Il Biancorosso n.14 - periodico de "La Gazzetta del Mezzogiorno"

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O BIANC ROSSO

il

Supplemento al numero odierno de La Gazzetta del Mezzogiorno Anno II numero 14 / € 0,70 più il prezzo del quotidiano

periodico di informazione sportiva de

D

LA GIUSTA IREZIONE

L’ANALISI

IL FUTURO DI PIOVANELLO

IL LOGO

COSÌ È NATO IL NUOVO GALLETTO



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L’EDITORIALE

di Gaetano Campione

TANTO NON CAPIRAI

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uando il sindaco Antonio Decaro vide gli operai della Om Carrelli venirgli incontro dalle tende piazzate in corso Vittorio Emanuele, se avesse potuto scappare, lo avrebbe fatto: «Questi sono ancora senza lavoro. E ora, cosa altro gli posso dire per rassicurarli?». La richiesta delle “tute blu” lo stordì come quando ti arriva un pugno allo stomaco: «Signor Sindaco, come la mettiamo con la squadra del Bari calcio? Quale futuro riuscirai a garantirgli?». Quando Franco Neglia, all’epoca segretario del Pd, chiamò a raccolta i consiglieri comunali del suo partito e, per un problema politico con la famiglia Matarrese, chiese la restituzione delle tessere omaggio di abbonamento al Bari calcio, rischiò una crisi senza precedenti. Riuscì ad evitare per un pelo le dimissioni di massa, dopo feroci e interminabili discussioni: «Ma ancora oggi c’è chi non mi saluta per quella richiesta. E sono trascorsi tanti anni». Quando Michele Salomone raggiunse tra mille peripezie lo stadio di Varese, superando tormente di neve, bufere di pioggia e lastre di ghiaccio, tanto che l’aeroporto di Linate fu chiuso, trovò davanti all’impianto un pullman di tifosi baresi. Stupito per come fossero riusciti a raggiungere la città lombarda, si sentì chiamare. La richiesta? Semplice. Intercedere per acquistare 44 biglietti per handicappati (negli anni Ottanta non esisteva la parola disabili) ad un prezzo vantaggioso. E alle rimostranze dell’addetto della biglietteria che non capiva i motivi della richiesta, il buon Michele fu costretto a tradurre dal dialetto di casa nostra, in perfetto italiano: «Se sono arrivati fino qui, con questo tempo, vuol dire che qualcosa in testa non funziona». Tre aneddoti per raccontare la passione estrema di 3 novembre 2018 anno II n. 14

una città per la squadra di calcio. «Tanto non capirai», recita uno dei cori più famosi della tifoseria biancorossa. Perché il Bari si vive anche così. E questo spiega a volte l’altalena di sentimenti che oscilla a seconda del risultato. Un trasporto intenso, violento, viscerale e irrazionale quello per il calcio in salsa biancorossa che può far perdere anche un pizzico di realismo, trasformandosi - nel bene e nel male - in un’ossessione: onestamente, estrarre dal cilindro dei giudizi la parola “crisi” per due pareggi consecutivi è sembrato un po’ esagerato. Per fortuna ci ha pensato la banda di Cornacchini a riconciliarci col bel calcio, i gol e la vittoria. Intensità, qualità e grinta hanno riportato il sorriso in un ambiente che mugugnava. Il campionato di serie D è lungo, non sarà una passeggiata, ma questa squadra è stata costruita per vincerlo a mani basse. Nell’hard disk del tifoso un posto importante è occupato dall’attaccamento alla maglia che si pretende dai calciatori. Non è un capriccio. La maglia racchiude il concetto di un’armatura da indossare per garantire sicurezza e protezione; rappresenta il punto di riferimento delle emozioni e delle passioni e come tale va sempre onorata; è quella cosa che ci distingue dagli altri e costituisce una riserva di energia e di speranza per il futuro. Il tifoso, insomma, si identifica con la propria squadra al punto di vivere la sua storia come la propria storia. Oggi la realtà sono le gioie del tridente biancorosso a supportare i ricordi e le ambizioni di restituire al capoluogo pugliese il ruolo che spetta nel mondo del pallone. Semplice? «Tanto non capirai…».

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SOMMARIO

HAMLILI

il Biancorosso anno II n. 14 Periodico sportivo de La Gazzetta del Mezzogiorno reg. Trib. Bari n. 12372EL1/81 Direttore responsabile Giuseppe De Tomaso

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IL LOGO PAPAGNI

Edisud SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari www.lagazzettadelmezzogiorno.it A cura di Redazione sportiva Coordinamento Gaetano Campione Hanno collaborato Gianni Antonucci Francesco Damiani Michele De Feudis Gianluigi De Vito Filippo Luigi Fasano Davide Lattanzi Vito Prigigallo Antonello Raimondo Il Nostro Bari Fotografie Luca Turi Archivio storico de La Gazzetta del Mezzogiorno Archivio Antonucci Corcelli Sergio Scagliola SSC Bari

IL POSTER

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DI CAGNO MAESTRELLI

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Foto di copertina: Corcelli Foto poster: A. Scuro Progetto grafico e realizzazione Clara Specchia Concessionaria di PubblicitĂ Mediterranea SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari Stampa Dedalo Litostampa srl via L. Jacobini, 5 70123 Modugno (Ba)

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PAPADOPULO

A SPASSO COL BARI

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3 novembre 2018 anno II n. 14



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L’ANALISI TATTICA

PIOVANELLO

MULTITASKING Davide Lattanzi

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volte il mondo può ruotare attorno ad un “under”. Chi l’avrebbe mai detto? Nel campionato di serie D i giovani sovente vengono visti come un obbligo da ottemperare per rispettare il regolamento. Come una sorta di “tassa” da pagare per non incorrere in sanzioni. E allora, ecco che si scatena la caccia a quelli in grado di fare la differenza: i migliori, però, spesso preferiscono prolungare l’esperienza nel settore giovanile di una big piuttosto che patire la gavetta tra i dilettanti. E allora, si ricorre a quelli che, almeno, facciano meno danni e siano in grado di rispettare il compitino, limitando le sbavature. Non mancano, tuttavia, le eccezioni. Enrico Piovanello, ad esempio, sta provando a ritagliarsi un futuro da calciatore “vero”. 18 anni, nato a Padova, proprio nella compagine veneta ha mosso i primi passi percorrendo l’intero cammino nel settore giovanile. Fino a stregare Pierpaolo Bisoli, non uno qualunque, bensì un tecnico navigato e famoso per essere un sergente di ferro. Eppure, il trainer emiliano lo scorso anno non ha avuto dubbi: Piovanello è stato stabilmente aggregato alla prima squadra ed ha collezionato le prime presenze con i biancoscudati che lottavano per conquistare la promozione in B, poi ottenuta. Avrebbe potuto restare a casa sua, il “bimbo” che sogna di emulare Alessandro Del Piero (anche il campione ex juventino partì dal Padova). Invece, ha scelto di giocare con continuità nell’inferno della D ed in una piazza che, dopo mille umiliazioni, pretende il ritorno nel calcio che conta a tempo di record. Ma Piovanello non ha avuto paura. E pian piano si sta riscoprendo un inamovibile nel Bari di stelle che vantano curriculum di prestigio. Pur essendo mancino, usa benissimo pure il destro: corsa, “gamba” e resistenza lo rendono ideale per coprire più di una posizione. Non a caso, Cornacchini sta spesso spostando lui per cambiare l’ordine tattico delle sue pedine. Chiamate alle quali Piovanello sta rispondendo da veterano. Fino a ricevere contro il Locri il premio più bello: l’applauso convinto del San Nicola al momento della sua sostituzione. Ed ecco, nel dettaglio, i suoi “mille volti”.

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A VOLTE IL MONDO PUÒ RUOTARE ATTORNO AD UN “UNDER”

2 novembre 2018 anno II n. 14


L’esordio mezzala nel 4-3-3 L’intero match in panchina contro il Messina, così il battesimo è avvenuto contro la Sancataldese: gli sono bastati 24’ (subentrando a Langella) per trovare, seppur in modo rocambolesco, il primo gol stagionale. Provato dall’inizio in Coppa Italia contro il Bitonto, ha poi debuttato da titolare in campionato al terzo turno, contro la Cittanovese. Pur nascendo esterno d’attacco, ha dovuto reinventarsi mezzala nel 4-3-3, poiché la prima linea era già affollata dai vari Neglia, Floriano e Bollino. Probabilmente non ha ancora il fisico da interno in mediana: prova a compensare con corsa ed inserimento. Nel complesso, non ha demeritato, ma è presto per dire se sarà questo il suo futuro definitivo. 3 novembre 2018 anno II n. 14

A Marsala esterno offensivo Nella complicata trasferta siciliana, Cornacchini ha infoltito il centrocampo puntando, per conservare il vantaggio maturato, sull’esperienza di Hamlili, Bolzoni e Feola. Pertanto, Piovanello è stato spostato nel suo ruolo naturale. Pur non brillando nella circostanza, l’opzione tattica resta valida. Se occorre una mediana più solida e muscolare, il 18enne veneto può essere avanzato nel tridente offensivo garantendo magari un apporto minore sul piano della qualità rispetto a Floriano, Neglia o Bollino, ma senz’altro uno spirito di sacrificio encomiabile nella doppia fase.

Il futuro Contro il Locri La traccia impostata con i calabresi potrebbe tracciare il prossimo futuro. Di Piovanello e dell’intero assetto offensivo del Bari. Il baby da ala nel 4-2-3-1 è parso trasformato: accelerazioni, dribbling, assist, senza tralasciare la quantità. Soprattutto, questa disposizione sembra l’unica in grado di permettere a Brienza di occupare la posizione prediletta (trequartista dietro una punta). Certo, tenere fuori contemporaneamente due tra Neglia, Floriano e Bollino non è semplice. Ma la manovra, illuminata dalla qualità di Brienza, è sembrata completamente trasformata. Ed in tal senso, il contributo di Piovanello è stato tangibile. Toccherà a lui adesso confermarsi su tali standard.

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RETROSCENA

GALLETTO

TUTTI I SEGRETI

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Gaetano Campione

È

una storia di sentimenti forti. A partire dalla passione, struggente. Poi ci sono le emozioni che ti riportano al passato e ti proiettano nel presente. Per finire alla dipendenza. Calcistica, naturalmente. Questi ingredienti, accuratamente miscelati, hanno dato vita all’idea, realizzata in tre giorni. Il tutto è finito su una mail - indirizzo ottenuto da amici di amici - scritta di getto al nuovo patron del Bari calcio, Aurelio De Laurentiis. Lui, da buon conoscitore di Napoli e dintorni, si è subito insospettito e ha chiesto: «Cosa volete per questo logo?». E loro: «Niente. Per noi rappresenta un dono». Che ha fruttato due abbonamenti omaggio in tribuna d’onore, mai utilizzati, perché il cuore biancorosso di Silvio Boezio e Raffaele Garofalo, batterà sempre in tribuna Est: «È dai tempi del Della Vittoria che seguiamo lì le partite». Eccoli, gli ideatori del galletto panciuto diventato il logo della società rinata dalle ceneri del fallimento. Giovani, creativi, determinati, sognatori. Silvio e Raffaele si conoscono da una vita. Vivono ormai in simbiosi. Compagni a scuola, soci nel lavoro. Si completano a vicenda. Senza uno, molto probabilmente, non esisterebbe l’altro. Il primo è più razionale, il secondo più romantico: «Quando siamo ripartiti dalla serie D non mi vergogno a dire che ho pianto». Il “galletto” è l’ultima creatura: «È quella alla quale siamo più affezionati. Eppure di cose ne abbiamo realizzate. La campagna di Puglia Promozione, ad esempio, ha fatto il giro d’Europa. Con Kinder+Sport per tre anni siamo stati in giro per l’Italia. Il galletto è qualcosa di diverso: se non sei tifosi, è difficile spiegarlo». Come è nata l’idea? «Quando c’è una disgrazia, anche sportiva, tutti vogliono onorare lo scomparso. Un’agenzia grafica cosa fa? Propone un logo». Detto, fatto? «Abbiamo preso spunto dal galletto più amato dai tifosi, quello Pouchain, inutilizzabile per questioni di marchi registrati. E lo abbiamo adattato a quello che volevamo, legarlo a degli elementi ben precisi». Cioè? «Siamo partiti da un elemento identificativo della nostra città che non poteva essere la squadra. Abbiamo scelto il mare. Ecco allora la vela. O meglio, uno spinnaker gonfiato dal vento diventato il galletto impettito. C’è anche un altro significato». 3 novembre 2018 anno II n. 14


Quale? «La fiaccola, nel linguaggio sportivo simbolo di vittoria, col fuoco, emblema della passione dei tifosi. La storia poi ci racconta che il tutto va racchiuso in un ovale». Ad un certo punto avete rischiato di mandare tutto all’aria: il logo era uscito sul web. Come mai? «Certo, non siamo stati noi a diffonderlo. Il giorno prima dell’annuncio eravamo uno a Gallipoli, l’altro in Vietnam». Alla fine, tutti contenti? «Quasi tutti. C’è anche chi ha detto che il logo assomigliava al cartoccio delle castagne. Oppure ad un galletto che fa un rutto, come nella migliore tradizione barese. Comunque, vedere il nostro logo sulle maglie del Bari ci ha dato un trasporto emotivo difficile da descrivere». Amici e parenti? «Orgogliosi. Il proprietario dell’appartamento che ospita i nostri uffici, anche lui inguaribile tifoso, ci ha scritto nella lettera: “Avete onorato la casa che vi ospita». E adesso? «Beh, se fosse possibile avere una maglietta ufficiale, magari quella indossata da Floriano, toccheremmo il cielo con un dito». Il Bari di Paparesta? «Ci ha illusi». Quello di Giancaspro? «Ci ha distrutti». De Laurentiis? «L’uomo della speranza». Come finirà il campionato di serie D? «Nell’unico modo possibile: il Bari promosso in serie C». 3 novembre 2018 anno II n. 14

Chi sono Spiegarvi cosa facciamo potrebbe essere molto semplice se vi dicessimo che facciamo pubblicità, ma sicuramente non basterebbe a “illuminarvi” su ciò che avviene qui a Laboratorio Com, il luogo in cui da un semplice incontro con i nostri clienti nascono grandi idee. Abbiamo voluto chiamarlo “laboratorio” perché siamo lontani dalla staticità di alcuni ambienti di lavoro: siamo creativi e non impiegati, abbiamo voluto che nella nostra agenzia ci fosse un continuo fermento di idee, un grande contenitore di menti, apporti, influenze al servizio della comunicazione, un territorio vasto e affascinante in cui non si smette mai di imparare. Innovazione e cambiamento vanno di pari passo con la capacità di comunicare, noi abbiamo fatto nostro questo “teorema” a cui non dimentichiamo di aggiungere la creatività che è componente fondamentale per ogni professionalità presente nel nostro team. Questi sono gli ingredienti che ci permettono di padroneggiare ogni media esistente, veicoli che fanno da vetrina alle nostre campagne pubblicitarie, all’organizzazione e promozione di eventi. Che sia una piattaforma web, una nuova veste grafica per il vostro brand o la migliore soluzione strategica per affrontare i social network Laboratorio Com è l’agenzia scelta da clienti come Kinder&Ferrero, CNR, Timberland, Carpisa e tanti altri.

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IL PERSONAGGIO

HAMLILI CERNIERA TRA DIFESA E ATTACCO È IL PIÙ RUGBISTICO DEI CALCIATORI BIANCOROSSI, UNO A CUI LA D STA COME UN GUANTO, PER QUANTA C S’È FATTO 3 novembre 2018 anno II n. 14

Filippo Luigi Fasano

C

’è bisogno di cerniere robuste in questo Bari grandi firme. Di chi tenga assieme i calciatori di nobiltà vecchia e nuova, i Di Cesare con i Neglia, i Bolzoni con i Floriano, di chi raccordi i 19 anni di Piovanello con i 39 di Brienza. Di gente che occupi fisicamente lo spazio fra le linee di difesa ed attacco, e lo faccia percorrere al pallone il più rapidamente possibile. Che si fiondi sulle seconde palle, quando non ti volano troppo alte sulla testa. Che ne perda una e che ne riconquisti due. C’è bisogno, quaggiù, anche e soprattutto di tipi come Zaccaria Hamlili, il più rugbistico dei calciatori biancorossi. Uno a cui la D sta come un guanto, per quanta C s’è fatto. Aspra, dura, opaca, senza mai la patina di una promozione sul campo, da Entella a Cuneo, da Forlì a Pistoia. Mai più giù di Ancona, questo bresciano di Manerbio nato nel 1991 da genitori marocchini. Ed eccolo qui, ad otto anni dall’unica esperienza fra i dilettanti. Hamlili, benvenuto al Sud. Come si trova?

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LOREM IPSUM

3 novembre 2018 anno II n. 14


Chi è

Pur senza mai trovare (ancora) la vita della rete, Zaccaria Hamlili è uno degli elementi che più si è fatto apprezzare dal pubblico biancorosso, nel primo scorcio di stagione. Moto perpetuo, duttilità e continuità di rendimento sono le caratteristiche che già avevano segnalato il 27enne centrocampista in altre piazze. Gli inizi sono nella Primavera del Brescia, in compagnia, fra gli altri, del talentuoso Omar El Kaddouri, passato da Napoli e Torino prima di approdare al Paok Salonicco, in Grecia, e del difensore centrale Sebastien De Maio, ora in forza al Bologna. Riparte da Chiavari nel 2009, Hamlili, e la maglia dell’Entella diventa la sua seconda pelle: la veste dal 2009 al 2013, dalla D alle

«Bene. Me ne avevano già parlato in termini positivi. E così è stato. La gente è molto calorosa e l’ha dimostrato subito, dal primo giorno in cui siamo arrivati a Bari». La prima cosa bella? «Il pubblico del San Nicola, all’esordio in casa. È stato bellissimo scendere in campo in uno stadio così importante e per una piazza altrettanto importante. Un’emozione che non dimenticherò facilmente». Che rapporto ha con il paese dei suoi genitori? «Ogni tanto torniamo in Marocco per trovare i nonni: non rinnego le mie origini. Una convocazione in Nazionale? Non c’è stata occasione. Ma se ci fosse la possibilità, mi piacerebbe molto». Ha giocato tantissimo in C. È la sua dimensione o ripensa a qualche occasione persa, in carriera? 3 novembre 2018 anno II n. 14

È L’UNICO CHE NON HA TATUAGGI «NON MI PIACCIONO PREFERISCO NON AVERNE»

soglie della B. È titolare anche nelle successive esperienze di Cuneo, in Seconda Divisione (3 reti nel 2013/14), e Forlì, in Prima, concluse entrambe ai playout. Quindi, il passaggio ad Ancona e l’incontro con Giovanni Cornacchini, tecnico dei dorici nella stagione 2015/16. L’ultimo biennio è a Pistoia, sempre in C, dove Zaccaria si conferma fra i migliori centrocampisti della categoria, riuscendo anche a totalizzare 4 gol nella stagione 16/17. Fra i riconoscimenti personali anche un ghiottissimo uovo di cioccolato, messo in palio da uno sponsor locale. Dopo una stagione che vede gli arancioni qualificarsi ai playoff, è tempo di partire di nuovo. Verso il Meridione, verso Bari, per provare l’ennesima scalata.

«Una piazza come Bari non si può rifiutare, soprattutto in serie D. Per questo non ci ho pensato due volte, quando è arrivata la proposta. Il mio obiettivo resta però arrivare il più in alto possibile». Nel Bari hanno già segnato in nove. Lei, però, ancora no. Che tipo di gol fa? «Di solito non segno molto. Quando succede, mi capita di riuscirci con tiri da fuori area. O con qualche inserimento». Niente gol e niente tatuaggi. «La penso ancora così. Non mi piacciono, preferisco non averne». Questo gruppo potrebbe far bene anche in C, in caso di promozione? «Un campionato alla volta, per favore. La D è un torneo duro, lo abbiamo già visto. Ci sono squadre toste che giocano la partita della vita, contro di noi. Alla C, semmai, ci penseremo l’anno prossimo».

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L’ESPERTO

ALDO PAPAGNI «IL BARI DESTINATO A VINCERE» Antonello Raimondo

L

’anno scorso ne ha combinata una delle sue. Ad Andria, non propriamente una piazza semplice. Anzi. Chiamato per traghettare verso la salvezza una squadra intimorita e in piena crisi d’identità. E lui, Aldo Papagni, ha risposto «obbedisco». Un refrain della sua lunga carriera in panchina. Nei momenti difficili, quando c’è aria di burrasca lui è l’uomo giusto. Una sorta di polizza, rischi vicinissimi allo zero. E ne sanno qualcosa anche a Taranto, altra realtà piuttosto complessa sul piano ambientale. Papagni, le tocca ancora aspettare? «Nulla di nuovo sotto il sole. Ci sono momenti diversi e un allenatore deve essere capace di incidere in qualsiasi momento e in ogni situazione. Poi io vado dove credo ci siane le basi per lavorare bene, altrimenti me ne sto a casa. A dir il vero una situazione c’era. Ma per motivi personali ho rifiutato. Magari un giorno ve la racconterò...». Lei è un grande conoscitore di serie D oltre che di C. E quest’anno c’è la novità Bari. «È successo quello che nessuno di noi avrebbe voluto. Bari ha una storia importante, una tradizione notevole. Nulla a che fare con i dilettanti». Sabbie mobili allo stato puro. «Campionati scivolosi. Ma il Bari ha avuto una grande fortuna. Trovare un patron forte e capace. Con De Laurentiis si può nuovamente guardare al futuro con fiducia. Lui sa come si fa calcio. E il Napoli ne è un esempio lampante». Pare aver cominciato con il piede giusto

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A LEZIONE DI CALCIO Papagni ha guidato anche Andria e Taranto A destra, Nicola Turi al debutto in biancorosso

mettendo su una corazzata. «Non avevo dubbi in tal senso nonostante la programmazione tecnica e della struttura societaria sia cominciata in netto ritardo rispetto alle altre. Parliamo di gente preparata, di veri uomini di calcio. D’altronde basta scorrere la rosa del Bari per rendersene conto. E loro, i dirigenti, non ci hanno messo molto a creare un giocattolo così». La vittoria contro il Locri ha scacciato qualche nube apparsa all’indomani di due pareggi consecutivi contro Turris e Marsala. «Sono nel calcio da troppi anni per potermi sorprendere di certe dinamiche. Soprattutto quando si parla di piazze come Bari. I tifosi biancorossi hanno sofferto tantissimo ed è normale che ci sia il timore di ritrovarsi ancora nell’anonimato. Ma il consiglio che do è di stare tranquilli. Ci può stare una giornata storta, ci può stare anche un periodo poco brillante. Ma questa è una squadra destinata a vincere. Sono pronto a scommetterci su. Poi, dando un’occhiata agli altri gironi mi sono accorto che l’Avellino, un’altra nobile decaduta, è quarta pur avendo gli stessi punti del Bari. Insomma non è andata male nel raggruppamento con siciliane e calabresi...». Molti addetti ai lavori sostengono che la D si vince anche e soprattutto azzeccando la scelta degli under. E anche da questo punto di vista il club sembra aver operato nel migliore dei modi. «Appunto. I ragazzi del Bari sono di un 3 novembre 2018 anno II n. 14

LA FORTUNA DELLA CITTÀ SI CHIAMA DE LAURENTIIS, CON UN PATRON FORTE E CAPACE COSÌ SI PUÒ NUOVAMENTE GUARDARE AL FUTURO CON FIDUCIA. LUI SA COME SI FA CALCIO E IL NAPOLI È UN ESEMPIO LAMPANTE

«I TIFOSI BIANCOROSSI HANNO SOFFERTO TANTISSIMO ED È NORMALE CHE CI SIA IL TIMORE DI NON RISALIRE»

altro livello. Qualcuno di loro potrebbe essere titolare a prescindere dall’obbligo di schierare i ‘98, ‘99 e 2000. Penso ad Aloisi, un ragazzo davvero in gamba. E anche a Piovanello, diciottenne dotato di tecnica e buone doti atletiche. Idem Marfella. Poi sono felice dell’esordio di Nicola Turi. Bello quando un figlio della nostra terra riesce a mettersi in evidenza. Speriamo che per lui sia solo l’inizio». Quali sono le reali avversarie del Bari? «Nessuna può insidiarne la leadership. Ma se guardo le rose non posso che dire Turris, Nocerina e Messina. Mi sorprendono le difficoltà della Turris, conosco tre-quattro calciatori che in D sono un lusso. Questo è il bello e il brutto del calcio. Nessuna certezza, decide sempre il campo». Cornacchini è fortunato a poter gestire una rosa così ampia e qualitativa o non è mai facile lavorare con l’obbligo del risultato a tutti i costi? «Ha avuto una bellissima opportunità professionale e lui stesso lo ha ribadito più volte pubblicamente. Poi, parliamoci chiaro, qualsiasi allenatore è chiamato a gestire pressioni e tensioni. Cornacchini sa di dover vincere ma è anche convintissimo di avere tutto per riuscire nell’impresa». E Papagni è pronto a vincere l’ennesima scommessa? «Certo. Ho ancora tanta voglia, sono motivatissimo e pronto a sfruttare la prima occasione. Il calcio era e resta la mia vita. A proposito, forza Bari!».

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presenze

gol

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centrocampista centrale

RUOLO

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FRO SINO NE (B )

gol

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2014-20 15

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I (D) BAR gol

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1

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PALERMO (A)

gol

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NO VA R A (B )

(B) IA EZ SP

6

presenze

O (B) PALERM

(A) NA SIE

SIE NA (B)

RESISTENZA Non è quella dei suoi inizi, si gestisce grazie all’esperienza

VELOCITÀ Non è un velocista: il passo è cadenzato, ma la progressione costante

DESTRO Preciso se deve ordire le trame, potente e tagliato se va alla conclusione

SINISTRO Lo usa con scioltezza pur non essendo mancino: sia nel passaggio breve, sia nel lancio

INTER (A)

2008-2009 200 9-20 10 20 10 -2 01 1

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IL POSTER il


FRANCESCO

BOLZONI Data di nascita: 7 maggio 1989 (29 anni) Luogo di nascita: Lodi Altezza: 183 centimetri Peso forma: 83 kg

PRESTANZA FISICA Uno dei punti forti: alto, “tosto” e potente

COLPO DI TESTA Domina a centrocampo in elevazione e si fa valere sui calci piazzati

VISIONE DI GIOCO Non un regista puro, ma comanda a testa alta ed è disinvolto nel cambio gioco

PERSONALITÀ Ne ha da vendere: è diventato subito uno dei cardini del Bari

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L’INTERVISTA

DI CAGNO E LA CORDATA

TRADITA

«È STATA SOTTOVALUTATA ANCHE ECONOMICAMENTE LA NOSTRA IDEA SPORTIVA L’OPERAZIONE DE LAURENTIIS È POLITICA ED È STATA GESTITA DAL SINDACO DECARO» Michele De Feudis

«

Il mio primo incontro con il calcio vero è mio padre mi portò bambino a vedere una partita dei galletti: Bari-Fiorentina del 9 aprile 1959. Tra i pali per i viola c’era un giovanissimo Enrico Albertosi. Fu una giornata memorabile sulle gradinate della Curva Nord dello stadio della Vittoria». Gianni Di Cagno, avvocato cassazionista, già componente del Consiglio superiore della magistratura, tra i fondatori dello Studio Polis di Bari, già consigliere comunale, dopo esser stato un funambolico portiere nelle sfide tra amici (con una parentesi nella selezione del Csm), è un appassionato di pallone, nonché un super tifoso del Bari. Avvocato, le sue gesta con i guantoni nelle sfide undici e undici nel mondo forense sono arcinote. Quando ha iniziato a giocare a calcio? «Da piccolo praticavo scherma. A diciassette anni mi sono innamorato del pallone. All’inizio giocavo da centravanti. E mi paragonavano a Mario Maraschi, allora bomber brevilineo della Samp. Giocavamo in un campo in terra vicino al Canalone. Poi diventai portiere, pur non avendo un fisico possente. L’altra domenica ho visto il numero uno della Turris, Casolare, minuto minuto, e mi sono rincuorato. Peccato che il Bari non abbia fatto un tiro in porta». Con chi giocava le partite da ragazzo?

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FUNANBOLICO PORTIERE NELLE SFIDE TRA AMICI HA GIOCATO FINO A 40 ANNI

«Con Michele Solarino, per un periodo con Augusto Bellino, poi stopper della Modugnese: per noi era un mito perché aveva fatto un provino per il Torino negli anni Settanta. C’erano anche Nino Sancilio e una forte ala sinistra, un certo Antonello Valentini. Giocammo con grande frequenza quasi fino a quarant’anni. Rallentammo dopo una rissa in seguito ad una gara di torneo: avevamo pareggiato con la capolista 0-0, ma tornando negli spogliatoi ci provocarono dicendo che eravamo giocatori da “Coppa del Nonno”». Dopo? «Fui eletto consigliere comunale del Pci a Bari. Avevo meno tempo per il calcio. Uscì dal giro. Ho ricominciato da eletto al Csm: aveva una squadra del Consiglio che disputava l’agguerritissimo torneo dei Ministeri». Chi c’era nella “Nazionale del Csm”? «Una formazione molto competitiva: c’era Armando Spataro, centravanti fortissimo; Gioacchino Natoli, pm di Palermo del processo Andreotti faceva lo stopper arcigno. La rosa era completata dagli uomini di scorta e dal personale amministrativo. Per quattro anni ho giocato quasi quotidianamente. Giocai anche al Della Vittoria con questa selezione nazionale. A 55 anni ho appeso le scarpette al chiodo per acciacchi al ginoc3 novembre 2018 anno II n. 14


chio. Valentini mi portò dal professor Andrea Ferretti, medico della Nazionale, che mi diagnosticò “condropatia”, la consunzione della cartilagine. Il medico mi disse: “Non siamo riusciti a rimettere in campo Van Basten per la stessa patologia. Si rassegni”». Tra i suoi amici storici c’è anche l’ex premier Massimo D’Alema. Vi trovate d’accordo oltre che per la politica, anche sul calcio? «Ma quando mai… È tifoso romanista sfegatato. Abbiamo visto insieme nel 1999 un Roma-Bari all’Olimpico. I biancorossi furono scippati della vittoria - aveva segnato Masinga - da un discutibile rigore concesso per una spintarella ai danni di Totti all’89’. Il penalty poi fu trasformato dallo stesso Pupone. Allora D’Alema uscì dallo stadio tutto contento, io un po’ meno». Torniamo alla sua passione per il Bari. «Dopo la mia prima partita vista allo stadio, non ho più smesso di tifare, nonostante gli alti e bassi del rendimento del nostro amato club. Da ragazzo lo seguivo anche in trasferta». Il presidente che amato di più? «Il professor De Palo è stato un uomo di altri tempi. In termini autocritici alla fine, però, dobbiamo rivalutare la famiglia Matarrese: per trent’anni ha gestito il Bari, perdendo quattrini e anche guadagnandone. 3 novembre 2018 anno II n. 14

«MI PIACE MOLTO LANGELLA IL MISTER LO VEDE POCO MA LUI HA TALENTO»

Sul più bello ha mollato». La squadra più bella? «Quella di Ventura del 2009-2010, più entusiasmante del “Bari dei baresi” di Enrico Catuzzi. Mister Libidine ci ha fatto divertire in maniera straordinaria. I Matarrese lì hanno bucato: nel secondo anno dovevano rinforzare la rosa. Invece hanno fatto altre scelte e c’è stato il precipizio e il calcioscommesse». Gianluca Paparesta e Mino Giancaspro? «Con il presidente molfettese avevo smesso di andare allo stadio per protesta morale: non gli interessava nulla del calcio, pensava di aver trovato la gallina dalle uova d’oro. Paparesta ha perso la scommessa: non è uno stupido, conosce il calcio. Credo che davvero avesse una intesa con i russi, che amano Bari e San Nicola. Poi centocinquant’anni dopo Lord Cardigan, è stato vittima della guerra di Crimea. Sarebbe stato un buon presidente». Il calciatore che porta nel cuore? «Quelli più amati sono i più sfortunati: Joao Paulo è stato un cult. Ma quello non posso dimenticare è Bibi Spalazzi, grande portiere. Nel 1968 Il Bari cedette Mujesan al Bologna ricevendo in cambio quattro giocatori: Spalazzi, il terzino Roversi, il centrocampista Fara e il medianaccio Tentorio». In estate poteva diventare dirigente del Bari: ha partecipato alla “cordata dei baresi” dopo la mancata iscrizione del club alla B. Come è andata questa avventura? «Era un progetto serio, a disposizione della città, senza voli pindarici. La proposta era fondata. C’è il rammarico che la nostra visione non sia stata adeguatamente vagliata. Ma esprimo un giudizio personale. Siamo delusi non perché il Bari sia adattato alla Filmauro, ma perché è stata sottovalutata la nostra idea sportiva, anche dal punto di vista economico. Quel gruppo di imprenditori non avrebbe potuto fare una squadra forte come questo Bari: Aurelio De Laurentiis ha potuto avvantaggiarsi del know how del Napoli. Il nodo è però il domani». A cosa si riferisce? «L’operazione De Laurentiis è politica, gestita dal sindaco Antonio Decaro. Ha guardato solo all’oggi. Regolamenti alla mano, finché ci sarà questa proprietà, il Bari non potrà mai giocare in A. E quella regola che impedisce a un presidente di avere due club è una legge sacrosanta…». Il futuro del club? «La squadra di Giovanni Cornacchini è forte. Sono abbonato in tribuna Ovest. A me piace molto Langella, centrocampista, che però l’allenatore vede poco. Ma ha talento. La promozione in Lega pro non sarà un problema…».

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CALCIO GIOVANILE

PELLEGRINI IL PARARIGORI COMPLICE L’INFORTUNIO DI SIAULYS NELLA PRIMA SQUADRA DA QUALCHE SETTIMANA PER LUI GLI ALLENAMENTI SONO RADDOPPIATI Francesco Damiani

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a sua carriera finora è trascorsa sull’asse Bari-Monopoli. Una direttrice quasi naturale per chi, come lui, è nato a Polignano a Mare. Ma ora Paolo Pellegrini, portiere classe 2001 della Juniores del Bari, sembra aver trovato la collocazione definitiva in maglia biancorossa e nella prima parte della stagione si è segnalato come uno dei meno battuti dell’intero campionato. Già tre i rigori neutralizzati e per lui è arrivata anche la possibilità di allenarsi con la prima squadra. Complice l’infortunio di Siaulys, da qualche settimana per lui gli allenamenti sono raddoppiati e alla vigilia della trasferta di Marsala si vociferava di una convocazione con i “grandi” per fare il dodicesimo a Marfella. L’occasione poi è sfumata, ma lui non si è certo abbattuto. Anche perché è bastato aspettare una sola settimana e il sogno è diventato quasi realtà perché contro il Locri è sceso in campo per il riscaldamento prima di accomodarsi in tribuna. «È stato tutto bellissimo - racconta. - Due giorni prima della partita mi avevano detto che sarei stato chiamato come terzo portiere. Sapevo che sarei andato in tribuna, ma già fare riscaldamento sul campo del San Nicola è stata un’emozione fortissima. E pensare che soltanto una settimana prima, mi avevano avvisato che sarei potuto andare a Marsala ed ero molto contento perché si sarebbe trattato di andare a giocare con la prima squadra e per me sarebbe stata anche la prima trasferta in aereo. Ma poi mi hanno detto di restare con la Juniores». La sua storia con il Bari è un po’ travagliata fra andate e ritorni. «Sì, sono arrivato al Bari per la prima volta due anni fa dall’Esperia Monopoli. Poi, al termine della stagione, sono ritornato in prestito 3 novembre 2018 anno II n. 14

FINORA NE HA NEUTRALLIZATI TRE. LA SUA È UNA STORIA TRAVAGLIATA TRA ARRIVI E PARTENZE

al Monopoli per giocare con la formazione Berretti. Infine, la scorsa estate ero rimasto senza squadra per il fallimento del Bari e sono stato richiamato ad agosto per aggregarmi al gruppo della Juniores». Le impressioni dopo questi primi mesi di lavoro? «Siamo un bel gruppo, lavoriamo bene e anche con il mister c’è una grande intesa e rispetto. All’inizio, visto che la squadra è stata messa insieme un po’ in ritardi pensavo avremmo avuto delle difficoltà, invece con il passare del tempo ci credo sempre più e ci stiamo togliendo delle belle soddisfazioni». Con il passare delle giornate il mirino delle ambizioni si è spostato verso l’alto? «Stiamo facendo bene e adesso vorremmo arrivare almeno fra le prime due del campionato per poter proseguire il cammino verso i playoff e poi chissà». Chi è il suo portiere preferito? «In assoluto il tedesco Nueur, ma mi ha colpito molto anche Marfella con cui ho la possibilità di allenarmi da qualche settimana. Restando ai portieri che hanno giocato nel Bari, mi piace molto Micai». Il suo sogno? «Ovviamente fare il calciatore. Ci ho sempre creduto e o sempre voluto farlo. Per questo non ho mai mollato neanche nei momenti di difficoltà. Voglio arrivare sempre più in alto». Oltre al calcio, che altri interessi ha? «Praticamente nessuno. Frequento il quarto anno dell’istituto industriale a Monopoli e mi concentro su calcio e scuola, per il resto non c’è molto tempo. Come ho detto, voglio diventare calciatore e questo sogno mi occupa già abbastanza tempo».

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AMARCORD

MAESTRELLI

IL CENTRAVANTI CARTAVELINA Gianni Antonucci

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stato uno degli esordienti in A più giovani del Bari di ogni tempo. Appena diciassettenne (nato il 2 ottobre 1922) Tommaso Maestrelli fu lanciato nella massima serie da un tecnico di valore, l’ungherese Giuseppe Ging, sul campo del Milan il 26 febbraio 1939. Sostituì il più popolare (in quel momento) Cesarino Grossi (detto Ninì), vittima di un infortunio. Nonostante la sconfitta per 3-1, il Bari si distinse in campo per il suo giovane attaccante che il nuovo allenatore Ferrero (ex biancorosso) confermò. E fu subito ribattezzato “centravanti cartavelina” per il suo fisico esile e brevilineo. Militare, durante il periodo bellico vennea mandato in Jugoslavia, nel Montenegro e, al momento dell’armistizio, passò fra i partigiani. Rientrò e fu eletto consigliere al Comune di Bari (assieme al suo allenatore Costantino, ma in coalizioni opposte). Maestrelli fu richiesto dal grande Torino di Loik e Mazzola: il Bari infatti non lo fece giocare nella prima giornata del 1946-47 contro la Lazio (e fu sconfitta interna per il Bari), certo di cederlo al club granata. Maestrelli, però, volle rimanere col Bari e ci restò

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FU L’UNICO CHE DA EX SI RIFIUTÒ DI GIOCARE LA PARTITA CONTRO IL BARI

altri due anni, sino al debutto in “azzurro”. Nel primo scaglione selezionato da Vittorio Pozzo per le Olimpiadi di Londra c’era proprio Tommaso Maestrelli, 26 anni e universitario, fra i migliori. Maestrelli, assente nella prima partita contro gli Stati Uniti vinta dall’Italia il 2 agosto 1948 per 9-0 (quattro gol di Pernigo), debuttò a Londra tre giorni dopo, il 5 agosto, contro la Danimarca dei Nielsen, Pilmark, K. Hansen, J. Hansen, Jansen, Praest (tutti giocatori che subito dopo sarebbero venuti in Italia, ingaggiati da grossi club). Fu una sconfitta azzurra per 3-5. La sua presenza in azzurro fece rialzare maggiormente le quotazioni del giocatore. Tante le richieste che pervenirono al Bari da diverse società. Fra tutte ebbe la meglio l’Inter; il Bari aveva bisogno di denaro contante. Le spese eccessive ed i premi speciali elargiti nelle ultime partite crearono un disavanzo nel bilancio, mai avutosi prima d’allora. E non c’era neppure possibilità di un intervento del Comune o della Provincia. Fu poi ceduto, assieme a Tontodonati, alla Roma. Si fece notare (senza, però, dare clamore all’episodio) alla vigilia di Bari3 novembre 2018 anno II n. 14


GIOCATORE E ALLENATORE A sinistra Maestrelli premiato al termine di Como-Bari, ultima presenza biancorossa dell’attaccante. In alto, Maestrelli (col pallone in mano) in una partita del campionato ‘46-’47

Roma del 24 ottobre 1948 in A. Maestrelli era appena arrivato alla Roma (via Inter) quando chiese ed ottenne dai dirigenti romani di non giocare, da avversario, contro il Bari nella partita che il calendario di A assegnava alla sesta giornata. Il Bari aveva vinto, nel turno precedente (1-0), a Busto Arsizio contro la Pro Patria. Si attendeva la prima vittoria in casa dei biancorossi. Maestrelli, ottenuto il consenso a non giocare contro la sua ex squadra, si sistemò, per l’intera partita, dietro la porta vicino all’ingresso del sottopassaggio per gli spogliatoi. Dovette, purtroppo, assistere alla “batosta” subita dal Bari con tre gol presi nel primo tempo ed un quarto, nella ripresa, dall’ex Tontodonati assieme a lui passato alla Roma. Nella lunga storia del Bari è rimasto l’unico episodio di un “ex” rifiutatosi di giocare da avversario. L’ultima partita da calciatore fu a 35 anni (il 19 maggio 1957) proprio col Bari, a distanza di 18 anni, 2 mesi e 23 giorni dall’esordio in A. Conti alla mano, Maestrelli vanta 373 partite in campionati ufficiali: 220 col Bari, 96 con la Roma, 57 con la Lucchese di cui 252 in A, 68 in B, 30 in C, 23 in IV serie. Una carriera davvero 3 novembre 2018 anno II n. 14

ALLENÒ I BIANCOROSSI NELL’OTTOBRE DEL 1963 MA L’AVVENTURA DURÒ POCO E PASSÒ ALLA REGGINA

notevole se si considera che ha segnato 27 gol, 19 in A, 8 in B, 21 per il Bari, 5 per la Roma ed uno per la Lucchese. Dopo quella da calciatore, iniziava l’attività di tecnico. Prima le giovanili, poi le riserve. Saliva addirittura sulla panchina del Bari prima squadra nell’ottobre 1963. Durava pochissimo perché così aveva deciso chi non riuscì ad instaurare un compromesso con lo stesso Maestrelli. Non abituato a chiedere nulla agli altri, Maestrelli, per la prima volta, si sentì disperato. La famiglia aumentava: due gemelli si aggiungevano alle due sorelline ormai grandicelle. I due gemelli gli davano forza. Si accordava con Granillo, presidente della Reggina. Portava, così, per la prima volta la squadra calabra in B, mancando la stagione successiva, per un solo punto ed all’ultima domenica, la serie A. A Foggia, poi, in due stagioni, inventava la squadra promozione fino alla A. In sei anni, due campionati vinti (in C ed in B) e due “seminatori” assegnati. Infine, la Lazio, la promozione in A, il primo scudetto, il terzo “seminatore”. Nel 1975 i primi sintomi di un male inesorabile. Poi la morte, il 2 dicembre 1976.

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IL DOPPIO EX

PAPADOPULO

LE MILLE EMOZIONI DEL ‘94 Davide Lattanzi

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isale al 29 maggio 1994 l’ultima apparizione del Bari ad Acireale, in un match dalle mille emozioni passato alla storia. La posta in palio è altissima. I siciliani sono la favola della serie B: la cittadina siciliana per la prima volta nella sua storia sportiva affronta il secondo campionato nazionale e lotta con unghie e denti per tenersi stretta la categoria. I biancorossi, invece, sono lanciatissimi verso la promozione. La paura vince sullo spettacolo lo 0-0 resiste fino ai minuti finali. In un recupero infinito (al 96’), Logiudice indovina la botta dal limite che batte il portiere biancorosso Fontana. Non c’è tempo per recuperare, ma per i galletti il ko è indolore. Perché il Cesena cade a Brescia ed il salto in serie A è certificato dalla matematica. L’Acireale, invece, può così continuare la rincorsa alla salvezza. Un miracolo che sarà poi centrato in uno spareggio contro il Pisa. Il tecnico artefice di quel miracolo è Giuseppe Papadopulo che a Bari aveva militato da calciatore, dal 1977 all’80: 65 presenze a cavallo tra l’era De Palo e l’inizio dell’avventura dei Matarrese. Quell’impresa sportiva fece decollare la sua carriera da tecnico in un percorso costellato di successi ottenuti anche in Puglia (promozioni in B della Fidelis

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Andria ed in A con il Lecce), nonché a Siena (promozione in A e salvezza nel massimo campionato), Lazio (qualificazione all’Intertoto), Palermo (ottavi di finale di Coppa Uefa) e Bologna (salvezza in A con clamorosa rimonta). È lui, dunque, il “doppio ex” che racconta Acireale-Bari, partendo proprio dal precedente di 24 anni fa. Giuseppe Papadopulo, ricorda quella sfida? 3 novembre 2018 anno II n. 14


IN UN RECUPERO INFINITO (AL 96’), LOGIUDICE BATTE IL PORTIERE BIANCOROSSO FONTANA NON C’È TEMPO PER RECUPERARE MA PER I GALLETTI IL KO È INDOLORE: IL CESENA CADE A BRESCIA ED IL SALTO IN SERIE A È CERTIFICATO DALLA MATEMATICA L’ACIREALE PUÒ COSÌ CONTINUARE LA RINCORSA ALLA SALVEZZA

«Come potrei dimenticarla…Lo stadio festeggiò la vittoria come se fosse uno scudetto. Fu una gioia piena perché il Bari, a sua volta, ebbe la certezza della serie A ed io sono sempre stato tifoso dei biancorossi. Eppure, quell’incontro non fu risolutivo per l’Acireale: la salvezza passò da un drammatico spareggio che vincemmo a Salerno battendo il Pisa ai rigori. Fu comunque un piccolo miracolo sportivo. Il fatto che 3 novembre 2018 anno II n. 14

l’incontro si replichi in serie D è un enorme dispiacere. Per l’Acireale è una situazione comprensibile perché quando il presidente Pulvirenti decise di acquistare il Catania, fu impossibile trovare una proprietà con simili potenzialità. Per i biancorossi è inspiegabile quanto è avvenuto: ad una realtà di tale seguito e prestigio non può avvenire ciò che si è verificato in estate. Mi auguro che la nuova proprietà riporti il Bari in serie A, ovvero dove dovrebbe essere stabilmente». Quale ambiente troverà il Bari ad Acireale? «Non sarà certo la trasferta più complessa sul piano della rivalità. Acireale è una splendida cittadina che ha un belvedere meraviglioso e una straordinaria cucina di pesce. Un posto dove si vive bene: la gente ha un gran cuore. Sono convinto che il Bari sarà accolto con gioia e in tanti ricorderanno ancora l’emozione di quell’incontro». Il suo nome fu accostato tante volte al Bari. Dica la verità: è stato sul punto di allenare i biancorossi? «Più di una volta. Carlo Regalia fu il mio direttore sportivo quando giocavo a Salerno e mi volle da calciatore a Bari. Così si creò uno splendido rapporto anche con la famiglia Matarrese che mi cercò in varie circostanze: purtroppo, a volte le intese non si trovano per alcuni particolari. Ma non aver guidato il Bari resta il più grande rimpianto della mia carriera: ci tenevo davvero tanto. Il pubblico barese è straordinario. Nel 2007 allenavo il Lecce e vincemmo 4-0 al San Nicola. Vidi gente in lacrime per una sconfitta così pesante nel derby, eppure io ed il mio staff fummo persino applauditi». Ha avuto modo di vedere all’opera il Bari in questa stagione? «Sono sempre informato, ma è un torneo che conta relativamente. Nel senso che il Bari non avrà problemi a vincere il suo girone con largo anticipo. Ma è la prosecuzione del progetto che desta maggiore curiosità. Se i De Laurentiis hanno investito su tale club, significa che hanno forti ambizioni». Manca da molto al San Nicola? «Sì, ma a Bari passo spesso. Tornerò allo stadio, è una promessa. Ma vorrei venire in una categoria importante…». Ha smesso di allenare sette anni fa. Che cosa fa adesso? «Ho lasciato il calcio, malgrado fossi reduce da esperienze importanti in A. Ma non riuscivo più a trovare quell’adrenalina che infonde stimoli particolari. Ho voluto chiudere in bellezza. Lasciare un bel ricordo è una stupenda gratificazione. Anche a Bari, in fondo, è stato così».

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A SPASSO COL BARI

ACIREALE

VIETATO ANNOIARSI UN’IMMERSIONE NEL MIGLIOR BAROCCO SICILIANO IMPERDIBILI GLI AGNOLOTTI DI MELENZANE AL PISTACCHIO DI BRONTE

NEL MUSEO In piazza del Duomo si affacciano alcuni degli edifici più importanti della città, tra cui la Chiesa Cattedrale, la Basilica dei Santi Pietro e Paolo, il Palazzo del Comune, il Palazzo Modò

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Gianluigi De Vito

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on è il periodo migliore per la calata sicula ad Acireale. Almeno per quel che riguarda il «calendario» collaterale alla sfida calcistica. È la città tra i dieci carnevali più conosciuti al mondo, ma bisogna aspettare il 23 febbraio 2019. La Fiera dello Jonio che celebra l’artigianato e l’agroalimentare mettendo in vetrina il meglio e il noto va in soffitta a settembre. E il Teatro storico dei Pupi, un luogo antropologico oltre che artistico visto che l’Opera dei Pupi continua a vivere e a nutrirsi grazie ai maestri pupari, è chiuso di domenica: è prevista un’apertura speciale, ma l’11 novembre. COSA VEDERE Fortuna che, come in molti angoli di Sicilia, c’è così tanto da conoscere, vedere e gustare che la trasferta a Nord di Catania (525 km da Bari, sette ore di viaggio in auto, soste e traghetto compresi) tra l’Etna e il basso Jonio, è l’occasione giusta non solo per sperare di cementare l’ebbrezza di chi governa il calcio di D, ma anche per un’immersione nel miglior Barocco siciliano. Nel cuore storico della città che supera i 50mila abitanti c’è un trittico di chiese imperdibili ciascuna con un segno unico e in un raggio ristretto a poche centinaia di metri: il Duomo, con la meridiana (l’orologio con quadrante solare) e la cappella di Santa Venere che custodisce le reliquie della santa protettrice; la «Basilica di San Sebastiano», il più apprezzato esempio di Tardo Barocco in cui l’esterno della facciata forgiato in maniera meravigliosa è pareggiato da un interno che custodisce le opere di Paolo Vasta, dieci statue che raffigurano i protagonisti del Vecchio Testamento e un museo d’arte sacra: non è un caso che la Basilica abbia una menzione speciale Unesco come «Monumento messaggero di una cultura di pace». E poi la Chiesa di San Pietro e San Paolo. Ma il barocco ha lasciato traiettorie architettoniche in più punti, specie nel Quartiere del Suffragio tra i palazzi in via Dafnia e via Galatea e a Palazzo di città. Il tuffo nella storia non solo è nettare per occhi e cervello. S’accompagna a una danza

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LOREM IPSUM

di sapori perché l’itineraio è merlettato da pasticcerie e gelaterie, da «Costarelli» a «Cipriani», la cui fama è tale da non consentire una gerarchia condivisa. Dalle granite ai dolci, tutto vale tanto. E per giunta tutto scorre mentre si cammina verso la discesa suggestiva delle Chiazzette (le piazzette) che attraversa la Timpa. Acireale è costola lavica che degrada a strapiombo (da qui: Timpa) con una ricchezza di natura e paesaggio d’incanto. «La natura dimostra come ama la varietà qui ove si trastulla con la lava d’un grigio turchino che va verso il nero. Essa la riveste di un muschio giallo vivo: la “sempre viva” d’un bel rosso, sviluppa di sopra la sua vegetazione lussureggiante, insieme ad altri fiori color viola», scriveva in Viaggio in Sicilia, ai primi di maggio del 1787, a proposito delle colline etnee, Johann Wolfgang Goethe (1749-1832). E incastonata nella collina lavica è pure A Rutta (la Grotta) che ospita uno dei più bei presepi del Settecento con la statue a grandezza naturale (è possibile visitarlo contattando la parrocchia di Santa Maria della Neve ai cellulari 335.8434776 oppure 349.5820311). Vietato annoiarsi tra i mille rivoli del cuore della Riviera dei Ciclopi arredata da agrumeti profumati al pari delle sue borgate passate sotto gli incroci feroci e fecondi di Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni e Spagnoli. Furono loro a sistemare definitivamente (con un decreto di Filippo IV di Spagna datato 1692) il nome e il ruolo della città lavica: Aci-Reale, dunque demanio soggetto alla corona. Il prefisso Aci, nome del fiume che s’insinua dall’Etna, racconta il resto, e cioè l’antichità: colonia greca conosciuta come Xiphonia, divenne coi romani Aquila. E la leggenda dei Ciclopi racconta di Aci, pastore figlio di Fauno e della ninfa Simetide, innamorato di Galatea, punito e schiacciato contro una roccia dell’Etna dal 3 novembre 2018 anno II n. 14

rivale in amore, il ciclope Polifemo perché sorpreso con Galatea. RE DI SPADA E REGINE DI SCHERMO E quasi per un destino che la Storia restituisce come un’iperbole, la riviera degli assalti e delle conquiste diventerà non solo pittoresca dai forti sapori marini e montani, ma anche feudo di spade sportive. È terra di scherma, Acireale. Con blasoni olimpici. E questo grazie a Raffaele Manzoni, acese puro sangue e padre della scuola catanese di schermidori. Senza di lui non avremmo raccontato di Marco Fichera, argento olimpico a Rio de Janeiro 2016 né di Daniele Garozzo, oro nel fioretto a Rio e campione europeo l’anno scorso a Tbilisi. E ad aggiungere bellezza cinematografica ai gesti sportivi ci pensa Miriam Leone, attrice e conduttrice, uscita dalle scuderie di Miss Italia nel 2008 in maniera rocambolesca visto che vinse dopo essere stata ripescata da un’eliminazione. È così che va la Riviera dei Ciclopi dove le sconfitte si sommano alle rivincite e dove anche i sapori sono netti ma plurali. Mare e montagna perché gli Ebrodi sono patria di carne suina apprezzata. DOVE MANGIARE Quasi impossibile resistere alla tentazione di spostarsi appena fuori città e lungo la costa. Ma rimanere tra le quinte barocche non è un ripiego anzi. C’è solo da scegliere se puntare su un cacio e pepe con cosacavaddu (caciocavallo) ragusano o agnolotti di melenzane al pistacchio di Bronte, con un secondo di involtini di suino nero dei Nebrodi o tonno al sesamo di Ispica (in tal caso, «Aquadelferro», 20/50 euro, via Santa Caterina 42, tel. 095 7633735). Oppure buttarsi sulla cucina regionale proposta in base al pescato fresco e con in pizzico di originalità che deriva dalla tradizione: salsiccia di pesce spada, o saccottino di pesce ripieno di caponata al forno («Oste scuro», 30/35 euro, piazza Leonardo Vico 5, tel. 095 7634001). Senza dimenticare la trattoria «U Puttusu» (via Vittorio Emanuele II , n.175 cell. 388 691 1548), «Ficodindia») piazza San Domenico 1, cell 347 489 6940); «Vecchia Aci», via Lancaster 2, 095 604430). Felice eruzione a tavola e speriamo in campo. Sciarpa a collo, a spasso col Bari e buona vita.

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L’AVVERSARIO

IL POPOLARE VESSILLO AMARANTO DUEMILA EURO PER DIVENTARE SOCI SILVER DELL’ACIREALE Vito Prigigallo

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a venduto cara la pelle a Cittanova. Ma non ce l’ha fatta. L’Acireale ha dovuto alzare bandiera bianca. Il secondo kappaò costa caro ai granata che hanno collezionato un punto nelle ultime due uscite all’indomani dell’exploit di Messina. La squadra di Carlo Breve, a farla… breve, naviga meglio nei mari lontani dal “Tupparello”: gli acesi issano il vessillo amaranto con la grande A al centro e compiono imprese corsare a Castrovillari col Rotonda e, come accennato, al “San Filippo” con il Messina dove la doppietta di Totò Manfrellotti e il punto di Fabio Campanaro mandano in visibilio il popolo granata, illudendo più d’uno che, nonostante la penalità (mancato pagamento dei corrispettivi al tecnico Carmelo Mancuso), si potessero fare sogni d’oro. Davanti al pubblico amico, invece, i catanesi hanno battuto solo la Nocerina (di Madonia e Manfrè le reti). COPPA ITALIA Come il Bari – eliminato da Bitonto al preliminare - l’Acireale s’è arreso dopo la prima sfida. Entrato in scena al primo turno, ha ospitato il Marsala. Il derby è stato deciso ai calci di rigore dopo il 2-2 al 90’ (Campanaro e Antonino Tramonte per i granata) . IL COACH Cinquantuno anni compiuti lo scorso settembre, Breve ha un pezzo di granata cucito sul cuore: ha giocato con l’Acireale negli anni Novanta e l’ha allenato nel 2010, vincendo l’Eccellenza. Il modulo prediletto è il 4-3-3. LA STAR Oltre al bomber Manfrellotti, il calciatore più noto è Raffaele Gambuzza. Una vecchia conoscenza del calcio pugliese: anni, il 33enne difensore centrale di Modica ha militato la scorsa stagione nella Team Altamura (protagonista dell’involontario scontro con Gargiulo, a seguito del quale il giovane mediano del Gravina rischiò la vita) 3 novembre 2018 anno II n. 14

LA SQUADRA Lo stemma e,in alto, la squadra granata impegnata nel campionato di serie D

e prima ancora con Martina (2006, 2008 e 2013), Monopoli (2008), Barletta (2010) e Bisceglie (dal 2013 al 2015). LA STORIA Sorto nel 1929, il club ha il suo quarto d’ora di gloria con la promozione d’ufficio in Serie B. Dove rimane due stagioni, dal ’93 al ’95 (storica la salvezza ai danni del Pisa, ai rigori, nello spareggio di Salerno). Fallisce nel 2006 dopo svariate annate in C. Nasce così l’Acireale Calcio 1946, anno della rifondazione calcistica nel Dopoguerra, che prende parte alla Promozione. Fra gli alti e bessi che hanno sempre caratterizzato la via dell’Acireale per il pallone, c’è un altro ritiro dalle scene: quattro anni fa lascia zoppo uno dei gironi dell’Eccellenza sicula, risorgendo ancora una volta con la denominazione attuale, vale a dire Città di Acireale 1946. I PLAYOFF A maggio del 2017 è Altamura ad eliminarla dagli spareggi di Eccellenza, violando il “Tupparello” con Sisalli e Del Core. I murgiani avrebbero poi superato anche il San Giorgio a Cremano, conquistando la Quarta Serie, lasciando all’Acireale il ripescaggio l’estate successiva. DEMOCRAZIA Lo slogan #noisiamoacireale è anche una associazione. Sorta con la finalità di sviluppare un sostegno all’attività sportiva e sociale. Per diventare parte di questa sorta di azionariato popolare, è possibile versare duemila euro (socio gold), mille (socio silver) o anche solo cinquecento euro come quota associativa annuale. Lo scorso 20 ottobre si sono svolte le elezioni per entrare nelle stanze dei bottoni. Dopo l’elezione di Salvatore Calì, è passato anche Salvatore Sciuto, entrato nel comitato organizzativo dell’associazione. “Un momento storico”, l’hanno definito gli ideatori del nuovo modello societario, “fatto di democrazia di cui andar fieri”.

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MAGLIA 1936-1937

ECCO IL GALLO Il Nostro Bari

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iancoazzurro e neroverde, queste le tinte cromatiche che per quasi tutti gli anni ’20 popolavano i campi da gioco del capoluogo pugliese, dopo la momentanea scomparsa della squadra fondata da Ludwig, le casacche rosso sangue in flanella sparirono dalla scena sportiva barese, per tornare seppure solo per una stagione nel 1924, quando per volere di alcuni appassionati fu ricostituito il Bari. Questa compagine, che era allenata da Vedeva una casacca rossa per gli undici calciatori di movimento, mentre vestiva in bianco l’estremo difensore. Tutti i componenti della squadra riportavano sul cuore il distintivo comunale. Questo esperimento però ha breve durata e dopo un anno torna l’egemonia delle due stracittadine baresi. Pochi anni più tardi nel febbraio del 1927 il Liberty prende il nome di Bari, e per volere del podestà Araldo di Crollalanza, l’anno successivo, questa nuova squadra avrà i colori della città ovvero il bianco e il rosso. Nonostante questo la nuova compagine, nata dalla fusione del Liberty e dell’Ideale, conserverà la maglia libertiana, quella a strisce biancoblu per il prosieguo del campionato e nel 1928 la Bari approda nel girone A della Divisione nazionale . In un’amichevole casalinga contro il Mantova nello stesso anno appare la prima maglia del nuovo Bari, composta da una casacca bianca corredata da colletto e polsini rossi, calzoncini bianchi e calzettoni neri, è la maglia della prima divisione nazionale. Dopo un anno con l’assorbimento nella appena formata serie B si incombe in un nuovo problema: come fare per distinguersi nel momento in cui la divisa dell’avversario presenta simili colori come lo Spezia o la Biellese? Nessun problema per i baresi che 1929 oltre alla collaudata casacca rispecchiante i colori cittadini sfoggiano un nuovo kit che prevede una maglia interamente rossa con bordini bianchi e calzoncini bianchi. Questo completo è utilizzato tra le altre gare in casa contro il Casale. Queste saranno le uniformi dei galletti fino al 1936 anno importantissimo per la lunga storia della divisa barese perché in questo campionato appare per la prima volta uno stemma: si tratta di un galletto fiero e spavaldo racchiuso in un ovale sul petto di una maglietta totalmente bianca così come pantaloncini e calzettoni, per il portiere casacca nera con annesso simbolo.

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LA CLASSIFICA 1

Bari

17

2

Nocerina

14

3

Locri

13

4

Gela

11

5

Sancataldese

11

6

Cittanovese

11

7

Portici

11

8

Acireale

10

9

Marsala

9

10

Roccella

9

11

Palmese

9

12

Turris

9

13

Troina

8

14

Castrovillari

7

15

Igea Virtus

4

16

Messina

4

17

Città Messina

3

18

Rotonda

3

LE PROSSIME PARTITE domenica 4 novembre ore 14.30 ACIREALE - BARI domenica 11 novembre ore 14.30 bari - cittaàdi messina Hai commenti, consigli, suggerimenti? Scrivi a:

ilbiancorosso@gazzettamezzogiorno.it

3 novembre 2018 anno II n. 14




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