O BIANC ROSSO
il
periodico di informazione sportiva de
Supplemento al numero odierno de La Gazzetta del Mezzogiorno Anno I numero 6 / € 0,70 più il prezzo del quotidiano
GIOCHIAMOCI
TUTTO DINO ABBRESCIA «ANDIAMO A TREMILA» MARCEL VULPIS LE AMBIZIONI VANNO PROGRAMMATE RICCARDO IMPROTA IL CALCIO AFFARE DI FAMIGLIA
BR L’EDITORIALE
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di Gaetano Campione
la scommessa
trasformare i fischi in applausi
A
lzi la mano, chi sia in grado di spiegare lo stato confusionale che attanaglia i giocatori biancorossi nelle partite con squadre di bassa, se non di bassissima classifica, soprattutto quando si è reduci da precedenti risultati positivi. Fanno fede, in tal senso, la sconfitta di La Spezia ed il pari interno con i liguri, gli stop all’andata contro Brescia ed Entella, i quattro punti dilapidati con la Pro Vercelli (doppio 2-2 facendosi rimontare entrambe le volte in pieno recupero) e, più recentemente, il rovescio di Ascoli ed il pari al San Nicola con la Salernitana. Alzi la mano, chi riesca a giustificare la metamorfosi che, in ampi tratti delle gare, rende incapaci di tirare nello specchio della porta avversaria fior di professionisti o di giovani rampanti del pallone, impegnati a costruire una sterile ragnatela di passaggi. I fischi di Bari-Salentitana rappresentano il termometro dell’umore della città sportiva. E vanno analizzati, interpretati, approfonditi, per trovare un antidoto al bicchiere pieno di noia e di sbadigli. Tra le frasi del Grosso-pensiero consegnate alla storia, ricordiamo questa: «L’ambiente pretende tanto e, anche quando abbiamo qualche decimo di febbre, sembra che abbiamo la polmonite». Insomma, il tecnico ritiene esagerato il rumoroso dissenso espresso nei confronti di una squadra che, dall’inizio del campionato, nel bene o nel male, è sempre nella zona alta della classifica. Ma l’ambiente è provato da anni di illusioni e delusioni: qualche vittoria è decisamente insufficiente a reggere il peso delle aspettative. La marginalità in un campionato dai valori livellati, è sintomo di sofferenza. Le discese ardite e le risalite aggiungono sale su ferite difficili da cicatrizzare. Le dinamiche del campo oggi non sono ancora convincenti, in vista dello sprint finale nel quale
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bisognerebbe mettere in mostra il massimo delle capacità. Si può perdonare l’involuzione che ha investito il Bari in casa nel girone di ritorno (nove punti in sei incontri rispetto ai 25 raccolti negli undici match dell’andata), spesso con avversari di seconda fascia? Il tifoso, a volte, si stanca, da idealista diventa realista. E fischia. Rumorosamente. Ma è pur vero che la storia ultra centenaria del club è piena di rivincite, contro vecchi fantasmi, contro se stessi, contro tutto e tutti. Grosso e la squadra hanno l’occasione, in questa volata playoff, di trasformare i fischi in applausi. Dalla squadra alla società. Il presidente Giancaspro, in una delle ultime esternazioni, si è così rivolto al popolo biancorosso: «Voglio creare delle basi solide per assicurare un futuro prospero di risultati e di vicinanza al territorio... Nei miei progetti il Bari dovrebbe rappresentare la Puglia nel mondo, ma c’è qualcuno che sta remando contro». Conciliare il raggiungimento di questi risultati - che rappresentano il sogno di una città intera - rischia di diventare sempre più difficile. Almeno alla luce del bilancio finanziario del club, pubblicato nei giorni scorsi sulle pagine della Gazzetta, caratterizzato da un evidente squilibrio. Quanto alla teoria del nemico interno o del complotto, lo stereotipo appartiene ad un lontano passato, quando il mondo della politica, per nascondere i propri insuccessi, tirava in ballo improbabili intrighi. Ai tifosi, forse, piacerebbe ascoltare due parole tranquillizzanti sulle risorse ulteriori da investire; sapere qualcosa di più sullo stato del progetto triennale che riporterà la Bari in serie A; leggere parole rassicuranti sul piano finanziario legato al futuro dello stadio San Nicola. E, magari, vincere qualche partita in più. Noi, aspettiamo fiduciosi.
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BR sommario
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protti vulpis il Biancorosso anno I n. 6 Periodico sportivo de La Gazzetta del Mezzogiorno reg. Trib. Bari n. 12372EL1/81
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Direttore responsabile Giuseppe De Tomaso Edisud SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari www.lagazzettadelmezzogiorno.it
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A cura di Redazione sportiva Coordinamento Gaetano Campione Hanno collaborato Gianni Antonucci Andrea Camplone Francesco Damiani Michele De Feudis Filippo Luigi Fasano Davide Lattanzi Nicola Lavacca Vito Prigigallo Antonello Raimondo Fotografie De Giglio Luca Turi Donato Fasano A. Scuro Archivio storico de La Gazzetta del Mezzogiorno Archivio Antonucci Progetto grafico e realizzazione Clara Specchia
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Concessionaria di PubblicitĂ Mediterranea SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari Stampa Grafiche Deste via Casamassima, sn Z.I. Capurso (Ba)
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a cura di Davide Lattanzi
la rotazione dei terzini Nel tourbillon di Fabio Grosso, sono stati tra i più soggetti al cambiamento. Sono stati addirittura sette i terzini utilizzati dal Bari nelle 34 giornate finora disputate. Una vera “coppia” di laterali titolari, in pratica, non c’è mai stata. E allora, eccoli qui i protagonisti di questa intensa rotazione: tra corse a perdifiato sulle fasce, raddoppi in marcatura, cross da sfornare per gli attaccanti, ecco l’analisi ai raggi x dei terzini biancorossi.
risultati delle partite giocate da terzino titolare vittorie sconfitte pareggi
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Riccardo Fiamozzi
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Il 24enne nato a Mezzocorona era stato uno dei colpi più importanti del mercato estivo biancorosso. D’altra parte, era approdato in serie A con il Genoa per poi tornare in B a Frosinone. La sua avventura in biancorosso, con più ombre che luci, è durata appena quattro mesi. Perché sì Nel Bari si è fatto notare più per lo spirito di abnegazione ed adattamento che per l’effettivo rendimento. Pur essendo un terzino destro puro, ha dovuto riciclarsi talvolta da terzo centrale difensivo, altre da laterale sinistro. Proprio nell’emergenza, cavandosela con mestiere ed applicazione, ha reso meglio rispetto a quando è stato schierato nella posizione naturale. Perché NO Il giocatore intraprendente ed arrembante intravisto agli albori della carriera, qui non si è ammirato. Piuttosto ingessato nella corsa, rari gli spunti, in fase difensiva, spesso ha sofferto. L’esplosione di Anderson ed il ritorno di Sabelli lo hanno relegato a rincalzo, rendendo inevitabile la sua cessione nel mercato invernale proprio al Pescara, prossimo avversario dei biancorossi.
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Prodotto del settore giovanile della Juventus, ha poi dovuto passare dalla dura gavetta prima di affermarsi in B. Eppure le potenzialità sono da “top” nel ruolo: passo sciolto, intraprendenza, piede educato al cross dal fondo. Gli infortuni lo hanno frenato anche nella sua avventura barese.
Il difensore di lungo corso ex nazionale a Bari non ha trovato feelingo con Bari. La professionalità, però, è indiscutibile: ha accettato la panchina ed un ruolo marginale, riciclandosi puntualmente dove Grosso lo ha schierato, a seconda delle esigenze. E’ a fine contratto: a giugno sarà addio.
Perché sì Titolare fisso nella prima fase del campionato, aveva retto discretamente, fino all’infortunio che lo ha tenuto fuori per oltre due mesi. All’inizio del ritorno sembrava aver recuperato il posto, siglando pure una rete pesante proprio alla Cremonese. Quando è stato in condizione, ha confermato le doti che lo contraddistinguono. L’incostanza non lo ha premiato.
Perché sì Poche note liete. Su sette gettoni in stagione, soltanto due volte ha giocato da terzino puro, una volta a destra (la corsia prediletta), l’altra a sinistra. L’esperienza ha mascherato le carenze fisiche, soprattutto in marcatura. Non a caso, è stato proposto prevalentemente da “terzo” centrale piuttosto che negli originari panni di laterale.
Perché NO La fase difensiva non è il suo forte e lo ha mostrato in più circostanze. Ma sono stati gli sbalzi di rendimento a condizionarne la stagione. A prestazioni convincenti, ha alternato prove insufficienti. Al punto che Grosso ha provato altre soluzioni: dall’esperimento di spostare di corsia Sabelli all’introduzione graduale di Balkovec che oggi pare averlo superato nelle gerarchie.
Perché NO Il passo è ormai inadeguato alla B, la tenuta limitata, le sbavature sempre più ricorrenti. Il terzino che ai tempi del Palermo “asfaltava” la fascia è rimasto soltanto nella memoria. Con tali presupposti, facile capire perché nel calcio basato su continuo movimento voluto Grosso, sia retrocesso nelle scelte.
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archimede morleo
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Incredibile quanto avvenuto al 34enne di Mesagne tornato nella “sua” Puglia a gennaio 2017 per dare un significato forte ad un’onorevole carriera. Invece, è incappato in un’interminabile serie di infortuniche hanno provocato lunghissimi stop. Anche ora è tra gli indisponibili per una frattura al metatarso. È in scadenza: a giugno saluterà il Bari di cui è stato una comparsa. Perché sì Malgrado tutto, quando ha giocato ha confermato le sue doti. Nonostante l’età, la corsa è ancora convincente, la scelta negli inserimenti resta saggia, sul piano tecnico si fa rispettare, in fase difensiva non accusa amnesie. Nella batteria dei terzini, è tra i più completi. Se fosse stato bene, forse si sarebbe guadagnato maggiore considerazione. Perché NO Praticamente non c’è mai stato. Un anno e mezzo trascorso quasi sempre tra infermeria e riabilitazioni vedendo pochissimo il campo. Non ha mai trovato continuità e la perfetta condizione fisica. Per Colantuono lo scorso anno e Grosso adesso non ha rappresentato, suo malgrado, una risorsa.
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La grande rivelazione: 22 anni, ingaggiato dopo un mese di prova la scorsa estate ed esploso fragorosamente in autunno. La sua storia è ormai nota: a gennaio è stato addirittura uomo mercato. E’ rimasto, ma forse tornerà nel mirino delle big italiane ed estere la prossima estate. Perché sì Per caratteristiche, è il terzino ideale. Perché ha corsa, resistenza, spunto in velocità, lucidità nella rifinitura. Malgrado le doti prettamente offensive, si fa rispettare anche in marcatura: andargli via in velocità è complicato e sa usare il fisico pur non essendo un peso massimo. Negli spazi, poi, diventa semplicemente devastante rendendosi letale in contropiede. Perché NO Al primo torneo in Italia, deve trovare la sua dimensione definitiva diventando più costante ed affidabile. La concorrenza qualificata nel ruolo (Sabelli su tutti) ha spinto Grosso a provarlo in altre posizioni. Tuttavia, sia da mezzala, sia da esterno offensivo non ha convinto smarrendo verve. Il ruolo di terzino è il suo presente ed il futuro che può consacrarlo ad alti livelli.
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Ha solo 25 anni, eppure è ormai è un veterano. Gioca in B (e nel Bari) da quando era appena 19eenne, è giunto alla sesta stagione in biancorosso. Dopo il grave infortunio dello scorso anno, ha saputo riproporsi ai suoi livelli riprendendosi un ruolo da protagonista in un gruppo extralarge.
Il 23enne sloveno è arrivato nel mercato di gennaio e si è sottoposto ad un apprendistato che lo ha portato ad esordire il 18 marzo scorso. Da allora, sta trovando continuità di impiego. Punto fermo delle selezioni giovanili slovene, è stato già convocato anche nella nazionale maggiore.
Perché sì Poco da dire: è tra i migliori terzini della B. Costante nella proposizione, resistente nella corsa, sufficientemente abile nello spunto sull’avversario, nel tempo ha anche imparato a limare alcune lacune in marcatura. Affidabilità, insomma, fuori discussione: Grosso raramente ci rinuncia e lo ha rilanciato malgrado fosse reduce da oltre sette mesi di stop per la lesione al crociato.
Perché sì Tecnica di livello. Con il suo sinistro imposta, cambia campo in scioltezza, rifornisce il reparto offensivo con traversoni tesi e spesso precisi. Ha un calcio potente che sovente lo porta a tentare il tiro dalla distanza: potenzialmente può farsi valere anche su punizione. Con lui in campo, peraltro, il Bari non ha mai perso. E la cabala nel calcio ha sempre un consistente peso specifico.
Perché NO Il limite evidente è nella rifinitura. Arriva tante volte sul fondo o in zona cross, ma i suoi suggerimenti raramente sono efficaci. Probabilmente è il fondamentale che gli ha impedito di salire di categoria. L’elasticità, inoltre, non è tra i suoi pregi. Grosso lo ha provato un paio di volte a sinistra, ma l’esperimento ha prodotto risultati alterni (bene con il Brescia, meno con l’Ascoli).
Perché NO Sembra un po’ compassato. La corsa regge sul lungo, ma non sembra avere la brillantezza o lo scatto bruciante nell’uno contro uno. In difesa, punta molto sul senso della posizione: andrebbe, però, verificato in esami più severi contro avversari che lo puntano con insistenza. Lavorandoci, però, i margini di miglioramento sono notevoli.
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BR IL PERSONAGGIO
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RICCARDO
E I SUOI
FRATELLI Filippo Luigi Fasano
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Umberto da una parte, Riccardo dall’altra. Ed io al centro». Eccolo, il fantatridente della famiglia Improta immaginato da Giancarlo, 30 anni, uno dei fratelli maggiori di Riccardo, calciatore del Bari. Eh sì, sono attaccanti anche lui ed Umberto, il maggiore dei tre con 34. Un sogno, ma non troppo, quello di giocare assieme, visto che i due “grandi” sono tutti e due nella Turris, in serie D, dopo trascorsi in C e un po’ di Puglia per entrambi (Umberto a Taranto nel 2015, Giancarlo a San Severo ad inizio stagione). Ma Riccardo no, può solo salire, magari con il Bari. E allora quel trio offensivo l’ha messo su poster e se l’è appeso in camera, sull’armadio: da sinistra a destra, “Umby” con la maglia dell’Arzanese, “Zakky” con quella del Melfi, “Riky” con l’azzurro dell’under 21. Maglie e prospettive diverse, anche se Riccardo ed Umberto, nonostante i 9 anni di differenza, sono riusciti ad incrociarsi a Lan-
UMBERTO, RICCARDO E GIANCARLO HANNO EREDITATO LA PASSIONE PER IL CALCIO TRASMESSA DA PAPÀ FULVIO
I TRE MOSCHETTIERI
Da sinistra, Giancarlo, Umberto e Riccardo Improta
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ciano, nel 2011: «Aveva 17 anni appena – ricorda il maggiore – ma già si allenava con la prima squadra. Il sabato giocava con la Berretti, la domenica si aggregava ai grandi. Ed a fine stagione esordì in serie C. Consigli? Non ne aveva bisogno, ha sempre imparato alla svelta». Una passione per il calcio trasmessa da papà Fulvio, quella degli Improta, originari di Napoli (via Manzoni, quartiere Posillipo) e tifosi del Napoli. Ma chi è il più bravo? «Il più forte sono io, Umberto (ride di gusto, nda). Ho sempre giocato esterno, un po’ come Riccardo. Giancarlo, invece, è più prima punta». Ma chiamato a confermare il giudizio del fratello maggiore, Giancarlo fa parlare le carriere: «Il migliore è Riccardo – precisa scherzosamente – lo dicono i risultati. Oltre che mezzi fisici e tecnici, lui ha sempre avuto la convinzione di poter arrivare a certi livelli. E tanta applicazione». Lo si vedeva già dalla scuola
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dai ferraris ai loseto un affare di famiglia
Tre fratelli calciatori non è un record. Anche a Bari, dove il pensiero dei tifosi corre subito ai Loseto: “capitan” Giovanni prima di tutto, attuale componente dello staff di Grosso e primatista di presenze prima dell’avvento di Gillet (318 presenze dal 1982 al 1993), ma anche Pasquale, 129 gare dalla stagione 1965/66 al 72/73, ed Onofrio, 94 partite negli anni Ottanta. E nel Bari di fine Settanta hanno giocato il difensore Attilio Maldera, fratello di Luigi e del più celebre Aldo (quest’ultimo, scudettato nel Milan) e l’attaccante Stefano Pellegrini, scomparso a marzo, fratello di
calcio, che aveva una marcia in più, l’attuale numero 16 biancorosso. Lo accompagnava la nonna paterna Giovanna: Riccardo se n’è fatto tatuare il nome su un fianco. Con Bari è stato amore a prima vista, e non solo per l’iniziale filotto di gol che lo hanno imposto all’attenzione generale: “Le sensazioni fanno tanto, e sono state buone da subito – osserva Giancarlo – Riccardo ha scelto Bari con grande trasporto, perché è una grande piazza. E poi, appena arrivato, fra allenatore, gruppo e città, si è trovato subito bene”. Per il salto in alto decisivo, insomma, potrebbe essere solo questione di tempo (il cartellino è del Genoa): «Ha le qualità per poter imporsi anche in serie A, l’infortunio (al ginocchio, nel 2015) ne ha solo rallentato l’ascesa. Si è ripreso alla grande, come se non l’avesse mai avuto. La speranza è che possa salire assieme al Bari». Fratelli unitissimi, gli Improta, tanto da
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“umby”, “zakky” e “riky” si sentono più volte al giorno si dedicano i gol e si ritrovano nei momenti più difficili
Claudio, centravanti del Napoli, e Romolo. Addirittura quattro erano i Ferraris, cresciuti nella capitale negli anni Venti, sul campo della Fortitudo: il più piccolo, Attilio, campione del mondo nel 1934, nella nazionale di Pozzo, fu biancorosso dal 1936 al 1938. Accettò il trasferimento a Bari a condizione di allenarsi a casa, a Roma, e di raggiungere i compagni solo per la partita della domenica. Solo quando la sua Bugatti di color rosso faceva capolino, l’allenatore dell’epoca, Cargnelli, poteva tirare un sospiro di sollievo.
sentirsi più volte al giorno. E da dedicarsi i gol l’un l’altro, soprattutto nei momenti più delicati delle rispettive carriere. Ad ottobre, dopo una rete all’Avellino, il primo pensiero di Riccardo fu proprio per Giancarlo, infortunatosi la domenica precedente: «Mi trovavo ancora in clinica per l’intervento – ricorda il diretto interessato – Vidi la partita del Bari in tv e fu una grande emozione». E alla prima occasione, il favore è stato subito ricambiato: «Sono rientrato ed ho segnato, sfruttando una palla in profondità. Un gol che ci ha aiutato ad ottenere una vittoria importante. Stavolta sono io che lo dedico a lui». Ma la prodezza più bella è ancora lì, nella testa di Giancarlo, come quel tridente che ciascuno di tre immagina per sé e per gli altri fratelli: «Unodue fra Umberto e Riccardo, poi un cross. Ed io che segno di testa».
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BR il doppio ex
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col pescara una partita speciale
da una parte la storia di una vita dall’altra un’esperienza breve ma intensa Andrea Camplone
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escara-Bari è in effetti un match che suscita in me sentimenti speciali. Pescara è la storia di una vita: la città in cui sono nato e vivo, il club che mi ha consentito di diventare calciatore e di affermarmi. Bari è stata un’esperienza breve, ma intensa: il confronto con una grande piazza, il sogno di riportare un club così prestigioso nella categoria che merita vedendo svanire tutto nel 3-4 con il Novara ad un playoff beffardo e crudele.
la sfida Un confronto determinante: siamo nelle ultime otto giornate. Il Bari è a quattro lunghezze dalla promozione diretta, il Pescara ha solo due punti di margine sulla zona playout. La posta in palio è altissima. Chi dovesse vincere potrebbe compiere un passo determinante per i rispettivi obiettivi. La qualità dei biancorossi è indiscutibilmente superiore e se saranno i pugliesi a dettare il ritmo della gara, gli abruzzesi potrebbero finire in grave difficoltà, data la vastità delle soluzioni offensive a disposizione dei galletti, anche nel corso del match. Il Pescara, però, ha avuto la classica “scossa” da cambio di allenatore: la squadra era un po’ apatica, ma l’arrivo di Pillon l’ha rivitalizzata. Se i biancazzurri giocheranno con la foga dell’ultima gara a Palermo, potrebbe essere il Bari ad accusare problemi: più volte ho visto i pugliesi barcollare di fronte all’intensità avversaria.
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pregi e difetti L’abilità di Grosso è stata far rendere subito una squadra profondamente rinnovata e soprattutto coinvolgere pienamente un gruppo molto ampio. In una fase scandita da tanti impegni ravvicinati, questo lavoro potrebbe produrre frutti concreti poiché la freschezza e la rotazione delle forze sarà determinante. La lacuna biancorossa è stata nella mancanza di continuità. Eppure, è lassù dando l’impressione di poter far esplodere le enormi potenzialità dei suoi interpreti da un momento all’altro. Dal Pescara ci si aspettava molto di più. Facile individuare nella difesa, tra le peggiori della B con 55 reti al passivo, un punto debole. Ma attenzione: gli abruzzesi valgono molto di più della bassa classifica. Se si considerano i singoli, la formazione di Pillon non ha molto da invidiare alle compagini che sono in zona playoff.
uomini chiave Nel Bari scelgo Galano ed Improta. Ho un debole per gli esterni con le loro caratteristiche: non a caso hanno segnato 21 gol in coppia. Improta, poi, abbina fiuto per la rete ad una grande generosità. Galano, poi, ha mezzi tecnici da categoria superiore: magari sta attraversando un periodo di flessione, ma con quel sinistro può sempre essere determinante. Nel Pescara, occhio a Valzania con la sua botta dalla distanza, a Brugman che in B è davvero sprecato e a Pettinari: magari si vede poco, ma in area è letale.
prospettive Nonostante la classifica precaria, non posso credere che il Pescara incontri difficoltà a salvarsi. Il Bari deve giocarsi la promozione fino all’ultima giornata insieme a Frosinone, Palermo e Parma. Se, invece, il torneo si deciderà ai playoff, allora sarebbe fondamentale raggiungere il terzo o il quarto posto per partire almeno dalle semifinali.
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CORAGGIO E ISTINTO
IGOR PROTTI I SEGRETI DELLA ROVESCIATA Antonello Raimondo
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ent’anni fa, ma sembra una vita. Tutto diverso. Gli interpreti, l’atmosfera, i “profumi”. Ve lo immaginate, oggi, un calciatore amatissimo dai tifosi e leader della squadra che arriva a fine contratto, si presenta in ritiro senza averlo rinnovato e poi firma addirittura in bianco dopo una stretta di mano col presidente, anche lui assolutamente d’altri tempi. Igor Protti, sembra una barzelletta... «Bè, fa un certo effetto. Eppure è accaduto davvero. Bari e il Bari per me erano qualcosa di importante. E allora decisi di raggiungere comunque la squadra pur senza una carta firmata. Non si era trovato un accordo, sembrava finita». E poi cosa è successo? «Mi sono allenato dieci giorni. La svolta è arrivata con l’arrivo del presidente. Vincenzo Matarrese era un uomo eccezionale, gli ho sempre voluto bene al di là del rapporto professionale. Ci siamo parlati cinque minuti, poi una stretta di mano, un abbraccio e la firma in bianco. Il resto l’ha fatto lui. Contento della cifra? Era un presidente-padre. Non lo dimenticherò mai». L’alba della stagione più importante della sua brillate carriera. «Direi di sì. In quel campionato di A segnai 24 gol e vinsi la classifica dei cannonieri. Peccato per la retrocessione, il calcio a volte sembra non avere una logica. Quella squadra meritava la salvezza e invece finì malissimo». I successi di quel Bari nascevano fuori dal campo. Eravate amici, sapevate diventare una cosa sola. «Gruppo fantastico. Condividevamo tutto. Anche e soprattutto il senso di appartenenza, il peso della maglia, l’importanza della città. Così nascono i grandi successi». Protti, ha visto la rovesciata di Cristiano Ronaldo? Anche lei ha segnato così. Qual è il segreto? «Sì, nella mia carriera ho realizzato gol in rovesciata diverse volte. Credo sia una dote abbastanza naturale, soprattutto fatta di coordinazione. Bisogna valutare l’intervallo spazio-tempo
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DOPO IL GOL DI CRISTIANO RONALDO PARLA LO SPECIALISTA DELLE RETI IMPOSSIBILI
nella maniera giusta e metterci un pizzico di coraggio. Se ci pensate, è innaturale trovarsi per aria, rovesciata testa in giù. E poi serve l’istinto. Una cosa così non si prepara, si decide sul momento». Protti, c’è poi da sfatare che gli “spogliatoi” vincenti sono quelli in cui non vola una mosca. Come se i calciatori con forte personalità siano un problema più che una risorsa. «La personalità è sì un problema, ma solo per chi non ce l’ha. L’ho pensato da sempre e non ho cambiato idea. Le squadre con tanta “cazzimma” sono quelle che sanno resistere al mare in tempesta superando i momenti di difficoltà». E il “suo” Bari a che punto è? «Lo seguo spesso, sapete che lì ho lasciato un pezzo di cuore. Che dire? Squadra altalenante. Un vizio, però, abbastanza diffuso in B. Tant’è che Grosso, nonostante tutto, è ancora lì a braccetto con le primissime». Intanto affiorano gli inevitabili mugugni. Piazza stupenda, Bari, ma anche terribilmente complicata. «È tutto un pacchetto. Bari merita la serie A ed è normale che quando non si vince la gente borbotti. Quando scegli di venire a giocare lì devi sapere certe cose, sennò fai percorsi diversi. Prendiamo l’Empoli. Ottima squadra, due grandi attaccanti ma anche un contesto tranquillo. Lo stesso gruppo, trasferito a Bari, magari farebbe un po’ di fatica in più». Vede in giro un tandem simile al mitico Protti-Tovalieri? «Caputo e Donnarumma. Simili a me e Sandro, poca fisicità ma molto compatibili e bravissimi nel valorizzarsi a vicenda. E poi credo che tra loro ci sia anche un feeling oltre il calcio, il che non guasta mai, anzi. Io e il “cobra” eravamo un tutt’uno, dalla mattina alla sera». Playoff o serie A diretta? «Un passo alla volta. Con equilibrio. Ma il Bari c’è. Ha le qualità per giocarsi le sue chances. Ve lo dice un vecchio innamorato di quella maglia biancorossa».
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BR l’esperto
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marcel vulpis per volare alto
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chiari e precisi MARCEL VULPIS
Giornalista ed economista con specializzazione in politica e sportsmarketing. Editore e fondatore dell’agenzia stampa Sporteconomy (www.sporteconomy.it). Opinionista su temi di sport-business per RaiNews24, SkySport24, SkyTg24 e BloombergTv
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Francesco Damiani
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Bari come città è certamente una grande piazza, ma a livello societario deve fare ancora dei passi in avanti». Marcel Vulpis, direttore di SportEcnonomy.it, portale dedicato a sport ed economia, non ha dubbi. C’è ancora tanto da lavorare per poter ambire a un posto stabile in serie A e poi poter sognare qualcosa di più ambizioso. «Se paragoniamo Bari e il suo hinterland a realtà che sono stabilmente in serie A come Verona che ha meno di 500mila abitanti, possiamo certamente dire che meriti palcoscenici più ambiziosi. Tra l’altro, il Sud in questo momento non ha molte piazze calcistiche in serie A e a livello di strategia geocalcistica, Bari sarebbe una piazza importante anche per la Lega di serie A». Perché allora il Bari non riesce a tornare nel massimo campionato e a restarci in maniera stabile? «Ormai non si tratta più di resistere in serie A, ma di investire in maniera adeguata. Bari arriva da una gestione quasi quarantennale della famiglia Matarrese, la più longeva del calcio italiano escludendo la Juventus che fa storia a sé. Dopo una presenza così solida e stabile anche in città si sono modificati gli equilibri economici e politici. Ma questo non è solo un problema del Bari. Il calcio negli ultimi anni ha subito un’accelerata pazzesca e così come Juventus, Inter, Milan, Roma ecc. faticano a tenere il passo delle grandi d’Europa che
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«ormai non si tratta più di resistere in serie a ma di investire in maniera adeguata» c’è ancora tanto da lavorare per poter ambire ad un posto stabile nel massimo campionato hanno fatturati molto più importanti, così il Bari fatica a tenere il passo a livello nazionale». Questo problema investe il Sud in generale? «Certamente sì. Il Mezzogiorno non ha una politica industriale, una visione di scenario economica e quindi anche sportiva. Il calcio è uno spaccato della nostra società. Il Napoli in tutto questo è un caso a parte perché c’è De Laurentiis. Il presidente Giancaspro non ci ha ancora fatto capire cosa vuole fare con il Bari e sembra avere una visione day by day della gestione societaria. I recenti problemi con il pagamento degli stipendi sono anche lì a dimostrarlo. Dovrebbe fare una dichiarazione per far capire cosa sta succedendo nella società». Con la promozione in A cosa può cambiare? «Tanto per cominciare arriverebbe una pioggia di soldi dai diritti televisivi e per questo motivo la serie A è l’obiettivo della maggior parte dei presidenti italiani. Parliamo di una cifra fra i 26 e i 30 milioni di euro. Ma non può bastare questo. Servono altri investimenti perché andare per uno o due anni in serie A ti permette di sistemare le casse societarie, ma se cominci a fare su e giù con la B anche per sfruttare il paracadute, alla lunga per le casse societarie si produrrà un danno». Che altro ci vorrebbe per dare stabilità a una società? «Idee chiare e precise che partano dalla
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spina dorsale della società e cioè trovare buoni amministratori, poi buoni direttori sportivi e buoni allenatori. Non si può neanche fare tanto affidamento sulle plusvalenze perché alla base ci deve essere un buon settore giovanile e non mi sembra che in questo momento il Bari possa considerarsi sui livelli di un po’ di anni fa quando faceva concorrenza a Torino e Atalanta». Un altro sogno dei tifosi del Bari è l’Europa e ci sono realtà geograficamente più piccole che ce l’hanno fatta. «Sì, ma non per caso. Tutto deve essere programmato. Teniamo presente, poi, che, per esempio, alle spalle del Sassuolo c’è Squinzi, la famiglia Percassi che guida l’Atalanta è una delle più importanti di Bergamo, stessa cosa per i Pozzo a Udine. Il presidente Giancaspro ha la forza economica per portare il Bari in A e poi ancora più in là? Se sì, bene. Altrimenti deve aprirsi ad altre forze economiche». Non sembra uno scenario incoraggiante per i biancorossi. «Purtroppo Bari vive la generale situazione del Sud che economicamente è in sofferenza. Il turismo, grande risorsa della regione, contribuisce a creare ricchezza ma a livelli non industriali. Servono imprenditori che sanno fare impresa. Non è un caso che il Bari faccia fatica a trovare un main sponsor o che gli accordi spesso durino una stagione o poco più. Anche questo è uno specchio delle difficoltà a livello societario perché evidentemente gli sponsor trovano poco chiaro il progetto societario».
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BR LA PARTITISSIMA
IL DERBY FOGGIA - BARI
I PRECEDENTI
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1981 10 mag
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1928 21 mar
1934 4 nov
1951 23 dic
1952 14 dic
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1969 21 mar
1968 25 feb
1962 2 dic
1954 23 mag
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1982 24 ott
1984 1 apr
1991 3 nov
1995 30 mar
1997 8 giu
1934 4 mar
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BR l’intervista
il
dino
abbrescia per conquistare
la SERIE a mi piacerebbe raccontare la storia di nicola ventola un barese coraggioso che si è fatto strada imponendosi in grandi club
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14 aprile 2018 anno I n. 6
BISOGNA ANDARE
a tremila Michele De Feudis
“
Per conquistare la serie A bisogna andare a tremila…”. Dino Abbrescia, popolare attore barese tra teatro, cinema e televisione, adatta la battuta del famoso siparietto del film “Lacapagira” come incoraggiamento per Brienza e compagni nella corsa verso l’agognato salto di categoria. L’artista vive a Roma e ogni fine settimana segue le gesta sportive biancorosse con altri tifosi dei galletti di stanza nella Capitale. Abbrescia, il primo pensiero legato alla città di Bari? «La mente corre ai miei cari: mio padre, mia madre, la mia famiglia. Poi i ricordi dell’adolescenza: Bari vecchia, il lungomare». Cosa le manca di più vivendo lontano dalle radici? «Il Lungomare, non quello fighetto dei baretti e dei locali. Sono affezionato al paesaggio della costa verso la Fiera del Levante. Lì andavo a fare le passeggiate con il vespino, anche quando il mare era bello arrabbiato. Poi la sera andavo all’Abc e dopo la proiezione del film la tramontana ci segnava il viso». A pochi passi dal piccolo e raffinato cinema d’essai c’è lo stadio Della Vittoria. Il suo rapporto con il calcio? «Seguo solo il Bari. Il sabato e la domenica la prima cosa che ci chiediamo con gli altri baresi nella Capitale è “che ha fatto la Bari?”. E via con “moh”, “la partita? na sofferenz…”». Quanto Bari inteso come passione pallonara c’e nei suoi film? «Ne “Lacapagira” in alcune scene indosso la sciarpa del Bari. Poi sono stato l’allenatore del piccolo fuoriclasse del borgo antico nel cortometraggio-gioiello di Pippo Mezzapesa, “Come a Cassano”. Appena incontro un barese a Roma, è successo poche sere fa a Campo dei Fiori, ci si riconosce e il saluto è d’obbligo: “Statt bun, Forza Bari». Se potesse scegliere un calciatore biancorosso da interpretare in un film sul calcio, chi sceglierebbe?
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seguo le partite in tv con un amico e condividiamo emozioni e imprecazioni
«Mi piacerebbe raccontare la storia di Nicola Ventola, un personaggio affascinante. Un barese coraggioso che si è fatto strada andando a imporsi in grandi club». Giocava a calcio da ragazzo? «Sì, fino a quindici anni». In che ruolo? «Ero un discreto mediano di spinta». I ricordi delle partite allo stadio? «Andavo con un gruppo di amici invasati. In curva Sud. Avevo tanti amici ultras, ma mio padre, poliziotto, preferiva che mi tenessi lontano dai luoghi dove il tifo è turbolento». La partita che porta nel cuore? «Bari-Inter 2-1 con la magia di Antonio Cassano. Una vittoria clamorosa che mi mette ancora i brividi». Il Bari di Fabio Grosso? «Seguo le partite su Sky con un amico che ha la stessa fede, Domenico Chiarelli. Condividiamo emozioni e imprecazioni…». La promozione diretta è ormai una chimera. «La squadra aveva iniziato bene, ora sta un po’ rallentando. Nulla è perduto». Per lo sprint finale? «Bisogna correre, “andare a tremila”, come il mio personaggio del film di Alessandro Piva: è questo il motto giusto per la promozione». La sua carriera invece è sempre travolgente. «Il mio ultimo film “Puoi baciare lo sposo” è stata una esperienza divertente. Guidavo vestito da donna per accompagnare uno sposo al matrimonio, e la mia parte è stata apprezzata anche da “Il Foglio”». Cosa ha in cantiere per i prossimi mesi? «Una straordinaria commedia sociale: su RaiUno sarà protagonista de “La compagnia del cigno” di Ivan Cotroneo, Ma torniamo al calcio biancorosso». Prego. «Quelli che il calcio mi ha contattato, ma per esserci ogni settimana ci vorrebbe il Bari in serie A. Insomma Brienza e Basha, datevi na mossa…».
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BR i tifosi
il
magliette 200 per raccontare
la storia Nicola Lavacca
U
n pezzo della storia del Bari raccontata sul web attraverso le fotografie di oltre 200 magliette biancorosse rigorosamente “match worn”, cioè indossate dai calciatori in partite ufficiali. Simboli e cimeli che hanno un vissuto e un puro significato di appartenenza come traspare dalla pagina creata su Instagram con l’emblematico titolo “Il nostro Bari”. Si comincia dall’inizio degli anni ’90 fino ad oggi, in una sorta di caleidoscopio che raccoglie notizie sui protagonisti, curiosità, ricordi, innumerevoli splendide immagini, statistiche. Una intuizione per certi versi geniale sbocciata nel cuore e nella mente di Andrea Giotta, 22enne studente in medicina (da qualche mese anche giornalista pubblicista) e di Giovanni Sisto, tifosissimi dei “galletti”, con l’obiettivo di mettere insieme la suggestiva carrellata di casacche biancorosse, quei colori che da sempre rappresentano per entrambi una passione unica e forte per la squadra della loro città. «Un paio di anni fa abbiamo pensato bene di dare il giusto risalto al valore storico e affettivo delle maglie del Bari utilizzate dai nostri beniamini durante le gare di campionato che io e soprattutto Giovanni siamo riusciti a collezionare - sottolinea Andrea Giotta -. La pagina del social network Instagram era l’ideale per diffondere e condividere con altri tifosi e fedelissimi il nostro amore sviscerato per il Bari. Ma, oltre a pubblicare le foto abbiamo approfondito la ricerca creando attorno ad ogni calciatore in questione uno spaccato della sua militanza in biancorosso, per poter dare anche una descrizione storica completa. Finora abbiamo postato 630 foto e i follower sono diventati più di 3.000. Una partecipazione in costante crescita che ci inorgoglisce». Naturalmente c’è spazio sia per le casacche con la numerazione tradizionale, sia per quelle
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l’idea di due giovani sbarca sulla rete un successo e adesso anche un blog e una nuova pagina facebook
personalizzate introdotte nella stagione ‘95-’96 quando ogni calciatore ebbe per la prima volta la possibilità di mettere impresso sulle spalle il proprio cognome potendo anche scegliere un numero a piacere dall’1 al 99. Le magliette dei giocatori che appartengono ad un passato meno recente sono dell’argentino Nestor Lorenzo (‘80‘90), del barese purosangue Lorenzo Amoruso (’93-’94), di Francesco Pedone (’93-’94). Tra le altre, spiccano le t-shirt indossate da Gillet, Barreto, Almiron, Donati, Mazinga, Zambrotta. «Le maglie a noi più care – dice Andrea Giotta – sono quella del centenario in flanella, così come lo era nel 1908, quella della promozione in A del 20082009 e ovviamente la successiva nel massimo campionato. Le più prestigiose ricordano i tre momenti celebrativi dei 100, 105 e 110 anni della società». Ce ne sono poi tante altre che rappresentano frammenti importanti e indimenticabili di storia vissuta sul prato verde, prima dello stadio “Della Vittoria” poi del “San Nicola”. Fa un certo effetto vedere, ad esempio, la maglia delle 1.000 partite in A utilizzata sul campo dell’Udinese il 6 marzo del 2011. Un richiamo ideale al possibile e ambito ritorno nella massima serie che tutti si augurano di poter magari centrare già quest’anno. «Sarebbe fantastico benché la prospettiva attuale sembra sia legata ai playoff - dichiara Andrea Giotta -. Anche noi con questa iniziativa contribuiamo ad alimentare la passione calcistica e l’entusiasmo. Siamo stati contenti degli apprezzamenti ricevuti da alcuni ex calciatori come Amoruso, Guerrero e Kutuzov. Per questo abbiamo deciso di aprire un blog e una nuova pagina facebook. Ovviamente sempre con la denominazione “Il nostro Bari”, perché noi siamo convinti che questa squadra così gloriosa sia davvero di tutti».
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BR COME ERAVAMO
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«BARI HAI SEMPRE UN POSTO NEL MIO CUORE»
BARI
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ampione d’Europa con l’Aston Villa nel 1982 e pochi mesi dopo vincitore della Supercoppa Europea sempre con i Villans. Quasi 300 presenze con quella squadra dalla maglia così originale, granata con le maniche celesti e 10 caps nella nazionale inglese. Non era certo uno qualunque Gordon Cowans, il primo straniero scelto dal Bari per il ritorno in serie A nel 1985. Arrivò insieme ad un altro ex Aston Villa, l’attaccante Paul Rideout, per far sognare i tifosi biancorossi che li accolsero come veri e propri eroi. Purtroppo non riuscirono a salvare i galletti che tornarono in B. Per Cowans, tre stagioni in Puglia e poi il ritorno all’Aston Villa dove ha continuato una carriera che lo ha portato di diritto fra le leggende della squadra inglese. «Vè Cowans, inzistisci» era il grido che si alzava dalle tribune del Della Vittoria per incitare il centrocampista inglese. Oggi Cowans, 60 anni fra pochi mesi, vive ancora nella sua Birmingham, ma non lavora più nello staff tecnico dell’Aston Villa dopo qualche stagione da assistente allenatore. Che ricordo le è rimasto del Bari? «È stato un bel periodo della mia vita. Arrivai in un ottimo club e fin dal primo momento sia i tifosi che i compagni di squadra fecero sentire me e Rideout come a casa e questo fu molto importante per noi. Ci ambientammo abbastanza velocemente grazie all’aiuto di tutti». Le è capitato di tornare in città? «Non moltissime volte, ma sono rimasto in contatto con Lorenzo Catalano e quando mi ha invitato al memorial in ricordo di suo padre Biagio non potevo assolutamente rifiutare perché
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ARRIVÒ NEL 1985 CON RIDEOUT PER FAR SOGNARE UNA CITTÀ E FU ACCOLTO COME UN EROE
nei miei anni a Bari l’ho conosciuto veramente bene e volevo assolutamente esserci. È stata un’occasione per rivedere alcuni vecchi compagni come mi era successo altre volte in passato». Segue ancora il Bari? «So che il Bari è in serie B ormai da diverse stagioni e purtroppo non è facile tornare in serie A anche se quello è il posto che merita il Bari e sono sicuro che presto ci tornerà per la gioia dei tifosi. Quest’anno non sono riuscito a vedere nessuna partita del Bari, ma questa squadra ha sempre un posto nel mio cuore anche perché ci gioca Libor Kozac che ho allenato quando giocava nell’Aston Villa e subì i due terribili infortuni». I tifosi la ricordano con affetto anche se forse non hanno visto il miglior Cowans. «In effetti nei tre anni che sono rimasto a Bari non sono riuscito a esprimermi come avrei voluto. Però ho sempre sentito l’affetto della gente. Purtroppo sono riuscito a segnare solo tre reti anche se non ho mai fatto mancare il mio impegno». Il suo battesimo in serie A nel derby contro il Lecce, sfida decisamente infuocata già a quei tempi. Il suo nome rimane indissolubilmente legato un periodo in cui il rapporto fra la città e la squadra era sicuramente più viscerale. Certo per quei tempi avere un giocatore come Cowans a Bari era un vero lusso, ma poteva ancora succedere che un campione d’Europa andasse a giocare in una neopromossa. Oggi sarebbe impensabile, ma forse proprio per questo i tifosi del Bari sono ancora legati a El Cid Cowans.
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BR
il
AMARCORD
GIORGIO DENTUTI
DA CALCIATORE A SACERDOTE LE VOCAZIONI DEL
“SANTARELLO” Gianni Antonucci
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on ha avuto un passato leggendario come capita a tanti calciatori, è rimasto però un personaggio se non altro perché non capita spesso di vedere un atleta cambiare vita (subito dopo aver smesso l’attività agonistica) ed entrare in convento. Giorgio Dentuti, barese autentico, figlio di un artigiano del rione Picone, aveva una grande «vocazione». La domenica, prima della partita (anche in trasferta) non perdeva mai la Santa Messa. E la sera era puntuale con il vespro e con la preghiera. Stessa cosa al mattino. I suoi compagni lo ribattezzarono «il Santarello». Era stato catturato dalla passione per il calcio seguendo le imprese del «reuccio», cioè Faele Costantino. Non pensava che un giorno avrebbe giocato al fianco di questo suo grande idolo. Col Bari ha giocato 41 partite segnando 6 gol, uno memorabile a Torino, sul campo della Juve. Dopo un rigore parato da Cubi, la Juve vinceva per 3-1. Quell’unico gol del Bari era merito di Giorgio Dentuti che, con un bolide da oltre 30 metri, segnava imparabilmente. Un autentico «eurogol», come si sarebbe detto anni dopo. Sempre carico di fede religiosa, sia quando il Bari giocava in casa, sia fuori, mentre i colleghi calciatori, nel pomeriggio del giorno prima della partita, andavano tutti al cinema (una tradizione ormai spentasi) lui, invece, andava in chiesa a pregare, ossequioso agli insegnamenti cattolici. Era nato il 7 dicembre 1914 e da ragazzino era affascinato nel seguire le due squadre di calcio baresi, Ideale e Liberty, che negli anni Venti avevano diviso il tifo in città. A soli 18 anni aveva esordito in serie A nientemeno che a Roma dove affrontava (faccia a faccia) il suo idolo, Costantino, il reuccio. Era il 20 novembre 1932 ed il Bari giocò con Cubi, Antonelli, Perduca, Gay, Valente, Paradiso, Giuliani, Bodini, Marchionneschi, Dentuti, Ferrero. La Roma, invece, con Masetti, Bodini, Pasolini, Ferraris, Bernardini, Dugoni, Costantino, Fasanelli, Wolk, Ranclero, Conti. Vinse la Roma per 1-0 con gol di Fasanelli. Una partita che Dentuti non aveva mai dimenticato. Anni dopo, nel 1938, smetteva con il calcio e realizzava la sua grande passione: indossava il saio entrando nei Benedettini, a Cava dei Tirreni. Gli
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CON LA SQUADRA In piedi, il massaggiatore Paciello, Duè, Grolli, Andrighetto, Capocasale, Mancini, Cason, Grossi; in ginocchio da sinistra, Dentuti, Ferraris IV (campione del mondo), Cubi, Di Gennaro
NEL 1932, A 18 ANNI, ESORDÌ IN SERIE A CONTRO LA ROMA AFFRONTANDO IL SUO IDOLO RAFFAELE COSTANTINO NEL 1938 SMISE I PANNI DEL CALCIATORE ED ENTRÒ IN CONVENTO
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assegnavano il compito di restauratore di libri. Poi si trasferirà a Noci, al Monastero di Santa Maria della Scala, come bibliotecario. All’inizio formerà anche una squadretta del convento, con i frati più giovani. Chiederà di studiare da sacerdote ma gli verrà risposto che era ormai «anziano». Comincerà ad avere dei dubbi sulla sua concreta vocazione pur essendo da anni fra i benedettini. Verso la fine degli anni Settanta veniva intervistato nel Convento di Noci da due giornalisti de “La Gazzetta del Mezzogiorno” che gli offrirono un pallone per vederlo esibire, indossando il saio, in palleggi da far invidia. All’improvviso, l’estate 1973, la nuova decisione: lascerà il monastero di Noci e ritornerà a casa, in famiglia. Il primo richiamo è per il calcio, per il suo Bari: il presidente De Palo sempre sensibile a ricordare le vecchie glorie, gli consegnerà una tessera-premio e Dentuti ritornerà allo stadio, esattamente 35 anni dopo. C’è un episodio della sua vita di calciatore nel Bari che Dentuti ricordava sempre. Un episodio singolare accaduto il 1° aprile 1934 all’inizio delle qualificazioni per la promozione dalla B alla A. Si trattava, peraltro, di un girone finale, a sei, affrontato da Sampierdarenese, Vigevanese, Pro Patria, Perugia, Modena e Bari. Prima partita sul campo della Sampierdarenese. Frossi, calciatore di talento, militare a Bari e tesserato subito in biancorosso, appena arrivato in Liguria non si sentì bene. Occorreva un sostituto e fu subito chiamato per telefono Dentuti. «Ero in servizio di leva – ricorderà Dentuti, all’epoca sempre sostenuto da amici consiglieri quali monsignor Peppino Lanave (poi diventato Vescovo della Diocesi di Andria) e da suo fratello Pierino – e non ero partito con la squadra. L’allenatore telefonò in società chiedendo di far partire me. Fui avvertito in caserma nel tardo pomeriggio. Mi dissero di partire per Sampierdarena. Pensai subito ad un “pesce d’aprile” perché era appunto il primo aprile. Invece, la partenza avvenne davvero. Presi posto in un vagone di seconda classe. Per tutta la notte non dormii. Solo verso l’alba mi addormentai, svegliandomi quando sentii gridare “Sanremo, si scende”. Chiesi quanto tempo ancora ci volesse per raggiungere Sampierdarena ed il controllore, ridendo, mi disse che quella stazione l’avevamo passata da un pezzo. Gli spiegai tutto, comprese il mio problema che era anche un dramma e mi fece salire su di una vecchia vaporiera che andava proprio a Sampierdarena. Viaggiai al fianco del fuochista. Arrivai a Sampierdarena “nero” di carbone. Scesi dalla locomotiva, mi feci indicare l’albergo dov’era il Bari e dopo due ore scesi in campo, al posto di Frossi, all’ala destra, con l’entusiasmo dei miei vent’anni. Facemmo una bella partita e pareggiammo 1-1». A Natale 1990, in preghiera ha lasciato la vita terrena, consegnando all’amico Pierino Lanave, la maglia più cara: quella biancorossa.
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BR focus
il
Vito Prigigallo
A
l’altra citta del pallone
ideale il calcio
del popolo 26
fine maggio compirà sei anni. Di storia ce n’è poca, dunque. Ma il calcio si nutre anche di altro. Sentite. “L’Ideale Bari è nata dalle ceneri di una nefasta epoca, quella del calcio moderno e delle sue degenerazioni: il business, la politica, gli interessi, le scommesse, gli accordi sottobanco, la repressione, i ricchi sempre più ricchi”. Già qui siamo al ‘manifesto’. Ma continuiamo a leggere il fitto biglietto da visita della squadra di calcio sorta nel 2012 e ora al secondo posto nel Girone B del campionato di Seconda Categoria, dominato da un’altra compagine cittadina, la United Sly: “Per noi il calcio è colore, aggregazione, campetti in terra battuta, nessun interesse economico, amicizia e divertimento”. Un pallone che sarebbe piaciuto a Osvaldo Soriano, anche per il riferimento a quel nome – “Ideale” – che, fondendosi con il “Liberty”, all’alba del secolo scorso, diede vita all’AS Bari nel 1928. Un calcio del popolo, è la definizione, la bandiera. Che ha portato, lentamente, senza isterismi, dal torneo Uisp ai campionati della Lega Dilettanti: Terza Categoria vinta al terzo tentativo, nel 2016, Seconda dalla scorsa stagione e, con ogni probabilità, la Prima dal prossimo autunno. Quella della partecipazione è una sorta di idea fissa nella testa di Gianluca De Cesare e dei suoi compagni di ventura. In tempi di populismo su ben altri fronti, che cos’è, avvocato, uno slogan, un mantra o qualcosa di reale? «Diciamo la ve-
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l’idea fissa
rità, un po’ di tutto. Ma è una cosa seria, siatene certi. Nel senso che siamo un gruppo di appassionati che ha una certa idea di calcio. E che lo mette in pratica». Trentadue anni, De Cesare tiene a sottolineare di essere uno dei tanti, solo una esigenza della burocrazia federale lo porta ad essere il presidente. Quel che conta per il giovane legale barese è far parte del gruppo. È respirare, insieme agli altri, lo spogliatoio, gli allenamenti, la domenica vissuta da chi fa calcio. La domenica, appunto. Quando, ancora, torna il popolo dell’Ideale. Il nuovissimo club è nato dopo la retrocessione del Bari. Anzi, è nato dalla delusione, dalla rabbia di quello straordinario esperimento fallito. Sembrava che il Bari di Ventura potesse diventare l’Atalanta, o magari solo l’Empoli. Invece, nulla. Di qui nasce l’esigenza di un altro calcio, di un modo diverso di intendere il gioco più bello del mondo. Interpretato, quest’anno, nel modo migliore, visti i risultati e le presenze sempre più numerose sugli spalti, in casa e in trasferta. LA NUOVA CASA È il “Gioacchino Lovero”, lo stadio di Palese, dov’è stato realizzato il terreno di gioco in erba sintetica. E sul biliardo la truppa a disposizione di Marco Giusto si allena e vince (quasi) sempre. A parte che con la Sly («Loro sono di un’altra dimensione, è come aver vinto un altro campionato, quello diciamo così normale», spiega il tecnico) e lo 0-0 con l’urticante Latiano,
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Quella di un’altra Bari, in senso pedatorio, è un’idea fissa in città. Anche se dai tempi del Liberty (il club nato nel 1909, dal 1944 fondato e rifondato tre volte, l’ultima undici anni fa) in realtà i tentativi si sono fermati al calcio regionale. E quando il salto di qualità venne compiuto, con il San Paolo finalista di Coppa Italia di Eccellenza e per questo ammesso in D, la “resistenza” è durata solo un paio di stagioni: nell’estate 2006, infatti, il titolo sportivo venne ceduto al Leonessa Altamura. Etereo anche se interessante il tentativo di rinascita nel 2007 con il giovanissimo presidente Adriano Favia in cabina di regia. Con il Liberty del Terzo Millennio, presieduto prima da Nicola Canonico e poi da Ninì Flora, si riuscì nell’impresa di riaprire lo stadio Della Vittoria. Gli altri soggetti calcistici brillanti ma caduchi sono stati lo Japigia, che durò poco ma vinse molto con Valeriano Loseto in panchina, e la Quartieri Uniti, tentativo di Michele Fraddosio e compagni di mettere insieme le ceneri del San Paolo. v.p.
l’ideale in tre momenti L’esultanza dopo un gol, un’azione e con i tifosi allo stadio “Gioacchino Lovero” di Palese. Sotto, l’allenatore Marco Giusto
le ha vinte tutte, segnando oltre 50 gol in un torneo tutto sommato breve e con una squadra persasi per strada che testimonia come la periferia del calcio pugliese soffre e molto. COPPA L’Ideale è andata bene anche in Coppa Puglia, dove s’è tolta la soddisfazione di far fuori la Sly prima di sbattere contro la muraglia del Conversano. Anche in quel caso nessun problema di affaticamento o di stress psico-fisico: più giochiamo e meglio stiamo, dice il tecnico che da sempre allena in coppia con Emanuele Filannino. L’adeguamento alla filosofia aziendale è stato immediato per i due. CINEFORUM Non manca il taglio culturale. Che, fanno capire quelli della Ideale, non vuol essere fine a se stesso, o un brand snob. La seconda edizione del Cineforum Pensieri Liberi è stata avviata il 21 marzo e proseguirà fino al 6 giugno, in onda alla Officina degli Esordi: cinque documentari e film sul mondo degli ultras, delle sottoculture e della strada in generale, con profili repressivi e ribellioni che conseguono.
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BR libri
il
calcio e
fantasia Michele De Feudis
R
e, ribelle, rigeneratore di passioni. Eric Cantona è un mito del calcio internazionale anche senza avere armadi pieni di “Coppe con le orecchie”. L’epica del campione francese emerge vorticosa dalla biografia cult “Cantona, il ribelle che volle farsi re” scritta dal giornalista Philippe Auclair, corrispondente dall’Inghilterra per France Football. Il fantasista transalpino, come un eroe omerico, è raccontato per tasselli sportivi e antropologici che compongono un mosaico irripetibile, dove estro e irregolarità sono la costante di un viaggio sportivo ed esistenziale contro tutti i conformismi. La carriera di Cantona? Auxerre, Marsiglia, Bordeaux, Montpellier e Nîmes. Poi lo sbarco nel campionato inglese, nel Leeds fino alla conquista dell’Old Trafford di Manchester, tempio trasformato in teatro di una tragedia che è sublimazione dell’arte pallonata. E dei sentimenti che rotolano con un pallone che gonfia la rete. Spiega Cantona: «Ho bisogno di avere reazioni folli per essere felice – e anche per rendere in campo. Devi avere la forza per essere pazzo. Non sul momento, quando la sincerità è fondamentale, ma dopo, per reclamare
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la propria originalità. Il calcio non accetta le differenze, ed è questo l’aspetto che più mi delude. I giocatori sono troppo banali. Sono macchine costruite per giocare, non hanno il diritto di pensare con la propria testa. […] Voglio vivere nella follia dell’artista creativo». Il fuoriclasse dei Reds è un sostenitore della “liberazione della mente da tutte le convenzioni”, e per questo ha come modelli eretici Albert Spaggiari e Jacques René Mesrine, il primo un fascista francese autore della rapina del secolo in una banca di Marsiglia, e il secondo vero criminale e Robin Hood dei poveri. «Per loro, o almeno è ciò che affermavano, il crimine scrive Auclair - era anche un atto di rivolta, un discorso morale e politico che, per certi versi, li portava al di là dei confini stabiliti tra bene e male. Spaggiari aveva qualche giustificazione per affermarlo. Fu l’autore di una delle rapine più sbalorditive di sempre, il furto di cinquanta milioni di franchi dalla Société Générale di Nizza del 1976, lasciando lo slogan “Sans armes, ni haine, ni violence” (senza armi, né odio, né violenza) su una cassaforte. […] Ciò che univa Mesrine e Spaggiari era il rifiuto dell’autorità, qualunque essa fosse. Éric non si è mai schierato con nessun partito, ma era piuttosto felice di alzarsi in piedi e rispondere quando veniva chiamato in causa a esprimersi contro i politici o le idee che odiava. Il “sistema”. Il razzismo». Per amare Cantona non c’è bisogno di conoscere le sue performance sugli almanacchi. Chi vuole può cercarne le gesta sportive (compreso un colpo di kung-fu che rifilò a un tifoso del Cristal Palace) su YouTube. Ha appeso le scarpette al chiodo nel 1997 e conserva questo desiderio dedicato ad un altro grande del calcio: «George Best nella sua prima seduta d’allenamento in Paradiso, giocando da ala destra ha fatto girare la testa a Dio, per sua sfortuna schierato terzino sinistro. Vorrei tanto mi tenesse un posto nella sua squadra. Best, non Dio».
Siamo mendicanti di bellezza, ovvero di buon calcio. È questo il mantra dello scrittore sudamericano, spiegato così: «Vado per il mondo col cappello in mano, e negli stadi supplico: ‘Una bella giocata, per l’amor di Dio’. E quando il buon calcio si manifesta, rendo grazie per il miracolo e non m’importa un fico secco di quale sia il club o il paese che me lo offre». “La partita di pallone” è una antologia di opere dedicate al gioco più amato al mondo con folgorazioni letterarie che vanno da Vasco Pratolini a Gianni Brera, da Manuel Vázquez Montalbán a Vittorio Sermonti, da Osvaldo Soriano a Mario Soldati, da Stefano Benni a Edmondo Berselli, da Nick Hornby a Davide Enia. Il gioco e gli uomini, la lotta come sopravvivenza e come destino, una sfida senza mani, praticata con i piedi come artigli o appendici magiche: il calcio è la grande allegoria che permette di scavare nell’animo umano tra un gol mondiale di Paolo “Pablito” Rossi e una sfida tra nazionali che vale più dei punti in palio, per un surplus geopolitico. È il caso di Argentina-Inghilterra con la mano de dios di Maradona, che commentò sarcastico la beffa ai calciatori della Regina: «Pensavo ancora alle Malvinas. Ai miei compagni dissi: “Chi ruba a un ladrone ha cento anni di perdono”» La partita di pallone. Storie di calcio di Autori Vari (424 pagine, euro 15, Sellerio)
Cantona, il ribelle che volle diventare re (366 pagine, euro 19,90, editore Milieu)
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BR CALCIO E DINTORNI
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LA CLASSIFICA IL TRAVERSONE Venanzio Traversa
Non si vive di rendita con un gol
No, caro Bari non si può vivere tutto un tempo sulla rendita d’un solo gol. Perché prima o poi un gol al passivo com’è tua cattiva abitudine lo prendi. E nelle azioni di gioco, su calcio d’angolo, dove quest’anno stai mostrando, non è la prima volta, il tuo lato debole. Non solo, con Micai che comincia a dare segnali preoccupanti con quelle sue avventate gite fuori porta dovute forse ai primi caldi primaverili?. No, verso la fine non si può chiedere a Brienza il solito miracolo. Non sempre ci riesce. Non è meglio farlo giocare dall’inizio e chiedergli subito uno,due miracoli? Messo il punteggio al riparo da sorprese lo si può rimandare in panchina per godersi il meritato riposo.
Dopo Pasqua l’Ascensione
Non si può, non si deve sbagliare. Dopo Pasqua arriva l’Ascensione ed il Bari da buona squadra cattolica deve rispettare il calendario cristiano. Quindi ascendere, salire dal quarto posto verso il secondo Possibilmente raggiungerlo enrto i 40 giorni canonici e mantenerlo sino alla fine. Sarebbe l’ideale evitando il fastidioso tran tra dei play off di cui abbiamo solo tristi esperienze. Quindi un’Ascensione non un comodo Ascensore, ma non comodamente in ascensore come vorrebbero alcuni giocatori sfaticati. Invece anche loro dovranno farsela a piedi sudando e buttando veleno. Soprattutto risparmiando ai tifosi che li seguono e ne hanno piene le tasche certi irritanti comportamenti.
Cos’hanno di più Foggia e Ternana?
Nella Ternana a parte il gioco che le ha dato il bravo Di Canio e nel Foggia l’allenatore Stroppa che più bravo di così non può essere cos’hanno di più gli attaccanti della squadra umbra e della squadra dauna? Specie il Foggia che fuori casa segna gol a pioggia? E’ questione di piedi buoni ma anche suppongo di metterci la testa quando si tira a rete. E mi sembra che di questo gli attaccanti del Bari al momento si siano dimenticati. Sono gli ultimi a sognare e segnare gol a grappoli.
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Come dovrebbero arrivare se tirano poco verso la porta avversaria?
Quel nuovo, nostro piatto sta cambiando?
Patate brasiliane, riso nero dell’Angola e Scozie? Così diventerà il piatto principe della cucina barese, quello che molti ci invidiano, se gli attaccanti italiani del Bari non si daranno una mossa e non riprenderanno a segnare?. Infatti nelle ultime partite se non ci fossero stati Nenè, Cissè ed Henderson non so chi dei nostri attaccanti sarebbe riuscito a fare gol. Vogliamo tornare alle buone abitudini del Bari quando mostrava i suoi gioielli, certi prolifici, micidiali trii di attacco?
Stipendi e stipendi se li prendi dopo
Corrono voci, di eventuali penalizzazioni del Bari per ritardati adempimenti del Club biancorosso. Forse anche di ritardati pagamenti degli stipendi ai giocatori. Se fosse così niente di strano. Di questi tempi accade dappertutto anche nelle migliori famiglie calcistiche. Ma non vuol dire se il Club non è puntuale con gli stipendi che non si deve essere puntuali e stupendi in campo. Fare il proprio dovere, giocare mettercela tutta, portare a casa i punti che adesso servono e sono preziosi. Gli stipendi anche se arretrati nessuno li ha mai negati e ciascun giocatore se li troverà dopo, tutti.
Non sono Chenier “Nemico della Patria”
Non vorrei essere ritenuto come nella romanza dell’ ”Andrea Chenier” l’opera di Umberto Giordano che in questi giorni sta avendo grande successo nel Teatro Petruzzelli “Nemico della Patria” biancorossa. Chiedo scusa al Presidente del Bari, non mi convincono le sue rassicurazioni sui conti economici della squadra e sul rischio che per mancati certi adempimenti fiscali e previdenziali il Bari possa correre con la penalizzazione di punti. Ci faccia sapere, ci dia notizie più precise ora che il pubblico dei tifosi baresi è disposto a fare altri sacrifici andando a seguire sempre più numeroso il Bari nelle delicate trasferte che lo attendono.
1
Empoli
67
2
Palermo
58
3
Frosinone
58
4
Parma
56
5
Bari
54
6
Perugia
53
7
Venezia
50
8
Cittadella
50
9
Carpi
48
10
Spezia
46
11
Foggia
46
12
Salern.
42
13
Cremonese 41
14
Brescia
41
15
Avellino
39
16
Novara
39
17
Pescara
38
18
Cesena
37
19
V. Entella
36
20
Ascoli
36
21
Pro Vercelli 31
22
Ternana
30
LE PROSSIME PARTITE martedì 17 aprile ore 20.30 bari-NOVARA Sabato 21 aprile ore 15 FOGGIA-bari Hai commenti, consigli, suggerimenti? Scrivi a: ilbiancorosso@gazzettamezzogiorno.it
14 aprile 2018 anno I n. 6