Mezza città scende in piazza a L’Aquila contro il governo. I pm indagano sul mancato allarme. L’opposizione che fa?y(7HC0D7*KSTKKQ( +z!"!]!#!: www.ilfattoquotidiano.it
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Venerdì 18 giugno 2010 – Anno 2 – n° 168 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
BERLUSCONI IMBAVAGLIATO La tenaglia Fini-Bossi, i dubbi del Quirinale, i forti rischi di incostituzionalità, il voto sulle intercettazioni rinviato a dopo l’estate: il premier finisce all’angolo, ma medita il contrattacco
La rivolta abruzzese
Decisivo l’incontro tra il presidente della Camera e il leader della Lega: per la prima volta il capo del Pdl appare in “minoranza” all’interno della maggioranza
di Furio Colombo
Giordano Cardone, Fierro, Nicoli e Telese pag. 2-3 z
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ia chiaro. Prima del terremoto non c’è terremoto. Prima di Bertolaso non c’è Bertolaso. Prima di Berlusconi non c’è Berlusconi. Chi si agita cercando di prevenire il terremoto o di arrivare prima di Bertolaso o impedire a Berlusconi di comparire in veste di salvatore è spregevole come un pubblico ministero, e va denunciato per quello che è: imbroglione e di sinistra. Anche a terremoto e vittime avvenuti, anche dopo che gli studenti ospiti de L’Aquila, sono diventati polvere sotto la polvere di un edificio “sicuro” e “verificato” che per economia (la stessa che guida adesso la manovra finanziaria) aveva tre pilastri invece dei quattro indispensabili. Diciamo la verità, neppure al berlusconismo, che è una forma “strisciante” di golpe (Umberto Eco) era necessario essere ciechi e stupidi. Ma una volta messa in movimento una macchina politica senza contraddizione, la maledizione di credere e dire “ho sempre ragione” si insinua come certi mali che entrano inosservati e quando te ne accorgi è troppo tardi. Se pensate che innumerevoli avvertimenti competenti hanno detto e ripetuto ciò che del resto stava già accadendo (il terremoto distruttivo è stato preceduto da decine di scosse), vi renderete conto dell’esigenza un po’ folle di mantenere un perpetuo ottimismo. Qualcosa che allarma anche oggi pensando alla crisi “che ci siamo lasciati alle spalle”. D’altra parte il silenzio sulla previsione sempre più evidente e pressante, è la tipica ossessione di controllare tutto e dichiarare tutto “buono” perché sotto la guida del regime, che non può sbagliare. E così devono essere stampa, tv, rapporti internazionali (ma solo con Gheddafi e Putin) e – quando sarà possibile – la giustizia. Dell’unico periodo della vita pubblica italiana che – ormai sono certo – è confrontabile a Berlusconi (il fascismo nelle sue forme più misere) ricordo questo. Nell’inverno del 1942 ero in un negozio di alimentari e un ufficiale della milizia fascista stava obbligando una signora a scrivere su un foglio, cento volte: “Ne ho abbastanza del pane, viva il duce”. La rivolta è cominciata quando la donna, esasperata, ha gridato: “Ne ho abbastanza del duce, viva il pane”. Per la prima volta nella mia vita di bambino ho visto un uomo spaventato, aggredito da una folla di donne. Mia madre – sono felice di ricordare – non si è tirata indietro. Il Popolo viola era già nato. E adesso ci sono 20 mila aquilani che occupano l’autostrada e vogliono sapere. Sta cominciando il dopo.
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PROPAGANDA FIDE x Immobili della cricca
Sepe, da cardinale a padrone di case Fortuna e guai del porporato, uomo di mondo dal profilo complesso
Monsignor Sepe visto da Emanuele Fucecchi
Sansa pag. 5 z
L’ACCUSA x La richiesta per medici, agenti penitenziari e infermieri
PRIME VERITÀ SUL CASO CUCCHI I PM: 13 A GIUDIZIO n
sentenza d’appello
G8, condannato De Gennaro. Ma il governo lo difende Caselli pag. 4z
CATTIVERIE Lapo Elkann: “Sono stato operaio e ho anche scioperato”. Una giornata intensa www.spinoza.it
Udi Daniele Martini
Tra i reati contestati abusi e lesioni. La famiglia chiede l’omicidio preterintenzionale Castelli pag. 4 z
Udi Marco Franchi
LA STANGATA IMMIGRATI NASCOSTA A CENA DA AL CASELLO MARZOTTO una tassa praticamente inrima finanzia con un miÈla volta. visibile, pochi spiccioli al- P lione di euro la Lega e BerMa alla fine l’importo lusconi, e ora regala una ceè sostanzioso: 750 milioni in 18 mesi. Una tombola. E l’imposta sarà pagata al casello sotto forma di pedaggio dagli automobilisti. pag. 7 z
na a oltre 500 immigrati: è Giannino Marzotto, 82 anni, il membro più imprevedibile della dinastia di imprenditori veneti. pag. 8 z
L’Ordine dei Censori di Marco Travaglio
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l professor Ernesto Galli della Loggia non può definirsi un simpatizzante del Fatto. Ma non gliene vogliamo, perché prima che lui antipatizzasse con noi, noi già antipatizzavamo con lui. E non per ostilità preconcetta, anzi: noi siamo suoi fervidi fan e speriamo sempre che scriva qualcosa di sensato per poterlo applaudire. Purtroppo accade di rado, un paio di volte ogni dieci anni (anche gli orologi fermi segnano, due volte al giorno, l’ora esatta). Per il resto l’insigne tuttologo riesce sempre a parlare di qualunque argomento dello scibile umano con la stessa enciclopedica incompetenza. L’altroieri ha stipato in trenta di righe sul Pompiere della Sera una concentrazione di corbellerie da far impallidire la densità della popolazione di Calcutta. Ce l’aveva col Fatto, reo di aver citato un articolo su Repubblica di Giovanni Valentini, che a sua volta riprendeva un comunicato della Fnsi. Galli della Loggia, che non è tipo da sottilizzare, ha attribuito al Fatto l’articolo di Valentini e il comunicato Fnsi. E inconsapevolmente ha fatto bene, perché li condividiamo in pieno: è il caso che l’Ordine dei giornalisti sanzioni i giornalisti-parlamentari che han votato la legge bavaglio. Già è seccante sentirsi chiamare “collega” da un Gasparri, un Mastella, un D’Alema (quello che chiama i giornalisti “jene dattilografe” e vorrebbe “chiudere” i giornali che pubblicano intercettazioni, specie se sue). Ma è ancor più seccante che nello stesso Ordine professionale siedano i giornalisti-giornalisti che danno le notizie e i giornalisti-parlamentari che vogliono sbatterli in galera perché danno le notizie. Galli della Loggia, che non distinguerebbe una notizia da un paracarro, considera la proposta roba da “succursale del Pcus” (e lui se ne intende, avendo sciolto memorabili inni al marxismo-leninismo nella sua precedente reincarnazione: il periodo rosso) e un inaccettabile attentato alla Costituzione. Perciò ironizza sui “veri democratici che popolano la redazione del Fatto”, “guardiani” e “difensori di professione della Costituzione” che ci accusa di non conoscere. Lui, che invece la conosce bene, ne cita un fantomatico “primo comma”. Abbiamo controllato, casomai ci fosse sfuggito: non esiste alcun “primo comma” della Costituzione. Pazienza: capita anche ai migliori Galli di mangiare pesante. Quello che il pover’uomo chiama “primo comma” della Costituzione è l’incipit dell’articolo 68, relativo alle immunità. Nella versione originaria del 1948 diceva così: “I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”; nella versione del 1993 il termine “perseguiti” è divenuto “chiamati a rispondere”. Infatti nessuno vuole arrestare o processare i parlamentari-giornalisti che han votato la legge bavaglio: semplicemente accompagnarli alla porta dell’Ordine dei giornalisti. Non si vede perché un ordine professionale che ha al primo punto del suo statuto la tutela della libertà di stampa dovrebbe tenersi in casa personaggi che quella libertà la combattono. Se un avvocato-parlamentare vota una legge che abolisce il diritto di difesa, l’Ordine forense che fa: gli dà un encomio solenne? Se un medico-parlamentare propone di abolire il bisturi o la Tac, l’Ordine dei medici che fa: gli organizza un festino? Ogni associazione ha le sue regole e chi le calpesta si mette alla porta da solo. Che c’è di incostituzionale in tutto ciò? Secondo Galli della Loggia, le comunità israelitiche dovrebbero accettare l’iscrizione dei naziskin e il Telefono azzurro quella del mostro di Marcinelle? Professore, dia retta: faccia un bel respiro, cerchi di digerire, si prenda un periodo di riposo, si studi la differenza fra i commi e gli articoli della Costituzione. Poi, volendo, potrà fondare l’Ordine dei Censori. I Mastella, Gasparri, D’Alema e compagnia bella s’iscriveranno in massa. E noi ci leveremo finalmente l’imbarazzo di essere iscritti a un club che accetta come soci quelli come lei.
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Nastro Consorte-Fassino, Antonio Di Pietro: chiedo commissione d’inchiesta
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AD PERSONAM
ntonio Di Pietro ha chiesto ieri una commissione d'inchiesta parlamentare sulla vicenda dell'intercettazione del colloquio tra Piero Fassino e Giovanni Consorte che sarebbe finita sul tavolo di Silvio Berlusconi, nel 2005. Se fosse provato che il premier ha sentito un nastro che sarebbe dovuto restare segreto, per il leader dell'Idv ci sono i margini per una richiesta di
impeachment. "Io le ho chiesto fava e lei mi ha risposto piselli", ha replicato caustico Di Pietro al sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo che in aula alla Camera rispondeva a una sua interpellanza. "Le ho chiesto se è vero o no che il presidente del Consiglio ha avuto modo di ascoltare un'intercettazione illegalmente acquisita", ha detto, poi "illecitamente pubblicata dal giornale di proprietà di
suo fratello e non ha fatto nulla". Dunque, ha detto, "che c'azzecca che la Rcs continua a fare intercettazioni per la Procura della Repubblica?". Ora, ha aggiunto, "non mi si venga a dire che non risulta un suo coinvolgimento penale, lo accerterà la Procura, qui si parla di un coinvolgimento politico". Per la stessa cosa, "anzi per molto meno, gli americani hanno mandato a casa Nixon".
LA PROTESTA dei fotoreporter di Napoli anifestazione di protesta, stamane, di un gruppo di M fotoreporter napoletani contro il ddl sulle intercettazioni. In largo S. Giovanni Maggiore Pignatelli i fotografi si sono fatti a loro volta fotografare bendati e con le macchine al collo in segno di protesta. "Non è possibile - hanno detto i promotori della manifestazione - per gli operatori dell’informazione restare a guardare senza agire. Vogliamo inoltre evidenziare la condizione di estremo disagio in cui versa attualmente la categoria. Una informazione libera e indipendente è possibile solo quando non sono imposte limitazioni, né con la legge, né con l’abbandono di fatto".
A sinistra un momento della manifestazione dei fotoreporter (FOTO EMBLEMA) ; a destra il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (FOTO DLM)
BOSSI L’HA MESSO ALL’ANGOLO
L’asse tra Fini e il leader della Lega sulla legge bavaglio ha isolato Berlusconi. Che per la prima volta è “minoranza” di Sara Nicoli
l Cavaliere si è imbavagliato nel suo stesso bavaglio. Per la prima volta dall’inizio della legislatura, Silvio Berlusconi è isolato all’interno della sua stessa maggioranza. Le sabbie mobili del ddl intercettazioni lo stanno facendo sprofondare verso il basso anche nei sondaggi e a questo punto la tentazione è quella di buttare tutto per aria, puntando a mandare il ddl su un binario morto. O, alla meno peggio, a rallentarne l’iter di parecchi mesi. In attesa che decanti l’alzata di scudi, stavolta tutta interna al Pdl, che ieri ha visto raggiungere il livello di tensione più alto. È sceso in campo Bossi, spronato da Fini a vedere la questione in un’ottica diversa da quella delle urgenze del Cavaliere. “Come fai a pensare – avrebbe detto Fini a Bossi – che l’elettorato possa capire l’atteggiamento della Lega, che ha sempre puntato sulla sicurezza, quando questo ddl, in qualche
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maniera la fa venire meno? E come la metti con le forze dell’ordine che sono tutte sul piede di guerra? Guarda che Napolitano mica la firma una cosa così…”. Il Senatùr non ci ha pensato un attimo. E ha lasciato solo Berlusconi a nuotare nel suo pantano. Poi, con il consueto pragmatismo in salsa squisitamente leghista, ha distillato il succo della questione: “Se Il presidente della Repubblica non firma, siamo fregati”. Il ddl intercettazioni, dal punto di vista politico, ormai è maionese impazzi-
L’ufficio legislativo del capo dello Stato avrebbe fatto già pervenire informalmente i rilievi
ta. Umberto Bossi è entrato a gamba tesa nel caos interno alla maggioranza: “Se si trova una soluzione tra Berlusconi e Napolitano, si può andare avanti, bisogna trovare una via d’uscita”. Ormai è chiaro. Il governo e la maggioranza dei berluscones hanno capito che quel che è successo è molto peggio del Vietnam solo minacciato dall’opposizione qualche giorno fa; Caporetto è arrivata da sola. E porta la firma degli stessi berluscones. La sconfitta, dunque, è certa: o accettare le modifiche (che il Cavaliere continua a non volere) o andare incontro a uno scontro con il Quirinale dalle conseguenze politiche molto pesanti. Per non parlare poi dell’eventualità, tutt’altro che remota, che alla fine l’aula della Camera non sostenga nessuna altra forzatura con rischi pesanti anche per il governo stesso. Bossi questo l’ha intuito. “Fini come me – ha detto il Senatùr – si rende conto che è inutile andare a testate contro il muro, ti fai male e ba-
sta, se c’è un’alternativa la si deve trovare; l’ho trovato ragionevole, è uno che ha capito che cosa bisogna fare”. E anche Fini ha gradito parecchio questo slancio di Bossi verso la sua sponda del buon senso. Durante il colloquio, il presidente della Camera avrebbe fatto capire a Bossi che il meccanismo farraginoso a cui sarebbero costretti i magistrati, potrebbe rendere difficile lo svolgimento delle indagini. E la Lega, che ha nel ministro dell’Interno Maroni un esponente di spicco, non può restare indifferente alla materia. Come neppure ai rilievi del Quirinale; modifiche di “buon senso” faciliterebbero l’approvazione e la firma. Ora, però, viene il difficile, ossia far capire al Cavaliere che è giunto il momento di “modificare il ddl” recependo i rilievi che, informalmente, l’ufficio legislativo del Quirinale avrebbe fatto trapelare direttamente con gli uffici della terza carica dello Stato. I finiani, d’altra parte, sono stati chiari. Su tre punti non hanno
alcuna intenzione di cedere il passo, ovvero sulla questione delle intercettazioni ambientali, sul “quantum” delle sanzioni contro gli editori e sull’entità della proroga per le intercettazioni, le famose 72 ore. E il Cavaliere? Chi lo ha visto ieri lo descrive “furibondo” per l’entrata in scena di Bossi. “Non parlo – ha detto ai giornalisti a Bruxelles – tanto vi inventate tutto”. Ma non è un’invenzione che ieri Gianni Letta abbia preso contatti con il Quirinale proprio per vedere di venirne a capo sulla questione intercettazioni. Ma il Cavaliere non ha sciolto ancora nessuna riserva. Quel che appare certo è che invece il ddl intercettazioni sarà modificato in modo sostanziale in commissione Giustizia. La presidente, Giulia Bongiorno, ha detto le cose come stanno: “Una disciplina sulle intercettazioni è assolutamente necessaria, ma non credo che per arrivare a questa si debbano limitare le indagini; il ddl è da cambiare e la Lega è d’accordo”. “Quelle della Bongiorno sono
frasi a titolo personale”, ha subito sparato Enrico Costa, il capogruppo Pdl in commissione, ma la conta interna all’organismo, con la nuova presa di posizione di Bossi, rende il gruppo del berluscones sempre più isolato e spaccato. I deputati Pdl, infatti, sono 19 di cui 5 finiani di stretta osservanza (Manlio Contento, Angela Napoli, Giuseppe Consolo, Lanfranco Tenaglia e la presidente Giulia Bongiorno, in totale tre avvocati, un ex magistrato e la pasionaria antimafia finiana di ferro), la Lega ne conta 5, 3 l’Udc, 2 l’Idv, 15 il Pd: gli uomini del Cavaliere, con la Lega all’opposizione, sono in netta minoranza. Intanto, verranno calendarizzati provvedimenti più urgenti (manovra, università) mentre proseguirà l’iter in commissione. Palamara dell’Amn è scettico: “Sarà difficile da migliorare perché mette in ginocchio l’attività dei pm”. Le intercettazioni sono, di fatto, una sconfitta politica bruciante per Silvio. Ecco perché, adesso, cerca la tregua.
L’INTERVISTA Alberto Cisterna, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia
“Cancellato il concetto di criminalità organizzata” di Enrico Fierro
a legge sulle intercettazio“L ni metterà seriamente in discussione gli accordi internazionali sottoscritti nel 1991 al vertice di Palermo contro il crimine transnazionale”. Quel vertice che proprio ieri è stato ricordato all’Onu alla presenza del ministro della Giustizia Angelino Alfano. Alberto Cisterna, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, cosa c’è che non va nella nuova disciplina sulle intercettazioni? In rapporto alla convenzione firmata a Palermo vent’anni fa, molto. In quel vertice l’Italia si impegnò insieme agli altri paesi a colpire con particolari tecniche investigative, quindi anche con il sistema delle inter-
cettazioni telefoniche e ambientali, tutte le forme di crimine organizzato. Non solo le associazioni mafiose e terroristiche, ma anche, ad esempio, le bande criminali dedite a rapine seriali, i colletti bianchi che organizzano sistemi corruttivi, gli imprenditori che si mettono insieme per organizzare truffe sui finanziamenti pubblici. Per farla breve il disegno di legge approvato dal Senato ha semplicemente cancellato la nozione di criminalità organizzata. In che modo? Riportando una serie di reati, anche quelli di particolare allarme sociale, nell’alveo dei reati monosoggettivi. Le faccio un esempio e riguarda la corruzione, i fatti venuti alla luce in questi giorni. La nuova Tangentopoli?
Non voglio avventurarmi in questo dibattito nominalistico, ma le vicende di queste ultime settimane ci dicono che qualcosa è cambiato, il rapporto non è più tra corruttore e corrotto, la rete è più ampia e tenuta insieme da un complesso di favori che mette in luce una struttura poligonale. Ebbene, come puoi indagare con i limiti temporali imposti dal ddl e con l’obbligo dei gravi indizi di colpevolezza?. Chi la farà franca, dottore? I gruppi di bancarottieri e di furbetti del quartierino, le gang che irrompono nelle ville, i nuovi reticoli su cui corre la corruzione della pubblica amministrazione. Siamo di fronte all'attacco più intenso che questa riforma reca alle indagini contro il malaffare e le consor-
terie della malapolitica, visto che tratta allo stesso modo il funzionario corrotto che delinque solitariamente vendendo pratiche d'ufficio appalti e le cricche che realizzano sofisticate sinergie e usufruiscono di legami profondi nella politica.
“Siamo di fronte all’attacco più intenso che questa riforma reca alle inchieste contro il malaffare”
In entrambi i casi ci vorranno i gravi indizi di reato per intercettare o per acquisire un tabulato. Un duro colpo anche alla sicurezza dei cittadini? Guardi, per indagare su una serie di rapine in villa un magistrato potrà disporre le intercettazioni solo se si troverà in presenza di gravi indizi di reato e potrà farlo solo in un limite temporale di 75 giorni, eccezionalmente prorogabili di 3 in 3. In queste condizioni vorrei sapere come si fa a venire a capo di una banda dedita alle rapine seriali nelle ville o nei supermercati oppure ai portavalori nel Nord. Da questo punto di vista il danno, per così dire, è federalista, nel senso che colpisce i cittadini del Nord e del Centro vittime di queste forme
particolari di crimine organizzato, e quelli del Sud colpiti dalle truffe sui finanziamenti europei, ad esempio. Venire a capo dei reati associativi richiede molto più tempo e capacità di indagine rispetto ai reati commessi da singoli. Le intercettazioni sono troppe, costano e bisogna risparmiare, dicono i sostenitori della riforma. La nuova disciplina avrà costi enormi in termini di ore di lavoro e di produzione di carte. Pensiamo solo la fatto che per richiedere una proroga delle intercettazioni bisogna far viaggiare i fascicoli da un ufficio all’altro. Siamo nel 2010 e di una legge non va valutata solo la copertura finanziari, ma anche i costi in termini di risorse umane.
Venerdì 18 giugno 2010
L’allarme dell’Fnsi: no a strutture di controllo della redazione
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AD PERSONAM
l Consiglio Nazionale della Federazione nazionale della stampa, riunito ieri a Roma, ha approvato all’unanimità un ordine del giorno sulla "legge bavaglio sulle intercettazioni che prevede sanzioni amministrative (da 25.800 a 310mila euro) per l’impresa multimediale che viola le norme dell’articolo 684 Cp (pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale)". Da tali sanzioni, rileva la Fnsi,
Il timore del senatùr
I distinguo della Bongiorno
Il presidente della Camera
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“
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Serve intesa con il Quirinale, perché se il presidente non firma siamo fregati
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Disciplinare la materia è necessario ma non si possono limitare le indagini
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Dopo questo incontro ringrazio Umberto per l’inattesa apertura
”
"gli editori - che pure hanno sottolineato, in più di una circostanza, i pericoli derivanti dallo snaturamento di un corretto rapporto tra editore, direttore e redazione - verrebbero risparmiati se dimostrassero di aver adottato nelle loro redazioni un modello organizzativo che implichi il funzionamento di una catena di comando efficace nei controlli dei testi messi in pagina o mandati in onda". Il Cn della Fnsi "individua
La Camera, Vietnam del Cavaliere PUNTANDO TUTTO SUL SENATO B. SI È INDEBOLITO A MONTECITORIO di Luca Telese
a telefonata che ha cambiato i rapporti di forza in campo è iniziata così: “Scusa Umberto, ma ti voglio chiedere una cosa. Tu, il testo del Senato, lo hai letto bene? Perché...”. Umberto è Umberto Bossi. E dall’altro capo del telefono c’era Gianfranco Fini. Se Silvio Berlusconi avesse potuto intercettare quella telefonata, molto probabilmente, gli sarebbe venuto un coccolone. Strategia vietcong. Dietro la miracolosa congiunzione astrale che ha rovesciato i rapporti di forza nel centrodestra e ha impantanato la (apparentemente) trionfale marcia del disegno di legge sulle intercettazioni nei due rami del Parlamento c’è la convergenza, più o meno simultanea, di quattro fattori decisivi. Il primo è un sostanziale ribaltamento strategico di posizione (quello della Lega, che anche ieri in commissione si è smarcata dal Pdl). Il secondo è un piccolo capolavoro tattico del presidente della Camera, che ha saputo, contemporaneamente, fare pressione sulla Lega, e imbrigliare
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In alto Silvio Berlusconi (FOTO DLM) , sotto Umberto Bossi (DISEGNO DI RICCARDO MANNELLI ) e Gianfranco Fini (FOTO EMBLEMA. ) In basso padre Lombardi, portavoce del Vaticano (FOTO ANSA)
con allarme nella nascita di tali ‘strutture di comando’ un ulteriore, inaccettabile tentativo di rendere ancor più assolutistiche, iper-verticistiche e accentrate le attuali organizzazioni redazionali a tutto danno della qualità del prodotto, della fluidità produttiva, del quotidiano confronto, della libertà di espressione". Per la Fnsi, "appare evidente il sapore intimidatorio e poliziesco”.
Maroni & co. temono contraccolpi sulla sicurezza promessa alla “gente padana”
(senza violare la lettera di nessun regolamento parlamentare, anzi, attenendosi in maniera rigorosa) il percorso del provvedimento. Il terzo è stato un grave errore di manovra di Berlusconi nella scelta di tempo. “Se avesse posto la fiducia alla Camera, dopo un lungo dibattito parlamentare al Senato - spiega uno degli uomini più vicini a Fini - come si sarebbe potuto non votarla? Poiché invece Berlusconi ha fatto esattamente il contrario - continua il finiano era praticamente impossibile non discutere alla Camera”. Poi, ovviamente c’è stata la “moral suasion” di Napolitano. Palazzo Chigi sapeva di rischiare il rinvio alle Camere su almeno tre punti dell’accordo, e in caso di rinvio, i finiani non avrebbero rivotato in nessun caso un testo fotocopia. Insomma, i vietcong dell’ex leader di An hanno atteso gli yankee berlusconiani nella Camera in cui avevano i rapporti di forza migliori. Al Senato non potevano sapere nemmeno cosa accadesse in commissione Giustizia, a Montecitorio contano sulla presidenza della commissione, sulla maggioranza dei commissari e sul presidente della Camera. La conversione di Bossi.Il primo punto è quello apparentemente più difficile da spiegare. Come mai le argomentazioni di Fini vengono improvvisamente prese in considerazione da Bossi? Da un lato per via della micidiale pressione che i vertici delle forze dell’ordine hanno esercitato in queste ore sul povero Maroni: “Qui mi dicono che metà delle indagini di mafia saltano...”, ha detto il ministro dell’Interno al leader del Carroccio. Il resto del lavoro di convincimento l’ha fatto, senza volerlo, lo stesso Berlusco-
LA VOCE DELLA CHIESA
(ANCHE) DA RADIO VATICANA UN “APPELLO” PER LE INTERCETTAZIONI di Pierluigi Giordano Cardone
disegno di legge sulle intercettaIunalzioni telefoniche e ambientali “è legge che limita il potere d’indagine, e quindi della magistratura, e anche quello d’informazione” perché, dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa, “oltre al dovere c’è anche un diritto all’informazione”. Parole che pesano: per chi le ha dette e, soprattutto, per dove sono state dette. A parlare, infatti, non è un rappresentante diretto del mondo ecclesiastico, ma un laico molto considerato negli ambienti cattolici italiani. Trattasi del professor Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia politica dell’Istituto universitario Sophia di Loppiano (Firenze), che fa capo ai Focolari, movimento laico fondato da Chiara Lubich all’interno della Chiesa. Ciò che pesa, tuttavia, è soprattutto
un altro dato: il professor Baggio ha espresso il suo pensiero sul ddl bavaglio in un’intervista rilasciata a Radio Vaticana, l’emittente ufficiale della Santa Sede. Ma le considerazioni del docente, al netto dell’assenza di ogni documento ufficiale del mondo vaticano, sono anche quelle della Chiesa cattolica? A rispondere al quesito è direttamente padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede nonché responsabile generale di Radio Vaticana. “Quella del professor Antonio Maria Baggio - ha detto padre Lombardo a Il Fatto Quotidiano - è un’intervista alla radio, non è la posizione ufficiale della Chiesa”. Eppure il parere “anti bavaglio” del
professore è stato pronunciato ai microfoni dell’emittente ufficiale della Santa Sede... Commentando questa considerazione, padre Lombardi è diventato più preciso. “Quella del professor Baggio è una voce autorevole accolta da un organo di stampa autorevole, ma non è una posizione uffi-
In trasmissione spiegano: si limita il potere d’accertamento, e quindi della magistratura e dell’informazione
ciale”. Come definirla, allora? Il dubbio terminologico viene fugato direttamente dal direttore della Sala Stampa vaticana: “È un contributo che abbiamo ritenuto di offrire ai nostri ascoltatori - ha detto padre Lombardi - al fine di ragionare e approfondire un argomento importante”. Al netto di ogni lettura “subliminale” delle parole del direttore di Radio Vaticana, una considerazione appare inequivocabile: se il professor Baggio avesse espresso idee e pensieri contrari a quelli della Santa Sede, Radio Vaticana certamente non le avrebbe mandate in onda. Anche questa, ovviamente, non è una posizione ufficiale: è un processo deduttivo.
ni. Chiedendo la corsia preferenziale per le intercettazioni ha messo in secondo piano tutto il resto. E il senatùr se ne deve andare domenica prossima di fronte al popolo di Pontida senza poter annunciare quella sul federalismo, con le regioni in rivolta sui tagli della Finanziaria, con molte perplessità che iniziano a manifestarsi, persino tra gli elettori, sul fatto che la legge possa favorire le attività criminali e mettere in crisi il dogma della sicurezza. Troppe cattive notizie, tutte insieme . I voti si pesano. Ma l’errore che è tutto di Berlusconi merita di essere ponderato. Il presidente del Consiglio continua a chiedersi, come Stalin “di quante armate disponga il Papa” (cioè Fini) senza capire che nei passaggi più delicati del confronto parlamentare, i voti non si contano, ma si pesano. Alla Camera i berlusconiani rischiano di ritrovarsi in aula con un testo che passa al buio in commissione. Un rischio troppo grosso. Se ieri anche uno come Maurizio Gasparri si diceva disposto ad accettare delle correzioni, è perché con il riposizionamento della Lega i rapporti di forza sono totalmente cambiati. Certo, quella telefonata ha pesato: “Ma tu lo sai che con questo testo non si potrebbe mettere una cimice nella macchina della moglie di Riina?”. No, Umberto non lo sapeva. Oppure fino a quel momento non lo aveva ritenuto grave . Entro l’estate? Adesso però la sconfitta in una battaglia ha messo in crisi tutta la strategia della blitzkrieg, della guerra lampo pianificata da Berlusconi (se non l’esito complessivo di tutta la guerra). Spiega ancora l’anonimo finiano: “Io credo che a questo punto sia molto difficile pensare che sia possibile votare il testo prima dell’estate”. E se non passa prima dell’estate, sarà quasi impossibile che lo stesso testo passi dopo. Certo, al Senato gli uomini del presidente della Camera erano stati quasi spiazzati, presi di sorpresa. Ma, per paradosso, quella prima vittoria ha illuso Berlusconi di aver portato in porto il provvedimento. Soviet supremo. Adesso, racconta il nostro confidente con una nota di ironia nella voce, sarà riunito di nuovo il Soviet supremo del Pdl, per una nuova parata muscolare. Con quale risultato? Altro sorriso: “Nessuno. Perché la partita poi si gioca in ogni caso in Parlamento”. Già. E alla Camera, ormai lo sanno anche i sassi, i rapporti di forza e i contrappesi politico-istituzionali, giocano tutti contro la linea ufficiale del Pdl. Certo, non tutte le carte sono state ancora girate. Ma se non si rompe l’asse tattico fra gli ex An e Lega, la strategia della guerra-lampo non ha nessuna possibilità di riuscire.
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Venerdì 18 giugno 2010
Dal decesso in ospedale alle conclusioni della magistratura
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INGIUSTIZIE DI STATO
tefano Cucchi, 31enne, viene fermato a Roma dai carabinieri la notte del 16 ottobre e portato in carcere perché trovato in possesso di 20 grammi di marijuana. Il giovane viene visitato prima dai medici del carcere di Regina Coeli e poi da quelli dell’ospedale Pertini, dove muore il 22 ottobre, con il
corpo coperto di lividi e tumefazioni. Dopo l’autopsia la famiglia fa pubblicare le foto del cadavere di Stefano e l’11 novembre la Procura avvia un’indagine per omicidio preterintenzionale, inviando sei avvisi di garanzia: 3 per gli agenti di polizia penitenziaria, 3 per i medici del Pertini che lo ebbero in cura. I pm, a maggio, affermano
Per la morte di Stefano Cucchi 13 richieste di rinvio a giudizio COINVOLTI MEDICI, AGENTI E INFERMIERI di Giancarlo Castelli
lla fine, i tredici indagati per la morte di Stefano Cucchi sono tutti oggetto di richiesta di rinvio a giudizio al gup Rosalba Liso da parte dei pubblici ministeri Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy che hanno chiuso l’indagine dopo circa otto mesi. Poco dopo quel 22 ottobre, quando Cucchi venne ritrovato morto in un letto del reparto protetto dell’ospedale Pertini, dove era finito pesto e “lacero” dopo essere stato arrestato per un piccolo quantitativo di hashish la sera del 16 ottobre precedente. Per quella morte, l’accusa chiede di processare tre agenti di polizia penitenziaria, Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici con l’accusa di lesioni e abuso d’autorità per averlo picchiato sotto le celle di piazzale Clodio in cui Stefano si trovava in attesa dell’udienza di convalida d’arresto. Un primo passo importante verso la giustizia. Nelle carte dei giudici si legge che “i tre agenti lo facevano cadere a terra e gli cagionavano lesioni personali, consistite in politraumatismo ematoma in regione sopraciliare sinistra, escoriazioni sul dorso delle mani, lesioni in regione para-rotulea, a livello lombare para-sacrale superiormente e del gluteo destro” e infine “l’infrazione della quarta vertebra sacrale dalle quali derivava una malattia della durata tra i 20 e i 40 giorni”. Gravi anche le accuse a sei medici e tre infermieri del Pertini, dal direttore del reparto, Aldo Fierro, a Rosita Caponnetti, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Stefania Corbi, Preite De Marchis, tutti medici e Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe: per loro le imputazioni sono di abbandono di persone incapaci aggravato dal-
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la morte, falso ideologico, rifiuto di atti d’ufficio, favoreggiamento e omissioni di referto. I medici e gli infermieri secondo la procura “abbandonavano Cucchi incapace di provvedere a sé stesso” omettendo anche “di adottare i più elementari presidi terapeutici e di assistenza”. L’indagine sottolinea il fatto che di fronte a valori di glicemia pari a 40mg/dl, rilevati il 19 ottobre, sarebbe bastato un bicchiere d’acqua e zucchero e non è stato fatto. Né un elettrocardiogramma, né una semplice palpazione del polso. Il catetere era posizionato male e di fronte ad una situazione in cui Stefano in maniera evidente non riusciva a tenere una posizione eretta a causa dei dolori e alle evidenti ecchimosi, nessuno fece una segnalazione all’autorità competente. Il ragazzo voleva parlare con il suo avvocato e nessuno lo venne a sapere e quando morì i medici parlarono di morte naturale. Falso, secondo i pubblici ministeri. Singolare la posizione del tredicesimo indagato, il responsabile dell’Ufficio detenuti e trattamento dell’amministrazione penitenziaria che firmò fuori orario d’ufficio il ricovero del ragazzo. Pose la sua firma sotto un referto secondo cui Cucchi si trovava in condizioni generali buone, con uno stato nutrizionale discreto, decubito indifferente, apparato muscolare tonico e trofico. “In evidente contrasto – si legge nel capo d’imputazione – con quanto indicato nella cartella infermieristica redatta dallo stesso reparto e con i rilievi obiettivi dei sanitari del Regina Coeli e del pronto soccorso del Fatebenefratelli essendo il paziente allettato in decubito obbligato cateterizzato, impossibilitato alla stazione eretta e alla deambulazione, con apparato muscolare gravemente ipotono-
Stefano Cucchi (FOTO ANSA)
Tra le ipotesi di reato abuso d’autorità e lesioni. Ma la famiglia chiede l’omicidio preterintenzionale trofico”. Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, è lapidaria: “Quella gente deve andare dove è stato Stefano” e la rabbia della famiglia è appena mitigata dalle richieste di rinvio di giudizio: “Siamo contenti perché la richiesta di rinvio a giudizio è stata fatta per tutti gli indagati, nessuno escluso”. “Non è che l’inizio – per l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo – finalmente potremo esercitare tutte le prerogative previste dalla giustizia per arrivare alla verità”. Anselmo chiederà di trasformare l’accusa per i tre agenti penitenziari in omicidio preterintenzionale. Meno soddisfatto Diego Perugini, l’avvocato dell’agente Nicola Minichini, secondo cui “l’accusa portante verso il suo assistito è contraddittoria e nebulosa (un detenuto gambiano vicino di cella di Stefano che raccontò di aver
“sentito” urla e frastuono delle percosse, ndr.). Basterebbe leggere gli atti, le dichiarazioni fatte da alcuni carabinieri nonché la testimonianza di due detenuti in cella con Stefano secondo cui non vi fu alcun pestaggio”. Una vicenda che chiude e apre mille sfaccettature. Come quella del medico Rolando Degli Angioli, il medico “buono” del carcere che visitò Cucchi. Senza lavoro dopo sei anni di servizio a Regina Coeli. Ora il suo avvocato ha inviato alla commissione provinciale del lavoro, alla AslRmA e al dirigente sanitario del carcere una richiesta di riammissione e di risarcimento danni. Continuano intanto le iniziative a Roma per le spese legali della famiglia Cucchi. Stasera al centro sociale ex-Snia in via Prenestina, un concerto afro-beat, punk e reggae. Ingresso: 5 euro.
che Cucchi era stato picchiato duramente e che per salvarlo sarebbe bastato un bicchiere d’acqua con due cucchiaini, e che la morte sarebbe stata causata dalla mancanza di cure. Per questo la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di 13 persone tra medici, infermieri e agenti della polizia penitenziaria.
G8: condannato De Gennaro, il governo è con lui di Stefano Caselli le sentenze sulle violenze della caserma di Bolzaneto e Dnovaopo sull’irruzione nella scuola Diaz, la Corte d’Appello di Geribalta un’altra decisione di primo grado sui fatti del G8 del luglio 2001. Gianni De Gennaro – all’epoca capo della Polizia, oggi al vertice del Dipartimento per le Informazioni e la sicurezza – e Spartaco Mortola – nel 2001 capo della Digos genovese, oggi vicequestore vicario a Torino – sono stati condannati rispettivamente a un anno e 4 mesi e un anno e 2 mesi per aver indotto alla falsa testimonianza l’ex questore del capoluogo ligure Francesco Colucci. Entrambi, nell’ottobre scorso, erano stati assolti in primo grado con rito abbreviato perché, secondo le motivazioni del gup, le prove raccolte non erano sufficienti. L’inchiesta nasce nell’aprile 2007. Gli investigatori intercettano Spartaco Mortola – sotto inchiesta per le violenze della scuola Diaz – al telefono con l’ex questore Colucci. Quest’ultimo, chiamato a deporre il 3 maggio 2007 nel processo Diaz, rivela a Mortola di aver “parlato con il capo”, che lo avrebbe invitato “a rivedere un po’, a fare marcia indietro”, ossia ad armonizzare le dichiarazioni rese in precedenza con quelle fatte dallo stesso De Gennaro. Secondo l’accusa, il dettaglio su cui Colucci deve cambiare versione è uno in particolare: chi ordinò a Roberto Sgalla, direttore dell’Ufficio pubbliche relazioni della polizia, di recarsi alla Diaz la notte dell’irruzione. Il 3 maggio 2007 (non prima, sempre secondo l’accusa, di aver ricevuto istruzioni da Mortola) Colucci depone al processo dichiarando di aver inviato lui Sgalla, modificando le dichiarazioni precedenti, secondo cui l’ordine sarebbe partito direttamente da De Gennaro. È un particolare di non poco conto: se così fosse significherebbe che i vertici romani – cosa sempre negata dai diretti interessati – erano a conoscenza del blitz della polizia (93 persone massacrate di botte e arrestate illegalmente) deciso in questura a Genova. In altre intercettazioni, successive alla deposizione, Colucci (che, avendo scelto il rito ordinario, non è ancora stato giudicato) si compiace al telefono “di aver detto le cose giuste” (5 maggio) e, due giorni dopo, di aver “stravolto le cose”, rivendicando di “aver dato una mano a tutti i colleghi, tanto che – prosegue – doveva essere ascoltato il capo della Polizia, ma i pm non lo ascoltano più perché sono stato dirompente”. L’ultima parola spetta ora, ovviamente, alla Cassazione, cui i legali dei due imputati – che si dicono “profondamente sorpresi” per il ribaltamento del giudizio – ricorreranno non appena saranno disponibili le motivazioni. Il governo, intanto, si affretta a manifestare solidarietà: “Gianni De Gennaro ha la mia piena e totale fiducia – dichiara il ministro dell’Interno, Roberto Maroni – fino alla sentenza definitiva non cambia nulla come per tutti, vale la presunzione di innocenza”, seguito a ruota da Angelino Alfano: “L'innocenza del prefetto De Gennaro, fino a condanna definitiva è sancita dalla Costituzione”. Per Spartaco Mortola è la seconda condanna per i fatti del G8. L’attuale vicequestore vicario di Torino, assolto in primo grado, è stato condannato lo scorso 19 maggio a 3 anni e 8 mesi insieme a Vincenzo Canterini, ex dirigente del reparto Mobile di Roma, Francesco Gratteri, ex direttore dello Sco, ora dirigente dell’Anticrimine, Giovanni Luperi, ex direttore dell’Ucigos e altri 21, proprio per l’irruzione alla scuola Diaz nella notte del 21 luglio 2001.
Caso Spatuzza, il ricorso arriva al Tar LI GOTTI (IDV): ESCLUSO DAL PROGRAMMA DI PROTEZIONE PER UN “EVIDENTE ERRORE FRUTTO DI SCIATTERIA” di Giuseppe Lo Bianco Palermo
adesso la lotta alla mafia si trasfeDstrativo risce al Tar, il Tribunale amminiregionale del Lazio: saranno i giudici che si occupano di abusi e peculati nella pubblica amministrazione a decidere se Gaspare Spatuzza, il pentito che fa tremare palazzo Chigi, ha diritto, o meno, al programma definitivo di protezione. Il ricorso lo sta preparando Valeria Maffei, difensore del pentito, che lei incontrera’ stamane in carcere per portargli “conforto morale” e che le appare, come lei stessa dice, “sereno e determinato”. Il legale ha sessanta giorni di tempo per redigere l’atto, più altri 45 di periodo feriale, un arco di tempo nel quale Spatuzza manterra’ le prerogative previste dal programma. Parte dunque la controffensiva tecnica alla decisione del Viminale,
con gli stessi argomenti giuridici ieri sottolineati dal senatore dell'Italia dei Valori Luigi Li Gotti, che ha bocciato il provvedimento del Viminale definendolo “un evidente errore frutto di chiara sciatteria”. “Infatti spiega Li Gotti - le dichiarazioni che devono essere rese entro 180 giorni, per espressa previsione della legge, sono quelle rientranti nell'art. 194 della procedura penale, ossia le dichiarazioni concernenti atti vissuti o conosciuti direttamente. Le dichiarazioni rese da Gaspare Spatuzza, oltre il termine di 180 giorni, sono invece 'de relato', disciplinato dall'art. 195, alle quali non si applica il suddetto termine di sei mesi, distinzione abbondantemente spiegata dalla Corte di Cassazione”. Il fatto vissuto direttamente, insomma, e cioe’ l’incontro con il boss Graviano al bar Doney di via Veneto, Spatuzza lo avrebbe rivelato entro i 180 giorni,
rispettando dunque i termini di legge; il resto, invece, e cioè le rivelazioni “de relato” apprese da Graviano (il presunto coinvolgimento del premier e di Dell’Utri nella strategia stragista del ’93) sarebbero state riferite oltre i 180 giorni, ma cio’ sarebbe appunto ininfluente, visto che in questo caso non si applica il termine di legge. Ecco perche’, secondo Li Gotti, “essendo giuridicamente errata la decisione, il grave errore giuridico non può che avere una motivazione politica: quella di 'emarginare' la collaborazione di Gaspare Spatuzza ed inoltre, oggettivamente, lanciare un messaggio devastante a possibili future collaborazioni’’. E, conseguentemente, conclude Li Gotti, “il vertice politico della commissione, nella persona del sottosegretario Mantovano, del Pdl, ha fatto quanto di piu' pericoloso e negativo potesse farsi nell'arretra-
mento e indebolimento della lotta al crimine e nella possibilità di svelamento dei segreti della nostra Repubblica”. Misteri che con questa decisione sono destinati a rimanere tali anche secondo Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso in via D’Amelio: “Ma la vogliono la verità? Vogliono almeno provare a scoprirla? Sembra proprio di no – si chiede retoricamente il parlamentare europeo del Pd - non capisco come ci si attacchi ad un cavillo quando è in ballo un pezzo di storia del Paese, quando le parole di Spatuzza possono far riaprire un caso delicatissimo come quello di via D'Amelio su cui c'è già una sentenza passata in giudicato”. Dubbi sulle decisioni della commissione centrale di protezione vengono sollevati infine anche dalla baronessa Giuseppina Cordopatri, testimone di giustizia. ''E' tempo ormai che il Parlamento analizzi con
Gaspare Spatuzza (FOTO ANSA)
una seria indagine i poteri di cui si e' investita la Commissione centrale 'Protezione' del Viminale – sostiene la Cordopatri - accanto alle clamorose decisioni 'a maggioranza' sul caso Spatuzza sarebbero da esaminare i numerosi esiti infausti di arbitrarie privazioni di qualsiasi sicurezza a danno di inermi cittadini che avevano testimoniato e collaborato con la Giustizia. Anche perche' sono aperte da tempo inchieste giudiziarie sui casi piu' clamorosi''.
Venerdì 18 giugno 2010
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L’appartamento di Bertolaso e i legami con l’Arcivescovo di Napoli
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PROTEZIONE E CORRUZIONE
econdo il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, l’appartamento in cui ha abitato, in via Giulia a Roma, gli era stato messo a disposizione, dopo che lui stesso aveva sollecitato il cardinale di Napoli, Crescezio Sepe, da un amico “vicino a Propaganda Fide”. Il rapporto tra Bertolaso e Sepe era nato,
secondo il capo della Protezione civile, ai tempi dell’organizzazione del Giubileo del 2000 e “l’amico” che avrebbe aiutato il sottosegretario a trovare casa è Francesco Silvano, economo dell’Arcidiocesi di Napoli e stretto collaboratore di Sepe. Bertolaso dice che le bollette erano pagate da lui, mentre l’affitto no, perchè l’appartamento era stato messo a sua
disposizione. La versione che Bertolaso ha fornito ai pm di Perugia durante l’interrogatorio, però non coincide con quella del proprietario dell’appartamento, Raffaele Curi, che afferma: “Non so chi sia Francesco Silvano e non ho nessun rapporto con Propaganda Fide. A pagarmi l’affitto era Zampolini”.
UN UOMO DI MONDO
Le reti del Cardinale Sepe: dalla gestione del Giubileo alla guida di Propaganda Fide di Ferruccio Sansa
l Giubileo del 2000. Almeno per una persona è stato un anno di grazia. La definitiva ascesa di monsignor Crescenzio Sepe comincia quando il 3 novembre 1997 viene nominato segretario generale per l'Anno Santo. Se oggi in Vaticano chiedi che cosa portò la scelta su Sepe, la risposta è unica, anche se declinata con aggettivi diversi: "Concreto" per alcuni, "pratico" per altri. Insomma, la teologia non c'entra, Crescenzio Sepe è soprattutto un uomo di mondo. Una persona che sa trattare con tutti: con i potenti e con la gente comune. E si fa amare dalla stampa. La persona giusta per il Giubileo: decine di progetti in discussione, 350 miliardi (c'era ancora la lira) da amministrare. Tutto a cavallo tra Vaticano, Stato italiano e Comune di Roma, sul confine delle acque torbide del Tevere. Insomma, ci vuole gente "concreta" per tenere i contatti con la politica e il governo. È qui che matura il rapporto tra Sepe, Guido Bertolaso, Angelo Balducci e Francesco Silvano. Un legame stretto, tanto che il Vaticano lo sancì ufficialmente nominando Balducci "Gentiluomo di Sua Santità". Un titolo prudentemente cancellato dagli albi vaticani del 2011. Non solo: Balducci, Silvano (l'ex dirigente Telecom vicino a Comunione e Liberazione che avrebbe procurato la casa di via Giulia a Bertolaso) e Pasquale De Lise, oggi influente presidente del Consiglio di Stato, furono consulenti di Propaganda Fide quando Sepe fu chiamato a guidarla. Ma ridurre Crescenzio Sepe a un amico della Cricca è sba-
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gliato. E riduttivo. Sepe è un personaggio complesso almeno quanto cerca di sembrare semplice. È un uomo che sa trasmettere emozioni, ma quelle che decide lui. Così ognuno ti dipingerà un ritratto diverso di Sepe. Come il suo viso, rotondo, ma non morbido. Come gli occhi scuri, privi di riflessi quasi che non volesse lasciar trapelare nemmeno la luce. "Un uomo del popolo", ti risponderanno a Napoli, dove oggi è cardinale. C'è chi ricorda il suo parlare in dialetto e quel saluto a Papa Ratzinger durante la sua visita in città: "Santità, a Maronna t'accumpagni". Ed è vero, Crescenzio nasce da una famiglia come tante, nel 1943, a Carinaro (Caserta). Poi, ricorda il curriculum ufficiale, "dopo gli studi al Seminario di Aversa, ha frequentato i corsi di filosofia presso il Pontificio Seminario Regionale di Salerno e quelli di teologia presso il Pontificio Seminario Romano Maggiore. È autore di alcune pubblicazioni a carattere teologico. Tra queste: La dimensione trinitaria del carattere sacramentale e Persona e storia. Per una teologia della persona". Niente a che vedere con le decine di pubblicazioni di altri cardinali. Ma Sepe sa trattare con il mondo. Passo dopo passo cerca di realizzare i progetti. E, perché no? le ambizioni: nel 1972 entra nel Servizio Diplomatico della Santa Sede e va in Brasile. Poi il primo grande salto: alla Segreteria di Stato, chiamato dall'Arcivescovo Giovanni Benelli. Nel 1987 è assessore agli Affari Generali della Segreteria di Stato (il numero 4
del ministero degli Esteri Vaticano). E' soltanto l'inizio, Sepe piace a Giovanni Paolo II da cui nel 1992 riceve la nomina di Segretario della Congregazione del Clero. Ormai è nei giri che contano. Così quando Wojtyla demolisce i mattoni della Porta Santa e inaugura il Giubileo, Sepe di mattoni è già pronto a tirarne su parecchi. Ma la fortuna di Sepe e i suoi
guai hanno radici comuni. Monsignor Crescenzio ha potere, tanto, e alla fine forse si fa prendere la mano. Decide, raccontano in Vaticano, "di gestire di testa propria quei 350 miliardi del Giubileo. I fondi destinati alla Santa Sede non li fa passare per le casse dello Ior, ma apre due conti su banche italiane". Sepe, però, ha le spalle coperte dal Papa anche quando diventa "Papa rosso", il numero uno di Propaganda Fide. Sì, anche qui bisogna essere gente "concreta" perché il dicastero gestisce all'epoca 120 miliardi di lire l'anno (oggi 80 milioni di euro). Ha un
Era il protetto di Giovanni Paolo II. Dalle sue mani passavano 120 miliardi di lire l’anno
patrimonio immobiliare che vale mezza Roma. E dispone di una parte rilevante delle offerte dei fedeli. Sepe trasforma il dicastero in un regno personale. Finché non trova sulla sua strada monsignor Malcolm Ranjith, che viene nominato suo segretario. Vicino a San Pietro ricordano che Ranjith avrebbe avuto qualcosa da ridire sulla gestione molto "concreta" di Sepe. E chissà se è vero che proprio per questo Ranjith finì a fare il nunzio in Bangladesh. Con Ratzinger i dubbi di monsignor Malcolm tornano a galla. "Il Vaticano era preoccupato per la gestione Sepe", racconta qualcuno. Per altri "Crescenzio era diventato troppo potente, voleva fare il segretario di Stato". Il posto che de-
sidera – e che otterrà – Tarcisio Bertone. Così Sepe torna nella sua Campania, diventa arcivescovo di Napoli. E qui, dopo gli anni tra i potenti, riemerge il lato popolare: comincia il suo apostolato con una visita a Scampia. Quando i rifiuti rischiano di soffocare la città, il cardinale porta in processione il sangue di San Gennaro. Poi prediche, tante, contro la camorra: "Ai vescovi e ai sacerdoti dico che dobbiamo uscire dalle chiese e denunciare i camorristi senza tregua, senza scorciatoie". Sepe scende in campo anche contro la corruzione, cinque giorni fa: "Oggi l'economia sembra dominare la vita sociale, guidata dall'individualismo, dal fare soldi a tutti i costi spesso eludendo le regole".
Crescenzio Sepe e Silvio Berlusconi (FOTO EMBLEMA)
MAFIA L’Ortomercato allontana la Mangano a mafia che fa affari all'Ortomercato di Milano. Ora c'è la La partecipazione prova. E la prova arriva direttamente da Sogemi la società pubblica che gestisce la struttura. Sua, infatti, la decisione di allontanare la Cgs New Group, società di facchinaggio gestita da Cinzia Mangano, secondogenita di Vittorio Mangano, l'ex fattore di Silvio Berlusconi. La vicenda era stata resa nota proprio dal Fatto Quotidiano che in un articolo del febbraio scorso aveva pubblicato la risposta del Comune di Milano a un'interrogazione di due consiglieri del Pd, Pierfrancesco Majorino e David Gentili, proprio sulle possibili infiltrazioni degli eredi di Vittorio Mangano nei padiglioni di via Lombroso 54. La risposta confermava i sospetti. "La Cgs New Group – scrive il Comune - ha sottoscritto un contratto con la società Agrimense srl, operatore presente all'interno dell'Ortomercato". Oggi la decisione di allontanare la cooperativa per i suoi legami con la criminalità organizzata, questa la motivazione ufficiale filtrata ieri sera da Sogemi. (Davide Milosa)
INCHIESTA GRANDI OPERE
STOP AGLI APPALTI PUBBLICI PER ANEMONE, MA NIENTE COMMISSARIAMENTO di Antonio Massari
carcere non è riuscito a “scarIte”.ldinare un sistema oleato e potenE le mogli non sembrano poter migliorare la situazione. Angelo Balducci e Fabio De Santis, gli importanti funzionari pubblici agli arresti per corruzione, non potranno accedere ai domiciliari: restano in carcere. “L'inquietante contesto, emerso da oltre due anni d'intercettazioni, non può ritenersi minimamente scalfito”. Con queste motivazioni, il Tribunale del Riesame di Firenze, conferma gli arresti di Balducci e De Santis, sotto processo nell'inchiesta sulla “cricca” che gestiva gli appalti della Protezione civile. Niente arresti domiciliari: la “sussistenza piena e attuale delle esigenze cautelari” permane, hanno sentenziato i giudici del riesame di Firenze Aldo Chiari, Paola Pala-
sciano e Maria Teresa Scinicariello. Niente domiciliari anche perché è proprio nella capitale che “gravitano i centri di interesse degli indagati” oltre che i “legami profondi con soggetti di livello istituzionale molto elevato”. Niente ritorno a casa, quindi, e anche per motivi familiari, considerando il “coinvolgimento delle mogli, ben introdotte nel sistema delineato, di cui conoscono i dettagli e che se ne avvantaggiano in modo palese, anche se con ruoli non penalmente rilevanti, il che contribuisce a confermare la pervasività del sistema stesso, costituente un vero e proprio stile di vita antigiuridico”. Arresti confermati a Firenze, quindi, nell'attesa che il processo cominci però a Roma, ritenuta, dalla Cassazione, la procura competente. Resta attivo il fronte perugino dell'inchiesta che punta ai conti esteri della “cricca”.
E infligge alle aziende di Diego Anemone, l'imprenditore indagato per corruzione al centro dell'indagine, una misura cautelare: divieto per otto mesi di qualsiasi contatto - per le imprese Anemone costruzioni, Tecnocos, Redim 2002 e Alpi - con le pubbliche amministrazioni. Una misura più blanda, rispetto a quella avanzata dai pm, che avevano richiesto il commissariamento delle imprese. A Perugia sono anche giunti i primi esiti delle rogatorie internazionali sui conti della “cricca” nel Lussemburgo e soprattutto a San Marino: uno di essi potrebbe essere riconducibile ad Angelo Balducci. Nei giorni scorsi, dalla Banca d'Italia, erano giunte ulteriori nove operazioni sospette legate alla segretaria di Diego Anemone, Alida Lucci. I pm stanno confrontando le date dei prelievi, effettuati dalla Lucci, con il materiale inve-
stigativo – intercettazioni e informative del Ros dei carabinieri – per verificare se le operazioni bancarie possono avere dei nessi con le presunte tangenti. La Procura di Perugia, nei giorni scorsi ha anche acquisito, dalla sede dell'Aisi (l'ex Sisde), diversi faldoni di materiale classificato, relativo all'appalto di ristrutturazione, effettuato dalle imprese di Diego Anemone, della ex caserma Zignani, nei pressi di piazza Zama. L'appalto, risalente al 2004, crebbe da 3 a circa 12 milioni di euro. Una lievitazione dei prezzi che incuriosisce gli inquirenti anche perché, proprio in quegli anni, una serie di appartamenti – destinati all'ex ministro Claudio Scajola e Francesco Pittorru, generale della Gdf in forza all'Aisi – vengono in parte pagati dall'architetto Angelo Zampolini – questa è la sua versione – proprio
per conto di Anemone. Restano intatti i dubbi sulla versione fornita da Guido Bertolaso ai pm perugini Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi: il capo della Protezione civile sostiene che, a mettergli a disposizione l'appartamento di via Giulia a Roma, sia stato il cardinale Crescenzio Sepe – all'epoca numero uno dell'ente vaticano Propaganda Fide – attraverso un amico comune, Francesco Silvano. Il punto è che l'appartamento era del regista Raffaele Curi. Inoltre, Bertolaso ha confermato di non aver pagato l'affitto e, quindi, resta in piedi la versione di Zampolini, l'architetto che ha sostenuto, dinanzi ai pm, di aver pagato la pigione per conto di Anemone. I pm – che hanno sentito il proprietario di casa – hanno acquisito il contratto d'acquisto dell'appartamento: Curi l'avrebbe acquistato alla fine degli anni Settanta.
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Venerdì 18 giugno 2010
CRONACHE
“TERREMOTO, SILENZIO E FASTIDIO” Il giornalista Parisse: “L’Aquila è stata abbandonata, siamo vittime due volte” di Caterina Perniconi
iamo vittime due volte. Per le persone che abbiamo perso e per essere stati giudicati come dei potenziali assassini. Noi non siamo affatto pericolosi, vogliamo solo continuare a vivere”. Giustino Parisse è il giornalista de Il Centro che nel terremoto de L’Aquila ha perso due figli sotto le macerie della loro casa di Onna. Mercoledì è sceso in piazza assieme ai
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Nei crolli ha perso due figli: “Non vogliamo tirare sassi a Bertolaso, ma solo tornare a vivere” ventimila concittadini che chiedono un aiuto concreto per la città. Con l’occhio critico di un cronista, ci può raccontare cos’è successo due giorni fa a L'Aquila? Io sono andato alla manifestazione da aquilano, da terremotato, da sfollato e da giornalista. Non è stata una protesta ma una presa di coscienza. Non ho visto l’odio ma la consapevolezza, la voglia di esserci, la sensazione che se non si alza la voce c’è il rischio
di essere completamente dimenticati. L’Aquila ha bisogno di attenzione vera e su questo sono d’accordo sia destra che sinistra. In piazza c’erano tutti. Che cosa vi serve? Ci serve un decreto o una legge speciale, non più solo ordinanze. Ci servono regole chiare per la ricostruzione. Oggi il governatore Chiodi ha annunciato l’arrivo di 800 milioni. Ben vengano, però le stime dicono che qui servono 20, 25 miliardi di euro per ripartire. Ma il governo vi definisce ingrati, perché avete avuto le case. Le persone che hanno usufruito del piano casa, che abitano nelle casette da 5 o 6 mesi si sentono abbandonate. Non c’è nessun tipo di servizio, nessuna socialità. Va bene un letto, ma non si può andare avanti così. C’è bisogno di tornare nella città, nei paesi. Per questo si scende in piazza, per ottenere il giusto, quello che in altre occasioni è stato dato. La sensazione qui è che sia tutto fermo. A livello nazionale la gente pensa che i problemi de L’Aquila sono stati risolti. Non solo, ormai la leggenda metropolitana che si è diffusa è che abbiamo rotto. Chi guarda i tg pensa ‘che palle sti aquilani’, hanno avuto le casette cos’altro vogliono? Ma qui c’è una città da ricostruire. E della manifestazione non ha parlato nessuno, né i tg né molti giornali. È diventata una notizia a lato. Quindi il messaggio che è stato fatto passare è sbagliato?
Certo. Qui non è stato fatto ancora nulla. Passano solo messaggi tipo la negata cittadinanza onoraria a Guido Bertolaso o Berlusconi che dice alla Protezione civile di non andare a L’Aquila. In questo modo noi diventiamo vittime due volte. Dopo aver perso i propri cari, ci si sente anche definiti come potenziali assassini. Quindi Bertolaso può venire a L’Aquila? Si. Anzi, venissero anche Berlusconi e Tremonti. Devono
“Siamo scesi in piazza senza odio, ma abbiamo bisogno di regole chiare per la ricostruzione”
La devastazione del sisma dell’aprile del 2009 (FOTO EMBLEMA)
vedere qual è la situazione e dirci concretamente che cosa vogliono fare. Il governo ci deve dare gli strumenti per ripartire, nessuno vuole tirare sassi o sparare a Bertolaso. Se ci sono stati problemi giudiziari, se hanno sbagliato, se la vedranno loro. Nella manifestazione di mercoledì c’erano le famiglie, i bambini col gelato, nessun atto di ribellione, solo dieci minuti di occupazione simbolica dell’autostrada. Chiediamo cose banali. Quali?
Di non essere abbandonati, di cominciare a ricostruire o almeno a salvaguardare. A Sant’Eusanio Forconese c’è una bellissima chiesa che non è stata neanche puntellata. Due absidi sono caduti, uno prima o poi crollerà. Ma quella è la nostra socialità, la nostra vita. Ieri ho intervistato un’economista che mi ha detto che a L’Aquila la cassa integrazione è aumentata dell’800 per cento e che il 60 per cento delle attività commerciali non hanno ripresa.
Sono cifre folli. Da dove potreste ripartire? Dal lavoro, per esempio. Dal centro storico. Il 6 aprile è finita la mia vita, ho perso tutto. Cerco di andare avanti facendo il mio mestiere, e così dovrebbe essere per tutti. Servono gli strumenti per risollevarci senza sprechi, senza appalti agli amici, senza cricche. Altrimenti a un ragazzo di 20 anni che gli dici? Una casetta, pane acqua e una preghiera? Non basta. Così questa terra ferita non si riprenderà mai.
INFORMAZIONE ZERO Il sindaco: il nostro corteo snobbato dai media l silenzio assordante che ha fatto sversale, in piazza c’erano sia la mag“I seguito alla manifestazione di gioranza che l’opposizione. “Siamo tutmercoledì è sconcertante”. La denun- ti uniti in questa volontà – spiega Ciacia del sindaco de L’Aquila, Massimo Cialente, è chiara: la volontà è quella di cancellare i problemi della città. “Né tg1, né tg2 hanno parlato di noi, poco anche i giornali. In questi mesi siamo apparsi solo per le belle casette. Ma la situazione è un’altra. E noi non ci fermiamo, la nostra battaglia andrà fino in fondo, questa città è la nostra vita”. La protesta di due giorni fa è stata tra-
lente – abbiamo dato prova d’unità e consapevolezza. Non vogliamo finire nell’oblio”. “C’è stato un progressivo asciugarsi del rivolo – ha detto Cialente dal palco della manifestazione – la stessa Protezione Civile ha lasciato debiti, uno su tutti quello degli alberghi per i mesi da settembre a dicembre 2009”. L’unica telefonata che ha ricevuto il sindaco ieri è stata proprio quella della Protezione civile, amareggiata per le parole di Cialente. “Mi hanno dato dell’ingrato e del bugiardo. Ma quale ingrato? Io sono un medico e non mi sognerei mai di uscire la sera dall’ospedale e chiedere gratitudine a chi ho curato. Ho fatto il mio dovere nessuno deve ringraziarmi”. Dal governo, invece, nessun nuovo segnale. “L’oblio per noi è pericolosissimo. Abbiamo bisogno di far sentire la nostra voce. E non ci fermeremo”. c .pe.
Immigrati, quattro nuovi Cie nel menù del governo GARA TRA MARONI, ZAIA E I SINDACI PDL A “CHI FA PRIMA”. E A CASERTA SI PREPARANO A COSTRUIRE SULLA PISTA DELL’AEROPORTO di Chiara Paolin
ra ruote panoramiche e trenini Tve che si tuffano in piscina, Zaia derispondere a una domanda antipatica: ma quando apre il nuovo Centro di Identificazione ed Espulsione? Risposta: ''Voglio ricordare che un Cie non è la fine del mondo ma la conclusione di un circolo virtuoso delle leggi sull'immigrazione. Questi centri non saranno né ghetti né caserme, ma strutture di tutta tranquillità". Ancora un sorriso ai fotografi, e poi via con l’auto blu. Così è finita la gita a Gardaland del governatore in risposta al ministro dell'interno Roberto Maroni che la settimana scorsa era sbarcato in Veneto pronunciando parole chiarissime: "Il Cie si farà entro la fine dell’anno. Ne ho nuovamente discusso con Zaia e abbiamo trovato l’accordo". Da allora non si parla d'altro in zona. Il sindaco leghista di Verona, Fabio Tosi, freme e scalpita essendosi offerto per primo come partner ideale dell'impresa. Ma Zaia precisa: "Non c'è ancora nulla di deciso. In
ogni caso, sarò io a dialogare col ministro". Dunque il Cie si farà presto. “E' assolutamente indispensabile ha spiegato Maroni -. Se in una regione non c’è, nove volte su dieci un clandestino fermato dev’essere rimesso in libertà, perché quelli delle altre regioni sono già pieni. Ecco perché abbiamo individuato quattro regioni che ne sono prive dove li realizzeremo entro la fine di quest’anno”. Toscana, Marche e Campania hanno reagito male all'annuncio. I governatori delle regioni rosse da sempre osteggiano l'iniziativa, e il toscano Enrico Rossi s'è beccato pure una severa ramanzina. Aveva proposto un modello innovativo: anziché una grande struttura carceraria meglio individuare diver-
si 'mini centri' per garantire ospitalità dignitosa, mediazione culturale, assistenza legale, percorsi di recupero. Maroni però ha tagliato corto: chi arriva al Cie è un clandestino e per la legge va espulso, non aiutato. Il centro toscano, da far sorgere nell'area di Campi Bisenzio, sarà uguale a tutti gli altri. E si va per le spicce anche in Campania, nonostante i malumori interni al Pdl. Angelo Polverino, consigliere regionale di un certo peso (presidente di commissione e papa-
bile assessore al primo rimpasto utile), ha lanciato l’allarme: a Caserta doveva nascere il nuovo aeroporto intercontinentale sfruttando le piste della struttura militare, ormai votata al civile. Ma il governatore Caldoro ha avuto una richiesta precisa da Maroni e il destino pare già segnato. Spiega Polverino: “Mi rifiuto di credere che al posto dell’aeroporto si edifichi una galera con sbarre e cancelli chiusi a chiave. No, non è questo che la comunità casertana vuole. Del resto a Napoli il Cie non se lo piglieranno mai, e Salerno è ben rappresentata in giunta. Alla fine toccherà per forza a Caserta”. I quattro nuovi centri dovrebbero garantire un migliaio di posti in più rispetto ai 1.800 attualmente disponibili. La Finanziaria non ha fatto tagli, dunque nulla osta. Tranne la cronaca di ciò che accade quotidianamente nei Cie,
Veneto, Campania, Marche e Toscana le “prescelte” Nelle strutture solito inferno
notizie che restano ai margini della realtà come le vittime di una violenza di Stato ormai ingestibile. Solo nelle ultime settimane a Milano ci sono state due rivolte e diversi tentativi di suicidio. Il centro di Crotone (come già quello di Caltanissetta) è stato chiuso perché reso inagibile dalla rabbia disperata dei detenuti. Dal Cie di Gradisca sono fuggiti in 36, ma 19 li hanno ripresi subito e castigati a dovere. Idem a Brindisi, con 10 persone fuggite tra i campi e un senegalese ricoverato in fin di vita. A Roma evasione di gruppo: 6 clandestini scappati e un egiziano finito all’ospedale. Qualche giorno dopo un algerino si è tagliato il corpo in diversi punti standosene arrampicato sopra le sbarre della cella. Il sangue sgocciolava a terra mentre gli agenti tentavano di tirarlo giù. E ieri Debby e Priscilla, due prostitute nigeriane, hanno avuto la notizia peggiore: saranno imbarcate su un volo Frontex che le scaricherà in patria. Quando torneranno la prossima volta, in fuga da fame e violenza, troveranno quattro nuovi Cie ad accoglierle.
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CHI PAGA IL CONTO
LA TASSA OCCULTA DEL PEDAGGIO Un codicillo permette ai concessionari delle autostrade di scaricare al casello i rincari decisi dal governo
di Daniele Martini
una tassa subdola, praticamente invisibile, pochi spiccioli di euro alla volta per milioni di volte. Alla fine l’importo è sostanzioso: 106 milioni di euro dal primo luglio e fino alla fine dell’anno, altri 640 milioni nel 2011. In pratica 750 milioni in 18 mesi. Una tombola. L’imposta sarà pagata al casello sotto forma di pedaggio da automobilisti e camionisti tutte le volte che prenderanno un’autostrada. È un balzello sugli spostamenti, sui pendolari, sui trasporti e sulle vacanze di cui praticamente nessuno si è accorto perché ben camuffato nel decreto economico di fine maggio, norma varata in tutta fretta dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, per evitare che “l’Italia faccia la fine della Grecia”, come ha ammesso in un soprassalto di onestà intellettuale e di sincerità il vicepresidente del Consiglio, Gianni Letta.
È
definiscono i rapporti economici tra i primi e la seconda. In pratica, però, si impone la stangata. In poche righe si stabilisce che i canoni sono “integrati” di un importo di 1 millesimo di euro a chilometro per le auto e 3 millesimi di euro per i camion dal prossimo primo luglio, più altri 2 millesimi per le auto e 6 millesimi per i camion a decorrere dal primo gennaio 2011. Chi conosce la materia e sa far di conto calcola che, a regime, a partire
dall’anno prossimo, l’inasprimento deciso dal governo equivale ad un raddoppio degli introiti Anas classificati come canoni di concessione che ammontano a circa 320 milioni di euro nel 2010. CHI PAGA. Trattandosi di canoni di concessione autostradale, a prima vista sembrerebbe che a pagare dovessero essere i concessionari, tipo Autostrade Spa della famiglia Benetton, ma
non è affatto così, anzi. Quei soldi saranno sborsati dagli automobilisti e dai camionisti; i concessionari svolgeranno solo il compito di semplici esattori e riscossori dei pedaggi, in pratica “sostituti d’imposta”. Le somme raccolte saranno immediatamente girate all’Anas, l’azienda pubblica delle strade guidata da Pietro Ciucci. È appunto l’Anas il beneficiario finale della tassa occulta. Il meccanismo di finanziamento forzoso a vantaggio dell’azienda delle I rincari visti da Marilena Nardi, sotto una protesta di detentori di Tango Bond (FOTO ANSA)
IL COMMA. La tassa fantasma è prevista dal comma 4 dell’articolo 15. Mentre il comma 2 stabilisce in maniera sostanzialmente esplicita e trasparente l’introduzione su alcune tratte di un pedaggio forfettario del valore di un euro per i veicoli leggeri (le auto) e 2 euro per i veicoli pesanti (i camion), il comma 4, invece, è un capolavoro di anodino burocratismo ministeriale e impone l’inasprimento tariffario in forma quasi occulta. In quel comma ufficialmente si parla dei canoni pagati dai concessionari delle autostrade all’Anas e si ri-
strade è regolato dall’articolo 12 della concessione tra Anas e concessionari autostradali, testo questo sì chiarissimo: “Qualora a seguito di disposizioni normative dovesse essere elevata la misura del canone di concessione di cui sopra, o introdotte forme analoghe di tassazione a carico del Concessionario, il Concessionario avrà diritto al riconoscimento di uno specifico incremento tariffario a copertura del maggior esborso”. In pratica questo testo blinda gli interessi dei concessionari autostradali e obbliga i cittadini a pagare. Con il rincaro dei canoni, il ministro dell’Economia risparmia cioè riduce i trasferimenti statali all’Anas, ma li scarica sui cittadini chiamati loro malgrado a conguagliare di tasca propria i ridotti finanziamenti pubblici. La cosa peggiore è che gli automobilisti devono sborsare senza che nessuno li abbia messi nelle condizioni di capire perché. In pratica la tassa sui pedaggi è l’equivalente subdolo dei ciclici rincari della benzina o, se volete, una specie di moderna tassa sul macinato di ottocentesca memoria, il balzello che colpiva la fame, cioè la necessità di macinare il grano per fare la farina e il pane. Oggi si colpiscono le auto e gli spostamenti. DOVE VANNO I SOLDI. In
teoria i quattrini incassati dalle autostrade e girati all’Anas dovrebbero servire all’“adeguamento, miglioramento e manutenzione” delle strade pubbliche. In un primo tempo le vie interessate erano solo quelle che portavano alla rete autostradale, ma poi, con un decreto un anno fa si stabilì che le integrazioni dei canoni avrebbero finanziato la manutenzione di tutta quanta la rete Anas. Solo in teoria, però, perché basta chiedere al titolare di una delle 5 mila aziende medie, piccole e minuscole che un tempo curavano la manutenzione Anas e che oggi sono o fallite o in crisi nerissima, per rendersi conto che la cura delle strade è stata praticamente cancellata. Le somme incassate per la manutenzione a conti fatti hanno evidentemente un utilizzo diverso da quello dichiarato. La tassa pro Anas dimostra che a distanza di quasi un decennio dalla trasformazione dell’ente pubblico delle strade in società per azioni, la sperata autonomia finanziaria è ancora di là da venire e la società non è in grado di camminare con le sue gambe. A distanza di 4 anni esatti, anche il cambio della guardia alla guida dell’azienda con la nomina di Pietro Ciucci a presidente e direttore generale, non ha prodotto i risultati sperati.
Aumenti di pochi centesimi che valgono però 750 milioni in 18 mesi: li pagheranno tutti gli automobilisti
Risparmiatori in scadenza l’offerta per i creditori
La lezione del (mancato) rimborso dei bond argentini
di Beppe Scienza*
er i titoli dell’Argentina siamo P22 giugno all’ultimo atto. Scade il prossimo la nuova Offerta pubblica di scambio (Ops) del governo di Buenos Aires, rivolta a chi ha ancora obbligazioni emesse prima del 2002. Ma il punto non è la convenienza ad accettarla. La vicenda è interessante per vari motivi. In particolare perché aiuta a capire quanto poco l’Italia sia un paese normale e quanto spesso in Italia i tiri mancini arrivino da chi dovrebbe stare dalla propria parte. La storia inizia con la diffusione dei titoli di stato argentini dagli anni Novanta fino al patatrac del dicembre 2001, quando l’Argentina smette di pagare interessi e rimborsi. È il cosiddetto default, che si abbatté su circa 450 mila risparmiatori italiani, vittime in parte della ricerca spensierata di rendimenti persino del 10 per cento, in parte dei consigli avventati di mol-
te banche. Passa circa un anno e le banche italiane s’inventano la Task Force Argentina (Tfa), un’iniziativa con l’unico vero fine di tenere buoni i risparmiatori che rumoreggiavano e distoglierli da cause contro di esse. Gli mettono a capo un certo Nicola Stock e la stampa economica, anziché smascherare la manovra, gli dà credito e lo intervista in continuazione (ora un po’ meno) come se l’attività della Tfa potesse avere una qualche utilità per i risparmiatori coinvolti. Arriva poi il dicembre 2004 e l’Argentina propone un compromesso. Quanto offre è stimabile prudenzialmente fra il 35 e 40 per cento del valore delle obbligazioni fallite, che è comunque meglio di niente. Prontamente la Tfa dichiara l’offerta “assolutamente inaccettabile” (il tre gennaio 2005). Scrive a caratteri cubitali e tutto maiuscolo “NON ACCETTARE L’OFFERTA” (Avviso ai
bondholders del 14 gennaio 2005). Addirittura si inventa una risibile minaccia di pignoramenti, sequestri ecc. per gli interessi corrisposti dai nuovi titoli (Nota del 14 gennaio 2005). E tutto ciò con l’avallo delle banche italiane (Comunicato Abi del 19 gennaio 2005). In compenso promette mare e monti, cioè di ottenere il rimborso integrale e anche tutti gli interessi arretrati. Ma in fondo cosa c’è d’aspettarsi da un’iniziativa finanziata dalle banche italiane? La cosa indecente è che quasi tutte le associazioni di consumatori (Adiconsum, Codacons, Federconsumatori, Unione Nazionale Consumatori ecc.) e Altroconsumo si appiattiscono sulla posizione della Tfa e perorano la causa del rifiuto. Le inducono a tale scelta sciagurata le troppe connivenze con il sistema bancario italiano, a dispetto delle incendiarie dichiarazioni di facciata, la loro incompetenza in materia e la volontà di imbastire una lotta politica… coi soldi dei risparmiatori. Siamo cioè al livello del proverbiale: “Armiamoci e partite!”. I pochissimi che in Italia scrissero chiaro e tondo che conveniva accettare furono oggetto di insulti e pubblico dileggio, in particolare sulle pubblicazioni della società editoriale Altroconsumo. Gli investitori istituzionali, ovviamente, accettarono in massa l'offerta e si guardarono bene dal consigliare il rifiuto le associazioni di consumatori svizzere, austriache e tedesche (Stiftung Warentest), che sono di tutt’altra pasta. Caso unico nel mondo, circa la metà
dei 450 mila risparmiatori rimase col cerino acceso in mano. Si trovarono sul groppone titoli totalmente infruttiferi e, avendo bisogno di soldi, li hanno dovuti vendere a prezzi stracciati. Nel frattempo la Tfa ne ha inventate di tutti i colori, come un insulso ricorso a un organo internazionale (Icsid), ovviamente senza cavare un ragno dal buco. Chi aderì all’offerta si ritrova ora tutto sommato con 55 euro ogni cento iniziali. Chi invece accetta la nuova Ops, recupererà circa 47 euro, e sa a chi dire grazie per quanto ci rimette. Si potrebbe poi aprire un capitolo su que-
gli avvocati che hanno incassato parcelle, intentando cause perse per chiedere impossibili pignoramenti dei consolati e dell’ambasciata argentini. Un altro capitolo sui politici: Giorgio Benvenuto, che si fece bello andando inutilmente in Argentina nel 2005; l’allora ministro dell’economia Domenico Siniscalco che vantava “l’azione ferma del governo nelle varie sedi internazionali”, di cui però non s’è visto nessun risultato; l’attuale sottosegretario all’Economia Luigi Casero che attribuisce a merito dell’esecutivo la struttura dell’attuale ops, che semplicemente
ricalca quella del 2005, ecc. Ma gli italiani hanno già poca stima della classe politica. Particolarmente biasimevoli sono piuttosto le associazioni di consumatori, soprattutto perché recidive. Qualcuna ne sta fuori, come l’Adusbef, ma la maggior parte dà il suo imprimatur all’altra squalificata iniziativa delle banche italiane, ovvero PattiChiari. Su cui ci sarebbe molto da dire, ma forse basta ricordare che consigliava i titoli Lehman Brothers ancora il 15 settembre 2008, cioè addirittura a fallimento già conclamato. *Università di Torino
LA GRANDE FRODE FISCALE
SAN MARINO SI LAMENTA MA COLLABORA a lotta all’evasione annunciata dal governo sarà anche, in gran parte, di panna montata, ma qualcosa succede comunque. Lo scudo fiscale prima e i controlli della Finanza in Italia poi (oltre alla pressione internazionale sui paradisi fiscali) hanno messo in difficoltà San Marino. Il ministro degli Esteri sammarinese, Antonella Mularoni, si fa portavoce del disagio e chiede un incontro pacificatore con il governo e con il ministro Tremonti “forti delle iniziative da noi intraprese nell’ultimo anno e mezzo”. Certo, aver azzerato i vertici della Banca centrale di San
L
Marino proprio quando iniziavano a fare pulizia nel buco nero del sistema bancario-assicurativo del paradiso fiscale non è un buon biglietto da visita. Ma almeno la repubblica romagnola ha segnalato in un anno all’Italia 178 società sospette, in 69 casi la Finanza ha scoperto qualcosa. E proprio ieri sono state denunciate 106 persone per una maxi truffa carosello (per lucrare su finti rimborsi Iva) che coinvolgeva 550 società, di cui alcune con base a San Marino. Tenere il paradiso fiscale del Titano sulla corda ancora per un po’, in questi tempi di crisi, può risultare parecchio redditizio.
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ACCOGLIENZE
VILLA MARZOTTO INDOVINA CHI VIENE A CENA L’imprenditore che finanziò la Lega mette a tavola cinquecento immigrati di Marco Franchi
rima finanzia con un milione di euro la Lega e Berlusconi, e adesso regala una cena a oltre 500 immigrati di una cinquantina di nazionalità diverse: Giannino Marzotto, 82 anni, ex pilota automobilistico e di ultraleggeri, due volte vincitore della Millemiglia, è il membro più imprevedibile della dinastia di imprenditori veneti che, da un secolo, gestiscono le aziende di famiglia a Valdagno, vicino a Vicenza. Non si dispiaceranno gli amici della Lega, che oggi come sempre fanno del disprezzo degli extracomunitari una bandiera? “Me ne frego – risponde Marzotto – gli immigrati che lavorano vanno onorati, sono gente onesta e noi dobbiamo accoglierli e rappresentarli”. Non rinnega nul-
P
la di quello che ha fatto, inclusa la donazione al Carroccio “perché io mi ricordo di fare le cose ma poi riesco a dimenticarmi di averle fatte. E poi non sono un dietrologo, sono un frontologo. Guardo avanti e rispetto chi lavora”. E di gente che lavora ce ne sarà tanta, domani, a partire dalle 18:30 nella tenuta “Colombara” a Trissino, nell’hinterland vicentino. Marzotto si è sforzato di elaborare un menu che non creasse frizioni culturali, accontentando tutti gli invitati: dal cous cous all’agnello, dalla polenta al pesce, e da bere vino rosso ma anche tè e Coca Cola. Ospiti che vengono da tantissimi paesi del mondo, in gran parte lavoratori delle aziende di Marzotto e altri individuati dall’associazione Nessunoescluso: Moldavia, Niger, Pakistan, Tunisia, Iran, Bulgaria,
Palestina, Marocco, Ghana, Filippine... Gente abituata a stare sempre più nascosta, nel Veneto del governatore Luca Zaia che non fa più suonare neppure l’Inno di Mameli ma direttamente il Va’ pensiero. Ma proprio in loro onore, degli immigrati con un lavoro, ci sarà questa “Festa dell’accoglienza”. Il cartoncino di invito recita: “Io non sono un politico, e non ho alcuna intenzione di diventarlo. Sono solo un cittadino rispettoso di chi lavora onestamente, pronto ad offrire la cordiale ospitalità Veneta. Come sempre hanno fatto i miei avi. Dobbiamo vivere il meglio senza perdere il bene”. Ma anche se per Marzotto questa cena è la più normale delle iniziative, quasi dovuta, non suscita entusiasmo tra gli amici dell’imprenditore. Il sottosegretario alla Salute
Giannino Marzotto, al centro e con la sigaretta in mano, nei pressi di villa Trissino, dove ha organizzato l’evento (FOTO OLYCOM)
(leghista) Francesca Martini, che conosce bene la famiglia Marzotto, si trincera dietro un no comment: “Non posso. Ma quale cena? Di che parlate? Passate per il mio ufficio stampa”. Marzotto non si offenderà, la sua iniziativa serve proprio a provocare reazioni in una regione che, stando agli ultimi episodi di cronaca, è sempre più indifferente alle sorti degli immigrati con bimbi stranieri lasciati giù dall’autobus se non hanno i soldi per le rette, con il sindaco di Verona processato (e prescritto) per razzismo, con lavoratori sottopagati o discriminati (a Cittadella ad esempio un regolamento stabilisce che i servizi sociali vadano prima ai residenti e poi agli immigrati).
I GEOGRAFI
“La Padania non esiste”
C
he ce ne fosse bisogno, questa volta lo confermano anche gli studiosi della Società geografica italiana: la Padania non esiste. Nel loro rapporto annuale, presentato ieri a Montecitorio annotano: “La Padania come spazio etno-culturale omogeneo non esiste”. Bocciata anche l’idea di una “nazione padana”: la sua inesistenza “è ancora più evidente”. Tutto il corposo rapporto (non a caso intitolato “Il Nord, i Nord”), mette in evidenza “il mosaico delle differenze settentrionali”. Il Nord italia “è fatto di sistemi territoriali e urbani di varie dimensioni e vocazioni che testimoniano modi di regolazione socio-politica profondamente diversi, quando non divergenti”. Lo stesso Piemonte è diviso in tre: un’area metropolitana, un nord pedemontano e un sud ancora a dominanza agricola.
Aicha, il velo in Consiglio comunale ELETTA PER IL PD A ROVERETO: “NON RAPPRESENTO LA DONNA ISLAMICA MA I CITTADINI”
Aicha Mesrar di Erminia della Frattina
l velo come un simbolo, l’inteIMesrar, grazione a portata di mano. Aicha 41 anni, mediatrice culturale esperta in lingue e informatica originaria di Casablanca, è la prima donna musulmana eletta in Trentino come consigliera comunale; accade a Rovereto, 37 mila abitanti e tanti stranieri attirati dal miraggio
del lavoro. Ieri Aicha, gli occhiali grandi dentro al velo bianco che avvolge testa e collo, è entrata in aula velata, pronta a consegnare le dimissioni se qualcuno glielo avesse impedito. “Il partito mi ha conosciuta col velo, mi ha candidata col velo. La gente mi ha votata col velo, questo vorrà dire qualcosa no?” dice con voce calma, poche parole pronunciate senza alcun accento, in perfetto italiano. Infatti è andata bene, non c’è stata nessuna protesta da parte dei colleghi consiglieri, Aicha si è seduta al suo posto e ha cercato di capire da “nuova” del mestiere come far passare i suoi desiderata per Rovereto: dalle strade alla sanità all’intercultura alla scuola, alla realizzazione di spazi per i giovani e di un
centro culturale dove insegnare l’arabo, pregare e far conoscere le tradizioni, dove donne uomini e bambini trentini e arabi possano incontrarsi. Ma guai a dire che è interessata solo alla difesa delle esigenze dei suoi connazionali. “Io non rappresento la donna islamica ma tutti i cittadini, rappresento la città”. Il partito che l’ha candidata è il Pd ma i suoi maggiori sostenitori sono il marito (“Mi diceva: buttati, credo in te”) e i due figli di 11 e 14 anni. Quello più piccolo vuole scrivere un libro su questa mamma coriacea legata a doppio filo al suo paese e a quello che l’ha accolta. Anche i suoi “concittadini” di Rovereto hanno creduto in lei accordandole una valanga di preferenze. Un affetto che Aicha ricambia: “So-
no una di voi” dice, mantenendo però dritta la barra sulle sue tradizioni. “Le mie radici sono arabe. Quindi al velo non rinuncio, perché nell’islam il velo è una preghiera e un atto di sottomissione a Dio”. Una lealtà e un amore per il suo paese che Aicha ha trasformato in lavoro: per lei, arrivata dal Marocco venti anni fa, non è stato facile fondare a Rovereto la prima cooperativa di solidarietà e aiuti concreti ai popoli di lingua araba, dove ha organizzato servizi di accoglienza e primo orientamento, traduzioni e interpretariato, mediazione e “mantenimento della cultura e della lingua madre”. Ora la cooperativa “Città Aperta Ponti tra persone lingue e culture” collabora con il Centro informativo
per l’Immigrazione Cinformi della Provincia autonoma di Trento, con il Comune e alcuni ministeri, ma anche con scuole ospedali e commissariati del Trentino, in una regione in cui gli immigrati hanno raggiunto nel 2009 quota 46 mila, +8,8% rispetto al 2008. Una regione dove la Lega invita alla diffidenza verso gli stranieri e un consigliere leghista (Willy Angeli) dopo l’elezione di Aicha ha promesso di parlare in dialetto in consiglio. “Non lo giudico, lo saluterò cordialmente” taglia corto Aicha. Che riporta il pallino sull’integrazione: “Conosco l’italiano e capisco il dialetto, ma io sono arabo-musulmana. Integrazione non è assimilazione, è interscambio tra due culture, convivenza e rispetto dell’altro”. Chapeau.
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CRONACHE
E IL PAPA GRAZIÒ IL GAY Il vescovo polacco Paetz è stato reintegrato Nel 2002 ebbe rapporti con seminaristi
N BARI
Tarantini a giudizio per spaccio
I
l gip del Tribunale di Bari ha disposto il rito immediato per l’imprenditore Gianpaolo Tarantini e altre cinque persone (tra le quali Mannarini e Verdoscia) accusate di spaccio di sostanze stupefacenti. L’inchiesta riguarda l’estate del 2008 in Sardegna durante la quale Tarantini conobbe il premier Berlusconi.
ISOLA CAPO RIZZUTO
Da sinistra il vescovo Juliusz Paets e Papa Benedetto XVI di Marco Politi
apa Ratzinger “grazia” l’ex vescovo polacco di Poznan, costretto alle dimissioni da Giovanni Paolo II, perché coinvolto in una girandola di rapporti erotici con seminaristi. Dopo il condono vaticano Juliusz Paetz potrà di nuovo esercitare tutte le funzioni sacramentali di un vescovo nella stessa diocesi dove aveva provocato lo scandalo. Benedetto XVI ha deciso così nonostante l’opposizione del nuovo vescovo mons. Gadecki, indignato per il colpo di spugna che mina la credibilità della Chiesa. Il nuovo vescovo tenta di far ritirare il provvedimento: un boomerang nell’anno in cui l’opinione pubblica è scossa per gli abusi sessuali del clero. La storia risale al 2002, quando il giornale conservatore Rzeczpospolita fece esplodere lo scandalo, raccontando dell’attivismo sessuale dell’arcivescovo Juliusz Paetz e riferendo dello scontro avvenuto con il rettore del seminario di Poznan, don Karkosz. Il rettore aveva fisicamente impedito l’ingresso in seminario al vescovo, accusandolo di aver insidiato e molestato ripetutamente dei seminaristi. Per tutta la Polonia erano corse le voci sui messaggini seduttivi e sui regalini ammiccanti inviati dal vescovo ai suoi amichetti. Poche settimane dopo l’arcivescovo, il 28 marzo 2002, era stato costretto alle
P
dimissioni. La vicenda è tipica di come le cose funzionavano in Vaticano durante il pontificato di Wojtyla. Era dal 1999 che erano cominciate a circolare accuse contro Paetz. Ma il prelato godeva della fiducia di Giovanni Paolo II e del suo segretario mons. Dziwisz, perché aveva fatto parte della “Famiglia pontificia”, a stretto contatto con il Papa. Wojtyla lo aveva nominato vescovo di Lomza in Polonia nel 1982 e nel 1996 lo aveva promosso arcivescovo dell’importante e storica diocesi di Poznan. Sicché le accuse erano state regolarmente insabbiate. Solo nel tardo 2001, intorno a Natale, dal Vaticano era partito come ispettore un giudice polacco della Sacra Rota, mons. Stankiewicz. A smuovere Giovanni Paolo II e il suo entourage era stato necessario l’intervento dell’amica per-
Parecchi giovani nel 2001 erano pronti a mettere nero su bianco le molestie
sonale di Wojtyla, la psichiatra Wanda Poltawska, che aveva denunciato lo scandalo del silenzio intorno a comportamenti indegni di un vescovo. Scesero in campo con una lettera aperta anche decine di esponenti cattolici di Cracovia e Varsavia, chiedendo chiarezza. Quando lo scandalo esplose e nel Palazzo apostolico si venne a sapere che c’erano parecchi giovani pronti a mettere nero su bianco le molestie sessuali del prelato, la soluzione trovata fu quella classica. Nessun procedimento trasparente per informare la comunità cattolica dell’innocenza o della colpevolezza dell’arcivescovo, ma la firma di una lettera di dimissioni. La punizione inferta (mai dichiarata ufficialmente) fu blanda: Paetz non avrebbe potuto esercitare le sue funzioni vescovili all’interno della diocesi di Poznan. D’ora in avanti il Vaticano – benché non ci sia ancora comunicazione ufficiale – lo autorizza a svolgere nuovamente i riti di un vescovo. L’83enne Paetz potrà ordinare a Poznan sacerdoti, celebrare cresime, guidare processioni, consacrare chiese e presiedere messe solenni. Le frequenti visite del prelato ai suoi amici in Vaticano gli hanno guadagnato la grazia di Ratzinger, firmata dal cardinale Re, prefetto della Congregazione dei Vescovi in procinto di andarsene per limiti di età. Come se nulla fosse accaduto.
Con un eclatante doppiopesismo: le autorità ecclesiastiche invocano sempre il pretesto dello “scandalo” e del grave peccato per vietare la comunione a due disgraziati, che sono divorziati e risposati, mentre un vescovo molestatore per anni può tornare tranquillamente a benedire in pompa magna. A Roma Paetz era conosciuto per il suo garbo, la sua cultura, la sua gentilezza. I suoi gusti sessuali non interesserebbero nessuno, se il magistero ecclesiastico non tuonasse continuamente contro l’omosessualità, definita “grave disordine morale” e collocata ufficialmente tra i “peccati che gridano vendetta a Dio”. Non da oggi i gruppi omosessuali cattolici chiedono alla Chiesa comprensione e riconoscimento della dignità di “figli di Dio” per i loro legami. Ma le autorità ecclesiastiche sono rigidissime: a chi vive in coppia omosessuale è ne-
Oggi, a 83 anni, potrà ordinare nuovamente nella diocesi dalla quale fu cacciato
(FOTO ANSA)
gata l’assoluzione. In ogni caso per gli standard, proclamati ufficialmente dalla Chiesa, il comportamento dell’ex vescovo di Poznan rappresenta una gravissima infrazione, che rientra fra gli atti che spingevano il cardinale Ratzinger ad esclamare alla Via Crucis del 2005: “Signore, quanta sporcizia c’è nella Chiesa”. Che Benedetto XVI si sia lasciato consigliare a diventare improvvisamente “f lessibile” sta suscitando una marea di interrogativi in Polonia e anche nell’opinione pubblica non polacca. La fortuna di Paetz – se così si può dire – è che ai tribunali polacchi non arrivò mai nessuna denuncia da parte di minori o per rapporti con minorenni. Ma non aiuta la credibilità della Chiesa che le autorità ecclesiastiche non abbiano mai voluto dare conto delle sue relazioni extra-celibatarie. Ancora una volta – quando si tratta di tonaca e sesso – il Vaticano non sceglie la trasparenza. Che il vento nella Curia romana stesse volgendo a favore di Paetz lo avevano capito in Polonia, quando esattamente un anno fa il Papa mandò al prelato un telegramma di auguri per i 50 anni della sua ordinazione, congratulandosi per la sua “testimonianza di fede” e il suo “fecondo lavoro per il bene della Chiesa”. Era un messaggio prestampato, si tentò di dire. Invece era presagio di condono.
Alemanno vuole chiudere l’hotel del suo vicecapo di gabinetto, poi ci ripensa di Monica Raucci
uella grande fucina di soprannomi che è il sito Dagospia, lo chiama Retromanno. È l’appellativo che si è guadagnato il sindaco di Roma Alemanno, che prima (quando è in versione Bullomanno) usa il pugno di ferro e poi, se l’aria tira da un’altra direzione, torna indietro come i gamberi. E così accade che una studentessa americana di 21 anni domenica notte viene stuprata dal portiere di un hotel. Non proprio una pensioncina alla mano, ma il Grand Hotel Hermitage, quattro stelle sfolgoranti, nel cuore della Roma bene, i Parioli: uno di quegli alberghi con le poltrone oro e velluto e i lampadari di cristallo da residenza asburgica.
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Insomma uno di quelli dove ti aspetti di trovare, come promette il sito, “il personale discreto ed efficiente”, e non certo di essere stuprata alle tre di notte da un portiere mentre sei all’internet point. La ragazza era tornata dopo un giro per locali ubriaca. Si era fermata nell’hall dell’albergo per navigare su internet. Era stata avvicinata dal portiere, che aveva tentato di baciarla e con una scusa era salito in ascensore trascinandola in una stanza. Lì l’avrebbe violentata una prima volta, poi l’avrebbe fatta rivestire e portata in un ripostiglio dove l’avrebbe stuprata una seconda volta. L’uomo, 54 anni, incensurato,è stato arrestato, e ora si indaga su altri eventuali stupri avvenuti in passato. Succede che il sindaco di Roma, paladino della sicurezza, appena saputa la no-
tizia, si infiammi contro l’albergo: “Credo che, trattandosi sì di un luogo pubblico, ma sul quale non c’è la responsabilità dell’amministrazione, debbano essere i privati a stare molto attenti alle persone che assumono. Mi domando se in quell’albergo, una volta conosciuti i fatti, non sia il caso di prendere anche provvedimenti come la revoca della licenza”. Linea dura, insomma. Neanche un paio d’ore, però, e Alemanno mette la retromarcia: “La proprietà dell’albergo si è comportata correttamente”. Niente licenza revocata, dunque. Fine del pugno di ferro in un lampo. Sarà che nel frattempo la Federalberghi lo ha bacchettato: “Non c’è nessuna ragione di revocare la licenza”, ha tuonato, e soprattutto lo fatto ragionare
con una metafora convincente: “È come se un impiegato comunale compie un’azione rilevante penalmente e il Campidoglio viene accusato di qualcosa”. E la Federalberghi nella capitale qualcosina conta. Oppure sarà, come raccontano le malelingue, che per fargli sfiammare la rabbia, qualcuno di molto vicino gli abbia ricordato un piccolo particolare: la figlia del proprietario dell’Hermitage è la moglie del suo vicecapo di gabinetto, Tommaso Profeta, che è anche direttore della Protezione civile di Roma. Oibò, avrebbe pensato Alemanno una volta metabolizzato il memorandum. E via con la retromarcia. Anche perché l’Hotel Hermitage è solo uno di una grande catena del gruppo Leonardi Hotels e delle tre società Nuova Gallia, Immobiliare Tre-
Terre del boss Si farà mietitura
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a mietitura nei terreni confiscati alla cosca degli Arena ad Isola Capo Rizzuto verrà regolarmente effettuata. Una soluzione al problema, che era stato sollevato da don Luigi Ciotti, presidente di Libera, è stata trovata al termine di una riunione convocata e presieduta dal prefetto di Crotone, Vincenzo Panico. “È stata individuata dalle stesse associazioni di categoria una ditta della provincia il cui titolare ha accettato l’incarico”.
PRATO
Bande cinesi in guerra: 2 morti
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avvenuto durante uno scontro tra bande a Prato. Secondo una prima ricostruzione, due cinesi sono stati inseguiti e uccisi a coltellate, nel piazzale di uno stabile dove sorgono diversi negozi gestiti da asiatici, in via Filicaia, in pieno centro storico. Una delle vittime ha cercato di rifugiarsi in una tavola calda ed è stato ucciso nel negozio a pugnalate; la seconda vittima ha cercato scampo in un’agenzia di viaggi, ma il killer è entrato e l’ha accoltellato a morte. Non è ancora nota l’identità dei due.
BANCAROTTA
Gai Mattiolo va a processo
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Gianni Alemanno (FOTO ANSA)
bisacce, Società romana alberghi. A capo c’è l’uomo quattro stelle: Gualtiero Leonardi, 17 mega hotels nel cuore di Roma, da via Veneto a Fontana di Trevi, da piazza Navona a villa Torlonia. Più l’immancabile ristorante dove far transitare i turisti. Che ora non si fidano più tanto della città eterna. Almeno finché Retromanno non tornerà nei panni di Bullomanno.
ovrà affrontare un processo per bancarotta lo stilista romano Gai Mattiolo. Il giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Roma ha disposto per lui il rinvio a giudizio assieme ad altre sette persone, tutte componenti del suo staff. Accolte le richieste del pm Luca Tescaroli. Lo stilista fu mandato ai domiciliari il cinque dicembre del 2008.
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NON È LA CRISI
EUTELIA UN ANNO DOPO
Lo sciopero della fame davanti a Montecitorio L’accusa di una frode milionaria, in migliaia senza lavoro di Beatrice Borromeo
tanno davanti a Montecitorio da tre giorni, digiunano e non si capacitano del fatto che tutti li ignorino. I 10 mila lavoratori di Eutelia, vittime di una delle più spregiudicate gestioni aziendali dai tempi di Parmalat, hanno fatto parlare di sé per mesi, ma la loro condizione non è migliorata. E oggi li ignora anche il sottosegretario Gianni Letta, che con loro si era preso un impegno: “Prima il commissariamento dell’azienda e poi ci occupiamo di voi”, aveva detto. Ma sia Eutelia che Agile sono commissariate. Libeccio (holding della Omega) e, da poche settimane, anche la stessa Eutelia sono state dichiarate insolventi. Eppure nulla cambia per i lavoratori.
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LA CESSIONE. Giugno 2009: Eutelia era una società quotata in Borsa che poteva vantare tra i suoi clienti Regioni e la Camera dei deputati. Migliaia di lavoratori e buone prospettive in un settore in espansione, nonostante la recessione. Poi la vendita di Agile a Omega, il gruppo che acquisisce società e le abbandona al loro destino, intascando (secondo le accuse della procura) i proventi delle commesse già ottenute. Giugno 2010: in via Bona, a Roma, sono rimaste a lavorare una cinquantina di persone. Il presidio combattivo che per mesi ha occupato la palazzina di Eutelia non c’è più: 1850 ex dipendenti di Agile sono oggi in cassa integrazione. Un centinaio di loro, invece, ha mantenuto il posto. Molti di questi si occupano di assistenza tecnica ai pochi clienti che sono rimasti all’azienda. Quindi quello che trovi, entrando dai cancelli di Eutelia, è soprattutto silenzio. “Eutelia sembra un cimitero”, racconta davanti a Montecitorio Mauro Pompei, che in sede non torna visto che è in cassa integrazione. In dodici mesi la situazione è degenerata. E la colpa non è della crisi: quella di Eutelia, secondo gli inquirenti di Milano che indagano sulla gestione, è la storia di una frode. Mentre l’azienda di tlc sprofonda per le scelte dei suoi amministratori e di un’indagine della Guardia di finanza, restano i suoi detriti: oltre 2500 dipendenti che non hanno ancora nemmeno la cassa integrazione.
La dichiarazione d’insolvenza del Tribunale di Arezzo. Il titolo sospeso in Borsa a tempo indeterminato. E poi il tentativo di liberarsi di 1800 lavoratori di Agile (e di 40 milioni di euro di tfr ancora da pagare), la maggior parte dei quali non riceve lo stipendio dalla scorsa estate. Cioè da quando Agile, ramo d’information technology, è stata mandata da Eutelia a morte certa, venduta per un euro alla società Omega, anch’essa commissariata e al centro dell’indagine del pm milanese Francesco Greco. Sono diverse le procure italiane che si occupano della società are-
poi per scaricarle e pagare di conseguenza meno tasse. Un metodo analogo a quello utilizzato da Marcello Dell’Utri per creare fondi neri a Publitalia all’inizio degli anni Novanta. TUTTI AL PROCESSO. Anche se la famiglia Landi Illustrazione di Marilena Nardi. In basso, Sergio Palermo
nega ogni responsabilità – l’ex presidente Angiolo Landi, già rinviato a giudizio ad Arezzo per associazione per delinquere, ha dichiarato: “Ipotesi senza fondamento, noi ed Eutelia non c’entriamo” – i lavoratori sono determinati a fare di tutto per non finire nel dimenticatoio: 700 dipendenti, anche davanti a Montecitorio, stanno raccogliendo i ricorsi per costituirsi parte civile nel processo che comincerà il 29 giugno ad Arezzo.
Di Pietro: “Il governo ignora i lavoratori, poi si lamentano se qualcuno vuol far saltare il palazzo...”
Se nel corso del processo penale venisse dimostrato che l’azienda non è stata vittima della recessione ma di comportamenti fraudolenti, questi lavoratori potrebbero essere almeno in parte risarciti. E Agile è già stata condannata per condotta antisindacale. “Ma lo scandalo – dichiara Fabrizio Potetti della Fiom – non è solo che oltre diecimila persone, tra Eutelia e Omega, stanno perdendo ogni fonte di sostentamento. L’aspetto intollerabile è che da mesi ormai questa vicenda è nota e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta si rifiuta comunque d’incontrarci. Ora che anche Eutelia, dopo Agile, è stata commissariata, non ci sono davvero più scuse”. Antonio Di Pietro, leader Idv, è ancora più esplicito: “Il governo ha un atteggiamento criminale. Ignorano i lavoratori e invece ricevono quelli della cricca. E poi si lamentano perché a uno viene voglia di far saltare il palazzo...”
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I DIPENDENTI DEL GRUPPO OMEGA TRA CUI C’È ANCHE AGILE x2500y
I LAVORATORI DI EUTELIA SENZA NEANCHE CASSINTEGRAZIONE x1700y
GLI IMPIEGATI DI AGILE CHE SONO OGGI IN CASSINTEGRAZIONE x2000y
I CEDUTI DA AGILE A OMEGA, DA UN ANNO SENZA STIPENDIO
Sergio Palermo Da tre giorni senza cibo
“DIGIUNO FINCHÉ LETTA NON PARLA” tina fondata dalla famiglia Landi: l’ultima in ordine di tempo è quella, sempre a Milano, che sta indagando per una presunta frode fiscale di Eutelia per un milione e mezzo di euro. INDAGINI E FRODI. Carlo Nocerino, milanese, è infatti il quarto pm a occuparsi del gruppo. Nell’inchiesta s’ipotizza un’evasione fiscale internazionale che coinvolge oltre 280 aziende (oltre a Eutelia, tra le altre, anche Fastweb e Poltrona Frau) per una cifra complessiva di 150 milioni di euro. Secondo le Fiamme Gialle, che hanno perquisito sia la sede romana sia quella aretina di Eutelia, esisterebbe un giro di false fatture – sempre secondo le procure – che sarebbe stato orchestrato da Giovanni Guastalla, faccendiere svizzero arrestato lo scorso 27 ottobre. Stando alle accuse il “sistema Guastalla” si basava sul modello classico della finzione: società fittizie che emettono fatture fittizie alle aziende richiedenti, che se ne servivano
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LA CIFRA COMPLESSIVA EVASA DALLE SOCIETÀ PER LE FIAMME GIALLE x1,5y
I MILIONI CHE EUTELIA AVREBBE EVASO AL FISCO CON FALSE FATTURE x4y
LE PROCURE ITALIANE CHE SI OCCUPANO DI EUTELIA x280y
LE AZIENDE COINVOLTE NELL’INDAGINE DELLA PROCURA DI MILANO
ergio Palermo, 57 anni, non Schemangia da tre giorni. E quel è più importante, non ha alcuna intenzione di toccare cibo “fino a che non avrò una data in mano, fino a che Gianni Letta non manterrà la sua promessa”. Sergio è debole, ma dice di sentirsi bene, seduto nel camioncino appostato in presidio permanente davanti a Montecitorio: “I politici vorrebbero che sparissimo, ma noi siamo qui. Ci vedono ogni mattina quando entrano alla Camera. Fino a quando potranno ignorarci?”. I figli e la moglie di Sergio non hanno reagito bene alla sua iniziativa e i compagni di lavoro salgono a turno sul furgone per chiedergli di smetterla, di fare almeno una staffetta. Ma lui ha la determinazione di chi da un anno non ha più un impiego, né uno stipendio, né il modo di far fronte alle esigenze della sua famiglia: “Dopo 33 anni in azienda prima in Bull, poi in Eutelia e poi in Agile, mi sono guadagnato il diritto di lavorare, perché sono un professionista, e non posso pensare che la mia vita sia finita a 57 anni, non posso pensare di essere diventato inutile”. Sergio non vuole che si personalizzi, che si parli della sua vicenda individuale, ma le manifestazioni non gli bastavano più: “Le lotte in piazza, sono tutte di facciata. Questa è una cosa vera, non smetto fin-
ché non riaprono il famoso tavolo che ci hanno promesso. Finché non ci vedono. Anche perché, ammettiamolo, se cedo ora, che vita faccio da domani?”. Davanti al furgoncino c’è una scritta: “Digiuno perché sono quello che mangio”. E visto che “non sono niente, non mangio niente”, spiega Sergio. Ma, nonostante le apparenze, questa protesta vorrebbe ridare fiducia alle istituzioni: “Metto la mia salute nelle mani di Gianni Letta. Non so cosa farà, ma spero veramente che mi risponda. Ieri ci ha ricevuti il presidente Fini, sono passati di qui Vendola e Di Pietro. E ci fa piacere. Ma sappiamo tutti che l’unico che ha il potere di fare qualcosa è Letta”. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, figura centrale nelle crisi aziendali più politicamente sensibili, si era preso un impegno. Era il 9 dicembre, sono passati sei mesi: Letta aveva promesso alla gente di Eutelia che, una volta commissariata l’azienda, avrebbe avviato un tavolo negoziale con le parti sociali, per gestire una situazione ormai insostenibile (Sergio e gli altri hanno ricevuto una sola quota della cassa integrazione fino a oggi). E il commissariamento c’è stato: per Agile ad aprile, e per Eutelia pochi giorni fa. Ma di Letta non si (Bea. Bor.) sono più avute notizie.
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ECONOMIA
I sindaci pronti a scendere in piazza contro la Finanziaria
IL TRUCCO CONTABILE DEL DEBITO
e i governatori delle ReSnovra gioni piangono per la maeconomica varata da
L’Italia esulta perché l’Europa ora considererà l’indebitamento privato di Stefano Feltri
l governo italiano rivendica il successo diplomatico: il vertice del Consiglio europeo, dei capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles ieri, si è concluso con la decisione di considerare anche l’indebitamento privato nel valutare la solidità finanziaria degli Stati membri dell’Unione europea. “La sostenibilità globale – ha detto il presidente della Ue Herman van Rompuy nella conferenza stampa al termine del vertice – comprende molti parametri compreso quello del debito privato”. Era questo l’unico modo per far risultare l’Italia – con il più alto debito pubblico europeo dopo quello della Grecia – un Paese virtuoso: sommando indebitamento pubblico e privato il carico per l’Italia diventa il 308 per cento del Pil, pari a quello della Francia, inferiore a Spagna (342 per cento) e del Regno Unito (469). Ma si tratta soltanto di un trucco contabile: perché gli Stati rischiano il fallimento quando non riescono a rifinanziare il debito pubblico, mentre il debito privato crea problemi solo ai singoli (cittadini o banche) tranne quando, come è successo negli Stati Uniti, innesca una crisi sistemica. Nell’immediato, però, il primo pensiero di mezza Euro-
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pa è piazzare agli investitori i titoli di Stato a rendimenti ragionevoli, per evitare di finire schiacciati dall’effetto valanga che un crollo della fiducia degli investitori innescherebbe (come è successo in Grecia). RICHIESTE EUROPEE. Le altre decisioni prese ieri a livello europeo, quelle di più immediata applicazione, sono molto meno gradevoli per il governo italiano. Il presidente della Commissione europea, José Barroso, ha invitato i 27 Paesi membri a rendere pubblici i risultati degli “stress test” condotti sulle banche europee. Tutti – mercati e clienti – devono sapere chi è esposto e quanto verso i Paesi dell’Est, quali istituti sono imbottiti di buoni del Tesoro greci o ungheresi. L’intento è lodevole, aumentare la trasparenza ed evitare attacchi di panico immotivati in Borsa, la conseguenza potrebbe essere di indicare al mercato i soggetti deboli, trasformandoli in prede per gli “speculatori” (cioè chi scommette al ribasso su azioni o obbligazioni). Nelle intenzioni del Consiglio europeo, conoscere la salute delle banche dovrebbe servire anche a tassarle meglio: l’auspicio del vertice è che venga introdotto un prelievo straordinario per scaricare sulle banche parte del costo della crisi. Un’ipotesi, hanno
GIANNIGIORNALE-LUCE
giù fatto sapere in via ufficiosa fonti diplomatiche italiane, percorribile solo con il pieno consenso di tutti i grandi Paesi, Stati Uniti inclusi. Altrimenti si creano differenze competitive che penalizzano gli istituti più tassati. La cosa più probabile, quindi, è che venga seguita la strada indicata ieri dalla Banca centrale europea: “Rafforzare ulteriormente la propria componente patrimoniale e ove necessario sfruttare appieno le misure di sostegno pubblico a favore della ricapitalizzazione”. Con l’avvertenza che la crisi nei bilanci delle banche non è finita e si rischiano ulteriori correzioni. La Germania di Angela Merkel preme poi perché, con o senza l’appoggio del G20, venga anche introdotta una tassazione sulle transazioni finanziarie (poco probabile perché molto complicata da applicare). RISCHI ITALIANI. La priorità, però, resta il debito pubblico, secondo la Banca
Le difficoltà dell’Italia non cambiano: se il governo non approva in fretta la manovra i mercati ci puniranno
di Luca Telese
Don Riotta e i dieci passi dell’“operaio Gigi”
È
vero, ne abbiamo scritto anche noi, del “World Class Manufacturing”, ma - lo ammettiamo - non riusciamo mai ad esser rapiti dall’estasi come “Il Sole 24 Ore” riottiano, che brilla di entusiasmo, ogni volta che tratta di cottimo. È un peccato che i recalcitranti operai di Pomigliano non leggano il quotidiano di Confindustria, altrimenti scoprirebbero – attraverso la pedagogica penna dell’ottimo Paolo Bricco – le straordinarie potenzialità del nuovo accordo, spiegate con dovizia di dettagli, chiarezza espositiva e piglio avvincente. Prendete questo attacco folgorante: “Alla Fiat di Pomigliano, con l’applicazione congiunta del World Class Manufacturing e del sistema Ergo-Uas, tutte le volte che prenderà un componente per montarlo sulla nuova Panda, l’operaio Gigi non dovrà fare più di 10 passi”. Capito Gigi? “A Stoccarda – prosegue Bricco – l’applicazione di questi principi è stata così coerente con la rigidità dello spirito tedesco che, di passi, il suo collega Hans non ne fa più di 3”. Ma, avverte con simpatico paternalismo il “Sole”, “Hans Non è più bravo di Gigi”. No, perbacco. “Semplicemente il Word Class Manufacturing, declinazione occidentalizzata dei principi del toyotismo, si adatta in maniera plastica agli am-
centrale europea. Perché i mercati sono sempre più nervosi, soprattutto riguardo alla Spagna: le indiscrezioni che circolano da giorni su un intervento coordinato di Ue e Fondo monetario internazionale per 200-250 miliardi (sempre smentite da Madrid) hanno improvvisamente minato la credibilità del piano di garanzie e prestiti bilaterali da 440 miliardi annunciato dall’Ue all’indomani della crisi greca. Se quel piano ha le risorse per funzionare, come mai sono necessari altri soldi? Difficile dirlo, visto che i dettagli del piano non sono mai stati chiariti. I mercati – soprattutto quelli dei titoli di Stato – sono sempre più esigenti, per questo Barroso ha annunciato che “tutti gli Stati membri sono pronti, se necessario a prendere misure aggiuntive per accelerare il consolidamento”. E “tutti” significa Italia inclusa: deve essere anche per questo che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non ha voluto rilasciare alcun commento dopo il vertice. Perché avrebbe do-
bienti e alle fabbriche a cui viene applicato”. Che bello. Marchionne ha scelto questo sistema anche per Pomigliano “e – prosegue rapito il “Sole” – la riduzione degli spazi permetterà all’operaio Gigi, per alcune operazioni, di non muoversi da una parte all’altra, ma di torcere semplicemente il busto”. Praticamente un passeggiata: “Il rischio di procurarsi un malanno per la ripetitività dei movimenti dovrebbe ridursi della metà”. Il bello è che, spiega ancora “il Sole”, gli operai di Pomigliano non capiscono a quale fortuna stiano andando incontro: “Gigi non lo sa ancora – spiega pazientemente Bricco – ma secondo la letteratura economica dovrebbe ridurre fino a un massimo del 57% i tempi delle sue operazioni di montaggio”. Poi il “Sole” si commuove sull’esempio tedesco: “Le strategie sono eseguite con precisione quasi religiosa dall’operaio Hans”. Chissà perché il quotidiano di Don Riotta si dimentica di dire che, con l’accordo, l’operaio Gigi perderà i cosiddetti “fattori di recupero e riposo”. Prima, cioè, doveva essere produttivo “solo” il 90% del suo tempo. Ora il 100%. Se gli cade un bullone e si china a raccoglierlo, anche se religiosamente, va fuori tempo. Fiat voluntas Dei. Amen.
Il presidente della Commissione Ue José Barroso tra Silvio Berlusconi e il presidente della Francia Nicolas Sarkozy (FOTO ANSA)
vuto spiegare se considera sufficiente la manovra da 25 miliardi ora in discussione o se il suo ammontare dovrà essere rivisto al rialzo (oppure se a settembre ci sarà un altro intervento equivalente). Già convertire in legge il decreto di questa manovra, infatti, sembra un’impresa sempre più ardua: il fronte delle Regioni – che pagheranno un conto di oltre 10 miliardi in due anni – sono pronte a bloccare il Federalismo fiscale se il governo non riduce i tagli, i Comuni sostengono di aver trovato nel Quirinale una sponda che eviterà loro di soffocare per i trasferimenti ridotti, gli interventi sulle pensioni di invalidità vengono rimessi in discussione dallo stesso Pdl, il taglio degli enti (più o meno inutili) è stato rimandato, i finiani sono pronti a chiedere pesanti modifiche. Dare ai mercati l’impressione che il risanamento non ci sarà potrebbe essere molto pericoloso. Anche se, per ora, il Paese più fragile resta la Spagna che, comunque, è riuscita a piazzare 3,5 miliardi di Buoni del Tesoro senza problemi, anche se con un rendimento alto (4,91 per cento). Segnale che le tensioni non sono finite.
Giulio Tremonti, i sindaci dei Comuni certo non ridono. E per bocca di Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e presidente dell’Associazione dei Comuni italiani (Anci) chiedono di essere ricevuti quanto prima dal governo per apportare modifiche ad un testo che “obbliga questi enti locali a tagliare i servizi essenziali per le famiglie”, come scrive l’associazione in una nota. Ieri una delegazione è salita sul colle più alto di Roma per un colloquio con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che si sarebbe dimostrato attento alle problematiche degli enti, ma la partita vera si giocherà in Parlamento, dove il decreto varato dal Consiglio dei ministri dovrà essere convertito in legge nelle prossime settimane. Se non succederà nulla nei prossimi giorni, è pronta una manifestazione di fronte al Senato il 23 giugno prossimo, in coincidenza con la Conferenza Stato-cittadini, dove si ritroveranno gli 8.000 e passa sindaci per far sentire la propria voce. Non è certamente la prima volta che manovre varate dal governo vanno ad impattare pesantemente sugli enti locali, ma in questo caso i tagli previsti dovrebbero essere per il 90 per cento a carico delle autonomie locali. Un saldo veramente troppo pesante da sopportare quando poi bisogna dare risposte ai cittadini. (Alfredo Faieta)
VENETO IN CRISI
VENDO UN RENE PER PAGARE I DEBITI di Erminia della Frattina
è sempre la stessa, quella che ha messo Ldelleaa crisi piedi l’imprenditoria veneta soprattutto piccole aziende. La soluzione però questa volta è ingegnosa e diversa dal suicidio, con un risvolto umanitario che fa tenerezza. Un imprenditore di Ponte della Priula nel Trevigiano, in grave dissesto economico e sommerso dai debiti, spariglia i giochi e invece di tentare il suicidio sceglie di vendere un pezzo di sé. “Sono sano, forte come un lupo e abbastanza giovane, metto in vendita un rene per 150 mila euro”. G. M. ha 46 anni e un’azienda andata in malora da poco. Poi una trafila di lavoretti saltuari. “Dal 28 maggio sono di nuovo disoccupato – dice l’ormai ex imprenditore trevigiano – ora mi arrangio facendo piccoli lavori, il muratore e l’imbianchino”. La casa dove abita con moglie e due figlie piccole è andata all’asta perché lui non era più in grado di mantenerla, anche se ci vivrà finché non lo sfratteranno. Così arriva la disperazione e la voglia di farla finita. “Ogni mattina quando mi sveglio non so se impiccarmi e mettere la parola fine a tutto questo o se continuare a vivere. Sono alla ricerca disperata di denaro, altrimenti che futuro posso dare alle mie figlie?”. E arriva, disperata come lui, la decisione ultima: mettere in vendita un rene per 150 mila euro. Con due precisazioni: la prima è che la persona a cui andrà il rene sia perbene. La seconda è l’assicurazione che 20 mila euro saranno devoluti per progetti di ricerca. Un gesto di umanità che l’imprenditore trevigiano (“in realtà sono friulano, terra di lavoratori”) si permette nonostan-
te tutto perché chi sta male va aiutato. Lo dice lui che è lucido e deciso nel momento in cui si trova seduto sull’orlo del baratro e che ha pensato mille volte di togliersi la vita. Lui che da Pordenone è arrivato a Ponte della Priula nel 2001 e con quattro soldi si è comprato dei camion per avviare un’attività di autotrasporti. “Avevo quattro camion e tante speranze, poi sono iniziate le pendenze con le banche e ho dovuto chiudere”. Da quel momento ha lavorato come operaio e autista, alle dipendenze di due aziende una delle quali nel frattempo è fallita. L’epilogo è sempre lo stesso: l’imprenditore tenta di sanare i debiti, ma la situazione precipita: la casa va all’asta, acquistata a fine aprile per 80 mila euro. Soldi che non bastano a tenere buone le banche, che chiedono di chiudere le pendenze. Una spirale dalla quale non lo salva nemmeno il fatto che la moglie lavora e porta a casa uno stipendio regolare; in più ora se anche dovesse trovare un lavoro, le banche gli pignorerebbero lo stipendio. Così arriva la richiesta estrema: “Dicono che sono tempi duri per tutti, ma io non ce la faccio più: aiuto”.
“Sono un imprenditore sano, forte come un lupo e abbastanza giovane, ora disoccupato”
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DAL MONDO
CINA MAI VISTA: SCIOPERI E CONTESTAZIONI Nelle fabbriche proteste e prime vittorie sindacali di David Barboza
e Keith Bradsher Zhongshan (Cina)
1.700 operai della Honda Lock scesi in sciopero nei giorni scorsi sono per lo più migranti poveri che hanno fatto a malapena la scuola media. Ma sono sorprendentemente abili con le nuove tecnologie. A poche ore dall’inizio dello sciopero già fornivano in Rete informazioni sui picchetti non solo ai compagni di lavoro, ma anche ad altri operai in agitazione in altre zone della Cina. Con gli sms invitavano i colleghi a resistere alle pressioni dei capi e, come se non bastasse, sono entrati in un sito controllato dallo Stato – workercn.cn – che sta diventando la piazza digitale del movimento operaio cinese. Poi hanno scaricato in Rete i video degli addetti alla sicurezza della Honda Lock che maltrattavano i dipendenti. Gli operai di questa città nel sud della Cina hanno avuto l’idea da altri scioperanti di altre fabbriche della Honda, che a maggio hanno avviato un duro scontro con la fabbrica giapponese sui salari e le condizioni di lavoro utilizzando su Internet diversi blog. Ma si sono serviti anche di un gigantesca rete di comunicazioni che consente agli operai cinesi di mettere a punto piattaforme di rivendicazione e strategie di lotta. Molti dirigenti sindacali non fanno altro che setacciare la Rete per aggiornarsi sul diritto del lavoro. Nella guerra appena iniziata contro le multinazionali avide di profitti e i loro alleati locali, l’emergente movimento sindacale cinese è riuscito finora ad aggirare la censura grazie ai cellulari e ai computer. Tutto questo non sarebbe stato possibile se il governo cinese nel corso degli ultimi dieci anni non avesse drasticamente ridotto i costi dei cellulari e dei servizi Internet nel quadro di un programma di modernizzazione che ha prodotto la più grande popolazione mondiale di utenti della rete – 400 milioni – e ha consentito anche ai più poveri di usare il Web. “È una realtà di cui pochi si sono accorti: i lavoratori migranti possono organizzarsi usando le moderne tecnologie”, dice Guobin Yang, professore al Barnard College. “In genere pensiamo che queste tecnologie siano monopolio dei giovani del ceto medio e degli intellettuali”, aggiunge Guobin Yang. La Rete e la tecnologia digitale sono diventati strumenti di trasformazione sociale così come avvenne per la macchina da scrivere nel 1989 in occasione delle manifestazio-
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ni di Pechino soffocate nel sangue a piazza Tien an Men nel giugno del 1989, con il pesante bilancio di centinaia di morti. Ma se l’attuale movimento sindacale dovesse continuare e crescere e magari finisse per minacciare l’ordine sociale, il governo potrebbe decidere di intervenire per soffocare la protesta? Il governo ha già tentato di oscurare alcuni siti utilizzati dagli operai e ha cancellato il contenuto di molti blog che parlano degli scioperi. Il servizio di messaggeria istantanea QQ – accessibile via Internet o con il cellulare – strumento privilegiato all’inizio dai leader sindacali perché molto popolare tra i giovani – è stato infiltrato dai dirigenti della Honda Lock e dagli agenti della sicurezza, così da costringere gli scioperanti a cambiare mezzo di comunicazione. “Non usiamo più QQ”, dice un leader sindacale. “Vi accedevano spie dell’azienda. Ora usiamo di più i cellulari”. Secondo gli analisti è stata una mossa intelligente. “Il sistema QQ può essere facilmente intercettato dalle autorità cinesi ed è stato un bene averlo abbandonato”, dice Rebecca MacKinnon, sinologa e studiosa di informatica all’Università di Princeton. “QQ non è sicuro. Tanto varrebbe informare direttamente la poli-
I lavoratori si organizzano grazie a sms e chat room Le aziende adesso devono trattare Il presidente della Repubblica popolare cinese Hu Jintao (FOTO LAPRESSE)
zia”. Ma gli attivisti fanno sapere che riescono ad aggirare alcuni di questi ostacoli spostandosi da una piattaforma all’altra (tra cui una rete telefonica online e gratuita, simile a Skype, chiamata YY Voice) e ricorrendo ad un codice per comunicare ai dimostranti dove debbono incontrarsi. Da anni alcuni attivisti denunciano le dure condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi inviando video e foto realizzati con il cellulare e utilizzando la rete per far circolare documenti sulle violazioni dei diritti dei lavoratori. Il fatto nuovo è che questi attivisti, che un tempo agivano clandestinamente, ora sono usciti allo scoperto. Strani suicidi: il mese scorso quando si sono diffuse notizie di operai morti suicidi dalla Foxconn Technology, uno dei massimi produttori mondiali di apparecchiature elettroniche, la rete è stata subito invasa da video che testimoniavano le violenze degli addetti alla sicurezza. Inoltre, in rete sono apparse le buste paga di molti operai della Foxconn ed è emerso che le ore di straordinario erano superiori a quanto consentito dalla legge. A Zhongshan, dove molti operai hanno ripreso il lavoro mentre proseguono le trattative, i dimostranti hanno seguito la stessa strategia messa a punto il mese scorso nella fabbrica Honda di Foshan. A Foshan gli organizzatori dello sciopero hanno organizzato oltre 600 operai mediante chat room su QQ. “Ne ho creata una anche io la sera prima dello sciopero e si sono immediatamente iscritti in 40”, dice Xiao Lang, uno degli organizzatori delle manifestazioni di protesta che è stato licenziato subito dopo la manife-
Aumenti salariali Si attende per oggi una nuova proposta della Honda Locks di Zhongshan alle richieste di aumenti salariali degli operai. Anche il “Quotidiano del Popolo” ha scritto di nuovi diritti necessari. (FOTO ANSA) Sotto il dissidente Gao Zhisheng (FOTO LAPRESSE)
stazione. “Nella chat room abbiamo discusso tutti i dettagli”, dice Xiao Lang. “Dove incontrarci, quale percorso doveva seguire il corteo e quali erano le nostre rivendicazioni salariali”. Le autorità cinesi hanno consentito ai media statali di pubblicare e trasmettere le notizie sul primo sciopero di Foshan, ma poi hanno deciso di censurare tutte le informazioni. I giovani cinesi che non accettano le tremende condizioni di lavoro dei loro genitori, sono tutti abilissimi con le nuove tecnologie digitali. Gli operai della Honda Lock sono in attesa dell’esito della trattativa che si svolge alla presenza di esponenti del governo. Finora è stato offerto un aumento salariale dell’11%, ma gli operai sono certi di ottenere oltre il 50% - pari a 234 dollari al mese – esattamente come gli operai di Foshan. “Non ce l’avremmo fatta se non avessimo saputo quello che era avvenuto a Foshan”, dice un giovane operaio che usa il computer da quando aveva 7 anni. “Abbiamo seguito il loro esempio. Perché non dovremmo ottenere aumenti salariali uguali?”. © The New York Times Traduzione di Carlo Antonio Biscotto
PROFUGHI abbandonati 400 mila in Kirghizistan Kirghizistan è in atto una “crisi immensa”, con decine Istodinsecondo migliaia di profughi senza cibo, acqua, riparo. È quela Croce rossa internazionale il risultato di meno di una settimana di violenza interetnica, fra le comunità kirghiza e uzbeka, nel sud del Paese. Nel frattempo, il bilancio ufficiale delle vittime è salito a 191 morti e 2 mila feriti, molti dei quali in condizioni gravi, anche se diverse organizzazioni non governative denunciano la possibilità che le persone uccise negli scontri possano essere molti di più. La stessa Croce rossa parla di “diverse centinaia” di morti. A Osh, dove la violenza è esplosa nella notte fra il 10 e l'11 giugno, è tornata la calma, e le strade sono presidiate dai militari, anche se il New York Times cita testimoni oculari secondo cui i soldati in uniforme regolare dell’esercito kirghizo hanno aperto il fuoco contro abitazioni della comunità uzbeka, gridando slogan anti uzbeki. “Abbiamo visto la situazione con i nostri occhi e anche sentito parlare di sacche di sfollati, fra le centinaia e le migliaia”, ha spiegato Severine Chappaz, della Croce rossa alla Bbc. Intanto la tensione cresce al confine con l’Uzbekistan, dove ormai 400 mila profughi sono ammassati senza alcun tipo di aiuto.
Dissidente scomparso a Pechino
La speranza per Gao è solo un filo di voce di Roberta Zunini
pressioni della comunità internazionale qualche Lsorteeeffetto, per una volta, sembrano averlo ottenuto. La dell’avvocato–attivista cinese Gao Zhisheng, scomparso nel febbraio del 2009, non sarebbe più un mistero fitto. Un giornalista di un’agenzia internazionale sarebbe riuscito a mettersi in contatto telefonico con l’avvocato, ammesso che la voce fosse davvero la sua. Di lui non si era più saputo nulla dal febbraio 2009. Almeno per ora la sua vita sembrerebbe salva ma di più non è dato sapere. Né dove si trovi realmente, né se sia sottoposto ancora a tortura. Quando fu arrestato per la prima volta nel 2006, per “aver incitato il popolo alla sovversione”, Gao Zhisheng venne torturato per giorni. I dettagli della brutale prigionia li divulgò in una lettera, dopo essere stato rilasciato per buona condotta. La denuncia delle atrocità subite però lo riportò immediatamente nel mirino del Gonganbu, i servizi segreti cinesi, che seguivano le sue mosse fin dal 2004. Fu allora, infatti, che accettò di difendere i seguaci della pacifico movimento Falun Gong e in seguito i fedeli cristiani, ancora perseguitati dalla nomenclatura della Repubblica Popolare. Se la motivazione ufficiale del suo primo arresto fu per incitamento alla sovversione - visto che difendeva i seguaci del Falun Gong e del cristianesimo da sempre considerati pericolosi sovversivi - quella reale parla di un tradimento alla lobby politico-affaristica che gestisce la vita e la morte del miliardo e trecento milioni di cittadini cinesi e che siede sugli scranni più alti delle istituzioni. Gao Zhisheng, oggi 46enne, nel 2001 era stato definito dal governo uno dei dieci migliori avvocati cinesi. Per questo gli fu anche permesso di aprire uno studio legale a Pechino. Ma anzichè ringraziare e ricambiare, diventando il referente legale per i businness e i maneggi della nomenclatura e della nuova classe di giovani oligarchi della Capitale, ovviamente imparentati con essa, Gao iniziò a sentire il richiamo della spiritualità e poi della fede. Non solo divenne cristiano ma nel 2005 osò rinunciare alla tessera del partito comunista. Mentre con la moglie e il figlio di pochi anni, iniziava a precipitare in un’esistenza misera – a Pechino gli affitti sono molto alti e di fatto la sanità è privata – per mancanza di clienti ricchi, la sua licenza di avvocato fu ritirata e dovette chiudere lo studio. A quel punto fu Gao però ad aver bisogno di un legale ma a poco sarebbe servito. La prima stazione del suo calvario era infatti già stata allestita in una minuscola cella di una prigione lontana migliaia di chilometri dalla Capitale cinese. Anche il suo secondo arresto, nel 2007 - scattato dopo che Gao osò scrivere una lettera addirittura al presidente Hu Jintao per denunciare tutte le vessazione che aveva subito nelle lunghe sessioni di tortura - lo condusse a trascorrere ore e ore di immobilità assoluta, pena nuove percosse e digiuni forzati, seduto su una branda di un carcere in una remota regione cinese: lo Shaanxi. Ora Gao Zhisheng, sarebbe ospite di un monastero buddista a Urumqi. Lo hanno detto le autorità cinesi e lo avrebbe confermato lui stesso per telefono all’agenzia internazionale, ma non è certo che la voce fosse davvero la sua. La cosa suona verosimile, visto che Urumqi è la capitale della regione autonoma dello Xinjang, dove risiede la cospicua minoranza uigura, sottoposta a un regime di polizia spietato. Gli uiguri, circa venti milioni di persone di fede musulmana, come i tibetani buddisti non godono di una reale autonomia e da anni chiedono di vedere rispettati i propri diritti di appartenenti all’etnia autoctona. Molti di loro, dopo aver protestato a più riprese, sono stati incarcerati e fatti sparire, così come nel vicino Tibet fu prelevato e quindi tenuto per anni in un luogo segreto, il Panchen Lama, la figura religiosa buddista più importante dopo il Dalai Lama. Quando fu rapito il Pachen Lama era un bambino. Solo poco tempo fa si è saputo che sarebbe morto, ufficialmente per un cancro. Una sorte che per fortuna non sembrerebbe toccata all’avvocato Zhisheng. Almeno per ora.
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DAL MONDO
“VI RACCONTO MIO PADRE, ILCamilo SOGNO CHIAMATO CHE” vive a Cuba: aveva 5 anni quando il comandante Ernesto Guevara fu ucciso in Bolivia di Luca Morino* L’Avana
amilo, il terzo figlio di Ernesto Che Guevara, è nel Centro Studi dedicato a suo padre e situato nella stessa casa, a L’Avana, abitata dal rivoluzionario argentino fino alla sua partenza per il Congo, nel 1965. “Abbiamo iniziato a lavorare agli archivi personali nel 1983 - spiega Camilo Guevara - e con il tempo abbiamo realizzato numerose pubblicazioni e lavori accademici che hanno reso sempre più complessa la nostra attività. Attualmente siamo in sette, ma con i collaboratori esterni arriviamo a oltre trecento persone che lavorano al progetto: quasi tutti compagni o amici del Che, persone che occuparono incarichi nel periodo in cui faceva parte del governo”. L’immagine di suo padre corrisponde al vero Che e al suo pensiero? C’è sicuramente una commercializzazione eccessiva dell’immagine del Che.
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Spesso viene associata a elementi che hanno poco a che vedere con lui, come una bottiglia di rum o un pacchetto di sigarette. A volte la gente cerca di arricchirsi attraverso il Che utilizzandolo per vendere un prodotto e quando succede questo, di solito, consapevoli o no che siano, in pratica separano l’immagine dell’uomo dalla sua storia, dalla sua ideologia. Pensa che anni fa in Italia, in una manifestazione dichiaratamente fascista, fu visto un tipo che sventolava l’immagine del Che. Non so se fosse lì per protestare contro la manifestazione, tutto può essere, ma la situazione era decisamente ambigua, no? Che ricordi ha di suo padre? Ero molto piccolo quando partì per il Congo, nel 1965 avevo 3 anni. Quando tornò non poteva violare le norme della clandestinità e per questo ovviamente noi figli non potevamo vederlo. Il giorno in cui partì per la Bolivia era già calvo e venne a salutarci travestito. Quando morì nel
La marcia degli ultraortodossi Israele - 17 giugno 2010 Tel Aviv - Più di 35 mila ultraortodossi si sono radunati nel centro della cittadina di Bnei Brak (Tel Aviv) per protestare contro una recente sentenza della Corte suprema, che si è espressa per condannare la discriminazione tra ragazze askenazite e sefardite nella scuola di Beit Yaakov nella colonia Emmanuel, in Cisgiordania (FOTO EMBLEMA)
SPIGOLI
e rivoluzioni sudamericane del XXI secolo corrono su Twitter, dove Hugo Chávez (Venezuela) incontra Fìdel e Raul Castro (Cuba) ed Evo Morales (Bolivia). Continua a fare rumore sulla stampa latina la conversione di Chávez che, fino a qualche tempo fa, bollava Twitter come il male assoluto. Ora, dopo essersi iscritto ed essersi creato il proprio profilo, il leader venezuelano invita i “compagni presidenti” a usare la rete sociale per portare avanti “la battaglia ideologica contro i nemici comuni”. Lo “sbarco” su Twitter di Chávez risale al 27 aprile: in poco più di tre giorni, aveva raggiunto e superato i 120 mila “followers”. “Mi scrivono da tutto il mondo, anche dalla Russia”, aveva raccontato con orgoglio ai Castro e a Morales,
PENA DI MORTE
La fucilazione ritorna nello Utah
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orna la fucilazione di Stato negli Usa. Intorno alla mezzanotte (le sei del mattino di oggi in Italia) un detenuto di 49 anni, Ronnie Lee Gardner, condannato a morte per duplice omicidio, verrà fucilato in un carcere dello Utah, dopo 25 anni di detenzione.
ASPIRANTE EROE
Idraulico tedesco per la Marea nera
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Il comandante Ernesto Che Guevara (a destra) con il Líder máximo Fidel Castro. Nel riquadro sotto Camilo Guevara (FOTO ANSA)
’67 io avevo solo 5 anni: era un uomo che aveva un’enorme responsabilità nel Paese, passava il tempo a lavorare e studiare, anche diciotto ore al giorno. Solo la domenica, dopo il lavoro volontario, veniva a casa e giocava con noi. Questa è stata le mia relazione con lui e non riesco a ricordarlo con chiarezza, non capisco neanche se sia stato parte di un sogno o una costruzione della mia fantasia. Quando girano un film sul Che consultano la sua famiglia? A volte sì, ultimamente abbiamo lavorato con un regista argentino che si chiama Tristan Bauer e Walter Salles per esempio è venuto a consultarci per I diari della Motocicletta, così come Gianni Minà per un documentario. Per il film di Soderbergh con Benicio Del Toro abbiamo fornito una serie di informazioni storiche molto precise, poi ovviamente hanno fatto scelte artistiche in cui la realtà veniva anche alterata e a quel punto ci siamo fermati. A me sembra che il bilancio di questi ultimi film sia positivo, anche se non sono fatti per insegnare la Storia. Cosa rappresenta oggi il
di Giampiero Gramaglia
“La rivoluzione la voglio sul web” Chávez scopre Twitter
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sollecitandoli a condurre insieme la battaglia ideologica sul sito di microblogging, sotto il motto “rivoluzione in tutti gli spazi”. Nato per il gossip fra adolescenti, affermatosi come balsamo all’egocentrismo di molti pseudo “digital native” - in realtà, “matusa” mascherati -, Twitter s’è conquistato fama politica con l’onda verde iraniana: i suoi messaggi brevi e concisi hanno messo in scacco, un anno fa, l’informazione ufficiale del regime degli ayatollah. Agile, rapido, Twitter arriva subito e, di utente in utente, rimbalza dovunque. Certo, la verifica delle notizie è problematica. Ma questo non spaventa Chávez: le rivoluzioni latine (e non solo quelle) si sono sempre nutrite di qualche esagerazione.
“Con l’elezione di Barack Obama non è ancora cambiato nulla nell’atteggiamento americano verso di noi” Che per i giovani cubani? Mi sembra che il Che sia sempre una figura che i ragazzi proteggono e rispettano e funge tuttora come riferimento: quando per esempio una cosa non va bene o dovrebbe essere differente si dice “se ci fosse qui il Che questo non sarebbe successo”. Con questo non voglio dire che sarebbe stato esattamente così perché la vita è molto più complessa, ma questo sentimento, questa speranza, mi sembrano un grande omaggio alla sua vita di sacrifico, intoccabile e limpida. Il Che è sempre stato un uomo onesto. Crede che i rapporti tra Cuba e Stati Uniti potranno cambiare? Non sono un esperto di politica, però personalmente penso di no. Negli Stati Uniti la vittoria di Obama, ormai quasi due anni fa, non una rivoluzione: è un presidente di colore, però ampiamente sostenuto dal denaro nordamericano. Credo che quello che è successo sia stato un cambio cosmetico. Nessuno ci crede veramente, bisogna cambiare, bisogna dimostrare che è cambiato qualcosa perché per ora non è ancora successo nulla. Quindi, il giudizio su Obama è negativo? Claro! C’è l’Iraq, l’Afghanistan, c’è la IV Flotta che controlla i Caraibi e il Sudamerica. Perché la lasciano lì? Ci sono le basi militari in Colombia. Cos’è cambiato con Obama? Non è cambiato nulla. Possono cambiare alcuni aspetti all’interno degli Stati Uniti, bisogna vedere se succederà, ma in ultima istanza la cosa importante
sarebbe cambiare le cose perché potessero durare nel tempo. Se suo padre fosse ancora vivo? Io credo che una rondine non fa primavera, però credo anche che non si vedono rondini se non inizia la primavera! Il Che ha sempre fatto capire chiaramente la sua posizione e sapeva perfettamente che non esiste una società che non sia perfettibile, che non si possa migliorare. Di fatto si pensava, quando il Che era a Cuba, che la Rivoluzione cubana fosse una sommatoria risultante da più pensieri e mi sembra che ora il processo di sviluppo storico renda ancora molto più articolato il tema: la cosa certa è che c’è un progetto nazionale che risale a prima che nascessero Fidel Castro, il Che e tutti i rivoluzionari che nel ‘59 trionfarono nel Paese. Questo progetto-nazione antimperialista si è formato quasi naturalmente: a 90 miglia dalle nostre coste il padre della democrazia americana, Thomas Jefferson, già nell’Ottocento scriveva di suo pugno che bisognava conquistare Cuba e… Marx non aveva nessuna colpa di questo! La nostra esperienza si è messa in linea con un progetto che è in alternativa al capitalismo e ci ha mostrato che anche a Cuba possono esserci borghesi, ma non una borghesia nazionale. La borghesia nazionale era legata per forza agli interessi degli Usa. Posso affermare con certezza che il Che approverebbe il progetto-nazione cubano al cento per cento. *voce e chitarra dei Mau Mau
n idraulico tedesco disoccupato è convinto di aver trovato il modo di porre fine al disastro ambientale provocato dalla Bp: con un tappo sulla bocca del pozzo che da settimane riversa nelle acque del Golfo del Messico centinaia di milioni di litri di greggio. Klaus Scharmberg, 48 anni, di Wieck, una cittadina del Meclemburgo-Pomerania Occidentale, all’estremità nord orientale della Germania, non ha dubbi. Ha già inviato la sua proposta al sito Internet del gruppo petrolifero britannico e oggi è stata la volta della stampa tedesca: il quotidiano “Berliner Zeitung” l’ha pubblica in prima pagina, mentre il “Frankfurter Rundschau” ha dedicato all’idea una pagina intera, con tanto di disegnino fatto a mano dall’idraulico.
KILLER PROF
La Bishop aveva già ucciso
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a docente di biologia Amy Bishop, accusata di avere ucciso in febbraio tre colleghi della Università dell’Alabama, sarà incriminata anche per la morte del fratello avvenuta nel 1986 a Boston. All’epoca la madre della Bishop aveva detto alla polizia che Amy, allora 21enne, aveva ucciso il fratello per disgrazia mentre stava cercando di scaricare la pistola del padre. Ma ingrandimenti delle foto scattate all’epoca nella stanza della ragazza hanno mostrato un articolo di giornale che descriveva la vicenda di una persona che aveva ucciso un familiare con la pistola.
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MONDIALI Un calcio a parte
QUANDO PIANGE IL SUDAFRICA Dopo la disfatta con l’Uruguay domina lo sconforto di Pierluigi Pardo (*) Johannesburg
l giorno dopo molte magliette e molti sorrisi sono spariti. E forse questa sconfitta atroce con l’Uruguay è anche davvero quella dell’innocenza perduta per il Sudafrica. Benvenuti nel mondo del grande calcio, amici Bafana. Da adesso, forse, nulla sarà più come prima. Le polemiche, le speranze, la cultura del risultato a tutti i costi, addirittura l’idea del boicottaggio si affacciano per la prima volta da queste parti. Pericolose e tentatrici, in questo day after, il giorno dopo quella che per il calcio sudafricano resterà per lungo tempo la madre di tutte le sconfitte. Una delusione folle, che, per un imprevedibile gioco del destino è arrivata il 16 giugno,
I
giorno della Festa della Gioventù, ricordo degli scontri di Soweto. Ambiti, ricordi e dolori più seri. Ma, potere del football, ieri mattina l’umore di tutti guardava comunque verso il basso. La parola “vergogna” si sente declinata in vari modi. Sulle prime pagine, nei bar, dipinta sui volti di chi si è improvvisamente risvegliato in una metà del mondo troppo vera per essere verosimile. L’ha detto il CT Parreira verso l’arbitro Massimo Busacca, colpevole di aver chiuso la partita con il rigore del 2-0 e l’espulsione del portiere Kuhne. La urlano, la delusione, anche alcuni tifosi che si sentono traditi dalla squa-
dra, vergognosa appunto. Altri invece pensano che sia stato orribile andarsene, come molti hanno fatto prima ancora del fischio finale. Via dal Loftus Versfeld di Pretoria, pieni di rabbia. Un inedito anche questo, per il calcio africano e anche una mancanza di rispetto verso la squadra. I Bafana si tifano sempre, nella buona e nella cattiva sorte, dicono. Ci crederanno ancora i giocatori, che il giorno dopo
La parola vergogna si ascolta ovunque: il torneo è un successo ma il risveglio è stato davvero traumatico
L’ARGENTINA gioca a poker Disastro Nigeria: è quasi fuori essi inventa, Higuain finalizza... e la Gre- piato. Un errore di Demichelis alla fine del M cia, a distanza di tre ore, offusca solo per primo tempo ha permesso agli asiatici di riaun attimo una vittoria che poteva avere il gu- prire il match (gol di Lee Chu-yung), ma nella sto del trionfo. E sì, perché se gli ellenici non avessero conquistato i tre punti contro un’irriconoscibile Nigeria, l’undici di Maradona avrebbe matematicamente guadagnato l’accesso agli ottavi con una giornata d’anticipo. Poco male. Negli occhi di chi ha visto la gara, infatti, rimane un’immagine sola: lo strapotere offensivo di una squadra che, quando i suoi campioni accendono l’estro, può far male a chiunque. Ieri ne ha fatto le spese la Corea del Sud, che pure aveva destato una buona impressione nell’esordio vincente contro la Grecia. C’è stata partita, per modo di dire, solo nel primo tempo. L’Argentina, padrona assoluta del campo, è passata in vantaggio al 16’ grazie ad un’autorete di Park Chu-young. Poi si è scatenato Higuain, che al 32’ ha raddop-
ripresa Higuain ha completato la sua tripletta personale concretizzando le giocate di Messi e Aguero. Nell’altra partita del Girone B, da registrare il suicidio sportivo della Nigeria, che è passata in vantaggio al 16’ con Uche (evidente la complicità del portiere ellenico), ma poi è stata protagonista di un tracollo che ha dell’incredibile. Prima Kaita si è fatto cacciare ingenuamente dall’arbitro Gonzales, poi Haruna (44’) ha deviato il tiro di Salpingidis e beffato il suo portiere. Quest’ultimo, infine, l’ha combinata grossa al 26’ della ripresa: tiro non irresistibile di Tziolis, Enyeama non ha trattenuto e Torosidis ha depositato in rete da due passi. Per la Nigeria è (quasi) la fine del Mondiale, per la Grecia l’inizio Pierluigi Giordano Cardone della speranza.
L’Italia, tra bavaglio e bavaglini di Oliviero Beha
lungo un percorso ormai dannosissimo e mediaticissimo il Scato,ecalcio parlato sta prendendo il sopravvento sul calcio giocioè Galeazzi e Costanzo sono più insidiosi di Gilardino e Un tifoso sudafricano deluso, sotto il Nobel Desmond Tutu (FOTO LAPRESSE)
hanno chiesto scusa a una Nazione intera e si sono messi a tifare per il pareggio tra Messico e Francia? Le parole sembrano di circostanza: “finché avremo una possibilità - dice Steven Pienaar – continueremo a sperare. Tutto è ancora possibile”. Ottimismo di facciata, comunque preferibile alla rabbia di Parreira: “Massimo Busacca è il peggior arbitro che ho mai incontrato in vita mia. Spero sia l’ultima volta”. Punti di vista e polemiche che non raccontano adeguatamente la sensazione della gente, quella di un sogno interrotto, ma di una fierezza infinita. Il Mondiale fin qui è stato un successo clamoroso, per il semplice fatto che sembrava impossibile potesse essere organizzato qui. E invece è successo. I Bafana Bafana, poi, sono diventati un fenomeno totale. Culturale e anche commerciale. Un esempio? Il business parla chiaro. I gadget della squadra sono sold out da due mesi. Quasi 2 milioni di pezzi venduti. Polo, tazze, camicie e mutande. Le magliette ufficiali, quelle da gara, dello sponsor tecnico, pare siano altrettante. Ma siccome il mondo è globale i vizi si ereditano in fretta e anche certe idee buone per farsi pubblicità. Come i gruppi che su facebook e twitter invitano a boicottare i prodotti svizzeri. Meno cioccolate per colpa di Busacca (*Sky Sport)
EDIZIONE AVARA DI GOL
CERCASI ATTACCANTI DISPERATAMENTE di Rino Tommasi
on c’è bisogno di scomodaNcome, re la statistica per stabilire almeno in avvio, questa edizione della Coppa del Mondo sud-africana sia molto avara di emozioni e di gol. Ieri Argentina e Grecia hanno invertito parzialmente la tendenza, però l’avarizia di fondo rimane statisticamente significativa.
Sarebbe un errore giudicare la qualità di una partita di calcio dal numero di gol segnati. Sono abbastanza vecchio per aver visto, nel 1949, un indimenticabile Inter-Milan im cui il Milan conduceva per 4 a 1 ed ha perso per 6 a 5 ma ricordo ancora meglio un più recente ed orribile Roma-Inter del 1999 vinto per 5 a 4 dall’Inter, che sembrava una sfida tra scapoli ed ammogliati. Insomma il gol diverte ma la qualità è un’altra cosa. Comunque, divertimento a parte, di gol nella prima parte di questo mondiale se ne sono visti troppo pochi perché questo dato statistico non meriti di essere segnalato. Il confronto
Si potrebbe sostenere che i pochi gol siano figli dell’equilibrio ma è un’ipotesi sbrigativa
con le prime edizioni del mondiale è improponibile perché ci sono state goleade imbarazzanti per l’evidente mancanza di equilibrio, determinata anche dai criteri di selezione che favorivano una più universale presenza dei vari paesi ai danni di una più qualificata partecipazione. Tuttavia dal 1962 in poi la media gol-partita della Coppa del Mondo è rimasta tra i due ed i tre gol. Curioso notare come l’edizione più avara (2,212) sia stata quella del 1990 disputata in Italia. Si potrebbe sostenere che il minor numero di reti sia dovuto ad un maggiore equilibrio ma è una teoria troppo sbrigativa soprattutto se messa a confronto con la modesta qualità dello spettacolo. Tra le prime 18 partite solo quattro si sono con-
cluse con differenze superiori a un gol. Ci sono stati sei pareggi, sette vittorie con un gol di scarto, il 4 a 0 della Germania all’Australia e due 2 a 0 tra Corea del Sud e Grecia e tra Olanda e Danimarca. L’1 a 0 (6 volte) è stato il risultato più frequente, quattro partite si sono concluse sull’1 a 1, solo due le partite senza reti. Una sola, ma clamorosa, la sorpresa, la sconfitta della Spagna contro la Svizzera che entro certi limiti ricorda quella subita nel 1950 dall’Inghilterra contro gli Stati Uniti che all’epoca era un’entità calcisticamente sconosciuta. Fa notizia che il grande Brasile corra qualche rischio con la Corea del Nord ma bisognerà capire nelle prossime partite se questo sorprendente equilibrio sia stato casuale.
Iaquinta specie se stringono troppo i denti, adesso sul calcio parlato sta prevalendo il calcio suonato. Come leggere diversamente la sublime querelle ospitata sul campo in sintetico del Rizzoli Stadium di Via Solferino tra il premio Nobel per la pace, certo Tutu, e il più noto commentatore di vicende televisive nostrano, Aldo il Grasso? Il primo difende le “vuvuzelas”, le trombette, come segno distintivo di una tradizione. “Sono sacre”, dice. Il secondo, smontando sia l’arcivescovo che la sua teoria, afferma invece che non siano per nulla sacre né tradizionali, ma solo un prodottaccio cacofonico che rischia di “far ricordare i Mondiali 2010 più per le trombette che per il gioco espresso”. La cosa più curiosa in questa lizza tra il prelato e il recensore è che mentre il prelato dei nostri telecronisti se ne è sempre fregato, e forse deve a questa sua sordida indifferenza la sua serenità e il Nobel vinto, al contrario il recensor dei recensor di Bruno (Vespa) ha sempre fatto a pezzi la professionalità dei commentatori calcistici (e non solo). Adesso che Tutu, la comune sudafricana, l’orgia di vuvuzelas gli danno una mano sostituendosi ai commenti tanto deprecati dal medesimo così da cancellarli dalle nostre orecchie, se ne lamenta: come se il livello del gioco espresso, certamente inferiore a quello del Torino per cui tifa l’anti-Tutu, si fosse abbassato per qualche centinaio di migliaia di trombette. Strano, strano davvero… Come è curioso quello che è accaduto finora agli arbitri: l’unica vera lamentela ha riguardato lo svizzero Busacca, dopo una passerella più che decente di “fischietti” dell’Uzbekistan, per il vernissage, e delle Seychelles. E quello che sorprende, qualcosa di veramente inedito sia per la storia dei Mondiali che per quella di Tutu e immagino dell’anti-Tutu, è che il Busacca sia stato severo oltre misura con i “Bafana Bafana”, leggi la squadra ospitante. Fin qui la leggenda e la letteratura inerenti il pallone avevano raccontato quasi solo di “furti” o “furtarelli” in favore della squadra di casa. Se ripenso alla Corea del Sud - discreta ieri anche contro l’Argentina di Higuain e non di Milito, malgrado la quaterna subita - dei Mondiali asiatici del 2002, e alle ruberie non tanto a danno dell’Italia quanto della Spagna, devo ammettere che o è cambiato il vento oppure il Sudafrica è talmente scarso che Mandela o no è stato dato per perso fin dall’inizio. Indifendibile, anche da Busacca… Ma c’è ancora una partita… E nel caso venisse smentita una accertata tradizione casalinga, dovrei ripiegare sulla sua versione continentale. Altrimenti detto, neppure una squadra africana nei quarti, se non addirittura in semifinale? Stupirei parecchio. Nel frattempo sotto gli occhi di tutti, specie gli occhi dedicati alle partite serali, in attesa che le tre quotidiane diventino quattro, ecco i Signori della Tv mischiare il calendario dei gironi. Non si finisce più prima il turno di uno per cominciare l’altro, bensì si serve una fricassea di orari in cui il miscuglio è garantito. Sarà una strategia per confondere il gusto e distrarre dalla critica dallo spettacolo fin qui abbastanza povero, oltreché un modo di garantire ascolti con la partita serale tra le Nazionali prevedibilmente più seguite? Di sicuro il calcio giocato si allontana, e fatichiamo a convincerci davanti alla tv che sia “il più bel gioco del mondo”. Il più grosso business spettacolare, certo. Ma almeno a suon di trombette. Ci aggiungerei anche un poco di pirandelliani berretti a sonagli, così, tanto per gradire. E intanto l’Italia di Lippi si ricompatta nel buen retiro in vista della straperfida Nuova Zelanda, neanche fosse l’America’s Cup, e l’Italia del bavaglio prende tempo e resta quella del bavaglino…
AZZURRI Lippi ringhia, Marchetti si prepara llenamento con allarme: “Fate gol, fate gol, non fate mai Anesimo gol!!”. Il Ct Marcello Lippi non si è trattenuto dopo l’enpallone alle stelle, ieri durante un esercizio di schemi offensivi senza difesa schierata. Punte molto spuntate, quindi, mentre su Internet monta la protesta per le scelte dello stesso Lippi: invocato Pazzini, in ribasso la popolarità di Gilardino. Dall’attacco alla difesa, anzi all’estremo difensore. Perché ieri è stato il giorno di Federico Marchetti, il portiere del Cagliari che dovrà difendere la porta azzurra in assenza dell’infortunato Gianluigi Buffon. Non ha paura Marchetti: “Non posso, ho visto la morte in faccia in passato” e queste non saranno canzonette, ma sono solo partite di pallone. Cinque anni fa ebbe un incidente d’auto molto grave: illeso. Poco tempo dopo il destino ha presentato il conto e due cari amici di Marchetti hanno perso la vita sulla strada, un tatuaggio li ricorda sul suo braccio. Marchetti è venuto qui per fare quasi il turista, lui che cominciò a giocare in attacco e si ritrovò in porta per caso: “Da bimbo sono finito in porta perché la pioggia aveva scoraggiato il portiere” (pioveva anche su Italia-Paraguay). Male che vada Lippi ha un’alternativa per l’attacco, se l’invito del Ct a se(g. cal.) gnare di più non verrà ascoltato.
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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out
LA MORTE DI SALANI
CORSO CHE RUPPE IL MURO DI GOMMA
Ford Harrison convola a nozze con Calista Flockhart
Argento In preparazione un film su Dracula in 3D
Springsteen In uscita il doppio Dvd London Calling: Live In Hyde Park
Pellegrini Vince la finale dei 400 stile libero Trofeo Sette colli
Marco Risi ricorda l’amico che interpretò il film sulla strage di Ustica: “Era timido, onesto, spiritoso, pudico: la persona che avrei voluto essere io” di Marco Risi
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i ha telefonato Francesco Bruni, un amico sceneggiatore: “È morto Corso”. Se ne è andato all'improvviso, per un infarto, Corso Salani. Camminava con la moglie polacca, Margherita, sul lungomare di Ostia, in una serata fresca di inizio estate, lui che aveva smesso di fumare da tempo, che andava in palestra e che di anni ne aveva solo 48. Era la persona che avrei voluto essere io, Corso. Curioso, pudìco, colto, ironico, e autoironico, onesto, sobrio. Ci eravamo conosciuti per caso, perché la produttrice Donatella Botti (all'epoca aiuto regista) me lo aveva segnalato mentre cercavo senza lucidità un protagonista per “Il muro di Gomma”. Corso era arrivato, recitando il monologo del giornalista che detta, virgole comprese, il pezzo al suo giornale dopo la condanna dei vertici militari per la strage di
Ustica. L'aveva interpretato con una passione civile che non avevo scorto in nessuno degli altri attori esaminati fino ad allora. Il ruolo fu suo. Suo ancora oggi, suo per sempre. “Oggi, fuori da quest'aula, finalmente, si intravvede un po' di luce” diceva tra lacrime e pioggia in una cabina telefonica, fuori dal Palazzo di Giustizia di Roma. Il mio film sul Dc9 dell'Itavia precipitato nel 1980 tra omissioni, tracce cancellate, generali felloni e indicibili verità, analizzava una delle nostre ferite nazionali mai rimarginate. Giovedì prossimo a Bologna, il 24 giugno, in Piazza Maggiore, a tre soli giorni dal trentennale della strage, sarebbe stato bello assistere al film insieme. Pensare che non ci sarà e che non lo vedrò più, fa male. L'ultima volta, ci eravamo visti qualche mese fa. Si era
Non appena il successo da attore lo baciò, fuggì lontano dalle luci preferendo altri sentieri
la festa europea
ROMA SOLSTIZIO D’ESTATE IN MUSICA di Giorgio Cerasoli
ette le note, sette i colli su cui è stata fondata: Roma si accinge con rinnovato entusiasmo a celebrare la Festa Europea della Musica. Nata in Francia nel 1982 da un’idea del ministro della Cultura Jack Lang, la Festa coincide col Solstizio d’estate e si svolge contemporaneamente nelle principali città europee nonché in svariate città del mondo. Dal 19 al 21 giugno il pubblico romano si troverà
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parlato, riso, ricordato e sulla sua faccia con i buchi appariva come sempre quel sorriso un po' distaccato che m'incantava. “Che fai? Sei innamorato? Dove te ne vai stavolta?”. Progetti, sogni, ipotesi. Impegni che sono poi quelli di tutti noi. Lui inseguiva immagini, racconti, suggestioni con una gentilezza curiosa, raffinata, popolare e aristocratica al tempo stesso. Però si trovava a proprio agio con tutti. E mi sembrò felice. Gli piacevano le belle ragazze, le canzoni di Julio Iglesias, le partite di calcio, le diversità, i viaggi. Preferiva affrontarli in macchina, Corso. Con lui condividevo una visione della vita che non si accontentava delle apparenze e un'idiosincrasia assoluta per l'aereo. Quella scatola di metallo in avanscoperta sul mondo a diecimila metri di altitudine ci terrorizzava. Una volta mi svelò che suo zio, negli anni '60 si fece dare un cazzotto da uno steward per paura di commettere qualcosa di irreparabile. Ci provai anch'io qualche anno fa. Ma le epoche erano cambiate e l'assistente di volo mi osservò come se davanti a lui, ci fosse un pazzo: “Signore” sibilò un po' meccanico: “Io non la posso colpire per nessuna ragione, se lo facessi, verrei denunciato”. Cancellammo per cause di forza maggiore il timore in occasione de “Nel Conti-
di fronte a una vera e propria invasione di appuntamenti musicali, organizzati dall’Associazione Culturale Festa Europea della Musica col sostegno del Comune di Roma: l’iniziativa, che per il secondo anno consecutivo ha ricevuto la medaglia dal presidente della Repubblica, prevede 150 concerti a ingresso gratuito con oltre millecinquecento artisti che si esibiranno nei luoghi più suggestivi della Capitale, tra cui musei e aree archeologiche (info: www.festadellamusica.com). Dal recital pianistico intitolato Notturni - I colori della notte in musica sabato a Castel Sant’Angelo, al concerto multimediale del 21 in Piazza del Campidoglio, dedicato a Il suono del Neorealismo e realizzato recuperando le partiture originali delle più significative pagine
nente nero”. Un film che narrava miserie e splendori degli italiani di Malindi, il cui
Giovedì prossimo a Bologna verrà proiettato il film sul DC9 caduto nel 1980, la sua assenza peserà
musicali del cinema italiano. Per non parlare del potente effetto scenografico che domenica inonderà di ‘blu’ Trinità dei Monti, con centinaia di partecipanti che simuleranno una gigantesca onda, ballando su Limbo Rock, Swing e l’immancabile Around the World. Se Roma non manca di proposte musicali durante il resto dell’anno, una simile “full immersion” può servire a far conoscere la vitalità e diversità dell’intero mondo artistico europeo, coinvolgendo le realtà artistiche della Capitale e promuovendo una pratica musicale che, in tutte le sue sfumature, è un segnale di vita, specie per le nuove generazioni. Ma se è vero che la musica è tra le arti in cui l’Italia è stata per secoli punto di riferimento per l’intero continente, questo Paese dovrebbe festeggiare e valorizzare la sua ricchezza culturale non tre bensì 365 giorni all’anno.
spunto narrativo prendeva il via proprio da una tragedia aerea. Per accompagnare la figura di Corso, che in qualche maniera si ispirava a quella di Edoardo Agnelli come a quella di Jean Louis Trintignan nel Sorpasso, avevo scelto di giocare sui contrasti di tono e carattere. Accanto alla sua timidezza, sintesi perfetta del personaggio e della persona, mi parve ideale Anna Falchi. Svampita, leggera, sfacciata, nordica, splendidamente naïf, così diversa da lui, da esserne in qualche modo complemento ideale. Fu un set divertente, quello africano, un luogo in cui Corso strinse amicizia con tutti, a iniziare da Diego Abatantuono e il clima tra i partecipanti fu lieto. Non avviene spesso. Come attore Corso intraprese una carriera diseguale, quando il successo lo baciò, lui preferì allontanarlo come un pericolo, optan-
Corso Salani: è scomparso ieri per un improvviso infarto che lo ha colto mentre passeggiava con la moglie Margherita sul lungomare di Ostia (FOTO ANSA)
do per sentieri meno leggibili. Aveva coraggio e istinto, lo stesso che sperimentando un mestiere diverso, lo aveva portato da regista tra Europe lontane dal conformismo (quelle dell’Est) e scenari andini (il Cile di Frontiera). Aveva un talento originale Corso, una cifra propria. Fare l'attore gli piaceva, anche se per farsi dirigere, gli era indispensabile soffocare l’ancestrale riserbo. Detestava ogni inutile eccesso, l'apparenza senza sostanza, amava gozzanianamente le piccole cose, il quotidiano destinato a scomparire, il quadro più della cornice. Se parlava, Corso sapeva cosa dire. Altrimenti, assecondando l'indole, in un riflesso autoprotettivo, non gli dispiaceva rimanere in silenzio. La sua dimensione.
La carriera DA MAZZACURATI A RISI
Nato a Firenze, il 9 settembre 1961, si è diplomato presso l'Istituto di Scienze Cinematografiche di Firenze nel 1984. Dopo essere stato aiuto regista di Carlo Mazzacurati sul set del suo primo lungometraggio “Notte italiana” (1987), si trasferisce a Roma e realizza il suo primo film, “Voci d'Europa” (1989). Nel 1991 ha interpretato il giornalista del Corriere della Sera che seguì per dieci anni l'evoluzione delle indagini sulla strage di Ustica: è il “Muro di gomma” di Marco Risi.
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TELE COMANDO TG PAPI
I volti della Diaz di Paolo Ojetti
g1 Mariolina Sattanino da Bruxelles è una collega molto esperta, informata, puntuale e precisa. È anche un po’ rigida, nel senso che fra commissioni, commissari, leggi e regolamenti non fa il minimo sforzo per aiutare la casalinga di Voghera. Ma a volte regala a Berlusconi qualche passaggio di troppo. Per esempio, nei Tg di ieri (Tg al plurale perché ella fornisce corrispondenze a molteplici testate Rai) ha evidenziato che alla riunione dei capi di Stato e di governo “a rappresentare l’Italia” c’era “il premier Berlusconi”. E chi altro, se no? Altro passaggio superfluo: “Berlusconi si è intrattenuto faccia a faccia con il premier britannico Cameron per circa un’ora”. È una notizia? Ci sarebbe piaciuto sentire: “E poi hanno deciso di spartirsi ciò che resta del Belgio: i val-
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loni all’Italia, i fiamminghi all’Impero britannico”. Queste sono notizie: i faccia a faccia da soli non valgono niente, anche se una delle facce è del Cavaliere. g2 T Basta un niente per fare una televisione decente. Prendiamo il Tg2 che dà la notizia della condanna in appello dell’ex capo della Polizia, De Gennaro, per aver indotto il questore di Genova a testimoniare il falso sul macello (quella notte, un funzionario onesto gridò: “Qui si è fatta macelleria messicana”) nella caserma Diaz di Bolzaneto. Dare la notizia, accompagnata dallo “stupore” dei difensori e basta, sarebbe stata una scelta comoda: roba di anni fa, chissenefrega. Invece no: il Tg2 fa rivedere quei ragazzi e quelle ragazze coperti di sangue, tramortiti, in barella, adolescenti in lacrime, il terrore negli occhi incredu-
li per tanto furore di matrice profondamente fascista. Ecco che, allora, la memoria si risveglia e ti ricordi tutto, le ingiustizie, i depistaggi, la faccia feroce del ministro di quei giorni, Scajola, sì lo stesso pover’uomo che non si è accorto che qualcuno gli aveva pagato la casa. Ecco, un buon momento di giornalismo televisivo. g3 T Questo telegiornale è vampiresco: appena sente odore di politica, morde. Ieri a mordere c’era Alessandra Carli. Diligente, ha ricostruito le ultime mosse e contromosse di Fini, Bossi, Giulia Bongiorno attorno alla legge bavaglio che – a questo punto – ha talmente scompaginato il Pdl da poter essere definita il peggior boomerang che Berlusconi poteva lanciarsi in testa. Ma quella di Bossi-Fini è una “mediazione” o una “meditazione”? Alessandra Carli non chiarisce fino in fondo se nel Pdl si tenta di salvare il salvabile (non c’è più tanta trippa per i gatti) o se siano in corso manovre molto più sofisticate per spegnere i bollori berlusconiani. Certo è che i “falchi”, Cicchitto, Lupi, Gasparri sono taciturni: non hanno la “linea” e non sanno più cosa dire.
di Luigi Galella
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Di lotta e di governo
siste e non da ora una Lega di lotta e una di governo. Umberto Bossi si affermò fin dagli esordi in “società” come l’ottimo stratega del doppio registro: sbraitava nei comizi e mitigava l’urlo nella tiepida e confortevole atmosfera del salotto di Vespa offrendo di sé un volto bonario e uno truce. Da quando l’ictus lo ha colpito, un po’ come il visconte dimezzato di Calvino, Bossi offre di sé solo un’immagine mite e saggia, e il trucido che era in lui parla ora per bocca di altri esagitati, che hanno ereditato quindi la dissolta sua metà. E che proseguono la feconda tattica del doppio binario. Italiani (poco) e indipendentisti per la Padania (sempre), i rappresentanti della Lega non perdono occasione di ricordare chi sono. E lo fanno lavorando sui simboli, anche perché è così che si conquistano voti, e coi voti il potere, e col potere finalmente l'amata separazione dall'odiata Italia. Perché di questo si tratta, anche se molti fingono di non capire e sorridono e minimizzano. I primi a sorridere e minimizzare sono proprio i rappresenIl governatore tanti della Lega. Ma del Veneto Luca Zaia, sempre e solo in tv. Lega nord Perché altrove i comportamenti cambiano. Ultimo, utile esempio. In un piccolo paese in provincia di Treviso, Fanzolo di Vedelago, il governatore del Veneto, Luca Zaia, dovendo inaugurare una nuova scuola primaria, ha
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fatto sostituire l’esecuzione dell'inno di Mameli con il “Va’ pensiero” verdiano, salvo poi smentire tale versione dei fatti, a sua volta smentito da diversi testimoni dell'evento. Se n'è occupato “Omnibus Life” (La7, martedì, 9.23), condotto da Tiziana Panella, con Enrico Vaime, Flavia Perina (Pdl) e Flavio Tosi (Lega). Il quale Tosi, appena divenuto sindaco di Verona, nel 2007, tolse dal suo ufficio la foto di Napolitano, sostituendola con quella di Pertini. E questa appunto è la Lega di lotta, perché quella di governo nel 2010 ha ripristinato l'immagine rimossa del presidente. L'antitesi lotta-governo, in questo strumentale alternarsi, produce un ghigno negli occhi dei leghisti quando fissano una telecamera, consapevoli di dover recitare due ruoli. Un’espressione impercettibile e subliminale, che tradisce una vecchia abitudine italica, diffusa soprattutto al sud e in fondo molto poco nordista: l’attitudine alla doppiezza, al trasformismo, alla capacità di adattamento. Un ghigno che tende preventivamente a delegittimare l’interlocutore, un modo beffardo di bypassarlo con gli occhi, non potendogli rispondere sinceramente. Ma facendo intendere così al proprio popolo le reali intenzioni. Insomma, i rappresentanti della Lega, in tv, se si parla di unità nazionale, di bandiera o di Inno e perfino di Nazionale di calcio, “non possono” essere sinceri. Usano un codice non scritto e forse mai palesemente codificato. Tergiversano, scuotono il capo, eludono le domande, ironizzano. Hanno appreso – forse non sui manuali ma poco importa – l'antica arte della dissimulazione. Molto poco onesta, questa, ma fruttuosa.
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MONDO
WEB
GENTILONI: LIBERARE LE FREQUENZE
di Federico Mello
Il Pd si schiera con Internet I
l Partito democratico sembra voler fare sul serio: oggi dedica un’intera giornata a Internet. L’iniziativa “PDigitale” va in scena a Roma, alla Città del Gusto. Si parte alle 10 con Alec Ross, esperto di innovazione e fidato collaboratore di Hillary Clinton. Alle 12:30 “A che punto è l’ultrabanda” sul presente e futuro della fibra ottica in Italia (partecipa anche il presidente Agcom Corrado Calabrò); alle 16 Derrick De Kerckhove parlerà di “società digitale e intelligenza collettiva”. Nel pomeriggio, arriva la discesa in campo del segretario in persona. A settembre, durante una festa dell’Unità, Pier Luigi Bersani definì Internet “quell’ambaradan là”, ma oggi il segretario Pd sembra pronto ad impostare un nuova rotta: “Politica Digitale. Il Pd si schiera” il titolo del suo colloquio con Giovanni Floris. Nella giornata, infine, spazio anche ai blogger e giornalisti Alessandro Gilioli, Vittorio Zambardino e Luca De Biase: all’avvocato Guido Scorza punto di riferimento sulle questioni digitali e a Riccardo Luna,
direttore di Wired Italia. Paolo Gentiloni, deputato Pd e ministro delle Comunicazioni nell’ultimo governo Prodi, spiega al Fatto Quotidiano il senso di questa giornata: “L’intenzione – dice Gentiloni – è quella di spingere il Pd a una maggiore consapevolezza dell’importanza di Internet come leva di sviluppo e come luogo principe per libertà e democrazia. Il web 2.0, inoltre, può essere motore di cambiamento per i partiti”. Gentiloni ammette un ritardo della politica sulle tematiche digitali: “La classe politica in molti casi non conosce lo strumento. Ma anche a livello paese ci sono sia ritardi infrastrutturali (tante famiglie non sono raggiunte da connessioni veloci), sia di carattere economico: in tanti non si possono permettere la banda larga. Abbiamo un governo in tutto e per tutto televisivo che nella migliore delle ipotesi ignora la Rete, e nella peggiore cerca di ritardarne lo sviluppo”. Se il Partito democratico andasse domani al governo cosa farebbe per la Rete? “Bisogna proseguire sulla strada degli
è MARTEDÌ IL SITO DEL NOSTRO GIORNALE SU ANTEFATTO.IT LE PRIME ANTICIPAZIONI
Mancano quattro giorni al lancio del nuovo sito Web del nostro giornale: martedì 22 giugno antefatto.it diventa ilfattoquotidiano.it, un portale di news a 360 gradi. All’informazione del Fatto e delle sue firme, si affiancheranno notizie in esclusiva, contenuti multimediali e una piattaforma di blog; il tutto puntando alla massima interazione con i lettori. Online su antefatto.it alcune anticipazioni: la prima delle nostre “videostorie” (Marco Travaglio racconta una storia di mafia alla Favorita di Palermo), la nuova pagina Facebook e le istruzioni per blogger e utenti che vogliono contribuire alla campagna virale per il lancio del nuovo sito.
DAGOSPIA
MENTANA CELEBRATION
investimenti contro il digital divide già avviata dal governo Prodi continua Gentiloni - poi andrebbero messe immediatamente all’asta le frequenze liberate dalla transizione dall’analogico. Si otterrebbero così fondi consistenti liberando al contempo frequenze per i collegamenti mobili. Il governo Berlusconi invece vuole regalare le frequenze al vecchio club della televisione. Infine ci asterremmo da fare danni dal punto di vista normativo alla libertà della Rete: i tentativi fatti in questi mesi, ultima in ordine di tempo la norma contenuta nella legge sulle intercettazioni che equipara i blog ai giornali, non dovrebbero più verificarsi”.
Colpiti e affondati! Se per la Telecom la notizia dell’arrivo di Enrico Mentana alla direzione del Tg di La7 è solo “un’indiscrezione pubblicata da un sito di gossip”, gli intimi di Chicco evidentemente sanno qualcosa di più. Per celebrare la nomina dell’ex direttore del TG5, infatti, ieri sera un gruppo di amici si è ritrovato a casa dell’ex direttore del Tg1 Marcello Sorgi, al cui desco si sono attovagliati, tra gli altri, l’ex ministro del primo governo Berlusconi, Giuliano Ferrara, accompagnato dalla consorte Anselma, l’ex fiamma di Mieli e Minzolini e firma del “Corriere” Maria Teresa Meli, l’ex presidente della Rai Lucia Annunziata, l’ex fogliante oggi al “Riformista” Marco Ferrante, Candida Morvillo col compagno Gianluca Verzelli, Mytra Merlino, Emilio Carelli e persino Claudio Baglioni. Oltre ovviamente al festeggiato presente con la moglie Michela Rocco di Torrepadula. Dalle chiacchiere tra gli invitati è apparso quanto fosse stata fondamentale l’opera di convincimento da parte della lobby “Terzopolista” capitanata da Mieli e Ferrara nei confronti di Confalonieri (e quindi Berlusconi) per portare a casa la nomina di Mitraglia al posto di Piroso.
L’homepage di Antefatto; il sito dell’iniziativa Pd; NuovoPaesaggioItaliano.it; le tre scimmiette dal blog di Grillo
GRILLO DOCET
IL DOSSIERAGGIO DI TELECOM
Intervista al senatore Elio Lannutti, presidente di Adusbef. “Blog: Elio Lannutti, parliamo di una vicenda molto importante che riguarda l’economia del Paese. C’è una storia: un giorno in un’assemblea di azionisti di un importante società per azioni, c’è un pensionato che ha un gruzzoletto di azioni. Alza il dito perché dice che l’impresa di cui lui è un azionista non riesce a installargli uno dei servizi di base. Questa impresa è Telecom Italia, questo pensionato è un uomo che ha bisogno dell’Adsl in casa e non riesce a farsela installare. Protesta con i vertici aziendali e l’azienda gli fa arrivare l’Adsl a casa però fa un bel dossier, viene spiato completamente. Da cosa? Dall’azienda stessa! Di cosa stiamo parlando?”. Elio Lannutti: “Stiamo parlando di un dossieraggio illegale ordinato da Tronchetti Provera. Questo Marco Tronchetti Provera che ha gestito questa azienda trasferendo alcuni pezzi importanti, il patrimonio immobiliare alla Pirelli, al fido Carlo Buora, insieme anche a Riccardo Ruggiero e stiamo parlando proprio di fatti attualissimi”. Proprio in queste ore il Gup di Milano ha affermato testualmente che i dossier illegali ordinati da Marco Tronchetti Provera e gli spioni come Ghioni e Tavaroli è FOTO-DELATORI CON TOSCANI facevano parte VIA MAIL “DOCUMENTIAMO IL BRUTTO” di una ben studiata Creare un sito Internet per documentare gli strategia per Marco scempi al paesaggio italiano. È questa l’ultima Tronchetti Provera”. trovata del fotografo Oliviero Toscani noto è A RUBA GLI INCENTIVI (audio e video per le immagini spesso provocatorie che MA IL TETTO ERA DI SOLI 20 MLN dell’intervista negli anni hanno reso celebri le campagne È fortissima in Italia la voglia di completa su pubblicitarie della Benetton. Si chiama Internet. Sono oltre 400 mila i “Nuovo paesaggio italiano” beppegrillo.it) cittadini che hanno usufruito dei (nuovopaesaggioitaliano.it) il progetto contributi governativi per l’acquisto multimediale presentato dal fotografo di un abbonamento a Internet assieme al grande esperto di cultura e veloce lanciati nello scorso mese dal governo. In totale paesaggio Salvatore Settis. L’invito è a una sono stati erogati 20 milioni di euro. Gli incentivi, previsti “Foto-delazione” come arma civica contro il dal decreto legge n. 40/2010, erano riservati ai cittadini di massacro del paesaggio italiano. Toscani età compresa tra i 18-30 anni (o alle famiglie di cui fanno aspira a creare un’esposizione collettiva di parte) e dallo scorso 17 aprile i moduli di richiesta dello mms e video inviati da privati cittadini; sconto di 50 euro sono stati disponibili nei 14 mila Uffici ognuno infatti potrà documentare il brutto postali o scaricabili direttamente dai siti web dei principali che avanza devastando il Belpaese. operatori telefonici. Gli incentivi, però, non erano a “Documentiamo il degrado e le infinite disposizione di chiunque li chiedesse, ma solo ai primi che brutture, diventiamo delatori per migliorare hanno presentato domanda fino ad esaurimento fondi: il nostro ambiente. Far sì che la fotografia sono molti quelli rimasti a bocca asciutta. diventi utile memoria storica dell’umanità”. Un progetto ambizioso che mira a rielevare la cultura del bello e risvegliare una coscienza estetica calpestata. (Pasquale Rinaldis)
feedbac$ k Commenti al post: “Addio Glob” di Carlo Tecce è ALÈ, un altro che si aggiunge alla lista di nera berlusconiana dopo Biagi, Travaglio, Luttazzi, Santoro, Floris, Dandini… ora anche Bertolino. Carlo è ANCH’IO sto con GLOB! Un sincero saluto di apprezzamento a Bertolino, grazie per tutto quanto fatto e auguro di rivederti presto a Rai3. Sono veramente disgustato di quanto sta accadendo in RAI! Penso che dovremmo fare qualcosa, tutti noi !!! Andrea è CARO ENRICO, vieni in Rete! Qui non mancano amici né nemici. Vedrai… sarà divertente! Francesco è CE LO meritiamo: siamo un popolo senza memoria! Un popolo che guarda Report e la mattina invece di scendere in piazza, va a lavorare... chi sarà il prossimo? Arcangela è GRAZIE a Bertolino! Molto spesso la sua ironia e la sua umanità ha risollevato da problemi pesanti dopo trasmissioni alla Vespa. Claudio è GLOB... chiuso? Ma scherziamo? Giampi è MI DISPIACE davvero non vedere Glob. Nessuno può dire che era schierato. Ricordo ancora quanto mi sono sbellicata dalle risa quando Bertolino prendeva in giro la capacità comunicativa di Prodi. Vorrei ritrovare la puntata perché era memorabile, da manuale. Questa notizia fa capire che c’è veramente la casta, visto che Bertolino ha preso in giro sia Pdl che il Pd, ed è questo che fa andare in bestia il governo e le sue ombre. Neriana è INCREDIBILE! La tv ossequiosa espelle intelligenza, sobrietà e ironia. Qualità che l’italiota medio non è in grado di apprezzare, dicono. William è PIENA solidarietà a Bertolino! Ormai la politica ce la dobbiamo fare da soli... saremo tutti fuorilegge, io lo sono già. Viva GLOB, l’osceno del villaggio! Totore è SONO piuttosto rammaricato. Io sono – ma fra poco dovrò dire “ero” – uno spettatore entusiasta di questa fantastica trasmissione molto educativa e divertente, ed è l’ulteriore dimostrazione che questo nostro paese sta andando verso la morte civile. Bertolino è un fuoriclasse, e avrà sempre tanta gente che lo apprezzerà anche sulla rete, in libreria, o a teatro, ma privare milioni di telespettatori che lo conoscevano e non lo conoscevano, o che stavano per affezionarvisi, è esattamente ciò che era nelle intenzioni dell “amico” di Masi. Massimo
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giustamente
PIAZZA GRANDE Costituzione: non solo diritti di Lorenza Carlassare
a prima parte della Costituzione si chiude con i “doveri” costituzionali. Dopo i numerosi articoli dedicati a principi fondamentali, libertà e diritti, alla fine dei “rapporti politici” tre articoli fissano i “doveri”, riallacciandosi alla solenne proclamazione dell’art. 2 che mette insieme i diritti inviolabili e “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Sono le due facce della cittadinanza democratica, indispensabili entrambe e strettamente collegate: senza i doveri non potrebbero esistere non solo i diritti, ma lo stesso Stato. Il primo è la difesa della Patria, “sacro dovere del cittadino”, art. 52; collegato all’art. 11 sul ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di soluzione delle controversie internazionali”, conferma la liceità della sola guerra difensiva per la conservazione della comunità territoriale “indipendente”. Il terzo comma “L’ordinamento delle Forze armate si conforma allo spirito democratico della Repubblica”, rompendo con il passato afferma l’applicabilità all’ordinamento militare, pur nelle sue peculiarità, dei principi fondamentali della Costituzione, dai diritti inviolabili all’eguaglianza. Non meno essenziale per la vita dell’istituzione statale e il finanziamento dei servizi di cui deve farsi carico, è l’art. 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Da dove potrebbe trarre lo Stato i mezzi necessari allo svolgimento delle sue funzioni se non dai membri della comunità che ne sono i destinatari? Anche questo dovere costituzionale è fondato sulla solidarietà, oggi assai poco sentita. Lo Stato è percepito come “separato” dai cittadini, quasi fosse dotato di risorse proprie ( tratte da dove?) di cui si può soltanto approfittare (a danno degli altri?). Ciò trova in parte spiegazione nel modo in cui sono spesi i denari pubblici, vale a dire i denari di tutti, il che forse non è ben compreso. Troppo lieve è la riprovazione sociale nei confronti degli evasori fiscali che, sottraendosi ai comuni doveri, usufruiscono gratuitamente dei servizi pubblici lasciandone il peso interamente agli altri, spesso in condizioni disagiate (lavoratori dipendenti, pensionati). Già il nostro sistema non è conforme ai principi costituzionali: “Capacità contributiva” e “progressività”. Il comma 2, art. 53 “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” imporrebbe di distinguere diverse (e molteplici) fasce di reddito differenziando le aliquote. Ma, anziché disporre le aliquote in modo crescente e graduato aumentandone il numero, il presidente del Consiglio proponeva addirittura di ridurle a due. E l’attuale manovra, mentre lascia del tutto fuori da ogni sacrificio i ceti medio-alti e gli “altissimi”, colpisce unicamente le fasce basse, già impoverite. Siamo al rovesciamento dei principi costituzionali! Sulla stessa linea appare l’idea, enunciata in questi giorni in relazione alla manovra economica, di passare dalle “persone” alle “cose”: le imposte indirette, in particolare, colpendo tutti in
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Le due facce della cittadinanza democratica, indispensabili entrambe e strettamente collegate: senza i doveri non potrebbero esistere non solo i diritti, ma lo stesso Stato eguale misura, costituiscono il massimo dell’iniquità. Il discorso diviene ancor più rilevante alla luce del successivo articolo riguardante i doveri, l’art. 54. L’art. 54 è una disposizione volutamente ignorata che parla di cose ancor più scomode del pagamento dei tributi: fedeltà, disciplina, onore. Parole quasi dimenticate, l’onore in particolare, di cui è quasi perduto il concetto, ma anche la disciplina. Il primo comma ha portata generale: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”. Al dovere di osservare la Costituzione e le leggi si aggiunge, per tutti, il dovere di fedeltà alla Repubblica intesa non solo come forma istituzionale repubblicana scelta dal popolo con il referendum del 2 giugno 1946, ma come res publica nel senso più ampio di cosa pubblica, cosa comune; appartenenza, dunque, ad una comunità solidale. Repubblica, com’è noto è termine usato in Costituzione per indicare non soltanto lo Stato apparato, ma anche lo Stato-comunità, il popolo tutto, le Regioni e gli altri enti territoriali autonomi: la Repubblica, “una e indivisibile” che “riconosce e promuove le autonomie locali” (art. 5) “è costituita dai Comuni, dalle Province, dalla Città metropolitane” (art. 114). Fedeltà alla Re-
pubblica nella sua unità, dunque, rispetto e osservanza della Costituzione, fedeltà ai principi fondamentali del nostro vivere insieme. Ma persino chi esercita pubbliche funzioni disprezza questo elementare dovere: senza conseguenza alcuna? Tanto più che (comma 2) : “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. Disporre immunità per chi pretende di esercitare pubbliche funzioni senza dignità e senza onore (addirittura evitando il giudizio su eventuali reati) può essere costituzionalmente consentito? E, infine, neppure il giuramento per loro ha peso? Si chiude così la prima parte della Costituzione, che, si ripeteva, a differenza della seconda non dev’essere cambiata. Ha senso distinguere le due parti, quasi fossero indipendenti? Qualsiasi organizzazione, non solo lo Stato, si modella sugli obiettivi: la seconda è in funzione della prima. “Riserva di legge” e “riserva di giurisdizione”, ad esempio, stanno a garanzie di libertà e diritti (art. 13 ss.): solo la legge può limitarli in via generale, solo l’atto di un giudice nel concreto di un caso, va-
IL FATTO di ENZO
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Un diplomatico straniero, che non ci amava, disse: “Le guerre non si sa chi le vince, ma si sa che le perde chi è alleato con gli italiani”. Un giudizio avventato, non perché mette in dubbio le nostre discutibili virtù militari, ma perché di solito noi tendiamo a cambiar socio in corso d’opera.
gliati fatti e norme. La garanzia è nella natura degli organi cui è affidata la funzione: “Rappresentativo” il Parlamento, “indipendente” dal potere politico la magistratura al fine di esprimere giudizi imparziali. Modificarne la posizione (per il Parlamento già alterata nella rappresentatività dalla legge elettorale) non inciderebbe sui diritti? Ormai, comunque, si parla apertamente di modificare principi e diritti fondamentali. Sta ai cittadini che la Costituzione tutela far sentire la loro voce.
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano (FOTO EMBLEMA)
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di Bruno Tinti
MAGISTRATI RIFORMATI C
orriere della Sera, 13 giugno: “Presenterò a settembre la riforma della giustizia al Cdm e poi la porteremo al Parlamento. I punti qualificanti sono: la separazione degli ordini tra pm e giudicanti: il pm fa l'accusa e il giudice giudica, con percorsi professionali separati sin dall'inizio; la creazione di due Csm e di un meccanismo disciplinare che risolva il problema di una giustizia troppo domestica”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano. La cosa un po' sorprende perché lo stesso ministro aveva annunciato a tutta la nazione, nel corso di una sua relazione al Parlamento sullo stato della giustizia in Italia, di non riuscire a dormire la notte per via di incubi ricorrenti dovuti alla lentezza dei processi: “Non è possibile – aveva tuonato – che la durata media di un processo penale sia di sette anni e mezzo e quella di un processo civile di otto anni. È una situazione indegna di un Paese civile e noi (noi stava per B&C, cioè un governo guidato da un colpevole di gravissimi reati pluriprescritto e sorretto da una maggioranza ricolma di piccoli, medi e grossi delinquenti) vi porremo rimedio”. Siccome è vero che i processi hanno una durata spropositata e che un Paese senza giustizia è un Paese incivile e a grave rischio democratico, avevo gioito di questo annuncio, anche se la fonte da cui proveniva era così squalificata. Ma insomma, anche Jean Valjean (“Le miserable”, Victor Hugo) si era redento e aveva fatto del bene. E chissà, anche B&C, forse, hai visto mai... Adeso scopriamo che la grande riforma della giustizia è in realtà una grande riforma dei magistrati: pm agli ordini del governo e un tribunale speciale per i magistrati scomodi. Naturalmente un bieco comunista come me, illiberale e anche mentalmente disturbato (ho fatto il pm per più di 30 anni, secondo B. non faccio parte della razza umana) non può percepire la grandezza del progetto di Alfano; e dunque nemmeno ci provo. Faccio finta che si tratti di una riforma buona e giusta; che sia interesse dei cittadini avere un pm cui il ministro potrà dare ordini, dirgli quali processi fare e quali processi non fare (che significa non solo assicurare l'impunità ai delinquenti amici ma avere il potere di perseguitare gli oppositori, anche se innocenti: avvia un'indagine a carico di Tizio; ma perché, non ha fatto niente; tu non discutere e apri un'indagine). Faccio anche finta che sia nell'interesse dei cittadini un tribunale speciale composto da “alte personalità” nominate , direttamente o indirettamente, dal governo o dal suo servo sciocco, il Parlamento così come è stato ridotto da B&C, pronto a incriminare un magistrato non gradito al potere. Faccio finta perché uno come me queste cose non le può capire. Però resto uno che sa come funziona un processo; sa perché i processi penali italiani durano in media sette anni e mezzo (Alfano aveva ragione); sa cosa si dovrebbe fare per ridurne la durata; e sa che questa splendida, epocale riforma, così innovativa che uno come me non può nemmeno percepirne la grandezza, può avere tanti aspetti positivi ma certo non ha nulla a che fare con la riduzione della durata dei processi. Quando pm e giudici apparterranno a due “ordini” diversi, quando il tribunale speciale costruito da B&C controllerà i giudici italiani, premierà quelli che piegano la schiena e colpirà quelli che la tengono dritta; quando questa epocale riforma sarà realtà; ebbene, in che modo avrà accorciato di un giorno, un solo giorno, la durata dei processi?
Una patrimoniale per ridurre il debito di Marcello Degni
a riforma del Patto di Stabilità europeo in discussione rende sempre più rilevante il parametro del debito pubblico. Anche in La principale chiave di lettura della manovra è proprio quella internazionale. Il tempo che il ministro Guido Carli aveva, con lungimiranza, conquistato per il nostro Paese, è scaduto. Il debito pubblico pesa come un macigno sui margini d’azione della politica economica italiaUna manovra na. Le previsioni sono molto chiare: nel 2009 come quella il livello è stato pari al 115,8 per cento del Pil, in discussione salirà al 118,4 queper raggiundovrebbe prevedere st’anno, gere il 119,6 nel 2012 (stime Ruef). Il faticoun prelievo sulla so percorso di riduzioricchezza da usare ne, avviato nel 1994 e proseguito con alterne per ridurre vicende fino ad oggi appare completamenl’indebitamento, te vanificato. Magra consolazione: rispetto così da combinare al 1994, anche la media il rigore contabile dell’area euro è cresciuta dal 60 al 78 per con la crescita cento del 2009. In que-
L
sto caso il mal comune non è mezzo gaudio, anzi si crea il rischio di un eccesso di offerta sul mercato dei titoli. Se le entrate non riescono a coprire tutte le spese, per la quota residua si ricorre all’indebitamento, cercando finanziatori. Lo Stato, la Regione e l’ente locale chiedono in prestito al mercato (cioè a famiglie, imprese, banche, fondi pensione...) ciò che manca per fronteggiare il fabbisogno, dato dalla quota di pagamenti (inclusi i titoli in scadenza da rimborsare) in eccesso rispetto agli incassi. Solo lo Stato centrale deve piazzare ogni anno ben 500 miliardi di titoli. Si produce debito pubblico per varie ragioni: perché i fini sopravanzano sempre i mezzi (strabismo del decisore); perché indebitarsi per realizzare investimenti è, entro certi limiti, auspicabile poiché questi produrranno maggiori redditi negli anni futuri; perché alcune voci di spesa tendono ad aumentare automaticamente per ragioni strutturali (pensioni, sanità). A queste si aggiungono sprechi ed evasione fiscale, in Italia particolarmente elevati. Si può evitare il rimborso del debito pubblico? Nel Novecento è successo, come conseguenza delle guerre mondiali. È per questo che i tedeschi sono così attenti alla stabilità finanziaria, avendo visto per ben due volte, nell’arco di 50 anni, azzerare completamente il valore della propria moneta. In tempo di pace quasi nessuno sostiene la possibilità di evitare il rimborso del debito. Per 100 anni nessuno presterebbe più nulla allo Stato insolvente e la vita non sarebbe facile. Il mercato acquista i titoli di debito emessi dalle amministrazioni pubbliche, anche a lunga scadenza, con relativa facilità perché, oltre
al premio, è sicuro che queste, immuni dal fallimento, restituiranno il dovuto. La crisi greca ha incrinato questa certezza. Dopo il fallimento di grandi banche davanti al risparmiatore si è affacciato anche lo spettro del fallimento degli Stati sovrani. È solo per cacciarlo che i ministri di tutta Europa sono accorsi al capezzale della Grecia. Oltre a riguadagnare la fiducia degli investitori, ridurre il debito servirebbe a risparmiare risorse da spendere altrove. Se il nostro debito fosse la metà di quello esistente (come dovrebbe e come vuole l’Europa), avremmo ogni anno una somma dell’ordine di 35 miliardi di euro (10 in più della manovra appena varata) a disposizione per azioni di finanza pubblica. Una manovra finanziaria come questa, indotta dalla pressione internazionale e resa necessaria prevalentemente dall’eccessivo debito pubblico dell’Italia non considerare anche un prelievo sulla ricchezza? È inspiegabile e controproducente, perché la rende squilibrata ed iniqua. Ben diverso potrebbe essere, a parte il merito delle specifiche disposizioni, il giudizio complessivo di sindacati e opposizione se, a fianco dei capitoli di riduzione degli sprechi e del contrasto alla evasione, ci fosse la proposta già avanzata sul Fatto Quotidiano di una leggera imposta patrimoniale (3 per mille sulla ricchezza detenuta dal primo decile della popolazione non destinata ad attività produttive e ulteriore tassazione del 5 per cento sullo scudo fiscale). La manovra sarebbe più robusta, più equa e ci sarebbe spazio per agire sulla crescita, per dare al debito il colpo che ci viene richiesto dall’Europa. *economista, presidente Centro studi regionale del Lazio
Venerdì 18 giugno 2010
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SECONDO TEMPO
MAIL Il Quirinale in silenzio come se nulla succedesse Per fortuna che al Quirinale c’è chi ha il compito di ammonire chiunque parli “a vanvera”. Trattandosi del capo dello Stato, cioè il rappresentante di tutti e non della sola maggioranza, si suppone che bacchetti i “vanvera-loquenti” in modo equanime. Si suppone pure, per conseguenza, che ove il capo dello Stato non favelli, non vi siano dichiarazioni biasimevoli che ledono lo spirito della Costituzione, di cui lui è supremo garante. Per cui, quando Berlusconi definisce “un inferno” governare seguendo la Costituzione, se lui tace vuol dire che va tutto bene. Quando Berlusconi dice che in Italia governano i pm, se lui tace va tutto bene. Quando Berlusconi dice che non siamo un Paese civile, che siamo tutti spiati, se non sentiamo una rispostaccia dal Colle, vuol dire che è tutto a posto. Dobbiamo quindi dedurre che siamo tutti spiati, che viviamo in un inferno e che non siamo un Paese civile. Ecco, su quest’ultimo punto, in effetti, qualche sospetto c’era venuto già. Alberto Antonetti
Tutti attaccano i giudici: il metodo di B. fa scuola Non vi sarà sfuggito l’ultimo attacco di Berlusconi ai magistrati. questa volta a quelli de L’Aquila, del povero Rossini. Forse non ci stupisce neanche più perché ci siamo abituati. Ma questo modo di fare pieno di grettezza e isteria sta contagiando il paese intero. Ora anche un gruppo di dirigenti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ha iniziato una campagna contro la magistratura, per via degli “avvisi di garanzia” inviati alla Commissione Grandi Rischi. Il magistrato ha evidenziato più volte che è mancata la necessaria informazione per valutare un allarme che forse poteva essere dato. C’erano tanti documenti da conoscere e ricordare per valutare, e questo la Commissione non l’ha fatto. La Commissione non ha ricordato il lavoro di Barberi, non ha ricordato i lavori di Abruzzo Engeneering, e non ha valutato l’effetto di amplificazione noto nelle pubblicazioni internazionali di Gaetano De Luca. Dunque l’Ingv ha iniziato a inviare petizioni alla comunità scientifica internazionale contro le indagini della magistratura. La lezione di Berlusconi è stata imparata in fretta: è importante accusare la magistratura subito ed evitare qualunque dibattimento.
Davanti alla platea della Confcommercio, Berlusconi ha voluto far credere, più ai teleutenti che ai più smaliziati aderenti alla Associazione di categoria che è stato lui a convincere Bush, il quale aveva improvvidamente lasciato fallire la Lehman Brothers, a stanziare 700 miliardi di dollari, ossia una cifra pari al 5% del Pil americano. Che sia Silvio il vero presidente degli Stati Uniti e sia
A DOMANDA RISPONDO IL COLPEVOLE È IL SINDACATO
Furio Colombo
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aro Furio Colombo, spiegami questa stranezza. Secondo Pietro Ichino, senatore Pd e grande esperto di lavoro, è colpa del sindacato se tante aziende sono in bilico, tanti operai (ma anche ingegneri) sui tetti o in corteo e tante proprietà sono così misteriose che, alla resa dei conti non si sa di chi siano. Vediamo di chiarire il concetto di questo illustre professore e senatore. Colpa dei sindacati perché sono troppo forti o perché sono troppo deboli? Maria Grazia
C
PER RISPONDERE si può
procedere sperimentalmente, come in ogni seria prova scientifica. La prima cosa che ha fatto John Kennedy, aprendo la campagna per diventare presidente (quel presidente) degli Stati Uniti è stato di unire al suo “ticket” Lyndon Johnson, un uomo poco kennediano, poco elegante ma con un forte legame con i sindacati. A quel tempo AFL-CIO (la sigla del più grande sindacato operaio americano) pesava molto e ha contato moltissimo, mentre il paese era colpito da gravi e anche pericolosi delitti (John Kennedy, Martin Luther King, Bob Kennedy) nel mantenere il paese stabile e unito. Era il periodo in cui gli ospedali americani accettavano i non paganti (in cambio ricevevano fondi dal governo federale per la ricerca; era l’epoca d’oro dei Nobel
americani per la Medicina). Era anche l’epoca in cui chi si arruolava volontario nell’esercito, dopo quattro anni poteva accedere gratuitamente alle grandi università private americane (Yale, Harvard). Era l’epoca in cui praticamente tutti avevano l’assicurazione medica, e una legge vietava lo sfratto o di aumentare l’affitto ai cittadini con più di 65 anni. Quando è diventato presidente Ronald Reagan, il grande “innovatore” della destra d’affari, della destra politica, della destra fondamentalista, la sua prima iniziativa è stata di licenziare l’intero sindacato dei controllori di volo, che comprendeva tutti coloro che svolgevano quel delicato lavoro negli Usa, e che aveva proclamato uno sciopero per modificare lo stressante orario di lavoro. Il gesto simbolico ha funzionato. L’impegno di colpire, limitare, denigrare, ma anche privare di strumenti giuridici i sindacati con pacchetti di nuove leggi, ha fatto crollare la scuola pubblica, reso inaccessibile a milioni di americani il sistema sanitario, inasprito fino agli eccessi illustrati da molti film i rapporti di lavoro e portato a un libero precipitare dei licenziamenti. Si aspetta ancora qualcuno che dimostri con un esempio, con una storia tratta dalla vita, che cosa si guadagna (e chi ci guadagna) da un sindacato debole e accomodante pronto a sedersi a tutti i tavoli. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it
IL FATTO di ieri18 giugno 1815 Nella infinita rilettura di Waterloo, spuntano dettagli inediti. Ci fu lo zampino del vulcano Tambora, illustre antenato di quello islandese dei giorni nostri, dietro la madre di tutte le sconfitte. Sì, perché pare proprio che furono gli effetti della nube di cenere prodotta dalla terribile eruzione del vulcano indonesiano, a sconvolgere, in quell’alba fatale del 18 giugno 1815, i piani tattici di Napoleone, costretto, dal terreno fradicio per le inattese e torrenziali piogge, a rinunciare alla sua arma decisiva, l’artiglieria pesante. Un imprevisto destinato a non turbare il Duca di Wellington, ma ad allungare la lunga teoria dei “se”, fioriti attorno a Waterloo. Se l’Armée avesse anticipato l’attacco iniziale, se il marchese di Grouchy fosse riuscito a bloccare i rinforzi prussiani del maresciallo Blucher, se il conte d’Erlon e il maresciallo Ney avessero coordinato l’azione della cavalleria e della fanteria, se il vulcano… La storia d’Europa sarebbe cambiata, i Borboni non sarebbero tornati, la Santa Alleanza non sarebbe nata. Fanta-retrospettive che aprono a dissertazioni geopolitiche ricorrenti. Sicuramente di Waterloo resta il canto del cigno, il destino di un uomo destinato alla sconfitta. Giovanna Gabrielli
Matteo Levi
Le bugie di Berlusconi: una farsa continua
BOX
solo part-time primo ministro italiano? Non più di 2 giorni fa lo stesso premier italiano lamentava la propria incapacità a decidere e la propria impotenza, dicendo che lui non conta nulla e che non ha potere. Addirittura si è demagogicamente discolpato dalla recente e necessaria manovra correttiva (1,6 per cento del PIL italiano in 2 anni) dicendo che lui non l’aveva neppure voluta fare ma l’Europa lo chiedeva. Sicché può promuovere spese per il
5 per cento del Pil Usa, ma non può impedire, decidere o avere voci in capitolo sull’1,6 per cento del Pil italiano. Siamo al parossismo più totale, illogico e, per di più, creduto dagli italiani!
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Andrea Chiappini
Il ricatto della Fiat e i diritti di chi lavora Se persino la Cgil e Veltroni sollecitano gli operai di Pomigliano ad accettare il contratto cape-
stro della Fiat vuol dire che la situazione per il lavoro in Italia è grave, molto più di quanto ci hanno detto fino ad oggi. Al referendum i lavoratori saranno costretti ad accettare una proposta che li strozza. Gli operai di Pomigliano non hanno alternative, e Marchionne dovrebbe considerare che il curriculum della maggior parte delle persone che lavorano nello stabilimento non è di nessun interesse per nessuna azienda europea. Lui sa che questo significherebbe mettere alla fame migliaia di lavoratori, in questo consiste la sua forza di ricatto. Con questo contratto capestro la Fiat sta creando, d’accordo con i nostri pessimi governanti, un apripista per togliere o limitare fortemente il diritto di sciopero a tutti i lavoratori italiani, facendo precipitare i loro diritti a livelli da terzo mondo.
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L’abbonato del giorno FRANCESCA “Mi chiamo Francesca e sono un’abbonata. Insieme al mio ragazzo e ad altri due amici di Roma, appartengo alla schiera dei cervelli fuggiti dall’Italia (in Sudafrica!) per continuare a contribuire alla ricerca scientifica. Inutile dire che è una scelta che non si vive bene. Siamo stati allo stadio di Città del Capo per tifare l’Italia e abbiamo deciso di ‘manifestare’ la nostra ‘condizione’ anche da là”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it
custodisce e si prende cura da anni della “Conversione di Saulo” di Michelangelo Merisi detto Caravaggio, è invece privo di qualsiasi fondamento che abbia intenzione di vendere il dipinto in questione. Il presidente del Consiglio (quello che Lei chiama Signor B.) non si è mai interessato all’acquisto del quadro, noi non abbiamo nessuna intenzione di venderlo e non c’è stata alcuna trat-
tativa che ha interessato la “Conversione di Saulo”. Forse, dopo aver letto l’astioso articolo di Claudia Colasanti dovrei sentirmi in colpa perché, a Suo dire, possedere un Caravaggio è “uno schiaffo alla miseria”. Personalmente credo invece che essersi presi cura del dipinto in tutti questi anni, averlo restaurato, a nostre notevoli spese, non averne mai tratto profitto e, anzi, una volta restaurato averlo messo a disposizione del pubblico romano e milanese, sia un privilegio ma anche un dovere. Un dovere che ho assolto con tutto il mio impegno e che, quanto meno per l’arte di Caravaggio, avrebbe meritato un’attenzione diversa dal gossip che anche oggi ha inquinato la prima pagina del suo giornale al fine di alimentare un odio sociale che considero pericoloso per me, la mia famiglia, e, più in generale, per il nostro Paese. Signora Nicoletta Odescalchi
Prendiamo atto della lettera della signora Odescalchi, a cui consigliamo però forti dosi di camomilla. Infatti, come hanno fatto anche altri organi di informazione, ci siamo limitati a dare notizia dell’interessamento del presidente del Consiglio per il grande capolavoro. Siamo lieti che la signora Odescalchi se ne prenda cura ma ci sembra che un’animosità così smodata dovrebbe essere destinata a cose più importanti.
IL FATTO QUOTIDIANO via Orazio n. 10 - 00193 Roma lettere@ilfattoquotidiano.it
Veronica O.
Diritto di Replica Signor Direttore, so bene che il Suo giornale è nato con il fine istituzionale di attaccare metodicamente il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Non credo però che, per rivolgere quegli attacchi, sia giusto travolgere la privacy mia e della mia famiglia con la pubblicazione di un articolo falso, tendenzioso e in malafede come quello comparso sul giornale del 15 giugno con il titolo “Le mani di B. sull’oggetto del desiderio”. Se è infatti vero che la mia famiglia
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