Il Biancorosso n.7 - periodico de "La Gazzetta del Mezzogiorno"

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O ilBIANC ROSSO

periodico di informazione sportiva de

Supplemento al numero odierno de La Gazzetta del Mezzogiorno Anno I numero 7 / € 0,70 più il prezzo del quotidiano

A UN PASSO DAL TRAGUARDO ALESSANDRO MICAI «SONO UN PORTIERE MODERNO»

EMILIO SOLFRIZZI «IL DERBY? SI POTEVA FARE MEGLIO»



BR L’EDITORIALE

il

di Gaetano Campione

bel gioco o risultato?

scettici e agnostici tutti allo stadio

B

el gioco o risultato? La città del pallone si arrovella, discute, s’interroga, si divide. Il dibattito sul Bari è infinito perché le due cose insieme, al momento, non si possono ottenere. Purtroppo, si passa alla storia più per i traguardi raggiunti che per il divertimento espresso: se sei fuori dai playoff tra gli applausi, non conta nulla. I biancorossi vanno avanti passo dopo passo, alla velocità della lumaca. Un punto alla volta, raccolto con sofferenza. Diciamoci la verità: il Bari dell’ultimo periodo non scalda affatto sul piano dello spettacolo. Non a caso, la piazza resta “freddina”, sebbene il sogno promozione sia ancora lì, alla portata, sia pure dovendo passare (quasi certamente) dalla “coda” della stagione. Per ora, i punticini strappati tra rimonte più o meno affannose (vedi le sfide con Novara e Foggia) e vantaggi dilapidati (contro Salernitana e Pescara) garantiscono il minimo sindacale che ti consente di non scendere dal treno degli spareggi, ormai ad un passo dall’essere blindati. Per dirla alla Max Allegri: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”. Nella lotteria della fase finale del campionato, tutto continua a ruotare attorno all’interrogativo iniziale: bel gioco o risultato? I punti, però, rappresentano la linfa vitale, la benzina del mo-

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tore dell’auto biancorossa. Col numero di pretendenti ai playoff che si perdono per strada, meglio badare alla concretezza. E allora, realismo alla mano, è bene rendersi conto che i sogni di accesso diretto alla A sono ridotti al lumicino: d’ora in poi si deve lottare per migliorare il più possibile la posizione in classifica e partire da una condizione privilegiata ai play off. Le “tre P” (il trittico con Palermo, Parma e Perugia) scioglierà le riserve sulle possibilità di acciuffare il terzo o quarto posto che permetterebbe di partire dalle semifinali. In alternativa, acciuffare il quinto posto consente di disputare al San Nicola il turno preliminare contro la peggiore (l’ottava) del lotto, passando alla fase successiva anche con un pareggio (sebbene passando dai supplementari). Siamo al dunque: serve un ultimo sforzo. Una sinergia tra chi gioca in campo e chi si siede sugli spalti. Sono tasselli di uno stesso disegno, guai a considerarli pezzi di puzzle diversi. Per arrivare diritti al cuore della gente ora serve il risultato. Essere tifoso del Bari, nell’anno di grazia 2018, significa essere uomo di speranza, di trepidante attesa, di grande sopportazione, perché il tiki-taka alla riso, patate e cozze spesso delude le aspettative, si trasforma in una noia mortale. Allora, tutti allo stadio. Scettici e agnostici.

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BR sommario

il

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boerchio

micai solfrizzi il Biancorosso anno I n. 7 Periodico sportivo de La Gazzetta del Mezzogiorno reg. Trib. Bari n. 12372EL1/81

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Direttore responsabile Giuseppe De Tomaso Edisud SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari www.lagazzettadelmezzogiorno.it A cura di Redazione sportiva Coordinamento Gaetano Campione Hanno collaborato Gianni Antonucci Francesco Damiani Michele De Feudis Filippo Luigi Fasano Davide Lattanzi Vito Prigigallo Leonardo Rinaudo Tiziano Tridente Fotografie Corcelli De Giglio Maizzi Luca Turi Donato Fasano A. Scuro Archivio storico de La Gazzetta del Mezzogiorno Archivio Antonucci

spagnolo

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Progetto grafico e realizzazione Clara Specchia Concessionaria di PubblicitĂ Mediterranea SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari Stampa Grafiche Deste via Casamassima, sn Z.I. Capurso (Ba)

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sly

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BRilBRIL GRAN

il

VALZER

a cura di Davide Lattanzi

LA ROTAZIONE DELLE MEZZALI Nel suo ampio tourbillon tattico, raramente ci ha rinunciato. Fabio Grosso ha dato ampia importanza alle mezze ali nel suo Bari. Sia nel 4-3-3 (ovvero il modulo maggiormente utilizzato), sia nel periodo caratterizzato dalla difesa a tre, il tecnico biancorosso ha utilizzato con costanza i due interni di centrocampo. Una scelta che caratterizza il calcio dell’ex campione del mondo del 2006. Nel suo credo, infatti, le mezzali devono rispondere perfettamente al nome stesso che ne caratterizza il nome. Ovvero, grazie ad un movimento costante, hanno il compito di dare equilibrio alla manovra contribuendo alla fase di non possesso e di essere, al contempo, una risorsa al momento della proposta offensiva, sovrapponendosi agli esterni offensivi, oppure tagliando verso l’area di rigore. Cinque i calciatori di ruolo schierati in tale posizione. In più, una variabile… “impazzita”. Ecco, nel dettaglio, la stagione ai raggi x delle mezzali biancorossi.

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PRESENZE IN PARTITA titolare subentrante

ANDRES TELLO PRESENZE

massimiliano busellato

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GOL

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PRESENZE

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GOL

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È stato fortemente voluto da Fabio Grosso che lo aveva allenato nella Primavera della Juventus. Giovanissimo ha vinto un torneo di B a Cagliari, ma lo scorso anno ad Empoli ha giocato poco in A. A 21 anni, era in cerca della piena consacrazione, ma non ha trovato l’opportuna costanza.

Prima avventura in una grande piazza per il 25enne di Bassano del Grappa cresciuto nel Cittadella e transitato da Ternana e Salernitana. Non si può dire, nel complesso, che abbia compiuto il salto di qualità. La generosità non va di pari passo con limiti evidenti che lo relegano a gregario.

PERCHÉ SÌ Nel girone d’andata è stato un pilastro: insostituibile, sempre positivo. Una trottola sempre in movimento, intenso nella corsa, robusto nel contrasto, ispirato nell’assist (è stato tra i leader della categoria nella prima metà del campionato). Insomma, il prototipo dell’interno perfetto. Al punto da chiedersi perché non fosse stabilmente nella categoria superiore.

PERCHÉ SÌ Si esalta nella lotta, i chilometri non lo spaventano, il contrasto coraggioso è il suo mantra. Se, insomma, c’è bisogno di tappare falle, su di lui si può contare ciecamente che si tratti di gare da affrontare con l’elmetto o di semplici scampoli di match in cui occorre serrare i ranghi. In una rosa di B, anche ambiziosa, ha dimostrato di poter essere un’alternativa preziosa.

PERCHÉ NO La risposta al quesito è arrivata nel ritorno, segnato da un’involuzione tanto evidente, quanto inaspettata. Se si può giustificare un appannamento fisico, è più difficile spiegare gli errori tecnici. La ferocia si è tramutata in superficialità, l’ispirazione in sciagurate imprecisioni, spesso avvenute nel frangente decisivo delle azioni. Non a caso, ha perso il posto da titolare.

PERCHÉ NO Non è l’interprete ideale del calcio ragionato di Grosso. Non eccelle nel palleggio, gli errori di misura sono frequenti, gli manca l’inserimento offensivo. Non a caso, non solo è a secco di reti, ma a stento si ricordano sue conclusioni verso la porta. Nei match in cui si deve spingere per vincere, il suo apporto risulta limitato. Logica conseguenza le poche presenze da titolare.

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aniello salzano

liam henderson

presenze

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gol

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simone iocolano

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franco brienza

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Stagione sfortunatissima, sebbene fosse cominciata con premesse differenti. E’ stato lui la prima scelta come mezzala sinistra. Non ha sfruttato la chance, è finito lontano dai radar, sarebbe dovuto partire a gennaio, ma è rimasto rimediando poi il grave infortunio al legamento crociato.

La grande rivelazione biancorossa. Un’intuizione del ds Sean Sogliano che lo ha pescato dal Celtic. Il 22enne scozzese si è guadagnato addirittura i galloni da titolare, integrandosi a tempo di record e conquistando tutti non solo per le doti tecnicotattiche, ma anche per il “sacro” furore.

Altra “sorpresa”. Arrivato quasi come un oggetto misterioso dopo la lunga gavetta spesa in gran parte tra Bassano ed Alessandria, è riuscito a ritagliarsi uno spazio, nemmeno marginale, reinventandosi mezzala pur avendo sempre giocato da fantasista o da esterno offensivo.

Non è mezzala, ma nemmeno esterno o punta. A tutti gli effetti, è da inserire tra i centrocampisti. Grosso lo ha usato quasi sempre come asso da calare nel corso del match, rovesciando il “vertice” della mediana, nella quale lui diventa il perno “alto”, con ampia libertà di movimento mutando il 4-3-3 in 4-2-3-1.

Perché sì All’alba del campionato era piaciuto perché si era calato con profitto nell’idea di Grosso sia per movimenti, sia perché, da interno sinistro, usava il piede forte per partecipare alle trame offensive. L’illusione, però, si è sciolta già dopo le prime giornate: è riapparso in Coppa Italia ed a Sassuolo, in pratica, è finito il suo torneo. Malgrado tutto, mai una parola fuori posto.

Perché sì Sarà pure nato centrocampista, ma si sta affermando come perfetta mezzala. Corsa, resistenza, tempra “british” nel contrasto e puntuale appoggio allo sviluppo dell’azione, come dimostrano i due gol all’attivo. Ha pure un bel tiro dalla distanza. Stupisce per la crescita costante, per la padronanza crescente di gara in gara. Se dovesse continuare così, il futuro è suo.

Perché sì Bravo Grosso a cucirgli un abito funzionale al suo calcio fondendone le doti da trequartista ed ala. Faticando ad incidere negli ultimi metri, rende meglio più arretrato conferendo maggiore tecnica e movimenti più imprevedibili alla mediana. Grazie ad una buona resistenza che non lo penalizza nella corsa, può assicurare giocate in verticale e ricerca degli spazi tra le linee.

Perché sì Malgrado i 39 anni, la classe è di altra levatura. Rende possibile l’impossibile, dipinge calcio con classe cristallina, inventa trame e corridoi, “arma” quel suo sinistro al servizio dei compagni su corner o punizioni defilate ed al contempo punta a rete su calci piazzati invitanti oppure se trova lo spiraglio giusto. È il genio della lampada che trascina, al di là del minutaggio.

Perché no Anche lo scorso anno ha alternato qualche sprazzo di luce a tante prestazioni anonime. Non riesce ad emergere e ad affermarsi in un ruolo preciso: è una mezzala oppure un centrale “di fatica” come nell’anno in cui conquistò la promozione a Crotone? Adesso deve solo pensare ad un pieno recupero per ripartire nel prossimo campionato, probabilmente lontano da Bari.

Perché no Nelle prime apparizioni, denotava qualche limite tecnico probabilmente derivante più da eccessiva foga che da effettive lacune: nel tempo, è migliorato nella precisione delle giocate. Deve controllare, invece, l’irruenza: una peculiarità che lo fa amare dai tifosi, meno dagli arbitri che regolarmente gli mostrano il cartellino giallo (troppe cinque ammonizioni in 14 presenze).

Perché no È leggerino. Brevilineo, ma non bruciante nello scatto, ha faticato ad imporsi da esterno, ruolo per cui fu inizialmente acquistato. Meglio da interno di centrocampo, quindi, ma paga sul contrasto, sul recupero palla, sull’intensità. Con lui, quindi, si guadagna in tecnica, ma si perde in contenimento. Un “lusso” che non ci si può concedere in ogni circostanza.

Perché no La tenuta, ormai, è limitata. In tal senso, Grosso lo ha gestito bene sia sul piano tattico, sia sull’utilizzo. Perché se è vero che da subentrato è stato sovente devastante, va pur detto che quando è stato titolare ha perso gran parte della sua effervescenza risultando più contenibile. Ma anche così è stato prezioso e, se resterà integro, lo sarà ancora in questo finale di stagione.

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BR IL PROTAGONISTA

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ALESSANDRO

MICAI LA DINASTIA DEI NUMERI

UNO Filippo Luigi Fasano

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FOTO DI FAMIGLIA Alessandro Micai in campo. In alto, seduti, da sin., Manuel e Marco Micai, il procuratore Graziano Battistini e Pietro. In piedi, da sinistra, Alessandro Micai e Mattia Nella pagina accanto: i fratelli Micai, Alessandro, Mattia e Manuel

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iocare una partita per viverne cento. Sta fra i pali, Alessandro Micai, e sa che la prestazione di un portiere ne racchiude una, nessuna e centomila. Sa quanto una parata all’ultimo minuto possa mitigare un errore nel primo tempo e come un’uscita sbagliata possa far scordare le prodezze di poco prima. Forse è per questo che affronta ogni azione come se fosse l’ultima, come se ad ogni pallone che varchi le linee, segua un nuovo ideale calcio d’inizio. Forse è per questo che dopo un intervento decisivo, diventa tarantolato come se avesse segnato un gol. Far bene, gioirne e scordarsene un secondo più tardi. Perché ogni palla diretta verso la tua porta può essere un biglietto per il paradiso, o il suo brusco ritorno. L’ha imparato presto, Alessandro, cresciuto con l’esempio di papà Marco e zio Mauro, portieri prima di lui sui campi della Pianura Padana, fra alta Emilia e bassa Lombardia. Calcio e solo calcio, anche per lui che avrebbe potuto fare scelte diverse dal pallone: «Era portato per lo sport – ricorda Marco Micai, 56 anni ancora ruspanti, operaio manutentore per lavoro e allenatore delle giovanili per diletto – Gli riusciva bene tutto. Il salto in alto, in particolare. Alle finali dei Giochi della Gioventù, in terza media, superò l’asticella a 1,75. Sul podio, però, salirono solo secondo e terzo classificato. Lui era già dall’altra parte del campo, ad allenarsi con il Mantova».

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DOPO UN INTERVENTO DECISIVO, DIVENTA TARANTOLATO COME SE AVESSE SEGNATO UN GOL PERCHÉ OGNI PALLA DIRETTA VERSO LA SUA PORTA PUÒ ESSERE UN BIGLIETTO PER IL PARADISO

Più si allarga e più copre ogni zona del campo, la famiglia di Alessandro. Sotto la guida di papà Marco, c’è Mattia, 14enne difensore centrale a Marmirolo, a pochi chilometri da Mantova dove nel 1993 è nato il portiere biancorosso. In avanti, un altro giovanissimo, Pietro, attaccante a Quistello. E poi c’è Manuel, 30 anni, figlio della nuova compagna del padre, ieri in Prima Categoria, oggi fra gli amatori: «Borse da calcio a casa non ne mancano – spiega il signor Micai – C’è grande armonia, fra i ragazzi. Si sentono spesso, anche più volte al giorno». Tutti calciatori, tutti nel Mantovano. Ma per cavalcare le sue ambizioni, Alessandro ha dovuto spostarsi da qui, a più di duecento chilometri: «Non posso che essere soddisfatto di lui – precisa papà Marco – A 17 anni è andato via di casa, a Varese. Quattro gol presi all’esordio, poi Mangia l’ha rivoltato come un calzino. Quando perdeva, piangeva. Le sconfitte non le ha mai accettate. Pensa solo a vincere, senza mezze misure. E se qualcosa non va, mai essere diretti. Meglio girare al largo, prendendolo in giro. Altrimenti mi manda a quel paese». Vinta la concorrenza di Guarna prima e di Ichazo poi, quest’anno Alessandro è di nuovo uno dei titolari indiscussi, complice anche l’inesperienza di Berardi e De Lucia: «A Bari si trova da Dio, gli vogliono bene – ammette suo padre – La sua fortuna? Aver conosciuto i baresi durante il primo anno passato in tribuna (2014-15, ndc).

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Il portiere alberto Fontana

l’allenatore devis mangia

«UN LUSSO PER LA B MA OCCHIO AL NERVOSISMO»

«IN BIANCOROSSO L’HO VOLUTO IO E AVEVO RAGIONE»

«Penso che Micai per la serie B sia un lusso». È fra i più convinti estimatori del numero 12 biancorosso, Alberto Fontana, 133 presenze nel Bari fra 1993 e 1997. E da un ex portiere ad un interprete emergente dello stesso ruolo, i complimenti valgono doppio: «È diventato una certezza, nella categoria. Un giocatore che può fare la differenza». I consigli arrivano tutti sul piano temperamentale: «A 25 anni è ancora giovane. Solo con il passare degli anni si diventa più riflessivi, esternando meno ciò che si prova, nel bene e nel male. Il nervosismo, alla lunga, è sempre controproducente. Le potenzialità per la serie A comunque ci sono. Anche se per poter dare un giudizio, bisogna misurarsi con la categoria».

Varese in Primavera, poi Palermo ed infine Bari. Devis Mangia è senz’altro il tecnico che più ha creduto nelle qualità di Alessandro Micai, richiamandolo con sé al suo arrivo in Puglia, nel 2014: «In biancorosso l’ho voluto io – precisa il 44enne allenatore del Csu Craiova (serie A rumena) – È arrivato a zero, aveva potenzialità e si meritava una opportunità. Che con il tempo si è meritato, guadagnandosi una maglia da titolare. Già a Varese prometteva bene. Un ragazzo a modo, ma molto esuberante. Giocava in Primavera da ‘93, in un torneo in cui le altre squadre mettevano in porta i ‘90 e ‘91. Il futuro? Ha ancora margini di miglioramento, se si pensa che Micai ha solo 25 anni».

È CRESCIUTO CON L’ESEMPIO DI PAPÀ MARCO E ZIO MAURO PORTIERI PRIMA DI LUI

Forse non è un ambiente che aiuta. Ma lui è entrato in campo al momento giusto». Para coi guantoni, il numero 12 del Bari, ma agisce di pancia. Come quando al primo cenno di gazzarra fra compagni ed avversari, si fionda fra loro, in mezzo al campo, pur di non perdersi qualcosa che rimanendo laggiù, in quella porta sempre troppo grande, gli sarebbe precluso. O quando sceglie i tempi di uscita: «Glielo dico sempre: usa la testa – consiglia Micai senior, che continua a seguire il figlio in tutte le trasferte al Nord – “Sono un portiere moderno”, mi risponde. “Non posso permettermi di ragionare: esco e basta, vada come vada”. Fra i pali, però, non lo batte nessuno. Sulla reattività pura, qualcuno di A faticherebbe a stargli dietro. Certo, non è alto due metri. E per questo a volte ci pensa un po’, prima di uscire. Ma un tipo come Perin quanti centimetri ha più di lui? E allora dico che Ale in serie A ci può stare. Magari con la maglia del Bari». Per ora, quella porta chiusa dai legni per tre quarti resta il suo habitat. Per sé e per il suo istinto, che lo rimbalza da un tiro ad un altro in pochi secondi. E che resta l’unica cosa di cui Alessandro si fida davvero. Perché lì davanti, fuori dall’area piccola, è tutto calcolo, fatica, lettura della giocata altrui e misurazione degli spazi propri. Ma è lì davanti che Micai può crescere ancora e diventare grande. Finalmente con un numero 1 sulla schiena.

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BR LA CURIOSITÀ

il

MAURO BOERCHIO

ALLE MALDIVE PER GIOCARE Francesco Damiani

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alciatori-Maldive. Un binomio che viene subito alla mente, quasi naturale. Perché è proprio lì che gli strapagati giocatori vanno a trascorreparecchi anni partecipa alla Champions League re le vacanze, specialmente in inverno quando asiatica. Fare un paragone calcistico non è facile i campionati sono fermi. Ma c’è anche chi alle anche perché c’è molta differenza fra le prime Maldive ci è andato per giocare. È il caso di Mauro squadre della classifica e le altre». Boerchio, classe 1989, portiere. In Italia non ha Dopo le esperienze nelle giovanili del Bari non avuto troppa fortuna. È passato anche da Bari ma è mai riuscito a esordire in prima squadra. Che senza mai esordire in prima squadra, fermandosi ricordi ha del periodo in biancorosso? a qualche presenza nella Primavera, eppure era «Arrivai a Bari per essere il secondo del grande nella rosa di prima squadra che vinse la serie B Gillet, ma purtroppo un infortunio alla mano mi con Conte nel 2009. tenne fuori causa per cinque mesi e la prospettiva Mauro come è arrivato alle Maldive? è un po’ cambiata. In quei mesi giocavo con la «Ho fatto un giro un po’ lungo. Dopo le espePrimavera di mister Maiellaro. A Bari ho lasciato rienze in Italia sono stato all’Amicale, squadra il cuore e non soltanto per modo di dire. In città di Vanuatu con cui ho vinto il campionato, poi a ho ancora tantissimi amici che sento tutt’ora e Malta al Gzira United. Successivamente, ho giola tifoseria è una delle più belle d’Europa. Ricordo cato in Mongolia, nell’Ulaanbaatar City vincendo ancora la coreografia per la partita con l’Empoli, la coppa nazionale e arrivando secondo in da brividi. Comunque in quell’anno ho imparacampionato. La società mi propose to tanto sia dai compagni che da mister Conte il rinnovo, ma presi un po’ e la vittoria del campionato resta un’emozione di tempo per riflettere e incredibile». ricevetti un’offerta anQuella con Conte è rimasta l’ultima che dall’altra squadra grande impresa del Bari. Segue ancora i cittadina. Intanto, il mio biancorossi? procuratore spagnolo Angel «Certo, mi informo sempre dei Ruiz mi prospettò la possirisultati della squadra anche se in bilità di venire a giocare alle maniera un po’ più distaccata. Maldive nel Maziya Sport che è Ho visto la grande vittoria ad una della squadre principali in sud Avellino con il gol di Cissè al TO S Asia». 92’ e seguito anche l’attesa E OS Alla base di queste esperienze per il grande derby con il R P c’è anche la voglia di scoprire Foggia della settimana 0 posti nuovi e particolari? scorsa». 1 20 I «Certamente. Adesso sono attiraDopo aver giocato in R BA to da campionato indonesiano perché Mongolia e alle Maldive 1 -201 lì gli stadi sono sempre pieni». non le manca un po’ il 2010 SQUADRE Pensando alle Maldive ci si immagina una calcio italiano o magari 2012-2013 VERBANO DI CLUB specie di paradiso terrestre fatto di mare e proprio l’Italia? 201 spiagge. Realtà o immaginazione? «Il calcio italiano 3 -20 20 14 «Io vivo nella capitale, Malè, che è una rimane sempre uno dei 15 SAV -2 città molto caotica come tutte quelle principali al mondo, ONA 01 6 asiatiche con motorini ovunque e quindi sarei un bugiardo a code infinite nel traffico anche se dire che non mi manca, ma AM IC l’isola è piccolina. Ma basta spostarsi adesso penso a godermi queAL in barca e in un quarto d’ora si raggiunge sta fantastica esperienza e se E davvero il paradiso terrestre con isole da capiterà l’occasione di tornare favola dove il relax la fa da padrone». in Italia la valuterò con attenE il livello del campionato? zione. Inutile dire, comunque, «Ho trovato una società davvero che vivendo all’estero quello che mi ben organizzata anche perché da manca di più dell’Italia è il cibo».

LEC CO

BARI

2007-2008 2008 -2009 20 09 -20 10

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«LA COSA CHE MI MANCA DI PIÙ DELL’ITALIA È IL CIBO»

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BR il fenomeno

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ULTRAS quando in curva nord si faceva

LA IOSA

NATI NEL 1976 SI SONO SCIOLTI NEL 2012 A FONDARLI FRANCO MARVULLI, DETTO FLORIO. TRA SALUTI ROMANI E PUGNI CHIUSI LA POLITICA NON è MAI STATA UN ELEMENTO DI DIVISIONE

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Gaetano Campione

«

Più volte al mese, la curva di uno stadio si trasforma da luogo fisico a luogo sociale. Succede così anche a Bari, da più di quarant’anni. Nella nostra città non c’è un luogo di attrazione più amato e longevo della curva Nord, nella doppia versione: allo stadio Della Vittoria, fino a maggio del 1990, poi al San Nicola». Pierluigi Spagnolo, 40 anni, giornalista della Gazzetta dello Sport, tifoso del Bari e autore del fortunato libro “I ribelli degli stadi. Una storia del movimento ultras italiano”, prende in prestito le parole del sociologo Valerio Marchi per spiegare cos’è la curva di uno stadio. Di Bari, in particolare. «Non credo di esagerare quando dico che la curva Nord potrebbe essere raccontata nei libri di storia della città. Perché è il luogo di aggregazione trasversale più longevo. Qualche esempio? Negli anni Settanta e Ottanta i giovani si incontravano in centro, davanti alla Libreria Laterza, da Mincuzzi o al Bar Esperia. Di certo non c’era la movida e non si andava in massa nelle piazze di Bari Vecchia o di Poggiofranco. I baresi andavano a ballare al Cellar e al Renoir, poi allo Snoopy, al Camelot e allo Stravinsky. Adesso, i luoghi di ritrovo sono tutti cambiati, i cinema della nostra infanzia hanno chiuso, come le discoteche, come le sedi dei partiti. I luoghi di aggregazione in città sono tutti differenti, la movida ora è al Chiringuito, nei giardini del Kursaal, in riva al mare. Tutto cambia. C’è solo un luogo che accomuna due generazioni di baresi: la curva dello stadio, là dove si vive la partita e si sostiene il Bari. Saremmo in grado di dire con precisione quanti baresi hanno frequentato la Nord, dagli anni 70 ad oggi? Decine di migliaia, sicuramente…».

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BR IL FENOMENO

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Chi è Pierluigi Spagnolo, barese, 40 anni, giornalista della Gazzetta dello Sport. Vive e lavora a Milano. Nel 2017 ha pubblicato “I ribelli degli stadi. Una storia del movimento ultras italiano”, per la casa editrice Odoya di Bologna (pagine 285, prezzo: 16 euro, in versione ebook 9,99 euro). Ha anche scritto il romanzo noir “L’estate più piovosa di Milano” (Meridiano Zero, Bologna, 2015) e il saggio “Nel nome di Bobby Sands. Il combattente per la libertà, una storia irlandese” (L’Arco e la Corte, Bari, 2016). Ha messo piede per la prima volta allo stadio Della Vittoria in un Bari-Triestina di metà anni Ottanta. Da quel giorno non ha più smesso di tifare per la squadra della sua città.

Quando nascono gli ultras a Bari e come sono cambiati in questi anni? «Nascono nella seconda metà degli anni Settanta. L’anno preciso è il 1976, come viene ricordato ovunque. In origine i tifosi più appassionati si sistemarono in Tribuna Maratona, nei Distinti, presto traslocarono in curva Nord. Gli Ultras, quelli con la bandiera inglese al centro della striscione, e poi con il teschio alato come simbolo, vennero fondati da Franco Marvulli, famoso con il soprannome di Florio, dal calciatore idolo dei tifosi biancorossi di quegli anni. Per Bari quella degli Ultras fu una novità importante. Altrove, nelle grandi città del Nord, a Milano, a Genova e a Torino, il movimento ultras era esploso a partire dal 1968, nel contesto turbolento delle contestazioni giovanili. Quel nuovo modo di tifare, attivo, partecipe, fatto di cori, slogan, bandiere e striscioni, ritmato dai tamburi, scandito dalle trombe, fece storcere il naso a qualcuno che non amava “la iosa”, come si dice a Bari. Poi lo spettatore più mansueto si abituò a quella liturgia, a quel muro di ragazzi pronti a far roteare le sciarpe, ad accendere fumogeni viola e arancioni».

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L’AMORE PER IL BARI HA SEMPRE FATTO CONVIVERE TUTTI INSIEME LA PRIMA SEDE IN VIA ALTAMURA NEL QUARTIERE LIBERTÀ

C’era la politica, tra gli ultras dei primi tempi? «C’era, ma non è mai stato un elemento di divisione. Ripenso ad una foto rimasta famosa, che risale ai primi anni Ottanta. Si vedono alcuni ultras del Bari che salutano fuori dallo stadio, nel clima di quegli anni: saluti romani, pugni chiusi, le tre dita a raffigurare la P38. Anni difficili, anni di piombo, ma l’amore per il Bari ha sempre fatto convivere tutti insieme». Quanti gruppi ha conosciuto la storia del tifo biancorosso, oltre agli Ultras della curva Nord? «Tanti, ricordarli tutti sarebbe difficile. Gli Ultras, nati nel 1976, con la prima sede di via Altamura, nel quartiere Libertà, sono rimasti alla guida della Nord fino all’estate del 2012, sopravvivendo in un mondo del tifo che stava già cambiando. Oggi ci sono i Seguaci della Nord, affiancati da Bulldog e Re David, ma non mancano altre realtà. In passato, al Della Vittoria, non si possono non ricordare gli Alcool, gli Incorreggibili, i Viking, i Boys, gli Stonati, tra gli altri. Gruppi diversi, perché diversa è la società che una curva rappresenta nel corso dei decenni. Ma il filo conduttore, dal ’76 ad oggi, resta l’infinita passione dei baresi per i colori biancorossi».

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BR L’INTERVISTA

il

EMILIO SOLFRIZZI

LA BARI MI FA IMPAZZIRE «VIVO UN VERO RAPPORTO D’AMORE, CHE HO TRASMESSO AI MIEI FIGLI. SONO TIFOSO MA SONO DISTANTE DELLE ESASPERAZIONI CALCISTICHE»

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Michele De Feudis

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Sono nato cu’ pallon sotto o vrazz. Non amo andare allo stadio ma impazzisco per la Bari». È questo l’approccio che Emilio Solfrizzi, popolare attore di cinema e tv, ha nei confronti del calcio. Una passione misurata nei toni, ma intensa quanto a sentimenti. Prima di scegliere la carriera nello spettacolo, indossava le scarpette con i ttacchetti? «Ero una dei bambini che portava il pallone e lo riportava a casa quando tutto andava male… Amavo il Super Santos». Dove giocava di solito? «Da ragazzino il campo era la periferia, ovvero gli spazi dove ora c’è via della Costituente: lì c’era un campo da calcio perfetto per noi di Carrassi. Le porte si realizzavano con cappotti. Il fischio d’inizio era dopo la scuola, la fine veniva urlata dal balcone: mia madre intonava un perentorio “Emilioooooo”». Aveva un ruolo preferito? «Non ero tra i forti, anzi potrei definirmi “un cesso”, ma ero un mancino. Volevo fare

l’ala sinistra, sognavo di assomigliare a Gigi Riva, ma in realtà ero una schiappa». Con il Bari? «Innanzitutto chiamiamola come va chiamata, “La Bari”. Vivo un vero rapporto d’amore, che ho trasmesso ai miei figli. Sono tifoso ma sono distante delle esasperazioni calcistiche. Da quando vivo lontano da Bari, sono ancora più appassionato, tenendomi ben lontano dalle esagerazioni». La prima partita allo stadio? «Un indimenticabile derby Bari-Lecce al Della Vittoria negli anni Settanta. Lo stadio mi sembrava meraviglioso, anche se non ho mai condiviso l’animosità delle stracittadine». C’è un calciatore biancorosso che considera un mito? «Ho una devozione per tanti giocatori: Pietro Maiellaro e Giovanni Loseto sono icone della mia generazione, come Nicola Ventola. Poi c’è Cassano». Fantantonio? «Cercava un riscatto dopo un percorso non fortunato. Era un campione consapevole di esserlo, un guascone che si godeva la vita. Difficile

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«HO PRESO IN GIRO CON AFFETTO I MATARRESE HANNO FATTO TANTO PER DARE ORGOGLIO E IDENTITÀ CALCISTICA ALLA CITTÀ»

«FORSE POTEVANO FARE QUALCOSA IN PIÙ PER LA SQUADRA MAGARI VENDENDO QUALCHE CAMPIONE IN MENO»

da irregimentare. Avrebbe potuto diventare un simbolo dell’Italia intera, ma la storia non si fa con i se e i ma. Si è divertito così». In che senso? «L’ha presa alla leggera… Se l’è goduta: ha giocato nelle migliori squadre del mondo… Tutti si aspettavano che fosse sempre all’altezza, ma non tutti possono sopportare certe pressioni. Lo ringrazio delle risate e del buon umore che mi ha trasmesso nella sua carriera». Da attore vive a Roma, il Bari lo segue… «Con i social. Ma sono aggiornatissimo. So tutto del derby col Foggia, il Bari poteva fare meglio. Manca qualcosa». Ha girato anche un film sul calcio. «Non c’è un grande rapporto tra calcio e cinema: quando si vuole riprodurre sul grande schermo l’intensità del pallone, non viene mai bene. Sono stato attore ne “Il piede di Dio”, pellicola che ho molto amato perché ribalta gli stereotipi: di un difetto fisico è possibile farne un punto di forza. Mi piace pensare come sia una parabola

della vita: lo stesso Garrincha con una gamba più corta ha fatto impazzire migliaia di avversari con un dribbling imprevedibile in virtù di quel difetto. Invece di lamentarsi, bisogna sempre lottare». Ai tempi di Toti e Tata ha riservato spazzi indimenticabili di satira alla famiglia Matarrese, proprietaria del club. «Li ho presi in giro con affetto. Hanno fatto tanto per dare orgoglio e identità calcistica alla città. Forse potevano fare qualcosa in più per la squadra, magari vendendo qualche campione in meno. Si accontentavano troppo». Fabio Grosso le piace? «Per il suo rigore a Berlino ho lanciato l’urlo più forte della mia vita. Non so però valutarlo come allenatore, ma ricordo che quando Max Allegri era al Milan era considerato uno normale. Poi ha vinto sei scudetti. Non mi piacciono i professori nel calcio, mi piace lasciarmi sorprendere: Grosso farà bene, ciuccio non è…». Se il Bari va in serie A? «Mica posso fare lo strip come Sabrina Ferilli per la Roma… Piedi per terra. Siamo settimi. Ma qualche altra posizione la possiamo recuperare».

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BR C’ERA UNA VOLTA

il

LELE MESSINA

E LO SGARBO DELLA VECCHIA

SIGNORA

Filippo Luigi Fasano

A

OGGI Lele Messina con la famiglia Sopra: con il vicepresidente dell’Atalanta, Bruno Ruggeri e Massimo Carrera

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rriva addirittura dal limite dell’area di rigore, quella incornata alla Fiorentina, al ritorno dei quarti di Coppa Italia. Sprezzante delle leggi della fisica, tesa e potente come una conclusione di collo destro. Come quella, ad esempio, scoccata in casa della Juve agli ottavi, prima del pareggio di Scirea e del nuovo allungo di Lopez, al 90’. Mai era successo e mai più sarebbe ricapitato, di violare il campo della Vecchia Signora. Come mai era avvenuto che una squadra di C si spingesse sino alle semifinali. E senza trascurare di ottenere un pronto ritorno in serie B. Accade tutto nella stagione ‘83/’84, e quella testa e quel piede sono di Lele Messina, baffuto numero 9 nativo di Crotone. Gioca un solo anno in biancorosso (12 reti in campionato, 6 in coppa), ma tanto basta a farlo entrare nella storia del Bari e a Bari per entrare nella sua, di storia. Del centravanti che fu e del direttore sportivo che è: in coppia con Roberto Zanzi, ha lavorato all’Atalanta e al Bologna. In attesa di una nuova chiamata. Magari quella del cuore: «Il mio Bari – ricorda con piacere – è stato uno dei più forti. Capace di ripetersi l’anno seguente e di centrare la promozione in A. Un gruppo davvero molto unito, con tanti baresi doc. Quelli che mancano alla squadra di oggi». Quella di Torino è stata una vittoria storica. «Tutti ci davano per sconfitti: era la Juve di Boniek e Platini, quell’anno vinse scudetto e Coppa delle Coppe. Dividevo la camera con Totò Lopez: “Vuoi scommettere che vinciamo?”, gli dico la notte prima della partita. Mi prese per matto. Ma dopo la partita, una bottiglia di champagne la stappammo davvero». Il turno successivo, altra vittima illustre, la Fiorentina. Con un gol che fa ancora parlare. «Uno dei più belli che abbia mai segnato. Dopo un cross sbilenco di Sola, ci misi la testa. La palla andava già forte, pensai solo a mirare all’incrocio. In porta c’era Giovanni Galli, in campo campioni del mondo come Oriali e Bertoni. Passarella? Non disse nulla. All’andata, dopo un fallo su Lopez, gli piombammo addosso in tre. Guai a chi toccava i miei cavalli di battaglia. E lo

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IL BARI COL BAFFO

GIOCA UN SOLO ANNO, 12 RETI IN CAMPIONATO E 6 IN COPPA, MA TANTO BASTA A FARLO ENTRARE NELLA STORIA stesso facevano loro con me». Una cavalcata entusiasmante, interrotta contro il Verona. «Non meritavamo di uscire, furono solo più furbi di noi. Non a caso, quella squadra due anni dopo avrebbe vinto lo scudetto. Il nostro fu comunque un anno stupendo. A Bari sarei rimasto a vivere, se non mi fossi stabilito a Bergamo». E perché finì al Palermo? «Arrivò Bivi dal Catanzaro ed io ero l’unico, in attacco, ad avere mercato. Avrebbero incassato il triplo di quanto avevano speso per portarmi in Puglia. Ma io non volevo andar via, e Bolchi non mi voleva mollare. Scendo in Sicilia per educazione, ma sparo alto, affinché mi rispondano di no. Finisce che mi danno esattamente quanto avevo chiesto, tre volte l’ingaggio che percepivo». Il legame con i vecchi compagni non si è mai spezzato, però. «Con Giovanni (Loseto, nda) ci scambiamo gli

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In piedi da sinstra: Loseto G. , Cuccovillo, De Trizio, Cavasin, Conti, Messina; in ginocchio: Acerbis, Soda, Guastella, Lopez, Galluzzo

auguri, mentre con Totò (Lopez, nda) ci sentiamo spesso. Di che parliamo? Sempre e solo del Bari. Ho anche provato a tornare da dirigente, senza riuscirci». Quando è stato più vicino? «Ai tempi dell’Atalanta, prima che i Matarrese si disimpegnassero. Ma non c’erano le condizioni per fare le cose per bene. Ed io, da buon calabrese, sono testardo. Sarei rientrato solo per costruire una squadra che vincesse in B e si consolidasse in A. Non certo per fare brutte figure, sopratutto in una piazza che amo». Che idea si è fatto del Bari attuale? «C’è un bel mix fra giovani e calciatori esperti. Però ci sono troppi alti e bassi. E dall’esterno non riesco a capire perchè. Il presidente Giancaspro? Non lo conosco, ma ho letto che tifava per la squadra in cui giocavo anch’io. E per questo mi sarebbe piaciuto dargli una mano. Il Bari in B proprio non lo sopporto».

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BR IL PERSONAGGIO

il

CALCIO

VITOR BARRETO UN

ALLA

SFORTUNA IL MESSAGGIO DI DE VEZZE “VIENI A GIOCARE ALLA SLY” MA L’ATTACCANTE HA CORTESEMENTE RIFIUTATO NON CERCA UNA CASA A BARI

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Tiziano Tridente

G

ol a grappoli e un affetto nei confronti della città di Bari che il tempo non ha scalfito nemmeno negli angoli meno luminosi della sfortunata stagione di congedo. Vitor Barreto, 33 anni da compiere a luglio, custodisce ancora nel cuore il ricordo della sua avventura in terra barese finita ormai sette anni fa: 76 presenze, 41 reti segnate e tanti amici che il bomber brasiliano non ha dimenticato. Barreto, come va la vita? «Molto bene, tutto sommato. Vivo a Udine con la mia compagna Elisa e il mio cane Paco. Mi manca un po’ il calcio giocato, ma alla fine non posso lamentarmi». Ma è vero che sta pensando di comprare casa a Bari? «No. È una vecchia voce che mi tocca smentire anche questa volta. Lì da voi sono stato benissimo, ma ormai ho messo le radici qui, sto bene e non ho in programma traslochi. Tra l’altro, lo sanno tutti come funziona: in casa comandano le donne. La mia è friulana, lavora in questa zona come architetto e non ha intenzione di spostarsi». Che ricordi ha conservato della sua esperienza in biancorosso? «Meravigliosi. Essere stato lì solo per poco tempo è davvero un gran peccato. Sono stati anni importanti per la mia crescita, sia come uomo che come calciatore. Non uscivo quasi mai, il più delle volte rimanevo in casa per via del mio carattere riservato, ma nonostante questo ho trovato un sacco di amici. Gente comune ed ex compagni di squadra: quelli che sento più spesso sono De Vezze, Kutuzov, Meggiorini». De Vezze è rimasto a Bari e gioca in seconda categoria. È vero che ha provato a portarla alla Sly United? «Mi ha mandato un messaggio su WhatsApp ma ho subito detto di non essere interessato. Ho molto rispetto delle realtà del calcio minore, ma allontanarsi da casa per una seconda categoria non sarebbe stato conveniente da nessun punto di vista. E poi voglio ancora giocare come professionista». C’è qualcosa che bolle in pentola? «Molto fumo e poco arrosto. Ho parlato con diverse squadre, ma senza procuratore non è fa-

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«MI ALLENO PER TORNARE A GIOCARE ANCORA PER QUATTRO O CINQUE ANNI A BUONI LIVELLI VENTURA? NON CI SIAMO LASCIATI BENE»

cile trovare interlocutori autorevoli. Nonostante questo continuo ad allenarmi con impegno: dopo l’esperienza di due anni fa a Venezia non ho mai smesso. In serie D non mi sono trovato bene, il salto verso il basso è stato troppo marcato, quindi la speranza è quella di trovare qualcosa di meglio. Sento di poter giocare a buoni livelli ancora per quattro o cinque anni». Una volta appese definitivamente le scarpette al chiodo cosa farà? «Il mio pensiero principale, in questo momento, è quello di tornare a giocare. Dopodiché posso dire che sto cercando di entrare nel mondo dell’edilizia. Non è facile ma ‘da grande’ mi vedo imprenditore edile». Cosa pensa del Bari di Fabio Grosso? «È una squadra altalenante. Il campionato di serie B è molto difficile e in un contesto del genere la costanza nel fare punti è la più importante delle virtù. Il Bari, invece, ne ha buttati via un sacco. Non una cosa buona per una squadra che ha l’ambizione di andare in serie A». Come ha vissuto la mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali? «Un brutto colpo per un Paese che si nutre di calcio. Nessuno si aspettava una cosa simile». Quante colpe ha l’ex commissario tecnico Ventura? «In campo ci vanno i calciatori, ma in un fallimento di queste proporzioni le responsabilità del tecnico sono tante. L’allenatore è il condottiero della squadra ed evidentemente qualcosa ha sbagliato. Nello specifico, ad esempio, tutti si chiedono come mai, nella gara decisiva, non abbia schierato Insigne: una domanda lecita che ancora non conosce risposta». Voci di corridoio dicono che a Torino lei e Ventura vi siate lasciati male. È la verità? «Non ci siamo lasciati bene. A mio modo di vedere ha grosse difficoltà nel gestire adeguatamente un gruppo, soprattutto quando le cose vanno male. Se poi nello spogliatoio ci sono calciatori con un carattere forte è finita. Basta leggere qualche intervista di Rolando Bianchi. Faceva delle scelte e dava delle spiegazioni, poi parlavi con un compagno di squadra e capivi che ti aveva preso in giro. Non so cosa sia successo in Nazionale ma a Torino è andata così».

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BR IL DOPPIO EX

il

BARI

IL TORNEO COMINCIA ADESSO MAGARI INSEGUIRE LA PROMOZIONE DIRETTA PUÒ ESSERE COMPLICATO, MA I PLAYOFF SONO UNA PARENTESI A SÉ Leandro Rinaudo

D

Chi è Leandro Rinaudo è nato a Palermo il nove maggio 1983. Difensore centrale, cresciuto nel vivaio del club siciliano, comincia il suo percorso con i professionisti dal Varese. Passa poi da Salernitana, e Cesena, torna al Palermo (esordendo in Coppa Uefa), va al Siena e rientra ancora al Palermo. Segue un biennio al Napoli, la parentesi alla Juventus, quindi le esperienze con Novara, Livorno ed Entella. Approda al Bari nel gennaio 2015, totalizzando 11 presenze fino a maggio. Chiude, quindi, la carriera agonistica al Vicenza. Dall’estate 2016 è collaboratore del ds Giorgio Perinetti al Venezia: nell’ottobre 2017, con il passaggio del dirigente romano al Genoa, diventa il nuovo responsabile dell’area tecnica dei lagunari.

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ue esperienze brevi, ma incredibilmente costruttive per il mio percorso professionale. Bari-Entella è una gara speciale per me. Con i biancorossi ho vissuto una specie di telenovela tra innamorati. Nel 2010 fu intavolata una lunga trattativa per acquistarmi dal Napoli: sembrava tutto concluso per il meglio, ma proprio in extremis si fece avanti la Juventus con una proposta irrinunciabile. Mi ritrovai tra i galletti quattro anni e mezzo dopo, a gennaio 2015: Davide Nicola era il tecnico dei pugliesi. Con lui avevo già lavorato a Livorno vincendo un campionato: dirgli di sì fu immediato perché, oltre che essere un tecnico in gamba, è davvero una persona speciale. Purtroppo, non riuscimmo a centrare la qualificazione ai playoff, ma quei sei mesi restano ben impressi nel mio cuore: città fantastica, passione unica, una piazza che davvero merita altri palcoscenici. Avrei voluto chiudere in biancorosso la mia carriera, ma non si trovò l’accordo per farmi rientrare. Curioso il destino: a detenere il mio cartellino era proprio l’Entella. A Chiavari ho disputato solo otto gare nel 2014, ma ho avuto l’opportunità di capire che nel calcio i cosiddetti “miracoli” hanno sempre solide fondamenta. Il club ligure è un orologio svizzero, strutturato in maniera perfetta: il presidente Gozzi crede in un progetto vero ed è circondato da professionisti di altissimo livello. Non a caso, l’Entella è diventata una realtà di questa serie B. Ci sono altri punti di contatto tra me ed il Bari. Giorgio Perinetti, innanzitutto: era il ds del Palermo quando ancora ero nel settore giovanile, per me è quasi un secondo padre. L’ho ritrovato adesso nel Venezia rilevandone le mansioni quando lui si è trasferito al Genoa: spesso con lui abbiamo parlato di Bari cui è legato da un sentimento speciale. E poi, il tecnico ora è Fabio Grosso: abbiamo giocato insieme sia a Palermo, sia nella Juventus. È un professionista eccezionale che riuscirà ad affermarsi anche da allenatore. La sfida di stasera è tutta da seguire: i biancorossi sono favoriti per caratura e cifra tecnica, senza dimenticare che adesso siamo ai match decisivi e daranno tutto pur di accumulare più punti possibili e quantomeno partire da una posizione di privilegio nei playoff. Il nemico dell’Entella può essere l’ansia: la squadra non vale la zona playout perché ha struttura ed una precisa identità conferita da Aglietti. Ma quando la classifica non sorride, la paura di sbagliare può influenzare le prestazioni. Ad ogni modo, sono convinto che i liguri centreranno la permanenza. Il torneo del Bari, invece, per certi versi comincia adesso: magari inseguire la promozione diretta può essere complicato, ma i playoff sono una parentesi a sé. Un contesto in cui possono esaltarsi i tanti calciatori biancorossi abituati a disputare sfide da dentro o fuori. E poi c’è il pubblico: nel frangente più delicato, Bari risponderà ed i 60mila del San Nicola possono rivelarsi un alleato unico. Non posso escludere che con i galletti ci si ritrovi di fronte ai playoff: sarebbe emozionante e, al contempo, crudele. Oggi, però, per il mio Venezia è fondamentale entrare tra le prime otto: sarebbe il coronamento di una stagione straordinaria, cominciata con l’obiettivo di mantenere quella serie B che mancava da tanto tempo.

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BR

il

AMARCORD

ERNO EGRI ERBSTEIN

L’UOMO CHE CREÒ IL GRANDE TORINO Gianni Antonucci

L

o hanno definito “l’uomo che creò il Grande Torino e sfuggi al Nazismo”. Su Egri Erbstein Ernesto è stato prodotto un film dal titolo “L’allenatore errante” a cura di alcuni giovani di Torino. Un doveroso omaggio all’uomo che ai suoi tempi (anni ’30-’40) veniva etichettato “Il genio di tattica calcistica”. Per la storia, Erbstein è stato il primo allenatore del Bari, squadra appena sbarcata nell’allora Divisione Nazionale, poi diventata serie A. Era la primavera del 1928. Alla guida del Bari lo chiamò Franco Gallesi, l’artefice - assieme a Ludwig - della grande ascesa della squadra barese che proprio con l’arrivo di Erbstein indossò la maglia biancorossa (i colori della città) con il distintivo raffigurante il galletto, scelto dopo un referendum. Quando arrivò a Bari, Erbstein aveva 30 anni, era nato nel 1898 a Nagyvarad, paesi oggi appartenente alla Romania all’epoca inserito nell’impero Austro-Ungarico. A causa della madre, ebrea, con l’emanazione delle leggi razziali, Erbstein fu costretto ad inserire la parola Egri nel cognome. Buon calciatore in gioventù, sia in patria, sia a Vicenza in Italia, espatriò negli Stati Uniti dove lavorò come promotore finanziario pur non rinunciando all’attività agonistica. Tornato in Italia decise di insegnare calcio: prima a Cagliari poi a Bari dove la squadra partecipò al suo primo campionato (1928-29) a livello nazionale. Rimase in panchina per l’intera dura-

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NEL 1928 ALLENÒ LA SQUADRA BIANCOROSSA E LANCIÒ FAELE COSTANTINO E ANTONIO LELLA

ta del torneo: 30 partite per 6 vittorie 10 pareggi e 14 sconfitte. Pagò lo “scotto” al noviziato per una Puglia che debuttò nel campionato maggiore assieme ai più forti club del nascente calcio italiano. Furono merito di Erbstein le definitive valorizzazioni di Faele Costantino ( il “reuccio” chiamato poi in Nazionale) e del giovane barese Antonio Lella, entrambi sempre presenti in quel primo impatto col calcio che contava. Erbstein lasciò il Bari, ma tornò ad allenarlo all’inizio della serie A nella stagione 1932-33. Non ebbe molta fortuna e fu subito sostituito da un altro ungherese, Baar. Dopo Bari ecco la Lucchese che portò dalla C alla serie A in sole tre stagioni. Il tecnico diventò un vero precursore dei nuovi metodi di preparazione, un uomo di profonda cultura ed umanità. Fu lui, ad esempio, ad introdurre in Italia la fase di riscaldamento pre-partita per evitare guai muscolari. Un idea geniale considerando che a quei tempi non esistevano le sostituzioni. È anche merito suo la scelta di svolgere alcuni giorni di preparazione in montagna, esperienza antesignana degli ormai noti “ritiri estivi”. Passò al Torino, ma le leggi razziali lo costrinsero a fuggire. Lo aiutò Novo, presidente del Torino, ma in Ungheria i nazisti lo ritrovarono o lo destinarono in un campo di lavoro. Erbstein riuscì a fuggire e ad evitare il destino che toccò a Arpad Weisz,

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UNA VITA DA ROMANZO SI SALVÒ DAL LAGER OGGI HANNO GIRATO UN FILM SUL MITICO ALLENATORE

morto nel campo di sterminio ad Auschwitz. Finito il lungo conflitto bellico lo rivolle il Torino. Qui trasformò in una grande squadra il club di Loik e Mazzola. Lo ha sempre ricordato, nei suoi scritti e nelle sue memorie, il compianto Sauro Tomà (da poco deceduto all’età di 92 anni), difensore del Bari del 1953-54 e 1954-55. Tomà è stato il cantore palpitante e sincero delle imprese dei campionissimi granata tanto da meritare dal comune di Torino il “Sigillo civico”. «Erbstein - raccontava Tomà- mi ha salvato perché evitai la tragedia di Superga. Infatti, il tecnico non mi convocò per l’amichevole di Lisbona perché avevo subito un infortunio al ginocchio. Erbstein mi stette vicino consigliandomi di non partire, dimostrando la sua alta capacità di consulente prima e di direttore tecnico dopo, affianco di Lievesley. Tutto ciò proprio quando il Torino conquistò l’ultimo scudetto prima della sciagura aerea dove morì anche Erbsteini. È stato un grande tecnico nel curare un aspetto importante della psicologia dello spogliatoio. Fu invitato dal giornale il “Littoriale” (poi Corriere dello Sport) per spiegare con termini semplici le diverse variazioni tattiche del calcio succedutesi nel tempo». Erbstein ha lasciato due figlie Susanna e Marta Egri brave nel portare, tra le prime in Italia, il culto della danza classica.

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BR

il

focus vincenti La squadra che ha trionfato in campionato con il presidente Danilo Quarto

sly diventerà il chievo di puglia? la

Vito Prigigallo

I

l Chievo sta al Verona come la Sly potrebbe stare al Bari. Un’equazione “condizionale” esiste nella scienza dei numeri? Forse no. Ma certo sì nella testa di Danilo Quarto, inventore e fondatore della United Sly Fc. Una costola calcistica della florida azienda di security che, con sede a Milano, head-office vista Duomo. La seconda squadra di Bari. Una città che sa andare nel pallone solo per i galletti, nascondendo a stento gli imbarazzi quando si è trattato di adorare un oggetto calcistico che non fosse “la” Bari. Ma lui vuole provarci. Anzi, sta provandoci. Già la scorsa stagione, in Terza Categoria, la prima di un club nato a fine estate 2016, aveva creato la corazzata perfetta: 19 vittorie e un pari. In Seconda, con l’ascesa al livello regionale, l’apparato è cresciuto in qualità, quantità e luci. A volte psichedeliche. Basti ricordare la presentazione

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al pubblico, sul Lungomare del capoluogo. Il pullman sociale a fare da totem e segnaletica. E Pierluigi Pardo a presentare la serata e a rimproverare (simpaticamente) l’allenatore Nicola Quarto per quel pari che a dire semiserio del giornalista di Mediaset aveva rischiato di incrinare i rapporti genitore-figlio. Dopo la sontuosa kermesse e il sontuoso mercato estivo (Piergiuseppe Salvati, per esempio: una sorta di alieno per la Seconda Categoria con il suo spiccato senso del gol; il 34enne Emanuele Amoruso, altro esempio, grande navigatore di questi mari tempestosi) orchestrato da Gigi De Lorenzis e seguito da vicino dal coach e dal boss, la battuta a vuoto in Coppa Puglia (eliminati dalla concorrente Ideale Bari, fiera avversaria anche in campionato), l’arrivo di Daniele De Vezze (il 38enne mediano romano ex Bari e Torino, reduce

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BR focus

il

in panchina Nicola Quarto, allenatore della Sly

La spettacolarizzazione è elemento che caratterizza una squadra ormai attesa sui campi polverosi della profonda provincia, come la Juve può essere attesa a Crotone e Benevento, come il Bari nelle sue gite fuori porta infrasettimanali, per la partitella del giovedì

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dalla squalifica per il caso Salernitana-Bari 3-2) e la marcia trionfale. Anche stavolta senza l’onta della sconfitta. Con il Latiano, alla penultima di un campionato piccolo-piccolo (la Seconda è sull’orlo del collasso: il calendario già zoppo ha patito l’evaporazione di un’altra squadra cittadina, la Calcio Latino, con due pit-stop a domenica), la festa allo stadio San Pio, a Enziteto, estrema periferia nord di Bari; i bambini delle scuole calcio (obiettivo precipuo, strutturare il settore giovanile con quartier generale nell’impianto di via Vaccarella, e il Cobra Sandro Tovalieri team manager e responsabile tecnico dell’Academy prima della separazione); gli ultras più giovani d’Italia zittiti quando mandano al diavolo gli avversari; le hostess carine con il cioccolatino griffato Sly; la politica (un raggiante assessore Pietro Petruzzelli); il recente passato della Bari (Romeo e Gianluca Paparesta, anche qui padre e figlio); il grande rilievo al sociale con il sostegno alla lotta contro i tumori del sangue nei bambini; il palco montato a tempo di record al centro del campo sintetico dopo il fischio finale. La spettacolarizzazione - come la severa disciplina e la rigorosa organizzazione -, è elemento che caratterizza una squadra ormai attesa sui campi polverosi della profonda provincia (da Maruggio a Fragagnano, da Latiano a Pezze di Greco, da Acquaviva a Cellamare) come la Juve può essere attesa a Crotone e Benevento, come il Bari nelle sue gite fuori porta infrasettimanali, per la partitella del giovedì. La Sly potrà mai diventare il Chievo di Puglia? Danilo Quarto, con il suo carico di muscoli e tatuaggi, ha agito in controtendenza rispetto alle ambizioni di alcuni predecessori (il Liberty di Nicola Canonico e Ninì Flora): non ha rilevato uno dei tanti titoli sciorinati ai pericolanti balconi del pallone della Terra di Bari, ma vuole percorrere il cammino del pellegrino, seppure in livrea da bodyguard. Fino alla Serie D. Poi si vedrà.

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BR CALCIO E DINTORNI

il

IL TRAVERSONE Venanzio Traversa

Entella non farti bella

Ogni volta che l’Entella di Chiavari è scesa al Sud per incontrare il Bari il sabato prima si è concesso una vittoria. E spesso andava via dal S.Nicola portando a casa un punto. Ma accadeva quando aveva Caputo mezzo ligure; oggi il Ciccio di Altamura è un mezzo mezzo toscano. Però, dirà qualcuno c’è ancora un altro ex il piccolo De Luca, la Zanzara vendicativa che punge sempre. Quindi non sottovalutiamolo, dobbiamo perciò subito aggredire e battere sia il batterio della Xylella dovunque si presenti sia l’altro batterio De Luca. Il primo della Xylella detto anche l’Odio di Oliva, il secondo l’Odio Pungente di un ex che vorrà fare una bella figura davanti al suo vecchio pubblico.

Il derby? Lo vince il Prefetto

Se non protestano i due Presidenti delle squadre, se i Sindaci delle due città non insistono per fargli revocare il divieto, il derby lo vince lui il Signor Prefetto. Lo vince per pigrizia, lo vince perché “ma chi me lo fa fare di prendermi questa rogna, di organizzare un adeguato servizio d’ordine per accogliere e sistemare nello stadio i tifosi della squadra ospite”? Giusto, il Signor Prefetto ha ragione, lasciatelo dormire. Specie se è un bel sabato d’una bella giornata primaverile.

In trasferta senza di voi tifosi ?

Proviamo baresi, signori della tifoseria biancorossa. A Foggia vi hanno impedito di essere sugli spalti. Poteva essere un male, chi vi dice che non sia stato un bene? I”galletti” sapevano di non avere sul collo “il fiato grosso”delle vostre critiche, anche di certi vostri improperi espressi ad alta voce ed hanno giocato una buona partita, forse la migliore di questi ultimi tempi. Che dite, la prossima trasferta gliela facciamo fare da soli? Dove andranno, a Palermo? Ottimo, vedrete che giocheranno”siculamente” bene.

parsi. Ma voi tifosi foggiani avevate scambiato la partita che filava pacifica, era una cosa seria per la Siria di Assad? Ma ve l’immaginate se lo vengono a sapere il Presidente USA Donald Trump, la Premier inglese May e quel fichetto di Parigi Macron? Non so cosa vi farebbero. Sarebbero sempre razzi amari.

Meglio Di Canio da Matera

Se invece di prendere l’ex Sindaco Di Cagno Abbrescia e farlo Presidente del’Acquedotto Pugliese del quale il buon Simeone non capisce un tubo Miche Emiliano avesse preso Di Canio a Matera e portato non a Terni ma al Bari a quest’ora i biancorossi avrebbero avuto una classifica diversa. Avete visto come Di Canio ha raddrizzato subito le ossa della Ternana? Ed una nostra vecchia conoscenza Pillon quelle del Pescara?

Dopo il “Petruzzelli” Foggia non esagerare

Foggia incontentabile. Dopo il Teatro ”Petruzzelli” che ti ha dato con una settimana di repliche di gran successo l’ “Andrea Chenier” onorando il tuo illustre concittadino Umberto Giordano cos’altro volevi di più dal Bari? Lo so i tre punti di un derby affascinante. Ma anche il Bari li voleva. E’ finita con un bel pari anzi con un bel Bari- e molti sono stati contenti. Tu, cos’altro volevi di più? Ti abbiamo offerto lo spettacolo del Bari che si è esibito degnamente “nell’azzurro spazio del tuo campo”. Se poi ”un bel di maggio” Bari e Foggia andranno insieme ai play off non mancheranno le sorprese.

1

Empoli

76

2

Palermo

63

3

Parma

63

4

Frosinone

62

5

Perugia

57

6

Venezia

57

7

Bari

57

8

Cittadella

55

9

Foggia

51

10

Carpi

49

11

Spezia

47

12

Brescia

46

13

Salernitana 44

14

Cremonese 43

15

Pescara

42

16

Novara

40

17

Avellino

40

18

V. Entella

40

19

Cesena

39

20

Ascoli

39

21

Ternana

37

22

Pro Vercelli 34

Diciamola tutta su Galano

Diciamola tutta su Galano, diciamo che è rientrato nel suo abituale cono d’ombra. L’exploit di inizio Campionato con tutti quei gol messi a segno non erano la regola del suo profilo tecnico, erano l’eccezione. Chiusa questa fase di inatteso splendore convinciamoci che il Bari o una prossima squadra che lo vorrà dovrà Nube rossa, tossica accontentarsi del solito mancino che sullo ”Zaccheria” forse abbiamo promosso con troppa Cos’era quella grossa nube rossa facilità Robben della Capitanata. Con che ha sovrastato sabato lo ”Zacchetutto il rispetto per la Capitanata non ria” all’inizio di ripresa nell’area di meravigliamoci se il prossimo Galarigore del Bari? Certamente una nube no somiglierà molto al Galano che tossica. Molti non respiravano, altri cedemmo al Vicenza. Se poi il Foggia si coprivano la bocca,altri avevano le ci terrà ad averlo dovrà scucire un bel lacrime agli occhi. C’era da preoccupo’ di soldi.

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LA CLASSIFICA

LE PROSSIME PARTITE venerdì 27 aprile ore 21 bari-ENTELLA lunedì 30 aprile ore 20.30 PALERMO-bari Hai commenti, consigli, suggerimenti? Scrivi a: ilbiancorosso@gazzettamezzogiorno.it

27 aprile 2018 anno I n. 7




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