40 anni storici
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Nuova Serie Anno 29 n. 1 - Marzo 2010 Sped. in A.P. - 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 filiale di Cagliari - € 2,00
NUMERO DA COLLEZIONE
SOMMARIO E COSÌ SPUNTÒ ROVELLI
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C’ERO ANCH’IO
22 ALLA RIVA DEL MITO
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GIGI RIVA STORY
36 Periodico indipendente fondato da Giorgio Ariu Direttore responsabile GIORGIO ARIU giorgioariu@tin.it Scritti di: Giorgio Ariu, Giampaolo Murgia, Cenzo Soro, Giuseppe Tommasini, Massimiliano Morelli, Laura Bonu, Ignazio Argiolas, Mario Frongia, Simone Ariu, Claudia Cao, Paolo Fadda, Bepi Vigna Fotografie Archivio GIA, Bertola, Franco Felce-Lo Zoom, Rosas, Mino Manca
Redazione GIA Edtrice Via Sardegna, 132 - 09124 Cagliari Tel. 070.728356 - 728592 Fax 070.728214 www.giacomunicazione.it Grafica, impaginazione GIA Comunicazione STAMPA E ALLESTIMENTO Grafiche Ghiani s.s. 131 Km. 17, 450 Z.I. Monastir (Ca) info@graficheghiani.it Distribuzione Agenzia Fantini - S.P. Sestu Km 5,200 Tel. 070261535
I GIORNI DELLO SCUDETTO Anno 29 n° 1 Marzo 2010 Registrazione Tribunale di Cagliari Nuova Serie n°443 del 27/11/82 Registro Nazionale della Stampa n° 3165 Ufficio del Garante Presidenza del Consiglio dei Ministri
Spedizione in A.P. – 45% art. 2 comma 20/b Legge 662/96 filiale di Cagliari Associato A.I.P.E. Associazione Italiana Piccoli Editori Gia Editrice di Giorgio Ariu Premio Europa per l’Editoria regionale Premio Editore dell’anno per l’impegno sociale e la valorizzazione della cultura sarda
di Giorgio Ariu
Leggeri, avvicinabili, mitici L’aria era soave, loro arrivavano ancora più leggeri in ordine sparso. Li vedevi spuntare dal sottopassaggio dell’Amsicora nostro, dove, dopo il primo allenamento delle sei del mattino, si faceva la preparazione sui corner corti e sugli schemi al sole del pomeriggio. E noi già campioni d’Italia nell’hochey prato allargavamo le spalle povere da dilettanti (solo perché ci pagavamo anche le divise per andare in tournèe all’estero) e recitavamo orgogliosi il ruolo dei padroni di casa. E la mia mazza diventava strumento di gioco per Claudio Nenè o per Albertosi che si divertivano, goffi, a scimmiottarci.Gigi doveva ancora spuntare dal sottopassaggio mentre il Filosofo osservava e fumava, fumava e lasciava fare. La rosa era ristretta, in sedici, diciotto, mica come quella della Lazio o dell’Inter di oggi, che se manca qualcuno chi se ne accorge. Poi giungeva Lui. Gigi nostro “canadese” sulle spalle, chiamava a sé quasi tutti i palloni (erano molto più pesanti di quelli di oggi) e li sgonfiava con quel sinistro assassino. Nella sua zona, off limits, i pali della porta erano scheggiati e l’erba (grande evento per lo stadio Amsicora) diradata aveva preso paura. Nessun pallone del Nostro al canale Mammaranca, nostalgico di Gallardo. Dopo questo riscaldamento, tutti insieme per i giri di campo. Noi amsicorini, verdi in tutto, davamo loro appuntamento per la domenica, se contemporaneamente impegnati in casa. Noi la mattina per una serie A per pochi intimi, amici e familiari, eppoi (almeno i supertifosi) ad allungare il dopo partita negli spogliatoi per imboscarci per il Grande Appuntamento. La partita del nostro Cagliari era evento sportivo, esaltazione dell’orgoglio e dell’aggregazione: tribuna Innocenti o staffetta da aspirante giornalista verso il baldacchino RAI, a bordo campo, con l’amico Mario Guerrini, “La voce della Sardegna” che al racconto delle gesta rossoblu accompagnava quello, anche in trasferta, di noi amsicorini. Anche i capelli era meglio tagliarli in via Dante, al salone Dionigio, vuoi mettere l’incontro… per caso con Gigi e gli altri. Che spasso, poi, collezionare bigliettini rosa, sfilandoli dal tergicristalli delle auto dei Nostri. Troppa grazia. Gianni Brera era il cantore sul mitico Guerino, le vignette erano tutte per Andrea Arrica, volpe del Gallia Hotel, tempio godereccio di scambi da ipermercato: prendi tre, paghi uno. Il Cagliari, come poi il Brill, sapeva di mediazione politica e quindi di gas da petrolio, ma senza il sudore e le gesta della banda
Scopigno (erede del grande Silvestri) nulla sarebbe stato possibile. I soldi, allora come oggi, non sempre scendono in campo. Lo dimostra la grande striscia dell’odierna Società condotta virtuosamente da Massimo Cellino, che ha carte e bilanci a posto: un Progetto da fare arrossire le cosiddette grandi indebitate, dai 380 milioni in giù, per inseguire ossessivamente traguardi e successi. Grazie alla spensierata banda Allegri, che si diverte alla vecchia maniera e fa divertire , si può così sognare stelle e guide turistiche europee. Frattanto noi ci godiamo il Ricordo dello Scudetto e per il Quarantennale usciamo con questo Speciale che da oggi, oltre che accompagnarci alla Festa con rimpatriata dei Mitici per la prima decade di aprile (ricordate il due a zero col Bari del 12 aprile?), riposizionerà lo Storico Scudetto nella fervida memoria collettiva di tutti i sardi e di tutti coloro che, per dirla col grande, indimenticato e generoso Sandro Ciotti, amarono la Squadra Simpatia.
QUELLA SQUADRA CHE ALLUNGÒ I CONFINI DELL’ISOLA
CON BUONA PACE DI CH
Q
Testo Massimiliano Morelli
Quarant’anni dallo scudetto, c’è la mente che torna indietro per scovare pagine ingiallite nella reminiscenza dei ricordi. Come una cantilena, una nenia, pagine imparate a memoria, come quella in cui vengono snocciolati i nomi degli eroi d’un successo leggendario. Sì, leggendario, e non c’è termine più azzeccato per descrivere quel magic moment che s’incastona alla perfezione fra il boom economico degli anni Sessanta e gli anni di piombo. Sì, ribadisco leggendario, perché basta dare un’occhiata agli annali per capire che quella stagione, 1969/70, resterà irripetibile. Meglio così, viene da pensare, anche se il cuore del tifoso ancora oggi vagheggia l’insperata replica e cerca d’immedesimarsi in quell’epoca con la consapevolezza che, ci avesse assistito la dea bendata, ci sarebbero potuti scappare almeno un paio d’altri scudetti. E pure una coppa Italia. Una, in maniera particolare, proprio quella della stagione del trionfo, vissuta con i sostituti di chi stava preparando le valige per il Messico. Maledetto il tempo che passa e fa invecchiare, che imbianca i capelli e allontana dalle sensazioni. C’è la forza di chi non vuol dimenticare quel che è stato quasi a mò di rivincita nei confronti dell’opulenza di chi vince sempre; c’è la rabbia di chi spezza le egemonie del calcio e di chi conquista uno scudetto sorridendo sempre e comunque, offrendo agli storici oltre ai gol di Riva e un meccanismo perfetto, pure gli sprazzi di genialità filosofica di Manlio Scopigno, roba che
davvero d’un mister come lui oggi non v’è neanche l’ombra, in giro. Albertosi, Martiradonna, Mancin, e pensi al terzino portafortuna, gregario che conquistò due scudetti in due anni. Con due squadre diverse. Cera, Tomasini, Niccolai… e la mente ricorda proprio l’incredulità dell’allenatore reatino nell’assistere alle gesta del buon Comunardo in Eurovisione. Domenghini, Nenè, Gori… e arriva il flash dell’abbaglio interista, che in cambio di Boninsegna mandò in Sardegna Domingo e Bobo, mica pizza e fichi. Greatti… Riva, o Rombo di tuono, o Giggirrivva, come lo chiamavano e lo chiamano ancora oggi nel continente, un po’ per storpiare in maniera stupida le doppie dei sardi e un po’ perché lui, il mito, si legge così, col nome e il cognome attaccati, assioma del calcio come il fuorigioco o il calcio di rigore. Sì, eccolo lo scudetto, vinto alla faccia delle corazzate del nord, con quarantacinque punti e una difesa imperforabile, tanto per non citare sempre le punte, che un po’ troppi ci si sono riempiti la bocca e ci hanno costruito una carriera raccontando le gesta di quei tre attaccanti tanto diversi fra loro, e forse proprio per questo perfetti quand’erano schierati in campo. Il 2 a 2 con la Juventus, vecchia e reale signora bianconera che si ruppe l’osso del collo per correre dietro al Cagliari quell’anno e per cercare successivamente di portare “Luis”, come lo chiamava Brera, a Torino. La megasqualifica di Scopigno e l’infortunio di Tomasini, gli autogol di Niccolai e le folate di Domenghini, le aperture di gioco di Greatti e l’affidabilità dei terzini, quel saltimbanco di Albertosi e i gol a raffica di Riva, la rivincita di Nenè e la scoperta di Cera, libero che sembrò Beckenbauer. Gli spazi creati da Gori; poi il silenzioso Zignoli e l’acrobata Reginato, per tacere di gente come Poli e Brugnera, Tampucci e Nastasio. Trenta partite da incorniciare, comprese le due sconfitte, perché sugli errori si cre-
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CHI CI INVIDIA
sce e anche su quei due inopinati insuccessi il Cagliari costruì la conquista dello scudetto. E ancora: il popolo. Che stava lì, assiepato sugli spalti dell’Amsicora e avvinghiato alle radioline un po’ ovunque, pronto ad ascoltare le gesta d’una squadra che allargò i confini dell’isola dimenticata dal potere centrale e da chi era convinto che in Sardegna c’erano solo mandrie e branchi di pecore. Siamo schietti, abbiamo perso il conto degli scudetti vinti dalla Juve e dalle milanesi; però siamo anche certi che una gloria unica, come quella vissuta sulla scia del Tricolore del 1970, a Milano e a Torino mai l’hanno vissuta. E ce la invidiano.
Più o meno quarant’anni orsono A Cagliari e dintorni Un amarcord sul filo della memoria
A
Nino Rovelli con i dirigenti del CIS e Pianelli, all’epoca presidente del Torino
andare indietro nel tempo di quarant’anni, sfogliando all’indietro l’album della memoria, è operazione che suscita, insieme, nostalgia e rammarico, per quel che s’è lasciato e per quel che s’è perduto. Chi scrive, non ha mai tenuto un diario, né ha conservato le agende di quegli anni lontani, per cui – nel riordinare questi ricordi – dovrà far ricorso soltanto alla propria memoria, sperando che non le nasconda dei trabocchetti. I giorni di quarant’anni or sono, per fare un po’ di calcoli, cadono tra il 1969 ed il 1970, allorquando al governo del Paese vi era Mariano Rumor, uno dei “grandi” dorotei, ma la bussola della politica sembrava essere nelle mani sapienti di un leader democristiano come Aldo Moro. Proprio in quegli stessi giorni, anche all’interno del già monolitico partito comunista togliattiano, s’era registrata la scissione di Luigi Pintor, Rossana Rossanda e dell’intero gruppo de “il Manifesto” (che anche a Cagliari aveva i suoi adepti), mentre le piazze della contestazione giovanile s’infiammavano per le canzoni “pacifiste” di Joan Baez e per le opere”buffe” di Dario Fo. In Sardegna era presidente il democristiano
Giovanni Del Rio ed a Cagliari il Sindaco era Paolo De Magistris, a capo di una coalizione di centro-sinistra, ed anch’io, allora, sedevo in Consiglio alla guida del gruppo democristiano, il partito di maggioranza. Era stata – quella tra il 1964 ed il 1970 – una consiliatura municipale piuttosto movimentata, anche perché aveva visto la fuoriuscita dal vertice del Comune di uno “storico” Sindaco come il professor Giuseppe Brotzu, a cui la città tanto doveva. Ma nella fredda aula del palazzo di via Roma, tra uno scambio salace di battute fra Goffredo Angioni e Aldo Orani ed un polemico confronto fra Ciccio Macis e Gianfranco Anedda, s’erano intelligentemente impostati, grazie alle linee operative del piano regolatore di Enrico Milesi e alle dissertazioni cultural-politiche dell’assessore Tonino Defraia e dell’oppositore Aldo Marica, gli equilibri necessari per un più armonico sviluppo urbanistico e per la regolamentazione delle strutture direzionali della città. I problemi cittadini erano peraltro tanti, anche perché alcune infrastrutture storiche, come quella dei trasporti pubblici urbani,
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erano andate in crisi, e la vecchia STS (la società dei tramvai) produceva ormai, con i suoi mezzi verdi e bianchi su rotaia, più debiti che servizi. La municipalizzazione fu allora il banco di prova di una politica comunale che – come nel varo progettuale dell’asse “mediano”, asset fondamentale per una più rapida viabilità cittadina – cercava di costruire la città del domani e del domani l’altro. Cagliari, tra l’altro, sembrava essere in mezzo al guado, tra l’ambizione di raggiungere i trecentomila abitanti (ed assidersi fra le città metropolitane del Paese) e le ristrettezze di un territorio comunale, divenuto il vincolo maggiore per un’urbanistica sostenibile. Anche il suo destino pareva essere in discussione, nelle discussioni dei caffè (dal “Torino” fino all’ ”Europa” o da “Marabotto”) come nell’aula severa di Palazzo civico: se dovesse essere orientato verso un futuro di città d’industrie o se, al contrario, si dovessero privilegiare i suoi tanti atouts paesaggistici, per aspirare ad un futuro in chiave turistica; o, ancora, se i suoi stagni, di ponente e di levante (il Santa Gilla ed il Molentargius), dovessero continuare ad es-
Testo Paolo Fadda
serne le linee “di frontiera” del suo sviluppo territoriale o, invece, dovessero essere colmati, almeno in parte, per poter dare nuovi ettari all’espansione urbana. Ed anche le strutture ospedaliere, con l’acquisizione delle caserme di Is Mirrionis al demanio comunale, avrebbero avuto allora il primo, importante incremento – dopo tanti anni di sofferenze con i letti nelle corsie e un’assistenza medica da terzo mondo – con la nascita di quel complesso che va sotto il nome della “Santissima Trinità”. Tra l’altro, non s’era ancora attutito il grido d’allarme che, sul quotidiano locale, l’intellettuale Michelangelo Pira aveva gettato in faccia ai cagliaritani, qualche anno prima: Cagliari è brutta! E non lo è per un deficit di valenze estetiche, ma perché ha nel disordine, nella sciatteria e nelle banalità del suo assetto, le sue caratteristiche più evidenti. Giudizio o provocazione che fosse, quell’osservazione aveva colto in un certo senso nel vero, proprio perché s’andava assistendo al lento declino di quella che era stata, come élite dirigente, la borghesia illuminata che nei primi quattro decenni del ’900 – da Ot-
tone Bacaredda ad Enrico Endrich – aveva “fatto” la Cagliari moderna. Basti ricordare, per rendersene conto, le differenze che passano tra l’eleganza stilistica del Palazzo di città o del Terrapieno e quei nuovi “mostri” creati da un’edilizia “da barboni” (per dirla con Aldo Rossi). Avrebbe notato un salace analista della società cagliaritana che in città s’era fatto il pieno di mes’ominis ed omineddus, mentre sembravano in via d’estinzione is ominis. . .Per altri versi, l’ambiente cittadino era rimasto ancora “provincialotto”, con i suoi riti ed i suoi vezzi antichi, ed infatti non erano spariti “is oreris”, i perdigiorno, che affollavano i tavolini dei caffè di via Roma (vi trovavi sempre, per il quotidiano aperitivo, Past’ ’e latti, Su meri ’e su Memphis e Paneri tristu (che poi erano i sopranomi di stimati cittadini, del ceto bon vivant). Così l’intellighentzia cittadina si ritrovava attorno al professor Nicola Valle, noto come Pinzellu per via dell’abbondante chioma, per celebrare ed applaudire le sue dotte letture dantesche nel sottopiano del Municipio, mentre Cicito Alziator non aveva posto ancora fine al fantasioso cam-
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pionario di aggettivazioni per la sua Cagliari (del sole, degli odori, ecc.), all’interno dei suoi articoli che arricchivano la “terza pagina” dell’Unione Sarda, sempre ben curata da Gianni Filippini. S’era però perdute per strada le serate al “Cineclub”, un po’ perché erano emigrati altrove i promotori Aldo Assetta e Peppino Fiori, ed un po’ – va detto – per gli strascichi derivanti dall’esilarante battuta fantozziana (una cagata mostruosa!) sul “capolavoro” del cinema sovietico, “La corazzata Potiomkin”… Nei bar di Villanova e di Sant’Avendrace, prima ancora del “camparino”, era ancora la gazzosa Puddu a farla da padrona, sia come additivo alla birra Ichnusa o a sa tassa ’e binu nieddu (si ricordano in proposito alcuni versi scanzonati di un anonimo che dicevano pressappoco così: «è la gazzosa spregevol cosa, ma se col vino mesci gazzosa cambia la cosa…». Per la verità la città appariva interessata da forti cambiamenti, si modificavano le abitudini e le liturgie cittadine, quelle, ad esempio, della “torta russa” domenicale d’una
scomparsa ditta “Meloni & Ramondetti” nella via Balle, mentre conquistavano posizioni, fra i golosi, le dolci prelibatezze di “Chez le negre” in via Sonnino; ma in via Roma sa passillara non era più quella d’una volta, e nuovi luoghi d’incontro si spalmavano per una città sempre più “multipla” e sempre più oggetto di forti immigrazioni. In Casteddu c’esti mera da traballai, sosteneva chi, da Seui o da Tramatza, si faceva cagliaritano per acchiappare una sorte meno incerta. Era anche questa la dimostrazione che era l’aria “di Rinascita” ad ossigenare le iniziative e le voglie dei cagliaritani. Vi era infatti in città molto entusiasmo e altrettanta disponibilità nel voler creare le condizioni per una vittoria duratura e definitiva sul sottosviluppo economico che da diversi secoli aveva allontanato la società sarda dagli standard continentali. Proprio su questo fronte dell’economia, che è poi quello più congeniale a questo mio “amarcord”, s’andavano affermando delle attività innovative di taglio europeo (quelle, ad esempio, della chimica del petrolio e della metallurgia) mentre altre, quelle più tradizionali come le minerarie, scontavano forti carenze di competitività sui mercati internazionali ed apparivano in forte declino. Si fa cenno a questo, perché chi scrive venne allora investito, da parte del governo regionale, della guida dell’Ente Minerario Sardo, la holding pubblica incaricata di presiedere non solo alla strategia industriale del settore ma anche al possibile rilancio operativo delle aziende estrattive.Ed è proprio a quel duplice binario, in ascesa e in discesa, che si fa riferimento, perché maturai l’idea di trovare delle possibili sinergie, integrazioni e valorizzazioni fra quella nuova chimica ed i minerali presenti nel sottosuolo sardo non disomogenei ai cicli delle lavorazioni petrolifere, come le fluoriti e le bariti, ma non solo.
Valutai quindi l’opportunità di coinvolgere il massimo esponente di quella nuova industrializzazione, l’ingegner Nino Rovelli, il patron del gruppo Sir (Sarda industrie resine) che, partendo dal lucido da scarpe Brill aveva creato il primo grande impero chimico del Paese. Non lo conoscevo personalmente, ma con lui ero stato coinvolto in un episodio curioso. Di ritorno da Milano, nella “first class” di un aereo Caravelle, mi ero
trovato seduto a fianco di quel personaggio che i giornalisti trovavano molto somigliante a Clark Gable. Fu lui, ricordo, a prendere la parola, dimostrando di conoscermi. Dall’avvio della conversazione, capii che m’aveva scambiato per altra persona, ma decisi di stare al gioco. In effetti, m’aveva individuato come uno dei fratelli Beretta, titolari di uno stabilimento tessile a Villacidro, legatissimi alla Snia, concorrente in qualche modo con la sua Sir. Mi propose, con allettamenti vari, alleanze e sinergie, a cui risposi sempre a monosillabi, mantenendo però l’equivoco. Fui presentato a lui, ufficialmente, mesi dopo ad un’assemblea del Cis, come presidente dell’Ente minerario, e fu in quell’occasione che gli raccontai l’episodio del viaggio con il Caravelle. Si mise a ridere per lo scherzo, e mi propose di trovarci a cena,
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quella stessa sera, “da Bruno”, in via Cavour. Ebbi così modo di illustrargli la mia idea e ne dimostrò interesse, tanto da propormi un incontro a Milano, nel suo quartier generale con i suoi più stretti collaboratori. Cosa che avvenne e fu anche fertile di programmi e di iniziative comuni, il cui probabile successo – purtroppo – venne vanificato da quegli eventi che la storia economica ricorda come la guerra del Kyppur (1972) che, portando alle stelle il prezzo del petrolio, decreterà la parabola discendente di quel gruppo industriale. Per chi ha la memoria lunga, essere amico di Rovelli comportava qualche rischio politi-
co, anche perché quell’ingegnere brianzolo, con le sue imprese e la sua aggressività imprenditoriale, era stato capace di dividere non solo la politica dei partiti, ma anche la finanza delle grandi holding nazionali, dato che le sue escalation societarie avevano fatto salire la mosca al naso ai vertici dell’Eni e della Montedison (Girotti e Cefis in primis). Ben si capisce, quindi, come fosse personaggio assai poco amato qui da noi, anche perché il suo potere sembrava non avere limiti ed alcune sue “vicinanze” con gli uomini del governo d’allora davano non poco fastidio alle opposizioni, in specie al PCI ed alla
sua collegata CGIL. Ma, forse, osservando come va l’industria chimica oggi, quel personaggio meriterebbe d’essere rivalutato e rimpianto, assolvendolo – magari – per certe sue incontinenze. Proprio perché con lui, ad esempio, si costruivano qui da noi degli impianti per la dissalazione dell’acqua che andavano in Israele e in tutta l’Aia minore, mentre oggi, per averli, bisogna rivolgersi a Gerusalemme o a Tel Aviv. D’altra parte, essere amati e rispettati, non è certamente, dalle nostre parti, una condizione consueta per imprenditori ed industriali di successo, sol che si ricordi – affiancando-
la a quella di Rovelli – la coetanea vicenda di Paolo Marras, quell’intraprendente ingegnere cagliaritano che, con la sua industria cartaria e con i suoi innovativi impianti di rimboschimento produttivo, si sarebbe visto tagliare l’erba (cioè progetti e risorse) sotto i piedi, proprio dai suoi stessi corregionali. Ci sono quindi, nello sfogliare queste pagine di memoria, aspetti noti e meno noti di un tempo passato. Li si è voluti rievocare, quasi fossero pagine di diario, in una sorta di “amarcord”, proprio per ricordare “com’eravamo”.
La lunga notte dei festeggiamenti in casa Arrica Nella pagina accanto, Nino Rovelli; foto sotto, Paolo Fadda
S
C’ero anch’io.
MEMORIE, SENSAZIONI, RICORDI, GIOIE, EMOZIONI. TUTTE LEGATE AL CAGLIARI E ALL’ANNATA DELLO SCUDETTO CALCIO CHE IN QUESTE PAGINE CI HANNO VOLUTO RACCONTARE LA LORO ESPERIENZA. Testimonianze raccolte da Simone Ariu, Laura Bonu, Claudia Cao
UGO CAPPELLACCI Presidente Regione Sardegna All’epoca dello scudetto ero proprio un bambino, troppo piccolo per avere, al di la’ di quella grande sensazione di gioia popolare, piena contezza del significato della vittoria del titolo da parte dei rosso-blu. Più’avanti ho vissuto le gioie e i dolori della nostra squadra, comprese le drammatiche retrocessioni in serie B. Il ricordo più’ bello e’quello legato alle sfide di coppa UEFA. Fantastica anche la resurrezione dalla serie C alla A con Claudio Ranieri.
SERGIO LAI Presidente FIDAL Sardegna Sono trascorsi quarant’anni, ma in me è sempre vivo il ricordo di quella mitica domenica. Ero lì, all’Amsicora, e ricordo che al fischio finale dell’arbitro abbiamo divelto la rete di recinzione dello stadio e siamo entrati in campo impazziti correndo in lungo e in largo per il campo strappando l’erba dal rettangolo di gioco dalla gioia.
RUGGERO RUGGIERI Presidente onorario S.G. Amsicora Che dire di quegli anni indimenticabili, culminati con la conquista dello storico scudetto del Cagliari. L’entusiasmo era alle stelle. Noi appartenenti alla Società Amsicora, proprietaria dello stadio, abbiamo vissuto intensamente quel periodo, anche se non sempre regnava accordo tra le nostre discipline (atletica e hockey su prato) ed il calcio. Non a caso, durante tutto il periodo in cui il Cagliari ha giocato nello stadio Amsicora, le nostre discipline sportive hanno conseguito risultati modesti, tanto è vero che la nostra squadra di hockey maschile (la più scudettata d’Italia con venti titoli) durante tale periodo non ha vinto un titolo. Il Cagliari, approdato alla massima serie nell’anno sportivo 1964/65, ci ha dato la possibilità di vedere da vicino le squadre più blasonate che, da ragazzi, potevamo solo seguire attraverso le radiocronache del mitico Nicolò Carosio. Anche se il confronto può apparire irriverente, mi auguro che l’attuale compagine possa darci ulteriori soddisfazioni, magari europee. Forza Cagliari. MAURIZIO ONORATO Assessore Traffico e Viabilità del Comune di Cagliari All’epoca avevo 14 anni. Abitavo in via Baccaredda, proprio vicino al distributore gestito dal mitico Riva. Come tutti i ragazzi, io e i miei amici eravamo costantemente impegnati in modo spasmodico nella conoscenza di Riva, o di qualche suo compagno di squadra. Passavamo e ripassavamo davanti al distributore con la speranza di incrociare qualcuno. Ma il piacere di conoscerli l’ho avuto solo da adulto, grazie alla squadra di basket prima, con cui scambiavamo tifo sugli spalti e schemi di gioco sul campo, e come vicesindaco poi, quando con mio grande onore, ho consegnato a Riva le chiavi della città e l’investitura da cittadino onorario. MARIA SIAS Ingegnere Emozioni alle stelle, commozione, incredulità e un’enorme fe-
licità: sono questi i sentimenti che hanno accomunato tutti gli sportivi sardi in occasione della conquista del primo ed unico scudetto. E, per tutti i tifosi che dalla promozione in serie A nel 1964 avevano condiviso con la squadra vicissitudini e traversie, aggiungerei anche un senso di compiaciuta rivalsa per un trionfo che sembrava impossibile in quanto, allora come oggi, le piccole squadre di provincia, tra budget limitati e sudditanze arbitrali, finivano troppo spesso relegate al ruolo di semplici comparse. Fra le circostanze favorevoli all’evento penso sia stato importante il cambio di presidenza dell’Inter in seguito al quale alcuni giocatori (vedi Domenghini) vennero trasferiti non essendo graditi a Lady Fraizzoli. Fondamentale anche l’ambiente tipicamente “cagliaritano” che circondava di grande affetto una squadra ancora formato famiglia attorno alla quale, nonostante il recente cambio di presidenza e passaggio a Spa, si respirava ancora l’atmosfera squisitamente sportiva tipica del seminatore Arturo Silvestri, coltivata anche se più blandamente dal filosofo Scopigno. Infine la squadra, che già da un anno lottava per il primato, rafforzata dai nuovi arrivi, era realmente fortissima in quanto ad un attacco mitico si accompagnava una regia di livello assoluto con Cera e Greatti ed una difesa rocciosa, scaltra e tatticamente ben orchestrata. Dallo scudetto in poi abbiamo vissuto molte avventure e molti cambiamenti, in ambito prettamente calcistico: abbandonati i vecchi ruoli e la difesa a uomo, abbiamo imparato a ragionare per schemi tattici, abbiamo imparato anche che la squadra del cuore, diventata ormai un’azienda, deve seguire logiche di profitto economico, non so giudicare se tutto questo sia un bene ma come sportiva sono certa che sia bello ed importante continuare a sognare. PAOLO PODDA Presidente Cagliari Club Pozzomaggiore (SS) In quegli anni ero uno dei tantissimi emigrati sardi che lavorava fuori dall’isola. Assieme ad un amico, Sergio Gessa, decisi di andare ad assistere a Juventus-Cagliari. Durante il viaggio subimmo un continuo sfottò, la loro speranza era quella di batterci e ridurre ad un solo punto il distacco in classifica. Devo comunque ammettere che era uno “sfottò sportivo”, mai pesante, anche perché erano consapevoli che la nostra era una squadra molto forte. Entrammo allo stadio insieme ai tifosi della Juventus non senza qualche sofferenza, prendemmo posto nel settore distinti in uno stadio strapieno. La gara terminò 2-2 e per noi sardi il viaggio di ritorno fu dolce, lo sbefeggiare terminò, e in cambio apparvero fiaschi di vino e del buon salame. Quelli erano veramente bei tempi. Era il 15 marzo 1970.
ANSELMO PIRAS Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Cagliari Io sono uno di quelli che il calcio non lo ha mai seguito tanto. Non ho parlato mai di orgoglio o riscatto, né sono mai stato un passionale. Ma quella formazione è entrata negli annali della
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storia di Cagliari, la ricordo ancora a memoria e da giovane collezionavo le figure Panini, ho ancora l’album completo a casa. E li ho conosciuti anche io, in ristorante, al Poetto, dove prima delle partite si incontravano per pranzare. Ero giovane e nonostante l’emozione non impazzivo per quei rigorosi menù da sportivo: riso, verdure lesse e una bistecchina leggera. GIAMPAOLO CARBONI Motoclub Villasimius Nel 1970 avevo 4 anni, perciò i miei ricordi sono indiretti. Pochi giorni prima della fatidica partita, mia madre cuciva una fettuccia rossoblu sulle magliette bianche dei miei fratelli e mio padre montava sul tetto l’antenna TV: allora non ce n’erano tante a Villasimius, e i miei mi hanno sempre raccontato che io chiesi il perché di quel palo (l’antenna) e mio padre mi disse che serviva per issare la bandiera del Cagliari! Forse non capivo bene che succedeva, ma quell’aria di festa mi piaceva...
SIMONE DELIPERI Dentista cagliaritano laureato a Boston Un’impresa diventata leggenda perché viva ancora oggi nelle vecchie e nuove generazioni rossoblu. Poco importa se quest’avventura sia stata vissuta passo dopo passo nel 1970 o sia stata solo immaginata, sognata attraverso gli entusiastici racconti di genitori, nonni e cronisti. L’incredibile trionfo del Cagliari è stato, ed è tuttora, motivo d’orgoglio per tutti i sardi, ed un esempio per tutti coloro che ambiscono a vincere sfide cosiddette impossibili.
FRANCO MASIA Tecnico professionista settore giovanile Cagliari Calcio e Consigliere Comunale Ho vissuto quello scudetto in prima fila, dalla formazione dei pulcini del Cagliari. Avevo 13 anni. All’epoca era un sogno reso reale dalle gesta di quegli straordinari eroi. Più in là, abbiamo compreso che era il riscatto di tutta la popolazione sarda, di tutti gli emigrati che fuori dall’isola, da quel giorno, camminarono a testa alta: la loro terra era campione d’Italia. Ancora oggi, durante le trasferte del settore giovanile, in campo nazionale, percepiamo l’affetto e l’attaccamento, la gioia di tutti nel vedere quella maglia rossoblù. MARISA DEPAU -Consigliera Comunale Ero a scuola, impegnata nei movimenti studenteschi dell’epoca. Il ‘68 aveva rappresentato l’apice della nostra lotta. Ma quel giorno, il 12 aprile, non c’erano colori, rivendicazioni o divisioni politiche, tutti in strada a far baldoria, con bandiere e clacson, e poi tutti a vestire la statua di Carlo Felice. Quel prestigioso scudetto coinvolse tutti, anche chi del Cagliari non aveva mai seguito una partita. PANKY STRA Leader del gruppo musicale Alma Mediterranea Un’aria domenicale, quella del ‘70 a Cagliari, frizzante e briosa. Dall’isola arriva una squadra capace di tenere inchiodate la domenica alla radio famiglie intere: nonni, nonne, zie, nipoti sciarpati di rossoblu, accompagnati dall’immancabile pranzo
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ETTO. UN DIARIO DEGLI AMICI DI CAGLIARI
domenicale. Ricordi di festa, di orgoglio e di grande emozione per tutti i sardi, anche quelli d’oltremare che una volta alla settimana si sentivano vicini all’isola più che mai. Un’isola così lontana il sabato, così vicina la domenica. Auguri di buon anniversario rossoblu a tutti.
ANDREA SCANO Consigliere Comunale Ero davvero molto piccolo, e di quando si è piccoli si ricordano solo le cose davvero importanti. Le urla dello stadio si sentivano perfettamente dal terrazzo di casa mia, e a scuola, alle elementari, ci fecero fare un disegno: la tua squadra del cuore, o qualcosa del genere. E poi cosa c’è di più importante delle collezioni dei calciatori preferiti? Prima ancora delle figurine, potevamo mostrare con orgoglio le mitiche effigette di metallo con il viso dei nostri beniamini. Le conquistavi nei distributori Shell quando i tuoi genitori facevano benzina.
RAFFAELLA PETTI Tifosa Sono passati ormai quarant’anni da quella domenica 15 marzo 1970, quando, al Comunale di Torino, si svolgeva la partitissima Juventus-Cagliari. Come non ricordare Gigi Riva, Ricky Albertosi, Niccolai, Nenè, Bobo Gori, Tomasini e tanti altri nomi che difficilmente sfuggono anche alle generazioni più giovani. La tensione era alta quel giorno a Torino tra i tanti tifosi rossoblu. Era una giornata piovosa, ma niente poteva impedire il tutto esaurito per assistere la propria squadra del cuore. Arbitro era il grande Lo Bello, che fischiava rigori per la Juventus, fino al minuto 82 quando, con l’ennesimo fischio, concedeva un rigore per il Cagliari. Eccolo, questa volta è il nostro Rombo di Tuono ad avanzare sul dischetto, prendere la rincorsa e segnare il gol decisivo. Decisivo per una vittoria che dura da quarant’anni. GIAMPAOLO LALLAI Musicologo Le partite all’Amsicora erano momenti di grande socializzazione fra tutti i sardi che accorrevano da ogni parte, anche quelli che non si erano mai interessati di sport. Nei primi minuti di Cagliari-Napoli, il portiere partenopeo ebbe la peggio in un contrasto con Gori. Una donnetta con fazzoletto in testa e gonna lunga, venuta dall’interno, si alzò di scatto e urlò “Disgratziau, arroghendi Albertosi”. Qualcuno si affrettò a precisarle “O bona femina, Albertosi est de s’atra parti”. Senza scomporsi, la donna replicò: “Intzandus ant fatu beni a dd’arrogai, aici imparat a giogai contra a nosu”. Il Cagliari vinse 2-0 proprio con gol di Gori e, naturalmente, di Riva.
NINNI DEPAU Consigliere Comunale Ero immerso nei miei impegni politici, e devo ammettere che per il calcio c’era poco spazio nella mia testa. Ma l’importanza di quella impresa l’ho capita subito dopo. Sembra strano, ma quel risultato ci ha catapultato nell’olimpo delle grandi, liberandoci per sempre dalla visione di piccola e strana cittadina in cui ci avevano relegato. I primi viaggi in Grecia e Iugoslavia me lo hanno confermato, Gigi Riva erano le sole due parole internazionali che conoscevo.
Stefano Arrica con il papà Andrea
MACCHINA DELLA MEMORIA
S MACCHINA DELLA MEMORIA
C’ero anch’io
EFISIO PIREDDU Consigliere Comunale Li ho sfidati ogni giovedì, per l’intera stagione. Avevo diciassette anni e militavo nel settore giovanile. Conoscere i leggendari dodici uomini straordinari mi riempie di orgoglio. Io e i miei compagni abbiamo condiviso con loro tutto l’iter: le 24 partite, la caldissima tifoseria, i goal subiti e le fucilate di Riva, fino all’exploit finale. LINO BISTRUSSU Consigliere Comunale Da giovane, per entrare allo stadio scavalcavo le ringhiere o prendevo la mano a qualcuno per sfuggire ai controlli. Ma quel campionato l’ho giudicato con gli occhi di un arbitro, perché proprio nel ’68 avevo appena sposato la maglia nera. Dopo i due goal al Bari, lo scudetto era nostro, e allora tutti in strada a fare festa. E anche io con il mio cinquino prima a partecipare alla sfilata, poi in via Randaccio a fare la posta alla foresteria per stringere la mano di Riva. FERNANDA LOCCHE Consigliere Comunale Sono l’unica femmina in una famiglia di quattro maschi. A quell’età (17 anni), i giocatori del Cagliari non potevano non essere i nostri miti. Con le mie amiche, finita la scuola, dal liceo Artistico correvamo in via Roma per incontrare qualche calciatore, e dopo vantarci con chi non aveva la stessa fortuna. Io potevo farlo spesso perché qualcuno di loro andava a caccia con mio fratello, e quindi potevo salutarli qualche volta. Ero un’interista per scelta, ma poco dopo mi accorsi che il mio cuore batteva rossoblù e allora dovetti cambiare fede calcistica. Mi riscoprii grazie allo scudetto di nuovo cagliaritana.
RAIMONDO PERRA Consigliere Comunale L’anno d’oro del calcio cagliaritano: sei giocatori in nazionale, nei mondiali, una formazione da invidiare e una vittoria finale. Avevo quattordici anni, e come tutti ricordo la strada brulicante di persone e colori, un lunghissimo serpente di colori rossoblù, il corteo delle bandiere, motorini e clacson dappertutto. Un tassello importante, un ricordo indelebile. ALBERTO BORSETTI Presidente Movimento Sportivo Popolare Sardegna Si sa, i ricordi d’infanzia un poco sbiadiscono, ma non quelli dell’anno 1970, quando io andavo allo stadio con mio padre per ammirare le leggendarie prodezze dell’immenso Riva. Potrei fare una telecronaca anche ora: Amsicora stracolmo, un’acrobazia di Riva sblocca la partita e una prodezza di Gori la mette al riparo, sugli spalti arriva la notizia della sconfitta juventina, un boato fa partire la festa. Sugli spalti tutti ad abbracciarsi e baciarsi. Quella notte non riuscii a dormire per la paura che un brusco risveglio avesse infranto il mio meraviglioso sogno. SALVATORE FLORIS Consigliere Comunale ed Ex Medico Sociale Cagliari calcio Grinta, determinazione e spirito di squadra, sono gli ingredienti necessari per arrivare in alto. E i ragazzi rossoblù, in quella stagione ne avevano da vendere. Un passaggio memorabile,
una sola voce per tutta la Sardegna, una volontà unica: portare in alto la nostra terra.
TONINO PUDDU Ex pugile di fama mondiale La vita di un pugile è in giro per il mondo a combattere, e anche quella stagione l’ho passata in viaggio, saltando da una manifestazione all’altra. Nonostante tutto, sono riuscito a seguire le peripezie della mia squadra del cuore. Li ho visti a Roma e a Milano, e in qualche partita casalinga quando tornavo a casa. Spesso mi allenavo con loro all’Amsicora, la parte atletica era simile e qualche volte ci scappavano pure due calci al pallone. Serietà, unità e tranquillità erano il minimo comune denominatore di tutte quelle grandi vittorie. Ricordo benissimo lo scudetto, ma ricordo bene anche gli latri due mancati per un soffio.
PIETRINO FOIS Consigliere Regionale Festa. Mi ricordo una festa, grande e immensa, che non conosceva sesso, età e residenza. Tutta la Sardegna lo era: scuole chiuse, sorrisi e abbracci dappertutto. Quando sei così piccolo, poi, a 12 anni, tutto ti sembra amplificato e le fotografie si stampano nella testa in modo indelebile. Oggi mio figlio gioca nella scuola calcio di Riva, quindi ho avuto il piacere di conoscerlo. Ma la formazione rossoblù l’ho incontrata in diverse occasioni: Domenghini, Cera, Greatti e gli altri eroi delle figurine. Tomasini è un mio caro amico, un grande campione, un uomo gentile e garbato.
EDOARDO TOCCO Consigliere Regionale Ricordo tutto come fosse ieri. Avevo dieci anni, e con mio padre e i suoi amici eravamo seduti in tribuna. Vicino a noi Rocca e Arrica con il figlio Stefano(mio caro amico), presidente e vicepresidente di quella storica formazione rossoblù. I due fischi finali furono il lasciapassare per i festeggiamenti: l’Amsicora era in tumulto, bandiere rossoblù ovunque, tifosi che si arrampicavano ovunque, clacson che suonavano all’impazzata. Sembrava di essere in una moderna festa brasiliana. Quella città non so se la rivedrò mai più. Sono emozioni che non si scordano facilmente. Ma la speranza è l’ultima a morire, il mio sogno sarebbe poter rivivere - oggi - quei momenti. Allora ero solo un bambino, oggi lo scudetto avrebbe tutto un altro sapore. Da politico, e da tifoso, farò di tutto per non abbandonare la nostra squadra. L’amicizia che mi lega a Cellino e alla società rossoblù è di stimolo per tutti i progetti futuri: lo stadio nuovo e un Cagliari internazionale. ANTHONY MURONI Redattore de L’Unione Sarda Sono nato in Australia nel ‘72. Lo scudetto era già stato conquistato, festeggiato e un po’ osannato. Ma sicuramente non dimenticato. Quando sono tornato in Sardegna (all’età di 5 anni), mio padre si è premurato di raccontarmi e descrivermi ogni tappa. Mi ha cresciuto con il mito di Riva, come se fosse una moderna icona pop di quel periodo. E poi il grande incontro con lui, Riva in persona, per motivi lavorativi, qualche anno fa. Devo ammettere che il suo carattere e lo spessore morale sono assolutamente degni della fama e della leggenda che tutti i
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sardi gli hanno cucito sopra.
GIUSEPPE MACCIOTTA Avvocato e Consigliere Comunale In un cassetto della scrivania di mio padre sono conservate le due reliquie: L’Unione Sarda e il Corriere dello Sport. Quello scudetto meritava una foto di copertina a tutta pagina. E poi un cd con la raccolta di tutte le telecronache delle stagione, con la voce passionale di Ciotti come sottofondo della formazione cagliaritana. Le memorie di quella vittoria stile Robin Hood sono ancora custodite in quel magico cassetto. STEFANO PRINCIVALLE Tifoso I libri letti e i racconti sentiti (numerosi e diversi), non potranno mai rendere giustizia al reale significato di quella storica banda. L’idea di un Cagliari che fa tremare le ginocchia a squadre del Nord come il Milan o l’Inter, la soddisfazione di avere sei giocatori in nazionale, e l’orgoglio di nominare tra quelli Gigi Riva, alfiere del calcio italiano di allora, non è cosa facile da trasmettere. Quel calcio antico, in bianco e nero, rende i ricordi ancora più affascinanti, misteriosi. Ahimè, anche irripetibili.
MARIO MANCOSU Cantante del gruppo Janas Soddisfazione, ecco cosa provi quando la tua squadra del cuore vince il campionato. Da quel 1970 ho sempre seguito la squadra, ho l’abbonamento da dieci anni e ogni domenica nelle partite casalinghe ero sugli spalti allo stadio, persino quando è retrocessa in serie C, con mia grande sofferenza. Per qualche tempo sono stato anche presidente del Cagliari Club di Seneghe. Ancora oggi, la domenica per me è sacra, divento irreperibile per seguire le gesta della mia squadra del cuore.
FRANCO MANCA Assessore Regionale al Lavoro Ero a Cagliari e ho visto la partita all’Amsicora. È stato il tripudio di un popolo che anche sul piano economico e sociale vedeva un riscatto per la propria subalternità. In un momento in cui lo sviluppo economico non era praticamente neppure iniziato per noi, essere al centro della vittoria dello scudetto è stato vissuto da tutti, anche da me personalmente, come un riscatto ed un momento di grande unione anche con i sardi che stavano fuori dall’isola. Un personaggio emblematico come Gigi Riva già allora si sentiva sardo. Ma altrettanto emblematico era chi li guidava, Manlio Scopino, “il filosofo”. BIAGIO ARIXI Poeta Erano gli anni in cui stavo scoprendo il seme della poesia germogliare in me. Mi rendevo sempre più conto che quella strada da molti ritenuta ferale, a me regalava i passaporti per andare oltre i confini, sia con le amicizie che con i rapporti più privati. Ero invaso da una strana gioia, come quella di attendere gli amici del Cagliari, che percorrendo con le potenti Alfa dell’epoca la Carlo Felice, in battibaleno raggiungevano Villasor per festeggiare il fuoriclasse brasiliano Pelè, che Nenè, Riva, Boninsegna e Visentin avevano trascinato a casa mia per fargli gustare gli arrosti allo spiedo che cucinava mia madre.
S ANSELMO PIRAS Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Cagliari Io sono uno di quelli che il calcio non lo ha mai seguito tanto. Non ho parlato mai di orgoglio o riscatto, né sono mai stato un passionale. Ma quella formazione è entrata negli annali della storia di Cagliari, la ricordo ancora a memoria e da giovane collezionavo le figure Panini, ho ancora l’album completo a casa. E li ho conosciuti anche io, in ristorante, al Poetto, dove prima delle partite si incontravano per pranzare. Ero giovane e nonostante l’emozione non impazzivo per quei rigorosi menù da sportivo: riso, verdure lesse e una bistecchina leggera. VALENTINA CARUSO Archeologa e modella Non ero ancora nata quando la mia squadra del cuore ha vinto lo scudetto, ma spesso mia mamma mi racconta della grande festa durata giorni, dei tifosi che si erano riversati in centro suonando col clacson di auto e motorini, sventolando ovunque le bandiere rossoblù. Un tifoso si era addirittura verniciato interamente la macchina con i colori della squadra. Un’emozione unica per un cagliaritano che io non ho ancora assaporato e che mi auguro un giorno di poter vivere da sarda e da tifosa.
LUCIANO URAS Consigliere Regionale Il ricordo più vivo dello Scudetto del Cagliari, è legato alla grande manifestazione popolare di fronte alla Statua di Carlo Felice, fasciata per l’occasione da bandiere rossoblu. Fu una grande festa per me, un ragazzino di 15 anni. Oggi avremmo bisogno di quella voglia di riscatto che in Sardegna si manifestava anche nello sport. Sarebbe importante recuperare lo spirito che animava i cagliaritani in quegli anni, provare a cimentarsi su traguardi importanti in tutti i settori: il Cagliari del 1970 riuscì a rappresentare una Sardegna capace di scommettere su se stessa.
LORENZO COZZOLINO Consigliere Comunale Lo scudetto del Cagliari dell’anno 1970 è, per il sottoscritto, un periodo di ricordi bellissimi e indelebili. Ero poco più di un quattordicenne e la gioia che provai per quello scudetto che ci permetteva finalmente di essere i primi in Italia, contro quel “continente” che ci aveva sempre etichettato come cittadini di serie B, è stata incommensurabile. Per noi ragazzi, quegli undici rossoblu con a capo il mitico Gigi Riva, erano un esempio da imitare sia durante le solite interminabili partite tra attaccanti e difensori, sia durante le discussioni sportive contro i tifosi di altre squadre che non potevano sopportare che quel Cagliari fosse veramente una corazzata imbattibile. Il ricordo più bello che ho di quel tempo è un poster con dedica di Gigi Riva che preparai con meticolosità la mattina dopo la conquista dello scudetto e di pomeriggio mi appostai, per quasi quattro ore, in viale Diaz, in attesa che Riva rientrasse a casa sua e ottenni la dedica con pacca sulla spalla e sorriso compiaciuto. Oggi, a distanza di quarant’anni, pensando a quell’episodio, continuo a provare emozioni forti che solo quella squadra e quel giocatore hanno trasmesso all’intera regione. Grazie per tutto quello che ci avete fatto vivere, gioire, esultare.
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C’ero anch’io
DANIELE SERRA Tifoso Mi basta alzare gli occhi, in questo momento, per tornare indietro di 40 anni e tuffarmi in un sogno che purtroppo non ho potuto godere in prima persona. Il poster che raffigura la “squadrissima” dello Scudetto è un cimelio che conservo gelosamente, undici uomini che rappresentano un qualcosa che va molto oltre la semplice affermazione sportiva. Sono nato dodici anni dopo, ma la passione che tutti i fortunati testimoni di quest’impresa trasmettevano nel raccontarla, mi dava l’idea di un avventura epica, indimenticabile, quasi una favola a lieto fine: guerrieri guidati da un allenatore filosofo che portavano l’attenzione del Paese verso un’isola troppo spesso bistrattata e accusata di essere solamente un luogo di punizione o un covo di briganti. Zitti tutti, siamo arrivati, siamo finalmente noi i migliori. UGO STORELLI Capogruppo di Forza Italia Io studiavo a Sassari in quegli anni, anni in cui la città di Cagliari e quella di Sassari non andavano troppo d’accordo. Ma quando fummo proprio noi, in quell’importante campionato di serie A, ad aggiudicarci il primo titolo, io fui doppiamente orgoglioso. Da una parte fu una rivincita sportiva e sociale collettiva, dall’altra la mia rivincita personale. Tutti gli amici che, con quel tono un poco pungente, sbefeggiavano la mia indole cagliaritana, dovettero dimenticare le ironie di fronte ai campioni d’Italia.
CRISTIAN COCCO Inviato di “Striscia la notizia” Che dire dello scudetto del Cagliari? Io purtroppo in quel periodo non c’ero, però ho come il presentimento di esser frutto della gioia di mio padre per quella grande vittoria del Cagliari. Infatti sono nato l’anno dopo, il 1971. A parte gli scherzi, una cosa è certa: mio padre era presente quel giorno felice allo stadio Amsicora, e lo può testimoniare un libro del periodo che ha gelosamente custodito mio fratello maggiore Gianni, che ritrae un’invasione finale di campo dove i tifosi festeggiano con i calciatori, e nell’immagine si vede proprio mio padre in primo piano che esulta. Per quanto mi riguarda, da tifoso accanito non posso che esserne fiero. Dei giocatori dello scudetto, a differenza di quelli attuali, non ho avuto la fortuna di conoscerne qualcuno, ma ho avuto l’onore di intervistare, per “Striscia la notizia”, lui, il mitico Gigi Riva. L’occasione fu il ritiro della sua maglia, la numero 11, da parte della società. E quel giorno mi è rimasto nel cuore anche perché Riva non solo ha accettato nonostante diverse pressioni per essere intervistato da me, ma si è prestato con grande simpatia ed ironia al modo con cui solitamente faccio le mie interviste. Non saprei cosa aggiungere, se non che mi auguro che quel giorno possa ritornare, e che il Cagliari regali ai suoi tifosi se non uno scudetto, già da quest’anno l’ingresso in Europa. La squadra attuale deve tornare con la memoria indietro nel tempo per poter prendere esempio dai giocatori eroi del 1970 che anche senza ingaggi astronomici non sono mai venuti a meno con il loro dovere, quello di onorare la propria maglia e rendere giustizia, almeno nel calcio, al popolo sardo. PAOLO PODDA Presidente Cagliari Club Pozzomaggiore (SS) In quegli anni ero uno dei tantissimi emigrati sardi che lavora-
va fuori dall’isola. Assieme ad un amico, Sergio Gessa, decisi di andare ad assistere a Juventus-Cagliari. Durante il viaggio subimmo un continuo sfottò, la loro speranza era quella di batterci e ridurre ad un solo punto il distacco in classifica. Devo comunque ammettere che era uno “sfottò sportivo”, mai pesante, anche perché erano consapevoli che la nostra era una squadra molto forte. Entrammo allo stadio insieme ai tifosi della Juventus non senza qualche sofferenza, prendemmo posto nel settore distinti in uno stadio strapieno. La gara terminò 2-2 e per noi sardi il viaggio di ritorno fu dolce, lo sbefeggiare terminò, e in cambio apparvero fiaschi di vino e del buon salame. Quelli erano veramente bei tempi. Era il 15 marzo 1970.
GIORGIO ADAMO Assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Cagliari Ventidue anni, milite assolto allo stadio per vedere la mia squadra del cuore. Si andava allo stadio in cricca, per dirla alla sarda, ma non ricordo di aver mai pagato un biglietto: gli stratagemmi escogitati erano tanti, e tutti molto efficaci. Il primo, quello di possedere un abbonamento “fatto in casa”, i colori erano certamente il rosso e il blu, ma magari un po’ sbiaditi perché la tua stampante non era proprio il massimo. E allora quel controllore sbadato dell’ingresso che non notava la differenza si ripagava con l’acquisto di una caciotta. Andare allo stadio era un evento, borse con panini e bibite da casa, e se facevi amicizia con qualche altro spettatore, potevi assaggiare un pezzo di maialetto o del pesce arrosto. Il giorno dello scudetto lo ricordo come se fosse ieri, quel giorno anche il mio cane vestito con la maglia rossoblù sfilò per le strade. Il glorioso Amsicora non aveva mai visto una festa così grande. ALBERTO CASULA Tifoso iscritto al Cagliari Club di Desulo Avevo dieci anni quando portammo a casa lo scudetto. Abitavo vicino a piazza d’Armi e per noi - mia sorella e miei fratelli, gente barbaricina - la squadra rossoblù fu il primo motivo di integrazione. Ci trovavamo a condividere gioie e dolori calcistici con tutti i tifosi, a prescindere dalle abitudini cittadine. Quell’evento fu il sigillo dell’unità del popolo sardo, la superiorità di chi sbarcava dal “continente” smetteva di esistere: il Cagliari era una squadra di valore tanto, e forse più, di quelle del Nord, e dal 12 aprile non fu più solo una nostra convinzione. In quella speciale domenica fummo invitati ad un pranzo a Dolianova. Dopo il pranzo si andò in una tenuta di campagna tra agrumi, ulivi e piante fiorite, ascoltando felici la colonna sonora del 1970 “La prima cosa bella” di Nicola Bari. Quel giorno il Cagliari trionfava contro il Bari, e mai la primavera mi sembrò così rigogliosa. PIER STEFANO PORCU Vicepresidente Cagliari Club di Tissi Avevo undici anni allora, ora ne ho cinquanta ma trentanove anni non sono certo sufficienti per cancellare i ricordi. Organizzammo una sfilata in bicicletta per le strade della città: unico requisito, possedere la bandiera del Cagliari, la più grande che avevi in casa andava bene, da far svolazzare per la città. La gente, come impazzita, festeggiò fino allo sfinimento.
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Quel grande Cagliari ha saputo regalarci questo: un bellissimo periodo.
CLAUDIA SINI Tifosa I ricordi più nitidi? Facile. Una corsa a perdifiato per via Milano, abbracciando orgogliosa il mio album delle monete con le effigie della squadra campione d’Italia, appena completato, e un paio di stivaletti in vernice rossa inaugurati allo stadio. Poi avevo trovato Martiradonna, rarissimo, prima di mia sorella. Mi sentivo una bambina molto fortunata, grazie a Martiradonna nel mio album. A sei anni, sono eventi che non scordi tanto facilmente e avevo la sensazione che quell’aria di festa fosse destinata a non finire mai.
FRANCO MELONI Consigliere Regionale Ecco il punto di vista di un sardo juventino che ricorda lo scudetto del Cagliari con un poco di sofferenza, dato che quel titolo fu strappato proprio ai bianconeri. Ricordo lo scontro decisivo di Torino con i due rigori più o meno inventati da Lo Bello, mio figlio che ha 15 anni non capirà mai cosa vuol dire essere aggrappati disperatamente ad una radiolina a transistors sospirando ogni volta che la voce del radiocronista sale di tono. Alla fine fu da un lato una delusione ma, naturalmente, da sardo innamorato della sua terra c’era anche l’orgoglio di una straordinaria conquista sportiva che era un poco patrimonio di tutti noi, persino degli juventini. Speriamo che i rossoblu ce ne portino un altro molto presto, ce ne sarebbe proprio bisogno. Tanto più che questa volta il piacere sarebbe doppio perché, visti i tempi, lo porterebbe via agli indossatori di scudetti altrui, non certo alla Juve. GIANNI COVONE Direttore delle Cantine di Dolianova La vittoria sul Bari e la concomitante sconfitta della Juventus a Roma con la Lazio sanciva matematicamente con due giornate di anticipo la conquista del glorioso scudetto del Cagliari. Quel pomeriggio anch’io ero presente sugli spalti dell’Amsicora, competo all’inverosimile; ricordo perfettamente l’improvvisata banda musicale, gli squilli di tromba, l’irrefrenabile entusiasmo e la pacifica invasione finale del campo degli spettatori a gioire con i loro beniamini.Di quella giornata conservo una sensazione particolare. Infatti mio padre, Maresciallo della Questura di Cagliari, da diversi anni era tra i responsabili del servizio d’ordine pubblico allo stadio ed in particolare accompagnatore ufficiale dell’arbitro. Era un’istituzione in quanto ogni domenica, ritualmente, precedeva l’uscita delle squadre dal sottopassaggio; era lui in effetti a dettare i tempi del primo applauso che salutava l’ingresso in campo della squadra del cuore. Tra i tanti cimeli avuti la maglia numero 10 consegnatagli da Greatti proprio alla fine di quella partita. Quella maglia intrisa del “sudore” dello scudetto la conservo ancora con tanta cura perché ricordo di un prestigioso exploit, ma anche perché testimonianza dell’affetto, della simpatia e della stima che tutto l’entourage del Cagliari Calcio regalava a mio padre Alfonso, mitico Maresciallo Covone (mi piace ricordarlo così ora che non c’è più), anche lui uomo di spogliatoio e garante della sicurezza dello storico stadio Amsicora dalla Serie C allo splendido Scudetto.
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JEFF ONORATO Campione di Sci Nautico Ricordo con quanto orgoglio seguivo i successi della mitica squadra di Scopigno, Riva, Nenè, Domenghini, e tutti gli altri campioni che facevano parte del nostro grande Cagliari. Con l’entusiasmo dei miei 18 anni interpretavo quelle vittorie come se fossero un marchio doc per la nostra regione, come se rappresentassero il carattere e la capacità del popolo sardo che, armato di passione e volontà piuttosto che di potere, è riuscito ad aver ragione nei confronti delle armate juventine e milaniste. Oibò! Tutte le volte che parlo di sport finisco sempre per dare rilievo ai contenuti, perché sono convinto che le vere vittorie sono solo quelle che si costruiscono con i giusti valori, senza trucchi e senza inganni, e quel gruppo di amici rossoblu i valori ce li avevano tutti giusti. Grazie magico Cagliari per avermi fatto sentire così…così orgogliosamente sardo! GIOVANNI COLUMBU Regista La figura di Gigi Riva mi ha sempre affascinato. Anche se non sono mai stato un gran tifoso di calcio, ai tempi d’oro della squadra cagliaritana era impossibile non essere partecipi di quelle sue imprese che lasciavano tutti a bocca aperta. E lui appariva oltre come uno straordinario atleta ed un uomo ammirevole, tutto d’un pezzo, schietto e leale. Fu proprio a lui che pensammo, io e il regista Antonello Cara, per l’interprete di un film di genere banditistico che stavamo scrivendo. Il ruolo che avremmo voluto proporgli era quello dell’eroe che alla fine sgomina i cattivi. Il film restò sulla carta, ma ancora oggi credo che sarebbe stato grande in quella parte.
GRAZIANO CAMPUS Avvocato della Presidenza della Giunta Regionale Mi trovavo nell’incantevole parco regionale dell’Alto Appennino Modenese, sulla cima dell’Alpe Tre Potenze, a 1950 metri di altezza. Ma nulla poteva fermare il boato di esultanza dello stadio Amsicora quel giorno, che arrivò anche in quel posto desolato, tramite una piccola radio transistor, rompendo il silenzio fatato in cui ero immerso. Ricordo soprattutto il sussulto del cuore, il brivido di commozione e il sentimento di orgoglio, fierezza e riscatto sociale, che hanno accompagnato quel magico Scudetto. CLAUDIA ZUNCHEDDU Consigliera Regionale Negli anni dei grandi successi del Cagliari, amavo lo sport e praticavo tutto ciò che mi capitava, dall’atletica alle arti marziali, fino al tennis. Erano gli anni in cui consapevolmente mi preparavo alle esperienze automobilistiche nei deserti africani e del mondo. Ma l’amore indiscusso per lo sport mi portava a vivere soprattutto le glorie del Cagliari: quelle di Gigi Riva, non solo come successo agonistico della squadra sarda, ma molto di più. Quelle vittorie rappresentavano per me momenti importanti di riscatto del nostro popolo. Devo, come sarda prima che come sportiva, un immenso grazie a Gigi Riva. GIORGIO CUGUSI Consigliere Comunale Del mio esame di licenza media, giugno 1969, ricordo solo l’ultima domanda del professore di matematica: i nomi dei giocatori del Cagliari campione d’Italia. Li ricordai tutti ma sbagliai l’ordine. Il professore mi fece notare l’errore.
ETTORE BUSINCO Vice Prefetto, Consigliere Comunale Avevo tredici anni. Ricordo un grande corteo di tifosi in festa percorrere la via Bacaredda, accompagnando un carro in cui svettava enorme la statua di Gigi Riva. Si respirava un’aria di trionfo non solo sportivo, ma anche sociale. Una gloria che dopo quarant’anni ancora riempie l’animo dei sardi.
GIOVANNI CURRELI Tifoso del Cagliari Club Ho dei ricordi bellissimi, era un calcio migliore di quello di oggi. In quel periodo in Sardegna si stava bene, la nostra regione era in fase di crescita e anche la classe operaia a cui appartenevo stava bene. La Costa Smeralda iniziava a essere conosciuta da tutti e la conquista dello Scudetto fu un trampolino di lancio per il turismo. Il Cagliari era una squadra temuta e rispettata da tutti, con campioni del calibro di Riva, Domenghini, Albertosi, Nené e dell’amico Tomasini, a cui noi tifosi eravamo e siamo ancora legatissimi. Concludo con il mio ricordo più bello di quell’anno, vedere un’intera isola, da nord a sud, per tanti giorni in festa rimane un’emozione unica. MASSIMO FANTOLA Leader dei Riformatori Per me era una domenica particolare: il giorno che precedeva l’esame di Idraulica, al cui solo ricordo mi tremano le vene dei polsi. Sulla mia scrivania, stracolma di libri, appunti, formule e teoremi, troneggiava una radiolina sintonizzata sulla trasmissione “Tutto il calcio minuto per minuto”, ma rigorosamente spenta. Mi ero ripromesso di non accenderla e, con una volontà teutonica, sino a quel momento avevo resistito. La città, viceversa, con il fiato sospeso, era ipnotizzata dalla voce di Sandro Ciotti. Dalla finestra si sentivano i passi di qualche solitario passante. Un silenzio surreale avvolgeva la stanza quando, all’improvviso, un urlo di esultanza sovrumano ruppe l’incantesimo. Mi feci forza e continuai a spaccarmi la testa sul teorema di Bernulli e dintorni. Poi udii in lontananza un clacson che ritmava l’inconfondibile “Forza Cagliari”, poi un altro, e via via un concerto di clacson accompagnato da un frastuono di grida, trombe, trombette, fischietti e tamburi. La mia concentrazione era oramai morta e sepolta, ma un residuo di testardaggine mi teneva incollato sui libri. Fu in quel momento che, non so ancora bene come, forse con la provvidenziale complicità di mia madre, la stanza fu invasa da un manipolo di amici, letteralmente fuori di testa e avvolti in bandiere rossoblu. In un battibaleno fui trascinato giù per le scale. Non dimenticherò mai il parapiglia che mi travolse appena fuori dal portone, l’entusiasmo che, immediatamente, mi conquistò, lo spontaneo corteo che mi condusse sotto la statua di Carlo Felice, e le ore passate in giro per la città con le bandiere al vento, sul sedile posteriore di un motorino guidato da un ragazzo sconosciuto e che non ho mai più rincontrato. Tornai a casa a notte fonda, stravolto dalla fatica. Chiusi i libri e mi buttai sul letto. La mattina dopo mi presentai in facoltà, ancora sconvolto ma puntuale, in attesa del professore. Aspettai invano. Quella mattina non arrivò. Forse si rigirava nel letto anche lui ancora tramortito da una folle notte rossoblu? Non lo seppi mai.
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LEONARDO TILOCCA Presidente del Centro di Coordinamento dei Cagliari Club Nell’anno dello Scudetto, allo stadio andai una sola volta, in occasione di Cagliari-Roma (1-0 con gol di Nené). Il ricordo di quella giornata è emozionante: ero vestito con la casacca della squadra, quindi di bianco con la banda trasversale rossoblu. Andai con mio fratello e mio padre, e avevo sette anni. L’atmosfera era bellissima, qualcosa di unico. Una cosa che mi ha colpito tanto, tra i numerosi ricordi, è la straordinaria forza che Gigi Riva possedeva: durante Cagliari-Varese, Rombo di Tuono calciò una punizione contro la barriera, e l’uomo colpito dovette uscire dal dolore. Altra partita, Cagliari-Milan, stessa storia. Questa volta il tiro di Riva impattò contro il mitico portiere Cudicini; purtroppo per lui, visto che la pallonata gli procurò la lussazione della spalla. Insomma, anche a soli sette anni si poteva cogliere l’essenza di una squadra delle meraviglie come il Cagliari dello Scudetto, e da allora non ho mai smesso di tifare i rossoblu.
TORE SABA Capo storico e dirigente del Centro di Coordinamento dei Cagliari Club Mi ricordo tutto di quel giorno, certi particolari non si scordano mai. Non è facile neppure spiegarle certe emozioni, è come quando aspetti un figlio, se non ne hai uno non capirai mai cosa si prova. Cagliari ubriaca di felicità e una festa lunga tutta la notte, la gente correva a strappare pezzettini del campo erboso per riporli dentro i fazzolettini e portarli a casa come reliquia di quella mitica impresa. Un giorno, mentre andavo alla fiera con amici, chi incontro per strada? Riva e Franco Izzo, cui porgo una foto di Colombo (il portiere rossoblù) e chiedo un autografo. Era il suo primo anno al Cagliari e perfino lui si stupì di essere già diventato famoso. Ancora oggi, con Riva conservo un rapporto particolare. Lo scudetto fu proprio una bella soddisfazione.
PIERINO CONGIA Ristorante Il Nuraghe - Milano Sono sardo, ma per motivi lavorativi ho passato una vita intera a Milano. Gestivo il ristorante “Il Nuraghe”, e i giocatori del Cagliari li ho conosciuti proprio così, seduti alla mia tavola dopo le partite. Spesso si trattenevano quasi tutta la notte o fino a sera tarda per aspettare l’orario del volo, visto che prima i voli non avevano la stessa frequenza di oggi. Per me che abito a Milano, dove da sempre sono passati grandi giocatori, lo scudetto è stato qualcosa di troppo importante, una rivincita morale: io, sardo in terra straniera, ero campione d’Italia. Il 1970, impossibile da dimenticare.
ERACLIO MASALA Presidente Club Ospedale Brotzu Il Cagliari lo seguivo da sempre: ogni giovedì mancavo da scuola per sgattaiolare allo stadio e poter vedere gli allenamenti dei giocatori: solo così potevo sperare di agguantare qualche autografo. E lo scudetto, proprio il 12 aprile, il giorno del mio compleanno, non può essere solo una coincidenza. Ovviamente ero allo stadio, con mio sorella e mio cognato ed una bandiera rossoblù dalle dimensioni spropositate, tanto da coprire l’intera macchina. E poi, ricordo il banchetto formato stadio: maialetto, vino e pesci arrosto, noi lo stadio lo vivevamo così.
S EMILIO FLORIS Sindaco di Cagliari Ero a Londra per studio, collaboravo in un ospedale di ebrei per la precisione, quindi non ho potuto condividere questa gioia con nessuno. La notizia mi è arrivata grazie alla Tv, gli inglesi con noi hanno in comune la passione per il calcio. Neppure per loro una notizia così rivoluzionaria poteva passare inosservata: la piccola squadra di periferia si piazzava davanti alle grandi come Inter, Juve e Milan. Era il tempo dei giocatori sardi in Nazionale. Quello scudetto ha rappresentato una rivincita per la città e Riva è stato in qualche modo il sigillo di un’eroica impresa. Per questo, la giunta ed io, siamo stati orgogliosi di conferirgli la cittadinanza onorario. Un riconoscimento dovuto.
SANDRO CORSINI Presidente Consiglio Comunale Cagliari Sono stato venduto al Cagliari, dall’Uragano Pirri, nel 1962. Quel periodo l’ho vissuto come tifoso, ma prima ancora come sportivo. Facevo parte della Di Martino del Cagliari, quindi ho respirato quell’aria di scudetto a pieni polmoni, mi capitava spesso di fare qualche allenamento con loro, con Riva, Caocci e gli altri. Tutte le circostanze sembravano sorriderci: il richiamo di Scopigno, l’abile scambio della “volpe grigia” con Boninsegna, e il Cagliari che rimbalza in tutto il mondo da giornale a giornale. Nel ’70, poi, mi sono spostato e direi che non tutti possono vantare uno scudetto come regalo di nozze.. GIORGIO ALBERTAZZI - Artista, gigante del teatro con il pallino per il calcio Ricordo con piacere giocatori come Di Stefano e Rivera. Ed oggi Del Piero racchiude genialità e forza fisica, qualità che tutti i giocatori dovrebbero avere. Ma uno su tutto mi è rimasto impresso, il magico numero 11 della formazione rossoblù. La formazione campione d’Italia e il mitico Gigi Riva avevano proprio la stoffa dei fuoriclasse. Indimenticabili le sue gesta e il suo fulmine mancino. Il più formidabile giocatore che abbia mai visto giocare.
MAURO GIORDANI Tifoso del Centro di Coordinamento Cagliari Club Sono un cinquantenne romano che, circa trenta anni or sono, decise - come hanno fatto tanti giocatori del Cagliari dello scudetto - di rimanere a vivere in Sardegna... Per sempre, come recita anche il titolo del mio libro, uscito alcuni anni fa. Ricordo che l’idea di immortalare con un volume le gesta di Gigi Riva e del suo Cagliari fu un’esperienza entusiasmante che partì con uno scrupolo personale, perché pensai di usurpare qualcosa che appartiene, in maniera intima, solo ai sardi: a quelli che vivono in Sardegna e a quelli che, a mio avviso meno fortunati, spendono la loro esistenza tra il duro lavoro e la nostalgia dell’Isola, nel nord Italia o addirittura in Paesi esteri. Per chi non conosce appieno o non ne divide il quotidiano, è difficile comprendere quanto il tifoso sardo consideri la squadra del Cagliari molto più di un semplice fatto sportivo. Alla fine superai le perplessità iniziali convincendomi che sono diventato sardo anch’io...
RICORDI D’AUTORE
GIGI R Testo Mario Frongia
Taciturno, riservato, umile. Questo e molto altro era, ed è, il ragazzo di Leggiuno. Il bomber dal sinistro magico che sceglieva la tranquillità di Flumini per passare il dopo partita. Un legame forte, indissolubile con la Sardegna, più forte dei miliardi delle grandi squadre del nord.
e
ra il 1995, e l’Italia era in terra americana, terra di sogni e speranze da sempre. Sull’avventura degli States circola un ricordo particolare. Un breve flash. Il consueto allenamento volge al termine, è giunta l’ora delle punizione dal limite. Di lì a pochi giorni ci sarebbe stata la Spagna. Arrigo Sacchi e un manipolo di dirigenti assistono in silenzio. Tra questi c’era anche lui, mister sinistro. Emblema del calcio di qualità, Gigi Riva è in tuta, perché vicino al campo verde lui stava così, in canadese, che magari scappano due tiri. La giacca con lo stemma del Federcalcio è rimasta in albergo. Qualcuno ci prova, domanda un tiro dall’incrocio e lui dice di sì. Quell’uomo che batte di collo pieno dal limite dell’area è Rombo di Tuono. Riva, all’epoca cinquant’anni, sembra far scoppiare ancora il pallone Diadora, come nella sua Cagliari dove ogni corner era una saetta. Nei cortili di tutto il mondo, in tutte le partitelle tra amici il suo tiro è indimenticabile. Ma soprattutto stupisce la sua capacità di mantenere intatto il rispetto, sul campo con il pallone, e
fuori per scelte e comportamenti. Tutti in quella fresca serata americana, andarono sotto la doccia un po’ più tardi, per seguire avidamente le bombe di Gigi Riva di Leggiuno. Una foto sportiva, schegge di un mito che è, e rimarrà, indissolubile. Il cavalier Luigi Riva è nato in quel paesino a due passi da Legnano. «Un posto dove da ragazzino c’era spazio solo per Coppi e l’Inter», come l’ha descritto lui. Numeri, come quelli su goal e presenze in Nazionale, su vittorie e partite da incorniciare per generazioni di italiani, calciofili e non, che conoscono e si tramandano con affetto. Sì, perché i miti (e Gigi lo è) godono dello status di privilegiati e si alimentano di attenzioni continue che viaggiano sulle corsie della venerazione. Per gli Italiani Riva non ha eguali. La maglia numero undici è sua, in tutte le formazioni ideali, di tutti i tempi. E aveva ragione Pelè, che rispose così a chi gli chiese una valutazione: «Ma l’avete mai guardato negli occhi quando scatta palla al piede?». E Riva a dire che O’Rey era un amico. Ecco, Riva era così sul campo, riservato e taciturno, caratteristiche della sua umiltà. Una qualità che sembra intrecciata alla sua vita, tra le sofferenze di chi ha conosciuto la povertà ritrovandosi orfano fin dall’adolescenza, guadagnandosi da vivere montando ascensori, dicendo no a qualcosa che oggi suonerebbe incomprensibile e nessuno capirebbe: l’amicizia e il rispetto. Riva faceva tripletta e sfuggiva ai giornalisti per rifugiarsi dall’amico Martino Rocca e le sue fritture, i suoi gamberoni arrosto. Riva riceveva inviti
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RIVA da ogni angolo di paradiso terrestre, in Sardegna c’è ne sono tanti, ma preferiva la tranquillità di Flumini di Quartu, o la sabbia di Santa Margherita a Portofino, via Dante a via Condotti. Ai miliardi ha sempre preferito il quieto vivere, il poter scegliere senza ansie a chi dire sì e a chi dire no. Il patto siglato da questo lombardo con la nostra terra e le nostre abitudini, quel modo tutto sardo di capire e non chiedere, aiutare a non pressare, ci ha sempre lusingato. È un abbraccio che culliamo con amore. L’Amsicora, lo scudetto, la coppa Europa, quel Carlo Felice con la maglia rossoblù, e quel numero magico sulle spalle, sono le foto più belle. Ma Gigi Riva è per tutti noi uno stile ineguagliabile, un’idea di militanza che va otre il risultato sportivo. Un uomo che vorremmo aver visto di più con le scarpette ai piedi. Un esempio che continua a non avere rivali. Grazie e auguri Gigi Riva. Chi ti conosce bene sa che mentre il mondo ti cercava, tu chiedevi ai tuoi figli l’esito dell’ultimo compito in classe.
CIN CIN CON IL ROMBO DI TUONO Ora anche un’etichetta per festeggiare il bomber
In Sardegna, l’uva diventa mosto e il mosto diventa vino, accarezzato dalle premure dei viticoltori isolani, coccolato dal clima, dal vento e da un sole benigno. Il vino è sinonimo di Sardegna, e sulle nostre tavole non può di certo mancare: che sia rosso, bianco o rosato, il vino nelle giuste dosi insaporisce i nostri pasti, a dispetto di qualche pazzo che ha proposto la dicitura ”Nuoce gravemente alla salute”. Produciamo 46 milioni di ettolitri l’anno e ogni bicchiere porta il sapore della nostra terra, paesaggio e coltura: questo è il sapore del vino Made in Sardegna. E quando la tradizione si unisce alla sport, qualche volta nascono profumi inebrianti di storia e sapori. Storia di un magico Cagliari, quello della stagione ’69/‘70, e sapori di una terra, la nostra, che ci vizia con il suo corposo e caldo vino. Tra le fila della formazione c’era anche lui, Gigi Riva, monolitico emblema del calcio targato Sardegna, Rombo di Tuono per i suoi fan. Ed è questo il nome del vino a lui dedicato, un raffinato ed impetuoso “Cannonau”, dal sapore deciso come lui e profondo come la sua Sardegna. Il “Centro di Coordinamento dei Cagliari Club” lo proporrà anche in occasione dei vicini festeggiamenti per i quarant’anni del Cagliari. Una sola passione, il calcio, un solo vino, il Cannonau, testimonial delle eccellenze dell’isola.
RICORDI D’AUTORE
RIVA DEL ALLA RI EL MITO Testo Ignazio Argiolas
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ono passati quarantasei anni da quel magico 1964 che ha portato il Cagliari targato da Arturo Silvestri nell’olimpo del calcio italiano. Era il periodo del ginnasio, il mio Siotto Pintor, in piazzetta Dettori, e delle discese a piedi verso il ristorante Corallo, dove si serviva il cibo e si mescevano le bevande degli dei del pallone. La più grossa ambizione era quella di andare allo stadio Amsicora e seguire gli allenamenti del Cagliari, vedere da vicino Angelo Colombo, i due Mario della difesa, Tiddia e Martiradonna, Miguel Longo, Ricciotti Greatti, Franco Rizzo, e tutti gli altri fino a Luigi Riva, astro nascente del calcio italiano. Nel firmamento del calcio, stava nascendo una stella d’incomparabile luminosità. Da tifoso, ho seguito tutta la sua luminosa carriera, un allenamento dopo l’altro, partita dopo partita in casa, apoteosi con scudetto nelle trasferte del nord dell’Italia. Da qui il ricordo dei suoi gol più belli,
da quello di destro contro la Juventus, rigorosamente lato curva nord, alla «bomba da 110 km orari» segnata al gigante Cudicini, portiere della Roma, lato sud, dalla rovesciata d’antologia al Menti di Vicenza, fino al gol in tuffo di testa al San Paolo di Napoli - con la maglia della Nazionale - nella porta della Germania Est. Ricordo anche un gol sublime realizzato a San Siro, all’Inter di Mazzola, la domenica precedente l’infortunio patito al Pater di Vienna: Burgnich è steso dall’esplosività di Riva, al limite dell’area di rigore, in posizione centrale, con la mano protesa ad afferrare il piede magico del bomber, con Picchi in seconda inefficace battuta, entrambi impotenti davanti a tanta potenza che, puntualmente, gonfia la rete. E poi Juventus-Cagliari, arbitro Lo Bello di Siracusa, con un 2-2 acciuffato per i capelli grazie ad un rigore per fallo di Morini su Riva, visto dal più grande dei fischietti italiani di tutti i tempi. Per non parlare di Torino-Cagliari, 0-4 alla fine, vigilia della
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partenza della Nazionale ai Mondiali in Messico, con i rossoblu ormai aritmeticamente Campioni d’Italia, in un tripudio di bandiere sventolanti: quarantamila tifosi rossoblu e adrenalina alle stelle! Un Cagliari che avrebbe potuto vincere almeno tre scudetti consecutivamente, come mi ha confidato Aldo Bet (ultimo difensore del campionato italiano a marcare Gigi Riva, quando giocava nel Milan). L’affermazione di Bet non è piaggeria, ma giusto riconoscimento morale ad una squadra che poteva vantare un certo Luigi Riva che tutte le altre squadre non avevano. Lo stesso Riva che è entrato nella leggenda grazie a 35 gol segnati in 42 presenze in Nazionale, trascinando letteralmente gli azzurri agli Europei di Roma nel ‘68 ed ai Mondiali
Sulle maglie del Cagliari Calcio, dal 9 febbraio 2005, non possiamo più vedere il numero 11. Ma la fiamma del mito del campione che tutti ci hanno invidiato continuerà ad abbagliare nel museo del calcio a Coverciano. in Messico nel ’70, e che ha vinto per tre volte la classifica cannonieri con ben 205 reti con la maglia del Cagliari. Da quella partita del 1976, della quale fa cenno Aldo Bet - che io vidi da spettatore dalla curva sud - «quando Gigi, col suo stile inconfondibile, nel nostro terzo difensivo si è portato il pallone verso l’esterno del campo e si è infortunato cercando di raggiungerlo», il nostro campione non ha più giocato a calcio. Il fatto di non aver più giocato da quel momento non ha certo cancellato dalla memoria visiva dei tifosi, sia sardi che di tutta l’Italia, la nobiltà della figura di quest’inimitabile campione. Tutt’altro! Neppure il suo carattere schivo e, a volte, scorbutico ha scalfito la stima che si era creata intorno alle sue gesta calcistiche tanto da consacrarlo agli occhi di tutti un
eroe di cui non si doveva perdere il ricordo. La leggenda Riva è stata definita in diversi modi, a suon di gol e di definizioni che la letteratura sportiva aveva coniato per lui: come dimenticare il soprannome Rombo di Tuono che Gianni Brera, il più gran giornalista sportivo italiano, inventò per dipingere il mito delle gesta di quest’eroe del pallone. A consacrarlo eroe ed esempio per tutti, non erano soltanto i semplici cittadini tifosi, ma anche le più alte cariche dello stato. Anche di questo sono stato buon testimone, quando andai a Montecitorio assieme a Riva, Cenzo Soro, Enzo Molinas, Nenè, Franco Congiu e tutti gli altri istruttori del nascente “Centro Addestramento Riva”, per perorare la causa del “Progetto Centro Addestramento Riva”. Io mi resi conto di essere alla presenza di quell’antico eroe che Gianni Brera decantava in modo epico in tutti i suoi articoli, solo quando, nell’occasione della visita a Montecitorio, l’onorevole Evangelisti, alla notizia della presenza di Riva, interruppe i lavori del Parlamento italiano per rendere omaggio al mito del più gran realizzatore azzurro di tutti i tempi! La notizia del regalo a Riva della maglia numero 11 del Cagliari che il presidente del sodalizio rossoblu, Massimo Cellino, diede in conferenza stampa al ritorno dalle vacanze di Natale 2004, è stata forse la ciliegina sulla torta, ultimo attestato di stima e, per questo, forse più gradito a Luigi Riva. Sulle maglie del Cagliari Calcio, dal 9 febbraio 2005, non possiamo più vedere il numero 11. Ma la fiamma del mito del campione che tutti ci hanno invidiato continuerà ad abbagliare nel museo del calcio a Coverciano. La prima convocazione in Nazionale, nel 1962, aveva aperto le porte di quella che sarebbe diventata la seconda casa di Luigi Riva. Il fatto che il Cagliari, la sua prima casa, gli abbia fatto questo regalo, per Riva e per tutti coloro che lo hanno sempre stimato sia come atleta che come uomo, rappresenta un momento veramente speciale. Grazie a questo riconoscimento, dopo quasi trent’anni da quell’ultimo giorno in campo - dopo Baresi e Maratona - Luigi Riva entra nella leggenda. La sua maglia è, a pieno titolo, parte fondamentale del museo del calcio.
Michele Pio Ledda - Autore Qui sotto, la sua dedica al Cagliari dello Scudetto. Una terra che balla Io, quel giorno, sono un ragazzino barb ricino che è partito da Nuoro con un pullman, pigiato tra altri che cantano Battisti e “Non potho reposare”. Io, quel giorno, ho una sola cosa in testa, vedere Gigi. Io, quel giorno, sono un ragazzino che a fine serata non lo sarà più. Sono diventato un uomo, senza aver amato una donna, senza aver accoltellato un amico, senza essermi sbronzato, senza aver sparato ai lampioni del mio paese. Sono diventato un uomo quando ho visto la Terra ballare e Dio suonare organetto e launeddas sopra il sacro suolo dell’Amsicora, visto gli dei davanti a noi e ancora visto la mia terra ballare a ballu tundu. Non lo chiamerò col suo nome, quel giorno d’aprile, troppo comodo e scontato. Per me, parlo solo per me, quel giorno abbiamo sconfitto i Mori. E la grande Spagna. E i Savoia. E gli altri che ci hanno preteso e conteso fino a quel giorno in cui, in 90 minuti, li abbiamo sconfitti tutti. Per sempre. Una volta per tutte. Poi avrebbero vinto per mille volte ancora, ma quella ferita non l’avrebbero mai rimarginata. Noi abbiamo avuto una sposa vergine ed un amore puro: tutto il resto è solo il resto. Quel giorno è stato tutto. Aprile 1970, primavera, la mia anima c’era.
La storia del Cagliari dalla metà degli anni Sessanta ad oggi, arricchita da statistiche, curiosità, approfondimenti sui personaggi simbolo e interviste. Quarant’anni al seguito di una squadra, seguita prima con gli occhi del tifoso e poi con quelli del cronista, Massimiliano Morelli narra le gesta del Cagliari dalla prima promozione in A, avvenuta poco prima della metà degli anni Sessanta, agli inizi del nuovo millennio, passando, e soffermandosi, per uno scudetto che ne vale dieci della Juventus, i gol e gli infortuni di “Rombo di Tuono”, le illusioni e le sconfitte, le promozioni e le retrocessioni, l’inferno della serie C, “El Flaco” Francescoli, e il gigante di Oliena, Gianfranco Zola. Il libro (Fratelli Frilli Editori, 142 pagg., € 7,50) non ha la presunzione di entrare nello specifico, ma il desiderio di fermare il tempo, immortalando alcuni passaggi indimenticabili per la vita del tifoso cagliaritano, emblema del supporter sacrificato più di ogni altro, fra trasferte impossibili, o quasi, aerei, treni e traghetti sempre in ritardo.
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C’è un’usanza a Cagliari: quando la squadra di calcio vince, la statua di Carlo Felice, in piazza Yenne, viene vestita di rossoblù. Accadde per la promozione dalla serie B e, ovviamente, per lo scudetto del 1970, anno di gioia e festa. Qualcuno in città, non ha nemmeno idea di chi sia raffigurato in vesti da antico romano in piazza Yenne, o magari è convinto che si tratti di un tifoso, di uno sconvolts della curva nord. E per questo gli vuole bene. Qualcun altro, invece, crede che quel monumento bronzeo sia felice - di nome e di fatto - perché il Cagliari, un tempo, vinse lo scudetto. Molti sperano che un giorno la statua del re piemontese verrà tolta e sostituita con quella di un altro quasi re... Giggirriva. Sì, forse arriverà quel giorno perché Gigi è stato l’ultimo vero eroe di questa terra antica. Un semidio del pallone, e in quanto tale destinato all’immortalità. Quel trionfale campionato di calcio del 1969-70, senza la sua presenza sarebbe stato come un’Iliade senza Achille. E quel mitico Cagliari, senza di lui sarebbe stato un magnifico arco privo di freccia. Giggirriva (all’anagrafe Riva Luigi di Ugo), per chissà quale bizzarro scherzo del destino, è nato vicino alla Svizzera, a Leggiuno, il 7 novembre del 1944. Ma in realtà lui è sempre stato sardo. Basta guardalo: ruvido, introverso, taciturno, testa dura e un po’ barros, quando occorre. Ma anche generoso, come pochi. La storia della sua prima giovinezza l’avrebbero potuta tranquillamente scrivere Charles Dickens o Victor Hugo: un’infanzia povera ma felice, trascorsa a rincorrer tordi nei boschi tra Leggiuno e Laveno. Ma non era un bambino come gli altri. No, Giggetto era segnato dal destino e lo si vedeva dal fatto che era sinistroso di piede e di mano. A scuola, questa sua diversità gli procurò bacchettate sulle mani: venne costretto a imparare a scrivere con la mano destra, ma tutto il resto, nella vita, lo farà sempre col piede sinistro. Quando il padre morì tragicamente in fabbrica, lui venne rinchiuso in un collegio e il pallone diventò l’unico sfogo. Il primo schema che memorizzò il ragazzo fu quello classico di ogni oratorio: tirare forte, verso la rete e… viva il parroco! E in quanto a potenza, lui tirava forte davvero. Quando uscì dal collegio si mise a lavorare in fabbrica. Montava bottoniere negli ascensori, ma appena poteva andava a giocare al football nei campetti. Lo chiamavano furcelina, cioè forchettina, perché era magrissimo, esile come una promessa. Iniziò a farsi notare nel Laveno Mombello, segnando valanghe di gol a squadroni come il Besozzo e il Tradate. Pare che abbia fatto anche un provino per l’Inter di Moratti… ma non lo presero. E poi dicono che il destino non esiste! Per 500.000 lire, furcelina venne ingaggiato, invece, dal Legnano, squadra di serie C. Giggetto iniziò a guadagnare qualche palanca, ma non ha la soddisfazione di dimostrare alla mamma che anche col pallone si può fare strada. Mamma Edis, infatti, muore proprio quell’anno, il 1962: una data fondamentale nel destino dell’imberbe semidio. Nell’estate di quell’anno, infatti, incontra Franz Fehrer, un ex portiere ungherese famoso per saper tirare i rigori, che era finito a Legnano col ruolo di preparatore atletico. Fu Fehrer a trasformare quel furcelina in un uomo fatto, con muscoli idonei al fussbal, come lo chiamava lui. Ma soprattutto, il 21 novembre, una squadra sarda che ancora non
immagina d’entrare un giorno nella leggenda, giunge a Legnano per un’amichevole. L’allenatore di allora, Sandokan Silvestri, voleva dare un’occhiata ad alcune stelline lombarde: c’erano, infatti, un tal Pereni e un tal Misani di cui si diceva molto bene. In realtà, durante quella gara gli occhi dei cagliaritani restano folgorati dal piede sinistro dell’ex furcelina da Leggiuno. Un piede destinato a lasciare impronte durature. Così, qualche tempo dopo, Omero Tognon, di mestiere osservatore, viene spedito ad osservare ulteriormente il giovane mancino, impegnato a Roma con la Nazionale per una qualificazione all’europeo. Per la cronaca finì 3-2 con gol-vittoria del nostro Giggetto. Sandokan e Arrica decidono di prelevare il ragazzino e portarlo sulla lontana isola. L’affare viene concluso rapidamente, perché intanto anche altre squadre si sono svegliate. Il Legnano si becca ben 37 milioni, non poca cosa per la serie B dell’epoca. A Riva - invece - la Sardegna non garbava: troppo lontana, troppo selvaggia, troppi gli aerei per raggiungerla. Il primo viaggio fu un’odissea: da Milano a Genova, da Genova ad Alghero, da Alghero a Cagliari. All’aeroporto, ad attenderlo c’erano Sandokan e Miguel Longo, quest’ultimo il capitano della squadra. I due dovettero subito rincuorare il fanciullo, che sentiva già nostalgia della nebbia. Giunto in albergo, quella sera Riva si affacciò alla finestra e, vedendo delle luci lontane, oltre il mare, pensò che fosse l’Africa quella là in fondo. Gli sembrò anche di sentire i cammelli al pascolo e le grida dei beduini. Beh, forse in geografia Giggetto non era una cima. Le luci che vide, infatti, erano quelle di Sarroch, forse quelle della casa di Mario Tiddia, suo compagno di squadra. Ma che ci volete fare? Per un ragazzo di Leggiuno la Sardegna doveva sembrare lontana come l’Africa! Dell’isola, Riva sapeva soltanto che era il luogo dove venivano mandati i funzionari di Stato quando la combinavano grossa. È curioso, ma proprio quando giunge Riva, le cose iniziano a cambiare sull’isola, e il luogo d’esilio inizia a trasformarsi in luogo di vacanze. Già da qualche tempo, infatti, arrivavano i panfili dei ricconi nella Costa Smeralda dell’Aga Khan. Riva poi resterà in Sardegna per sempre, all’inizio convinto da uno stipendio di duecentomila lire al mese, poi vinto da quel male che prende alcuni quando arrivano in questa vecchia isola e scoprono all’improvviso d’essere giunti nella loro terra, quella che avevano dentro da sempre, senza saperlo. La gente di Cagliari non è la migliore per accogliere i forestieri. I cagliaritani sono per natura spocchiosi e non amano mischiarsi. Fecero fatica anche ad accettare quel Riva - il quale, per giunta - minacciava il posto all’idolo locale, l’indigeno Tonino Congiu. Per farsi amare, Riva ripagò la gente con i suoi gol. Otto quel primo anno… e fu subito serie A. E poi ancora gol. Alcuni belli, senza troppi fronzoli, altri surreali, con acrobazie quasi impossibili, autentiche leggende da tramandare alle generazioni successive. Gol a grappoli. Gol come nessuno ne aveva mai visto:156 in 289 partite giocate in seria A, praticamente più di mezzo gol a incontro. Poi 35 in Nazionale, in sole 42 partite.
LA LEGGENDA GIGI RIVA
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1969/70
1969/70
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Correva l’anno 1967, e la Nazionale italiana era in cerca di nuova dignità dopo i mondiali del ‘66, quelli della disfatta contro la Corea. L’umiliante gol di Pak Doo lk - valido odontotecnico, ma calciatore di modestissimo valore - provocava ancora fitte di dolore nel cuore dei tifosi. Ai più esperti bruciava il fatto che il giovane Riva avesse visto la perfida Albione soltanto da turista. Herrera e Valcareggi, incaricati della ricostruzione nazionale, non mostrarono, almeno inizialmente, più lungimiranza del tragicomico Mondino Fabbri: si ostinavano, infatti, a mandare il semidio in panchina, preferendogli, forse per esclusive ragioni geopolitiche, un interista di nome Cappellini. Finalmente, arrivò anche il momento del sardo di Leggiuno. Si giocava a Roma, Italia-Portogallo, e Riva scese in campo con la maglia numero 9, cosa insolita per lui. Al nono minuto del secondo tempo, un’uscita del portiere Josè Americo travolgeva il centravanti lanciato a rete: il perone della gamba sinistra più preziosa del mondo si spezzava come un grissino. Lacrime, dolore, rabbia, paura, scoramento dei tifosi. L’unico che mantenne la calma fu Scopigno, giunto da poco nell’isola del suo destino. Pare che quando gli comunicarono che Riva aveva avuto l’incidente, il filosofo abbia risposto, allargando le braccia: «Che dire? Meglio a lui che a me...» Ma dopo cinque settimane Riva era di nuovo con i compagni ad allenarsi, ed ebbe un bel da fare il dottor Frongia per convincerlo che non doveva esagerare a darci col sinistro, che l’osso era ancora debole, che occorreva andar per gradi. Il semidio aveva voglia di ritornare in campo più grande e più forte di prima. E infatti, qualche tempo dopo, rimpossessatosi della sua maglia legittima, Riva guidò la Nazionale alla conquista di un titolo europeo. Poiché il Fato aveva riservato a Rombo di Tuono una gloria immortale, il sacrificio di una gamba non bastava, occorreva offrire ai capric-
Il soprannome Rombo di Tuono lo inventò il grande Gianni Brera, in una pagella del Guerin Sportivo: un appellativo perfetto per glorificare il più grande cannoniere che la storia patria ricordi.
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Molti li ha fatti di sinistro, ma non tutti: ha segnato anche di destro, di testa, di ginocchio, di natica, di gomito, di naso, di gengiva e di palpebra. Colpiva in tuffo, in rovesciata, in scivolata e in piroetta. Senso della rete e potenza, erano queste le qualità del semidio. Durante i mondiali messicani il giornale di Città del Messico El Heraldo (un milione e mezzo di copie di tiratura) dedicò al piede sinistro di Giggirriva l’intero paginone centrale. La forza devastante di quella zampa era capace di imprimere al pallone una velocità superiore ai 120 chilometri orari. Non c’è da stupirsi, quindi, se il 12 ottobre del 1970, una «stamborrata» di Riva spezzò il braccio del piccolo Danilo Piroddi, che assisteva incautamente all’allenamento della Nazionale ai bordi del campo romano dell’Acqua Acetosa. Da allora, il piede dell’ala sinistra venne considerato arma impropria e il calciatore fu inviato a denunciarne il possesso alla più vicina caserma dei carabinieri. Episodi, questo e altri, che danno l’idea della dimensione mitica assunta dal personaggio e dal suo piede. Il soprannome Rombo di Tuono lo inventò il grande Gianni Brera, in una pagella del Guerin Sportivo: un appellativo perfetto per glorificare il più grande cannoniere che la storia patria ricordi. Ma si sa, non può esserci solo gloria nel destino di un semidio: l’immortalità richiede lo scotto di un calvario e Riva… Riva ne ebbe anche più d’uno.
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ciosi dei anche l’altra. Per compiere il barbaro misfatto, il destino scelse un guerriero teutonico di nome Ronald Hof, di professione arcigno marcatore, nel Wiener Sportklub. Lui e Riva si erano incrociati nella Mitropa Cup del 1968-69 e se le erano date di santa ragione. Nella partita d’andata,
giocata in Austria, il semidio, stanco di pestoni e sgambetti, perse la calma e assestò un diretto al mento del crucco. L’arbitro, però, non vide bene che cos’era successo (gli arbitri anche all’epoca prendevano sonore cantonate) ed espulse Boninsegna. Hof, imprecò Odino e quell’ingiustizia se la legò al dito. La sua vendetta si compì il 31 ottobre del 1970. Si giocava al Plater viennese un’amichevole (si fa per dire) tra l’Austria e l’Italia. Riva, indebolito da una febbre, neanche avrebbe dovuto giocarla quella partita, ma Valcareggi, chissà perché, lo mandò in campo lo stesso, prevedendo di sostituirlo dopo un’ora o poco più. Valcareggi aveva di queste bizzare intuizioni, quando mandava in campo le sue squadre. Tutti ricordano la famosa staffetta tra Mazzola e Rivera ai mondiali in Messico, con il grande Gianni, già vincitore di un pallone d’oro, umiliato a giocare solo sette minuti della finalissima. Un’altra volta, dalla Nazionale che giocava a Cagliari contro la Spagna, il Ct pensò bene di escludere ogni giocatore rossoblù. Anche Ricky Albertosi, che a quei tempi era un titolare indiscusso. Così, oltre alla sconfitta, Valcareggi si prese anche qualche arancia in testa. Ma torniamo ad Austria-Italia. Si vinceva 2-1, con reti di Mazzola e De Sisti. Rombo di Tuono aveva tuonato quel che poteva e si appresta a salutare. Hof vide del movimento sulla panchina azzurra e capi che non poteva temporeggiare. L’occasione gli si presentò subito, perché Riva, invece di pensare agli antibiotici e alle coperte calde che l’attendevano negli spogliatoi, si lanciò testardo in un ultimo assalto. L’austriaco era in ritardo, ma con macellaia cattiveria entrò ugualmente, a forbice, da dietro. Si udì il rumore sinistro del perone destro che si spezzava e di parecchi legamenti che saltavano qua e là. Brutto infortunio, doloroso e atroce. Ma dolorosissimo e ancora più atroce, fu il destino di Hof, stroncato pochi anni dopo da un male terribile. Rombo di Tuono si riprese anche da quel secondo acciacco e continuò a essere grande. Ogni estate il tormentone sui giornali era: «Riva andrà via da Cagliari o resterà?» Un anno la Juve arrivò a offrire per l’ala sinistra addirittura un’intera squadra, più un bel gruzzolo di soldi. Alla Juve, Riva e al Cagliari… Bettega, Gentile, Musiello, Viola, Cuccureddu, Savoldi II e forse anche qualche altro. Non se ne fece niente, ovviamente. Il semidio, ormai, apparteneva all’isola sarda per sempre. Riva è per Cagliari quello che Pericle fu per Atene, Gengis Kan per le
tribù tartare e Maradona per Napoli. Segnando segnò un’epoca, e aiutò a realizzare un sogno fin lì impossibile. Del filosofo Scopigno era l’allievo prediletto, i due si guardavano con reciproca ammirazione, senza forse mai capirsi a fondo. Soleva dire Scopigno: «Riva, umanamente è un bel mistero...».
UN ANNO LA JUVE ARRIVÒ AD OFFRIRE PER L’ALA SINISTRA ADDIRITTURA UN’INTERA SQUADRA, PIÙ UN BEL GRUZZOLO DI SOLDI. [...] NON SE NE FECE NIENTE, OVVIAMENTE. IL SEMIDIO, ORMAI, APPARTENEVA ALL’ISOLA SARDA PER SEMPRE.
gli artefici del trionfo
Il mitico allenatore del Cagliari scudetto, Manlio Scopigno, raccontato attraverso gli aneddoti più curiosi dell’epoca. Genio ribelle, anticonformista, il filosofo è stato capace di esaltare le caratteristiche di Riva e di portare i rossoblu sul tetto d’Italia.
IL FILOSOFO DELLO SCUDETTO
D
Testo Massimiliano Morelli
Domenica 12 aprile 1970: il Cagliari è campione d’Italia. Un’impresa irripetibile, che rimarrà per sempre scolpita nella memoria degli sportivi sardi e che supera, per fascino e valori extracalcistici, decine di scudetti sistemati nelle bacheche di altri club più titolati. Lo scudetto di Gigi Riva, si disse all’epoca, e si continua a dire oggi, dimenticando alcuni ex campioni d’Italia. Angelo Domeghini, ad esempio, è uno di questi: migliaia di chilometri su e giù per la fascia destra del campo, e poi ricordato a malapena. E un altro è Mario Martiradonna, classe 1938, al quale l’allenatore un giorno disse: «Con quel cognome non arriverai mai in Nazionale. Ti chiamassi Martin, saresti titolare fisso». Proseguendo per un campione d’Italia come Comunardo Niccolai, figlio di un compagno (leggasi uomo di sinistra) che giocava anch’egli al calcio, ma che non ebbe la fortuna del figlio, al quale, sempre lo stesso allenatore, un giorno disse: «A che punto siamo arrivati...vedo Niccolai in mondo visione!». Un epiteto affettuoso per lo stopper, uno altrettanto carino nei confronti del terzino al quale non faceva marcare Riva in allenamento tanta era la considerazione che aveva del difensore barese, capace di non far toccare palla in partita neanche ai più forti centravanti dell’epoca come Boninsegna, per dirne uno. Quell’allenatore, tanto lontano dagli stereotipi ai quali siamo abituati, si chiamava Manlio Scopigno, e da tutti era definito il filosofo. Un uomo capace di fumare un paio di pacchetti di sigarette al giorno, romano, ma nato, come disse egli stesso, per sbaglio a Rieti. Un artista nel vero senso della parola, con la battuta sempre pronta, la capacità di amalgamare un gruppo di “scavezzacollo” come quello che - tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta - si ritrovò, chissà per quale strana ed anomala coincidenza del destino, a Cagliari; giusto in tempo per vincere un alloro nazionale, arrivare una volta secondi, un’altra quarta, e non poter creare un ciclo di vittorie solo per via di un maledetto infortunio occorso a Riva in Nazionale, con la squadra rossoblù che prima dell’intervanto assassino di uno stopper austriaco veleggiava al comando della graduatoria. Calciatore mediocre e sfortunato a Napoli, dove chiuse la carriera presto per un grave infortunio, come allenatore fece bene a Vicenza, in serie A, dove portò la squadra al sesto posto, risultato migliorato solo poi ai tempi di Paolo Rossi. Scopigno era il contrario della figura caricaturale dell’allenatore-mago molto in voga in quei tempi. Per lui non contava la rigida osservanza del ritiro e della castità, il maniacale controllo delle diete e dei carichi di lavoro, la puntualità nell’andare a letto. Pierluigi Cera raccontò una volta: «Scopigno era arrivato da poco. Eravamo in ritiro per una partita di Coppa Italia e in sette, in barba alle regole, ci eravamo dati appuntamento in una camera per giocare a poker. Fumavamo tutti e giocavamo a carte sui letti. C’era anche qualche bottiglia che non ci doveva essere. Ad un tratto si aprì la porta: era Scopigno. Oddio, ora ci ammazza (Silvestri, l’ex allenatore, lo avrebbe fatto). Se ci va bene ci leva la pelle e ci fa appioppare una multa, pensammo tutti quanti. Invece Scopigno entrò, nel fumo e nel silenzio di noialtri che aspettavamo la bufera», continua a spiegare Cera, «prese una sedia, si sedette vicino a noi e disse, tirando fuori un pacchetto di sigarette: “Do fastidio se fumo?”. In mezz’ora eravamo tutti a letto. E, il giorno dopo, vincemmo 3-0». Quel Cagliari, il filosofo, se lo plasmò pezzo dopo pezzo. Il gioco di Scopigno esaltò le caratteristiche di Riva che al suo primo anno col tecnico reatino vinse la classifica cannonieri e i rossoblù si piazzarono al sesto posto, a ridosso delle grandi. Il suo rapporto con la dirigenza fu però difficile, in particolare con il presidente Rocca, per motivi extracalcistici mai chiariti. Durante una tournee negli USA, mentre il calcio mercato vedeva Inter, Milan e Juve scatenate all’inseguimento di Riva, fra i due arrivò la rottura. Al ritorno in Italia, il presidente Rocca telefonò a Scopigno per comunicargli l’esonero. E il filosofo di rimando, gli rispose alla sua maniera: «Presidente Rocca, faccia presto, ho la minestra in tavola e non vorrei si freddasse...». Al posto di Scopigno arrivò Ettore Puricelli, e la squadra soffrì in campionato: Riva telefonò spesso a Scopigno e lo rimpianse pubblicamente. Per fortuna a Cagliari cambiò la presidenza, tornò Scopigno e arrivò il primo storico scudetto. Manlio Scopigno morì nel 1993 a Roma, città che lo adottò come uomo e che lo vide allenatore dopo l’esperienza cagliaritana. Ha segnato il calcio italiano in maniera indelebile, sdrammatizzando episodi e fatti delle patria pedata che molti, ancora oggi, riescono a far diventare vere e proprie fotografie.
«Prese una sedia, si sedette vicino a noi e disse, tirando fuori un pacchetto di sigarette: “Do fastidio se fumo?”. In mezz’ora eravamo tutti a letto. E, il giorno dopo, vincemmo 3-0» 30
gli artefici del trionfo
EFISIO CORRIAS
IL PRESIDENTE DELLO SCUDETTO Testo Cenzo Soro
Quante emozioni si sono alternate nella vita di un uomo cresciuto in una ferrea ma bonomia famiglia religiosa come quella del grande presidente rossoblu. Certamente non posso io, semplicissimo uomo che non ha la penna di scrittori di grido, tracciare l’esistenza di un uomo così famoso. Ne sbiadirei la sua luminosa figura. Ricorderò, allora, alcuni episodi legati che mi hanno legato indissolubilmente a lui e alla sua famiglia. Il mio primo approccio con Efisio fu quando il gioco del calcio, di sicuro non offeso dall’attuale modo affaristico che fa rabbrividire persone come le nostre, parlo di quelle anziane, si faceva per diletto. Nell’allora campo del San Lucifero, dove Monsignor Lepori regnava da sovrano (in senso buono), vidi Efisio arbitrare una partita di calcio. Eretto come sempre, rapido e coscienzioso nelle valutazioni, viso molto ben delineato, fischietto in bocca e via. Che ricordi di sapore romantico. In quel tempo lo sport era solo uno svago, una voglia matta di dimenare braccia e gambe per mettere in evidenza le proprie capacità. Non esistevano allenamenti condotti allo spasimo, né attrezzature adeguate e tantomeno anabolizzanti, l’ormone della crescita, l’autoemotrasfusione e tutte le altre somministrazioni di sostanze vietate. Tutt’al più una zolletta di zucchero e tanta felicità. Scavando nella mia memoria un tantino arrugginita dall’età, lo vedo, cavallo di razza, nella Congregazione Mariana dove, assieme ad altri personaggi, iniziò la scalata ai vertici della città di Cagliari e della Sardegna tutta. Chi è che non sa quante cariche prestigiose ha avuto Efisio? Da intendente di Finanza ad Assessore regionale alle Finanze; da Presidente della Regione Autonoma della Sardegna a quella del Consiglio dello stesso ente. Dalla massima carica del Credito Industriale Sardo a quella del Cagliari Calcio quando nel 1970 - con le indimenticabili prestazioni di Rombo di Tuono (che fenomeno) - vinse il titolo nazionale.
CHE RICORDI DI SAPORE ROMANTICO. IN QUEL TEMPO LO SPORT ERA SOLO UNO SVAGO, UNA VOGLIA MATTA DI DIMENARE BRACCIA E GAMBE PER METTERE IN EVIDENZA LE PROPRIE CAPACITÀ. NON ESISTEVANO ALLENAMENTI CONDOTTI ALLO SPASIMO, NÉ ATTREZZATURE ADEGUATE E TANTOMENO ANABOLIZZANTI [...] TUTT’AL PIÙ UNA ZOLLETTA DI ZUCCHERO E TANTA FELICITÀ.
Un giorno, io e mia moglie abbiamo ricevuto dalla famiglia Corrias una composizione di meravigliose begonie viola. Erano tanto belle che avevo scritto qualche frase: «Le begonie viola di Maria e Efisio: vezzose, contenute, riservate e dignitose , siete entrate in casa recate delicatamente dalle mani di Paola. Avete subito trovato posto sul tavolo di fronte alle nostre poltrone. Di lì, con il puntino roseo pallido fra le deliziose corolle, avete occhieggiato bisbigliando incomprensibili parole del linguaggio floreale. Abbiamo compreso che ci salutavate e che mettevate a nostra disposizione l’elegante vestito viola di un’impareggiabile colorazione che conforta le persone. Che incanto! La casa si è illuminata all’istante e noi siamo rimasti in silenzio ammirandovi con stupore e gratitudine. Anche se appassirete, ci rimarranno il vostro sorriso e la vostra tenerezza». Ricordo ancora, forse più di tanti episodi che mi legano ad Efisio, la volta che mi chiamò alla guida del Cagliari dopo l’esonero di Federico Allasio. Portai la squadra allo spareggio contro la Pro Patria, riammessa in gara chissà perché. Avremmo potuto vincere se avessimo aderito certe vicende lontane mille miglia dal nostro modo di concepire lo sport. Perdemmo, ma fummo lo stesso contenti. E io mi porto ancora dietro il rammarico di non essere stato il primo allenatore a condurre il Cagliari in serie A. In un’aula della Facoltà di Teologia dell’Istituto dei Gesuiti di Cagliari, in occasione del novantesimo anno d’età di Efisio, gli fu donata una targa di fronte al “Gruppo di Meditazione” fondato da lui tanti anni prima. La cerimonia, intensa per commozione e racchiusa nel ristretto cerchio dei convenuti, fu impreziosita dalle parole del premiato che, con note appassionate, ammonì i presenti affinché portassero all’oliva, si fa per dire, coloro che vagavano nell’incerto senza conoscere gli indirizzi evangelici.
RICORDI D’AUTORE
BEPPE TOMASINI
IO, IL SAGGIO DELLO SPOGLIATOIO
S
Testo Giuseppe Tomasini
Soltanto pronunciare la parola scudetto mi fa venire i brividi, è stata una della emozioni più forti della mia vita, un evento eccezionale non solo per noi, ma per tutta la Sardegna, visto che in provincia lo scudetto non si vince mica tutti i giorni. Eravamo un gruppo molto giovane e ambizioso, e siamo riusciti a raggiungere il nostro obbiettivo consegnando alla Sardegna il trofeo più ambito. Nella cavalcata al titolo parteciparono personaggi di rara importanza, e del resto non poteva essere diversamente, ai nostri tempi per vincere dovevi essere il numero uno: le abilità personali, il ragionamento, l’affiatamento e l’intesa con i tuoi compagni erano qualità indispensabili per oltrepassare la metà campo avversaria. Mi ricordo di Luigi Riva, che oltre ad essere un grande giocatore e un grande amico, è stato - e rimane ancora oggi - un mito, per l’esempio che ha dato e per la stoicità che ha portato nel calcio. E un pensiero va a Manlio (Scopigno), che rimarrà sempre il nostro mister, un grande uomo capace di raffinare e plasmare una squadra messa insieme da Silvestri. E poi l’Amsicora, lo stadio che era un’arena meravigliosa, un bagno di folla e di emozioni. Per arrivarvi percorrevamo la via della Pineta, caotica e rumorosa, e poco più in là - oltre le gradinate - una cornice di pubblico incredibile, tutti lì per noi: il pubblico era la nostra forza, il dodicesimo uomo in campo. E poi ricordo l’atmosfera familiare, per noi il Cagliari non era solo una squadra di calcio, era soprattutto una città, una popolazione; e da loro avevamo ereditato abitudini, gusti e modi di fare: ogni lunedì, andavamo tutti da Martiro e Gianni, due amici pescatori che all’epoca servivano nel loro ristorante pesce di ottima qualità, e poco importava il risultato in campo, perché ogni occasione è quella giusta per mangiare in libertà e discutere del futuro. Poi c’è stato l’infortunio, che ha spento i miei sogni, un girone d’andata strepitoso e quello di ritorno in riabilitazione. Avevo la strada spianata per raggiungere la Nazionale, per i Mondiali messicani, e invece ho dovuto rinunciare. La mia unica amarezza in un campionato da incorniciare. Ormai sono passati quarant’anni dalla prima volta che ho messo piede in questa cittadina: la prima volta non era stata piacevole, la città non mi era sembrata accogliente e tutto mi sembrava in disuso. Ma è bastato poco tempo per cambiare idea e oggi mi sento un cagliaritano d’adozione. Quando decisi di rimanere, aprii un distributore di benzina, e ancora oggi ci lavoro.
GIUSEPPE TOMASINI NUMERO DI MAGLIA: 6 RUOLO: LIBERO
sfiorando anche lo scudetto. L’anno successivo, il 1969, è quello della rivincita: il Cagliari diventa campione d’Italia e Beppe viene ricordato come il regista della difesa rossoblù (5 gol subiti in 16 partite).
Nato a Palazzolo sull’Oglio - Brescia - il 28 settembre del 1946, Giuseppe Tomasini, meglio conosciuto come Beppe, nell’estate 1968 viene ingaggiato dal Cagliari, dove alla sua prima stagione totalizza 13 presenze,
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i protagonisti
MARTIRADONNA
L’OPERAIO QUASI AZZURRO Testo Laura Bonu
AA “
A VOLTE LE IMPRESE PASSANO NEL DIMENTICATOIO, altre volte si perdono i particolari che rendono una storia leggendaria, ma non qui, non a Cagliari, e soprattutto non di quello scudetto. Forse molti non conosceranno a memoria la storia della nostra città, ma gli undici nomi della formazione rossoblù 1960/1970 li ricordiamo perfettamente. E tra quei nomi c’era anche Mario Martiradonna: c’era Mario per la promozione in serie A, e c’era anche per vedere la squadra simpatia nell’olimpo delle vincitrici. «Lo scudetto è stato il coronamento di un’annata fantastica. E pensare che quella stagione dovevo partire in panchina! Ero ad Ischia, in vacanza con la famiglia, quando apro il giornale e leggo “Scopigno punta sul nuovo arrivo De Pietri”. Traduzione? Io in panchina e 90 minuti promessi per De Pietri. Immediatamente faccio le valigie e torno a casa, indosso la canadese e inizio una serie di durissimi allenamenti per conto mio. In preparazione ho corso come un pazzo e dopo poche partite sono diventato titolare. De Pietri, invece, rimase in panchina. Poi è stato un continuo turbinio di partite, gol, vittorie e bagni di folla. L’orgoglio della città, della Sardegna intera andava di pari passo con la nostra, almeno con la mia. Di soddisfazioni personali, quell’anno, me ne sono tolta qualcuna: tra tutte, l’aver marcato e fermato - da difensore puro - un centrocampista chiamato Gianni Rivera. Certo, ho dovuto affrontare qualche battuta d’arresto come l’addio forzato alla Nazionale, ma ne sono sempre uscito a testa alta, e alla fine sono state la tenacia e la grinta ad avere la meglio. Sono sempre stato così, fuori e dentro il campo da gioco, la vita l’ho
presa di petto con determinazione. È una questione di mentalità e di serietà professionale. Non volevo mai perdere, non saltavo un allenamento. Era importante dare sempre il massimo per poterti confrontare con ritmo e classe. Il mio Cagliari era tutta un’altra musica: ricordo la classe di giocatori come Cera e Nenè, la qualità e la pulizia del movimento di Domenenghini, senza nominare quella potenza chiamata Riva, capace di goal straordinari e giocate da manuale. Se non si fosse infortunato con la Nazionale, in Coppa dei Campioni saremmo arrivati alla finalissima. Insomma, ricordo un Cagliari che faceva scuola dentro il rettangolo verde. E fuori dal campo una cosa ci rendeva più forti: l’affiatamento. Abbiamo saputo creare un buon feeling, complice la giovane età e la voglia di farci notare, di fare carriera. Il sergente di ferro Silvestri, magnifico allenatore, ci ha aiutato a cresce e maturare insieme, e spesso questa caratteristica può fare la differenza. Discutevamo, certo, ma dopo la partita davanti a un piatto di spaghetti si tornava a ragionare tutti insieme per cercare una soluzione. Ancora oggi, incontrare un mio ex compagno per strada, è una grande emozione. Il Cagliari degli anni d’oro poteva e meritava di vincere di più, di uno scudetto».
Di soddisfazioni personali, quell’anno, me ne sono tolta qualcuna: tra tutte, l’aver marcato e fermato - da difensore puro - un centrocampista chiamato Gianni Rivera
”
E Testo Simone Ariu
QUANDO SANDRO CIOTTI F ra il 1969 quando dodici ore di radiocronaca sotto la pioggia, alle Olimpiadi di Città del Messico, gli resero la voce roca. Qualsiasi altro radiocronista avrebbe perso il lavoro e anche Sandro Ciotti pensò gli spettasse questo triste destino quando, al suo rientro a Roma, l’otorino gli diagnosticò un edema alle corde vocali. Avrebbe dovuto subire un’operazione rischiosa ma non la fece, e il suo destino fu quello di diventare la voce più inconfondibile d’Italia. Nato a Roma il 4 novembre 1928, ebbe come padrino di battesimo Carlo Alberto Palustri, ovvero il poeta Trilussa. La letteratura, la musica e il cinema erano le attività preferite del giovane Sandro. A cinque anni cominciò a suonare il violino e per anni divise i suoi impegni tra scuola e conservatorio. All’Istituto Colonna incontrò Franco Sensi, futuro presidente della Roma; di lui ricordava l’arrivo a scuola in limousine con autista, e la sua bravura come centravanti. Sensi, invece, ricordava le sfide calcistiche tra i due: il primo, come allenatore della Romulea, Ciotti come giocatore della Lazio (era un buon mediano). La sua carriera da calciatore lo portò a giocare in
serie C e in quarta serie: Bari, Forlì, Anconetana, Romulea. Ma è il giornalismo che comincia a prendere posto nella mente del giovane Sandro; collabora con la Voce Repubblicana, Paese Sera, Il Messaggero e col Giornale d’Italia. Del 1958 è il suo debutto radiofonico in RAI col programma “K.O. - Incontri e scontri della settimana sportiva”. Nello stesso anno, esordisce anche al Festival di Sanremo, il primo di quaranta. Nel 1960, anno delle Olimpiadi, inizia la sua carriera di radiocronista. Da allora sarà commentatore di ben quattordici olimpiadi, tra estive ed invernali; otto mondiali di calcio, quindici giri d’Italia e nove Tour de France, con un totale approssimativo di circa 2400 tra radiocronache e telecronache. Nel 1962 approda alla trasmissione sportiva dei record d’ascolto dei massimi indici di gradimento, l’opera sinfonica di vari radiocronisti: Tutto il calcio minuto per minuto. Ed è subito rivalità con Enrico Ameri, prima voce del programma. Cinque minuti a testa per collegamento, quelle interruzioni tra i due - sempre loro - e quei “Scusa Ameri” e “Scusa Ciotti” entrati nella storia del calcio italiano. Il tutto, insieme altri principi della domenica: Claudio Ferretti, Beppe Viola, Piero Pasini, Ezio Luzzi. Bruno Gentili ricorda la grande cultura e ironia di Ciotti, la sua
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Nella pagina accanto. la formazione del Cagliari ‘69/’70. Sopra, l’indimenticato Sandro Ciotti e Gigi Riva.
FESTEGGIÒ LO SCUDETTO enorme proprietà di linguaggio: «Ciotti ha inventato molte espressioni, per esempio la famosa “Stadio ai limiti della capienza” o “Clamoroso al Cibali”». Opinione condivisa da Bruno Pizzul, altro grande ex telecronista RAI, che ne ritiene insuperabile la capacità affabulatoria e quella enorme di capire l’ambiente che descriveva. Era amatissimo anche dai calciatori, tra i quali Gigi Riva e Paolo Rossi, che lo ricordano per i giudizi pertinenti e per la sua capacità di legare con i calciatori stessi. Di lui, del mitico Sandro Ciotti, rimangono alcuni documentari e un film del 1976, dal titolo Il profeta del gol, nel quale sono illustrate la vita calcistica di Johann Cruijff e i metodi d’allenamento del famosissimo Ajax. The voice, questo uno dei suoi soprannomi, non c’è più. Un male incurabile lo ha portato via nel luglio 2003, a 75 anni, privando generazioni di italiani della sua voce. Ma non del suo immenso ricordo.
I giorni dell
Il lungo cammino che ha portato il Cagliari alla vittoria finale. Un percorso
I
l Cagliari inizia la stagione conquistando uno 0-0 senza emozioni, a Marassi, con la Sampdoria. Nelle due partite successive, con il Vicenza all’Amsicora e con il Brescia di Arturo Silvesti, salgono alla ribalta Gigi Riva ed il nuovo arrivato, Angelo Domenghini. Cavallo pazzo, come amano chiamarlo molti tifosi per le perentorie volate sulla fascia destra del campo, è arrivato dall’Inter insieme a Bobo Gori e Cece Poli quale contropartita della cessione, alla società nerazzurra, del bomber cagliaritano Boninsegna. Ben presto Domingo si rivela l’arma vincente del Cagliari di Scopigno che basa il suo gioco anche sul contropiede. ASSALTO ALLA CAPOLISTA: È SORPASSO Dopo aver superato la Lazio con un gran gol di Brugnera, il Cagliari si appresta ad affrontare la trasferta sul campo della capolista Fiorentina. I rossoblu vincono con un gol di Riva su rigore. L’arbitro della partita, Concetto Lo Bello, annulla poi una rete a Chiarugi per sospetto fuorigioco. Succede il finimondo, la folla fiorentina si scatena, i sardi e l’arbitro vengono assaliti all’uscita dello stadio. Il sorpasso frastorna la formazione viola che, la domenica successiva, viene travolta dalla Lazio ed esce di scene con largo anticipo dalla lotta per il titolo. Il Cagliari si accontenta del pareggio nella gara casalinga con l’Inter (vantaggio di Luis Suarez, e pareggio di Nenè). Per la settima giornata, la squadra cagliaritana è impegnata al San Paolo con il Napoli di Altafini e Juliano. Riva ha la febbre a 38, ma chiede ugualmente di poter gioca-
re, e Scopigno lo accontenta. Si vince con due gol del bomber rossoblu, imparabili per Dino Zoff. I sardi sono primi in classifica con tre punti di vantaggio sugli inseguitori. IL SOGNO CHIAMATO NAZIONALE Mezza squadra viene convocata in Nazionale: Niccolai, Tomasini e Gori in under 23; Riva, Albertosi, Domenghini e Cera nella rappresentativa maggiore che si confronta con il Galles. Gli azzurri vincono per 4-1 con i gallesi ed il magico Riva è protagonista in assoluto all’Olimpico, realizzando tre splendide reti. La domenica successiva il Cagliari ritorna all’Amsicora per superare, con un gol di Nenè, la Roma di Helenio Herrera. Dopo un pareggio a Verona con una rete di Greatti che riequilibra il risultato, il Cagliari si appresta ad affrontare una trasferta facilissima, a Palermo, sul campo della cenerentola del campionato. Sarà la domenica nera della meravigliosa annata dei rossoblu. Alla Favorita, Riva e compagni subiscono la prima sconfitta della stagione. Tutta la squadra è a pezzi, vittima della spaziale (l’influenza di quel periodo), e perde la testa nel confronto con la generosa formazione siciliana. Il gol della vittoria per i rosanero è del centravanti Troja. L’arbitro Toselli espelle Scopigno che insegue e insulta il guardalinee. BASTA UN PARI: IL CAGLIARI È CAMPIONE D’INVERNO La domenica successiva il Cagliari pareggia 0-0 sul campo del Bari. Con un altro pareggio, contro il Milan all’Amsicora, l’undici rossoblu diventa, con una settimana d’anticipo,
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campione d’inverno. L’ultima gara del girone d’andata si gioca all’Amsicora con il Torino. I rossoblu vincono per 2-0 con gol di Riva e Gori, che mette finalmente a segno la sua prima rete in campionato. Al giro di boa la squadra di Scopigno ha tre punti di vantaggio sulle inseguitrici, ma ha ancora l’entusiasmo delle prime giornate. Vince quattro partite consecutive con la Sampdoria (4-0), con il Vicenza (1-2), poi con il Brescia (4-0) e con la Lazio (0-2) all’Olimpico. Con questo strepitoso poker di vittorie il Cagliari si ritrova con quattro punti di vantaggio sulla Juventus, cinque sulla Fiorentina e addirittura sei nei confronti dei milanesi. La troppa sicurezza gioca un brutto scherzo ai ragazzi di Scopigno che deludono all’Amsicora contro la Fiorentina, subendo poi a San Siro la seconda e ultima sconfitta stagionale. Il gol a 5’ dal termine è dell’ex Boninsegna. È un momento delicato ed arriva propizia una sosta del campionato per una partita della Nazionale in Spagna. Qui, Riva segna e porta a 17 reti il bottino personale in maglia azzurra. Nella domenica successiva il Cagliari ospita il Napoli. Partita senza storia, e stesso risultato dell’andata con gol di Gori e Riva. Prima della trasferta decisiva sul campo della Juventus, i rossoblu giocano all’Olimpico e conquistano un prezioso pareggio. IL RUSH FINALE: CHE BRIVIDI... Il 15 marzo, a Torino, il Cagliari si gioca il campionato in novanta minuti di grande e irripetibile tensione. In avvio di partita, la pri-
llo Scudetto
rso tortuoso, ma segnato fin dall’inizio da immense gioie. In campo e fuori. ma emozione per un pazzesco autogol di Niccolai che anticipa Albertosi in uscita. Allo scadere del primo tempo, Riva pareggia con un memorabile gol di testa preceduto da un colpo di tacco che mette fuori causa il portiere juventino. Nella ripresa succede di tutto: di sicuro Lo Bello di Siracusa diventa il protagonista principale di quarantacinque minuti da infarto. L’arbitro siciliano decreta un rigore in favore dei bianconeri; batte il tedesco Haller e Albertosi intercetta prodigiosamente sulla sua destra. Per Lo Bello il tiro dagli undici metri è da ripetere. Ricky, una montagna di muscoli, piange come un bambino abbracciato al palo alla sua sinistra. Riva e Cera ne dicono di tutti i colori al fischietto più famoso d’Italia. Lo Bello li guarda e sorride. Prende la rincorsa Inastasi ed è il 2-1 per la Juventus. Quando la speranza di riacchiappare quel risultato che vale il campionato sembra svanire, ecco che il siciliano fischia un rigore per il Cagliari. Non si è mai saputo chi avesse fatto il fallo, e se mai fallo c’è stato. Si incarica della massima punizione Riva: una rincorsa breve, un tiro fiacco, ma angolato a tal punto da beffare Anzolin. È fatta. I TITOLI DI CODA Nelle ultime gare della stagione si registrano la vittoria casalinga con il Verona, il pareggio di Bologna, il successo dell’Amsicora con il Palermo, la festa per lo scudetto del 12 aprile ed ancora un pareggio con il Milan a San Siro. Nell’ultima domenica di campionato, infine, i quattro gol rifilati al vecchio Toro di Orfeo Pianelli in onore delle migliaia di emigrati sardi che gremivano le tribune dello stadio di Torino. Albertosi, Niccolai, Cera, Domenghini, Gori e Riva preparano le valigie per il Messico. Ai mondiali mezza squadra Nazionale è composta da giocatori del Cagliari. S.A.
L O S C U D E T T O I N C I F R E
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Una stagione DA RECORD Il cammino trionfale del Cagliari è stato percorso dall’intera rosa: undici titolari invidiabili, e una panchina fatta di altrettanti campioni. Maestro d’orchestra? Il filosofo Scopigno. Testo Simone Ariu
Il 12 aprile del 1970, il Cagliari batte con un netto 2-0 il Bari, in uno Stadio Amsicora straripante di pubblico in delirio. I gol di Gigi Riva e Bobo Gori suggellano il primato ed il successo in campionato della formazione cagliaritana. Quel gruppo di ragazzi ha messo in ginocchio, uno dopo l’altro, gli squadroni delle grandi capitali industriali del nord. Ma con gli sportivi sardi esulta l’Italia intera. Campioni come Riva e Albertosi sono un patrimonio del calcio nazionale. In questo campionato, Rombo di Tuono vince per la terza volta, la seconda consecutiva, il titolo cannonieri realizzando 21 reti. Ricky Albertosi, dal canto suo, è protagonista di una stagione da record: 11 reti subite in 30 gare ufficiali, confermandosi tra i più grandi portieri italiani del dopoguerra. Con loro, gli alfieri della grandissima squadra scudetto. Ci sono Martiradonna e Giulio Zignoli, una
coppia di terzini dallo scatto e dalla velocità impressionanti; Pierluigi Cera, che interpreta con classe cristallina il ruolo di mediano; Comunardo Niccolai, difensore implacabile e dal grande senso tattico; Angelo Domenghini e Bobo Gori, gli ultimi arrivati alla corte di Scopigno e protagonisti in assoluto con 14 gol, tutti decisivi; Nenè, la gazzella nera che ha fatto impazzire centrocampisti e difensori del campionato italiano; Ricciotti Greatti, il cervello di questa meravigliosa squadra. ANCHE LA PANCHINA CONTA Per vincere un campionato italiano, però, è importante che l’allenatore possa contare su una buona panchina. Nel Cagliari, Scopigno ha la fortuna di poter utilizzare sedici titolari intercambiabili. C’è Beppe Tomasini, il più sfortunato in questa stagione di successi, che dopo aver giocato il girone d’andata a livelli strepitosi, esce di scena malinconicamente per un gravissimo incidente di gioco. La difesa subisce 5 soli gol in 16 partite. C’è Eraldo Mancin, un jolly difensivo capace di risolvere tutti i problemi della retroguardia cagliaritana; Cece Poli, un generoso combattente che si prodiga in tutti i ruoli; l’estroso Mario Brughiera in possesso di numeri e prodezze di scuola sudamerica-
na, che nel girone di ritorno trova posto in prima squadra e diventa un protagonista in assoluto. Ci sono, infine, Adriano Reginato e Corrado Nastasio che recitano per tutta la stagione nel ruolo di riserva dei campionissimi Albertosi e Riva. IL FILOSOFO DEL CALCIO Il Cagliari è una squadra che gioca in allegria ed il merito di questa singolare interpretazione del lavoro su un campo di calcio è dell’allenatore Manlio Scopigno. Il filosofo odia lo stress e ama la tensione, da buon anticonformista. In panchina è una volpe. L’intuito gli permette di anticipare ogni mossa degli avversari e con quel gruppo meravigliosamente equilibrato è persino fin troppo facile intendersi. Il suo braccio destro è l’indimenticato Ugo Conti, un toscano amato da tutta la squadra. Quando - alla dodicesima giornata, a Palermo - Scopigno viene espulso per aver insultato pesantemente il guardalinee, e squalificato per quatto mesi, Ugo Conti sale alla ribalta con il compito di sostituire in panchina il filosofo fino alla fine del campionato. Svolge il compito alla grande e con signorile umiltà, pronto ad uscire di scena in silenzio lasciando a tutti gli altri gli applausi e gli onori del clamoroso successo.
TUTTI I RECORD DELLA STAGIONE 1969/1970
Gigi Riva Capocannoniere della stagione con 21 reti in 28 presenze. Dietro di lui, campioni come Boninsegna e Altafini.
Ricky Albertosi Ha terminato la stagione con 11 reti subite in 30 partite, record (tuttora valido) in un campionato a 16 squadre.
Nazionale Nella stagione dello Scudetto, la squadra rossoblu è riuscita a portare quattro giocatori in Azzurro: Riva, Albertosi, Domenghini, e Cera.
Stadio Amsicora Ha ospitato le partite casalinghe del Cagliari fino al 1970, anno in cui la squadra di Scopigno è passata all’attuale Sant’Elia. Capienza: 26.000 spettatori.
Tre volte poker Ha vinto per ben tre volte col risultato di 4-0: in casa contro il Brescia, poi contro la Sampdoria, infine a Torino contro i granata, nell’ultima giornata.
COSÌ SI REALIZZÒ IL SOGNO DEL BOMBER
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Testo Ignazio Argiolas
Sono passati quasi quarant’anni, ma mi ricordo come fosse ieri. Era il giorno della finalissima di Coppa dei Campioni, Liverpool-Borussia Dortmund. Lo Stadio Olimpico era gremito in ogni ordine di posti. Oltre quindicimila i rappresentanti del tifo inglese ed altrettanti supporters tedeschi. Tifo e cori d’altri tempi in una di quelle serate di fine primavera che solo Roma è in grado di regalare. La possibilità di poter assistere dalla tribuna d’onore ad una finalissima di Coppa dei Campioni era stata la degna chiusura di una giornata indimenticabile per tutti gli istruttori del “Centro Addestramento Gigi Riva”. La mattina, una delegazione di cui facevo parte assieme allo stesso Gigi Riva, Cenzo Soro, Enzo Molinas e Franco Congiu - il primo conduttore di Videolina Sport, geometra ed esecutore materiale del progetto - si era recata fino a Montecitorio allo scopo di perorare la causa di migliaia di famiglie di Cagliari e dintorni che chiedevano con diritto la possibilità di avere uno spazio adeguato alla costruzione di un impianto dove poter far praticare una disciplina sportiva ai propri figli. L’area richiesta era una piccola fetta di terreno in prossimità dello stadio S. Elia, che doveva essere affrancata da vincoli particolari. Neanche la mente più fervida può immaginare quanto avvenne al nostro ingresso a Montecitorio, dove era in corso una seduta del Consiglio dei Ministri del Parlamento Italiano. L’onorevole Evangelisti, non appena gli fu annunciata la presenza di Riva, interruppe immediatamente la seduta dei lavori parlamentari per avere il piacere e l’onore di abbracciare il mitico Gigi. Un momento di enfasi profonda e spontanea a cui parteciparono tutti i parlamentari presenti, che ci coinvolse nostro malgrado e che ci diede la giusta misura del potere carismatico del cannoniere principe più amato dagli italiani. Il colloquio semplice che seguì determinò la certezza che la causa perorata sarebbe andata a buon fine, come da progetto adeguatamente documentato. Quello che sembrava un progetto di logica realizzazione, visti i contenuti sociali che si proponeva di perseguire, col passare del tempo stava diventando un sogno nel cassetto. Ma qualche volta i sogni diventano realtà, e quel mitico 8 giugno ne fece realizzare uno: Cenzo Soro venne convocato per firmare il documento per il passaggio del terreno al nuovo centro di addestramento, documento che dava la vita al centro stesso, svolta epocale per i piccoli calciatori cagliaritani. Archiviati 22 anni di pratiche, firme e iter burocratici così lunghi da far venire mal di testa, in una delle tante mattine cagliaritane - grazie al cuore di tutti i collaboratori, tecnici e amici - venne alla luce il “Centro Addestramento Gigi Riva”, marchio sardo al calcio che vale.
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DA DOVE VENIAMO
FRAMMENTI DI STORIA
Il Cagliari partecipante al suo primo campionato di Serie B 1931/32. In alto, da sinistra: Fois, T. Fradelloni, Francovig, Filippi, Ostromann, Ossoinach, Di Clemente, D’Alberto, l’allenatore Erbstein. Accosciati: Reisen, A. Fradelloni, Chiantini, Traverso, Orani, Parodi. In basso: Puligheddu, Bedini, Guerrini, Lauro.
Il Cagliari vincitore del campionato di Prima Divisione 1930/31. Con questa squadra, la società raggiunse per la prima volta la Serie B. In alto, da sinistra: l’allenatore Erbstein, T. Fradelloni, Francovig, Filippi, Ossoinach, Archibusacci, Di Clemente. Accosciati: Traverso, Chiantini, Benente, Orani. In basso: Puligheddu, Dellacà, Bedini, Guerrini.
MACCHINA DELLA MEMORIA
QUELLE COSE MAI DETTE
LA PAROLA AD UN GRANDE GIORNALISTA DI QUELL’EPOCA
I riti durante le trasferte, quelli prima delle gare casalinghe. Le lughe e schiette chiacchierate con Riva e le riflessioni su quella stagione da incorniciare. Anche a a distanza di quarant’anni.
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Testo Giampaolo Murgia
Eravamo all’Hotel Rosa, dietro il Duomo, come al solito, prima che “loro” affrontassero l’Inter a san Siro. “Loro” erano Luigi Riva e i suoi compagni: il Cagliari, insomma, quello vero con lo scudetto sulle maglie. Scudetto riconosciuto per primo dal Milan, penultima giornata del passato campionato. Risultato 0-0, però le medaglie d’oro già coniate, e consegnate, nel campo per destinazione, efficienza meneghina. Mentre nella nostra isola tra regione, provincia e comune bisognava decidere. Infatti le medaglie-scudetto le fece la Esso, standard in margine ad un programma pubblicitario per vendere più benzina, con lo slogan “Cagliari mannu”. Slogan puntualmente impugnato e rovesciato dai sassaresi in “Tattari mannu”. La risposta dal Capo di sopra, inferiore al Capo di sotto non per la superiorità di codesti ma per il livore di quelli. E se il vostro è meno lungo del nostro, ve ne daremo un pezzo del nostro: perché il vostro sia lungo quanto il nostro... È vero che Sassari ha prodotto più capi di stato, primi ministri, ministri, vice ministri, innumerevoli sottosegretari di stato e segretari di partito, ma l’intelligenza del pallone è altra cosa. Ai tempi di Gianfranco Zola, col Cagliari in serie C, si sarebbe potuta colmare in parte la lacuna. Invece scoppiò la guerra dei poveretti. E Zola, che da solo valeva la serie B, fu venduto, quasi regalato, al Napoli, coi buoni uffici moggiani, e i sogni rimasero nel cassetto.
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Gianni Rivera e Lugi Riva. stato ancora sui marciapiede di Parigi. Ed al terzo gol di Domingo, il maestro-indovino non c’era più, e non potè assistere all’1-3 finale. Merito dell’indomabile orgoglio neroazzurro? Niente affatto. Poiché l’Inter non si decideva a rispettare il pronostico breriano (sebbene rovesciato) il Cagliari fece anche un dannato autogol.
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Nell’albergo milanese dietro il Duomo c’era un bar con un tavolino speciale: un tavolino con la scacchiera del gioco della dama. E noi scendevamo al “Rosa” per quella scacchiera. Perché Luigi, prima di andare con la squadra allo stadio, usava concentrarsi sulla dama. Era fortissimo nei giochi di destrezza, piedi e mani; avrebbe vinto comunque, ma per il bene della partita, non era certo il caso di giocarsela...alla morte, come lui. Eppoi avevamo tra le mani una copia del “Giorno”, il giornale di Gianni Brera, di cui sono stato allievo dodici anni, allenandomi a mia volta per il mio “Corriere”. E Brera amava fare le carte al campionato (non usava il vocabolo giusto: pronostico, si dice così). E le carte avevano suggerito il risultato: secco 3-1 per l’Inter. E Luigi non era molto contento: così, a San Siro si dette subito da fare. Al primo gol, in tribuna stampa, il pittore Enzo Lucenz (amico di Manlio Scopigno) si volse a salutare in cambio di un risolino il mitico Brera, che in fondo un gol del Cagliari l’aveva previsto. Al raddoppio di Luigi, però, il risolino del vate dell’oltrepò pavese era scomparso, e Lucenz sghignazzava come fosse
Quarta giornata di campionato, sette punti in classifica. Il Cagliari già volava verso il secondo scudetto. Purtroppo il sabato successivo Luigi (Riva) subì la seconda frattura ad una gamba in Nazionale, a Vienna, contro l’Austria. Killer di turno il mediano del Wiener Sportclub, Hoff II, che l’attaccò da dietro vendicando un colpo subito in Coppa. Tibia e perone. Fine del sogno. Vinse l’Inter che il Cagliari aveva battuto 3-1 a San Siro. Addio anche alla Coppa dei Campioni, al secondo turno. Andrea Arrica sostituì Riva con l’ex juventino Menichelli. Nel caso l’aveste dimenticato, ricordo quanti gol fece il povero Menico richiamato dalla pensione: già...nemmeno uno. Un altro anno ancora. Riva guarito e pimpante. La Juventus straripante. Eppure a poche giornate dal termine, un solo punto a favore della squadra della Fiat, il secondo scudetto sfuggì al Cagliari per una ruberia. Forse la più stupida ruberia della storia del calcio. Nel finale, sull’1-1, con la Juve stremata, Toselli di Cormons negò un rigore di quelli che si fanno vedere a Coverciano ai giovani arbitri.
A
Morini, giocatore di rugby, oltre che di calcio, abbracciò Luigi e lo atterrò in piena area. Morini giocava anche con le mani. Toselli non se accorse? Ezio De Cesari, prima firma del “Corriere dello Sport” (nella vita ingegnere civile) scrisse: era rigore, l’arbitro l’ha visto e non l’ha dato. L’abbiamo riscritto tante volte. Mai una smentita, mai una querela. Cos’era successo? Il Cagliari rivoluzionario non serviva più. E neppure il piano di rinascita che aveva finanziato la grande industria chimica fallita.
L A
Lo scudetto di quaranta anni fa. La leggenda della rivoluzione mai più ripetuta. I gol di Riva fecero passare in secondo piano problemi gravi e urgenti della regione. Ma non è che vendendo il miglior attaccante di tutti i tempi, come suggerivano i benpensanti del belpaese, per costruire una scuola o una chiesa, magari un ospedale, sarebbe cambiato qualcosa. Dubito dell’ospedale. Di certo ai sardi sarebbe stato negato lo scudetto tricolore che ebbe valore e significato di riscatto sociale: comunque gioia immensa, orgoglio dell’isola. All’alba andavamo al Floriana. Coi cani. Il collega diceva: «Apri il bar?» Ed io: «E tu porti il latte?» Eppoi la trasferta. Quella domenica al nord: il Vicenza di Maraschi, uomo-gol di rispetto (più tardi il Cagliari se lo prenderà, ormai anziano). Inviati le cosiddette grandi firme, direttori e capiredattori. Vasi di ferro. Ed un vaso di coccio: me medesimo, giovanissimo e...titubante. A Roma, Ghirelli aveva sbagliato la designazione: eppure poteva impiegare Tosatti, De Cesari, Dominici, Pistilli, Pennacchia, Bocca, Nava, Neri, Girelli. Insomma, c’era il fior fiore dei tecnici e degli scrittori... Mi sentivo in trappola, avevo paura. Aspettavano il Cagliari al varco. Aspettavano che cadesse: e lo scudetto, sulle maglie della Fiorentina, tornasse a Milano, o Torino. Aiutoooo... Nei resoconti, mi avrebbero sbranato, i maestri del giornalismo. A cominciare da Brera e Zanetti, il potente direttore della Gazza (oltre che amico di famiglia). Luigi mi lesse in faccia. «Hai paura... E come ti permetti, se devi lavorare... Se hai paura, resta a casa!» Era un duro, oltre che un orso. Un immenso amico. Una volta, aveva la pubalgia, si mosse poco: scrissi che era stato il terzo palo: mi strinse la spalla con la manina: ancora
Gori, Greatti e Albertosi mi fa male. Cioè...una carezza come un maglio, o un maglio che era una carezza. Però risolse il mio problemino, e quelli più grandi della partita, e non ultimo, del campionato. Scese in campo come in guerra, e fece due gol. Segnò anche Maraschi, raggiunto in vetta alla classifica dei cannonieri. Il secondo gol Luigi lo buttò in porta in rovesciata: e quasi staccò il naso al povero Carantini, il libero. E quel gol in rovesciata nella storica domenica di Vicenza, lo ritiene il più bello della sua carriera. Alla salute nostra e alla faccia di chi non ci voleva bene. In Nazionale, per la cronaca, il gol che sceglie è quello in tuffo di Napoli rischiando di rompersi la testa. Non mi occupo qui dello scontro all’ultimo gol (ma chiamiamoli rigori, perché quel giorno il famoso Concetto Lo Bello di Siracusa arbitrò tutt’uno partita e risultato...) sul campo della Juventus. Voglio ricordare la vera partenza-scudetto. Accadde l’anno precedente. Vinse la Fiorentina per due motivi. Il primo, a Napoli, dove la squadra viola passò senza trovare opposizione, il Cagliari fu fatto a pezzi: in venti minuti, due gol, un palo, una traversa e un paio di parate strepitose di Albertosi. Avessero giocato sempre così, lo scudetto l’avrebbero vinto gli azzurri in carrozza. Il secondo motivo. Ci sarebbero voluti un centinaio di milioni in più per pagare eventualmente un premio non previsto. Il secondo posto non disse tutto: quel Cagliari giocò il miglior calcio della sua storia. Riva e Boninsegna...picchiarono tutte le difese italiane. Bobo aveva un colpo più dello stesso Luigi: agganciava palloni in orizzontale a novanta centimetri da terra. Riva usava il sinistro come una terza mano. E il destro era normale: non é vero gli servisse solo come appoggio, o per legare i lacci. Fosse stato ambidestro, non avremmo più speranza di trovarne uno migliore. Un invito ai giovani: per capire e gustare, guardatelo al rallentatore. Oggi si gioca di più, ma non meglio.
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RICORDI d’AUTORE
QUARANT’ANNI FA ROMBO DI TUONO
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Testo Antonio Maria Masia*
n amore contrastato quello mio per il grande Cagliari, la squadra simbolo, nell’ambito del calcio, della mia Terra, la compagine che ha avuto come fedele giocatore un gioiello di livello mondiale, il bomber per eccellenza, Rombo di Tuono, Gigi Riva da Leggiuno (Varese) . Contrastato, perché da sempre innamorato della Fiorentina, non mi sottrassi al tifo per i miei gigliati quando, in occasione del campionato ‘68/’69, quello premonitore al torneo dello splendido primo ed unico scudetto, con i denti (e con qualche aiutino, sostenevano le malelingue) concesso in ossequio ad Artemio Franchi, allora Presidente Nazionale della Figc e già dirigente viola, strappammo al Cagliari targato Riva e Boninsegna una vittoria inseguita fino alla fine. Ma nel ‘69/’70, fu amore pieno, in contemporanea con un mio momentaneo “tradimento” alla Fiorentina. Ricordo con orgoglio ed emozione la soddisfazione per la conquista del tricolore, con Riva ancora capocannoniere ben coadiuvato dall’efficace Bobo Gori. Era l’anno dei Mondiali del Messico, secondi dietro l’inarrivabile Brasile di Pelè, con mezzo Cagliari in campo. Alla mia pura gioia per l’evento storico, si aggiungevano motivi di fierezza, quasi di rivalutazione sociale ed ambientale, un transfer psicologico ed istintivo verso riferimenti di appartenenza e di identità. Albertosi, Martiradonna, Zignoli, Cera Niccolai, Tommasini, Domenghini, Nenè o Brugnera, Gori, Greatti e Riva; e ancora Poli, Reginato e il mister filosofo, Manlio Scopigno. Mitici, erano per me tutti sardi, eroi nuragici, alfieri leggendari della bandiera della mia Isola, in uno con quella dei Quattro Mori. Una gioia incontenibile, anche per un “viola” come me, uno dei due viola del mio paese, Ittiri, dove nel giugno del ‘69 avevo concluso come presidente e fondatore i miei primi tre campionati dilettanti Figc, alla guida della Cannedu Ittiri. Era la gioia che, da sardo, potevo con orgoglio esibire agli altri, che potevo finalmente manifestare a tutti, e “galu e subra ‘e tottu a sos continentales”. E l’orgoglio che ancora oggi, da sardo in Continente, mi porto dentro e manifesto. E la stessa emozione ho riprovato nel gennaio del 1987, quando a Pisa, nella Pisa del presidente Anconetani, ove allora risiedevo per lavoro, venne a casa mia, accompagnato dall’amico giornalista Costanzo Spineo, Gigi Riva. Così racconta l’episodio Costanzo (nella prefazione al mio libro Quel Calcio nel cuore…la Cannedu Ittiri): «Supore, negli occhi lo stupore, come di un bambino appena premiato dai genitori per un compito ben riuscito a scuola o per un dono ricevuto a Natale. Portai Gigi Riva nella casa di Antonio, a Pisa, dopo una partita del Cagliari contro la squadra locale. Antonio sembrava elettrizzato dalla presenza di “Rombo di Tuono”, offrì thè e pasticcini, soprattutto papassini. Come a dimostrare ancora una volta la sua sardità».
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Antonio Maria Masia * Vicepresidente dell’Associazione dei Sardi di Roma “Il Gremio”.
DEI CAMPIONI È
stato il primo fotoreporter cagliaritano. Una professione, la sua, che ha inizio quasi per gioco quando, a quindici anni, uno zio francese gli regala quella macchina a soffietto con otturatori a spilla. Domenico Manca ha rappresentato, e rappresenta tuttora, una memoria indispensabile per la storia cagliaritana, per quel cammino della nostra città che attraverso il suo obiettivo ha saputo ritrarre in ogni sua tappa, anche e soprattutto sportiva. Oltre ai vari personaggi pubblici come Mina, Domenico Modugno, Mike Bongiorno, Carla
Fracci, immortalati durante le loro visite alla città di Cagliari, Manca è stato anche il più costante testimone dell’ascesa della nostra squadra. È lui stesso a raccontarci il suo ricordo: «Conservo nel mio archivio tutte le immagini della storia del calcio del Cagliari fino all’arrivo di Pelé, Riva, Rivera e la vincita dello Scudetto. Che bei momenti, tutti vissuti da vicino, molto vicino. Il giorno del trionfo avevo seguito i preparativi, la partita, e ogni momento dei festeggiamenti: dalla cerimonia ufficiale alla Fiera, fino al ricevimento con i dirigenti e i calciatori al Corsaro. Quella
GIMAL PARRUCCHIERI C.Comm. C.Comm. GALBONEDDU GALBONEDDU LOC. LOC. GALBONEDDU, GALBONEDDU, ALGHERO ALGHERO -- TEL. TEL. 079.951993 079.951993
Centro Centro comm. comm. La La Piazzetta Piazzetta Z.I. Z.I. Predda Predda Niedda Niedda Sassari Sassari tel. tel. 079260715 079260715 Centro Centro Comm Comm II Granai Granai Via Via Sassari, Sassari, Porto Porto Torres Torres Tel. Tel. 079 079 5041019 5041019
sera, tra torte in faccia e fiumi di champagne, il locale era stato messo completamente sottosopra. Anche Filippo Deidda (proprietario del ristorante Corsaro) era uno dei loro più fedeli tifosi ed era talmente felice per la vittoria che non gli importava proprio nulla di quel caos». Ora Domenico Manca si gode la sua pensione, ma tutto questo rimane fonte inesauribile di ricordi. Avrebbe voluto lasciare l’attività in eredità ai figli, ma loro hanno intrapreso strade diverse e anche per lui resta semplicemente un hobby.
L’EREDITÀ DI MARIUS E IL CENTRO DI COORDINAMENTO DEI CAGLIARI CLUB
LA STRISCIA DEI SUPER TIFOSI Testo Laura Bonu
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assimo Boldi, sfegatato sostenitore del Milan, nel film “Tifosi” è costretto a scegliere tra la vittoria della sua squadra del cuore o una vincita miliardaria al HYPERLINK “http://it.wikipedia.org/wiki/ Totocalcio” Totocalcio; HYPERLINK “http://it.wikipedia. org/wiki/Diego_Abatantuono” Diego Abatantuono, invece, viene bandito da tutti gli stadi per tre anni, ma riesce lo stesso a vedere la trasferta juventina a HYPERLINK “http://it.wikipedia.org/wiki/Parma” Parma. I tempi in cui la sportività era l’unica cosa veramente importante, i tempi in cui i cori erano echi di condivisione e non di insulti, sono ormai lontani, e nessuno avrebbe più dubbi sulla scelta della schedina o la vittoria della propria squadra nel derby casalingo. Oggi il tifo, quello da stadio, lo ritroviamo nelle pagine dei giornali: una parola di troppo, uno spintone e poi l’esagerazione. Spesso si dimentica cosa significhi tifare la propria squadra. Spesso, ma non sempre. Non lo aveva mai fatto Mario Sardara, noto a tutti come Marius, il “Re dei tifosi” del Cagliari Calcio, che nel suo bar di viale Trento aveva inaugurato il primo “Cagliari Club”. Così nasce l’attuale Centro di Coordinamento dei Cagliari Club di cui egli è stato presidente effettivo fino al 2002, e onorario fino al giorno della sua scomparsa. Sempre così, è nato il tifo moderno, festaiolo e ricco di entusiasmo, così iniziano le tradizioni, prime su tutte la vestizione della statua di Carlo Felice in piazza Yenne, rito propiziatorio e liberatorio. Ma altre sono le iniziative di appoggio alla squadra, come la presenza della banda cittadina in curva e, attraverso novanta Cagliari Club sparsi in tutta l’Isola e non solo, la moltiplicazione dei tifosi: oltre cinquemila gli iscritti e lo stadio gremito di sostenitori. Oggi, tutto questo continua a vivere grazie allo spirito e alla buona volontà di Leonardo Tilocca, attuale presidente del Centro di Coordinamento dei Cagliari
Club e, in particolare, del Cagliari Club di Tissi. Tilocca è in questo ambiente dal 1986, ed è lui ad ereditare il pesante lascito di Marius: «Un signore gentile, d’altri tempi», così lo descrive Leonardo, «Ci ha insegnato a supportare la nostra squadra del cuore nella maniera più sana e genuina». È impossibile, allora, non ricordare le scampagnate al Sant’Elia, quando andare allo stadio era una festa, quando la Tv non trasmetteva quattro inquadrature diverse della stessa azione, quando l’alta tecnologia non permetteva di contare i fili d’erba nel campo, si cucinava il pranzo da casa, panini per i più modesti e pesci da arrostire per i più organizzati. Impossibile non ricordare la sensazione di stare in famiglia, ecco il patrimonio più prezioso: la correttezza, la moralità, anche quando sei seduto in curva con la sciarpa rossoblu al collo. «Il nostro compito sarà quello di proseguire la sua opera, stando vicini ai tifosi e aiutandoli ad entrare a far parte di un’associazione con principi sani, che ha il solo scopo di sostenere sempre la squadra, soprattutto nei momenti più difficili», precisa il presidente, «Aggiornavo costantemente Marius sul movimento dei tifosi nel nord della Sardegna: rimanere uniti è un obiettivo fondamentale». E allora, sembra in armonia con questi principi l’iniziativa attuale di solidarietà del Sant’Elia, che ha abbracciato gli operai dell’Alcoa, ospitandoli nel settore distinti. Giunti finalmente al quarantennale dello storico scudetto del Cagliari, per la città sembra di rivivere quella sensazione di orgoglio, quando il Cagliari batte (di nuovo) il Bari, il Parma o il Livorno, fievole e timida la sensazione, si perde nei ricordi della mitica stagione ‘69/’70. «La passione dei tifosi per la squadra è ancora molto forte», precisa di nuovo Tilocca, «nonostante la tentazione di stare comodamente in poltrona a guardare la partita in Tv sia grande, ci sono gruppi di tifosi che ogni domenica attraversano la Sardegna per raggiungere lo stadio. Non può essere solo un’abitudine. Partire al mattino e trovarsi in curva con gli amici di sempre è una cosa bellissima. Bisognerebbe favorire la presenza delle famiglie allo stadio, e smetterla di imporre tutti questi divieti. Che ci lascino sventolare in pace le nostre bandiere con i quattro mori, striscioni e la nostra mascotte, il cinghialetto». Tutti a tifare allora, in curva ovviamente, perché quando il nostro Cagliari gonfia la rete è impossibile non essere felici. Cristiano Militello di “Striscia La Notizia” con il presidente del Centro Leonardo Tilocca e altri soci.
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LA SARDEGNA A MOSCA
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DA COVERCIANO
In Aula Magna, dopo la kermesse assai movimentata di contorno alla cerimonia di premiazione della “Panchina d’oro” (assegnata meritatamente a Massimiliano Allegri), l’emozione e la meraviglia sono pari alla felicità che il tecnico toscano ha dichiarato di provare. Allenatori e autorità federali si trasferiscono nella sala di ristorazione. Seduti gli uni vicini agli altri c’erano “Special One” Josè Mourinho e il giovane rampante Leonardo Nascimento de Araújo, meglio noto solo come Leonardo, e tutt’intorno gli altri mostri sacri della panchina che insieme fagocitano l’attenzione dei mass media nazionali ed esteri. Per Allegri è il momento di assaporare il gusto del successo anche a tavola. Per me è l’occasione di avvicinare tanti grandi protagonisti e fare loro la stessa domanda: «A quarant’anni dalla conquista dello scudetto, oggi, quale testimonianza
possiamo dare e cosa rappresenta questo traguardo ottenuto da parte del Cagliari?» Fino Fini, già segretario del Settore Tecnico, medico sportivo della nazionale nell’anno dello scudetto del Cagliari ed attuale direttore della Fondazione “Museo del CalcioCentro di Documentazione Storica e Culturale del Gioco del Calcio” di Coverciano, è il primo ad essere intervistato. «Stupendo, grandioso Cagliari, basti pensare a Scopigno e al fior fiore di giocatori che si era ritrovato in squadra! Su ogni giocatore c’è una storia o un aneddoto» – continua dott.
Testo Ignazio Argiolas
Fini -. «Quando vinse lo scudetto, il Cagliari lasciò tutti di stucco per la semplicità con la quale riuscì nell’impresa. Negli anni settanta il rito che celebrava la squadra campione d’Italia era portare l’intera rosa nello studio della Domenica Sportiva, con l’allenatore e lo staff dirigenziale al completo. Il Cagliari dello scudetto non fece eccezione, e fu ospitato il 19 aprile 1970, dopo essersi laureato campione la settimana precedente. L’investitura televisiva era stata rinviata alla domenica successiva in quanto di scena a Milano dove c’erano gli studi della Domenica Sportiva. Quando il microfono, che passò dall’uno all’altro dei giocatori, arrivò a Nenè - unico straniero - il brasiliano annunciò che si sarebbe sposato presto, come promesso alla fidanzata sei anni prima, al suo arrivo a Cagliari nella prima squadra sarda mai promossa in Serie A: “Ti sposerò...quando vinceremo lo scudetto”. Una promessa è una promessa». Un episodio, questo, che allora fu enfatizzato anche dal grande Gianni Brera. Siamo nella sala ristorante del Centro Tecnico Federale di Coverciano, il brusio ed i commenti dopo la cerimonia della premiazione per la “Panchina d’oro” assegnata a Massimiliano Allegri si sovrappongono, ma non mi impediscono di avvicinare Giancarlo Padovan, caporedattore sportivo del Corriere della Sera e direttore di Tuttosport da ottobre 2002 a gennaio 2008, oggi direttore editoriale del Corriere di Livorno. Esordisce così
senza pensarci su neanche un momento: «Ero un bambino ma ho nella memoria Gigi Riva che fa gol in rovesciata: forza e gesto
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tecnico straordinario, che mi addolora poiché tifavo il Vicenza, ma, allo stesso tempo, mi stupisce per il pezzo pregiato molto raro. Sicuramente il primo esempio di forza fisica abbinata a grande tecnica. Mi ricordo anche Pierluigi Cera, Ricciotti Greatti, Bobo Gori, dovrei nominarli tutti insomma: il Cagliari scudetto è stato la sorpresa, la prima vera, unica provinciale che ha vinto lo scudetto. Geograficamente la Sardegna è lontana dal resto dell’Italia, dal continente come viene chiamata dai sardi: sembrava una squadra discesa da un altro pianeta. Avrebbe potuto vincere tanti scudetti, ma non aveva potenza, quella che poteva avere la Juventus di allora». Romeo Benetti quel Cagliari lo ha incontrato più di una volta da avversario, come giocatore. E racconta: «Pochi club potevano vantare un giocatore come Ricciotti Greatti, intorno al quale ruotava tutto il gioco della squadra. Assieme a lui, a centrocampo, Pierluigi Cera, inimitabile organizzatore del-
la difesa, senza contare che dietro tutti c’era Albertosi. Il meno bravo, in una squadra come il Cagliari dello scudetto, non si notava perché pienamente integrato. Quel Cagliari ha emozionato tutti, anche i sardi sparsi fuori dalla loro isola ed ha obbligato i pastori a comprare la radio». Giampiero Gasperini, a nove anni, partecipò ad un provino per la Juventus insieme
tosi, miglior portiere del momento che poi sarebbero andati in Nazionale ai Mondiali in Messico - protagonisti della sfida del se-
ad una miriade di ragazzini. Fu scelto, ma nacque subito un problema a causa dell’età, in quanto il tesseramento all’allora Nucleo di Addestramento Giovani calciatori (Nagc) era possibile soltanto a dieci anni. Grazie a questo poté assistere alle prodezze di Gigi Riva, un vero e proprio mito per lui. L’anno dello scudetto del Cagliari, per lui la partita Juventus-Cagliari era una sfida particolare: «avevo il tesserino della Juve, le due squadre si spartivano il punteggio e per me diventava come un derby, avendo io avuto come istruttore Nenè nella scuola calcio». Un’altra testimonianza di rilievo è quella di Biagio Savarese, vice presidente nazionale dell’AIAC: «Si disse che il titolo vinto dal Cagliari fosse lo scudetto dei poveri, ma non era vero. Fu invece lo scudetto dell’armonia, dei campioni, estremamente meritato ad onta dei grandi club». I suoi ricordi ci riportano alle gesta dei campioni di allora che avevano emozionato non solo i sardi ma anche tutto il sud Italia. «Le gesta di un Gigi Riva e le parate di un Alber-
colo, ovvero la semifinale con la Germania, unitamente a Cera, Domenghini e lo stesso Niccolai non impiegato in quella occasione. Anche se passato all’Inter da un anno, devo poi aggiungere Roberto Boninsegna». Francesco Rocca, attuale allenatore della Nazionale under 20, è veramente un grande estimatore della Sardegna. Francesco è veramente un ragazzo eccezionale, grande sostenitore del rigore a cui deve sottostare il calciatore per una riuscita e un mantenimento del suo essere atleta nel tempo. È talmente affezionato alla Sardegna da aver chiesto alla Brigata Sassari l’inno dei “Dimonios” di cui conosce ogni parola e che ascol-
ta e canta in ogni momento della sua giornata, come ha fatto nel tragitto in macchina quando un giorno mi ha accompagnato da Coverciano a Roma. Tiene a precisare, come già in precedenza Padovan e Gasperini, che lui non ha vissuto in prima persona il momento del Cagliari scudetto da giocatore, in quanto più giovane. Però, da calciatore alla Roma agli inizi della sua carriera, aveva avuto come allenatore Manlio Scopigno, il quale, dopo la conquista del titolo di campione d’Italia, resta altri due anni in Sardegna, quindi dopo un anno sabbatico viene ingaggiato dalla Roma nella stagione ’73/’74. Su di lui Francesco Rocca tesse lodi incondizionate. L’allenatore filosofo reatino è sempre stato all’altezza della sua fama. Come tecnico non si discuteva, anche se dopo sei giornate, forse dopo aver verificato di non poter reggere la pressione di una piazza molto più
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esigente di Cagliari, decise di abbandonare la panchina. Tra le tante, Francesco ricorda una delle sue battute che hanno sempre caratterizzato il suo spirito di tecnico critico, distaccato e disincantato: «Mi sarei aspettato di tutto dalla vita, ma non di vedere Niccolai in mondovisione...». Azeglio Vicini, sedicesimo Presidente del Settore Tecnico della F.I.G.C., mi riceve nel suo studio al primo piano non appena terminato un incontro con Giancarlo Abete. Sempre pacato e riflessivo, non si fa pregare per rispondere tutto d’un fiato alla mia domanda. «Il Cagliari dello scudetto, nel dopoguerra è la prima squadra non metropolitana a rappresentare come giocare bene sia sinonimo dell’ottenere il risultato. Sono sempre stato sostenitore del fatto che per costruire un gruppo compatto servono bravi giocatori e persone serie. Poi bisogna saperli condurre, e Scopigno sapeva che tutta la squadra era molto forte. Ecco, quel Cagliari aveva un gruppo di campioni ma soprattutto un super campione come Riva. Andavo sempre a veder giocare il Cagliari al completo per Valcareggi. A volte il gruppo nasce spontaneamente, a volte occorre crearlo e, se le cose vanno bene, tutto diventa più facile. Questo Cagliari prodigioso aveva Albertosi in porta, difensori molto forti, un centrocampo con Greatti in mezzo e Cera che era bravo da mediano e poi anche da libero, calciatore che aveva il giusto carisma e che era molto seguito dai compagni. Il centrocampo con Greatti, Cera, Nenè e Domenghini era veramente forte. Ogni allenatore ha le sue idee ed i suoi convincimenti ed è giusto che vi faccia affidamento. Avrebbe potuto ottenere di più, però Riva ha subìto tre infortuni seri. Riva voleva dire molti gol: dopo Valentino Mazzola, sono sempre rimasto suo grande ammiratore».
AMICI PER LA VIITA
amici per la vita
SI FA SEMPRE SQUADRA A quarant’anni di distanza, vince sempre l’amicizia, anche attorno a Nenè. L’occasione? Il suo compleanno numero 68.
G
Testo Ignazio Argiolas
li amici di Claudio Nenè, quelli di sempre, hanno voluto festeggiare il suo compleanno nel modo a lui più caro: ritrovandosi tutti insieme per mangiare qualcosa, il 1 febbraio. Luigi Riva, Ricciotti Greatti, Giuseppe Tomasini, Adriano Reginato, Mario Martiradonna, Mario Brugnera, Luigi Piras, Riccardo Dessì, Adriano Novellini, Cesare Poli, Renato Copparoni, Emanuele Battelli, a cui si sono aggiunti Ferdinando Secci e Alessandro Camba, un amico e il tutore di Nenè. Il venerdì prima ero andato a trovare Claudio presso la “Struttura Sanitaria Protetta” che lo ospita, portando con me foto dei periodi d’oro del suo fine carriera: i bambini del “Centro Addestramento Gigi Riva”, testimonianze dell’avventura passata assieme ad allenare la Paganese in serie C, amici e amiche che festeggiano un suo compleanno del 1986 vicini ad una stufa in una casetta di montagna con l’immancabile maialetto. Il suo sorridere alla vista di quelle immagini mi ha dato la conferma dell’inversione di rotta in positivo del suo stato di salute. «Quando si mangia?» - è stata la sua prima reazione - «Oba, quando si mangia su porceddu?». L’ho lasciato su questa esclamazione gioiosa (oba era il suo modo di attirare l’attenzione dell’interlocutore con un approccio acustico di effetto sicuro a cui si abbandonava con gli amici) promettendogli che ci saremmo visti ad una cena con tanti amici per festeggiare il suo 68° compleanno. E così è stato. Sono arrivato che la cena era già iniziata (a causa del volo in ritardo) ma in tempo per gustare il pesce fresco cotto alla brace. I tempi del servizio nella saletta riservata di un ristorante della marina, a un tiro di schioppo dal porto, e poi la torta. Gli occhi di Claudio non perdevano un attimo né una situazione di questo momento ricco di emozioni: quelle degli amici di spogliatoio, chiassosi e pronti alla battuta come ai vecchi tempi che furono; la varietà di pietanze, notoriamente stimolanti per il suo palato, gli facevano luccicare gli occhi che avevano ripreso l’espressione di quell’eterno ragazzone che aveva saputo conquistare gli stadi facendo esplodere di gioia i tifosi con giochi di alta classe. Sulla torta l’attenzione più grande: riportava l’immagine della squadra del Cagliari vincitrice dello scudetto: ciascun commensale ha preso una fetta che raffigurasse la testa di uno dei componenti. Durante il taglio e spartizione dei ruoli, Claudio rideva divertito assapo-
rando quel clima affettivo che ormai si era consolidato attorno alla sua figura. L’abbraccio finale ed i saluti mettevano fine ad un momento magico di empatia di gruppo, espressione di una capacità di captare le spie emozionali, di cogliere anche i segnali non verbali indicatori di uno stato d’animo e di intuire quale valore rivesta un evento per l’interlocutore, senza lasciarsi guidare dai propri schemi di attribuzione di significato. Questi amici e compagni di squadra, con tale gesto hanno dimostrato il vero valore dell’amicizia, fatta di solidarietà senza confini e senza eguali. Vivere con loro questo momento è stata una grande lezione di vita: attimi vissuti insieme, momenti a ricordare e a fermare il tempo, sono serviti ad aiutare questo grande campione a riappropriarsi della dimensione che gli compete, come uomo e come simbolo di un tempo irripetibile della gloriosa storia sportiva di Cagliari e della Sardegna intera. Nobile esempio di esperienze che testimoniano di cose molto più importanti nella vita, ma che fanno bene anche al calcio.
Questi amici e compagni di squadra, con tale gesto hanno dimostrato il vero valore dell’amicizia, fatta di solidarietà senza confini e senza eguali.