art window since 1895
Unter der Schirmherrschaft der Stadt / Con il Patrocinio del Comune di:
Federico Romero Bayter Galerie Hofburg Hofgasse 5 - Via Vescovado 5 I-39042 Brixen - Bressanone (BZ)
Exhibition: 04.10. - 27.10.2014
T. & F. +39 0472 832 080 info@kompatscher.eu www.kompatscher.eu Owner: Jakob Kompatscher Curator: Vittoria Coen Promoter: Roberto Mazzacurati Exhibition installation: Cristoph kofler Concept e design:
Printed September 2014
Federico Romero Bayter
LABIRINTI URBANI Di Vittoria Coen
Federico Romero Bayter è nato in Colombia, ha poi studiato a Milano all’Accademia di Brera e oggi vive a Genova, misteriosa e affascinante città di mare e di storia. Egli porta dentro di sé entrambe le due culture, quella dell’America latina e quella dell’Italia in una ricca polifonia di colori, suggestioni e segni. Come lui stesso dichiara “ha disegnato da quando è nato” e ha respirato nella sua famiglia l’amore per l’arte. Dei due “mondi” nei quali ha vissuto e vive, riconosce una affinità nelle passioni e nella spiritualità religiosa. Questi due mondi, con le loro contraddizioni, entrano prepotentemente nel suo lavoro fino a fondersi come per magia negli slanci del tratto, e nell’uso sicuro del pennello. Tutto parte, dunque, dal disegno (lui li chiama “disegni per progetti”); segni veloci mano a mano delineano, accavallandosi e intrecciandosi, un groviglio di linee fatto di fughe prospettiche che reinventano la percezione di città, palazzi, strade. I paesaggi urbani di Bayter sono delle vere e proprie visioni, che, nonostante siano “fissate” sulla tela, portano l’occhio di chi osserva a studiare i molti dettagli della narrazione come se vedesse un film. Vi è uno straordinario movimento in queste immagini che fotografano la storia e il sogno dell’artista e che uniscono in simbiotica fratellanza, lo spirito inventivo e il rigore architettonico. Essi sono luoghi, ma diventano non luoghi nel momento in cui Bayter reinventa la natura della città, con le sue piazze, i suoi ponti e le sue luci ed ombre (l’aura degli oggetti artistici, in questi casi le architetture, e l’aura degli oggetti naturali, di cui parla Benjamin, come per esempio i cieli, che in Bayter non sono sfondi ma creazioni artistiche ). Sarà capitato a molti, immagino, di trovarsi in Piazza San Marco a Venezia di sera, con l’acqua alta che invade la pavimentazione e crea uno straordinario effetto specchiante. La Chiesa della Salute e i palazzi intorno sono sopra i nostri occhi e sotto i nostri passi.
Anche solo guardando i disegni dell’artista già troviamo tutto questo, materia e segno che vengono amplificati nei dipinti ad olio di cui questa mostra, con lavori recenti e recentissimi, rappresenta una straordinaria testimonianza. Capitolo degno di ulteriore approfondimento è quello relativo alle città (Londra, New York, Istanbul…), realizzate quest’anno, dove, tra cieli squarciati da effetti cromatici dirompenti, campeggiano bandiere e stemmi dei paesi ai quali le città appartengono e sui quali Federico Romero Bayter crea i suoi interventi pittorici. C’è dunque un riconoscimento, un senso di appartenenza, di identificazione dei luoghi, anche se questi stessi luoghi vengono reinventati e interpretati dall’artista. Colori forti quali rosso, verde, blu, riscaldano l’atmosfera già fiammante di segni e labirinti che contraddistinguono il suo lavoro, e squarciano l’orizzonte. Sono opere potenti realizzate nel consueto suo stile deciso che non lascia nulla al caso. Tornano alla memoria i temi legati alla geografia del mondo rappresentati nell’arte contemporanea da alcuni degli artisti più interessanti del panorama internazionale, non per creare affinità stilistiche ma per sottolineare l’importanza che la rappresentazione della bandiera ha avuto ed ha per raccontare idee e poetiche. Pensiamo alla moltiplicazione e sovrapposizione della bandiera americana creata alla fine degli Anni Cinquanta da Jasper Johns, una sorta di ready made sui generis in atmosfera New Dada, o alla lapide tricolore di Salvo, o alle notissime Mappe di Alighiero Boetti, arazzi con geografie di paesi assemblate e ricomposte insieme con bandiere, opere che ridisegnano il mondo. La geografia nell’arte diventa geopolitica, in cui la bandiera non è più l’espressione orgogliosa, retorica e simbolica della forza di una nazione, come nell’arte realista di certi regimi totalitari, ma può essere insinuante domanda sul tema dell’appartenenza, può diventare un brand, allo stesso modo del marchio di
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una bevanda famosa come la Coca Cola, o della Campbell’s di warholiana memoria, così come della benzina Esso di Schifano; ma la bandiera può essere un auspicio, come nel caso di Bayter, a mio avviso, per una visione aperta e simultanea delle varie identità. Nel suo mondo, a partire dai suoi studi, sentiamo il respiro dei dipinti di Giacometti, delle contorsioni cromatiche di El Greco, dei bianchi e neri di Kiefer (alcuni degli artisti più amati da Bayter). Pur nella loro leggerezza e ariosità i suoi lavori riescono ad essere densi di materia che si manifesta come energia vitale e corrisponde perfettamente allo slancio, alla passione che l’artista mette nella propria ricerca. La pittura è certamente un medium, che però consente di arrivare al cuore di un percorso coerente e in continua evoluzione. Bayter non usa le cosiddette nuove tecnologie, e affronta direttamente lo spazio con gli strumenti che ha: il pensiero e le mani. Non è affatto comune, infatti, che un artista, oggi, in un momento storico in cui le macchine fotografiche digitali e i programmi al computer sembrano aver spodestato la componente del fare più ricca di memoria storica, l’artista si debba confrontare con quelle che a mio parere a volte sembrano modalità legate più ad un “trend”, ad una apparente comodità di approccio. È come se ci si trovasse di fronte ad una corrente, ad una ideologia che disdegna anche solo l’idea della pittura, e che preferisce il ready made, magari saccheggiando il lavoro e l’ispirazione di grandi artisti delle avanguardie storiche del Novecento, per mutarlo nel nuovo packaging più “attuale” (parola che con l’arte non avrebbe in teoria molto spazio). E poi ci sono gli artisti che si “sporcano” con coraggio e che si confrontano con i problemi strutturali e tecnici che i materiali quali l’olio o il legno o il ferro pongono giornalmente. Questi due mondi a volte sembra non dialoghino affatto, ma questo non fa altro che indebolire il valore dell’arte e della cultura, il suo significato libertario e liberatorio. Oggi, che teoricamente
si può fare di tutto, il sistema dell’arte si trova imbrigliato nelle fazioni stilistiche e nei pregiudizi, non molto meno di quando, nell’epoca della nascita del Movimento Informale nel secondo dopoguerra, chi dipingeva una forma che poteva davvero assomigliare a quella di un albero, veniva accusato di passatismo. Oggi, al contrario, la critica tende a definire la forma dell’informale, e lo fa con sessant’anni di ritardo, ma le revisioni sul passato purtroppo non sono metodo per la comprensione del presente. E per citare il titolo di una mostra di Federico Romero Bayter …che “interpreta” Ferrara, possiamo e dobbiamo parlare sempre di interpretazioni, per tutto quello che riguarda la conoscenza e il sapere organizzato. Bayter è artista del suo tempo a tutti gli effetti e in lui la pittura diventa spazio tridimensionale, architettonico, prospettico. Il vitalismo del suo fare ci viene trasmesso senza velature, e senza intricate e solipsistiche motivazioni. Certamente il suo io più profondo è sempre presente, e continua la sua ricerca, ma già i molteplici riconoscimenti che sta ottenendo in Italia e fuori dai confini nazionali gli stanno dando ragione. Nell’abbracciare, dunque, luoghi e nazioni diverse è come se abbracciasse la globalità del mondo pur delineando ed evidenziando le specifiche differenze. E questo è il miglior modo di essere artista, alla ricerca di una sua bellezza ideale.
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STÄDTESTÄDTESCHLUCHTEN SCHLUCHTEN Von Vittoria Coen
Von Vittoria Coen
Federico Romero Bayter wurde in Kolumbien geboren, studierte dann in Mailand an der Accademia di Brera und lebt heute in Genua, einer Stadt, die ihren Mythos und ihre Faszination aus der Nähe zum Meer und der Fülle an Geschichte bezieht. Der Künstler vereint in sich beide Kulturen, jene Lateinamerikas und auch jene Italiens, und verleiht ihnen Ausdruck in einer reichhaltigen Polyphonie der Farben, Suggestionen und Zeichen. Er selbst sagt von sich, er habe „gezeichnet, seit er geboren wurde“, die Liebe zur Kunst wurde ihm in die Wiege gelegt. In den beiden Welten, in denen er gelebt hat und lebt, erkennt er ähnliche Leidenschaften und religiöse Spiritualität. Diese beiden Welten verschaffen sich - mit ihren Gegensätzen - vehement Eingang in seine Arbeit und vereinen sich wie durch Zauberhand in den Schwüngen der Linien, im sicheren Umgang mit dem Pinsel. Alles beginnt also mit der Zeichnung (er nennt sie „Projektzeichnungen“); schnelle Zeichen, die sich ineinander verschränken und miteinander verflechten und so allmählich ein Gewirr aus Fluchtlinien bilden, welche die Wahrnehmung von Städten, Gebäuden und Straßen neu erfinden. Die städtischen Landschaften von Bayter sind echte Visionen, die zwar auf der Leinwand fixiert sind, dem Auge des Betrachters aber dank der zahlreichen Details der Erzählung vorgaukeln, es sähe einen Film. Es gibt außergewöhnlich viel Bewegung in diesen Bildern, die die Geschichte und den Traum des Künstlers fotografieren und die in brüderlicher Symbiose Erfindergeist und architektonische Klarheit vereinen. Es sind Orte, die zu Nicht-Orten werden in dem Moment, da Bayter das Wesen der Stadt neu erfindet, mit ihren Plätzen und Brücken, ihren Lichtern und Schatten (die Aura der künstlerischen Objekte, in diesen Fällen die Architektur, und die Aura der natürlichen Objekte, wie sie Benjamin beschreibt, wie etwa die Himmel, welche bei Bayter nicht Hintergrund sind, sondern künstlerische Kreationen). Es ist wohl schon vielen so ergangen, denke ich, dass sie abends auf dem Markusplatz in Venedig standen, als das Hochwasser den Boden überflutete und dabei einen ganz besonderen Spiegeleffekt erzeugte. Santa Maria della Salute
und die Gebäude der Umgebung befinden sich über unseren Augen und unter unseren Füßen. Auch beim bloßen Anschauen der Zeichnungen dieses Künstlers finden wir all das, Materie und Zeichen, die in den Ölzeichnungen noch verstärkt werden, von denen diese Ausstellung neuer und ganz neuer Werke außergewöhnliches Zeugnis gibt. Ein Kapitel, das eine eingehendere Betrachtung wert ist, ist jenes der Städte – London, New York, Istanbul… - eine Bilderreihe aus diesem Jahr, wo an von blitzenden Farbeffekten durchbrochenen Himmeln die Flaggen und Wappen jener Länder hervortreten, in denen sich diese Städte befinden und auf denen Federico Romero Bayter seine Bilder schafft. Es besteht also durchaus ein Wiedererkennen, ein Gefühl der Zugehörigkeit, der Identifikation der Orte, auch wenn diese Orte vom Künstler neu erfunden und interpretiert werden. Kräftige Farben, rot, grün, blau, erhitzen die Atmosphäre zusätzlich, die bereits in den für seine Arbeit typischen Zeichen und Labyrinthen leuchtet, und durchbrechen den Horizont. Es sind kraftvolle Bilder in seinem gewohnt klaren Stil, der nichts dem Zufall überlässt. Unwillkürlich drängen sich dem Betrachter mit der Geographie der Welt verbundene Themen auf, die in der zeitgenössischen Kunst von einigen der interessantesten Künstler auf internationalem Parkett verkörpert werden, wobei hier nicht die Suche nach stilistischen Ähnlichkeiten im Vordergrund steht, sondern vielmehr die Bedeutung, welche die Darstellung der Flaggen stets hatte und noch hat, um Ideen und Poetik zu vermitteln. Da ist etwa die Vervielfältigung und Überlagerung der amerikanischen Flagge Ende der 50er Jahre durch Jasper Johns, eine Art Objet trouvé sui generis in der Atmosphäre des Neo-Dadaismus, oder der Trikolore-Stein von Salvo, oder die bekannten Landkarten von Alighiero Boetti, Wandteppiche mit der geographischen Darstellung der Länder mittels Flaggen, Werke, die die Welt neu zeichnen. Die Geographie wird in der Kunst zur Geopolitik, in der die Flagge nicht mehr der stolze, rhetorische und symbolische Ausdruck der Kraft einer Nation ist, wie in der realistischen Kunst bestimmter totalitä-
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rer Regime, sondern sie kann die Frage nach der Zugehörigkeit andeuten, sie kann zum Markenzeichen werden, gleich wie die Marke eines bekannten Getränks wie etwa Coca Cola, oder Campbell‘s von Warhol, so wie Esso von Schifano; doch die Flagge kann auch das Streben verdeutlichen – und tut es meiner Meinung nach im Falle Bayters auch – nach einer offenen und gleichzeitigen Sicht auf die verschiedenen Identitäten. Ausgehend von seinen Studien verspüren wir in seiner Welt den Atem der Gemälde von Giacometti, der chromatischen Verrenkungen von El Greco, der Schwarz-Weiß-Werke von Kiefer, einige der von Bayter am meisten geschätzten Künstler… Trotz ihrer Leichtigkeit und Weitläufigkeit weisen seine Arbeiten eine hohe Dichte an Materie auf, die Lebensenergie vermittelt und perfekt mit dem Schwung übereinstimmt, mit der Leidenschaft, die der Künstler in seine Suche steckt. Die Malerei ist sicherlich ein Medium, das es allerdings erlaubt, bis ins Herz einer kohärenten und sich in ständiger Bewegung befindlichen Entwicklung vorzudringen. Bayter verzichtet auf die sogenannten neuen Technologien und tritt dem Raum direkt gegenüber mit dem Werkzeug, das er zur Verfügung hat: Gedanken und Hände. Es ist in der Tat durchaus nicht üblich, dass ein Künstler in der heutigen Zeit, da Digitalkameras und Computerprogramme die an geschichtlicher Erinnerung um so viel reichere Schaffenskomponente entthront zu haben scheinen, sich mit Methoden vergleichen muss, die meines Erachtens manchmal eher einem „Trend“ erliegen und eine offensichtlich bequemere Herangehensweise erlauben. Es ist, als befände man sich einer Strömung gegenüber, einer Ideologie, welche auch nur die Idee der Malerei verpönt und das Vorgefertigte bevorzugt, dabei vielleicht auch noch die Arbeit und Inspiration der großen avantgardistischen Künstler des 20. Jahrhunderts brandschatzt und sie in eine neue, „aktuellere“ Verpackung steckt, wobei der Begriff „aktuell“ in der Kunst nicht viel Platz einnehmen sollte. Und dann sind da die Künstler, die sich mutig „beschmutzen“ und sich mit den strukturellen und technischen Problemen auseinandersetzen, welche Materialien wie Öl, Holz oder Eisen täglich aufwer-
fen. Ein Dialog zwischen diesen beiden Welten, so scheint es manchmal, ist nicht möglich, sondern schwächt nur den Wert der Kunst und der Kultur, untergräbt ihren libertären und befreienden Charakter. Heute, wo man theoretisch alles machen kann, hat sich das System Kunst verheddert zwischen stilistischen Gruppierungen und Vorurteilen, nicht viel weniger als damals, als sich zu Beginn der Informellen Bewegung in der Nachkriegszeit nach dem Zweiten Weltkrieg derjenige, der eine Form malte, die tatsächlich einem Baum ähnelte, den Vorwurf des Traditionalismus gefallen lassen musste. Im Gegensatz dazu tendieren Kritiker heute dazu, die Formen des Informellen zu definieren, doch tun sie dies mit sechzig Jahren Verspätung, aber die Überarbeitung der Vergangenheit ist leider keine Methode, um die Gegenwart zu verstehen. Und um den Titel einer Ausstellung zu zitieren, in der Federico Romero Bayter Ferrara „interpretiert“: wir dürfen und müssen stets von Interpretationen sprechen im Hinblick auf alles, was unsere Kenntnisse und das organisierte Wissen betrifft. Bayter ist in jeder Hinsicht ein Künstler seiner Zeit, bei ihm wird die Malerei zum dreidimensionalen Raum, architektonisch, perspektivisch. Der Vitalismus seines Tuns wird uns ganz unverschleiert übermittelt, ohne komplizierte und solipsistische Beweggründe. Natürlich ist sein tieferes Ich stets präsent und er ist nach wie vor ein Suchender, aber schon die zahlreichen Anerkennungen, die er in Italien und im Ausland erhält, geben ihm Recht. Er befasst sich mit verschiedenen Orten und Nationen und vermittelt dabei das Gefühl, als umarme er die gesamte Welt, doch arbeitet er stets spezifische Unterschiede heraus und zeigt diese auf. Und das ist die beste Art Künstler zu sein, auf der Suche nach seiner idealen Schönheit.
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URBAN LABYRINTHS By Vittoria Coen
Federico Romero Bayter was born in Colombia, he studied at the Accademia di Brera in Milan and he now lives in Genoa, a city which is as mythical as it is fascinating due to its closeness to the sea and its rich history. The artist combines both the Latin American and the Italian culture in a rich polyphony of colours, suggestions and signs. As he himself declares he “started drawing when he was born” and took in the love for art from his family. In the two “worlds” he has lived in he recognizes the affinity of passions and religious spirituality. Those two worlds with their contradictions dominate his work where they miraculously merge in dynamic lines which give evidence of his determined use of the paintbrush. So everything starts with the drawing (he calls them “project drawings”); fast signs which step by step, crossing one another and pleated with each other, outline a tangle of building lines which reinvent the perception of cities, buildings, streets. Bayter’s urban landscapes are real visions which, however fixed they may be on the canvas, due to the many details still lead the observer to believe he may be watching a film. There is extraordinary movement in these images which take pictures of the history and of the dream of the artist, uniting inventive talent and architectural precision in symbiotic brotherhood. They are places turned into non-places the very moment Bayter reinvents the nature of the city, with its squares, its bridges, its lights and its shadows (the aura of artistic objects, in these cases architecture, and the aura of natural objects, described by Benjamin, as for example the skies which are not backgrounds but artistic creations in Bayter’s work). It has happened to many, I imagine, to find themselves standing in Piazza San Marco in Venice at night with water flooding the pavement and creating an extraordinary mirroring effect. The church Santa Maria della Salute and the buildings around are above our eyes and beneath our feet.
Also just watching the drawings of this artist we already find all this, matter and signs, which are further amplified in the oil drawings of which this exhibition with recent and most recent works gives extraordinary testimony. A chapter which is worth looking at in more detail is the one related to cities (London, New York, Istanbul…) created this year where flags and coats of arms of the countries which the cities belong to and which Federico Romero Bayter creates his paintings on emerge in skies ripped open by chromatic sparkling effects. So there is recognition, a sense of belonging, of identification of places even though these places are then reinvented and interpreted by the artist. Bright colours like red, green, blue heat up the atmosphere, already dense with signs and labyrinths which mark out his work, and tear the horizon apart. They are powerful works in his usual decisive style which does not leave anything to chance. Themes connected to the geography of the world come to mind, which in contemporary art are represented by some of the most interesting artists on an international scale, with the main interest not being put on stylistic affinity but on the importance which the representation of the flag has had in order to convey ideas and poetics. We think of the multiplication and the overlapping of the American flag in the late 50s by Japser Johns, a kind of ready-made sui generis in the light of New Dada, or the Tricolour Block of Salvo, or the well-known Maps di Alighiero Boetti, tapestries representing the geography of the countries by means of their flags, works which re-draw the world. In art geography becomes geopolitics where the flag is not anymore the proud, rhetoric, and symbolic expression of a nation’s power, like in the realistic art of certain totalitarian regimes, but it can insinuate the question of where we belong to, it can become a brand similar to the way Coca Cola is famous as a brand name for a drink, or to Warhol’s
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Campbell’s, or to Esso by Schifano; but the flag can also epitomize – and that is what it does in Bayter in my view – the striving for an open and simultaneous view of the various identities. Starting from his studies, in his world we feel the breath of Giacometti’s paintings, of the chromatic contortions of El Greco, of the black and whites of Kiefer, some of the artists most cherished by Bayter… Despite their lightness and airiness his works succeed in being densely packed with matter which transforms into vital energy, perfectly in line with the passionate dynamic the artist puts into his search. Painting certainly is a medium, which, however, allows getting to the heart of a coherent and continuously evolving journey. Bayter does not make use of the so-called new technologies, but he faces space directly with the tools he has got: his thoughts and his hands. It is, indeed, not usual that an artist today, at a point in time when digital cameras and computer programmes seem to have replaced the component of making which is so much richer in terms of history, needs to compare with methods which in my view often rather succumb to a “trend”, allowing a more comfortable approach. As if we were faced with a school, with an ideology which disdains the pure idea of painting and prefers the ready-made, maybe depriving the most prominent vanguard artists of the 20th century of their work and inspiration by modifying it in new packaging, in a more “upto-date” one, a term which theoretically should not be allowed a lot of space in art. And then there are the artists who courageously „get dirty“ when facing the structural and technical problems which turn up every day when working with materials like oil, wood or iron. These two worlds sometimes do not seem to communicate at all; the non-existing dialogue just weakens the value of art and culture, its libertarian and liberating character. Nowadays, when theoretically anything can be made, the system of art finds itself
bridled in stylistic groups and in prejudices, not much less so than at the times of the beginning Informal Movement in the Second Postwar period when anyone who would paint a form which might resemble a real tree was accused of fogydom. Today, on the contrary, criticism tends to define the form of the informal – doing so they are 60 years late – but revising the past unfortunately is no method to understand the present. Let me quote the title of an exhibition by Federico Romero Bayter “interpreting” Ferrara: we can and we must always speak of interpretations in terms of anything referring to knowledge and organized knowledge. Bayter is an artist of his time in every respect; with him paintings become tridimensional, architectural, perspective space. The vitalism of what he is doing is transmitted without veil, without complicated or solipsistic motivation. Obviously his deeper ego is constantly present and he continues his research, but the numerous signs of acceptance he has been gaining in Italy and beyond prove him right. By including all kind of places and nations his work seems to comprise the entirety of the world, yet outlining and stressing specific differences. And this is the best way of being an artist in search of their ideal beauty.
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capisce cosa stia a fare il pittore da solo nel maledettissimo studio. Lui non sta facendo nulla – in effetti – tranne che adombrarsi e cambiare posizione ogni pochi minuti sulla malconcia poltrona girevole che è l‘unica sedia di tutta la stanza. Le foto che lei continua a inviargli sono inutili, sciatte, ma anche dolorosamente vere rispetto a qualunque cosa lui abbia dipinto in tutta la vita; le macchie e le bolle d‘umidità alle pareti, i lacci delle sue scarpe, la trama di cotone della tuta da lavoro che ha inutilmente indossato, le pieghe profonde intrecciate sui palmi delle sue mani pulite: ogni cosa è un quadro migliore dei suoi, oggi, ogni cosa meriterebbe che si passasse la vita a dipingerla anche solo per averne colto alla fine un‘approssimazione non del tutto indecente; ogni cosa lo stimola, fa fremere le sue dita e qualche pezzetto di anima, lo infastidisce, in definitiva, mentre il mazzo dei pennelli resta immobile due metri più in là simile a una sagoma nera di idra nel controluce delle finestre sbiancate.
LA STRADA DI CASA Di Barbara Di Gregorio
Un altro artista avrebbe potuto decidere a quel punto che l’opera fosse terminata, ma per de Kooning, quello non era che il inizio. “Innumerevoli volte” ha scritto Elaine, “vissi l’esperienza familiare eppure sempre dolorosa di tornare a casa e scoprire che un‘immagine a me cara era stata distrutta “. Elaine de Kooning .
Quando piove e non può lavorare sta sempre così. Quando la pioggia gli lega troppo a lungo le mani – questa, dicevamo, batte da circa settantadue ore – i pensieri velenosi che estirpa dipingendo ogni giorno germogliano dentro di lui e gli fanno il sangue cattivo. Anche per questo non può tornare alla donna che aspetta accanto al camino: oggi si odia, e quando si odia, è naturale, finisce per odiare e risultare odioso a chiunque compresi madre fratello fidanzata ed amici. Senza contare che il cielo potrebbe rasserenare in qualunque momento e l‘unico modo per evitare rimorsi è continuare ad attendere.
Le finestre dello studio sono prive di imposte, di serrande, di tende. L‘unico schermo tra il dentro e il fuori è costituito dai vetri – spesso spalancati, perché il passaggio dell‘aria aiuta a seccare più in fretta i dipinti – e da un paio di grate smaltate di bianco che nei giorni di pioggia sembrano tenere prigioniero il pittore. Oggi, appunto, piove; sono tre giorni che piove, tre giorni che passa la notte allo studio, tre giorni che la luce è una lattescenza sbiadita che storpia i colori e le forme: gli occhi si arrendono in fretta, mesi di sforzi si appiattiscono sopra le tele, dipingere è impossibile, guardare una tortura.
Nel frattempo pensa – suo malgrado – e scruta – suo malgrado – le tele ammucchiate contro ogni parete in attesa delle due esposizioni che ha in programma per il prossimo mese. Qualcuno, da qualche parte, una volta, ha scritto della sua capacità di dipingere la luce che è dentro ogni essere umano attraverso spettri urbani spogliati di qualunque simulacro di vita. Belle parole, ma lui non le ha mai prese sul serio: in momenti come questo dubita anche della propria capacità di dipingere, e gli pare che i grandi quadri che gli pagano la pagnotta e l‘affitto, persino, li abbia stampati la luce del giorno senza lasciargli altro da fare che aggiungere qualche baffo di nero. La luce, è l‘artista: lui semplicemente un pennello - un pennello di pessima qualità, come se non bastasse, dal momento che più osserva il lavoro degli ultimi mesi più gli sembra di aver tremato come un bambino per tutto il tempo che ha impiegato a eseguirlo. Le decine di città spettro che ha intorno stanno per crollargli addosso e potrebbero seppellirlo per sempre.
Da quando è arrivato, il pittore è riuscito solo a voltare dalla parte del muro la bozza del dipinto che ha in ballo da ormai troppo tempo. Quel quadro è tutto sbagliato: e se anche ci fosse una possibilità di risolverlo, senza passarci una mano di bianco e ricominciare tutto da capo, non ha dubbi che lavorandoci con la luce infame di oggi finirebbe soltanto col peggiorare le cose. Sarebbe quasi felice di poter tornarsene a casa e godersi il temporale e la bruma dalla poltrona accanto al camino. La donna continua a spedirgli sul cellulare le immagini del primo fuoco acceso in quest‘autunno precoce; fotografa i biscotti e la tazza del tè, il riverbero delle fiamme arancioni sul tappeto su cui potrebbero fare l‘amore, la propria faccia, allungata in una caricatura mestissima, perché sa che la luce di oggi non è per niente adatta a dipingere e non
Il pittore dà un colpo di reni e si scolla finalmente dalla sedia girevole; schiaffeggia più a lungo del necessario la gamba che gli si è addormentata, chiude il tavolo da disegno, spin-
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ge in un angolo il carrellino su cui tiene i colori, e comincia a spiegare sul pavimento in un gigantesco mosaico le decine di tele accatastate le une alle altre sui muri. Poi sale in piedi sulla poltrona e allarga le braccia come un funambolo fino ad assestarsi in un equilibrio precario. La sedia imbottita continua ad agitarsi sotto di lui come la postazione di una vedetta sull‘albero di una nave in tempesta: il pittore osserva le prossime mostre dall‘alto, a lungo, sconfitto, senza vedere assolutamente nulla per cui degnerebbe un collega anche solo di un incoraggiamento amichevole.
edifici che le proiettano, e una particolare finestra appena meno nera di tutte le altre per via del primo fuoco d‘autunno che continua a scoppiettare per lui nel camino. Quando si chiude la porta di casa alle spalle sono le nove di sera passate. La donna lo aspetta con le braccia incrociate. „Almeno hai dipinto?“, gli chiede palesemente irritata sbattendo sul tagliere di legno due pomodori incolpevoli. „Certo“. „Con la luce bianca della pioggia?“ „Appunto per quello ho fatto tardi“.
È passata circa mezz‘ora quando scende dalla poltrona e comincia a trasportare ogni quadro nell‘ingresso del suo studio. Adesso respira un po‘ meglio. impugna un raschietto, si china, e prende a grattare dal pavimento ormai sgombro mesi di vernice sgocciolata dal suo pennello e indurita. Smette solo quando la lama scivola senza incontrare più intoppi sul marmo perfettamente pulito. Spazza da terra schegge di colore sottili, adesso, e le raccoglie con la paletta in un mucchio lucente. Torna a spargerle sul pavimento e le rimescola con la punta del piede; ci gira intorno, scatta foto da più angolazioni, poi, deluso, le tira su di nuovo e le getta dentro al cestino. Prepara un secchio di acqua e ammoniaca, passa lo straccio. Sgombra il tavolo da disegno e ne pulisce ogni angolo con un panno imbevuto di alcol; esamina le carte: ordina in una pila quelle ancora da lavorare e sistema tutte le altre dentro una grossa cartella. Spolvera sculture, gadget delle patatine, disegni, foto in cornice, e tutti gli altri oggetti che gli hanno regalato ex fidanzate ed amici; poi torna a disporli sopra le mensole ma non prima di aver lustrato anche quelle con l‘alcol.
„Non ci credo“ protesta lei. „Dove sei stato? Con chi?“ affetta i pomodori con l‘impeto di chi macelli una bestia finché la lama del coltello le apre uno squarcio sul pollice. La donna impreca ad altissima voce e quando ricomincia a parlare è definitivamente furiosa: „Non ci credo che eri a dipingere“, grida. „Fai come ti pare“, risponde lui avvicinandosi; poi le prende la mano ferita, esamina il taglio e il rivolo di vernice rossa che le è colato giù fino al gomito, e va a scegliere un rosa carne con cui correggere entrambe le cose mentre lei spadella e continua a sbraitare in cucina.
I vetri ancora bagnati delle finestre si spengono nelle tonalità della sera, la donna a casa chiama lamentosa sul suo cellulare, mentre lui sacrifica lo spazzolino da denti per grattare via il nero incrostato sul gradino del battiscopa. Cancella col bianco le macchie di vernice sui muri, monta sopra la scala e stacca ragnatele dalle volte dello sterminato soffitto, lava i barattoli in cui mescola l‘acqua e la china, col sapone dei piatti, poi col limone, finché luccicano come bolle di sapone in fila sul davanzale che guarda ancora la pioggia. Mentre riporta i quadri dall‘ingresso allo studio ha la sensazione che gli siano un po‘ meno ostili. Dev‘essere a causa della luce elettrica che appena sceso il buio ha sostituito il bianco pioggia di fuori. Il pittore prova ad avvicinarsi all‘ultimo quadro, tuttavia, la bozza infelice che teneva da giorni voltata dalla parte del muro, e anche quello inaspettatamente lo avvolge e lo risucchia come un‘amante tra le sue linee spoglie. Adesso sì, può tornare a casa: prima però deve finire di dipingere almeno la strada, il cielo sopra misto di stelle che esplodono e buio, le ombre sul selciato, gli
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Herbst entzündet hat; sie fotografiert die Kekse und eine Tasse Tee, den Widerschein der orangen Flammen auf dem Teppich, auf dem sie sich lieben könnten, ihr eigenes Gesicht, langgezogen in einer unendlich traurigen Karikatur, denn sie weiß, dass sich das Licht heute nicht zum Malen eignet und sie versteht nicht, was der Maler allein in diesem verfluchten Atelier tut. Tatsächlich tut er nichts, außer sich immer mehr in sich selbst zurückzuziehen und alle paar Minuten seine Position in dem ramponierten Drehsessel zu verändern, dem einzigen Stuhl im ganzen Zimmer. Die Fotos, die sie ihm immerfort schickt, sind unnütz, nachlässig, aber auch schmerzhaft wahrhaftig im Gegensatz zu allem, was er je in seinem Leben gemalt hat; die Flecken und Wasserblasen an den Wänden, die Schnürsenkel seiner Schuhe, das Baumwollgewebe des Arbeitsanzuges, den er sich für nichts und wieder nichts angezogen hat, die tiefen Furchen auf den Handflächen seiner sauberen Hände: jedes Ding ist heute ein besseres Bild als seine, alles verdiente es, dass man sein Leben damit zubrächte, es zu malen, und wenn auch nur, um schließlich eine nicht ganz unzulängliche Annäherung daran eingefangen zu haben. Alles reizt ihn, bringt seine Finger zum Beben und auch einen kleinen Teil seiner Seele, bis es ihm schließlich wieder auf die Nerven geht, während der Strauß seiner Pinsel zwei Meter weiter drüben unberührt bleibt, ähnlich einer schwarzen Silhouette des Bösen im Gegenlicht der bleichen Fenster.
DER NACHHAUSEWEG Von Barbara Di Gregorio
Ein anderer Künstler hätte das Werk zu diesem Zeitpunkt vielleicht für vollendet erklärt, aber für de Kooning war es erst der Anfang. „Unzählige Male“, so schrieb Elaine, „durchlebte ich die vertraute und doch immer wieder qualvolle Erfahrung, nach Hause zu kommen und festzustellen, dass ein mir teures Bild zerstört worden war.“ Elaine de Kooning An den Fenstern des Ateliers gibt es keine Fensterläden, keine Rollläden, keine Vorhänge. Der einzige Schutz zwischen drinnen und draußen sind die Fensterscheiben häufig weit geöffnet, weil die Bilder im Luftzug schneller trocknen – und ein paar weißgestrichene Gitter, die den Maler an regnerischen Tagen scheinbar zum Gefangenen machen. Auch heute regnet es, genauso wie an den letzten drei Tagen; drei Tage, die er ebenso wie die Nächte dazwischen im Atelier verbringt, drei Tage, an denen das Licht von jener bleichen Milchigkeit ist, die Farben und Formen entstellt; die Augen geben schnell auf, Monate der Anstrengung legen sich auf die Leinwände, Malen ist unmöglich, Schauen eine Tortur.
Es geht ihm immer so, wenn es regnet und er nicht arbeiten kann. Wenn ihm der Regen allzu lang die Hände fesselt – und dieser Regen, wie gesagt, hämmert seit zweiundsiebzig Stunden auf das Dach – gären die giftigen Gedanken in ihm, die er durch das Malen jeden Tag ausrottet, und machen ihm böses Blut. Auch deshalb kann er nicht zur Frau zurückkehren, die ihn am Kamin erwartet: heute hasst er sich selbst, und wenn er sich hasst, ist es nur ganz natürlich, dass er schlussendlich jeden hasst und auch jedem anderen hassenswert erscheint, einschließlich Mutter Bruder Verlobte und Freunde. Ohne Hoffnung, dass der Himmel jeden Moment aufreißen könnte, und der einzige Weg, um Gewissensbisse zu vermeiden, ist, weiter zu warten.
Seit er hergekommen ist, hat der Maler nur den Entwurf des Bildes, an dem er schon viel zu lange arbeitet, von der Wand her gedreht. Dieses Bild ist völlig falsch; und selbst wenn es eine Möglichkeit gäbe, es richtigzustellen, ohne es weiß zu übertünchen und ganz von vorne anzufangen, zweifelt er nicht daran, dass er bei diesem fiesen Licht heute alles nur schlechter machen würde.
In der Zwischenzeit überdenkt er – gegen seinen Willen – und begutachtet – ebenfalls gegen seinen Willen – die Leinwände, die an den Wänden gestapelt auf die beiden Ausstellungen warten, die für den kommenden Monat auf dem Programm stehen. Irgendjemand hat, irgendwann einmal, irgendwo über seine Fähigkeit geschrieben, das Licht, das jedem menschlichen Wesen innewohnt, durch städtische Spektren frei von jedwedem Anzeichen von Leben zu malen. Schöne Worte, die er aber nie ernst genommen hat: in Momenten wie diesem zweifelt er auch an seinem malerischen Können, und es kommt ihm so vor, als ob sogar die großen Bilder, die ihm Brot und Miete sichern, vom
Fast wäre er froh darüber, wenn er nach Hause zurückkehren und das Gewitter und den Nebel im Sessel neben dem Kamin genießen könnte. Die Frau schickt ihm unablässig Bilder auf sein Mobiltelefon, Bilder vom ersten Feuer, das sie in diesem frühen
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Tageslicht gedruckt worden seien und sein ganzer Beitrag nur darin bestehen konnte, einige schwarze Kleckse hinzuzufügen. Das Licht ist der Künstler: er ist nichts weiter als ein Pinsel – ein qualitativ höchst unzureichender noch dazu - und als wäre damit nicht genug, kommt er, je mehr er sich die Arbeit der letzten Monate anschaut, zunehmend zu dem Schluss, dass er die ganze Zeit über, die er dafür gebraucht hat, wie ein Kind gezittert haben muss. Die Dutzenden von Städteansichten rundum drohen jeden Moment auf ihn einzustürzen und könnten ihn für immer begraben.
Die noch nassen Fensterscheiben erlöschen im Farbton des Abends, die Frau zuhause ruft klagend auf seinem Mobiltelefon an, während er seine Zahnbürste opfert, um die schwarze Kruste auf der Fußleiste weg zu kratzen. Mit weißer Farbe lässt er die Farbflecken an den Wänden verschwinden, er steigt auf die Leiter und entfernt die Spinnweben von den Gewölben der riesigen Zimmerdecke, er wäscht die Dosen, in denen er Wasser mit Tusche mischt, mit Geschirrspülmittel, dann mit Zitrone, bis sie wie eine Reihe glänzender Seifenblasen auf dem Fensterbrett stehen, von dem aus immer noch der Regen zu sehen ist.
Der Maler gibt sich einen Ruck und erhebt sich endlich vom Drehstuhl; länger als notwendig klopft er auf das eingeschlafene Bein, er schließt den Zeichentisch, schiebt den Wagen mit den Farben in eine Ecke und beginnt, die zahllosen, an den Wänden übereinander gestapelten Leinwände auf dem Fußboden auszubreiten und zu einem riesigen Mosaik zu arrangieren. Dann steigt er auf den Sessel und breitet die Arme aus wie ein Seiltänzer, bis er ein wackeliges Gleichgewicht gefunden hat. Der Polstersessel bewegt sich weiter unter ihm wie die Verankerung des Ausgucks an einem Schiffsmasten im Sturm: der Maler betrachtet die zukünftigen Ausstellungen von oben, lange, besiegt, ohne auch nur das geringste zu sehen, wofür er einem Kollegen auch nur eine freundschaftliche Aufmunterung zugestehen würde.
Als er die Bilder vom Eingangsbereich ins Atelier zurück bringt, hat er das Gefühl, als seien sie ihm jetzt etwas weniger feindlich gesinnt. Es muss wohl am elektrischen Licht liegen, das sofort nach Einbruch der Dunkelheit das Regenweiß von draußen ersetzt hat. Der Maler nähert sich versuchsweise dem letzten Bild, dem unglücklichen Entwurf, den er seit Tagen zur Wand hin gedreht hatte, und selbst dieser nimmt ihn unerwartet für sich ein, umschlingt ihn wie eine Geliebte mit seinen nüchternen Linien. Ja, jetzt kann er nach Hause gehen; zuerst muss er allerdings wenigstens die Straße fertig malen, den Himmel darüber, eine Mischung aus explodierenden Sternen und Dunkelheit, die Schatten auf dem Straßenpflaster, die Gebäude, die diese Schatten werfen, und ein ganz bestimmtes Fenster, nur ein bisschen weniger schwarz als alle anderen wegen des ersten Herbstfeuers, das weiterhin für ihn im Kamin prasselt.
Etwa eine halbe Stunde vergeht, bevor er vom Sessel heruntersteigt und anfängt, jedes Bild in den Eingangsbereich seines Ateliers zu verfrachten. Er atmet jetzt etwas leichter. Er nimmt ein Schabeisen in die Hand, bückt sich und beginnt, vom nunmehr leer geräumten Fußboden monatealte Farbflecken abzukratzen, die von seinem Pinsel getropft und eingetrocknet sind. Er hört erst damit auf, als die Klinge über den perfekt sauberen Marmor gleitet, ohne auf Hindernisse zu stoßen. Er fegt die feinen Farbsplitter zusammen und schiebt sie mit der Kehrschaufel zu einem leuchtenden Haufen. Dann verstreut er sie wieder auf dem Fußboden und verwischt sie mit der Fußspitze. Er umrundet sie, fotografiert sie aus mehreren Blickwinkeln, schließlich nimmt er sie enttäuscht wieder auf und wirft sie in den Müll. Er füllt einen Eimer mit Wasser und Ammoniak, taucht einen Lappen hinein. Er räumt den Zeichentisch ab und putzt jeden Quadratzentimeter mit einem mit Alkohol getränkten Tuch; er begutachtet die Blätter: jene, die es noch zu bearbeiten gilt, stapelt er übereinander, alle anderen steckt er in eine große Mappe. Er wischt den Staub von Skulpturen, Snackschüsseln, Zeichnungen, gerahmten Fotos und all den anderen Gegenständen, die ihm verflossene Geliebte und Freunde geschenkt haben; dann ordnet er sie wieder auf den Regalen an, jedoch nicht, ohne auch sie vorher mit Alkohol poliert zu haben.
Als er die Haustür hinter sich schließt, ist es nach neun Uhr abends. Die Frau erwartet ihn mit verschränkten Armen. ‚Hast du wenigstens gemalt? ‘ fragt sie ihn offensichtlich verärgert und hackt auf zwei unschuldige Tomaten auf dem Holzbrett ein. ‚Ja, klar.‘ ‚In weißem Regenlicht?’ ‚Genau deswegen komme ich erst so spät.‘ ‘Ich glaube dir kein Wort’, braust sie auf. ‚Wo bist du gewesen? Mit wem?‘ Sie schneidet die Tomaten mit einer Wucht, als wolle sie ein Tier schlachten, bis sie sich schließlich mit der Klinge des Messers eine klaffende Wunde am Daumen zufügt. Die Frau flucht laut, und als sie dann wieder spricht, ist sie eindeutig wütend: ‚Ich glaube dir nicht, dass du gemalt hast‘, schreit sie. ‚Ganz wie du meinst‘, antwortet er und kommt näher; er nimmt ihre verwundete Hand, begutachtet den Schnitt und das Rinnsal roter Farbe, das ihr bis zum Ellbogen läuft, dann geht er und wählt ein hautfarbenes Rosa, mit dem er beides ausbessern kann, während sie weiterhin in der Küche lautstark mit den Töpfen hantiert und vor sich hin schimpft.
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doing on his own in his damned studio. Well, he is not doing anything but feeling resentful while every few minutes changing his position in the battered swivel armchair which is the only chair in the room. The pictures she keeps sending him are pointless, sloppy, yet painfully genuine compared to anything he has ever painted in all his life; the stains and bubbles of humidity on the walls, his shoelaces, the cotton weft of his coveralls he has put on for work in vain, the deep furrows in the palms of his clean hands: everything is a better image than his pictures today, everything would be worthier dedicating one’s lifetime to paint it, even if it only means to finally get a not utterly indecent approximation to it; everything stimulates him, makes his fingers quiver as well as a small part of his soul, ultimately annoying him though, while the bunch of paintbrushes stays unmoved two metres further away like a black outline of the Hydra against the bleached windows.
THE WAY HOME By Barbara Di Gregorio
Another artist might have declared the work finished, but for de Kooning it was nothing but the beginning. “On countless occasions”, Elaine wrote, “I lived through the familiar yet agonizing experience of coming home to find a painting, which had been precious to me, destroyed.”
It is always this way when it rains and he cannot work. When he has his hands tied by the rain for too long a time – this very rain, as said before, has been pouring down for seventy-two hours – the poisonous thoughts, which he eradicates by painting every day, germinate inside him and make bad blood. Another reason why he cannot go home to the woman waiting for him next to the chimney: today he detests himself, and when he detests himself, he obviously finishes up detesting everybody and being detestable to everybody including mother brother fiancée and friends. Without hope for the sky to brighten up any moment the only way to avoid remorse is to keep waiting.
Elaine de Kooning There are no shutters, no blinds, and no curtains on the windows of the studio. The only barrier between outside and inside are the window panes - often wide open, for the paintings dry more quickly with air coming in – and grates painted white, which seem to keep the painter imprisoned on rainy days. Today it is raining; it has been raining for three days, three nights which he has spent at the studio, three days of faded milky light which distorts colours and forms: the eyes give in easily, months of efforts flatten on the canvas, it is impossible to paint, a torture to watch.
In the meantime he reflects – against his will – and scrutinizes – against his will – the canvases piled up at every wall awaiting the two expositions scheduled for next month. Somewhere somebody once wrote about his ability to paint the light which is inherent in every human being by way of urban spectra stripped of any signs of human life. Nice words, these, but he has never taken them seriously: in moments like this he doubts his abilities as a painter, and it seems to him that even the large paintings, which help him pay for food and rent, have been printed by day light, and all he could do was add some black blots. Light is the artist, he is nothing but a paintbrush – a paintbrush of minor quality; as if this was not enough, by watching his work of the previous months he is getting more and more to the conclusion that he must have been trembling like a child throughout the whole time it took him to complete it. The dozens of city labyrinths around him are about to collapse upon him and they might bury him forever.
Since when he arrived the painter has only been able to turn the draft of the painting he has been working on for too long by now from the wall towards him. This painting is completely wrong: even if there was any possibility to get it right without passing a coat of white over it and start anew, without doubt working on it in today’s mean light would only make everything worse. He would almost be happy if he could go home and enjoy the storm and the fog from his armchair near the chimney. The woman keeps sending him pictures on his cell phone of the first fire lit in this early autumn; she takes pictures of biscuits and a cup of tea, the reflection of the orange flames on the carpet where they could be making love, her own face, stretched into an incredibly sad caricature, because she knows that today’s light is not a good one for painting and she does not understand what the painter might be
The painter pulls himself together and finally stands up from the swivel chair. He slaps his leg, which had gone to sleep, longer than necessary, he closes his drawing table,
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he pushes the cart where he keeps his colours on into a corner and starts to spread the dozens of canvases, piled one upon the other at the walls, on the floor forming a gigantic mosaic. Then he steps onto the armchair and stands there with his arms spread like a tightrope walker, settling in a shaky balance. The upholstered armchair continues to move beneath him like the anchor of the lookout tower on a mast in a storm: the painter gazes at his future exhibitions from above, at length, defeated, and he doesn’t see absolutely anything which he would deem worthy of at least some friendly words of encouragement if it was a colleague’s work.
one captures him, against expectation, absorbs him like a lover with its pure lines. Yes, now he can go home: but first he wants to finish painting the road at least, the sky above, a mixture of exploding stars and darkness, the shadows on the cobbles, the buildings which create these shadows, and a very specific window, just slightly less black than all the others due to the first autumn fire which keeps crackling for him in the chimney. When he closes the front door, it is past nine o’clock. The woman expects him cross-armed. ‘Have you been painting at least?’ she asks him, blatantly angry, violently chopping two innocent tomatoes on a wooden board.
About half an hour goes by, then he gets off the armchair and starts carrying all the paintings into the entrance hall of the studio. Breathing has become a little easier now. He takes a scraper, bends over and starts to scrape off the vacant floor month-old drops of varnish which have dropped off his paintbrush and dried. He only stops when the scraper’s blade slides across the perfectly clean marble without encountering any hitches. He sweeps up the tiny scales of varnish arranging them into a shiny heap with the dustpan. He then scatters them on the floor again and shuffles them with the tip of his toes. He circles around them, taking photographs from various angles, then, disappointedly, gathers them again and throws them into the dustbin. He fills a bucket with water and ammoniac, soaks a cloth. He clears the drawing table and cleans every bit of it with a cloth soaked in alcohol; he carefully examines the sheets, piling up those which need further elaboration and stuffing all the others into a big folder. He dusts sculptures, snack bowls, drawings, pictures in frames and all the other objects, which he has been given by former lovers and friends; he then rearranges them on the shelves but only after having polished them with alcohol as well.
‘Sure.’ ‘In this white rain light?’ ‚That’s exactly why I’m so late.‘ ‘I don’t believe a single word’, she protests. ‘Where have you been? With whom?’ She is chopping the tomatoes forcefully now as if wanting to slaughter an animal until she ends up with a gash in her thumb. The woman curses very loudly, and when she resumes talking she is definitely furious. ‘I don’t believe you have been painting’, she screams. ‘Do as you like’, he says and comes closer; he takes her bleeding hand, examines the cut and the trickle of red varnish flowing down till her elbow, then he looks for some skin-coloured pink to correct both of them as she keeps ranting and raving while working busily in the kitchen.
The window panes, still wet, die away in the shade of the evening, the woman at home calls him mournfully on his mobile phone while he sacrifices his toothbrush to clean the baseboard crusted with black. Using white paint he provides for the spots of varnish to disappear from the walls, he climbs onto a ladder to remove the cobwebs from the vaults of the enormous ceiling, he washes the cans he uses to mix water and Indian ink with washing-up liquid first, then with lemon, until they look like sparkling soap bubbles in file on the window sill where the rain is still visible from. As he takes back the paintings from the entrance hall to the studio, they seem a little less hostile. It might be due to the electric lighting, which has replaced the rainy white from outside immediately after nightfall. Tentatively the painter approaches the last painting, the disastrous draft which he has kept turned towards the wall for days, and even this
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OPERE WERKE WORKS
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PIAZZA BRESSANONE Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 120x 160 cm 2014
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FERRARA 1
Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 130 x 160 cm 2014
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FERRARA 2 Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 130 x 160 cm 2014
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AREZZO 1 Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 130 x 160 cm 2014
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AREZZO 2
Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 160 x 130 cm 2014
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IL CIELO STELLATO DI TORINO
Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 80 x 160 cm 2013
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AMANECER A PARIS Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 130 x 180 cm 2014
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VIENNA Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 110x 190 cm 2014
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CHINA
Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 110x 190 cm 2014
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VIPITENO Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 130x 160 cm 2014
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VISIONE DI BRESSANONE Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 130x 160 cm 2014
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CIELO AMERICANO Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 150x 220 cm 2014
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MONACO Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 150 x 200 cm 2014
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PORTO DI GENOVA Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 130x 160 cm 2014
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LONDRA E IL CIELO BLU Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 160 x 200 cm 2014
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LONDON RED SKY
Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 150 x 200 cm 2014
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CIELO ROSSO
Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 180 x 225 cm 2014
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BRESSANONE Olio su tela テ僕 auf Leinwand Oil on canvas 130 x 160 cm 2014
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STUDIO DI BRESSANONE n째1
Tecnica mista su carta Gemischte Technik auf Papier Mixed technique on paper 50 x 100 cm 2014
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STUDIO DI BRESSANONE n째2 Tecnica mista su carta Gemischte Technik auf Papier Mixed technique on paper 57 x 77 cm 2014
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STUDIO DI VIPITENO
Tecnica mista su carta Gemischte Technik auf Papier Mixed technique on paper 50 x 70 cm 2014
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COLOR n째1
Tecnica mista su carta Gemischte Technik auf Papier Mixed technique on paper 35 x 100 cm 2014
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STUDIO PER LONDRA Tecnica mista su carta Gemischte Technik auf Papier Mixed technique on paper 50 x 70 cm 2014
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STUDIO PER L’OPERA n°2 Tecnica mista su carta Gemischte Technik auf Papier Mixed technique on paper 50 x 70 cm 2014
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PORTRAIT
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UNA SCENOGRAFIA IMMENSA Di Sonia Traversa
I. Raccontare qualcosa che sta ancora accadendo comporta la consapevolezza di descrivere un processo in atto, difficile da focalizzare e da fermare. Federico sta ancora dipingendo, in questi stessi giorni, e ogni segno, diverso da quello precedente e da quello che verrà, segue una trama conosciuta che, gradualmente, dà vita a una forma distinguibile da tutti, l’architettura di Genova. Federico Romero Bayter indaga il segno attraverso un soggetto ben preciso: la città. La smisurata scenografia della metropoli, con i suoi rumori e la sua frenesia, viene studiata dall’alto, con un apparente distacco, una distanza che si riduce cogliendo l’atmosfera d’insieme, nel risultato plastico in cui il soggetto si trasfigura, caricandosi espressivamente. Il tessuto urbano – emerso dall’intricarsi di segni nervosi – si modifica e il disegno e lo studio prospettico si denotano drammaticamente attraverso un colore monocromatico. Il segno è proiettato verso la sintesi. La città che osserva non è analitica ma si riduce all’essenziale, a una pittura che permette di intuire tra le sagome scarne, che si edificano verso l’alto, la città di Genova.
Oggi, la sua pittura è costituita da quegli stessi tratti nervosi che sono riusciti a espandersi nel vuoto, occupandolo. Al liceo restavamo tutti un po’ stupiti dal contrasto tra la sua quiete, la sua indole all’ascolto, la serenità di temperamento – che sa incendiarsi mantenendo sempre equilibrio e lucidità – e l’espressione agitata del suo segno. Le nostre strade, divise per molti anni, si riallacciano in maniera affascinante: io prossima a discutere una tesi in storia dell’arte contemporanea, lui vicino a una nuova mostra personale. Mi domanda di scrivere qualcosa sulla sua pittura, che non vuole definire “arte” ma che avverte più simile al disegno. Nonostante la tentazione sia quella di approfondire i suoi riferimenti, Giacometti, Bacon, Kiefer, tracciare un profilo di Federico significa per me memoria e presente. III. L’ho conosciuto quando ancora non sapeva dove lo avrebbe condotto il suo instancabile tracciare su pile di fogli bianchi: semplicemente, era stato gettato un buon seme su un terreno fertile che, ogni giorno, veniva nutrito aspettando pazientemente la giusta maturazione. Eppure, la giovinezza non è mai arida e il desiderio di poter creare, di intraprendere quella strada affascinante che definivamo “arte”, era sogno comune a tanti. E ricordo, allora, cosa distingueva Federico dai suoi coetanei. Mentre tutti custodivamo gelosamente noi stessi e i nostri lavori, timorosi delle critiche, carichi di vanità e gelosia, Federico si mostrava, coraggioso, senza paure, con la generosità di chi desiderava aprirsi al mondo con un dono.
II. È trascorso molto tempo da quando – annoiata durante le ore di matematica – lo osservavo disegnare, domandandogli perché usasse sempre e solo la penna nera, incuriosita dal suo tracciare nervosamente figure sfuggenti, soggetti presi a pretesto per indagare la forza di un segno. Federico è sempre stato affascinato dal tratto, dalla possibilità di incidere lo spazio del foglio appropriandosene gradualmente.
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EIN RIESIGES BÜHNENBILD Von Sonia Traversa
I. Wer von etwas erzählt, das noch im Werden begriffen ist, weiß, dass es um die Beschreibung eines Prozesses geht, der noch im Gang ist, der nur schwer scharf umrissen oder angehalten werden kann. Federico zeichnet noch immer, genau in diesen Tagen, und jedes Zeichen unterscheidet sich vom vorhergehenden ebenso wie vom nächsten, einer bekannten Handlung folgend, die, Schritt für Schritt, einer eindeutigen Form Leben einhaucht, nämlich der Architektur von Genua. Federico Romero Bayter erforscht das Zeichen durch ein klar definiertes Subjekt – die Stadt. Das grenzenlose Bühnenbild der Metropole mit ihrem Lärm und ihrer Hektik wird von oben studiert, mit offensichtlicher Distanz, die sich jedoch verringert, sobald die Atmosphäre des Ganzen eingefangen wird, und im plastischen Ergebnis verwandelt sich das Subjekt, wird aufgeladen mit Aussagekraft und Wirkung. Das städtische Gewebe, entstanden durch nervöse, sich kreuzende Zeichen, verändert sich, und die Zeichnung und das Studium der Perspektive gehen dramatisch auf eine einfarbige Farbgestaltung hin. Das Zeichen dient letztendlich der Synthese. Die Stadt ist in seiner Beobachtung nicht analytisch, sondern er reduziert sie auf das Wesentliche, auf eine Malerei, die in schlichten, nach oben strebenden Silhouetten die Stadt Genua erahnen lässt…
aus den gleichen nervösen Linien wie damals, die es geschafft haben, sich im leeren Raum zu verteilen, ihn zu besetzen. Am Gymnasium waren wir stets etwas überrascht von der Diskrepanz zwischen seiner ruhigen Art, seinen Fähigkeiten als Zuhörer, seinem ausgeglichenen Wesen, das temperamentvoll aufflackern kann, dabei aber stets ausgeglichen und leuchtend bleibt, und dem aufgeregten Ausdruck seiner Zeichnungen. Unsere Wege führten uns über Jahre in verschiedene Richtungen, kreuzen sich nun aber wieder in einem spannenden Moment: ich kurz vor meinem Abschluss in Zeitgenössischer Kunstgeschichte, er unmittelbar vor einer neuen Einzelausstellung. Er bittet mich, etwas über seine Malerei zu schreiben, die er nicht als ‚Kunst‘ bezeichnen will, sondern die er vielmehr als Zeichnung empfindet. Trotz der Versuchung, genauer auf seine künstlerischen Vorbilder Giacometti, Bacon, Kiefer, … einzugehen, bedeutet für mich ein Porträt von Federico ein Verschmelzen von Erinnerung und Gegenwart. III. Als ich ihn kennenlernte, wusste er noch nicht, wohin ihn sein unablässiges Zeichnen auf Stapel weißer Blätter führen würde; es war ganz einfach guter Samen auf fruchtbaren Boden geworfen worden, der jeden Tag gepflegt wurde und geduldig auf den richtigen Reifegrad wartete. Doch Jugend ist niemals dürr und kraftlos und der Wunsch, etwas zu schaffen, jenen faszinierenden Weg einzuschlagen, den wir ‚Kunst‘ nennen, schlummerte in vielen. Und ich erinnere mich, was Federico von seinen Gleichaltrigen unterschied. Während wir alle sorgfältig uns selbst und unsere Arbeiten in den Mittelpunkt stellten, uns vor Kritik fürchteten und Eitelkeit und Eifersucht viel Platz einräumten, war Federico mutig, ohne Ängste, von der Großzügigkeit eines Menschen, der sich der Welt öffnen wollte mit einem Geschenk…
II Viel Zeit ist vergangen seit damals, als ich ihn während langweiliger Mathematikstunden beim Zeichnen beobachtete und fragte, warum er immer und ausschließlich eine schwarze Feder verwendete. Neugierig verfolgte ich sein nervöses Umreißen flüchtiger Figuren, Subjekte, die ihm als Vorwand dienten, um die Kraft des Zeichens zu erforschen. Federico war stets fasziniert von Linien, von der Möglichkeit, den Platz auf dem Blatt zu unterteilen und ihn sich allmählich zu Eigen zu machen. Heute besteht seine Malerei
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ENORMOUS SCENERY By Sonia Traversa
I. Talking about something which is still going on involves the awareness of describing an underway process which is difficult to focus on or to stop. Federico is still drawing, in these very days, and every sign, different from the one before as well as from the next one, follows a well-known plot which gradually breathes life into a form which can be clearly distinguished from everything, the architecture of Genoa. Federico Romero Bayter investigates the sign via a clearly defined subject – the city. The enormous scenery of the metropolis with its noise and frenzy is studied from above with apparent detachment, however, this distance is reduced by catching the atmosphere of the whole, and in the plastic result the subject is transformed and loaded with expression. The urban texture, which has emerged from intricate nervous signs, changes and drawing and perspective study dramatically evolve towards monochromacity. The sign is projected towards synthesis. The city as observed by him is not analytical, but reduced to essential features, to the painting of meagre outlines striving upwards which lets the viewer discern the city of Genoa…
us with the clear contrast between his quiet demeanor, his ability as a listener, his balanced temperament - which can catch fire yet stay even-tempered and sparkle – on the one hand and the agitated expression of his drawings on the other. Our paths, which have led us into different directions for many years, have now crossed at a very exciting moment: me shortly before graduating in history of modern arts, him close to a new personal exhibition. He has asked me to write something about his painting, which he doesn’t want to declare ‘art’ but rather deems it drawing. Despite the temptation to write about his models in art such as Giacometti, Bacon, Kiefer… writing a portrait of Federico to me is a mergence of memory and present. III When we first met he did not yet know where his constant drawing on piles of white paper would lead him; it was simply good seed thrown onto fertile soil and fostered, waiting patiently for the right degree of maturation. But youth is never arid and the desire to be able to create, to set out for the fascinating path we define as ‘art’ was a common dream of many. And I remember what distinguished Federico then from the other people of the same age. While everybody of us was focusing on ourselves and our works, fearful of critics and loaded with vanity and jealousy, Federico went about life courageously, without fear, displaying the generosity of a person who wishes to open themselves to the world with a gift…
II A lot of time has gone by since when I, bored with math lessons, watched him drawing, asking him why he would always and exclusively use a black pen. I was intrigued by him nervously sketching ephemeral figures, subjects he would use to investigate the power of the sign. Federico has always been fascinated by the stroke, by the possibility of subdividing space on a sheet, thus gradually embracing it. His painting today is still made up of the same nervous lines which have been able to spread across empty space, occupying it. At high school he kept surprising
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MOSTRE PERSONALI EINZELAUSSTELLUNGEN SOLO EXHIBITIONS Nato nel 1981 a Santa Fe Bogotà in Colombia. Nel 2006 consegue la laurea con lode all’Accademia di Brera. Vive e lavora a Genova. 1981 in Santa Fe Bogotà in Kolumbien geboren. Im Jahr 2006 Abschluss mit Auszeichnung an der Accademia di Brera. Er arbeitet und lebt in Genua. Born in 1981 in Santa Fe Bogotà in Columbia. In 2006 graduation at the Accademia di Brera, passed with distinction. He lives and works in Genoa. 2014 „Pinturas 2014“ Galleria Sifrein, Parigi „Pinturas 2014“ Galerie Sifrein, Paris „Pinturas 2014“ („Paintings 2014“) Sifrein Gallery, Paris 2014 „Vette Urbane“ Galleria Hofburg – Kompatscher, Bressanone „Städteschluchten“ Galerie Hofburg – Kompatscher, Brixen „Städteschluchten“ („Urban labyrinths“) Hofburg Gallery – Kompatscher, Brixen/Bressanone
2008 “Personale” Galleria Il Triangolo, Cremona “Personale” (“Persönlich”) Galleria Il Triangolo, Cremona “Personale” (“Personal”) Galleria Il Triangolo, Cremona 2007 VI edizione del “Premio Ghiggini” Varese VI Ausgabe des “Premio Ghiggini” Varese VI edition of “Premio Ghiggini” Varese 2007 “Alla scoperta” Galleria ArteSi, Ferrara “Alla scoperta” (“Auf Entdeckung”) Galleria ArteSi, Ferrara “Alla scoperta” (“Discovering”) Galleria ArteSi, Ferrara 2007 “Laberintos de soledad” Galleria Ghiggini, Varese “Laberintos de soledad” (“Labyrinthe der Einsamkeit”) Galleria Ghiggini, Varese “Laberintos de soledad” (“Labyrinths of loneliness”) Galleria Ghiggini, Varese 2007 “Genova” Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genova “Genova” (“Genua”) Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genua “Genova” (“Genoa”) Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genoa COLLECTIVE EXHIBITIONS
2014 “Percezione # Paesaggio” RezArte Contemporanea, Reggio Emilia con testo di Vittoria Coen “Percezione # Paesaggio” (“Wahrnehmung # Landschaft”) RezArte Contemporanea, Reggio Emilia Text von Vittoria Coen “Percezione # Paesaggio” (“Perception # Landscape”) RezArte Contemporanea,Reggio Emilia text by Vittoria Coen
2011 54°Esposizione d’Arte Internazionale Biennale di Venezia, Padiglione Italia, Padiglione Regionale Liguria, a cura di Vittorio Sgarbi 54°Internationale Kunstausstellung Biennale von Venedig, Italienpavillon, regionaler Pavillon Ligurien, Kurator Vittorio Sgarbi 54°International Arts Exhibition Biennale of Venice, Italian Pavilion, Regional Pavilion of Liguria, curator Vittorio Sgarbi
2013 “A Torino” Dajago Magazzino Culturale, Torino “A Torino” (“In Turin”) Kulturmagazin Dajago, Turin “A Torino” (“In Torino”) Dajago culture magazine, Torino
2010 “Carte dipinte” Bi-personale, Galleria Bianca Maria Rizzi, Milano a cura di Emanuele Beluffi “Carte dipinte” (“Bemalte Blätter”) Zweierausstellung, Galleria Bianca Maria Rizzi, Mailand Kurator Emanuele Beluffi “Carte dipinte” (“Painted Papers”) exhibition of two artists, Galleria Bianca Maria Rizzi, Milan curator Emanuele Beluffi
2012 “Bayter-Branca-Giovanrosa” Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genova “Bayter-Branca-Giovanrosa” Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genua “Bayter-Branca-Giovanrosa” Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genoa 2012 “Penombra” Chiesa di San Rocco, Carnago Varese “Penombra” (“Halbschatten”) Kirche San Rocco, Carnago Varese “Penombra” (“Half-light”) Church of San Rocco, Carnago Varese 2012 “Grabados” F.I.G. Festival Internacional de Grabado, Bilbao “Grabados” (“Gravuren”) F.I.G. Festival Internacional de Grabado, Bilbao “Grabados” (“Engravings”) F.I.G. Festival Internacional de Grabado, Bilbao 2011 “Caprichos” Galleria Federico Rui, Milano “Caprichos” (“Launen”) Galleria Federico Rui, Mailand “Caprichos” (“Caprice”) Galleria Federico Rui, Milan 2010 “Estructura azul” Galleria Ghiggini, Varese “Estructura azul” (“Blaue Struktur”) Galleria Ghiggini, Varese “Estructura azul” (“Blue structure”) Galleria Ghiggini, Varese 2010 “Tecnica mixta” Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genova “Tecnica mixta” (“Mischtechnik”) Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genua “Tecnica mixta” (“Mixing technique”) Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genoa 2009 “Amaneceres” Galleria Nuovo Spazio, Piacenza a cura di Emanuele Beluffi “Amaneceres” (“Sonnenaufgänge”) Galleria Nuovo Spazio, Piacenza Kurator Emanuele Beluffi “Amaneceres” (“Sunrise”) Galleria Nuovo Spazio, Piacenza curator Emanuele Beluffi 2009 “Dibujos Y Pinturas” Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genova a cura di Vladek Cwalinski “Dibujos Y Pinturas” (“Zeichnung und Malerei”) Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genua Kurator Vladek Cwalinski “Dibujos Y Pinturas” (“Drawings and paintings”) Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genoa curator Vladek Cwalinski
2010 Galleria Roberto Rotta, Genova 2009 “L’arte contemporanea incontra la dimora storica” Palazzo Spinola Galleria Nazionale, Genova “L’arte contemporanea incontra la dimora storica” (“Zeitgenössische Kunst in historischem Rahmen ”) Nationalgalerie Palazzo Spinola, Genua “L’arte contemporanea incontra la dimora storica” (“Contemporary modern art in historic setting”) National Gallery Palazzo Spinola, Genoa 2006 Arte Moderna e Contemporanea “Collettiva” Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genova Moderne und zeitgenössische Kunst “Collettiva” (“Gemeinschaftsausstellung”) Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genua Modern and contemporary art “Collettiva” (“Collective Exhibition”) Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genoa 2004 “Salon I” di Brera, Milano 2004 “Salon I” von Brera, Mailand 2004 “Salon I” of Brera, Milan 2004 2004 “Immagini di Genova” Anno della Cultura Europea, Comune di Genova, Genova “Immagini di Genova” (“Bilder von Genua”) Jahr der Europäischen Kultur, Gemeinde Genua, Genua “Immagini di Genova” (“Images of Genoa”) Year of the European Culture, Municipality of Genoa 2002 “Alla scoperta di Itaca” Galleria San Fedele di Milano “Alla scoperta di Itaca” (“Ithaka entdecken”) Galleria San Fedele, Mailand “Alla scoperta di Itaca” (“Discovering Ithaca”) Galleria San Fedele, Milan AWARDS 2007 Vincitore VI edizione del “Premio Ghiggini” Varese Gewinner der VI Ausgabe des “Premio Ghiggini” Varese winner of the VI edition of the “Premio Ghiggini” Varese 2006 Premio “Ricas” Milano “Ricas” Auszeichnung, Mailand “Ricas” Award, Milan
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2005 IV Premio Internazionale Biennale d’Incisione, Città di Monsummano Terme IV. Preis bei der Internationalen Gravurbiennale der Stadt Monsummano Terme (Biennale Internazionale d’Incisione) IV prize at the International Engraving Biennal of the city of Monsummano Terme (Biennale Internazionale d’Incisione) 2005 Premio “Salon I” dell’Accademia di Brera, Palazzo della Permanente, Milano Preis “Salon I” der Accademia di Brera, Palazzo della Permanente, Mailand “Salon I” Award of the Accademia di Brera, Palazzo della Permanente, Milan 2004 “Premio Arte Industria” Triennale di Milano “Premio Arte Industria” (“Kunstpreis Industrie”) Triennale von Mailand “Premio Arte Industria” (“Industrial Art Award”) triennal of Milan 2003 “Helios Arts Award” Milano “Helios Arts Award” Mailand “Helios Arts Award” Milan 2002 III Premio al concorso giovani artisti “Alla scoperta di Gattinara” III Preis beim Wettbewerb junger Künstler “Alla scoperta di Gattinara” („Auf den Spuren von Gattinara“) III prize at the competition of young artists “Alla scoperta di Gattinara” („Tracing Gattinara“) FAIRS 2014 Art Basel Miami Beach Art Basel Miami Beach Art Basel Miami Beach 2013 Olimpia Art Fair, London Olimpia Art Fair, London Olympia Art Fair, London 2011 GOTHA, Parma 2011 Expo Arte Fiera Piacenza Expo Arte Messe Piacenza Expo Arte Fair of Piacenza 2010 “Next Step” 09 Museo della scienza, Milano “Next Step” 09 Naturwissenschaftliches Museum Mailand “Next Step” 09 Science Museum, Milan 2009 Expo Arte Fiera Genova Kunst Expo Messe Genua Arts Expo Fair of Genoa 2008 Expo Arte Fiera Genova Kunst Expo Messe Genua Arts Expo Fair of Genoa 2007 Expo Arte Fiera Genova Kunst Expo Messe Genua Arts Expo Fair of Genoa COLLABORATIONS Epson, Genoa Calcio, Sampdoria Calcio Mostra fissa per l’anno 2015 Im festen Programm für die ersten Monate 2015 Definitely scheduled for 2015 Mostra personale presso il Museo dell’Ermitage a San Pietroburgo Personale in der Galerie der EREMITAGE von St. Petersburg Solo exhibition in the State Hermitage Museum of St. Petersburg