Guida Betlemme

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Testo di esempio: Con questa convinzione vogliamo offrire questa guida ai genitori e alle comunità cristiane che educano i propri figli alla conoscenza del Dio di Gesù. Quanto segue vuole essere spunto, motivo di riflessione, di aggancio per un cammino di fede condiviso con i propri figli.

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00 € 00,

E M M E L T E B esù G o m a i t n Ti racco

BETLEMME Ti raccontiamo Gesù

Anche la comunità cristiana si affianca e accompagna i genitori in questo cammino, lo fa con delicatezza, sapendo di avere un tesoro da condividere: il Vangelo del Signore Gesù. una seconda parte vuole mettere a fuoco le attenzioni educative e pedagogiche da tenere in sottofondo; una terza parte fa esplicito riferimento ai testi biblici citati nel Catechismo dei fanciulli (CdF/1) e degli adulti (CdA) della Conferenza Episcopale Italiana cui attingere per il passo da compiere; una quarta parte invita il catechista/educatore a riflettere su alcune attenzioni di contenuto inerenti al tema proposto, nello specifico e in generale; la quinta entra nel dettaglio suggerendo delle attività da fare durante l’incontro;

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A cura degli Uffici Catechistici Diocesani di Brescia, Genova e Venezia

Guida per genitori



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ristiana di isp c ira e on


Altri titoli

1

Betlemme. Ti raccontiamo Ges첫 Guida per i genitori

2

Nazaret. La scoperta di Ges첫 Guida per gli educatori Nazaret. La scoperta di Ges첫 Percorso liturgico per i ragazzi

3

Cafarnao. Il Padre Guida per gli educatori Cafarnao. Il Padre Percorso liturgico per i ragazzi

4

Gerusalemme. La storia che salva Guida per gli educatori Gerusalemme. La storia che salva Percorso liturgico per i ragazzi

5

Emmaus. Le pietre vive Guida per gli educatori Emmaus. Le pietre vive Percorso liturgico per i ragazzi

6

Antiochia. Mettersi in gioco Guida per gli educatori Antiochia. Mettersi in gioco Percorso liturgico per i ragazzi

A cura degli Uffici Catechistici Diocesani di Brescia, Genova e Venezia

BETLEMME Ti raccontiamo Ges첫 Guida per i genitori


Altri titoli

1

Betlemme. Ti raccontiamo Ges첫 Guida per i genitori

2

Nazaret. La scoperta di Ges첫 Guida per gli educatori Nazaret. La scoperta di Ges첫 Percorso liturgico per i ragazzi

3

Cafarnao. Il Padre Guida per gli educatori Cafarnao. Il Padre Percorso liturgico per i ragazzi

4

Gerusalemme. La storia che salva Guida per gli educatori Gerusalemme. La storia che salva Percorso liturgico per i ragazzi

5

Emmaus. Le pietre vive Guida per gli educatori Emmaus. Le pietre vive Percorso liturgico per i ragazzi

6

Antiochia. Mettersi in gioco Guida per gli educatori Antiochia. Mettersi in gioco Percorso liturgico per i ragazzi

A cura degli Uffici Catechistici Diocesani di Brescia, Genova e Venezia

BETLEMME Ti raccontiamo Ges첫 Guida per i genitori


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TAPPA

Mamma, ma dov’è Dio? Ottobre

In Casa Per mio figlio Carissimo Dio, la suora mi ha detto che Gesù è dentro al Tabernacolo. Io mi sono chiesta: Come fa a starci? Ho capito che questo era possibile quando la mamma mi ha spiegato che anch’io ero nella sua pancia e ci stavo. Silvia, 7 anni

Per me adulto Aiutati dai nostri bambini, anche noi possiamo tornare a domandarci seriamente: Dov’è Dio? Se parliamo con cuore aperto e sincero, riconosciamo che potremmo inciampare spesso nella risposta guardando quello che accade nel mondo, intorno a noi, ma anche nella nostra famiglia e dentro noi stessi. Infatti, qualsiasi sia la nostra situazione (magari siamo in ricerca, non frequentiamo la Chiesa o, forse, ci sentiamo parte di una comunità di credenti), possiamo ben sperimentare o aver sperimentato una sensazione di lontananza, quasi di abbandono, tanto da non sapere più dire “dov’è Dio”. Pensiamo alle prove, alla tiepidezza della fede, alla routine… Pensiamo anche a tutte le volte che lasciamo che difficoltà e stanchezze spengano il nostro desiderio di Dio. A rassicurarci è proprio Gesù che, prima della sua morte e risurrezione, ha promesso ai suoi: «Non vi lascerò orfani» (Giovanni 14,18). E anche nel suo discorso in Galilea dopo la risurrezione, Gesù ribadisce: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Matteo 28,20). Gesù è con noi tutti i giorni. L’espressione «tutti i giorni» al nostro orecchio di genitori richiama l’impegno quotidiano, ininterrotto dell’educazione e della cura dei nostri figli. Ogni giorno siamo chiamati al nostro compito di genitori che comprende anche la cura della crescita spirituale. Questo percorso non deve turbarci o metterci in difficoltà. Proviamo invece a pensarlo come un’occasione per farci interrogare dalle loro domande, recuperare grazie a loro la voglia di capire, comprendere, andare verso Dio, tornare a lui o intraprendere per la prima volta il viaggio. Leggiamo un breve racconto narrato da Martin Buber nel suo Il cammino dell’uomo: Un giorno in cui riceveva degli ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo: «Dove abita Dio?». Quelli risero di lui: «Ma che vi prende? Il mondo non è forse pieno della sua gloria?». Ma il Rabbi diede lui stesso la risposta alla domanda: «Dio abita dove lo si lascia entrare». Ecco ciò che conta in ultima analisi: lasciar entrare Dio. Ma lo si può lasciar entrare solo là dove ci si trova, e dove ci si trova realmente, dove si vive, e

Tappa 1 Mamma, ma dov’è Dio?

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10

Questa è una delle lettere indirizzate a Dio da bambini tra i 6 e i 10 anni (Briciole di tenerezza. Per educarsi allo stupore di essere, Dehoniane 2005). Possiamo riconoscere in lettere come questa alcune caratteristiche del senso religioso proprio dei bambini, ma soprattutto queste poche parole ci ricordano che, anche riguardo alla sfera della spiritualità, i bambini cercano risposte attorno a loro, guardano i nostri gesti, ascoltano discorsi e si fanno una propria idea che cambia nel tempo della crescita. Fin da piccoli e soprattutto da piccolissimi, se siamo disponibili all’ascolto, i nostri figli ci permettono di entrare nel loro mondo interiore e volentieri condividono con noi fantasie, rappresentazioni, domande che si rivelano preziose per iniziare un delicato dialogo sulla fede. Difficile comprendere fino in fondo il rapporto che intercorre tra i bambini e Dio perché Dio è misterioso, perché i bambini hanno ancora capacità limitate nell’esprimersi, perché noi, nel tentativo di comprendere, utilizziamo categorie nostre. Eppure possiamo lasciarci guidare dalla loro curiosità e provare a rispondere alla domanda che, tra tutte, resta la più suggestiva: Dov’è Dio? Ed è una domanda grande, che va presa sul serio e che ci permette di attingere alla nostra esperienza di fede e alla nostra ricerca di senso. I bambini ci hanno sentito pregare, pregano insieme a noi con le parole di Gesù: Padre nostro che sei nei cieli… Possiamo partire da qui. I cieli di cui parla Gesù non indicano un luogo fisico eppure l’immensità del cielo ci viene in aiuto per raccontare ai nostri figli la bellezza di Dio, la sua presenza amorevole che è immensamente più grande di noi, che ci protegge, che veglia su di noi e non ci abbandona. Nella Bibbia leggiamo che Dio Padre è al di sopra di tutto ciò che esiste, «quanto il cielo sovrasta la terra» (Isaia 55,9). Tuttavia Dio non è lontano. Facciamoci aiutare da un’immagine: come il cielo ab-

braccia ogni cosa, così Dio abbraccia gli uomini di tutto il mondo, circonda la nostra vita. Ma non solo. Sant’Agostino ha scritto che Dio abita il «cuore dei giusti» come se fosse il suo tempio. Confidiamo ai bambini un piccolo segreto: quando preghiamo è come se aprissimo a Dio la porta del nostro intimo, è come se il cielo entrasse nel nostro cuore. Dio allora è con noi. È per questo che pregando sperimentiamo una serenità speciale: il dono della pace è il segno della sua presenza in noi.


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TAPPA

Mamma, ma dov’è Dio? Ottobre

In Casa Per mio figlio Carissimo Dio, la suora mi ha detto che Gesù è dentro al Tabernacolo. Io mi sono chiesta: Come fa a starci? Ho capito che questo era possibile quando la mamma mi ha spiegato che anch’io ero nella sua pancia e ci stavo. Silvia, 7 anni

Per me adulto Aiutati dai nostri bambini, anche noi possiamo tornare a domandarci seriamente: Dov’è Dio? Se parliamo con cuore aperto e sincero, riconosciamo che potremmo inciampare spesso nella risposta guardando quello che accade nel mondo, intorno a noi, ma anche nella nostra famiglia e dentro noi stessi. Infatti, qualsiasi sia la nostra situazione (magari siamo in ricerca, non frequentiamo la Chiesa o, forse, ci sentiamo parte di una comunità di credenti), possiamo ben sperimentare o aver sperimentato una sensazione di lontananza, quasi di abbandono, tanto da non sapere più dire “dov’è Dio”. Pensiamo alle prove, alla tiepidezza della fede, alla routine… Pensiamo anche a tutte le volte che lasciamo che difficoltà e stanchezze spengano il nostro desiderio di Dio. A rassicurarci è proprio Gesù che, prima della sua morte e risurrezione, ha promesso ai suoi: «Non vi lascerò orfani» (Giovanni 14,18). E anche nel suo discorso in Galilea dopo la risurrezione, Gesù ribadisce: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Matteo 28,20). Gesù è con noi tutti i giorni. L’espressione «tutti i giorni» al nostro orecchio di genitori richiama l’impegno quotidiano, ininterrotto dell’educazione e della cura dei nostri figli. Ogni giorno siamo chiamati al nostro compito di genitori che comprende anche la cura della crescita spirituale. Questo percorso non deve turbarci o metterci in difficoltà. Proviamo invece a pensarlo come un’occasione per farci interrogare dalle loro domande, recuperare grazie a loro la voglia di capire, comprendere, andare verso Dio, tornare a lui o intraprendere per la prima volta il viaggio. Leggiamo un breve racconto narrato da Martin Buber nel suo Il cammino dell’uomo: Un giorno in cui riceveva degli ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo: «Dove abita Dio?». Quelli risero di lui: «Ma che vi prende? Il mondo non è forse pieno della sua gloria?». Ma il Rabbi diede lui stesso la risposta alla domanda: «Dio abita dove lo si lascia entrare». Ecco ciò che conta in ultima analisi: lasciar entrare Dio. Ma lo si può lasciar entrare solo là dove ci si trova, e dove ci si trova realmente, dove si vive, e

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Questa è una delle lettere indirizzate a Dio da bambini tra i 6 e i 10 anni (Briciole di tenerezza. Per educarsi allo stupore di essere, Dehoniane 2005). Possiamo riconoscere in lettere come questa alcune caratteristiche del senso religioso proprio dei bambini, ma soprattutto queste poche parole ci ricordano che, anche riguardo alla sfera della spiritualità, i bambini cercano risposte attorno a loro, guardano i nostri gesti, ascoltano discorsi e si fanno una propria idea che cambia nel tempo della crescita. Fin da piccoli e soprattutto da piccolissimi, se siamo disponibili all’ascolto, i nostri figli ci permettono di entrare nel loro mondo interiore e volentieri condividono con noi fantasie, rappresentazioni, domande che si rivelano preziose per iniziare un delicato dialogo sulla fede. Difficile comprendere fino in fondo il rapporto che intercorre tra i bambini e Dio perché Dio è misterioso, perché i bambini hanno ancora capacità limitate nell’esprimersi, perché noi, nel tentativo di comprendere, utilizziamo categorie nostre. Eppure possiamo lasciarci guidare dalla loro curiosità e provare a rispondere alla domanda che, tra tutte, resta la più suggestiva: Dov’è Dio? Ed è una domanda grande, che va presa sul serio e che ci permette di attingere alla nostra esperienza di fede e alla nostra ricerca di senso. I bambini ci hanno sentito pregare, pregano insieme a noi con le parole di Gesù: Padre nostro che sei nei cieli… Possiamo partire da qui. I cieli di cui parla Gesù non indicano un luogo fisico eppure l’immensità del cielo ci viene in aiuto per raccontare ai nostri figli la bellezza di Dio, la sua presenza amorevole che è immensamente più grande di noi, che ci protegge, che veglia su di noi e non ci abbandona. Nella Bibbia leggiamo che Dio Padre è al di sopra di tutto ciò che esiste, «quanto il cielo sovrasta la terra» (Isaia 55,9). Tuttavia Dio non è lontano. Facciamoci aiutare da un’immagine: come il cielo ab-

braccia ogni cosa, così Dio abbraccia gli uomini di tutto il mondo, circonda la nostra vita. Ma non solo. Sant’Agostino ha scritto che Dio abita il «cuore dei giusti» come se fosse il suo tempio. Confidiamo ai bambini un piccolo segreto: quando preghiamo è come se aprissimo a Dio la porta del nostro intimo, è come se il cielo entrasse nel nostro cuore. Dio allora è con noi. È per questo che pregando sperimentiamo una serenità speciale: il dono della pace è il segno della sua presenza in noi.


dove si vive una vita autentica. Se instauriamo un rapporto santo con il piccolo mondo che ci è affidato, se, nell’ambito della creazione con la quale viviamo, noi aiutiamo la santa essenza spirituale a giungere a compimento, allora prepariamo a Dio una dimora nel nostro luogo, allora lasciamo entrare Dio.

Là dove ci si trova. Con le nostre incertezze, i nostri dubbi, le nostre fragilità. Ci è dato di incontrare Dio proprio nella quotidianità, insieme ai nostri figli, nella vita di tutti i giorni, instaurando un rapporto santo con il piccolo mondo che ci è affidato. Allora potremo sentire che Dio abita con noi l’esperienza di genitori, di adulti in ricerca impegnati in un cammino tanto più grande perché condiviso con i piccoli che ci sono stati affidati dal Padre. Loro e nostro.

Per noi due in coppia Dopo aver letto, se volete, provate a confrontarvi a partire da alcune domande. Che cosa è per me la spiritualità? Quanto conta? Dio abita nel mio vissuto quotidiano? Sento questo desiderio di “far entrare Dio”, di “preparare a Dio una dimora nel mio luogo”? Quali sono gli ostacoli maggiori che mi impediscono di realizzare questo desiderio? Quali esperienze rappresentano invece un sostegno?

Parliamo loro con semplicità di questa preghiera che ci è stata insegnata da Gesù …perché potessimo chiamare Dio “padre”, “papà”, …perché potessimo rivolgerci a lui, che è immenso, che è più grande del cielo che ora ci sovrasta e sentirlo vicino, …perché potessimo sentire che Dio Padre abita in noi perché siamo suoi figli, che la sua presenza entra in noi ogni volta che ci rivolgiamo a lui e apriamo la porta del nostro cuore.

Attività: Le nuvoLettere Per ricordarci che in noi e nei nostri figli è presente il desiderio di Dio e per incoraggiarci a vicenda ad approfondire questa amicizia, realizziamo una piccola attività. Ritagliamo tante nuvolette da un cartoncino azzurro e chiediamo ai bambini di utilizzarle per scrivere una breve lettera a Dio. Scriviamo anche noi senza timori o imbarazzi esprimendo le nostre emozioni e sentendoci insieme ai bambini sotto lo sguardo amorevole di Dio, sotto lo stesso “cielo”. Infiliamo con uno spago le nostre lettere-nuvola e facciamone una “catena” che appenderemo alla porta. Appese alla porta d’ingresso della nostra casa, le nostre lettere-nuvola ci ricorderanno che Dio abita il nostro presente, che abita dove lo si lascia entrare.

hia In Parrocc

In che modo aiuto i miei figli nella loro ricerca di Dio? Come mi trovo di fronte alle loro domande? Ci sono dei momenti che uniscono spiritualmente tutta la famiglia? Quali sono e quali preferisco? In che modo posso custodire e arricchire questi momenti?

Dio è in tutto l’amore che ci viene donato, che doniamo, che incontriamo tra gli uomini e nella natura.

L’incontro viene diviso in quattro tappe.

1. Da vivere insieme

2. Si dividono i presenti in piccoli gruppi composti da 8/10 persone. In questi gruppi è opportuno prevedere una figura di riferimento (catechista) con la funzione di moderatore. Nei gruppi si esprime il proprio parere in relazione a quanto proposto.

Tappa 1 Mamma, ma dov’è Dio?

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Proviamo a vivere insieme ai nostri figli un momento di preghiera semplice e, allo stesso tempo, diverso dal solito. Troviamo l’occasione giusta per uscire tutti insieme, stare all’aperto, “sotto il cielo” (meglio se in un parco, un giardino, in mezzo alla natura) e recitiamo con loro il Padre nostro alzando gli occhi verso l’azzurro che si stende sopra di noi.

I genitori vengono accolti in un salone/palestra dell’oratorio o del centro parrocchiale. Sarà opportuno predisporre le sedie in modo circolare. Il sacerdote o il catechista o il responsabile laico o una coppia fungeranno da guida per l’incontro “lanciando la tematica”.


dove si vive una vita autentica. Se instauriamo un rapporto santo con il piccolo mondo che ci è affidato, se, nell’ambito della creazione con la quale viviamo, noi aiutiamo la santa essenza spirituale a giungere a compimento, allora prepariamo a Dio una dimora nel nostro luogo, allora lasciamo entrare Dio.

Là dove ci si trova. Con le nostre incertezze, i nostri dubbi, le nostre fragilità. Ci è dato di incontrare Dio proprio nella quotidianità, insieme ai nostri figli, nella vita di tutti i giorni, instaurando un rapporto santo con il piccolo mondo che ci è affidato. Allora potremo sentire che Dio abita con noi l’esperienza di genitori, di adulti in ricerca impegnati in un cammino tanto più grande perché condiviso con i piccoli che ci sono stati affidati dal Padre. Loro e nostro.

Per noi due in coppia Dopo aver letto, se volete, provate a confrontarvi a partire da alcune domande. Che cosa è per me la spiritualità? Quanto conta? Dio abita nel mio vissuto quotidiano? Sento questo desiderio di “far entrare Dio”, di “preparare a Dio una dimora nel mio luogo”? Quali sono gli ostacoli maggiori che mi impediscono di realizzare questo desiderio? Quali esperienze rappresentano invece un sostegno?

Parliamo loro con semplicità di questa preghiera che ci è stata insegnata da Gesù …perché potessimo chiamare Dio “padre”, “papà”, …perché potessimo rivolgerci a lui, che è immenso, che è più grande del cielo che ora ci sovrasta e sentirlo vicino, …perché potessimo sentire che Dio Padre abita in noi perché siamo suoi figli, che la sua presenza entra in noi ogni volta che ci rivolgiamo a lui e apriamo la porta del nostro cuore.

Attività: Le nuvoLettere Per ricordarci che in noi e nei nostri figli è presente il desiderio di Dio e per incoraggiarci a vicenda ad approfondire questa amicizia, realizziamo una piccola attività. Ritagliamo tante nuvolette da un cartoncino azzurro e chiediamo ai bambini di utilizzarle per scrivere una breve lettera a Dio. Scriviamo anche noi senza timori o imbarazzi esprimendo le nostre emozioni e sentendoci insieme ai bambini sotto lo sguardo amorevole di Dio, sotto lo stesso “cielo”. Infiliamo con uno spago le nostre lettere-nuvola e facciamone una “catena” che appenderemo alla porta. Appese alla porta d’ingresso della nostra casa, le nostre lettere-nuvola ci ricorderanno che Dio abita il nostro presente, che abita dove lo si lascia entrare.

hia In Parrocc

In che modo aiuto i miei figli nella loro ricerca di Dio? Come mi trovo di fronte alle loro domande? Ci sono dei momenti che uniscono spiritualmente tutta la famiglia? Quali sono e quali preferisco? In che modo posso custodire e arricchire questi momenti?

Dio è in tutto l’amore che ci viene donato, che doniamo, che incontriamo tra gli uomini e nella natura.

L’incontro viene diviso in quattro tappe.

1. Da vivere insieme

2. Si dividono i presenti in piccoli gruppi composti da 8/10 persone. In questi gruppi è opportuno prevedere una figura di riferimento (catechista) con la funzione di moderatore. Nei gruppi si esprime il proprio parere in relazione a quanto proposto.

Tappa 1 Mamma, ma dov’è Dio?

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Proviamo a vivere insieme ai nostri figli un momento di preghiera semplice e, allo stesso tempo, diverso dal solito. Troviamo l’occasione giusta per uscire tutti insieme, stare all’aperto, “sotto il cielo” (meglio se in un parco, un giardino, in mezzo alla natura) e recitiamo con loro il Padre nostro alzando gli occhi verso l’azzurro che si stende sopra di noi.

I genitori vengono accolti in un salone/palestra dell’oratorio o del centro parrocchiale. Sarà opportuno predisporre le sedie in modo circolare. Il sacerdote o il catechista o il responsabile laico o una coppia fungeranno da guida per l’incontro “lanciando la tematica”.


3. 4.

Si ritorna nel grande gruppo per un momento di condivisione. Preghiera conclusiva e consegna di un simbolo.

1. Si accolgono i genitori e chi guida l’incontro li invita a una preghiera. T. Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, proclamate fra i popoli le sue opere. A lui cantate, a lui inneggiate, meditate tutte le sue meraviglie. Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Ricordate le meraviglie che ha compiuto, i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca. È lui il Signore, nostro Dio: su tutta la terra i suoi giudizi. Si è sempre ricordato della sua alleanza, parola data per mille generazioni. Salmo 105

Per la presentazione della tematica si fanno due proposte.

a.

Una presentazione in Power Point con immagini varie: un sorriso, incontri, natura, girotondo, carezze, cura/sofferenza, giochi, famiglia, stupore…, un abbraccio e la citazione di Luca 18,15-17: («lasciate che i bambini vengano a me»).

b.

Un gioco: fai centro Con gessi di colore diverso si tracciano sul pavimento del salone diversi percorsi che convergono tutti in un unico centro in cui viene posta una luce. I percorsi saranno semplici e complicati, tondi o spigolosi. Si invitano le coppie presenti a scegliere e compiere uno dei percorsi spiegandone il perché. Lo scopo del gioco è quello di raggiungere il centro accompagnandosi nel cammino più o meno lineare.

Al termine della presentazione ci si divide in piccoli gruppi spostandosi nei luoghi preposti (salette o spazi identificati con sedie e sufficientemente lontani uno dall’altro). A ogni persona viene consegnato un foglio con una traccia per la riflessione. Quanto avete visto/vissuto cosa ha suscitato in voi? Quali emozioni?

Parole e gesti si intrecciano per comunicare agli altri i nostri sentimenti. Siamo consapevoli che i nostri gesti, gli atteggiamenti più che le nostre parole comunicano ai nostri figli l’amore nostro e di Dio? Riusciamo a stupirci con i nostri figli dei doni del creato, dell’attenzione che Dio ha avuto per noi? È tutto dovuto? L’amicizia inizia sempre con un incontro. Quanto cerco l’incontro con Dio? È importante ricordare che non esistono risposte giuste o sbagliate: ogni contributo arricchisce tutti. È opportuno non dilungarsi molto, venti minuti possono essere sufficienti.

3.

Al termine ci si riporta nel cerchio iniziale.

Il moderatore o un rappresentante dei vari gruppi sintetizza quanto emerso nel lavoro di gruppo condividendolo con gli altri. La guida può riportare allo scopo iniziale dell’incontro.

4.

Ci si sposta nella cappella dell’oratorio.

Preghiamo insieme con il Salmo 148 e recitando il Padre nostro. Al termine si possono fare due consegne. Una copia del Salmo 148 disegnato e tradotto per i bambini (da: Il mio primo libro dei Salmi); Un sacchettino contenente alcuni semi, simbolo del cammino di fede che la famiglia intende far crescere.

Tappa 1 Mamma, ma dov’è Dio?

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Esempio:

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3. 4.

Si ritorna nel grande gruppo per un momento di condivisione. Preghiera conclusiva e consegna di un simbolo.

1. Si accolgono i genitori e chi guida l’incontro li invita a una preghiera. T. Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, proclamate fra i popoli le sue opere. A lui cantate, a lui inneggiate, meditate tutte le sue meraviglie. Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Ricordate le meraviglie che ha compiuto, i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca. È lui il Signore, nostro Dio: su tutta la terra i suoi giudizi. Si è sempre ricordato della sua alleanza, parola data per mille generazioni. Salmo 105

Per la presentazione della tematica si fanno due proposte.

a.

Una presentazione in Power Point con immagini varie: un sorriso, incontri, natura, girotondo, carezze, cura/sofferenza, giochi, famiglia, stupore…, un abbraccio e la citazione di Luca 18,15-17: («lasciate che i bambini vengano a me»).

b.

Un gioco: fai centro Con gessi di colore diverso si tracciano sul pavimento del salone diversi percorsi che convergono tutti in un unico centro in cui viene posta una luce. I percorsi saranno semplici e complicati, tondi o spigolosi. Si invitano le coppie presenti a scegliere e compiere uno dei percorsi spiegandone il perché. Lo scopo del gioco è quello di raggiungere il centro accompagnandosi nel cammino più o meno lineare.

Al termine della presentazione ci si divide in piccoli gruppi spostandosi nei luoghi preposti (salette o spazi identificati con sedie e sufficientemente lontani uno dall’altro). A ogni persona viene consegnato un foglio con una traccia per la riflessione. Quanto avete visto/vissuto cosa ha suscitato in voi? Quali emozioni?

Parole e gesti si intrecciano per comunicare agli altri i nostri sentimenti. Siamo consapevoli che i nostri gesti, gli atteggiamenti più che le nostre parole comunicano ai nostri figli l’amore nostro e di Dio? Riusciamo a stupirci con i nostri figli dei doni del creato, dell’attenzione che Dio ha avuto per noi? È tutto dovuto? L’amicizia inizia sempre con un incontro. Quanto cerco l’incontro con Dio? È importante ricordare che non esistono risposte giuste o sbagliate: ogni contributo arricchisce tutti. È opportuno non dilungarsi molto, venti minuti possono essere sufficienti.

3.

Al termine ci si riporta nel cerchio iniziale.

Il moderatore o un rappresentante dei vari gruppi sintetizza quanto emerso nel lavoro di gruppo condividendolo con gli altri. La guida può riportare allo scopo iniziale dell’incontro.

4.

Ci si sposta nella cappella dell’oratorio.

Preghiamo insieme con il Salmo 148 e recitando il Padre nostro. Al termine si possono fare due consegne. Una copia del Salmo 148 disegnato e tradotto per i bambini (da: Il mio primo libro dei Salmi); Un sacchettino contenente alcuni semi, simbolo del cammino di fede che la famiglia intende far crescere.

Tappa 1 Mamma, ma dov’è Dio?

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Esempio:

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Focus L’educazione religiosa Le pagine che seguono vogliono aiutare a riflettere sul ruolo di genitori. Sono opinioni di esperti in ambito pedagogico e psicologico e possono diventare un valido supporto nel compito di educatori.

davvero bella, perché Gesù è bravo e buono, e se lo mangi ti fa diventare bravo e buono come lui! Io spero che quando divento grande anch’io mangio il panino di Gesù. Chissà di cosa sa il panino di Gesù?…». (da: S. Giardino, Nella testa di mio figlio. Capire i pensieri dei bambini attraverso la comunicazione non verbale)

Alcuni suggerimenti per educare il bambino al sacro

L’educazione al sacro nel bambino La religione e la fede dal punto di vista del bambino

I pensieri dei bambini e la religione

Tappa 1 Mamma, ma dov’è Dio?

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«Cara mamma, ti voglio raccontare due cose molto belle che ogni tanto penso quando sono solo, magari la sera, nel mio letto, prima di addormentarmi. La prima cosa è che mi piace guardare quel quadro che c’è appeso sul muro sopra il vostro letto: una mamma tiene in braccio il suo bambino. È bello l’azzurro del suo mantello, è bello il suo sorriso. Ed è così bello il bambino che dorme tra le sue braccia! Tu, mamma, mi hai spiegato tante volte che quella è Maria, la mamma di Gesù: adesso lei è in cielo, ma ci può sempre sentire se le parliamo! È bella, Maria, è bella come te! E mi hai detto che è anche la mamma di tutti: anche del papà, dei nonni, degli zii, dei cuginetti, dei miei amici, delle mie maestre. Proprio di tutti! Quando diciamo insieme la preghiera Ave Maria, penso al quadro e sono contento. È bello avere una mamma in cielo… oltre che una sulla terra! L’altra cosa bella è quando andiamo tutti in chiesa, con papà: lui mi tiene in braccio e così posso vedere la lucina rossa, che mi piace tanto, ma soprattutto la porticina dorata, quella vicino alla lucina, laggiù in fondo alla chiesa. Sono curioso, molto curioso, e allungo il collo ogni volta che il prete, a un certo punto, con una chiavetta, anche lei d’oro, apre la porticina d’oro: dentro c’è una specie di armadietto, tutto d’oro e dentro l’armadietto c’è una coppa…, anche questa è d’oro. Papà mi aveva detto una volta che quella porticina è la casetta di Gesù. E che dentro la coppa d’oro c’è Gesù! Io allora gli avevo chiesto: “Ma, papà, come fa Gesù a stare dentro la coppa d’oro? L’ho visto nel quadro che c’è a casa: è un bambino, ma è grande! Non ci sta mica”… E allora lui mi ha spiegato bene tutto, e io ho capito. Nella coppa ci sono dei dischetti bianchi (li ho visti!): sono tanti pezzettini di “panino di Gesù” (così mi ha detto papà) che si possono mangiare, e Gesù, con una specie di magia, riesce a stare dentro in quei dischetti bianchi… La magia non l’ho capita bene, però è una cosa che praticamente il prete riesce con le sue mani a far passare Gesù dentro i dischetti e Gesù ci sta dentro tutto! E poi la gente, e i bambini più grandi di me tirano fuori la lingua e mangiano i pezzetti di panino di Gesù. E Gesù così entra dentro nel loro cuore. Comunque anche questa è una cosa

«L’essere umano ha bisogno di amore in tutte le tappe della propria esistenza e in tutte le situazioni. Così ogni bambino ha bisogno d’amore. Nel clima d’amore si acquista quell’attitudine interiore per la quale, pur essendo il centro dell’attenzione, sviluppa in sé la tensione alla comunione, fondamento di un corretto modo di incontrarsi con il prossimo» (C. Lubich). Questo amore ha una caratteristica ben precisa: farsi uno con l’altro. Il «farsi uno», infatti, va oltre il «mettersi nei panni», perché porta il soggetto a «vivere l’altro», cioè a non vivere per se stesso, ma a condividere la vita dell’altro nelle sue gioie e nei suoi dolori, nei suoi interessi e nelle sue esperienze. Tutto ciò porta ad acquisire una dimensione globale e a passare dalla tendenza al ripiegamento su se stessi all’apertura che accoglie. Si sperimenta, così, un passaggio dall’io al noi, come membra di un unico corpo di cui si è parte inscindibile, pur nella specificità di ogni singolo membro. È così, allora, che nell’educazione al sacro si trovano coinvolti alcuni protagonisti che, insieme, permettono l’evoluzione nel bambino dell’immagine di Dio. Il primo protagonista è sicuramente lo Spirito Santo, che tocca direttamente il cuore del bambino. È Lui il sacro, che entra a far parte dell’intimo e attira a sé l’umanità del bambino; naturalmente gli adulti hanno il compito di preparare il terreno creando i presupposti affinché possa avvenire. Il secondo protagonista è il bambino, che necessita di essere guidato ad ascoltare e a riconoscere la presenza del divino mediante l’educazione a un rapporto costante e rituale. Questa educazione dovrà necessariamente comprendere un’educazione al silenzio e all’ascolto, per favorire la disposizione dell’anima al soffio dello Spirito; un’educazione alle emozioni, per conoscere le varie stimolazioni interiori dell’animo umano; e un’educazione all’altruismo per percepire l’altro come un dono di Dio per sé. In questo modo, il bambino può lentamente imparare da sé ad aprire la confidenza con Gesù dentro il suo cuore, sia mediante la preghiera rituale, sia mediante un affidamento e un dialogo costante con la voce di Dio. Il terzo protagonista è l’educatore o il genitore, che dovrà conoscere la dimensione umana del bambino, soprattutto durante le varie fasi di crescita, e al contempo testimoniare con i gesti e le azioni il suo personale rapporto con Dio.


Focus L’educazione religiosa Le pagine che seguono vogliono aiutare a riflettere sul ruolo di genitori. Sono opinioni di esperti in ambito pedagogico e psicologico e possono diventare un valido supporto nel compito di educatori.

davvero bella, perché Gesù è bravo e buono, e se lo mangi ti fa diventare bravo e buono come lui! Io spero che quando divento grande anch’io mangio il panino di Gesù. Chissà di cosa sa il panino di Gesù?…». (da: S. Giardino, Nella testa di mio figlio. Capire i pensieri dei bambini attraverso la comunicazione non verbale)

Alcuni suggerimenti per educare il bambino al sacro

L’educazione al sacro nel bambino La religione e la fede dal punto di vista del bambino

I pensieri dei bambini e la religione

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«Cara mamma, ti voglio raccontare due cose molto belle che ogni tanto penso quando sono solo, magari la sera, nel mio letto, prima di addormentarmi. La prima cosa è che mi piace guardare quel quadro che c’è appeso sul muro sopra il vostro letto: una mamma tiene in braccio il suo bambino. È bello l’azzurro del suo mantello, è bello il suo sorriso. Ed è così bello il bambino che dorme tra le sue braccia! Tu, mamma, mi hai spiegato tante volte che quella è Maria, la mamma di Gesù: adesso lei è in cielo, ma ci può sempre sentire se le parliamo! È bella, Maria, è bella come te! E mi hai detto che è anche la mamma di tutti: anche del papà, dei nonni, degli zii, dei cuginetti, dei miei amici, delle mie maestre. Proprio di tutti! Quando diciamo insieme la preghiera Ave Maria, penso al quadro e sono contento. È bello avere una mamma in cielo… oltre che una sulla terra! L’altra cosa bella è quando andiamo tutti in chiesa, con papà: lui mi tiene in braccio e così posso vedere la lucina rossa, che mi piace tanto, ma soprattutto la porticina dorata, quella vicino alla lucina, laggiù in fondo alla chiesa. Sono curioso, molto curioso, e allungo il collo ogni volta che il prete, a un certo punto, con una chiavetta, anche lei d’oro, apre la porticina d’oro: dentro c’è una specie di armadietto, tutto d’oro e dentro l’armadietto c’è una coppa…, anche questa è d’oro. Papà mi aveva detto una volta che quella porticina è la casetta di Gesù. E che dentro la coppa d’oro c’è Gesù! Io allora gli avevo chiesto: “Ma, papà, come fa Gesù a stare dentro la coppa d’oro? L’ho visto nel quadro che c’è a casa: è un bambino, ma è grande! Non ci sta mica”… E allora lui mi ha spiegato bene tutto, e io ho capito. Nella coppa ci sono dei dischetti bianchi (li ho visti!): sono tanti pezzettini di “panino di Gesù” (così mi ha detto papà) che si possono mangiare, e Gesù, con una specie di magia, riesce a stare dentro in quei dischetti bianchi… La magia non l’ho capita bene, però è una cosa che praticamente il prete riesce con le sue mani a far passare Gesù dentro i dischetti e Gesù ci sta dentro tutto! E poi la gente, e i bambini più grandi di me tirano fuori la lingua e mangiano i pezzetti di panino di Gesù. E Gesù così entra dentro nel loro cuore. Comunque anche questa è una cosa

«L’essere umano ha bisogno di amore in tutte le tappe della propria esistenza e in tutte le situazioni. Così ogni bambino ha bisogno d’amore. Nel clima d’amore si acquista quell’attitudine interiore per la quale, pur essendo il centro dell’attenzione, sviluppa in sé la tensione alla comunione, fondamento di un corretto modo di incontrarsi con il prossimo» (C. Lubich). Questo amore ha una caratteristica ben precisa: farsi uno con l’altro. Il «farsi uno», infatti, va oltre il «mettersi nei panni», perché porta il soggetto a «vivere l’altro», cioè a non vivere per se stesso, ma a condividere la vita dell’altro nelle sue gioie e nei suoi dolori, nei suoi interessi e nelle sue esperienze. Tutto ciò porta ad acquisire una dimensione globale e a passare dalla tendenza al ripiegamento su se stessi all’apertura che accoglie. Si sperimenta, così, un passaggio dall’io al noi, come membra di un unico corpo di cui si è parte inscindibile, pur nella specificità di ogni singolo membro. È così, allora, che nell’educazione al sacro si trovano coinvolti alcuni protagonisti che, insieme, permettono l’evoluzione nel bambino dell’immagine di Dio. Il primo protagonista è sicuramente lo Spirito Santo, che tocca direttamente il cuore del bambino. È Lui il sacro, che entra a far parte dell’intimo e attira a sé l’umanità del bambino; naturalmente gli adulti hanno il compito di preparare il terreno creando i presupposti affinché possa avvenire. Il secondo protagonista è il bambino, che necessita di essere guidato ad ascoltare e a riconoscere la presenza del divino mediante l’educazione a un rapporto costante e rituale. Questa educazione dovrà necessariamente comprendere un’educazione al silenzio e all’ascolto, per favorire la disposizione dell’anima al soffio dello Spirito; un’educazione alle emozioni, per conoscere le varie stimolazioni interiori dell’animo umano; e un’educazione all’altruismo per percepire l’altro come un dono di Dio per sé. In questo modo, il bambino può lentamente imparare da sé ad aprire la confidenza con Gesù dentro il suo cuore, sia mediante la preghiera rituale, sia mediante un affidamento e un dialogo costante con la voce di Dio. Il terzo protagonista è l’educatore o il genitore, che dovrà conoscere la dimensione umana del bambino, soprattutto durante le varie fasi di crescita, e al contempo testimoniare con i gesti e le azioni il suo personale rapporto con Dio.


Il quarto protagonista sono la Chiesa e la comunità, che dovranno sempre più testimoniare e favorire il rapporto personale fra il bambino e Gesù, insieme al dialogo con tutta la comunità, come espressione di gioia e di amore scambievole. In questo modo, si scoprirà che l’educazione al sacro nel bambino è solo un pretesto di Dio per attrarci sempre più tutti a sé, con la scoperta che tutto ciò è bello, fantasticamente e concretamente bello! (da: E. Aceti, Genitori si può fare. Conoscere i bambini da 0 a 10 anni)

Perché Dio c’entra con l’essere genitori?

Come Dio entra in una famiglia con bambini

Tappa 1 Mamma, ma dov’è Dio?

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Ci vuole un bel coraggio a introdurre il tema della fede nella famiglia con bambini, o meglio l’accesso alla paternità di Dio come fattore di protezione del legame genitore-figli! Il rischio è a portata di mano: sembrerebbe una banale strumentalizzazione di Dio invocato come garante della genitorialità e fonte di sicurezza. Ma è proprio nel senso di protezione del legame che noi vorremmo qui esplorare il rapporto di fede: a parte che non ci risulta che il Padre rivelato dal Figlio Gesù abbia suscettibilità e idiosincrasie sulle nostre motivazioni alla fede; ricorriamo a Lui per paura? Egli non ci respinge. Ricorriamo a Lui perché ci sentiamo inadeguati, provvisori, bisognosi di protezione? Egli ci ascolta. Ricorriamo a Lui perché incantati dalla sua bellezza, dalla gratuità del suo amore? Egli ci ascolta. Come dice l’esperienza universale dei Salmi. Ma i genitori, in quanto tali, hanno un motivo in più per ricordarsi di Lui, anzi due. Il primo è evidente nella relazione di fede: grazie al Padre buono, un genitore può sentirsi autorizzato da Lui a essere genitore. In quanto Padre, Egli si rivela la fonte, il mandante di ogni genitorialità; ma anche nel contempo la sua ragione ultima. Come a dire, il genitore, nella fede, percepisce il mandato di essere (provvisorio!) genitore di quel figlio suo, pensato e amato da Lui e destinato a Lui, alla felicità dell’Incontro definitivo. Ogni genitore che ha simile fede può dire al figlio senza ombra di dubbio, senza paura: «Tu sei perché sei stato amato», io ne sono testimone; non (titanicamente) tu esisti perché noi ti abbiamo voluto, concepito, “fatto” (in questa ottica che cosa dovrebbe pensare mai un figlio che scopre di essere un incidente non voluto dai genitori?); noi abbiamo messo a disposizione il nostro cuore, la nostra carne e la nostra vita perché il Suo volerti prendesse corpo, qui e ora. Quando un giorno mi dirai, nelle mille sfide in cui ti sembrerà inutile o assurda la tua vita, «perché mi hai messo al mondo?», io genitore avrò una duplice umile risposta: c’è stata l’iniziativa del Signore della vita, perciò è Lui la tua ragione ultima; sei atteso da Lui per essere amato e per amare in tutta pienezza.

Una simile risposta è umile, perché non avoca a sé il potere della genitorialità e situa il figlio in un orizzonte amplissimo, che trascende il puro sistema familiare; e nel contempo è una risposta rinfrancante, perché parte dalla certezza che il figlio preme al Padre più di quanto prema ai genitori stessi, è scritto sul palmo delle sue mani, ed è Lui che se ne prenderà cura e che provvederà, perfino nonostante i limiti e le inadempienze dei genitori, è Lui che metterà sul suo cammino di figlio le orme della propria paternità attraverso gli incontri della vita. È quanto mai urgente richiamare oggi la protezione di una simile paternità/maternità del Padre per salvare i genitori dai loro deliri di onnipotenza e, nel contempo (l’altra faccia della stessa medaglia!), dai loro corrosivi sensi di colpa. Una famiglia in cui si scommette sulla paternità/maternità di Dio è una famiglia che ha un suo centro di gravità, un luogo segreto che non si lascia invadere dalla relativizzazione e dalle mode trionfanti. Il secondo motivo per ricordarsi di Dio ha a che fare con una promessa e apre un orizzonte mozzafiato: quello di divenire nella pratica di genitori, «colleghi» del Padre buono. C’è un luogo in Luca che lascia stupefatti: quando il Signore, al suo ritorno, trova i servi vigilanti, è preso da una tale gratitudine e commozione per loro che, con gesto impensabile per ogni «servo» di tutti i tempi, Egli si mette a servirli. Il testo di Luca è molto preciso al riguardo, osserva al rallentatore i gesti di questo strano padrone: mette a tavola i servi (e cioè compie tutte le azioni per preparare un pasto abbondante), si cinge il grembiule e, in segno di deferenza, passa a servirli; in altre parole, li onora e li nutre. A me sembra che una simile promessa riguardi di diritto i genitori credenti che hanno servito Dio nel loro gesti, nei loro infiniti (è il caso di dirlo: infiniti!) gesti di cura con cui si relazionano con i figli, restando vigilanti e cioè riconoscendo che il Padre è il mandante della loro genitorialità, senza appropriarsene in modo privatistico. Ebbene, a simili genitori spetta la promessa, che segnala, nelle immagini della breve parabola, una verità ultima, quasi indicibile con parole umane: quei servi-genitori non sono più servi, ma commensali di Dio, suoi partner, suoi colleghi!


Il quarto protagonista sono la Chiesa e la comunità, che dovranno sempre più testimoniare e favorire il rapporto personale fra il bambino e Gesù, insieme al dialogo con tutta la comunità, come espressione di gioia e di amore scambievole. In questo modo, si scoprirà che l’educazione al sacro nel bambino è solo un pretesto di Dio per attrarci sempre più tutti a sé, con la scoperta che tutto ciò è bello, fantasticamente e concretamente bello! (da: E. Aceti, Genitori si può fare. Conoscere i bambini da 0 a 10 anni)

Perché Dio c’entra con l’essere genitori?

Come Dio entra in una famiglia con bambini

Tappa 1 Mamma, ma dov’è Dio?

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Ci vuole un bel coraggio a introdurre il tema della fede nella famiglia con bambini, o meglio l’accesso alla paternità di Dio come fattore di protezione del legame genitore-figli! Il rischio è a portata di mano: sembrerebbe una banale strumentalizzazione di Dio invocato come garante della genitorialità e fonte di sicurezza. Ma è proprio nel senso di protezione del legame che noi vorremmo qui esplorare il rapporto di fede: a parte che non ci risulta che il Padre rivelato dal Figlio Gesù abbia suscettibilità e idiosincrasie sulle nostre motivazioni alla fede; ricorriamo a Lui per paura? Egli non ci respinge. Ricorriamo a Lui perché ci sentiamo inadeguati, provvisori, bisognosi di protezione? Egli ci ascolta. Ricorriamo a Lui perché incantati dalla sua bellezza, dalla gratuità del suo amore? Egli ci ascolta. Come dice l’esperienza universale dei Salmi. Ma i genitori, in quanto tali, hanno un motivo in più per ricordarsi di Lui, anzi due. Il primo è evidente nella relazione di fede: grazie al Padre buono, un genitore può sentirsi autorizzato da Lui a essere genitore. In quanto Padre, Egli si rivela la fonte, il mandante di ogni genitorialità; ma anche nel contempo la sua ragione ultima. Come a dire, il genitore, nella fede, percepisce il mandato di essere (provvisorio!) genitore di quel figlio suo, pensato e amato da Lui e destinato a Lui, alla felicità dell’Incontro definitivo. Ogni genitore che ha simile fede può dire al figlio senza ombra di dubbio, senza paura: «Tu sei perché sei stato amato», io ne sono testimone; non (titanicamente) tu esisti perché noi ti abbiamo voluto, concepito, “fatto” (in questa ottica che cosa dovrebbe pensare mai un figlio che scopre di essere un incidente non voluto dai genitori?); noi abbiamo messo a disposizione il nostro cuore, la nostra carne e la nostra vita perché il Suo volerti prendesse corpo, qui e ora. Quando un giorno mi dirai, nelle mille sfide in cui ti sembrerà inutile o assurda la tua vita, «perché mi hai messo al mondo?», io genitore avrò una duplice umile risposta: c’è stata l’iniziativa del Signore della vita, perciò è Lui la tua ragione ultima; sei atteso da Lui per essere amato e per amare in tutta pienezza.

Una simile risposta è umile, perché non avoca a sé il potere della genitorialità e situa il figlio in un orizzonte amplissimo, che trascende il puro sistema familiare; e nel contempo è una risposta rinfrancante, perché parte dalla certezza che il figlio preme al Padre più di quanto prema ai genitori stessi, è scritto sul palmo delle sue mani, ed è Lui che se ne prenderà cura e che provvederà, perfino nonostante i limiti e le inadempienze dei genitori, è Lui che metterà sul suo cammino di figlio le orme della propria paternità attraverso gli incontri della vita. È quanto mai urgente richiamare oggi la protezione di una simile paternità/maternità del Padre per salvare i genitori dai loro deliri di onnipotenza e, nel contempo (l’altra faccia della stessa medaglia!), dai loro corrosivi sensi di colpa. Una famiglia in cui si scommette sulla paternità/maternità di Dio è una famiglia che ha un suo centro di gravità, un luogo segreto che non si lascia invadere dalla relativizzazione e dalle mode trionfanti. Il secondo motivo per ricordarsi di Dio ha a che fare con una promessa e apre un orizzonte mozzafiato: quello di divenire nella pratica di genitori, «colleghi» del Padre buono. C’è un luogo in Luca che lascia stupefatti: quando il Signore, al suo ritorno, trova i servi vigilanti, è preso da una tale gratitudine e commozione per loro che, con gesto impensabile per ogni «servo» di tutti i tempi, Egli si mette a servirli. Il testo di Luca è molto preciso al riguardo, osserva al rallentatore i gesti di questo strano padrone: mette a tavola i servi (e cioè compie tutte le azioni per preparare un pasto abbondante), si cinge il grembiule e, in segno di deferenza, passa a servirli; in altre parole, li onora e li nutre. A me sembra che una simile promessa riguardi di diritto i genitori credenti che hanno servito Dio nel loro gesti, nei loro infiniti (è il caso di dirlo: infiniti!) gesti di cura con cui si relazionano con i figli, restando vigilanti e cioè riconoscendo che il Padre è il mandante della loro genitorialità, senza appropriarsene in modo privatistico. Ebbene, a simili genitori spetta la promessa, che segnala, nelle immagini della breve parabola, una verità ultima, quasi indicibile con parole umane: quei servi-genitori non sono più servi, ma commensali di Dio, suoi partner, suoi colleghi!


È la straordinaria vicenda dei tempi ultimi, anticipata nell’estasi della genitorialità!

Le condizioni per «parlare di Dio ai bambini» E siamo di fronte alle precise, limitate, reali responsabilità del nostro parlare di Dio ai bambini. C’è un parlare di Dio che usa Dio; ed è indifferente se ne siamo del tutto consapevoli o no. Non è indifferente, invece, l’ottica nella quale ci collochiamo ‑ di cui non possiamo non essere consapevoli ‑ quando parliamo di Dio come «puntello» o timbro del nostro volere. Se Dio è usato per obbligare i figli a fare ciò che noi vogliamo da loro, ci prendiamo la responsabilità atroce di oscurare presso di loro la luce della sua presenza. I figli non avranno livore per le nostre incoerenze, per i nostri sbagli, per le nostre incertezze: man mano che diventano adulti impareranno a perdonarcele; anzi, è proprio il trovarci imperfetti che li guiderà alla loro autonomia, ai loro passi in proprio. Ciò che più difficilmente ci perdoneranno sarà l’aver usato Dio per tenerli buoni, succubi, arrendevoli a ciò che ci sembrava giusto, detto in maniera dura: di aver preteso obbedienza in nome di Dio. E non ce lo perdoneranno nella maniera più atroce per loro stessi: buttando a mare Dio e la religione, credendo così di aver conquistato la loro libertà. Il bambino picchiato, per esempio, perché non vuole andare in chiesa, perché non sta fermo durante la Messa, perché è scappato dall’oratorio con un compagno poco per bene, il bambino disapprovato duramente, anzi messo in ridicolo, disprezzato, rifiutato; il bambino cui si fanno ricatti morali e affettivi, è un bambino che non saprà che farsene di un Dio così rappresentato. E, forse, nel diventare «ateo» dirà disperatamente qualcosa su come vorrebbe Dio. (da: M. Zattoni, Foto di famiglia)

Perché parlare di Dio ai bambini?

Parlare di Dio ai bambini

lasciato i suoi segni, le sue tracce. Basterebbe dire: «Dio ti vuole bene, lui che è il Signore dell’universo vuole bene proprio a te; quando ti guarda, sorride». Ma queste semplici enunciazioni, se appena le pronunciamo, ci producono un po’ di titubanza. «E se mi chiede come faccio a saperlo?», si domandava una madre. A parte che il bambino sarebbe già contento della semplice affermazione, se lo diciamo con leggerezza; ma se proprio volesse le «fonti» del nostro sapere, anche qui basterebbe una risposta rassicurante: «lo so; sono proprio sicura, l’amore che provo per te è un segno del grande sconfinato amore che Lui ha per te!». Certo è che, se ci affacciamo al mistero di Dio, dobbiamo essere pronti a spalancare i nostri orizzonti. «Maestra, che cosa vuol dire vita eterna?», chiese un bimbetto di terza elementare all’insegnante di religione che stava giusto parlando dell’Eucaristia, pane di vita eterna. La maestra spiegò che la vita non finisce qui con la morte, che Gesù ci ha aperto una vita che non muore più, che dura sempre presso Dio. Il giorno dopo l’insegnante dovette subire le aspre critiche di una madre: «E come si permette di parlare di morte a mio figlio? Ma non lo sa che è rimasto turbato e continuava a chiedere quando lui doveva morire?». Ecco perché abbiamo così paura di parlare di Dio: perché la sua realtà confina con le realtà ultime, ci mette davanti i nostri limiti, i nostri perché, il senso del nostro vivere. Quella madre voleva risparmiare al figlio ogni paura, ogni domanda, ogni turbamento. Povero, titanico puerocentrismo che, invece di affidare il figlio al Padre buono, tenta di preservarlo, di scontargli ogni paura e ogni dolore. Ma il Gesù matteano ci insegna ben altro puerocentrismo: «In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?”. Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me”». (da: M. Zattoni, Foto di famiglia)

Rischiamo di non dare ai figli l’essenziale, l’unicum necessario, la ragione per cui In altre parole, non parliamo loro di Dio. Piuttosto parliamo di elfi, babbi natale, befane; lasciamo che il loro senso del sacro si diluisca nel magico, nell’immaginario, nel fantasioso. Ma perché non parliamo loro del Signore della vita? Tutte le volte che tentiamo ci accorgiamo che è molto difficile: possiamo mettere i nostri figli sulla traccia di Dio, soltanto se noi ce ne siamo lasciati incantare, se non abbiamo sospetti su Dio, se, e soltanto se, l’abbiamo incontrato «nel segreto», se ci siamo lasciati regalare da Lui i momenti più belli della nostra vita, anche quelli che non escludono il dolore. A volte vogliamo «spiegare» Dio ai bambini, e diventiamo perfino ridicoli: basterebbe nominarlo, come si nomina la persona amata che è lontana e che pure ci ha Tappa 1 Mamma, ma dov’è Dio?

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vivere.


È la straordinaria vicenda dei tempi ultimi, anticipata nell’estasi della genitorialità!

Le condizioni per «parlare di Dio ai bambini» E siamo di fronte alle precise, limitate, reali responsabilità del nostro parlare di Dio ai bambini. C’è un parlare di Dio che usa Dio; ed è indifferente se ne siamo del tutto consapevoli o no. Non è indifferente, invece, l’ottica nella quale ci collochiamo ‑ di cui non possiamo non essere consapevoli ‑ quando parliamo di Dio come «puntello» o timbro del nostro volere. Se Dio è usato per obbligare i figli a fare ciò che noi vogliamo da loro, ci prendiamo la responsabilità atroce di oscurare presso di loro la luce della sua presenza. I figli non avranno livore per le nostre incoerenze, per i nostri sbagli, per le nostre incertezze: man mano che diventano adulti impareranno a perdonarcele; anzi, è proprio il trovarci imperfetti che li guiderà alla loro autonomia, ai loro passi in proprio. Ciò che più difficilmente ci perdoneranno sarà l’aver usato Dio per tenerli buoni, succubi, arrendevoli a ciò che ci sembrava giusto, detto in maniera dura: di aver preteso obbedienza in nome di Dio. E non ce lo perdoneranno nella maniera più atroce per loro stessi: buttando a mare Dio e la religione, credendo così di aver conquistato la loro libertà. Il bambino picchiato, per esempio, perché non vuole andare in chiesa, perché non sta fermo durante la Messa, perché è scappato dall’oratorio con un compagno poco per bene, il bambino disapprovato duramente, anzi messo in ridicolo, disprezzato, rifiutato; il bambino cui si fanno ricatti morali e affettivi, è un bambino che non saprà che farsene di un Dio così rappresentato. E, forse, nel diventare «ateo» dirà disperatamente qualcosa su come vorrebbe Dio. (da: M. Zattoni, Foto di famiglia)

Perché parlare di Dio ai bambini?

Parlare di Dio ai bambini

lasciato i suoi segni, le sue tracce. Basterebbe dire: «Dio ti vuole bene, lui che è il Signore dell’universo vuole bene proprio a te; quando ti guarda, sorride». Ma queste semplici enunciazioni, se appena le pronunciamo, ci producono un po’ di titubanza. «E se mi chiede come faccio a saperlo?», si domandava una madre. A parte che il bambino sarebbe già contento della semplice affermazione, se lo diciamo con leggerezza; ma se proprio volesse le «fonti» del nostro sapere, anche qui basterebbe una risposta rassicurante: «lo so; sono proprio sicura, l’amore che provo per te è un segno del grande sconfinato amore che Lui ha per te!». Certo è che, se ci affacciamo al mistero di Dio, dobbiamo essere pronti a spalancare i nostri orizzonti. «Maestra, che cosa vuol dire vita eterna?», chiese un bimbetto di terza elementare all’insegnante di religione che stava giusto parlando dell’Eucaristia, pane di vita eterna. La maestra spiegò che la vita non finisce qui con la morte, che Gesù ci ha aperto una vita che non muore più, che dura sempre presso Dio. Il giorno dopo l’insegnante dovette subire le aspre critiche di una madre: «E come si permette di parlare di morte a mio figlio? Ma non lo sa che è rimasto turbato e continuava a chiedere quando lui doveva morire?». Ecco perché abbiamo così paura di parlare di Dio: perché la sua realtà confina con le realtà ultime, ci mette davanti i nostri limiti, i nostri perché, il senso del nostro vivere. Quella madre voleva risparmiare al figlio ogni paura, ogni domanda, ogni turbamento. Povero, titanico puerocentrismo che, invece di affidare il figlio al Padre buono, tenta di preservarlo, di scontargli ogni paura e ogni dolore. Ma il Gesù matteano ci insegna ben altro puerocentrismo: «In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?”. Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me”». (da: M. Zattoni, Foto di famiglia)

Rischiamo di non dare ai figli l’essenziale, l’unicum necessario, la ragione per cui In altre parole, non parliamo loro di Dio. Piuttosto parliamo di elfi, babbi natale, befane; lasciamo che il loro senso del sacro si diluisca nel magico, nell’immaginario, nel fantasioso. Ma perché non parliamo loro del Signore della vita? Tutte le volte che tentiamo ci accorgiamo che è molto difficile: possiamo mettere i nostri figli sulla traccia di Dio, soltanto se noi ce ne siamo lasciati incantare, se non abbiamo sospetti su Dio, se, e soltanto se, l’abbiamo incontrato «nel segreto», se ci siamo lasciati regalare da Lui i momenti più belli della nostra vita, anche quelli che non escludono il dolore. A volte vogliamo «spiegare» Dio ai bambini, e diventiamo perfino ridicoli: basterebbe nominarlo, come si nomina la persona amata che è lontana e che pure ci ha Tappa 1 Mamma, ma dov’è Dio?

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TAPPA

Cosa mi rende felice? Novembre «Ti sono costati gli amici. E, più di ogni altra cosa, ti sono costati la fiducia in me. Non hai pensato che ti avrei fatto felice. Pensavi che lo avrebbero fatto le scatole e i palloni… Tu sei speciale, ma non per quello che hai ma per ciò che sei. Tu sei mio. Io ti amo. Non dimenticarlo, mio piccolo amico».

In Casa Per mio figlio Anche se non siamo in grado di dare una definizione vera e propria di felicità, tutti ne abbiamo fatto esperienza: è in quel momento che la nostra vita ci appare piena, scorgiamo il senso più profondo delle cose, proviamo gratitudine come per un dono ricevuto e raramente ne godiamo da soli ma ci apriamo agli altri nella condivisione. Anche i bambini riescono a raccontare le loro sensazioni a riguardo. «Cosa mi rende felice?». Proviamo a chiedercelo insieme ai nostri figli. Possiamo anche formulare la domanda come una frase da completare, in questo modo: «Siamo felici quando…». Ascoltiamo le loro frasi e diamo anche noi la nostra. Semplice, breve, un esempio concreto li aiuterà ancora di più. È questa un’occasione preziosa per cercare di andare a fondo, al cuore della vera felicità aiutando i bambini a distinguere diversi modi di essere felici. Per esempio, la “felicità” che viene dall’avere. È importante misurarci con questo tema per aiutare i bambini a comprendere che la felicità abita nelle relazioni (con il prossimo e con Dio) e non nelle cose. Pensiamo alla pressione che insieme a noi sperimentano i bambini nella corsa ad acquistare, collezionare, avere, vestire… Spesso sono lasciati soli nello scoprire, con delusione, che la vera gioia non è data da quel gioco ma dal modo in cui si gioca e dall’opportunità di essere in compagnia…

Per me adulto Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Giovanni 15,11

Gesù stesso parla del regno dei cieli come di un tesoro da cercare. «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo» (Matteo 13,44).

«Pieno di gioia». La prima conquista della ricerca di questo tesoro, ancora prima della certezza di averlo per sé, è la gioia. La gioia nella ricerca di Colui che si fa trovare, è la caparra preziosa del tesoro che vogliamo raggiungere. Dare la precedenza a questa ricerca di senso dà ordine a tutto il resto e ai nostri desideri di felicità: «Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Matteo 6,33) o, con le parole dei Salmi: «Cerca la gioia nel Signore: esaudirà i desideri del tuo cuore» (Salmo 37,4). E una vita piena di senso e felice perché giusta, nella verità, vicina agli ultimi, ricca di compassione, è quella che Gesù ha testimoniato con il proprio insegnamento e con la propria esistenza tanto da essere per i cristiani l’uomo delle Beatitudini. Giovanni Paolo II in occasione di un importante incontro con i giovani, toccando il tema della ricerca della felicità, disse: «In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità». Il Dio dei cristiani è il Dio della gioia.

Trasmettere questo messaggio è di gran lunga il più bel regalo che potremo fare ai nostri bambini nei loro primi passi nella fede. Un messaggio la cui verità dovremo aver sperimentato o desiderare di vivere noi stessi: «Vivendo le Beatitudini, infatti, pur con tutti i nostri limiti e peccati, possiaTappa 2 Cosa mi rende felice?

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Un bel punto di partenza per accogliere le loro riflessioni e considerazioni può essere quello di leggere insieme una favola, Tu sei Mio, di Max Lucado. Un testo semplice, un bel libro illustrato che ci aiuta a parlare ai bambini della felicità. Il protagonista della storia (uno Wemmick, un ometto di legno scolpito dal falegname Eli) inizia ad accumulare oggetti come scatole e palloni in una gara con i suoi vicini; pensa, infatti, che quelle cose lo faranno essere importante agli occhi degli altri e sicuramente lo renderanno felice. Per averne sempre di più rinuncia a molte altre cose e trascura gli altri. Il falegname Eli, il creatore del protagonista, riscuote dal torpore interiore il suo piccolo Wemmick e gli fa capire una verità importantissima e cioè che quegli oggetti gli sono costati molto cari e soprattutto che la fonte della gioia è un’altra:

È una bella favola che possiamo leggere insieme proprio perché, oltre a insegnare che la felicità viene dalle relazioni positive con gli altri e non nell’avere, apre alla scoperta che l’origine della nostra felicità è nel rapporto con Dio Padre che ci ha creati perché fossimo felici. E, ancora, che la felicità è sapere di essere amati da Dio così come siamo.


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