O BIANC ROSSO NEGLIA
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GOL RITROVATO
L’ANALISI IL POSTER FOCUS
TERZINI VIVA GLI UNDER
FEOLA IL DUTTILE
LANGELLA IL FILOSOFO
Supplemento al numero odierno de La Gazzetta del Mezzogiorno Anno II numero 15 / € 0,70 più il prezzo del quotidiano
periodico di informazione sportiva de
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L’EDITORIALE
di Fabrizio Nitti
L’ORO DI BARI «
Una media di diecimila spettatori non si vede neanche su alcuni campi di serie A». Parole in libertà dettate dal presidente Luigi De Laurentiis a «La Gazzetta del Mezzogiorno» nei giorni scorsi. L’oro di Bari sono loro, i tifosi. Quelli che non hanno mai alzato bandiera bianca neanche quando il ciclone Giancaspro ha spazzato via il calcio professionistico da queste latitudini. Quelli che hanno sottoscritto quasi ottomila abbonamenti indipendentemente dalla categoria e che continuano a popolare il San Nicola anche davanti ad avversari improbabili o comunque mai conosciuti prima. Una spinta così, in D, non poteva non colpire Luigi De Laurentiis. Che alla sua prima vera esperienza da «numero uno» di un club, ha già trovato un territorio e un popolo pronti a spingere il Bari, a riportarlo fra i professionisti. I biancorossi, intanto, proseguono la rincorsa sul campo. Ventiquattro punti in classifica sui trenta complessivi a disposizione, mai una sconfitta. Il Bari continua a recitare il copione da attore principale del campionato. Il pareggio di Castrovillari, con un calo atletico nel finale che va monitorato, ha lasciato un
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po’ l’amaro in bocca perché da questa squadra ci si aspetta sempre e comunque la vittoria. Ma non è facile, non è semplice districarsi in questo torneo di serie D. Anche se non bisogna guardare mai in casa d’altri, la riprova arriva proprio dagli altri gironi. Ci sono «grandi» in difficoltà. C’è l’Avellino, ad esempio, che è addirittura uscito dalla zona playoff dopo un avvio energico. I campani hanno rimediato l’ennesima sconfitta nel turno infrasettimanale e ora sono costretti a inseguire. C’è il Cesena nel gruppo F che fa i conti con la forza del Matelica Calcio: i romagnoli sono al secondo posto e hanno già fatto i conti con un paio di sconfitte. C’è il Como nel gruppo B che sta dando vita in vetta a un braccio di ferro con il Mantova. E c’è la Reggiana che nel raggruppamento D vivacchia fuori dalla zona playoff a dieci punti dal Modena capolista, come il Bari un’altra «grande» in testa al campionato. Senza dimenticare che anche il Taranto nel girone H, quello infuocato pugliese, insegue la sorpresa Picerno. Non è facile, dunque, vivere la «selvaggia» bellezza del campionato d’Italia. Nessuna partita può essere data per scontata. Serviranno nervi saldi, soprattutto. Da accoppiare alla grande cifra tecnica di cui il Bari dispone.
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SOMMARIO
IL MINI-BILANCIO L’ANALISI
il Biancorosso anno II n. 15 Periodico sportivo de La Gazzetta del Mezzogiorno reg. Trib. Bari n. 12372EL1/81 Direttore responsabile Giuseppe De Tomaso Edisud SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari www.lagazzettadelmezzogiorno.it
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8 LANGELLA
A cura di Redazione sportiva Coordinamento Gaetano Campione Hanno collaborato Gianni Antonucci Francesco Damiani Michele De Feudis Gianluigi De Vito Filippo Luigi Fasano Davide Lattanzi Nicola Lavacca Fabrizio Nitti Vito Prigigallo Antonello Raimondo Il Nostro Bari Fotografie Luca Turi Archivio storico de La Gazzetta del Mezzogiorno Archivio Antonucci Giuseppe Corcelli Sergio Scagliola Saverio De Giglio
TANGORRA
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LABRIOLA
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Foto di copertina: A. Scuro Foto poster: A. Scuro
SCIACOVELLI
FARA
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Progetto grafico e realizzazione Clara Specchia Concessionaria di Pubblicità Mediterranea SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari Stampa Dedalo Litostampa srl viale Luigi Jacobini, 5 70132 Bari
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A SPASSO COL BARI
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L’ANALISI TECNICA
TERZINI SI PUNTA SUGLI UNDER
Giovanni Cornacchini si è dimostrato fin qui tutt’altro che un integralista. Il tecnico biancorosso ha ruotato uomini e moduli, dall’inizio dei match o a gara in corso. Sempre alla ricerca della soluzione ideale che mettesse i suoi big nella condizione di rendere al meglio. Pochi i “dogmi” sposati dall’allenatore di Fano. Tra questi, la difesa a quattro (puntualmente proposta fin dall’avvio di ogni incontro), nonché la dislocazione degli under: il por-
Davide Lattanzi
NICOLA ALOISI
PRESENZE
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LUIGI D’IGNAZIO
GOL
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PRESENZE
MINUTI GIOCATI 540’ SOSTITUZIONI SUBITE FATTE
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È l’etichetta che si è guadagnato perché nelle prime sei giornate non ha saltato nemmeno un minuto. Ha disputato persino l’unico match del Bari in Coppa Italia di serie D. Figlio d’arte (il padre Antonio ha calcato la serie A con le maglie di Ascoli, Torino e Cagliari) lui è, invece, partito dalla dura gavetta crescendo nel settore giovanile dell’Ascoli per poi passare un biennio in D, al Monticelli.
I pregi
Il passo è da categoria superiore. Corsa, gamba e rapidità non sono quelli di un under. “Ara” la fascia destra un’infinità di volte, mostrando una resistenza invidiabile. Doti che potrebbero davvero rappresentare le credenziali per una carriera luminosa. Completo, inoltre, nelle due fasi perché pur prediligendo la spinta, è puntiglioso in marcatura. Fermato da un infortunio muscolare, per rivederlo ci vorranno due settimane. Ma se manterrà le promesse, riuscirà a recuperare il terreno perduto. La tecnica individuale. Per quante volte arriva sul fondo, sarebbe lecito aspettarsi rifiniture più precise. Invece, spesso si perde al momento del dunque: il cross non è ancora calibrato a dovere, la lettura dell’assist non sempre è lucida. Se lavora su questi particolari, ha tutto per sfondare tra i professionisti.
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GOL
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MINUTI GIOCATI 424’
L’IRRINUNCIABILE
DA MIGLIORARE
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SOSTITUZIONI SUBITE FATTE
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LA PROMESSA
Arriva con il curriculum più prestigioso, direttamente dal settore giovanile del Napoli. Un’alcova da cui non è mai uscito, se non per una breve parentesi al Cuneo, accumulando sette presenze in serie C. A livello Primavera, era ritenuto tra i migliori terzini sinistri in circolazione. Una nomea che ora deve confermare.
I PREGI
Il sinistro è “educato”: preciso e potente. La tecnica gli consente di essere affidabile in fase di impostazione e di poter guardare avanti lanciando verso centrocampisti o punte, senza rifugiarsi nel passaggio arretrato al difensore centrale. La personalità, inoltre, non gli manca. Non a caso, nel poker di terzini, è l’unico ad aver provato la gioia del gol con un gran tiro dalla distanza contro l’Igea Virtus.
DA MIGLIORARE
La fase difensiva. Sovente in tale fondamentale ha lasciato a desiderare. Impreciso nella posizione, morbido in marcatura, in difficoltà nell’uno contro uno. Lacune su cui dovrà lavorare urgentemente se vorrà coltivare ambizioni. Perché in serie D gli avversari possono perdonare, ma passando di livello, le amnesie costano punti.
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tiere, un centrocampista (con Piovanello a sdoppiarsi tra il ruolo di interno e quello di mezzala) ed i due terzini. Le corsie laterali difensive hanno, perciò, proposto un intrigante tourbillon che vede protagonisti un poker di giovani: Nicola Aloisi, Luigi D’Ignazio, Cosimo Nannini e Nicola Turi. Nel rispetto della regola dei baby, si sono composte praticamente due coppie “di fatto”: Aloisi-D’Ignazio e Turi-Nannini, nella rigida alternanza tra un nato nel 1998 ed uno nel ’99, con Marfella (l’altro ’99) tra i pali ed un “2000” (Piovanello o Langella) a centrocampo. Un canovaccio che si è proposto puntualmente nei dieci turni fin qui disputati. Con una sola eccezione: la breve parentesi di Coppa Italia con il Bitonto, nella quale hanno giocato Aloisi e Nannini, mettendo in scena un Bari ancor più giovane. Quest’alternanza probabilmente segnerà l’intera stagione biancorossa, a meno di improbabili interventi sul mercato in due ruoli che paiono sufficientemente coperti. Sul piano tecnicotattico, scopriamo, pertanto, pregi, difetti e prospettive del quartetto di laterali dei galletti. COSIMO NANNINI
PRESENZE
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NICOLA TURI
GOL
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MINUTI GIOCATI 566’ SOSTITUZIONI SUBITE FATTE
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L’INSOSTITUIBILE
SOSTITUZIONI SUBITE FATTE
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CUORE BIANCOROSSO
I PREGI
Nell’era della rinascita, gli spetta un’etichetta non da poco. È l’unico barese del Bari. Nel settore giovanile delle scomparse As Bari prima e Fc Bari 1908 poi è cresciuto, senza esordire in prima squadra. E’ andato a farsi le ossa in C a Vicenza, collezionando appena due apparizioni. Ora riparte dalla D, ma con la casacca della sua città: tutt’altro che un ridimensionamento.
DA MIGLIORARE
Il fisico. È il classico cavallone potente, statuario, ma anche armonico nei movimenti. La stazza si sposa con una feroce applicazione che lo rende il più sicuro tra i terzini biancorossi in marcatura. Buono il senso della posizione, difficile andargli via nell’uno contro uno. In più, è duttile: può giocare a destra, sinistra, persino laterale più alto a centrocampo.
Pur essendo appena 19enne, è tra quelli che meglio conoscono la serie D perché lo scorso anno è stato titolare inamovibile nella Sangiovannese collezionando ben 37 presenze condite da quattro reti. Scovarlo, quindi, è stata una felice intuizione, ma ora tocca a lui sfruttare la chance in una piazza contraddistinta da altissime aspettative. La progressione. Quando parte, impressiona non solo per velocità, ma per come la sua corsa sia fluida e pulita. In tal senso, ricorda i vecchi mancini fluidificanti, famosi per le loro cavalcate. Da sottolineare anche la prontezza di riflessi: ad ogni chiamata, anche quelle più inaspettate, ha puntualmente risposto presente.
I PREGI
L’attenzione. Su questo piano il percorso appare ancora lungo. Troppe volte in fase difensiva si fa scoprire impreparato (Acireale docet) mostrando lacune addirittura più evidenti nel posizionamento prim’ancora che nella marcatura. Anche sul piano fisico deve potenziarsi: al momento pare ancora “leggerino”.
DA MIGLIORARE
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La proposizione offensiva. In tal senso, è il meno appariscente tra i laterali. Raro vedergli tentare l’allungo in dribbling o in progressione. Alimenta l’azione con ordine, ma difficilmente raggiunge il fondo per crossare. Può darsi che sia timidezza momentanea. Ma se così non fosse, per fare strada dovrà essere più sfrontato.
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IL MINI-BILANCIO
MARFELLA IL MENO BATTUTO DELLA SERIE D IL BARI È DAVVERO LA CORAZZATA ASSOLUTA DELLA QUARTA SERIE? I NUMERI VENGONO IN SOCCORSO. E VA CONSIDERATO CHE NELLE PRINCIPALI GRADUATORIE DI MERITO I GALLETTI OCCUPANO LE PRIME POSIZIONI Davide Lattanzi
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n terzo di campionato è filato via, quasi senza accorgersene. Dalle incertezze estive causate dalla baraonda abbattutasi sul calcio italiano ad oggi, il campionato di serie D ha tentato di recuperare il tempo perduto. Eccetto che nel girone A (giunto al nono turno), negli altri otto gironi si è raggiunta e superata la doppia cifra di gare disputate. Una soglia che consente di tracciare un primo mini bilancio della stagione. E soprattutto di rispondere ad una domanda: il Bari è davvero la corazzata assoluta della quarta serie? Come sempre, i numeri vengono in soccorso. E va considerato che nelle principali graduatorie di merito, in effetti i galletti occupano le prime posizioni, praticamente in ogni fondamentale. Spicca, in particolare, l’imbattibilità: un primato che i biancorossi condividono con le compagini del Nord, ovvero Lecco, Sanremese e Savona. Un percorso che presenta sette vittorie in dieci giornate, ma c’è chi ha fatto meglio in tal senso: ovvero il Matelica con 10 successi in 12 turni, il Tuttocuoio con nove, nonché Lecco e Mantova con otto. Compagini che, quindi, hanno anche più punti rispetto ai biancorossi, preceduti di una lunghezza pure dal Modena, a quota 25.
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Ci si aspettava che con i vari Brienza, Floriano, Neglia, Simeri e Pozzebon, la prima linea barese avrebbe macinato record su record. Stranamente, invece, i galletti sono i più prolifici solo nel girone I: allargando lo sguardo, si scopre che la truppa di Cornacchini, con 22 gol (media di 2,2 a partita) non è nemmeno sul podio delle prime linee nel #campionatoditalia. Hanno fatto meglio Matelica (28), Picerno (24), Lecco (23). A dispetto delle aspettative, è la difesa a primeggiare: il portierino Davide Marfella può gonfiare il petto perché, con soli quattro gol al passivo, è il meno battuto dell’intero pianeta D ed è riuscito a mantenere la sua rete inviolata in bene sei occasioni. Non solo. La retroguardia barese non ha mai subito più di una rete a partita. E ancora. Il Bari è primo anche in un altro particolare: ovvero, la differenza reti che segna addirittura un +18 nel computo tra i gol realizzati e quelli incassati. Segno evidente di un equilibrio tra i reparti raggiunto dalla truppa di Cornacchini. Per ultimo, il dato più importante: il vantaggio sulla seconda. Un margine prezioso, in un torneo che “promuove” soltanto la prima in classifica alla categoria superiore. Ebbene, tolto il Modena 17 novembre 2018 anno II n. 15
LE CIFRE DEL CAMPIONATO PUNTI FATTI
Matelica 30 (12) Tuttocuoio 28 (12) Lecco 25 (9) Mantova 25 (10) Modena 25 (10) Bari 24 (10)
GOL SEGNATI
Matelica 28 Picerno 24 Lecco 23 Bari 22
GOL SUBITI Bari 4 Palmese 4 Lecco 6
DIFFERENZA RETI che vanta ben sei lunghezze in più sull’immediata inseguitrice, il Bari ha già accumulato cinque punti di distacco sulla Nocerina, seconda nel gruppo I a quota 19. Un “tesoretto” che infonde tanto coraggio, sebbene sia prematuro parlare di semplice amministrazione del patrimonio fino al cinque maggio, termine della regular season. Insomma, la prima analisi si chiude con un largo attivo. Soprattutto se si pensa che, eccetto il Modena, le altre nobili decadute stanno assaporando fino in fondo l’inferno della D: dall’Avellino al Como, dalla Reggiana alla Fidelis Andria, fino al Cesena, tutte sono in preda agli incubi. Il Bari, per ora, non ha patito sofferenze.
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Bari 18 Lecco 17 Matelica 16
VITTORIE
Matelica 10 (12) Tuttocuoio 9 (12) Lecco 8 (10) Mantova 8 (10) Bari 7 (10)
SCONFITTE Bari 0 Palmese 0 Lecco 0 Sanremese 0 Savona 0
VANTAGGIO SULLA SECONDA Modena +6 Bari +5 Tuttocuoio +3
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FOCUS
LANGELLA E LA PASSIONE PER LA FILOSOFIA «MI PIACCIONO SOCRATE E LA CAPACITÀ DI TIRAR FUORI I PENSIERI DEGLI ALTRI»
Filippo Luigi Fasano
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nche i campionati che sembrano passerelle incappano in bivi alla Sliding Doors. Al Bari succede ad Acireale, al 75’ di una gara che si complica all’improvviso. Quindici minuti ancora da giocare che possono diventare un brutto quarto d’ora. Potrebbero, se in campo non ci fossero tipi come Langella. Uno che se ne frega. Di avere solo 18 anni, di essere entrato da pochissimo, di giocare in nove contro undici. Persino degli avversari che gli corrono appresso, ora che si porta avanti la palla nell’unico corridoio possibile. Cristian va, per finire la corsa là dove lo porta il cuore. Sotto il settore dei tifosi biancorossi che saltellano impazziti, dopo averlo visto siglare il 3-1. Diagonale, gol, partita: tutto in un sorso, senza pensarci su. Risoluto, senza fronzoli. In campo come quando racconta di sé e di una carriera ancora tutta da scrivere. E di quel numero che si porta sulla schiena. Dica, 33. «Nessun motivo particolare. Ce l’avevo l’anno scorso, Mi piaceva e me lo son ripreso». Arriva dal Pisa ma è nato a Livorno. Qualcosa non torna. «Ci viveva mia zia, nascere lì era più comodo per mia madre. Ma i miei si erano già trasferiti a Pisa, da Torre del Greco. Io mi sento pisano». E calcisticamente come si vede? «Tifo Napoli. Il mio idolo è Hamsik. Lui e nessun altro. In camera ho la sua maglia, in cornice. Sono riuscito anche a fare una foto assieme: per una trasferta a Livorno venne 17 novembre 2018 anno II n. 15
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Chi è «MIO PADRE HA UNA PIZZERIA E MI SEGUE SUL VIDEO IL MERCOLEDÌ PERÒ È IL GIRONO DI CHIUSURA CHISSÀ SE VERRÀ»
ad allenarsi con la squadra, vicino casa. Due anni fa l’ho visto giocare al San Paolo». Bari e Napoli hanno la stessa proprietà. Un segno? «Non sono venuto in Puglia per questo. Sono qui perchè Bari è una piazza importante, che può valorizzarmi». Come sta vivendo questa esperienza? «Sono contento dello spazio che mi sta dando il mister. Certo, la differenza fra settore giovanile e prima squadra si fa sentire. Giocatori più alti, palla più veloce. Bisogna essere sempre svegli». Con quali fra i “grandi” ha stretto di più? «Feola, Hamlili, Bollino. Ma alla fine mi trovo bene con tutti, anche con Valerio, Ciccio (Di Cesare e Brienza, nda), Simeri... Ci aiutano tanto». E con Piovanello? In campo, spesso, vi alternate, per la regola degli under. Fuori come va? «Siamo in camera assieme. Scherzare sulle sosituzioni? No, parliamo d’altro. Di ragazze? Pure». Andate alla stessa scuola? «Anche io frequentavo un liceo scientifico sportivo, a Pisa. Quest’anno, però, studio da solo. Tornerò alla mia scuola per l’esame di maturità, da privatista». Materia preferita, sport a parte? «Mi appassiona la filosofia. Socrate, in particolare. Il suo metodo, la capacità di riuscire a tirar fuori i pensieri degli altri». Musica, invece? Ci butti giù una playlist. «“Ibiza” di Ozuna, “‘Baciami” di Briga. E poi “No man, no cry”». Il messaggio più bello dopo il primo gol in biancorosso? «Mi hanno fatto i complimenti in tanti. Soprattutto i miei familiari». Li ha già avuti come spettatori, per una partita del Bari? «Non ci sono ancora riusciti, mi seguono in video. Mio padre ha una pizzeria, fa una buonissima napoletana. Chiude il mercoledì. Magari alle infrasettimanali potranno tifarmi dal vivo». 17 novembre 2018 anno II n. 15
E’ tutto in Toscana l’inizio della carriera di Cristian Langella, nato a Livorno il 7 aprile 2000 ma cresciuto a Pisa. Gli inizi sono a Zambra, una scuola calcio vicino casa, prima del passaggio ad Empoli a 10 anni. La trafila in biancoazzurro si ferma agli Allievi Nazionali, quando capisce che di spazio ne avrà poco. Lo accoglie il Pisa, dove arriva sino alla Berretti, disimpegnandosi non solo da mezzala ma anche da trequartista. Da dicembre l’allenatore nerazzurro Pazienza, originario di San Severo, lo porta stabilmente in prima squadra, facendolo esordire in serie C all’antivigilia di Natale, nel vittorioso incontro casalingo contro l’Olbia. Quando in estate è pronto a giocarsi il posto nella squadra della sua città, arriva la chiamata del Bari. All’esordio a Messina, Langella è nella mediana titolare, come mezzala sinistra. E così anche nel debutto al San Nicola, contro la Sancataldese. Nelle gare successive rCristian iesce comunque a rendersi prezioso, anche partendo dalla panchina, fino alla rete di Acireale. In famiglia ci sono altri due calciatori: un fratello minore, anche lui nel vivaio del Pisa, ed un cugino passato dalla Primavera dell’Inter.
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L’INTERVISTA
LABRIOLA L’INGIUSTIZIA DEL RIGORE DI PRUZZO
LABRIOLA È il delegato pugliese del consiglio nazionale del Notariato. Nel riquadro, quando giocava nel torneo del Don Guanella
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Michele De Feudis
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na partita persa per una ingiustizia non si dimentica mai. La fede per il Bari per molti è come un diario eterno nel quale sono segnate le pagine gioiose e quelle cupe della vita del club. Michele Labriola, notaio e appassionato dei biancorossi da decenni, ci racconta un siparietto che conferma come passione e memoria biancorossa possano creare imprevedibili corto circuiti. «Sono delegato pugliese nel consiglio nazionale del Notariato. Il nostro presidente è Salvatore Lombardo, negli anni Ottanta arbitro di serie A, già presidente dell’Aia. Fischiò un rigore assurdo contro il Bari…». A che partita si riferisce? «Portiamo indietro le lancette al Bari di Bruno Bolchi. Serie A, stagione 1985-1986. Il 16 gennaio 1986 il Bari sfida all’Olimpico la Roma. Al 90’ il risultato è di 1-1». Poi? «L’arbitro fischiò un penalty per un contatto tra Giovanni Loseto e Roberto Pruzzo, che poi andò sul dischetto e siglò il gol della vittoria giallorossa. Una vera beffa». Ne ha chiesto conto al suo presidente? «Certamente. Aveva segnato Piraccini, sentivamo il punto in tasca. L’azione fu rocambolesca. Pruzzo fece furbescamente “ponte”… Appena ho conosciuto Lombardo gli ho chiesto: “Ma come hai fatto a fischiare un rigore così inesistente?”. La risposta? Un sorriso…». Il suo primo ricordo del Bari calcio? «Risale alla fine degli anni Sessanta. Il Bari era in B. Ricordo le magie a centrocampo, al Della Vittoria, in un pre partita di Mario Fara. Palleggiava con la testa come poi fece in maniera sublime Maradona, entrando nell’immaginario sportivo italiano». Con chi andava allo stadio? «Mio padre Diego non amava il calcio: mi accompagnò solo la prima volta. Andavo con un amico di famiglia l’avvocato Vittorio Turaccio e il figlio Paolo. È nato subito un amore sportivo. Non sono un “doppiofedista”. Ho solo una simpatia per il Cagliari dai tempi di “Rombo di Tuono” Gigi Riva». Ha un gruppo di amici con cui condivide le liturgie della partita dei biancorossi? «Vado da sempre con Nicola Laforgia, Francesco Bovio e Fabio Dammicco. Prima ci vediamo al bar Moderno, rigorosamente in moto. Con noi c’è anche mio figlio Diego». Il suo rapporto con il calcio giocato: la descrivono come un calciatore dai piedi buoni. «Giocavo a pallone da piccolo sul campo in 17 novembre 2018 anno II n. 15
PRUZZO Al centravanti della Roma venne fischiato un discutibilissimo rigore all’Olimpico nella stagione ‘85-’86
terra del Circolo Tennis. Il mio primo torneo lo disputai alla parrocchia Don Guanella, a 12 anni. Alle spalle della chiesa c’era un campo pieno di terra e pietre. Ma le sfide erano accese. Arrivammo ultimi: c’erano in squadra Giampiero Spinelli e Vittorio Donadeo. La nostra maglia era proprio quella del Bari del tempo». In che ruolo giocava? «Sempre da mezzapunta, numero 10 o numero 7». Il giocatore preferito? «Da piccoli impazzivamo per Italo Florio. Rappresentava un modo di stare in campo fantasioso e irriverente verso gli avversari, con dribbling stretti che spiazzano i marcatori. Quando fu ceduto fu un dramma. Dopo ho apprezzato molto Pietro Maiellaro, strappato al Taranto, e Joao Paolo, grandi campioni di estro. Poi il biennio di Antonio Cassano». Fantantonio più croce che delizia? «È un figlio della città di Bari, ha vestito la maglia della Nazionale. La comunità deve essere fiera della sua carriera. Viste le sue potenzialità, è innegabile che la sua storia sportiva abbia avuto luci e ombre. Non è un esempio: avrebbe dovuto fare di più». Perché ha fallito? «Diversamente da altri non ha voluto annullarsi nel calcio, come ha fatto Paolo Maldini. Era attratto da altro». Il presidente-icona del Bari? «Vincenzo Matarrese, con la gestione pluriennale della sua famiglia che ha garantito un gran numero di anni nella massima serie al club. Ha acquistato giocatori di grido come Gordon Cowans o David Platt. Non a caso ora la città sportiva ha riabilitato quel pezzo di storia calcistica dopo le contestazioni del passato». Le gestioni disastrose di Gianluca Paparesta e Mino Giancaspro? 17 novembre 2018 anno II n. 15
LA CITTÀ SPORTIVA HA RIABILITATO QUEL PEZZO DI STORIA LEGATO ALLA GESTIONE MATARRESE
«La città dopo Matarrese non è riuscita ad esprimere una idea di dirigenza della società che potesse assicurare una continuità e una solidità. Non è un segnale di crisi del Sud, ma di Bari. La conclusione della gara per l’assegnazione del titolo sportivo questa estate, passata dalle mani dal sindaco Antonio Decaro, denota che questa capacità di gestire il calcio, qui, non c’è ancora». Una delle assemblee roventi della mancata ricapitalizzazione del Bari, nel giugno scorso, si è tenuta nel suo studio notarile. Immaginava un epilogo con il club liquefatto? «L’epilogo negativo non era prevedibile. Paparesta e Giancaspro in assemblea sembravano animare una contesa soprattutto legata all’assetto societario. Ma qui l’oggetto sociale è differente, è identità calcistica oltre alle quote sociali…». Agli imprenditori baresi è mancato il coraggio o il management per salvare il club? «Entrambe le cose: ci voleva il coraggio di intraprendere una iniziativa nella quale c’è bisogno di risorse ingenti». La serie D che effetto fa? «La città ha reagito bene, con tanti abbonamenti. Non era prevedibile questa affezione generosa alla squadra». Si possono amare Simeri e Floriano come Protti? «Il calcio è fatto di miti, ma la passione va contestualizzata. A me piace molto Floriano, ha grinta, voglia, velocità e senso del gol». La doppia proprietà - Napoli e Bari - per la famiglia De Laurentiis… «Oggi non è un problema, ma quando il Bari sarà in B, il nodo andrà sciolto. Il divieto normativo sulla comproprietà di due club è fondato ed evita conflitti evidenti di interesse che rovinerebbero il calcio. Intanto però pensiamo a concludere questa stagione con un festosa promozione…».
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Una delle doti migliori: corsa ed intensità per 90’ senza tradire fatica
DESTRO Preciso nel passaggio, la tecnica col piede di riferimento è superiore alla categoria
RUOLO centrocampista
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VELOCITÀ Non è uno scattista: il passo è costante, sa tenere il ritmo alto
SINISTRO Non lo disdegna, ma lo usa prevalentemente come piede d’appoggio
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IL POSTER
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ANDREA
FEOLA Data di nascita: 26-6-1992 (26 anni) Luogo di nascita: Carbonia Altezza: 182 centimetri Peso forma: 72 kg
PRESTANZA FISICA Alto, ma compatto: tosto nel corpo a corpo
COLPO DI TESTA Buona l’elevazione: in mediana si fa valere nel gioco aereo
VISIONE DI GIOCO Predilige la giocata semplice e lineare, raro vederlo in lanci di lunga gittata
PERSONALITÀ Un vero professionista: per curriculum sarebbe un titolare
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L’ESPERTO
MASSIMILIANO
TANGORRA NON DISPERDIAMOCI IN INUTILI TENSIONI È STATO UNO DEI PILASTRI DI QUEL BARI DEI BARESI CHE FECE INNAMORARE UNA CITTÀ INTERA: I TIFOSI HANNO BISOGNO DI CREDERE IN QUALCOSA. DI SOGNARE IN GRANDE, DI RISPECCHIARSI IN GENTE DI QUALITÀ. POI DANNO L’ANIMA, SENZA FRENI Antonello Raimondo
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assimiliano Tangorra, vecchio cuore biancorosso. Uno dei pilastri di quel Bari dei baresi che fece innamorare una città intera. Dal campo alla panchina. Aspettando l’occasione giusta per tornare in pista dopo la parentesi a Monopoli, il mister si concede volentieri al “Biancorosso” per una bella chiacchierata sulla squadra che lo ha lanciato nel calcio che conta. Tangorra, è stata dura ripartire. Ma il nuovo Bari sembra sulla strada giusta. «In estate, non lo nascondo, avevo tantissima ansia. Nessuno di noi pensava potesse davvero accadere quello che poi è davvero successo. In quei momenti pensi di tutto, compare la paura di non farcela». Invece poi è spuntato De Laurentiis... «Un colpaccio, ragazzi. Un imprenditore solido, un uomo ambizioso, un personaggio che ha già dimostrato di saper fare calcio. Il Napoli è un autentico gioiellino. Squadra forte e competitiva, bilanci in regola. Il massimo della vita». La partenza è stata abbastanza aggressiva.
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TANGORRA Ha allenato anche il Monopoli ed è convinto che la società bincorossa continuerà a fare le cose in grande
«Bè, se scegli di venire a Bari non puoi certo pensare di vivacchiare. Non sarebbe possibile e non riconoscerei il De Laurentiis visto a Napoli. Mercato prepotente nonostante le difficoltà logistiche e tempi strettissimi. Hanno scelto di ridurre al minimo i rischi. Una squadra di C prestata alla D. E la classifica sta lì a dimostrarlo». Qual è il rischio per una corazzata così? «Pensare che il campionato sia finito alla nona giornata. Una squadra è forte quando lo dimostra in campo. Le partite facili sono quelle già giocate, non quelle da giocare ancora. Non ho mai visto una squadra chiudere bottega a novembre. È un anno di pazienza e sofferenze un po’ per tutti, conosco la passione e l’ambizione dei baresi. Chissà che da una delusione così grande non possa nascere un percorso ricco di successi». È il Bari di Brienza? «Lui ne è indubbiamente il simbolo. Per Ciccio parla la sua storia. Giocatore di serie A, talento sprecatissimo per il palcoscenico della D pur a 40 anni. Stupendo vedere l’entusiasmo con il quale si è calato in questa 17 novembre 2018 anno II n. 15
avventura tutta nuova per lui. Il calcio ha bisogno di esempi da dare in pasto ai ragazzini. E quello di Ciccio lo è a trecentosessanta gradi». Panchina lunga, qualità in tutti i reparti. «Inevitabile quando sai che puoi solo vincere. Avere tante alternative non è mai un limite, semmai una risorsa. Certo, va gestita con grande attenzione dall’allenatore sempre ben supportato da una società forte». Molto buona anche la risposta dei tifosi, prontissimi a sottoscrivere più di ottomila abbonamenti. «Da questo punto di vista non sono sorpreso. Sono barese, vivo a Bari e, soprattutto, conosco benissimo le enormi potenzialità della gente. I tifosi hanno bisogno di credere in qualcosa. Di sognare in grande, di rispecchiarsi in gente di qualità. Poi danno l’anima, senza freni». Cosa vede dopo questo inferno chiamato serie D? «Una società che continuerà a fare le cose in grande. Ma anche maggiori difficoltà. Già in C pensare a una passeggiata come 17 novembre 2018 anno II n. 15
«AUGURO AI GIOCATORI DI OGGI DI VIVERE LE EMOZIONI CHE HO PROVATO IO»
quella di questa stagione mi viene abbastanza difficile. Però con una programmazione tecnica seria sono convinto che il Bari tornerà prestissimo nel calcio che conta. È importante, però, che l’ambiente non si disperda in inutili tensioni. Serve compattezza nella consapevolezza che vincere non è mai facile». Bari resta la squadra del cuore per Max Tangorra? «Non potrebbe essere diversamente. Cambiano i giocatori, cambiano le società, resta la maglia». Cosa augura a chi questa maglia la indossa oggi e lo farà tra uno e due anni? «Di vivere le emozioni che ho provato io. Eravamo un gruppo di ferro. Amici fuori dal campo. Io, Emiliano Bigica e Lorenzo Amoruso lo zoccolo duro barese. Poi il resto è venuto con un gruppo di uomini veri capeggiati da Sandro Tovalieri e Igor Protti. Ma l›elenco sarebbe lungo. Nessuno puntava su di noi, ma quel Bari era uno spettacolo».
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CALCIO GIOVANILE
MUTTI IL RAGAZZO DEI GOL PESANTI Francesco Damiani
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nche a 18 anni ci sono telefonate che arrivano all’improvviso e valgono più di altre. Come è successo ad Alessandro Mutti, classe 2000 di Tortona, da quest’anno in forza alla Juniores del Bari ma che da inizio stagione si allena spesso anche con i grandi di mister Cornacchini. La sua specialità stanno diventando i gol pesanti. Con una doppietta ha risolto il derby a Taranto e una settimana dopo ha realizzato il gol vittoria contro il Roccella. Alessandro, come è arrivato al Bari? «Lo scorso anno ho già giocato in serie D nel Derthona. In estate mi era arrivata la proposta del Gozzano, che era stato appena promosso in Lega Pro. Ho iniziato lì, ho fatto un periodo di prova, sono piaciuto all’allenatore e ho firmato con loro. Poi dopo pochi giorni mi è arrivata la proposta del Bari e, ovviamente, non potevo rifiutarla». Le prime impressioni da giocatore del Bari? «È un’esperienza bellissima. Finora ho trovato poco spazio in prima squadra, ma ho l’onore di allenarmi con persone importanti a partire da Brienza, ma anche Bolzoni, Di Cesare. Ho trovato subito un piazza bella, con tifosi molto calorosi e anche se per il momento sono un po’ in secondo piano, sento già l’affetto del pubblico anche giocando con la Juniores». Questa Juniores è un po’ la rivelazione del campionato. Ve lo aspettavate? «Sinceramente fino a quando non mi è arrivata la prima chiamata da mister Alfieri non stavo seguendo tanto la squadra. Sapevo però che stavano facendo ottimi risultati. Da quando sono arrivato nel gruppo, ho visto che si lavora molto bene, ci impegniamo tanto e arrivano bei risultati come la vittoria di Taranto. Penso che questo campionato si possa vincere e far bene anche a livello nazionale». E intanto magari aspettare l’esordio con la maglia biancorossa in D. 17 novembre 2018 anno II n. 15
UNA DOPPIETTA RISOLVE IL DERBY COL TARANTO, POI IL GOL VITTORIA COL ROCCELLA «IL MIO OBIETTIVO? GIOCARE QUALCHE MINUTO IN PRIMA SQUADRA»
«Quello è il mio obiettivo, giocare qualche minuto in prima squadra». Che rapporto ha con Cornacchini? «Lui in questo momento ha altre cose per la testa perché ha tante pressioni, deve vincere ed è giusto che sia concentrato su questo per cui adesso non chiedo tanta attenzione. Ci sarà tempo». Si sta integrando bene in città? «Fin dal primo giorno che sono arrivato mi hanno accolto molto bene, mi trovo benissimo. I compagni sono simpatici e anche con i giocatori della prima squadra mi trovo molto bene». C’è qualcuno della prima squadra che la sta aiutando un po’ di più, magari dandole qualche consiglio? «Consigli me li danno un po’ tutti. Se devo proprio fare dei nomi, Bolzoni e Hamlili, due persone veramente magnifiche che mi stanno aiutando molto sia dentro che fuori dal campo». Questa a Bari è la sua prima esperienza così lontano da casa. «In effetti fra Bari e Tortona c’è praticamente tutta l’Italia di mezzo. All’inizio ho fatto un po’ di fatica, poi grazie a tutti i compagni mi sto ambientando ogni giorno di più e devo dire che qui si sta davvero bene». Che tipo di giocatore è? «Fisicamente sono piuttosto alto e non molto veloce. Provo a paragonarmi a Kakà perché sono da sempre tifoso del Milan e guardavo le partite solo per vederlo. E’ chiaro che è un paragone troppo azzardato, ma ci provo. Il mio sogno è fare il calciatore, giocare ai massimi livelli, in serie A e in Champions League». Altri interessi oltre il calcio? «Sto frequentando il Liceo scientifico tecnologico però in una scuola online. Non frequento le lezioni, ma sostengo comunque interrogazioni e verifiche, ma senza obbligo di frequenza».
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AMARCORD
MARIO FARA L’INGEGNERE DEL CENTROCAMPO TONEATTO LO VOLLE A TUTTI I COSTI PER AFFIANCARLO A MUJESAN
28/9/1969 BARI-NAPOLI 0-0 Il Bari prima della gara, a sinistra: Albanese, Canè, Colombo (seminascosto), Muccini, l’allenatore Pugliese, Spimi, Colautti, Furlanis, Spalazzi, (piegato), Nerini; in ginocchio Fara, Pienti, Toffanin, Diomedi, Spadetto
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Gianni Antonucci
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ella lunga storia del Bari, Mario Fara figura fra i giocatori più tecnici e più considerati dai tifosi. Appena sedicenne molti, vedendolo giocare nell’Alessandria, sostennero che si trattava di un nuovo calciatoreprodigio, forse migliore di quel Gianni Rivera che proprio dall’Alessandria, due anni prima, era stato lanciato per approdare subito in A col Milan. Fara, comunque, non ha avuto la stessa fortuna e, quindi, la stessa carriera del suo concittadino più grande di due anni. Il suo continuo aumentare di peso gli faceva, infatti, perdere quella prerogativa di calciatore che, in condizioni normali, sicuramente lo avrebbe fatto entrare nell’Olimpo dei «più grandi» del pianeta calcio. Nato il 14-9-1945, dopo due anni con l’Alessandria in B, Fara era acquistato dal Bologna in A. Quindi, un campionato in B con il Catania e in quel periodo veniva convocato dalla Nazionale «Probabili olimpici», attirando l’attenzione dei tecnici del pallone. Fu proprio durante uno «stage» che l’allora allenatore biancorosso Lauro Toneatto valutò le doti di Fara, che venne promosso a pieni voti dai compagni di «corso» Cadè, Menestrelli, Segato. Al presidente De Palo, il tecnico biancorosso chiese di poter avere Fara per affiancarlo, soprattutto come suggeritore, a Mujesan. Il patron accontentò il tecnico a metà. Infatti, Fara arrivò al Bari ma Mujesan andò via. Senza la cessione di Mujesan sicuramente Fara sarebbe rimasto al Bologna. Invece, il Bologna, che ebbe la meglio sul Milan, riuscì a tesserare il bomber Mujesan con una strana operazione: niente denaro contante ma scambio di giocatori. Al Bari interessava Fara, che diventò biancorosso assieme a Spalazzi, Galli, Tentorio, Paganini e Tonoli. Fara, «pallino» di Toneatto, era finalmente alla «corte» barese. Se Toneatto era entusiasta, a maggior ragione lo erano i tifosi che ribattezzarono Fara, già definito «zampa di velluto», l’ingegnere del centrocampo, in grado puntualmente di servire al meglio il proprio compagno o di concludere personalmente le azioni. La sua classe contribuiva notevolmente (nonostante un’epatite) alla promozione in A del Bari nel 1969. Nella massima serie, però, lamentava incomprensione con l’allenatore Oronzo Pugliese, l’indimenticabile «mago dei poveri», il quale gli preferiva Canè, facendo spesso effettuare la staffetta tra i due. Fara, da perfetto e serio professionista, dimostrava rettitudine e buon senso tanto da meritare stima e considerazione anche dai non addetti ai lavori. Di lui si occupò, tra gli altri, il noto scrittore e commediografo Vito Maurogiovanni, il quale gli dedicò un ricordo su una rivista mensile 17 novembre 2018 anno II n. 15
dal titolo «Regia di ingegnere». Poco tempo dopo però, a causa dei problemi di peso (Fara raggiunse i 90 kg) venne soprannominato «il transatlantico». Sono tanti gli episodi con Mario Fara protagonista in biancoross. Con il ritorno di Toneatto alla guida del Bari nel 1970 (dopo la stagione in A prima con Pugliese e poi con Matteucci), per il suo «sorriso» e per quel viso di eterno fanciullone, i tifosi lo paragonarono a Dik Fulmine, il popolare personaggio dei fumetti degli Anni Ruggenti. Straordinario il derby contro il Taranto, al «della Vittoria»: il Taranto passò in vantaggio dopo 13 minuti con un pallone di Tartari che Spalazzi, forse per eccessiva sicurezza (difetto spesso riscontrato nei grandi portieri), tentò di agguantare, indietreggiando, senza rendersi conto di avere, piedi e mani, oltre la linea. L’arbitro Motta di Milano, a due passi, convalidò la rete dei tarantini. Nella ripresa, ancora Busilacchi (che aveva dato la vittoria a Pisa e che i critici consideravano «dallo strano cognome» tanto da meritarne un altro più appropriato: senso del gol) segnò la rete del pareggio e a due minuti dalla fine Mario Fara, con i suoi 90 chili fu spinto a terra, in piena area, da Pelagalli. Motta – così come nell’azione del gol assegnato a Tartari – a due passi dall’azione, fischiò il rigore pere del Bari. Tirò Fara e segnò. Da temerario, Motta assegnò ulteriore thrilling al derby: fece ripetere il rigore perché in area, al momento del tiro di Fara, era entrato Sega. Nulla da eccepire tranne il «coraggio» di Motta. Fara, anche 17 novembre 2018 anno II n. 15
PUGLIESE LO PREFERÌ A CANÈ: UNA SINGOLARE STAFFETTA
lui temerario, concesse il «bis» spegnendo così il vulcano della delusione e riaccendendo quello dell’entusiasmo: stesso tiro, ma dall’altro lato. Due punti che portarono il Bari al primo posto, da solo in testa alla classifica. Di episodi simili ce ne sono altri, sempre con Fara in primo piano. Fra serie A e B il giocatore ha totalizzato oltre 350 partite segnando 49 gol. Dopo il Bari, è stato tesserato con Monza e Arezzo. Col Bari, comunque, vanta quattro stagioni, una di A e tre di B per un totale di 133 presenze e 25 gol. Ad Arezzo concluse la sua carriera e si stabilì con la moglie Grazia e i due figli Luca e Marco. A chi lo andava spesso a trovare, ricordava quel primo posto raggiunto in B dopo il derby (2-1) col Taranto del 15 novembre 1970. E parlava del momento difficile del presidente a caccia di un aiuto finanziario. L’iniziativa di lanciare una sottoscrizione «pro-Bari» otteneva l’adesione di solo 3 tifosi che acquistarono 5 azioni di 50mila lire ciascuno. «Il prof. De Palo – ricordava Fara – persona di grande livello e prestigio, fu costretto da solo ad aumentare il capitale sociale a 250 milioni». Ripeteva spesso quello che aveva detto all’inizio del campionato e poi concretizzato con lo 0-0 a Monza il 22 giugno 1969 con la promozione nella massima serie: «Forse i tifosi torceranno molte volte la bocca per il gioco che praticheremo. Alla fine, però, saranno contenti di noi perché riporteremo il Bari in A». Così accadde. Mario Fara, purtroppo, ci ha lasciati nel 2005 a 60 anni.
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IL PERSONAGGIO
SCIACOVELLI
QUELLA PARTITA SCOLPITA NEL CUORE Chi è
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Saverio Sciacovelli è nato a Bari Vecchia il 17 febbraio 1944. Dopo aver fatto la trafila nel settore giovanile biancorosso, esordì nel Bari il 17 settembre 1961 nella partita in casa contro il Genoa (0-1) allo stadio “Della Vittoria”. Ceduto in prestito al Brindisi, passò poi al Martina disputando in 10 stagioni 248 gare con 25 gol all’attivo, oltre ad una promozione in D e una in C (due campionati giocati). Successivamente indossò la maglia del Bitonto per due anni in serie D. Oltre 700 gare giocate. Nel 1980 a Putignano fu uno dei protagonisti della promozione in serie D. L’ultima parentesi a Castellana dove chiuse la carriera a 36 anni.
Nicola Lavacca
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n’unica, sola partita con la maglia del Bari che resta scolpita nel cuore e nella mente di Saverio Sciacovelli. Era il 17 settembre del 1961, in uno stadio «Della Vittoria» come sempre gremito. I biancorossi, allora in serie B, sfidarono il Genoa che poi vinse con un gol di Bolzoni nei minuti finali. Ma, per il 17enne estroso e intrepido attaccante nato nel borgo antico fu ugualmente una grande emozione esordire nella squadra della propria città. Purtroppo, il sogno durò solo lo spazio di novanta minuti, un’amarezza mai sopita che ancora oggi si porta dentro. «Ho sempre avuto una passione irrefrenabile per il calcio – racconta -. Sono cresciuto a pane e pallone, giocando per strada tra i vicoli della città vecchia. Abitavo in via Bianchi Dottula a due passi dalla Cattedrale. Dopo aver conseguito la terza media, cominciai a fare il meccanico. Appena 13enne approdai nel settore giovanile del Bari grazie a Michele Gravina, vero scopritore di talenti. Lavoravo in officina fino a mezzogiorno, andavo ad allenarmi e poi tornavo nuovamente in bottega. Sacrifici tanti, ma anche una grande voglia di diventare calciatore». Brevilineo per via della sua altezza di un metro e sessanta, era la classica ala destra. Dotato di piedi buoni, saltava gli avversari con i suoi dribbling ubriacanti calibrando cross millimetrici e assist pregevoli per le punte. La lunga trafila nel vivaio biancorosso fino al momento tanto atteso. «Durante l’esperienza nel settore giovanile avevo avuto due maestri del calibro di Tommaso Maestrelli e Onofrio Fusco. Alla terza giornata di quel campionato di B ’61-’62, arrivò la mia grande occasione. L’allenatore del Bari era Allasio e in squadra c’erano dei veri colossi come Magnanini, Catalano, Carrano, Conti, Mazzoni, Cicogna. Quando il tecnico mi disse che avrei debuttato contro il Genoa, consegnandomi la maglia numero 7, mi sembrò di toccare il cielo con un dito. Ricordo ancora il momento in cui entrai in campo. Mi venne un groppo in gola nel vedere lo stadio stracolmo. Ero orgoglioso di indossare quella casacca, io che ero fiero e lo sono tuttora di essere nato a Bari Vecchia. Purtroppo, però, dopo quella indimenticabile domenica non ci fu più posto per me nell’undici titolare. Allora non erano previste le sostituzioni durante le partite. Non la presi bene, provai una grande delusione. Probabilmente, la società preferì puntare sui giocatori più esperti. Dopo aver capito che 17 novembre 2018 anno II n. 15
LA SQUADRA STAGIONE 61-62
L’ATTACCANTE NATO NEL BORGO ANTICO HA INDOSSATO UNA SOLA VOLTA LA MAGLIA DEL BARI AVEVA 17 ANNI: UN’EMOZIONE INDIMENTICABILE IN CARRIERA HA DISPUTATO OLTRE 700 GARE per me non c’era più posto, decisi di cambiare aria». L’anno seguente Sciacovelli andò in prestito al Brindisi, poi lasciò il Bari definitivamente per accasarsi al Martina in Prima Categoria (l’Eccellenza di oggi ndr). Dieci stagioni memorabili in maglia biancazzurra con ben 248 presenze e 25 gol segnati, oltre alle due promozioni in D e in serie C. Poi altri due campionati di serie D col Bitonto. In carriera ha collezionato oltre 700 gare giocate e innumerevoli prodezze. Sciacovelli ha appeso le scarpe al chiodo nel 1980, dopo aver portato il Putignano in D e vissuto l’ultima parentesi al Castellana. Ancora, oggi nonostante i 74 anni suonati, indossa tuta e scarpette bullonate per insegnare ai più 17 novembre 2018 anno II n. 15
In piedi: Catalano, Magnini, Mazzoni, Magnaghi, Baccari, Conti Accovacciati: Sciacovelli, Calzolari, Cicogna, Carrano, Romano
piccoli. «Il campo di calcio è tutta la mia vita. Dopo aver allenato fino a due ani fa i ragazzi del Di Cagno Abbrescia adesso mi dedico ai bambini della parrocchia della Resurrezione a Japigia. Il Bari lo seguo sempre con grande interesse. Mi è dispiaciuto molto che sia caduto tra i dilettanti. Però, le grandi squadre sanno rialzarsi. Mi fido molto di De Laurentiis che può riportare in alto i biancorossi. In D siamo solo di passaggio. Io ho disputato ben 7 campionati nell’allora Quarta serie. Le insidie ci sono sempre, ma credo che il Bari vincerà a mani basse. È una formazione superiore a tutti come sta già dimostrando sul campo. Ci vorrà solo un po’ di pazienza, ma torneremo presto nel calcio che conta».
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A SPASSO COL BARI
GELA
Gianluigi De Vito
LA CITTÀ DEL MITO GUARDA MALTA E L’AFRICA, GIRA LA TESTA D’ORIENTE VERSO IL PELOPONNESO COME UNA DEA INCASTONATA IN UN SISTEMA DI FORTIFICAZIONI LE MURA TIMOLENTEE DI CAPOSOPRANO
LA STORIA Bagni greci di Gela, gli stabilimenti termali venuti alla luce nel 1957, datati all’epoca ellenistica
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ito, storia, paesaggio, cultura: Gela. Praticamente Grecia. Ovvero, Sicilia. Per l’onda biancorossa che si muove con la marcia trionfale di una capolista conosciuta in ogni dove, il ritorno nell’Isola è un tuffo nella preistoria e storia mediterranea che vale la pena affrontare nonostante il periodo scomodo della fine di novembre e i 640 chilometri di distanza (nove/dieci ore di auto, calcolando il traghettamento dello Stretto). La traccia moderna indelebile è il petrolchimico che Enrico Mattei volle agli inizi degli Anni Sessanta e che ha messo benzina al Mezzogiorno d’oltre-Isola. La raffineria è in riconversione e gioca la scommessa più difficile, quella di assumere le vesti pulite di un mega impianto di biocarburanti. Nel frattempo Gela guarda Malta e l’Africa, gira la testa d’oriente verso il Peloponneso come una dea incastonata in un sistema di fortificazioni, le mura timolentee di Caposoprano, che sono una delle testimonianze archeologiche più apprezzate della Sicilia. Parliamo di una cittadona, sia chiaro: il più grande centro in provincia di Caltanissetta. E i 75mila abitanti sono la cifra di un’economia che se ha rottamato parte delle attività industriali del petrolchimico realizzato nel vallone Maroglio, non ha perso l’ala protettrice delle strutture interne della costa meridionale della Sicilia. Una costa che tra le foci dei fiumi Gela, appunto, e Acate ha consegnato un robusto numero di produttori di cereali, legumi (e cotone) e di frutta. Non solo agricoltura, perché il porto traina non solo biomasse. D’altra parte è l’unico scalo, lungo il tratto vasto del litorale basso e paludoso compreso tra Licata e Scoglitti. Questo per dire che a Gela non c’è angolo del sapore che non risenta dell’influenza di una lingua di terra bagnata dal mare e dunque fertile e rigogliosa. Ma è alla storia millenaria che Gela deve la sua fortuna. Tanto che una visita (imperdibile) al museo archeologico vale quasi come un anno di lezioni speciali di arte elle17 novembre 2018 anno II n. 15
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LOREM IPSUM
nica. Insomma, il consiglio è: figli al seguito, e immersione al museo. Abitata nel neolitico, e tremila anni prima di Cristo dai Sicani prima e dai Siculi, poi, Gela sorge come colonia cretese e di Rodi, nel VII a.C. e fondò a sua volta Agrigento. È stata una delle più potenti città-Stato della Sicilia quando era governata d Cleandro e Ippocrate (498-49). Assalita poi dai cartaginesi (405) venne ricostruita da Siracusa e Timoleonte fece riedificare le mura abbattute. Fu Federico II nel 1230 nella città di Finziade (Licata) furono raccolti gli abitanti messi in fuga in precedenza dai mamertini, a dare a quel luogo il nome di terranova. Che nel 1927 diventerà Gela. Per restare all’arte a cielo aperto, nella ricostruzione di Timoleonte è evidente un disegno urbanistico: tutta la collina fu cinta di mura possenti, costruite in pietra nella parte inferiore e in mattoni crudi in quella superiore; le strade erano ortogonali, e i quartieri adiacenti all’acropoli hanno una complessa disposizione a terrazze per via della conformazione del terreno. E nella zona di Capo Sovrano (da visitare assolutamente) sono evidenti anche i tratti più antichi delle terme. Il resto lo fa la produzione di ceramiche nel periodo arcaico (lastre di edifici, statuette votive) e quella di monete. Chiaro adesso perché il museo merita la visita? È in Corso Vittorio Emanuele 1, tel. 0933 912626 ed è aperto di domenica fino al tardo pomeriggio. La cronaca rosa dice che Gela è la città di nascita del tronista del circo di Uomini e Donne di Maria De Filippi, Andrea Damante, e quella politica svela che è la città dell’ex presidente della Regione siciliana Salvatore 17 novembre 2018 anno II n. 15
Crocetta. Calcio a parte, il resto degli sport non annovera squadre e categorie d’alto livello. Ma la città merita eccome. Soprattutto per i suoi sapori. Vasta la scelta dei locali. Da segnalare: il «Tinchitè», primo di trofie con guanciale affumicato, crema al pistacchio, burrata, mandorle e scorze di limone al «Disiu Bistrot» di Nicola Guerreggiante in vico Santa Lucia 9 (centro storico, 15-20 euro, cell 349 1261236), e i bucatini con sarde, finocchio selvatico, uva passa e pinoli all’«Antida» (lungomare Federico II di Svevia, 15-30 euro, cell. 392 0714532). E per dormire: B&B «Il Borghese» nel centro storico e sul lungomare l’«Hotel Sole». Buona vita.
Mostra fotografica “Fotografare lo sport, una storia d’amore”. E’ il titolo della mostra fotografica di Sergio Scagliola che sarà visibile fino al 25 novembre nella biblioteca comunale “Giuseppe D’Addosio” di Capurso. Scagliola, pubblicista, esperto in stampa e tecniche fotografiche, collaboratore fotoreporter presso Today Press, specializzato nella fotografia sportiva, per due volte vincitore del premio “Campione”, plurimenzionato all’International Photography Awards, menzione d’onore a Orvieto Fotografia, ha ottenuto le menzioni d’onore al Moscow International Photo Awards e al Prix 3 de la Photographie Paris, le sue foto sono state pubblicate su diversi organi di stampa, tra cui La Gazzetta del Mezzogiorno, il Guerin Sportivo, l’agenzia Grazia Neri di Milano e la Gazzetta dello Sport. E’ una delle “firme” fotografiche più apprezzate anche del magazine “Il Biancorosso”.
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L’AVVERSARIO
PALMESE UNA DIFESA
GRANITICA Vito Prigigallo
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na squadra nata due volte, la Palmese. Nel 1912 (o forse nel 1918 o forse, chissà, nel 1919) con la fondazione dell’Unione Sportiva. E poi nel 1980. In una sera di mezza estate, Gino Cardone, un avvocato molto noto a Palmi, unì le velleità di Football Club e Vigor, ripartendo dalla Prima Categoria e sbarcando quasi subito nella neonata Interregionale. Una Quarta Serie frequentata spesso, anche con grandi nomi in panchina: da Fausto Silipo nella stagione 84/85 all’uruguagio Washington Cacciavillani, nell’86/87. In tempi più recenti, dopo il cambio di denominazione che porta ad un altro risorgimento, griffato Unione sportiva Palmese asd, nel 2015 arriva la vittoria dell’Eccellenza e quindi, ritrovata dopo 27 anni la D, ecco le tre stagioni di fila nel #campionatoditalia, con il 6° posto della primavera 2017 come miglior risultato di sempre dei neroverdi. A dire il vero, giusto per restare al racconto del passato, la squadra di Palmi (cittadina di oltre 18mila abitanti affacciata sul Tirreno, nella Città Metropolitana di Reggio Calabria) ha frequentato anche la C. Certo, era la protostoria del calcio: poco prima della Seconda Guerra Mondiale, finì all’8° posto nel Girone H dopo aver trionfato nella Prima Divisione Calabria. Il presente ci racconta invece una squadra che rischia di diventare la rivelazione della stagione. Il successo in casa della Sancataldese, infatti, ha confermato che la formazione allenata da Ivan Franceschini, è tosta, caparbia, determinata, testarda. Insomma, un avversario complicato, imbattuto fino a domenica scorsa e che mercoledì, nell’impegno infrasettimanale, ha affrontato il Rotonda, ultimo in classifica. RECORD Uscita indenne da tutti gli impegni, ha un fiore all’occhiello: lo zero nella casella delle sconfitte: 2 vittorie in casa (e un pari) e una lontano dal “Giuseppe Lopresti”, con l’aggiunta di ben 4 ex-aequo. Segnano pochissimo i reggini (mercoledì si sono affrontate le due formazioni più anemiche del 17 novembre 2018 anno II n. 15
LA SQUADRA Lo stemma e,in alto, la squadra granata impegnata nel campionato di serie D
torneo con 7 gol a testa fino a domenica), ma hanno una tenuta difensiva straordinaria: 4 reti al passivo, una in più del Bari. Quella pugliese e quella calabrese sono le migliori retroguardie della Quarta Serie. Un bel record. CRONACA NERA I pianigiani sinora paiono non risentire della crisi societaria che ha portato al commissariamento (l’amministratore giudiziario è Domenico Larizza). L’associazione sportiva, infatti, è finita nel tritacarne di un’indagine della Guardia di Finanza sulla gestione di fondi di patronati e organizzazioni sindacali con base logistica nel Reggino, ma con ramificazioni altrove in Italia: uno dei soggetti sequestrati è proprio la Palmese. Il 14 settembre la notizia appare certa: il Girone I sarà zoppo: “La Palmese quasi sicuramente non giocherà: da un lato travolta da un’inchiesta giudiziaria che ha portato al sequestro del club, dall’altra il curatore fallimentare non è riuscito a raccogliere gli oltre 18mila euro per fronteggiare il minimo richiesto per partire”. Invece… L’ALLENATORE Dopo aver giocato con Reggina, Torino, Genoa e Olympique Marsiglia e aver guidato il Gallico in Eccellenza, la Juniores della Reggina e poi essere stato secondo di Ciccio Cozza e Karel Zeman nella squadra dello Stretto, Franceschini è stato presentato a metà settembre, dopo il crack, quando ormai pareva essere calato il sipario. Quarantadue anni fra poche settimane, parmigiano di Fornovo, si è trasferito a Reggio Calabria dove si è sposato. GIOVANISSIMI Adamzaki Silaka Ouattara è un attaccante ivoriano di 20 anni che ha risolto il match di San Cataldo, la sua ex squadra. Ha cominciato a giocare nella squadra del Centro di accoglienza di Mineo. Altri elementi di spicco sono il difensore esterno destro Angelo Bruno (21 anni), il mediano Ciro Lucchese (22). Molto bassa l’età media del roster: 21 anni. Alimentano l’anagrafe, il 27enne Pasquale Trentinella, ala destra, e il difensore mancino Nello Gambi (31).
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MAGLIA 1939-1954
LA MAGLIA CON LA V ROSSA PEZZO UNICO IN QUARTA SERIE Il Nostro Bari
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on l’adozione definitiva dei colori della città, il bianco e il rosso, ecco che nel 1939 vengono introdotti nel panorama calcistico italiano i numeri di maglia che - nel caso delle casacche baresi - sono di colore rosso ben distinguibili sul campo bianco della divisa, utilizzati per la prima volta in occasione della gara casalinga vinta contro il Napoli per 1-0 il 17 settembre dello stesso anno. Negli anni antecedenti il secondo conflitto mondiale i galletti indossano la ormai collaudata divisa bianca che si fregia però di un girocollo foggiato a V rosso. Con la ripresa dell’ attività agonistiche nel 1946 fa il suo debutto sulla maglia da gioco il colletto, sempre di colore rosso, accompagnato da un bottone bianco. In questi anni però viene dato molto spazio anche alla tonalità da trasferta, ovvero il rosso acceso, i cui numeri sono bianchi, connubio che accompagnerà il settimo posto conquistato nella stagione 1946-47. Nel settembre del 1947 la squadra allenata da Kutik è di scena sul campo dell’Atalanta, per la prima di campionato, con una polo bianca che presenta una inconsueta ed ampia banda orizzontale rossa all’altezza del petto. Tuttavia questa tipologia di divisa sarà alternata a quella bianca priva di banda e alla complementare rossa con colletto bianco. L’annata successiva, nelle stagione 1948-49, c’è una variazione nel kit da gioco: i calzoncini che da sempre erano stati bianchi o rossi divengono neri, anch’essi indossati a fasi alterne. Degna di nota è la sfida tra Bari e Vicenza giocatasi il giorno di San Silvestro del 1950 in B: il Bari indossa la divisa a strisce nero e azzurre arrivata da Bisceglie per fronteggiare l’evidente mancanza nei magazzini della società barese. L’anno seguente con la retrocessione in C ecco una casacca rossa con maniche e colletto bianchi e polsini rossi, molto simile a quella dell’Arsenal apparsa qualche anno più tardi. I calzoncini restano bianchi ma l’altra novità riguarda i calzettoni, a strisce biancorosse. Una variazione di tutto spessore, e destinata a rimanere unica nella storia delle divise biancorosse, riguarda la IV serie del 1952-53 quando Voros e compagni sfoggiarono una inusuale casacca bianca con una V rossa molto estesa, uguale a quella presente da sempre sull’uniforme del Brescia. Questa fantasia non verrà mai più ripresa nel corso della storia ultracentenaria del club pugliese. Resterà impressa nella mente dei tifosi baresi la formazione che il 27 giugno del 1954 in quel di Napoli sconfisse il Colleferro e venne promossa in C, perché i galletti utilizzarono le casacche azzurre offerte dai partenopei.
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LA CLASSIFICA 1
Bari
24
2
Nocerina
19
3
Turris
18
4
Gela
17
5
Marsala
16
6
Palmese*
15
7
Locri*
14
8
Castrovillari
14
9
Portici
13
10
Roccella
12
11
Sancataldese
11
12
Cittanovese*
11
13
Troina
10
14
Acireale
10
15
Città Messina
9
16
Messina
8
17
Igea Virtus
6
18
Rotonda*
4
* una partita in meno
BR
il
LE PROSSIME PARTITE domenica 18 novembre ore 14.30 BARI - palmese domenica 25 novembre ore 14.30 gela - bari Hai commenti, consigli, suggerimenti? Scrivi a:
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17 novembre 2018 anno II n. 15