L'isola che c'è - Sardegna incontra Roma 2011

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Periodico di tradizioni popolari, cultura della tavola, ambiente, eventi e turismo diretto da Giorgio Ariu • Settembre 2010 • Anno VIII • N. 1 • COPIA GRATUITA

LE ECCELLENZE DELL’ISOLA NELLA CAPITALE

23 - 24 - 25 settembre 2011

VENERDÌ 23 SETTEMBRE

SABATO 24 SETTEMBRE

DOMENICA 25 SETTEMBRE


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ECCO LA GRANDE PIAZZA

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erché stavolta parliamo di “miracolo”, seppure con le attenzioni del caso rispetto alla parola usata? La festa di una comunità uguale a un “miracolo”, seppure piccolo? Ebbene sì! La nostra Associazione, ancorché alle prese con limitatissime risorse finanziarie e con altrettanto limitate disponibilità di risorse umane, si è fatta carico, pur nell’attuale contesto di grave crisi economica e istituzionale che attraversa il nostro Paese, di dare fondo alle proprie energie e capacità organizzative e di passione per organizzare, anzi co-organizzare, l’attesa manifestazione culturale, enograstronomica e di spettacolo per il terzo anno consecutivo. Così ecco l’edizione 2011, ancora una volta a Roma e ancora nella splendida piazza di San Giovanni in Laterano. Ancora insieme con la GIA Comunicazione di Giorgio Ariu, il dinamico operatore economico e culturale che, da sempre, con le sue iniziative contribuisce a dare visibilità e notorietà alla nostra Isola, alle sue tradizioni, ai suoi artisti, scrittori ed imprenditori. Ricordiamo fra le produzioni più significative di Giorgio Ariu, i suoi apprezzati giornali, Il Cagliaritano, SardegnaTavola e Via Mare. L’Isola che c’è è una sua idea, una sua “creatura” che data da diversi anni e che dopo aver girato per varie città d’Italia a contatto diretto con le comunità dei Sardi in Continente, si è ora fermata a Roma grazie all’incontro con il Gremio. Ancora insieme con l’Associazione Salpare di Alghero-Roma di Neria De Giovanni, presidentessa dell’Associazione internazionale dei critici letterari (AICL), scrittrice, editrice, ed instancabile punto di riferimento per la diffusione della cultura sarda e non solo. Con l’apporto di Salpare anche in questa edizione avremo l’onore di ospitare lo svolgimento del prestigioso premio “Alghero Donna 2011” che Neria organizza e tiene ad Alghero da dieci anni. Fra le premiate la nostra grande giornalista Bianca Berlinguer per il settore informazione e la poetessa Anna Manna per la letteratura, con la speciale esibizione dell’attrice Nerina Nieddu di Sassari, interprete di alcuni brani del compianto poeta Ignazio Delogu di Usini, di recente scomparso. Il piccolo “miracolo”, con poche risorse, dicevamo, ma con enorme entusiasmo, e come sempre con l’aiuto prezioso e determinante della nostra socia d’onore Gemma Azuni, la nostra Consigliera Sarda al Comune di Roma, e del presidente della FASI (la Federazione dei Circoli sardi d’Italia), Tonino Mulas, vedrà la luce venerdì mattina 23 settembre, a partire dalle ore 10:30, e proseguirà per le giornate successive di sabato 24 e domenica sera 25, fino a tarda sera. Molte le iniziative culturali e gli spettacoli previsti. Nu-

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agliari è una delle Capitali del Mediterraneo, un nodo nevralgico nel processo di sviluppo già in atto», così il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha definito il capoluogo sardo in una delle sue visite. Il primo cittadino della Capitale ama la Sardegna e lo aveva dimostrato anche in occasione dell’edizione di due anni fa de ”L’Isola che c’è”, quando aveva lodato l’iniziativa in quanto occasione di una conoscenza lontana dagli stereotipi, «l’opportunità di una visione più vera di questa splendida regione». E Cagliari deve assumere il ruolo di guida dell’Isola, sostenuta dalla Regione, che a sua volta «deve dotarsi di strumenti finanziari e legislativi per assicurare al suo capoluogo quella funzione di traino che è irrinunciabile nell’attuale assetto organizzativo dello Stato Federale». Una città metropolitana, nella quale anche l’hinterland venga valorizzato e abbia una parte importante. Una città dalla bellezza struggente, tanto da fargli ritenere eccessivo il riconoscimento promesso con la cittadinanza onoraria.

Gianni Alemanno

merosi gli stand presenti a fare da vetrina ai prodotti enogastronomici d’eccellenza della Sardegna ed in particolare di alcuni centri dell’Isola famosi per i torroni, il vino, l’olio d’oliva, il formaggio, le salsicce; ma anche i prodotti dell’artigianato, dai tappeti agli arazzi, dai cesti ai coltelli e così via. Stand che ospiteranno libri ed autori, documentari e registi, enti sardi che valorizzano i luoghi della nostra Terra ai fini turistici come ad esempio il “Trenino verde”. Importanti personaggi, legati o per nascita o per affetto alla Sardegna, riceveranno il premio “L’Isola nel cuore”. L’anno scorso, ci piace ricordarlo, il premio fu assegnato ai dieci giornalisti sardi più noti ed affermati a Roma (Olla, Sechi, Floris, Frau, Berlinguer, Chessa, Ribichesu, Bellu, Gagliardi, Piras). Tra coloro che verranno premiati quest’anno, Gigi Riva, l’indimenticabile “Rombo di tuono” grazie al quale anche nel settore calcio la Sardegna è pervenuta ai massimi livelli, i Cugini di Campagna, Gemma Azuni e Tonino Mula a testimonianza e riconoscenza del loro impegno politico e sociale per la conservazione e valorizzazione dell’identità e della cultura della Sardegna. In onore a Gigi Riva uno speciale e quasi inedito, ma attraente e significativo, spettacolo teatrale e musicale sulla vita, straordinaria, del cannoniere di Leggiuno, ormai sardo doc a tutti gli effetti. Il concerto degli amici (così li consideriamo ormai per affetto e continuità di presenza) del coro “Gavino Gabriel” di Tempio con i loro canti a tenores ricchi di brani suggestivi e famosi. Ricordiamo che Gavino Gabriel, l’usignolo di Tempio, è stato un grande artista, socio a suo tempo del Gremio, che ha lasciato segni importantissimi nell’ambito della discografia e del panorama musicale italiano. Il coro, tra l’altro, accompagnerà la Messa che a mezzogiorno della domenica 25 verrà celebrata nella Basilica di San Giovanni per la comunità dei Sardi di Roma. Il fantasmagorico e colorato gruppo medievale di sbandieratori di Iglesias ci accompagnerà nel corso di tutta la manifestazione con le sue marce e lanci di bandiere. La manifestazione, all’insegna della positiva contaminazione culturale con la città che ci ospita, vedrà incontri e dibattiti con artisti e personaggi di Roma ed amici non sardi: questa una delle finalità della nostra rassegna: incontrare e rapportarsi con gli altri per uno scambio di idee, valutazioni e progetti, per una convivenza ed integrazione tollerante e civile. Non mancherà il tema della solidarietà. Noi Sardi siamo stati un popolo che ha conosciuto e praticato l’emigrazione, attraverso tanti uomini e donne che, in altre epoche gravide di enormi sacrifici e amare rinunce, hanno lasciato la propria Terra alla ricerca di un futuro migliore, non sempre incontrato. Noi che abbiamo cercato e chiesto solidarietà alle comunità che ci hanno ospitato, ora rivolgiamo la nostra attenzione ai più poveri del mondo: ai campesinos del Nicaragua, aiutando la Onlus dell’Arch. Luciana Vasile “Ho una casa”, vogliamo donare una piccola abitazione vera, al posto di una baracca, al costo di 5.000 euro che stiamo raccogliendo e che contiamo di completare durante la rassegna. Parleremo con responsabili delle Istituzioni del problema

di Antonio Maria Masia

del caro trasporti, che quest’anno ha pesato gravemente sull’attività turistica, fonte importantissima dell’economia dell’Isola, e della continuità territoriale. Quella vera, quella definitiva e non più legata a temporanei provvedimenti legati alla specificità etnica, quella che possiamo riassumere con questa definizione: ogni cittadino italiano, a prescindere dalla sua origine, (vale anche per le merci) deve potersi spostare nel territorio peninsulare ed insulare di questo Paese a parità di condizioni, come se fra l’Isola e la Penisola ci fosse un ponte, come se il mare non fosse più un ostacolo fisico ed economico. Questo obiettivo ha portato, il 15 giugno, in piazza Santissimi Apostoli a Roma tutti i Circoli sardi d’Italia a manifestare per l’abbattimento del divario insulare, la sua misurazione e conseguente compensazione. “L’Isola che c è” avrà quest’anno un preciso filo conduttore: la cultura del Vino. Vogliamo in questo modo, assecondando un indirizzo della Regione Sarda, che come noto, riconosce nei Circoli d’Italia e del mondo una sorta di suoi ambasciatori culturali ed economici, dare risalto e ancora più diffusa conoscenza dei più importanti vini sardi. Vini di qualità che hanno tanto di nome e cognome e che verranno fatti degustare ai presenti alle varie iniziative in corso, da esperti sommelier. Vini che rappresentano una parte importante del vissuto, delle tradizioni agricole e produttive della Sardegna, vini che con il loro affermarsi nel panorama regionale, nazionale ed internazionale hanno determinato prosperità per una attività sempre più importante per operatori e famiglie intere che hanno visto evoluzione e progresso per se stessi e per il contesto locale e sociale di origine. Vino significa economia, significa cultura, significa alimentazione. Ma anche divertimento, se utilizzato nelle giuste dosi. Vino vuol dire arte, anche sacra con il vino per la messa. Chenza ‘inu ‘onu non si cantat Missa” è un modo di dire significativo di quanto valga questo prodotto che farà ampio sfoggio durante questa edizione. Parleremo del vino con conferenzieri di provata capacità nel settore. Canteremo il vino della Sardegna anche con l’esibizione del gruppo musicale “Ruseddu” di Gavino Ruggiu, autore ed interprete della canzone identitaria sassarese. E ricordando (come amava cantare mio padre) che “tres sunt sos regalos de Deus/misciados a dolu e allegria/ s’aba, su ‘INU e s’olzu e s’olia, pro chi sa vida colet in recreu”, propongo, a nome del Gremio, di Giorgio Ariu e di Neria De Giovanni, l’appuntamento a piazza San Giovanni in Laterano per il “piccolo miracolo”, che dura tre giorni, ai sardi di Roma e dintorni, nonché agli amici romani e continentali che desideriamo affettuosamente incontrare, per tuffarci, tutti insieme, nell’atmosfera magica della nostra Terra ospitale, assaporando, perché no, il profumo ed il gusto dei suoi vini... e non solo. Appuntamento che opportunamente interviene, nel segno attuale del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, e che servirà a rafforzare il legame fra quei “Fratelli d’Italia”, per i quali la FASI ha realizzato, ed ha tuttora in corso, una bellissima, per quantità e qualità, Mostra per illustrazioni, satira, immagini e disegni, dedicata al concetto dell’Unione e della Solidarietà, presentata inizialmente a Roma, attraverso il Gremio, e poi esposta in tante altre città d’Italia e del mondo in collaborazione con i Circoli ed altre Associazioni.


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L’ISOLA CHE C’È/ECCELLENZE DELL’ISOLA, LA MAGIA DEL TRENINO VERDE

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rentacinque anni fa nasceva la prima scuola calcio in Sardegna, e una delle prime in Italia, voluta e intitolata al famosissimo campione del Cagliari e della Nazionale Gigi Riva. Con lui altri importanti personaggi del mondo dello sport isolano, il rag. Cenzo Soro ed il prof. Enzo Molinas, che con grande impegno ne hanno curato la gestione ogni giorno per oltre trent’anni. Lo sport prima di tutto, inteso come “palestra di vita”, luogo di incontri e socializzazione, momento di crescita per ogni atleta nella vittoria e nella sconfitta: questo lo spirito del Centro Sportivo “Gigi Riva”, il primo in Italia ad aver ricevuto il riconoscimento ufficiale del CONI e della FIGC come Centro di Avviamento allo Sport del Calcio e come Scuola Calcio. Ai riconoscimenti ufficiali si aggiunge quello, non meno importante, dei numeri: la scuola calcio più frequentata in Sardegna ha contato oltre 10 mila bambini tra i sei e sedici anni allenarsi sui campi delle Saline di Stato in questi trentacinque anni di attività. La ragione di questo successo è la proposta dello sport per tutti, indipendentemente dal talento e dalle condizioni sociali ed economiche. La definiscono “smitizzazione del campionismo”, ossia di quella ricerca ossessiva del talento che affligge il calcio: i dirigenti e gli istruttori del Centro Sportivo hanno sempre anteposto alla selezione l’obiettivo di offrire a tutti i ragazzi la grande opportunità di socializzare e crescere insieme. Tutto questo anche senza alcun guadagno, come nel caso dei tanti ragazzi provenienti dai quartieri più disagiati di Cagliari che hanno avuto la possibilità di giocare senza pagare nulla, o di tutti i giovani che sono approdati in squadre di categoria superiore. Perché sport per tutti non significa accantonare la ricerca e l’assecondamento del talento anzi, più ragazzi inseguono il pallone sui campi, più talenti hanno la possibilità di emergere. Ed è per questo che calciatori diventati poi professionisti, come Massimiliano Pani e Gianluca Festa, hanno indossato da bambini la maglia del “Gigi Riva”. “L’Isola che c’è” è anche una festa di sport in cui i giovani calciatori cagliaritani hanno la possibilità di confrontarsi con i giovani calciatori romani delle storiche società Spes Montesacro e Romulea, in attività dagli anni Venti. Non una battaglia per aggiudicarsi un trofeo ma un incontro tra coetanei che condividono la stessa passione per il calcio, questo lo spirito del triangolare organizzato quest’anno nell’ambito della manifestazione di piazza San Giovanni. La Scuola Calcio “Gigi Riva” festeggia dunque anche così i suoi trentacinque anni, offrendo un’altra nuova occasione di divertimento e di crescita ai propri allievi.

Autunno

Ecco

l’isola mai vista

Invito per l’isola

in Barbagia È partita il 2 settembre da Teti l’edizione 2011 di “Autunno in Barbagia”, la rassegna durante la quale i Comuni dell’interno dell’isola mettono in mostra i loro saperi e sapori. “Una scommessa vinta”, come l’ha definita il sindaco di Teti Pietro Galisai, e una speranza di rilancio dopo i bilanci deludenti dell’estate, per una manifestazione che l’anno scorso ha fatto registrare 35 mila visitatori in ogni paese coinvolto.

Tra i ventotto Comuni del Nuorese anche quelli della Comunità Montana del Gennargentu Mandrolisai, che presenta a Roma per l’evento “L’isola che c’è” il suo patrimonio di 600 chilometri quadrati fra le montagne del Gennargentu che includono i paesi di Aritzo, Atzara, Austis, Belvì, Desulo, Gadoni, Meana Sardo, Ortueri, Sorgono, Teti e Tonara. Piccoli gioielli incorniciati da un territorio che offre angoli meravigliosi, dove il trekking, l’agriturismo e la pesca di lago hanno una ambientazione

ideale. Un’occasione per valorizzare la natura, ma anche quelle che furono e sono le maggiori tradizioni e realtà economiche della zona, a partire da Teti, circondato di fitti boschi di lecci e sugherete secolari abitati da cervi, daini, cinghiali, volpi e lepri e numerosi siti archeologici di epoca prenuragica e nuragica, e Austis dove tra i boschi rigogliosi affiorano rocce granitiche che sembrano vere e proprie sculture come Sa Crabarissa. Poi Tonara, famosa per il suo torrone e dove si può osservare il lavoro dei mastri ferrai e degli artigiani dei tappeti nelle loro botteghe, Meana Sardo con il suo suggestivo centro storico di case costruite in pietra scistosa e decorate in stile aragonese e Belvì con il suo territorio ricco di boschi di ciliegi, noccioli, noci, castagni, roveri, lecci e agrifogli e il Museo naturalistico. E ancora Sorgono, le cui origini risalgono all’epoca prenuragica e che conserva il sito di “Biru’e Concas”, tra i più suggestivi raggruppamenti di menhir di tutta la Sardegna, Aritzo con i suoi panorami estremamente vari che vanno dalle vallate ricoperte da castagneti e noccioleti alternate alle ripide spaccature e gole create dai torrenti affluenti del Flumendosa, e Desulo, dove la bellezza della tradizione convive con le bellezze naturali della vallata coperta di boschi di lecci e castagni e ricca di sorgenti. Infine Atzara e il suo centro storico medievale di impianto aragonese con le tipiche case basse in granito dalle soffitte coperte con travi di quercia, e Gadoni, famoso per le miniere di “Funtana Raminosa”, sfruttate già nel periodo nuragico per la produzione di rame e oggi parte del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna, riconosciuto dall’Unesco. La rassegna “Autunno in Barbagia” è nata quando la Camera di Commercio di Nuoro ha fatto propria l’idea lanciata dal Comune di Oliena, che aveva organizzato nel 1996 la prima edizione di Cortes Apertas nel proprio territorio, ed ora una realtà importante per questi piccoli Comuni, ognuno con i suoi tesori valorizzati dall’unione sotto il marchio Barbagia che li identifica. Un successo testimoniato dall’aumento delle comunità entrate quest’anno nel circuito e dalla proposta di estendere la manifestazione ai mesi estivi e invernali. «Il nostro territorio si presta ad essere visitato in tutte le stagioni, è questa la sua peculiarità», afferma il presidente della Comunità Montana Gennargentu Mandrolisiai, Gian Luigi Littarru, «in autunno con le numerose sagre, in inverno offriamo lo spettacolo dei monti innevati, in primavera la natura si mostra al massimo del suo splendore e perfino in estate, grazie al clima mite continua ad essere un piacere per i turisti venire a trovarci».


ROMA PIAZZA SAN GIOVANNI IN LATERANO VENERDÌ 23 SETTEMBRE ORE 21

CANTANDO I VINI DELL’ISOLA

GRUPPO FOLK RUSEDDU DI SASSARI

VENERDÌ 23 SETTEMBRE ORE 19

CUGINI DI CAMPAGNA

PREMIO ‘‘LA SARDEGNA NEL CUORE’’ VENERDÌ 23 SETTEMBRE ORE 19 SABATO 24 SETTEMBRE ORE 20

ESIBIZIONE BALESTRIERI IGLESIAS

SABATO 24 SETTEMBRE ORE 22

CORO GAVINO GABRIEL DOMENICA 25 ORE 12 ARCIBASILICA DI SAN GIOVANNI MESSA CANTATA IN SARDO

Cento31 sulla

SABATO 24 SETTEMBRE ORE 21

DA LEGGIUNO IN NAZIONALE SPETTACOLO TEATRALE DI FRANCESCO PELLICINI IN PRIMA NAZIONALE

DOMENICA 25 SETTEMBRE ORE 18

GALEP, TRA TEX E OPERE RELIGIOSE

Carlo Felice

Periodico di tradizioni popolari a diffusione gratuita SETTEMBRE 2011 - Anno IX n° 1 DIRETTORE RESPONSABILE Giorgio Ariu IN REDAZIONE Simone Ariu, Maurizio Artizzu, Antonella Solinas, Lorelise Pinna, Stefania Onano, Antonello Angioni Registrazione Tribunale di Cagliari n. 19/03 del 10/03/2003 GIA Comunicazione di Giorgio Ariu via Sardegna, 132 - 09124 Cagliari Tel. 070 728356 www.giacomunicazione.it info@giacomunicazione.it

DOMENICA 25 SETTEMBRE ORE 20

RINO LOMBARDI IN CONCERTO DALLA FRANCIA IL CANTAUTORE DI ORIGINI SARDE

SPETTACOLI - EVENTI - INCONTRI - SPETTACOLI -


Angelo Liberati, “L’Isola che c’è”, 2011. Particolari estratti dalle 11 opere realizzate con la tecnica degli inchiostri, delle matite colorate, dei colori acrilici, degli smalti, dei pastelli, del dècollage e collage su cartoncino, in occasione della manifestazione: Sardegna incontra Roma 2011

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ngelo Liberati nasce a Frascati (Roma) il 2 giugno 1946. L’incontro a Roma con il pittore italoargentino Silvio Benedetto, nei primi anni sessanta (1964), è l’occasione per l’apprendimento delle tecniche del mestiere di pittore, attraverso la frequentazione dello studio dell’artista, in via del Babuino, strada storica tra Piazza del Popolo e Piazza di Spagna. Per tutti gli anni sessanta sarà questo il suo percorso preferito per le frequentazioni delle gallerie di punta in quegli anni (Galleria Due Mondi, Il Fante di Spade, L’Attico, La Nuova Pesa). Nel 1970 si trasferisce in Sardegna, dove, a contatto con le neoavanguardie isolane (Galleria Sinibaldi, Il Basilisco di Francesco Tanda, Arte Duchamp), matura una poetica che combina la rivalutazione dell’elemento pittorico con le pratiche del riporto e del décollage di provenienza “pop”. Programmaticamente il suo segno è permeato dalla influenza di Renzo Vespignani, maestro da sempre e amico fraterno per quasi vent’anni.

Bibliografia: Angelo Liberati, opere 1975-1993, presentazione di Mario Ursino e una testimonianza di Renzo Vespignani, Ed. S.P.A.C.C. –Roma 1993. “Liberati”, opere 1973-2000, con interventi di Pietro Storari ed Enrico Deplano, Ed. CUEC – Cagliari 2001. Angelo Liberati – Opere, a cura di Maura Quartu, I Quaderni n. 1, catalogo della mostra al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea A. Ortiz Echague di Atzara (NU) 20042005 Angelo Liberati - Luchino Visconti percorsi di pittura, cinema, architettura. Cura e organizzazione: Provincia di Cagliari, Assessorato Beni Culturali - Sistema Museale Testi: Barbara Cadeddu, Maura Quartu, Marcella Serreli Spazio San Pancrazio Cittadella dei Musei, Cagliari 24 febbraio - 25 marzo 2006

Documentari: Arte Duchamp Cagliari-Stresa - regia di Tonino Casula, 1981 Angelo liberato - regia di Andrea Frisan, DVD, 2003 L’Invito - regia di Gino Melchiorre, DVD, 2004 Transfer Drawing – consulenza video, Gino Melchiorre, DVD, 2005 Secretum patellae – regia di Gino Melchiorre, DVD, 2008 Angelo Liberati viive a Cagliari Studio: Via Corte d’Appello, 28 Tel. 39 3207038922 – 39 070669278 09124 Cagliari www.angeloliberati.it Atelier di Roma Piazza Santa Maria Ausiliatrice, 24 Tel. 06 7822204 00181 ROMA

A “L’isola che c’è” il Premio Alghero Donna trova casa

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di Neria De Giovanni

l Premio Alghero Donna di letteratura e giornalismo che ho ideato nel 1995 col periodico di cultura SALPARE che dirigo e l’Associazione omonima che presiedo, dopo una breve interruzione dovuta al mancato finanziamento del Premio da parte del Comune di Alghero, nel 2010 è ritornato più vitale e “nazionale” di prima grazie al sostegno dell’associazione ambientalista “Mare Amico”. Infatti nel 2010 è stato assegnato all’interno della manifestazione “Rassegna del Mare”: per la narrativa a Lia Levi con “La sposa gentile” (E/O ed.), per la poesia a Gabriella Sica con Le lacrime delle cose (Moretti & Vitali), mentre la sezione giornalismo a Paola Saluzzi di Sky TV è stata consegnata proprio durante le giornate dell’Isola che c’è- Sardegna incontra Roma, a San Giovanni in Laterano. Il Premio Alghero donna per l’albo d’oro delle sue premiate, per l‘ottima stampa che ha sempre avuto, per l’attenzione del pubblico dei lettori e dei critici, pur portando il nome della città dove è nato, credo raggiunga una dimensione nazionale di grande rilievo proprio nel cuore del nostro Paese, grazie alla collaborazione di GIA Comunicazione di Cagliari e del Gremio dei sardi di Roma. Così nel 2011 una Giuria composta da Neria De Giovanni, presidente, Massimo Milza dell’Associazione SALPARE, Giorgio Ariu, della GIA Comunicazione, Antonio Maria Masia presidente del Gremio dei sardi e l’on. Maurizio Policastro consigliere dell’Assemblea capitolina, ha indicato le vincitrici tra cui, per il Giornalismo Bianca Berlinguer, direttore del TG3, alla quale già anni orsono, avevo

proposto il Premio e soltanto una indisposizione familiare le aveva impedito di venire ad Alghero per ritirarlo. A Piazza San Giovanni in Laterano alle ore 19 di sabato 24 settembre, il Premio sarà aperto da un momento di spettacolo: l’attrice Nerina Nieddu interpreterà brani letterari di Ignazio Delogu e Gavino Ledda. Il Premio Alghero Donna a Roma è di casa. Infatti ho pensato a questo riconoscimento in quanto la Sardegna è la terra natale di Grazia Deledda, l’unico Premio Nobel donna alle Lettere per l’Italia che a Roma è vissuta più della metà della sua vita e nell’agosto del 1936 è stata sepolta al Verano, il cimitero monumentale della Capitale. A L’Isola che c’è - Sardegna incontra Roma, il Premio Alghero Donna è in ottima compagnia. Infatti nello Spazio Incontri dal 23 al 25 settembre si alterneranno presentazioni di scrittori a cura di Neria De Giovanni e Antonio Maria Masia: Josefa Rhocco con “Un luogo dove restare” e Gianni Atzori con “Andalas” entrambi delle Edizioni Nemapress, Biagio Arixi con Donne…per niente (Edizioni Libreria Croce). E poi dibattiti e convegni (Il vino nell’arte, I problema dei trasporti tra la Sardegna e il Continente), e il Premio “La Sardegna nel cuore” a personalità che con il loro lavoro e la loro vita dimostrano attaccamento ed amore per la Sardegna. Poi teatro e musica, tradizione e folklore, stand istituzionali ed enogastronomici. E sì, L’Isola che c’è - Sardegna incontra Roma, aspetta il Premio Alghero Donna 2011 ed aspetta anche te!

Bianca Berlinguer e Giorgio Ariu a “L’isola che c’è” .


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ino a qualche decennio fa era opinione comune fra tutti gli studiosi del settore che l’arrivo in Sardegna del vino, e di conseguenza della successiva coltivazione della vite, fosse da far risalire alla prima colonizzazione fenicia (IX-VIII sec. a.C.), e che la vitivinicoltura diffusa in scala più ampia datasse alla successiva dominazione cartaginese (VI sec. a.C.), e romana poi (III sec. a.C.). Fortunate campagne di scavo, condotte con i più moderni sistemi di indagine archeologica, coadiuvate da sofisticate analisi scientifiche, nonché comparazioni con altri siti extra-insulari, le cui genti hanno avuto contatti nella preistoria e nella protostoria con le popolazioni dell’Isola, hanno consentito di spostare, almeno a partire dalla fine dell’Età del Bronzo Medio (XV sec. a.C.) fino agli inizi dell’Età del Bronzo Recente (XIV sec. a.C.), la certezza della presenza in Sardegna della vite e del vino. A partire da tale periodo, infatti, si intensificano e si consolidano i rapporti bilaterali, già intrapresi in precedenza, col bacino orientale del Mediterraneo e in particolare col mondo miceneo. Compaiono nuove forme ceramiche più adatte alla conservazione e al trasporto di derrate, con le superfici esterne ed interne particolarmente trattate al fine di contenere sostanze liquide di pregio, quali olio d’oliva e vino, nonché recipienti per la mescita e per il consumo di bevande, come appunto il vino. Sono significative, a questo proposito, le diverse bocchette “da vino”, provenienti da livelli certi del Bronzo Recente, in ceramica “grigia nuragica”, ritrovate in alcune località della Sardegna: nel Nuraghe Antigori di Sarroch, nel complesso nuragico di Santu Pauli di Villamassargia, nella grotta santuario di Pirosi - Su Benazzu di Santadi, nel Nuraghe Arrubiu di Orroli, e nel probabile scalo commerciale nuragico nel porto di Kommos, nelle coste meridionali dell’isola di Creta. Nell’età del Bronzo Finale (XII-IX sec. a.C.), che vede anche la Civiltà Nuragica al suo massimo apogeo, la presenza della vitivinicoltura nell’isola si fa più puntuale ed è suffragata da analisi scientifiche incontrovertibili. La coltivazione della vite è un fatto ormai acquisito da gran tempo, con tutte le operazioni ad essa connesse, compresi anche tutti i processi di addomesticamento della “Vitis vinifera silvestris”, ampiamente diffusa in tutto il territorio dell’Isola. Anche i contenitori “da vino” si modificano e si evolvono in forme tipiche della cultura sarda: “brocche askoidi” e piccoli “askos”, di squisita fattura, in ceramica e in bronzo, caratterizzeranno il repertorio vascolare sardo

fino alla prima Età del Ferro ed oltre, e verranno adottate nelle prospicienti coste tirreniche presso le Culture Villanoviane prima, ed Etrusche poi (IX-VII sec. a.C.). Questi recipienti così particolari sono diffusi in tutta l’isola in numerosissimi esemplari e presenti in diversi contesti extrainsulari, in Sicilia, nell’Isola di Creta, in Tunisia (a Cartagine, forse da attribuire ad un insediamento precedente la fondazione fenicia della città) e nella penisola iberica. A questi siti sono ovviamente da aggiungere i numerosissimi esemplari presenti, come si è detto, negli insediamenti etruschi della costa tirrenica della penisola italiana. E proprio da una brocca askoide versa il vino in una ciotola un personaggio seduto rappresentato in un bronzetto rinvenuto nel sacello del santuario di Monte Sirai di Carbonia (VIII-VII sec. a. C.). Sempre più numerose sono, invece, le testimonianze dirette della presenza della vite e del vino in numerosi contesti nuragici isolani. Vinaccioli carbonizzati provengono dal Nuraghe Genna Maria di Villanovaforru e dal Nuraghe Duos Nuraghes di Borre, mentre alcuni acini carbonizzati sono stati di recenti ritrovati presso il Nuraghe Adoni di Villanovatulo, in uno strato datato con certezza alle fasi iniziali dell’Età del Bronzo Finale (XII sec. a.C.). Dal complesso nuragico di Bau Nuraxi di Triei, il località “Talavè”, ancora oggi a grande vocazione vitivinicola, proviene una grande brocca askoide in frammenti, dalla superficie esterna accuratamente dipinta di rosso. Un attento esame gascromatografico eseguito sui frammenti ha accertato la presenza di acido tartarico e che quindi il recipiente aveva contenuto del vino. E dal nuraghe Funtana di Ittireddu provengono due brocche askoidi, di cui una frammentaria contenente sul fondo una massa violacea di natura imprecisata: l’esame gascromatografico ha evidenziato anche in esse la presenza di acido tartarico e di conseguenza si tratta di contenitori usati per contenere e per la mescita del vino. Allo stato attuale delle conoscenze non si hanno però elementi certi riferibili ad attrezzature per la vinificazione in Età Nuragica. La presenza dell’uva e del vino è invece ben documentata in Età Fenicio-Punica dalla grandissima quantità di anfore vinarie da trasporto e recipienti di pregio in ceramica fine da mensa. Nel villaggio nuragico di Sant’Imbenia nella baia di Porto Conte ad Alghero, divenuto col tempo emporio fenicio e grecoeuboico, è documentata la produzione di anfore vinarie da trasporto, denominate “ZitA” (Zentralitalische Anphoren), di foggia orientale, ma di argilla locale, la cui presenza è stata accertata in tutto il Tirreno, nell’Italia Centrale, a

Cartagine e nella Penisola Iberica a Toscanos e nel Castello di Dona Blanca di Cadice nella costa atlantica (X-IX sec. a.C.). Questi contenitori dovettero essere considerati particolarmente adatti alla conservazione e al trasporto del vino, visto il vasto orizzonte di diffusione di questa forma ceramica così particolare. La recente identificazione di anfore di tipo “ZitA” nel rione di “Dorimannu”, nell’abitato di Irgoli, sotto le cui abitazioni è presente un esteso abitato nuragico, e nel territorio di Posada, attesta la presenza di questi recipienti anche nelle coste orientali dell’Isola e spiega quindi la diffusione di questi contenitori lungo le coste del mar Tirreno. Appare logico supporre che, se la maggior parte delle anfore da trasporto del tipo “ZitA” presenti nel bacino del Mediterraneo occidentale erano sarde, anche il loro contenuto, cioè il vino prodotto nell’isola, raggiungesse i mercati iberici e nord-africani nella piena Età del Ferro: la più antica testimonianza, quindi, di una grande attività vitivinicola in Sardegna nei primi secoli del primo millennio a.C. e della commercializzazione del vino, quale prodotto di pregio, al di fuori dell’Isola! Le attrezzature per la vinificazione sono, invece ben documentate per quanto concerne il periodo romano. Un ambiente per la vinificazione è presente nella fattoria romana di S’Imbanconadu presso Olbia, recentemente riportata alla luce, e due laboratori enologici in eccezionale stato di conservazione, con vasche per la pigiatura, bacili, basi e contrappesi dei torchi, nonché recipienti di vario uso, in ceramica e vetro, erano presenti nei livelli di riutilizzazione degli spazi in Età Romana (I sec. a.C. – V sec. d.C.) nel grande complesso nuragico di Nuraghe Arrubiu di Orroli. Lo scavo ha permesso di recuperare una certa quantità di vinaccioli carbonizzati, appartenenti ad un vitigno ancora coltivato nell’isola, denominato a seconda delle diverse località “Bovale sardo, Muristellu”, ecc. Appare quindi evidente e scientificamente provata la presenza della vite e del vino in Sardegna, almeno a partire dalla metà del secondo millennio a.C. Nulla è dato sapere per i periodi precedenti, anche se le culture preistoriche sarde, avendo avuto rapporti con popolazioni che già conoscevano la preziosa bevanda, potrebbero aver appreso la tecnologia relativa all’addomesticamento di specie selvatiche, alla coltivazione e alla vinificazione. Spetta ora agli specialisti del settore stabilire quali rapporti e parentele siano intercorsi tra i vitigni documentati per il passato e le varie “Cultivar” oggi presenti nell’isola, che è ora più che mai, come fu definita in passato, “Sardinia Insula Vini”.

L’ISOLA CHE C’È/ECCELLENZE DELL’ISOLA LA STRAORDINARIA STORIA DEL VINO IN SARDEGNA

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Quei brindisi in Piazza di Mario Sanges


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L’ISOLA CHE C’È/ECCELLENZE DELL’ISOLA QUEL MAGICO INCONTRO TRA SOLE, CIELO E TERRA

Più sani e più belli col cibo sardo

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a dove arrivarono gli antichi abitatori della Sardegna? Ancora oggi non è dato sapere con assoluta certezza come e quando abbia avuto inizio il popolamento della Sardegna. Tuttavia, negli ultimi decenni, le indagini condotte attraverso l’esame del dna hanno aperto agli studiosi nuove strade ed oggi l’archeologia e l’antropologia dispongono di indicazioni preziose sulle origini dei sardi. Tra non molto, proprio con l’ausilio della genetica, potremo essere in grado di sfilare il sottile velo che avvolge la nostra preistoria. Recenti studi attestano che in Sardegna l’espansione demografica si sarebbe verificata - con molta probabilità - nel paleolitico, in un periodo compreso all’incirca tra 27 mila e 78 mila anni fa, allorché l’Isola costituiva un unico grande blocco con la Corsica. Era in atto la glaciazione wurmiana e il livello del mare - notevolmente più basso rispetto all’attuale - aveva permesso la formazione di una sorta di ponte tra il blocco sardo-corso e le coste della Toscana, circostanza che favorì flussi migratori di popolazioni “continentali” le quali, alla ricerca di un clima relativamente mite, si spingevano verso le aree più meridionali. La cultura materiale in Sardegna si sviluppa in un’epoca assai successiva, vale a dire circa 8 mila anni fa, nel neolitico antico, con la creazione dei primi insediamenti umani stabili e la produzione di rudimentali utensili di pietra lavorata. E’ proprio all’inizio del VI millennio a.C. che la colonizzazione neolitica, partendo dall’Oriente fertile (la Mesopotamia), investe vaste fasce costiere e le isole del Mediterraneo occidentale, gettando per mare i germi della nuova civiltà conseguente alla prima grande “rivoluzione agricola” ed alle relative innovazioni socio-economiche. Da allora la Sardegna è attraversata da un’interessante sequenza di manifestazioni culturali fino al 1.800 a.C., quando ha inizio la civiltà nuragica che rappresenta la manifestazione più originale e compiuta della preistoria sarda. Tale civiltà, che troverà espressione attraverso quindici secoli, ha lasciato i nuraghi, i maestosi monumenti di pietra che ancora oggi contraddistinguono le grandi solitudini della Sardegna. La Sardegna è una terra dove tutto richiama il passato. Un sottile filo lega la cultura prenuragica e nuragica a quella fenicio-punica, romana e cristiana. Il fatto di essere un’isola, infatti, se da un lato ha comportato molti svantaggi, al tempo stesso, ha determinato la ripetizione - nel corso del tempo - dei modelli comportamentali e culturali e quindi ha favorito il mantenimento di un’identità più spiccata, immediatamente avvertibile da parte di chi entra a contatto con questa terra. Il popolo sardo, per l’ isolamento

di Antonello Angioni geografico, da sempre è stato costretto alla riproposizione della propria cultura sulla quale hanno operato, secondo una dialettica fatta talvolta di aspri conflitti e più spesso di graduali integrazioni, le influenze esterne derivate dalle varie dominazioni. Tuttavia l’assorbimento non è mai stato acritico e passivo. I sardi hanno sempre rielaborato i modelli esterni che hanno adattato al loro linguaggio ed alla loro cultura primordiale. Per questo carattere dei sardi - aperto ma, al tempo stesso, “conservativo” e “resistenziale” - la cristianizzazione dell’Isola non fu né semplice e né rapida: circostanza che favorì il permanere, frammisti alla religione che si andava imponendo, di elementi pagani taluni dei quali riscontrabili ancora oggi. In certe preghiere rivolte al Cristo non mancano invocazioni al sole e alla luna. Sa perda de s’ogu, usata contro il malocchio, ad esempio, diventa l’occhio di Santa Lucia. Per sconfiggere le antiche idolatrie il clero, più di una volta, ha dovuto assorbirle cercando di darle un significato cristiano. Più in generale - anche in Sardegna - simbologie, ritualità e credenze cristiane si fondono con elementi culturali e materiali del substrato pagano e magico. Qui la gente ha una religiosità antica, carica di echi e suggestioni, una spiritualità cristiano-pagana che affonda le radici nelle diverse dominazioni: fenici, romani, vandali, bizantini, spagnoli. Molti dei luoghi in cui le popolazioni primitive si recavano ad adorare gli idoli di pietra hanno mantenuto nel corso del tempo la loro destinazione sacra. La chiesa di San Giovanni del Sinis, ad esempio, è stata costruita sui resti di un luogo di culto romano che si sovrappose ad un precedente tempio punico il quale, a sua volta, era stato innalzato sui ruderi di un tempio più antico legato al culto delle acque. Nel corso dei secoli dunque le divinità cambiano ma il carattere sacro del luogo resta e con esso permane il sentimento religioso del popolo ed il valore che si collega allo spazio fisico in cui il culto si esprime nelle forme esteriori. La Dea Madre, divinità comune a tutte le popolazioni neolitiche del Mediterraneo, era considerata il simbolo della fertilità e della rigenerazione della vita ed esprimeva la spiritualità di un popolo ancorato ad una struttura sociale di tipo matriarcale. Ad essa si ricollega - con molta probabilità - anche la figura di Orgia, divinità fecondatrice adorata nelle primitive società sarde. La radice “org” - che significa acqua – si ritrova in numerosi toponimi della Sardegna: Orgosolo (che venne edificata in un terreno acquitrinoso), Sorgono (che, non a caso, presenta un territorio ricco di sorgenti), ecc. Secondo i filologi il termine òrgia si ricollega al sànscrito ûrg’âs che, tra i vari significati, ha quello di “succo” e quindi di liquido. Le òrgie erano ceri-

monie a carattere religioso che si compivano in uno stato di esaltazione e convulsione. Presso le popolazioni elleniche il termine indicava certi sacrifici notturni - che si celebravano in onore di Bacco - ai quali erano ammessi i soli iniziati e dove, sotto l’ influsso del vino, si commettevano cose indicibili. Nelle società tradizionali, attraverso il banchetto, soprattutto se notturno, si univano cibo ed eros, si coniugava il bisogno primario del cibo al bisogno, altrettanto primario e potente, dell’attrazione sessuale. La cultura sarda, all’origine, esprimeva anche una colleganza profonda con i flussi della vita, con le pulsioni primarie dell’uomo sano nella sua pienezza di persona, con ritmi e tempi ancora capaci di gustare eros e cibo immersi nel grande respiro della natura. Stessa continuità è dato reperire nella vasta produzione artigianale: quei medesimi motivi ornamentali geometrici presenti nelle ceramiche che vanno dal VI millennio a.C. fino alla colonizzazione romana li ritroviamo ancora oggi non solo nei vasi di Assemini e di Oristano ma anche nei tappeti di Mogoro, di Samugheo, di Uras, di Nule, di Isili e di tanti altri centri dell’Isola. E ancora li ritroviamo negli arazzi e nelle cassapanche lavorate a Desulo, Tonara e Aritzo. Le produzioni artigianali si sono evolute rimanendo sostanzialmente fedeli alla tradizione e ancora oggi rivelano una straordinaria ricchezza di fantasia che si esprime in manufatti di rara bellezza e originalità. Ma la diversità della Sardegna si avverte immediatamente anche nella straordinaria ricchezza del canto, dei suoni e dei balli popolari. Appartiene al folklore musicale sardo uno dei più antichi strumenti del Mediterraneo, le launeddas, il cui suono misterioso esprime l’anima di questa terra e delle sue genti. La diffusione di tale strumento fin da epoca anteriore alla colonizzazione punica è documentata attraverso il bronzetto del suonatore, rinvenuto in agro di Ittiri, attualmente custodito nel Museo archeologico nazionale di Cagliari. Molti dei riti e dei canti religiosi tuttora presenti nell’Isola risalgono alla dominazione iberica. Durante i quattro secoli in cui la Sardegna fu prima catalana e poi spagnola, il popolo sardo assimilò gradualmente non solo le istituzioni, le leggi, la lingua, la cultura e le tradizioni, ma anche il costume e il modo di pensare. Ma l’assimilazione, come detto, non fu acritica e passiva. E proprio in tale periodo, attraverso un graduale processo, maturò la consapevolezza dei sardi di essere un popolo “distinto” da suoi dominatori: consapevolezza che costituisce la base fondamentale per l’affermazione della propria identità etno-storica e dei valori della moderna autonomia.


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LA VITE E IL VINO NELL’ICONOGRAFIA SACRA IN SARDEGNA

Il vino

e l’arte in Piazza

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tro in Silki. In questo caso il grappolo d’uva retto dalla Vergine rappresenta l’ebrezza dell’amore per il figlio – tenuto amorevolmente con la destra – che è anche suo sposo e suo padre (in sardo: mamma, fiza e hisposa de su Segnore). L’uva – in questo caso – rappresenta il mistero dell’incarnazione, posto che il ebraico il valore numerico delle parole “vino” (yayin) e “segreto” (sod) è identico: settanta in entrambi i casi, da qui l’idea che l’uomo – sotto l’effetto del vino – riveli tutti i suoi segreti (in negativo), ma anche acceda ai misteri della vita e alla conoscenza trascendente (in positivo). La Madonna – come Odigitria – indica nel figlio e nel sacrificio che questi compie – con il suo corpo, simboleggiato dal pane che tiene con la destra – la via verso la salvezza eterna, che è ebrezza d’amore per il creatore universale. A piazza San Giovanni in esclusiva per “l’Isola che c’è” domenica 25, alle 10,30 nella zona Convegni, prima della messa cantata in sardo (ore 12,00 Arcibasilica di San Giovanni in Laterano) ci sarà una conferenza del prof. Luigi Agus (docente presso Istituto Euromediterraneo di Tempio Pausania – Dipartimento di Storiografia socioreligiosa e Beni Culturali) su “La vite e il vino nell’iconografia sacra in Sardegna” con la visione dell’affresco dell’Arbor Vitae di Dolianova (sec. XIV) e la Madonna dell’Uva del Mabuse della Pinacoteca di Sassari . S. Agostino tra il latte della Vergine e il sangue di Cristo di Pietro Cavaro (Cagliari, Pinacoteca), il Cristo Eucaristico di Juan de Juanes ,il Trono eucaristico del duomo di Sassari, un gioiello dell’Assunta di Sassari (una croce con uno smeraldo fatta a tralci d’uva) e il collegio degli apostoli a bassorilievo della parrocchiale di Escalaplano.

di Luigi Agus

l vino e la vite – assieme al grano e quindi il pane – rappresentano un tema sacro tra i più interessanti e ripetuti di tutta l’iconografia cristiana. Fu Noè per primo a scoprire l’ebrezza che il vino dava, avendo coltivato la prima vite dopo il Diluvio (cfr. Gen 9,2021), anche se fu il re e sacerdote Melchisedek (che significa “il mio re è giustizia”) a portare il pane e il vino per benedire Abram dopo che ebbe sconfitto Chedorlaomer e i suoi alleati (cfr. Gen 14,17-20). Un aspetto quindi sacro del vino che – unito al pane e all’olio – rappresenta il nutrimento primo dell’uomo, anche con forte valore simbolico: “fai crescere l’erba e il bestiame/ e le piante che l’uomo coltiva./ Così la terra gli dà da vivere:/ vino per renderlo allegro,/ olio per far brillare il suo volto,/ e pane per dargli vigore” (Sal 104,14-15), anche se – sempre nelle Scritture – si ammonisce l’uomo dal bere troppo ed essere amante dei liquori (cfr. Prv 23,29-32, Is 28,1, Rom 13,13). In ambito sacro quindi il vino rappresenta l’ebrezza dell’amore, il nettare delizioso per giungere alla felicità, ma anche il sacrificio del sangue e l’unione tra l’uomo e Dio: “Io sono la vera vite. Il Padre mio il contadino. Ogni ramo che è in me e non dà frutto, egli lo taglia e lo getta via, e i rami che danno frutto li libera da tutto ciò che impedisce frutti più abbondanti. Voi siete già liberati grazie

alla parola che vi ho annunziato. Rimanete uniti a me, e io rimarrò unito a voi. Come il tralcio non può dar frutto da solo, se non rimane unito alla vite, neppure voi potete dar frutto, se non rimanete uniti a me” (Gv 15,1-4). Ed è proprio Cristo nella sua ultima cena a compiere il sacrificio eucaristico spezzando il pane – suo corpo – e offrendo il vino, suo sangue (cfr. Mt 26,27). Il vino è dunque medicina del corpo (cfr. 1 Tim 5,23) e dell’anima per la salvezza dell’uomo, in quanto offre nutrimento ed ebrezza. Nell’iconografia sacra troviamo spesso il grappolo d’uva unito alle spighe, soprattutto in ostensori e calici, ma troviamo anche la rappresentazione dell’arbor vitae e del grappolo d’uva legato alla Vergine Maria. A Dolianova, presso l’antica cattedrale di S. Pantaleo, nella parete destra è collocato un grande affresco che rappresenta Cristo crocifisso dalla cui croce escono tralci d’uva da cui emergono – come grappoli – le virtù (teologali e cardinali), Maria e Giovanni, gli altri apostoli, i profeti e infine i santi, come a simboleggiare l’unione perpetua dell’uomo a Dio attraverso il segno del sacrificio del figlio, morto per i peccati del mondo e la salvezza dell’umanità. Differente è la rappresentazione della Madonna dell’Uva, del pittore fiammingo Jan Goassaert, detto il Mabuse della Pinacoteca di Sassari, proveniente dal convento di S. Pie-

IL PREMIO ‘‘L’ISOLA NEL CUORE’’ C

ome in ogni edizione “L’isola che c’è” vedrà la partecipazione di tanti personaggi importanti per la Sardegna: come lo scorso anno i giornalisti sardi più popolari e stimati a Roma, il premio “L’Isola che c’è – La Sardegna nel cuore” verrà consegnato quest’anno ad alcuni esponenti della cultura e dello sport sardo, legati all’isola non solo per le loro radici ma anche per la loro attività, soprattutto a favore dei tanti immigrati sardi a Roma e nel resto del mondo. Gemma Azuni, sarda di origine e romana d’adozione, consigliera comunale nella Capitale che si è sempre impegnata a favore dell’integrazione degli immigrati sardi e delle pari opportunità, e Tonino Mulas, presidente della FASI, la Federazione delle Associazioni Sarde in Italia. Ma anche Italo Orrù, che con le sue imprese sportive dà lustro alla Sardegna nel mondo, e Gigi Riva, motivo d’orgoglio per tutti i sardi, sia per l’impegno nello sport che per la scelta di restare nell’isola.

Non solo sardi dunque, ma pur sempre con la Sardegna nel cuore, come il titolo del premio: tra loro anche i Cugini di Campagna, Lucio Tunis e Rita Ornano, per la vita dedicata alla musica, che grazie a loro ha allietato anche i più bisognosi, e Rinaldo Ghisu, emigrato sardo e oggi proprietario con la famiglia di un’impresa che raccoglie le macchine più prestigiose e rare al mondo, oltre che famose perché del suo parco auto si serve anche Cinecittà per le sue produzioni. A loro andrà un’opera dell’artista Angelo Liberati, anch’egli simbolo del legame della Sardegna con Roma: nato a Frascati, si trasferì nell’isola nel 1970 e lì maturò la sua poetica unica, che fonde la pittura con le pratiche del riporto e del collage tipiche della pop art. Niente poteva meglio rappresentare una fusione ben riuscita tra due culture, ognuna con il suo contributo di tradizione e innovazione, di passione, altruismo e senso civico.


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ra le acque cristalline di Cala Gonone e del Golfo di Orosei e le montagne incontaminate del Supramonte ecco Dorgali, capoluogo del turismo della Barbagia. Nel suo territorio convivono paesaggi tipicamente montani e marini, fluviali e palustri, una caratteristica che attrae i visitatori e che costituisce un patrimonio naturalistico senza eguali che l’uomo non ha intaccato. I campi coltivati, gli ovili in pietra e legno di ginepro e le chiese campestri sono entrate a far parte dei paesaggi senza trasformarli, anzi abbellendoli. Qui molte specie animali e vegetali, alcune anche molto rare se non uniche, hanno trovato il loro habitat ideale: dal cinghiale al cervo sardo, e poi volpi, donnole, martore, ghiri, daini, aquile reali e mufloni, fino a tartarughe d’acqua e marine e la rarissima foca monaca convivono qui tra piante di olivastri, lecci, corbezzoli, mirto e asfodelo e un mare da cartolina. La cooperativa Ceacalagonone ha raccolto la ricchezza di questo territorio in un museo, il Primo Museo della Foca Monaca, presso il Centro di Educazione Ambientale di Cala Gonone, dove i visitatori potranno ammirare un esemplare di foca monaca e oltre 300 esemplari di fauna sarda naturalizzata.

MAGICA

DALLA SARDEGNA ALL’AMERICA LATINA “SardANDEndi”, questo nome accosta Sardegna e Ande: è un progetto di interscambio culturale tra l’isola del Mediterraneo e la Regione delle Ande realizzato attraverso un documentario che racconta i personaggi che suonano o costruiscono strumenti musicali e che mantengono vive la cultura, gli usi e i costumi della loro terra. La prima parte del documentario è stata realizzata in Sardegna e in particolare a Villaputzu, dove vengono costruite le launeddas, il più antico strumento musicale del Mediterraneo, a Mamoiada, per testimoniare la lavorazione delle maschere dei Mamuthones e la loro vestizione, e a Ovodda, per seguire Giuseppe Cuga, l’unico suonatore di launeddas della Barbagia, tra domus de janas, nuraghi e vendemmie. La seconda parte racconta invece le Ande, tra Argentina, Cile, Bolivia e Perù, dove vengono costruiti artigianalmente gli strumenti e conservate le antiche tradizioni musicali. Sardegna Ande o Sardegna Andendi è un viaggio attraverso due culture entusiaste di conoscersi e di farsi conoscere, realizzato dall’associazione culturale Semilla Cosmika con il contributo della Provincia di Cagliari e presentato poi in un circuito itinerante che ha coinvolto molti paesi della Sardegna e che proseguirà con la partecipazione a Cortes Apertas della Barbagia 2011. Ma “SardANDEndi” varcherà anche i confini dell’isola e arriverà a Roma: Roberta Aloisio, una delle curatrici del progetto, lo racconterà in una conferenza nell’ambito della manifestazione “L’Isola che c’è – Sardegna incontra Roma”.

DORGALI

IL MITO RIVA ORA CANTATO A TEATRO

L’attore regista Francesco Pellicini

“D

a Leggiuno in Nazionale”, basta questo titolo per capire che si parla di Gigi Riva: la vita del leggendario bomber, nato nel varesotto ma cagliaritano d’adozione, raccontata

a teatro dalla voce dei suoi amici di infanzia, del suo padrino di Battesimo e del caporeparto dove lavorava, che lo “copriva” quando andava via per allenarsi. Nei loro ricordi Gigi bambino, orfano di padre e costretto a lavorare da quando aveva 13 anni, Gigi piccolo calciatore e poi i trionfi con il Cagliari e con la Nazionale. L’idea dello spettacolo è nata quasi per gioco da Claudio Ferretti, giornalista compaesano e amico di Riva, oltre che presidente del suo Fans Club, che sin da giovane racconta di aver raccolto materiale sul campione e di averlo finalmente conosciuto durante le interviste che li hanno resi amici. Il progetto ha poi incontrato l’entusiasmo di Francesco Pellicini, attore comico e direttore artistico, con Francesco Salvi ed Enzo Iacchetti, del “Festival della Comicità” che si svolge sulle rive del Lago Maggiore. E ha preso forma di teatro-canzone con Francesco Pellicini regista e interprete, il fratello Paolo alla chitarra, Max Peroni chitarrista e cantautore, e la moglie di Francesco, Isadora Dellavalle, come attrice. Il titolo trae spunto da una canzone dedicata a “Rombo di Tuono” scritta dallo stesso Pellicini e Andrea Decio, che ora si può ascoltare sul suo sito ufficiale. La prima è andata in scena a Leggiuno, in un teatro comunale gremito di persone di tutte le età, da chi se lo ricorda giocare a chi non l’ha mai visto sul campo, ma ne conosce le imprese dai racconti dei genitori e dei nonni. I bambini in prima fila a sentire la storia di un campione, bambini

come quelli che da 35 anni frequentano la Scuola Calcio che Riva ha fondato a Cagliari. La sorella Fausta ha applaudito con loro, lui però non c’era a causa degli impegni con la Nazionale e della sua riservatezza: «cose di questo genere, pur facendomi molto piacere, mi imbarazzano moltissimo» ha spiegato. Ma lo spettacolo gli è piaciuto, «So che c’era tanta gente, è andata bene. Quella organizzata dai miei compaesani è stata una bella sorpresa. Gli amici che sono cresciuti con me e gli attori che hanno ricordato gli anni difficili da bambini, l’oratorio, fino all’approdo al Cagliari e alla scelta di rimanere a fare il calciatore in Sardegna». Lo guarderà in dvd, ha promesso ringraziando tutti: «Non ho più occasione di tornare a Leggiuno, ma ricordo tutti con grande affetto». “Da Leggiuno in Nazionale” andrà in scena ora a Roma per la manifestazione “L’Isola che c’é” in piazza San Giovanni, e sarà l’occasione per omaggiare un grande campione che, non solo per le imprese sportive ma anche per le scelte e il suo stile di vita, ha dato lustro all’isola. Un invito per tutti i sardi, quelli che abitano nell’isola e i tanti emigrati che prenderanno parte all’evento romano, orgogliosi di poter conoscere meglio e condividere l’affetto per il loro campione di sempre.


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Bontà di Sardegna nel cuore della Capitale


GRAFICHE GHIANI


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