante. Non sempre il singolo può risolvere la partita». Lei gioca in attacco. Se fosse chiamata ad affrontare la difesa del Bari sarebbe preoccupata? «Gioco da prima punta e guardando la batteria
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dei centrali a disposizione di Grosso la notte prima della partita di sicuro non perderei il sonno. Adesso poi, con la cessione di Tonucci al Foggia, si è abbassato anche il rischio randellate (sorride, ndr). Discorso diverso se penso ai terzini: Sabelli sta tornando quello che abbiamo apprezzato in passato». Cissé, Floro Flores, Kozak e Nenê. Con lei in panchina chi sarebbe stato titolare?
MARINA ROGAZIONE IL BOMBER PIÙ PROLIFICO NELLA STORIA RECENTE DELLA PINK BARI «Cissé. Ha grande fisicità, ma allo stesso tempo è esplosivo nelle sue accelerazioni palla al piede. Anni fa avrei detto Floro Flores, ma adesso il suo atteggiamento in campo è imbarazzante. Da tifosa lo sopporto poco. Detto questo, la freccia più affilata nell’arco di Grosso resta Galano. Ha numeri da categoria superiore. Nel mio tridente d’attacco è lui l’inamovibile». Amichevole tra il Bari e la Pink. A fine partita con chi scambierebbe la maglia? «Andrei a passo svelto verso Franco Brienza. Guardarlo giocare è un piacere, ammirare la sua dedizione è istruttivo. A 39 anni, dopo il brutto infortunio rimediato nella passata stagione, merita tutto il rispetto del mondo».
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BR I CAMPI DA GIOCO
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DUE PALI DI LEGNO SENZA LA TRAVERSA Gianni Antonucci
IL SAN LORENZO (POI CAMPO ROSSANI) HA OSPITATO SINO AL 1934 ALCUNE PARTITE DI CAMPIONATO DELL’EX BARI SCISSOSI IN IDEALE E LIBERTY. POI SOLO GARE AMATORIALI
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I
primi richiami sul “gioco del pallone” si avevano all’inizio del ‘900, dalle partitine sullo spiazzo di “Marisabella” (fra i marinai dei piroscafi inglesi fermatisi nel porto). Era la grande piazza senza alberi esistenti al di là della linea ferroviaria il palcoscenico delle sfide col pallone. Deboli tentativi ma con le stesse ambizioni di quanto era stato fatto in precedenza, nel 1893 a Genova, con la prima società di calcio in Italia. Lo spiazzo e, quindi, il campo dove giocare fu battezzato “San Lorenzo”, in ossequio al nome del rione. Non c’era nulla di ufficiale. Le stesse porte erano formate da due pali di legno, senza la traversa. Non c’erano le reti e ai quattro angoli del campo, ma solo dei paletti di legno di mezzo metro, precursori delle attuali bandierine. Il San Lorenzo diventava il palcoscenico per le partite (sempre amichevoli) del Bari sino a quando alcuni dissidenti formavano prima l’Ideale e poi il Liberty, due squadre (al posto del Bari) che dettero vita – soprattutto dal 1920 al 1925 – a derby infuocati e carichi di passione, pur essendo il campo adibito frequentemente ad altre manifestazioni sportive. Non c’erano tribune, né tantomeno posti a sedere. Una robusta “staccionata” manteneva al di là del campo di gioco i tifosi che cominciavano a rendersi conto della passione che ormai offriva il gioco che diventerà il più bello del mondo. Il San Lorenzo (poi campo Rossani) ha ospitato sino al 1934 alcune partite di campionato dell’ex Bari scissosi in Ideale e Liberty. Poi solo gare amatoriali, sempre su di un campo in terra battuta.
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110 anni di storia
il viaggio NELLA STORIA A sinistra, il campo San Lorenzo. In alto, lo stadio Della Vittoria. A destra, la squadra con la maglia dei centodieci anni
Il Campo degli Sport – Con protagoniste, nella prima divisione Sud, sia l’Ideale che il Liberty, s’imponeva finalmente un campo di gioco con tribunette e posti non solo in piedi. Si discuteva in Municipio, si ipotizzava un campo civile dedicato non solo al calcio ma per i sani esercizi all’aria libera. Fallite diverse iniziative, entrava in scena ancora lui, Floriano Ludwig, il vero fondatore del Bari 1908. Confermando il suo stile da perfetto gentiluomo ed entusiasta del calcio, radunò diversi amici del consiglio del Liberty ed assieme (ma soprattutto col proprio “portafogli”) facevano costruire un campo di calcio con relativa tribunetta sulla via per Carbonara, adiacente il carcere. Bari aveva finalmente un piccolo stadio; protagonisti assieme a Ludwig, l’ing. Pietro Giorgio, Arturo Randi e lo sportivissimo avv. Franco Gallesi. L’inaugurazione del “mini-stadio” si aveva l’8 dicembre 1925 nello stesso momento in cui nasceva una “stella” tutta barese, il calciatore Faele Costantino, diventato poi “il reuccio”.
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È datato 11 aprile 1908, di sabato, lo Statuto della società definita “per il gioco del calcio” sotto il nome di “Foot-Ball Club”. C’erano voluti poco meno di tre mesi per elaborarlo dopo la fondazione avvenuta nella prima serata del 15 gennaio 1908, nel retrobottega del negozio Nickmann gestito dai fratelli Carlo e Floriano Ludwig in corso Vittorio Emanuele angolo via Roberto da Bari. Era stato proprio Floriano Ludwig, originario austriaco a concretizzare l’idea di costituire un club calcistico a Bari con la collaborazione di parecchi amici non italiani e di alcuni baresi tutti giovani che, assieme a lui, seguivano spesso le partite col “pallone” che i marinai dei piroscafi inglesi ancorati nel porto, nel tempo libero giocavano nell’immenso spazio di Marisabella, presenti molti inesperti spettatori. Se la fondazione del FBC Bari risale al 15 gennaio 1908, l’approvazione dello statuto, quindi, si aveva l’11 aprile e presentava 5 categorie di soci: Onorari e benemeriti (proclamati dall’assemblea) attivi (soci-calciatori), temporanei (senza dimora fissa a Bari), contribuenti (sostenitori), allievi (giovani con meno di 16 anni). Tassa d’ammissione a socio: due lire. I colori sociali scelti: casacca di flanella rossa e mutandine bianche. La sede (locale e spogliatoio) era al rione San Lorenzo con il campo (un grande spiazzo senza alberi) utilizzato la mattina dai militari per gli addestramenti e nel pomeriggio limitatamente al lato destro. Dall’altra parte era vietato per l’esistenza di una polveriera. Particolare delle prime squadre: nessuno aveva un ruolo fisso. Inoltre le porte erano formate da due pali di legno uniti da una corda (niente traversa) e non c’erano le reti. Me lo raccontava all’inizio degli anni Cinquanta proprio Floriano Ludwig (1881-1967), dal quale ho potuto conoscere tutto quello che poi ho scritto sulla nascita e la storia del Bari-calcio. Mi sono stati d’aiuto anche l’album di memorie lasciato da Enrico Sotrorelli e gli scritti dallo storiografo Alfredo Giovine. Proprio “don Alfredo” mi diceva «Il calcio a Bari deve tutto a Floriano Ludwig», aggiungendomi «Amò lo sport ed in particolare il Bari come si poteva amarlo e seguirlo all’inizio del ‘900 con la passione e l’esperienza dei pionieri». Al suo cuore è legata un’altra opera: il “Campo degli sport”, il primo realizzato a Bari e che sostituì il vecchio San Lorenzo. A sue spese acquistò il suolo e fece sorgere il campo di calcio. Tutta la sua vita (non volle mai sposarsi) è stata vissuta per il Bari. In occasione dei 110 anni del Bari, a ricordo della data di fondazione (15-011908) del Bari da parte di Ludwig e di alcuni amici, è stata fissata una targa sul muro esterno del retrobottega.
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BR I CAMPI DA GIOCO
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È stato il Campo degli Sport (così battezzato) ad ospitare le prime gare di serie A del Bari nel 1931 (la prima il 27-9-1931). In totale al Campo degli Sport (scomparso poi nel 1967 per dar vita alla “mediana”) sono state giocate 34 partite di A e 55 di B, tutte su campo in terra battuta. IL TEMPIO DELLA GIOVENTÙ – Con il Bari tornato in serie A si avvertiva la necessità di un vero e proprio stadio di calcio. Furono presentati 4 progetti, peraltro tutti “bocciati”. Si pensò di costruire una struttura sportiva da dedicare ai caduti della grande guerra (1915-18) che a Bari mancava. Furono effettuate delle sottoscrizioni e i cittadini baresi “raccolsero” qualcosa come 1 milione e 900 mila lire. Fu così che, con l’aiuto di un colpo quasi “corsaro”, un piroscafo carico di cemento in navigazione verso l’Egitto dove avrebbe dovuto autoaffondarsi nel canale di Suez (per atti bellici poi annullati), venne dirottato a Bari e nonostante un incidente alla nave il cemento (con l’Intervento della Ferrobeton) fu subito utilizzato per la costruzione dello stadio denominato “della Vittoria”. Ad agosto 1934 il “nuovo tempio della gioventù” era già ultimato ed il 6 settembre veniva inaugurato con i campionati dei giovani fascisti presente Benito Mussolini, il capo del Governo. La prima partita era giocata il 16 dicembre 1934 (Bari-Comense sotto la pioggia), mentre quella di serie A il 22-9-1935 (contro la Lazio 1-1). In totale, al “della Vittoria” sono state giocate 945 partite di campionato (fra A, B, C e IV serie) per 528 vittorie, 272 pareggi e 145 sconfitte: 1316 gol segnati e 656 subiti. L’ultima a giugno 1990 con la conquista della Mitropa Cup. La leggenda del “della Vittoria” – che dal 1946 aveva avuto finalmente il campo in erba – finiva. Diceva il comm. Angelo Albanese: “Se questo stadio potesse
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IL VIAGGIO NELLA STORIA A sinistra, il campo degli Sport. In alto, lo stadio San Nicola, l’ “astronave” di Renzo Piano
parlare, quanti aneddoti ed episodi verrebbero alla ribalta. Su quel campo e in quegli spogliatoi c’è tutta la lunga storia di Bari e del Bari”. Ristrutturato anni dopo è diventato “l’Arena della Vittoria” con 55 anni di ricordi. L’ASTRONAVE SAN NICOLA – Bari prescelta quale sede di alcune partite del Mondiale ’90, faceva da premessa alla costruzione di un nuovo stadio che potesse ospitare oltre 50 mila spettatori. L’impianto e, quindi, l’intera struttura veniva affidato alla competenza dell’arch. Renzo Piano, il “funambolico” dell’impiantistica: con un manipolo di 40 collaboratori presentava un progetto che, però, subiva un ritocco con l’aggiunta di una pista di atletica (non prevista da Piano). Ad ottobre 1987 si aprirono i cantieri e non mancarono le proteste: i Verdi davano vita ad un coordinamento contro il mega-stadio; e venivano appoggiati da Lega per l’Ambiente, Italia Nostra, Federnatura e Democrazia proletaria che denunciavano l’enormità della spesa assieme alle violazioni ambientali. Frecciate anche contro i prezzi dei suoli: 22 mila lire al mq. Il nuovo stadio era una realtà. In base ad un referendum sul nome, prevaleva San Nicola prima di Azzurro, Degli Ulivi, del Levante, Mediterraneo. L’inaugurazione si aveva la sera del 3 giugno 1990 con l’amichevole Bari-Milan. Il San Nicola superava a pieni voti l’impatto con la folla. Ospitava per i Mondiali le nazionali di Romania, Urss, Camerun, Costarica, Cecoslovacchia e poi la finalina di Italia-Inghilterra. Senza dimenticare i tornei del Bari di A e di B. Con gli anni, lo splendore iniziale è a mano a mano venuto meno, sino a perdere i suggestivi “petali” che coprono i posti a sedere. Ed ora c’è l’idea di un “rifacimento” totale.
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BR I TIFOSI
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curva nord
cambia il calcio cambiano le mode ma i supporter biancorossi si ritrovano sempre in quello spicchio di stadio così pieno di suoni e colori unici di generazione in generazione
passione e cuore
Nicola Lavacca
L
a mitica “curva nord” continua ad essere sempre il cuore del tifo biancorosso. Cambia il calcio, cambiano le mode ma i supporter del Bari che si ritrovano in quello spicchio di stadio così pieno di passione, di suoni e di colori sono unici, di generazione in generazione, per l’attaccamento alla loro squadra. Una “fede” calcistica che pulsa forte nell’anima e nella mente, con il suo effetto trascinante e fragoroso. Oggi come ieri la “nord” è una sorta di anfiteatro collettivo in cui si assiepano giovani e meno giovani che incitano a perdifiato il Bari. Un punto di riferimento dove ritrovarsi e che tiene insieme tutti anche in trasferta. Passato e presente sembrano convivere, come sottolinea Roberto Maffei, 53 anni, “capo” degli Ultras (nati nel 1976 e scioltisi nel 2012 ndr) dall’81 all’87: «Credo che la nostra curva nord non abbia mai perso la propria identità, salvo in rarissimi momenti. Adesso è davvero tornata agli antichi splendori. Forse, rispetto ai miei tempi è meno colorata. Ma la coreografia allestita in occasione del derby col Foggia è stata eccezionale e splendida. Siamo stati ammirati da tutta l’Italia. Ci sono sicuramente tanti ragazzi in più, anche perché ora si muovono con maggiore facilità dall’hinterland. Noi portavamo tre sciarpe al collo. La nostra tifoseria organizzata è stata ed è tuttora impareggiabile. In questo momento è difficile trovare un esempio del genere in altri stadi. Siamo un’isola felice». La militanza è uno dei segni inconfondibili. Ne sa qualcosa il 50enne Ciccio Lepore, il leader più longevo degli Ultras biancorossi (dall’88 al 2001) che rivede nella curva nord attuale molto di quella del passato. «Io vado in tribuna est per mia scelta, ma la curva la sento eccome. L’apporto vocale alla squadra è rimasto praticamente immutato rispetto ai nostri anni. Abbiamo sempre avuto uno stile unico e inconfondibile improntato alla coerenza, alla lealtà e all’umiltà. Vedo continuità anche in questo con i gruppi di oggi. Le nuove generazioni hanno raccolto nel
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BR i tifosi
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TITOLETTO
Mimmo Tarulli e il suo megafono Accanto, tifo vintage Sotto, Roberto Maffei, Ciccio Lepore e Alberto Savarese
migliore dei modi il testimone». La curva nord è come il primo amore, non si scorda mai. E anche se non si è più giovani il sentimento resta incastonato dentro con la purezza del diamante. «Sono sempre presente, prendo posto nel settore un po’ in basso dove vedo la partita con gli amici dell’ex direttivo dice Alberto Savarese, 53 anni, meglio noto come “il parigino” -. La famiglia del tifo biancorosso è sempre unita, c’è un obiettivo comune e molta sinergia fra i tre gruppi attuali. Si va tutti fuori casa. Forse, è cambiato un certo tipo di abbigliamento. Vent’anni fa noi andavano allo stadio con sciarpe e più bandiere. Ancora oggi la curva sostiene in maniera incessante la squadra come da tradizione. Qualche coro è diverso, ma la tecnica del lanciacori è sempre uguale, specie quando il Bari attacca. Per me la prima cosa è la curva nord, poi viene il tifo per i giocatori che
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vanno in campo». Uno dei supporter che fa da trait d’union tra passato e presente è Mimmo Tarulli, 35 anni, detto “il poeta” che con il suo megafono fa partire i cori durante i 90 minuti della gara: “Appena 18enne entrai a far parte degli Ultras allora guidati da Ciccio Lepore e Roberto Sblendorio. Ho portato lo stendardo con la famosa scritta: «Onora la tua città, difendine i colori”. Ora in curva ci siamo noi “Seguaci della nord”, poi a destra i Bulldog e a sinistra il gruppo Re David. Siamo in perfetta sintonia e continuiamo ad avere l’identica linea del passato e gli stessi gemellaggi. Penso sia cambiato poco, se non le leggi e le disposizioni da osservare. Noi tutti incitiamo il Bari con il cuore, la voce e con i tamburi, sempre e a prescindere dai risultati. La fede per la nostra squadra, per i colori biancorossi dura nel tempo».
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BR NUMERI E STATISTICHE
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LE PROSSIME PARTITE Sabato 3 febbraio ore 15
VENEZIA-BARI Sabato 10 febbraio ore 15
BARI-FROSINONE Venerdì 16 febbraio ore 20.30
cremonese-BARI
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Hai commenti, consigli, suggerimenti? Scrivi a: ilbiancorosso@gazzettamezzogiorno.it
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