Sardegnatavola - N. 7 ANNO XXIV

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QUEL PRANZO CON MARIA CARTA

IL VINO DI GIGI RIVA

IN GIRO PER PAESI

Mode & bisogni

SI TORNA ALL’ANTICO



Sommario

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S.O.S

DALLE CAMPAGNE

Mensile diretto da GIORGIO ARIU giorgioariu@tin.it In redazione: Simone Ariu, Maurizio Artizzu, Claudia Cao, Claudia Cogotti, Antonella Solinas, Michela Sorgia

Stampa e allestimento GRAFICHE GHIANI Registrazione presso il Tribunale di Cagliari N. 499 del 16-10-1984

Abbonamento a 12 numeri € 25,00 Intestato a Gia Editrice Via Sardegna 132 09124 Cagliari

Distribuzione Agenzia Fantini S.P. Elmas-Sestu Km. 2,400 Tel. 070.261535 - 260053 Associata AIPE Associazione Italiana Piccoli Editori GIA Editrice di Giorgio Ariu Premio Europa per l’Editoria Premio Editore dell’Anno per l’impegno sociale e la valorizzazione della cultura sarda www.giacomunicazione.it

© Vietata rigorosamente la riproduzione anche parziale di testi, fotografie, disegni e soluzioni creative.

Sardegnatavola è marchio registrato presso il Ministero delle Attività Produttive Ufficio Brevetti N° 926965

IL PESCATO DI MARCEDDÌ

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S.O.S. DALLE CAMPAGNE

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L’INTEGRAZIONE VIEN MANGIANDO

17 I PRODOTTI TIPICI DELLA SARDEGNA ALL’ISOLA CHE C’È 22 L’ISOLA CHE C’È IN NOI

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24 A NULE TRA PABASSINOS E CASADINE

60 anni

CON I TEMPI DEL VINO

Ufficio del Garante Presidenza del Consiglio dei Ministri Registro Nazionale della Stampa n. 3165 Anno 24 - N. 3 novembre 2009 Sped. in Abb. post. - 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Cagliari

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14 DA NOÈ ALLA SANTA MESSA

Per la fotografia: GIA foto, Andrea Nissardi, Enrico Spanu, Maurizio Artizzu, Lo Zoom, Francesco Pisu

Concessionaria per la pubblicità GIA Comunicazione Via Sardegna 132 - 09124 Cagliari Tel. 070.728356 - Fax 070.728214

PIÙ BUONI A TAVOLA

10 I SESSANT’ANNI DELLA CANTINA DI DOLIANOVA

Scritti di: Giorgio Ariu, Simone Ariu,Olga Belyakova, Claudia Cao, Marta Coco, Claudia Cogotti, Alessandro Deias, Ilaria Etzi, Piero Monni, Jacopo Pesce, Giuseppa Pianu,Gian Piero Pinna, Marco Porcu, Giuseppe Sotgiu, Sandra Sulcis Paolo Trudu

Redazione Via Sardegna, 132 - 09124 Cagliari Tel. 070.728356 - Fax 070.728214 giorgioariu@tin.it

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L’ISOLA CHE C’È SU FILINDEU...

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LA PADDHA TIMPIESA

IL FESTIVAL DELLE PRO LOCO

A SESTU UNA FIERA PER I SARDI

29 SARDEGNATAVOLA NEWS 32 QUEI PRANZI CON GRAZIA DELEDDA 34 MONSERRATO LA FESTA DELLA VENDEMMIA 36 A QUARTUCCIU IL SABATO DEL VILLAGGIO 37 FORDONGIANUS TRA MAIALETTI E GUEFFUS 38 LA PADDHA TIMPIESA

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40 SU FILINDEU SU PANE CARASAU SU CASU 42 SPECIALITÀ SARDE: “IS MALLOREDDUS” 44 TRADIZIONI POPOLARI: ARDAULI 45 A SESTU UNA FIERA PER I SARDI 46 IN GIRO PER MERCATI: ORISTANO 47 IN GIRO PER MERCATI: ELMAS 48 PORTFOLIO MERCATI: MADRID 50 LA TOP 5 DEL GUSTO


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iù buoni a tavola

Giorgio Ariu Direttore di Sardegnatavola

di Giorgio Ariu

caccia e i “Guerin sportivo” meglio riusciti. Ad Aritzo eppoi a Villa San Pietro abbiamo bevuto in anteprima un raffinato ed impetuoso rosso Cannonau che il Centro di Coordinamento dei Cagliari Clubs ha voluto dedicare al mito. L’etichetta? Quella famosa rovesciata, la maglia n.11 e la Denominazione ad origine Inimitata “Rombo di Tuono”.

La rivoluzione delle pance vuote

Bando agli sprechi. Di questi tempi guai a quella mano acchiappattutto che un tempo riempiva sconsideratamente il carrello della spesa. Si fa le comparazioni, depliant su prezzi civetta, si compra ciò che serve e alla fine non c’è trippa per i gatti, né troppo da rovistare nei cassonetti per i disperati. Aumentano gli scooter pizza a domicilio, ma i più virtuosi sono tornati all’antico, alle buone maniere della nonna. I pomodori sulla tavoletta a seccare sul balcone, le marmellate fatte in casa e nei paesi, dove nessuno viene lasciato ai bordi della vita, il baratto tiene sempre più compagnia. Prodotti a chilometri zero, shopping per fattorie, gite fuoriporta alla ricerca di bontà direttamente dal produttore. Per certi versi, per dirla con Mao, la rivoluzione avanza nelle pance vuote e quindi il pensiero e la mano diventano più leggeri e virtuosi. Qui la Sardegna che produce può pragmaticamente inserirsi nei mercati che premiano la qualità al giusto prezzo. Spetta a tutti noi ora scegliere prodotti sardi per sentirci meglio in salute e dentro la “rivoluzione”.

Vino e Rombo di tuono

Da quarant’anni Gigi Riva è il grande testimonial delle eccellenze dell’isola. Più sardo di lui… Per Gianni Brera (le migliori mangiate da “Bruno” in via Cavour con quel bicchiere di Cannonau in mano) sempre appresso al suo Rombo di Tuono, c’erano anche le battute di

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una laguna da paradiso: si pesca ciò che serve per la tavolata del giorno. Un ittioturismo con vista mare strepitosa. Per noi è da premiare come Agriturismo dell’anno 2009. Qui accanto ve lo raccontiamo, mentre a breve andremo a consegnare il Premio a sorpresa e a domicilio. Sarà festa grande e ci sarà pure una targa per l’assessore che ha iniziato a mettere delle regole nel settore.

Dorgali e vino veritas

Dorgali in spolvero per Cortes Apertas. Angoli di suggestione intensa: oro, pelli, ceramiche, dolci, pane e tanto vino. Pietro Mula con gli amici di “Dorgali – Brasile” in missione per i piccoli brasiliani di Padre Erittu, hanno fatto degustare le eccellenze dei vini sardi ai tanti turisti, per una volta sommelier e giudici senza spocchia.

Premio al miglior agriturismo

L’assessore Andrea Prato sta cercando di mettere ordine e rigore al comparto degli agriturismo. Non se ne poteva più dei gamberoni in Barbagia, del maialino o del cus cus sulle coste. A Bolzano sono stato d’incanto in un maso (il loro agriturismo), volevo prenotare per agosto: “ci spiace, in quel periodo siamo chiusi: la nostra terra non ci dà nulla in quel mese!” Che lezione! Bene, Sardegnatavola ha girato in lungo e largo tra alcune eccellenze, tante buone e incoraggianti iniziative, troppe mediocrità e qualche pacco, eppoi s’è fermata a Marceddì. Un’oasi,

Ci ha lasciato Moreno Cecchini

Ci ha lasciato Moreno Cecchini Un grande della ristorazione eccellente che ha cresciuto Alghero. Più volte con noi a “Sardegnatavola” versione televisiva negli anni ’80, eppoi nel ’90 per le dirette dalla Fiera per i Mondiali 90, ha mostrato quanto fosse senza limiti il suo amore per l’isola e per la tavola degli incontri con la magistrale congiunzione tra cucine di terra e di mare.


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al produttore al consumatore, ovvero dalle reti appena levate dallo stagno di Marceddì ai tavoli di un ristorante gremito di centinaia di persone che prenotano giorni prima per assicurarsi un posto. Un grande miracolo, eseguito ad arte da un pescatore, Antonio Loi, e la cooperativa S. Domenico, da lui stesso creata, e presieduta dalla moglie Emanuela Pala. Un miracolo perché fino a pochissimi anni fa quello stagno era quasi palude. Dopo gli interventi costosissimi, finanziati dalla Regione, il risultato fu disastroso, al fallimento della cooperativa che vi lavorava seguì il completo abbandono ed il degrado come una discarica. Oggi è una laguna pescosissima, ossigenata e aperta alle correnti del mare, come testimonia la lussureggiante posidonia su cui giovani orate riposano indisturbate. Pochi metri di fondale sono diventati il regno di decine di specie di pesci tra cui spigole, gamberi, orate, muggini, anguille, granchi, ghiozzi, sogliole, seppie, mitili e sardine che guizzano in un angolo di mare divenuto un habitat ideale ed equilibrato. Insomma da qui non può che venir fuori la “vera genuina cucina

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MARCEDDÌ pescato e cotto di Michela Sorgia

marinara”, un ittioturismo, cioè un posto dove non solo si è certi di mangiare del pesce fresco buono e saporito, ma lo stesso pesce è quello che è stato pescato la mattina davanti ai vostri occhi, increduli dell’abbondanza. Basta un barchetta in legno a fondo piatto, alcuni metri di reti per disegnare un ampio cerchio nell’acqua, e per remare le braccia vigorose di chi ha vinto una grande scommessa, ed ora assapora il gusto della vittoria guardandosi attorno. In tutto diciotto ettari di area demaniale riservati alla meticolosa gestione di Antonio e la sua famiglia. In programma per i prossimi menù sarà riservato un posto d’onore ai datteri di mare, che per la prima volta si sta riuscendo ad allevare proprio in questo angolo di mare. La pesca di cozze, vongole veraci ed arselle bianche dette “cuore” è riservata al figlio Andrea che ci spiega la loro denominazione di -classe A-. “Significa che la provenienza dei mitili che noi peschiamo è talmente sicura e lontana da qualsiasi fonte di inquinamento che siamo autorizzati a servirle saltando la fase della stabulazione, è la prova delle acque limpide da cui provengono”. Un paradiso, la natura tutto intorno è armoniosa. Un giardino vezzeggiato offre il suo spazio a piante antiche che si trovavano solo nei vecchi cortili delle nonne, le piante delle nespole di una qualità lontana anni luce dai banchi dei moderni ortofrutta, quelle delle giuggiole, che le generazioni più giovani conoscono solo come le caramelle delle feste patronali, ed il pergolato, a far da ombrellone all’ingresso del ristorante, produce grappoli ricchi di acini gonfi e succosi. Dai tavoli un’ampia vetrata si apre alle sponde della laguna, e si passa da una portata all’altra ingrassando le papille gustative di un sapore di mare che offre una sensazione impagabile. Ai fornelli, sempre lui, Antonio. Cura ogni dettaglio con una passione che gli nasce dal cuore. Sono già le tredici, tutto è pronto. Cominci a sfilare il menù, naturalmente deciso con rigore dalla stagione che scegliete.


LE POLITICHE AGRICOLE/QUI GIUNTA E CONSIGLO REGIONALE

s.o.s. dalle campagne

ecco i sentieri per svoltare a cura di Claudia Cao

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ono numerosi i fronti in cui è impegnato negli ultimi mesi il settore agricolo e, in questo momento più che mai, potenziamento e promozione dei prodotti nostrani costituiscono le parole d’ordine per i progetti in tale ambito. A questi fini mirano le forme di premialità approvate recentemente dalla Quinta e dalla Sesta Commissione in seduta congiunta: la nuova legge intende, infatti, promuovere la qualità dei prodotti della Sardegna, la concorrenza, l’agriturismo e il turismo rurale con l’obiettivo di allargare prima di tutto il mercato interno in relazione a questi beni. Un occhio di riguardo va soprattutto ai prodotti alimentari a filiera corta per i quali si incentiverà la realizzazione di spazi riservati negli esercizi commerciali di vicinato e nelle strutture di vendita di maggiori dimensioni, oltre che il consumo nei centri di ristorazione collettiva pubblica e privata (dalle scuole alle residenze per anziani, dalle strutture ospedaliere a quelle universitarie e così via). La nuova normativa prevede, infatti, incentivi ai comuni per l’incremento fino al 30% degli spazi nei mercati al dettaglio in aree pubbliche, oltre alla possibilità di incrementare la superficie

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del 30% per gli esercizi di vicinato che riservino il 50% della superficie di vendita ai prodotti locali. Anche le strutture agrituristiche verranno vincolate affinché, per completare l’offerta dei prodotti non disponibili nell’azienda agrituristica, si riforniscano presso produttori del territorio regionale compresi in un apposito elenco. Altro problema emerso negli ultimi tempi, e cui ovviare con maggior urgenza, è il raggiungimento di un’unità e di nuove strategie di rilancio all’interno del comparto ovino, la cui attuale arretratezza non può essere imputata alla sola congiuntura internazionale che ha messo in ginocchio molteplici settori a livello internazionale, quanto a premesse di carattere storico mai superate. Restando nel settore dell’allevamento, da ricordare anche la recente proposta dell’Assessore Prato e dei commissari delle agenzie Laore, Agris, Argea, di istituire un fondo di solidarietà destinato agli allevatori che hanno perso anche il 50% dei capi negli incendi di fine luglio. Continua intanto il dibattito e la ricerca di soluzioni intorno alle misure necessarie per la risoluzione dei problemi prodotti anche nei settori ortofrutticolo, vitivinicolo e olivicolo, danneggiati indirettamente dal fuoco.

Come ha osservato anche lo stesso Assessore dell’Agricoltura Andrea Prato, risulta ora crescente «il clima di maturità e consapevolezza della grave crisi che stiamo affrontando» davanti a cui «l’unità di intenti è e sarà fondamentale per portare anche a livello nazionale tutta la gravità della situazione che le nostre campagne stanno vivendo». La richiesta in cui si dovrà, infatti, essere compatti davanti al Governo, sarà un sostegno per 30 milioni di euro che non solo ridaranno ossigeno agli allevatori, ma permetteranno di attuare una valorizzazione della produzione e della trasformazione, supportando le aziende sul fronte della promozione, della ricerca e dell’assistenza tecnica attraverso interventi di sistema, non più slegati tra loro. Solo un’azione coordinata da entrambe le parti, Regione e mondo produttivo, potrà infatti garantire al comparto ovino il raggiungimento dei primi quattro fondamentali traguardi: il contingentamento del Pecorino Romano, la riapertura del Consorzio latte, l’attuazione di progetti per arrivare a formaggi di qualità che possano spuntare prezzi più elevati e, infine, il mantenimento del prezzo del latte senza ritocchi verso il basso. Da non trascurare anche l’impegno richiesto per


L’Assessore dell’Agricoltura Andrea Prato con Maddalena Calia e Antioco Murru del Salumificio Murru di Dorgali

far fronte al problema del rilancio del Cosacer (il Consorzio Sardo dei Cereali) che, come ha ricordato l’Assessore Prato, «la Regione non l’ha lasciato al suo destino». Da mesi infatti la Giunta sta affrontando problematiche quali il prezzo dell’acqua, le infrastrutture, la disaggregazione dell’offerta come causa della scarsa competitività dei mercati. A dare prova di quest’impegno sono anche i numeri intorno al Programma di sviluppo rurale 2007/2013, dal momento che le misure dimostrano come, non solo la Sardegna sia la prima regione in Italia ad aver pagato le anticipazioni sui premi di indennità compensativa, benessere degli animali, agricoltura biologica, forestazione, razze in via d’estinzione, difesa del suolo, ma soprattutto come la migliore performance di spesa sia stata quella relativa all’ammodernamento delle aziende agricole e la trasformazione dei prodotti agro-alimentari. A tale proposito una grande opportunità per la Sardegna è stata la stessa visita del Commissario

dell’Unione Europea dell’Agricoltura e dello Sviluppo Rurale, Miriam Fischer Boel, che ha avuto modo non solo di constatare e apprezzare il dinamismo dell’attuale Giunta nel settore agricolo, ma che ha permesso di mettere a nudo alcune gravi e storiche arretratezze del comparto, per le quali occorre trovare soluzioni adeguate. Altro settore in cui si sta cercando di agire con altrettanta determinazione è, inoltre, il comparto pesca, in cui sono stati erogati già 10 milioni di euro sia per il rinnovo delle flotte che per gli investimenti nel settore dell’acquacultura. Un ultimo progetto di particolare rilevo, che in queste settimane sta prendendo forma al fine di valorizzare e riscoprire in chiave multifunzionale e turistica le aree interne della nostra isola, è la realizzazione del percorso Alghero-Badde ‘e Salighes. Il sentiero sarà infatti composto da un’ippovia, una ciclovia e itinerari di trekking, e attraverserà i Comuni di Nurra, Mejologu, Planargia, Goceano e Margine con epicentro

fermo biologico «La Regione è impegnata su tutte le tematiche del comparto pesca della Sardegna e rispetto al passato è evidente un’accelerazione delle procedure burocratiche e dei tempi di pagamento. Un caso tra tutti: la liquidazione del fermo biologico 2008» : queste le parole con cui l’Assessore Regionale dell’Agricoltura, Andrea Prato, ha esposto l’attuale impegno della Giunta Regionale in tema di pesca. Degno di menzione anche l’attuale sforzo finanziario della Giunta che ha proposto e ottenuto un incremento rispetto a quella originaria, pari a 36 euro a giornata. «Il ritardo nell’adeguamen-

to degli indennizzi – ha spiegato Prato - non è sicuramente addebitabile all’attuale esecutivo, perché la fine anticipata della precedente legislatura ha interrotto l’iter dell’approvazione della finanziaria regionale, prontamente approvata dall’attuale maggioranza». Per quel che riguarda il Fep (Fondo Europeo per la Pesca), inoltre, una volta definite le procedure per la gestione del Programma, la Sardegna proporrà i primi bandi secondo le istanze avanzate dalla piccola pesca. Con la legge finanziaria regionale, infatti, la Sardegna ha garantito il proprio co-finanziamento al Fondo e gli uffici

nella Villa Piercy di Badde ‘e Salighes, sui monti di Bolotana. Si tratta di un’idea voluta dalla Regione ma che verrà attuata anche grazie al contributo delle amministrazioni locali, con il fine di coinvolgere in questo progetto di riscoperta e valorizzazione anche tutti gli enti locali, primariamente le aziende agricole, con le loro produzioni tipiche e di qualità. «Un modo nuovo di concepire la ruralità – ha affermato l’Assessore Prato – e un’occasione per integrare il reddito delle nostre imprese primarie». Chi sbarcherà nei principali porti e aeroporti della Sardegna avrà così la possibilità di esplorare la nostra isola in sella a un cavallo o ad una mountain bike, e non solo di scoprirne le bellezze ambientali e la cultura millenaria, ma anche di assaporarne i prodotti tipici.

stanno predisponendo le procedure per l’effettiva attuazione del programma in stretto raccordo con l’Autorità di Gestione Nazionale. Infine, per quel che concerne il progetto di ripopolamento delle aragoste, è in esecuzione un ampliamento: alle cinque zone inizialmente previste, è stata aggiunta quella di Alghero per venire incontro alle esigenze dei pescatori locali. «Siamo poi in attesa di una risposta alla lettera inviata al ministro Zaia per la deroga della taglia minima di pesca. Inoltre, sulla normativa per la pescaturismo e l’ittiturismo, è pronta una bozza di decreto che sarà sottoposta alle organizzazioni di categoria durante il Comitato tecnico consultivo regionale per la pesca», ha concluso Prato.

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FESTA DEI POPOLI AD ASSEMINI

di Olga Belyakova

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mmaginate di ritrovarvi in un batter d’occhio nelle gelide steppe russe subito dopo aver percorso le torride savane dell’Africa; di rientrare in Europa vagando per gli angusti viottoli della vecchia città e, subito dopo addentrarsi nella fitta foresta amazzonica; infine, provate ad assaporare la brezza che soffia sulle coste caraibiche, le esotiche spezie del Marocco. La Festa dei Popoli che si tiene ogni anno a partire dal 2006 ad Assemini vi consente di apprezzare la cultura eterogenea e il patrimonio culinario di diversi paesi senza neppure doversi allontanare dalla Sardegna. La Festa dei Popoli è nata da un’iniziativa della parrocchia asseminese di San Pietro con l’obiettivo di promuovere l’amicizia tra popoli e lo scambio culturale. Non è un caso, infatti, che Assemini sia una città con una notevole presenza di immigrati, sia provenienti dall’UE che extracomunitari. Molti di loro hanno ormai acquisito la cittadinanza italiana senza ovviamente rinunciare alle loro radici. La proposta della parrocchia ha trovato sin da subito numerosi sostenitori, anche e soprattutto tra sardi. La prima edizione della festa tenutasi nel 2006 ha visto aderire poco più di dieci nazioni. Ora sono diciotto, compresa la Sardegna che partecipa a pieno titolo come padrona di casa. Il Belgio, invece, sarà la prossima entrante. Il cuore della festa è la degustazione dei piatti preparati dagli asseminesi di nazionalità diverse, ma non si tratta solo di questo. Piuttosto, è un invito a sco-

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prire la storia, la cultura, le tradizioni dei popoli rappresentati, e soprattutto a ricordare l’antica usanza dell’ospitalità, comune a ogni nazione. Questa usanza risale all’antichità, quando lo straniero era un ospite piuttosto raro e rappresentava una fonte di informazioni. Nell’antica Grecia, ad esempio, tutti gli stranieri liberi erano considerati protetti dal dio Zeus e anche la minima offesa nei loro confronti veniva punita con rigore. La buona accoglienza del diverso si basava anche sul desiderio di ricevere lo stesso trattamento quando si partiva in terre lontane. Oggi poco è cambiato rispetto a tanti secoli fa. Proprio per questo la Festa ogni anno si arricchisce di nuovi partecipanti, mossi dal desiderio di ringraziare i sardi per la loro generosità. Certo, è faticoso dover cucinare per tutti i visitatori (più di duemila quest’anno), ma l’entusiasmo con cui si prepara il cuscus marocchino, la paella spagnola, il gulash ungherese, la musaca greca e tutte le altre pietanze è veramente lodevole. I nuovi arrivi di quest’anno sono l’Ucraina, l’Albania, la Romania e, infine, la Danimarca, rappresentata da Christian Lønstrup, una vecchia conoscenza dei tifosi del Cagliari. Innamorato della Sardegna, del suo clima caldo, del mare e del mangiar bene - Christian terminata la carriera sportiva, decise di stabilirsi definitivamente nell’Isola. La preparazione dei piatti avviene contemporaneamente in una grande cucina comune. Gli ingredienti usati sono diversissimi tra loro, ma aggiungendo un pizzico di pazienza e comprensione, generosità e tanto buon umore, si ottiene la ricetta perfetta di integrazione tra popoli.


Assemini multietnica Attualmente ad Assemini risiedono 406 stranieri su un totale di 26660 di abitanti Il numero di stranieri è salito del 19% rispetto a un anno fa. Nel 2008 11 persone ottennero la cittadinanza italiana. Le maggiori comunità residenti ad Assemini: Marocco – 53 Cina – 42 Romania – 31 Tunisia – 27 Albania – 26 Dati ISTAT

T clienti mischiavano i componenti della portata rovinando in tal modo il minuzioso lavoro dello chef. Infuriato, Olivier iniziò a sua volta a mescolare gli ingredienti condendoli con tanta maionese in segno di disprezzo per gli ignoranti visitatori, ma ottenne il contrario di quello che sperava: il successo di questo nuovo “piatto” fu enorme. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, l’insalata Olivier cadde nel dimenticatoio. Il popolo, a cui spesso mancavano persino i prodotti di prima necessità, non fu interessato alle raffinatezze gastronomiche. Qualche tentativo di ricreare la ricetta dell’insalata venne fatto dagli emigrati russi che si dispersero in Europa occidentale, nello specifico dalle casalinghe che cercavano di emulare le più raffinate ricette della cucina russa. Grazie a loro, il piatto si diffuse ovunque in Europa col nome che attualmente conosciamo. Proprio questa versione dell’insalata fece ritorno nell’URSS negli anni ’50, favorita dall’allargamento dello scambio culturale con l’Europa. Naturalmente, i cuochi sovietici adattarono la ricetta alle realtà del proprio paese, in cui gli ingredienti più “esotici” erano difficili da procurare. Questa versione rimaneggiata divenne ben presto il piatto più popolare dall’altra parte della cortina di ferro. Oggigiorno, è impensabile che in una festa russa si faccia a meno dell’insalata olivier.

Le avventure di un’insalata

L’

insalata russa, apprezzata dai gourmet di tutta l’Europa, nella sua patria è chiamata “salat olivier”, dal nome dello chef francese Lucien Olivier che emigrò in Russia intorno al 1860 con la speranza di arricchirsi aprendo un ristorante di lusso, in cui si preparavano i più squisiti piatti conosciuti allora. Uno di questi fu la “cacciagione alla maionese” preparata con filetto di pernice e francolino, mescolato con dadi di gelatina di brodo. Il piatto veniva ornato con colletti di gambero e fette di lingua di vitello cosparsi di maionese. Al centro venivano disposte delle patate lesse, minuscoli cetrioli sott’aceto e pezzetti di uova sode. Questa parte centrale del piatto fu originariamente pensata da Olivier come mero elemento di decoro. Tuttavia egli notò ben presto che molti

Ingredienti (6-7 porzioni) 1 petto di pollo bollito 4-5 patate di media taglia bollite 4-5 carote di media taglia bollite 300 g di cetrioli sott’aceto 1 lattina di piselli 2 uova sode 200 g di maionese Cipolla e prezzemolo a piacimento Preparazione Mescolare tutti gli ingredienti tagliati a dadini; aggiungere il maionese e del sale a piacimento; mescolare il tutto accuratamente senza schiacciare. Servire freddo.


IN GIRO PER LE CANTINE DELL’ISOLA/QUI DOLIANOVA

60

anni

trascorsi con i tempi del vino di Alessandro Deias

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i può dire così per la Cantina di Dolianova, un’impresa nata nel 1949, grazie all’idea e all’unione di circa trentacinque coltivatori viticoli, che ha raggiunto un importante anniversario: importante perché sono poche imprese vinicole in Sardegna a poter vantare una così lunga vita e anche perché in questo periodo di crisi globale, la sua ascesa nel mercato non diminuisce. Sicuramente i primi trentacinque soci non si sarebbero immaginati i traguardi raggiunti dalla loro creazione. Lo sviluppo della Cantina di Dolianova è iniziato subito: basti pensare che già dopo vent’anni di attività, nel Giugno 1969, la allora Cantina Sociale di Dolianova contava 575 soci conferitori (coloro che producono l’uva che viene conferita in Cantina e sfruttata per la produzione vinicola). Oggi i soci sono più che raddoppiati ma lo spirito è lo stesso che avevano avuto i fondatori, l’amore per la vite, l’uva, il vino e il loro paese. Negli anni non sono aumentati solo i soci conferitori, ma anche i litri di vino prodotti e imbottigliati ogni stagione, venduti ormai in tutto il Mondo. Naturalmente la storia della Cantina di Dolianova non è stata tutta “rose e fiori”: nei suoi sessanta anni si è trovata ad affrontare numerosi ostacoli ma è stata in grado di affrontarli e ha avuto la forza di andare avanti. Il superamento di questi ostacoli, è stato naturalmente

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dovuto, oltre che al lavoro dei dipendenti della Cantina, allo straordinario lavoro e alla grande tenacia di tutti i soci che, negli anni, hanno continuato a credere nella loro cantina e hanno fatto tutto il possibile perché questa raggiungesse tutti i traguardi che sino ad ora ha conquistato. Parlando delle cantine, spesso non si considera chi ne è la base e ne rende possibili la vita e lo sviluppo. Il lavoro del viticoltore è una passione che comporta un lavoro che dura tutto l’anno quasi senza soste se non nel periodo successivo alla vendemmia: la potatura delle viti, la raccolta dei rami per fare le fascine per il fuoco di casa, l’aratura della terra, la degermogliazione, la prevenzione e la cura delle malattie, l’irrigazione, la preparazione delle piante per la raccolta dei frutti e, infine, la vendemmia.

Grandi propositi e profonde radici

Vista l’importanza della ricorrenza, gli amministratori hanno organizzato un evento lungo due giorni che è stato ricco di avvenimenti che hanno fatto sì che i festeggiamenti si rivelassero anche utili allo sviluppo dell’azienda. La celebrazione ha avuto avvio la sera con una conferenza tenutasi nella splendida cornice dei locali della barricaia (locali della cantina in cui il vino è conservato in botti di legno) della Cantina, sulle attività della stessa e Question Time con l’Assessore Regionale. La conferenza è stata aperta dal giovane Presidente della Cantina di Dolianova, Sandro Murgia che durante l’intervista e il discorso di apertura ha sostenuto: «60 anni sono un traguardo importante per un’azienda come la nostra; la produzione e lo sviluppo della Cantina sono in crescita nono-

stante il periodo di crisi di tutti i settori, e si sono affrontati e si affronteranno investimenti per un ulteriore sviluppo della Cantina di Dolianova. Malgrado le oltre quattro milioni di bottiglie di vino vendute in un anno, si conta di migliorare. Il cammino della cantina è stato lungo ma si spera di arrivare ancora molto lontano. Per crescere e farsi forti nel mercato bisogna fare impresa, creare una sinergia tra agricoltura, territorio e turismo, in modo da valorizzare i prodotti e il territorio di origine». Oltre a quella del Presidente Murgia, abbiamo raccolto la testimonianza del Responsabile delle Vendite, Gianni Covone: «La Cantina di Dolianova è una realtà forte nel mercato vinicolo internazionale. Sono ormai lontani gli anni ’80, quando le Cantine di Dolianova erano tra i leader in Sardegna, poiché numerose altre aziende sono sorte e ormai concorrono alla pari, ma l’obiettivo di crescere anche fuori dall’Isola, è stato raggiunto e si vuole proseguire su questa strada. Purtroppo la cantina si è affacciata tardi nel grande mercato per la mancanza di un’adeguata strategia di marketing, ma è stata capace, in poco tempo, di crearsi uno spazio importante e solido. Il successo dei prodotti è dato da alcune componenti essenziali, la prima delle quali è la bontà del vino, seguita dal fondamentale rapporto qualità-prezzo, soprattutto oggi che il mercato globale è in crisi. Parlando di mercato globale non si esagera: infatti, il vino di Dolianova è venduto oltre che in tutta la Sardegna, in Italia, in gran parte dell’Europa, in Cina, in Giappone, e in America. I primi vini sono stati esportati grazie alla promozione fatta dai sardi immigrati all’estero, che malgrado la lontananza dall’isola

continuavano a consumare il loro vino, e contribuirono a farlo conoscere e apprezzare ovunque si trovassero». Dopo il Presidente, sono intervenuti il Sindaco di Dolianova, Luigi Piano, e l’Assessore Provinciale alle Attività Produttive e Turismo, Piero Comandini. Numerosi sono stati i temi che l’Assessore Regionale all’Agricoltura e alla Riforma Agro-Pastorale Andrea Prato ha affrontato durante il suo intervento e il Question Time: in particolar modo ha ricordato l’intenzione di creare un organismo e un marchio che certifichino la qualità dei prodotti dall’inizio alla fine e la necessaria attuazione di modifiche alla produzione di alcuni tipi d’uva, specialmente il Cannonau e il Vermentino. «Oggi bisogna produrre qualità e non quantità come si è fatto negli anni precedenti – ha detto l’Assessore - sacrificando il valore del prodotto per una maggiore abbondanza. È in programma, inoltre, la realizzazione della Strada del Vino, un percorso che, partendo da Cagliari ha una sosta circa ogni 20 km in modo da valorizzare i prodotti tipici del territorio creando una rete che unisce vino, cibo, cultura, per favorire lo sviluppo turistico di numerose realtà tutte da scoprire. Per realizzare questo e altri progetti si ha intenzione di attuare il recupero di alcune case cantoniere dislocate sul territorio».

Prendete e bevetene tutti

Sono queste le parole con le quali il vino è santificato e trasformato in sangue di Cristo, e che sono state ripetute da Monsignor Piero Monni durante la celebrazione della messa in occasione della festa della Cantina di Dolianova, seguita alla conferenza. Monsignor Piero Monni è Proto Notario Apostolico, Canonico del

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Capitolo di San Pietro, già Diplomatico della Santa Sede a Madrid, già Docente Universitario di Diritto Internazionale e Penale, nonché giornalista professionista. Monsignor Monni è stato invitato a ripetere questo rito durante la festa

spiegando che la realtà vitivinicola in Sardegna è molto grande e sviluppata, e questo è dimostrato dal fatto che sulla guida “Il Gambero Rosso”, in proporzione alla grandezza territoriale e abitativa, la Sardegna è la più presente

Facoltà di Agraria Università di Sassari, che ha parlato degli “Aspetti microbiologici della vinificazione”; il signor Ercole Iannone – Enologo delle Cantine di Dolianova, che ha affrontato il tema “del 6° decennio della Cantina, qua-

dei 60 anni della Cantina di Dolianova in quanto vecchio amico di questa, nonché estimatore dei suoi pregiati vini. Ci si chiederà come possa un alto funzionario della Chiesa conoscere la Cantina di Dolianova; la risposta è semplice, da giovane era parroco di Ballao e ogni giorno passava per Dolianova per acquistare il vino per la messa, e da allora se ne è innamorato. Ha confidato che ha “pubblicizzato” i vini di Dolianova in Vaticano e in tutti i luoghi in cui ha svolto servizio e tuttora è solito offrire questi vini ad amici e importanti conoscenti.

rispetto alle altre regioni italiane. Nel suo discorso ha nuovamente toccato un tasto già affrontato durante il convegno precedente, quello degli errori commessi in passato dagli enologi. Infatti, tra gli anni ’70 e ’80, hanno stravolto le antiche coltivazioni viticole con coltivazioni di vitigni stranieri e produzioni enormi, trascurando la qualità del prodotto in favore della quantità. Fortunatamente, da qualche anno, c’è stato un recupero del passato, con il ritorno alla coltivazione di vitigni autoctoni e la ripresa della valorizzazione della qualità e non della quantità. Inoltre, oggi si sta puntando anche al recupero di antiche qualità d’uva che stavano per scomparire, come il Barbera Sardo.

li cambiamenti?”; ha concluso la conferenza Gianni Covone – Direttore Commerciale della Cantina di Dolianova. Durante i discorsi sono stati affrontati importanti temi, tutti basilari per lo sviluppo della produzione vitivinicola. È importante informare che nel Campidano sono presenti e identificate quattro zone specializzate nella produzione viticola: il Basso Sulcis, la zona di San Gavino, la Costiera Cagliaritana e naturalmente la zona che comprende Parteolla, Trexenta e Marmilla, nella quale, il Parteolla è quella con maggiore produttività. Si è affrontato anche il tema di cosa garantisca la bontà di un vino: come ci si può aspettare, la qualità e la tipicità di un buon vino sono dovuti al vigneto. Per avere un buon vigneto, e creare un buon vino, sono fondamentali tre fattori: la pianta, l’ambiente e l’uomo. Parlando delle piante, bisogna valutare bene il tipo di clone che si vuole innestare, studiando il prodotto che interessa realizzare. L’ambiente è un altro elemento fondamentale per garantire una buona produzione. La realizzazione di questi due punti è di competenza dell’uomo. Chi decide di coltivare l’uva si deve accordare con gli enologi per una migliore scelta del tipo di vite da impiantare perché gli enologi sono esperti nella scelta dei prodotti più adeguati alla vinificazione e alla coltivazione nel territorio. Attualmente, per una migliore lavorazione e gestione di un vigneto, si pianifica la piantagione, in modo tale da poter procedere a una lavorazione meccanica più efficiente e produttiva. Non si pensi però che la sola meccanizzazione risolva tutto, infatti, ancora più importante dell’utilizzo di mezzi agricoli d’avanguardia, per un’ottima produzione vitivinicola

Verso il futuro ricordando il passato

Questo è il titolo del libro presentato in occasione del compleanno della cantina e che la riguarda interamente e racchiude in sé tutto il significato della festa. Il professor Riccardo Solinas, profondo conoscitore della storia e delle tradizioni di Dolianova, ha ricevuto l’incarico da parte della Cantina di Dolianova, di scrivere un libro che la riguardasse e ne mettesse in luce proprio l’aspetto riassunto dal titolo, quello di un’impresa rivolta al futuro ma con il ricordo e l’attaccamento alle proprie origini. La presentazione del testo si è svolta dopo la funzione religiosa. Tra i vari nomi noti presenti sul palco, il primo a prendere la parola è stato Gilberto Arru, giornalista enogastronomico che ha coordinato l’evento. Durante il suo discorso ha parlato del numero delle cantine presenti in Sardegna e della loro affluenza alle mostre vinicole, come ad esempio il VinItaly che quest’anno ha visto partecipare circa settanta cantine sarde. Gilberto Arru ha proseguito il suo discorso

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La festa continua…

A metà mattinata si è tenuto il convegno “Viticoltura nel Parteolla”, che come si capisce dal nome ha riguardato specificamente le modalità di produzione vitivinicola nel territorio del Parteolla, in cui è immersa la realtà della Cantina di Dolianova. La conferenza si è aperta con i saluti del Presidente della Cantina di Dolianova, Sandro Murgia, che ha subito ceduto la parola al Dott. Emanuele Dessì, giornalista di Videolina e de L’Unione Sarda, che ha coordinato l’intera conferenza. I relatori sono stati: il Prof. Gianni Nieddu - Facoltà di Agraria Università di Sassari che ha parlato de “La vocazione viticola del Parteolla”; il Dott. Giuseppe Bordone – Vivai Cooperativi Rauscedo, che ha esposto “Come progettare un nuovo impianto viticolo”; il Dr. Agronomo Renzo Peretto – Laore Sardegna, che ha esplicato le regole per “La gestione del vigneto”; il Prof. Antonio Farris -


conta la lunga e profonda tradizione che viene ancora oggi portata avanti dai tanti viticoltori soci della Cantina di Dolianova, senza la quale tutto il lavoro meccanico e tecnico sarebbero vani.

Dalle parole ai calici Dopo tutte le parole spese per raccontare la storia, i progetti della Cantina di Dolianova, nel tardo pomeriggio si è potuto assaporare il frutto del lavoro della cantina e dei suoi soci. La degustazione è stata guidata dai giovani e abili sommelier dell’AIS, che hanno gestito un percorso d’assaggio che è partito dal vino da aperitivo, proseguito con vino da tavola abbinabile a torte salate, vino adatto all’accoppiamento con carni, vino ottimo con frutta secca e formaggio, per finire con il vino più adatto ai dolci della nostra tradizione. La degustazione all’aperto è stata accompagnata da un sottofondo musicale offerto dai musicisti della C.A.M. (Castello Artist Management) che con due gruppi, uno composto da tromba, trombone e sax baritono, e uno formato da un terzetto d’archi. Nella barricaia si è tenuta una splendida esibizione di un’arpa che ha incantato il pubblico. I festeggiamenti sono finiti con un magnifico concerto suonato dall’Orchestra da Camera C.A.M., “Le Quattro Stagioni” di Antonio Vivaldi. È stato un evento ricco di notizie e nozioni interessanti per tutti coloro interessati alla vita agricola e non solo; è da rilevare, anche la presenza di associazioni impegnate nel sociale che hanno contribuito alla serenità dell’evento e alla solidarietà verso i meno fortunati.

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VIAGGIO DENTRO LE CANTINE DELL’ISOLA/ QUI DOLIANOVA IL CAMMINO STORICO E RELIGIOSO DEL VINO

A NOÈ D olianova

alla santa messa

D

di Monsignor Piero Monni*

ella città di Dolia, che vanta origini allinearsi con le altre regioni italiane per affronsin dal XII o XIII secolo, la Carta tare i nuovi tempi, l’instancabile concorrenza de Logu parla come villaggio Deias, che sifoto presentava ben protetta dalla tecnologia e Testodidiun Alessandro di Maurizio Artizzu con piccoli appezzamenti chiusi dalla professionalità. Il poeta sardo Sebastiano a vigna ed altri terreni per varie culture. Oggi Satta ha scritto un verso che racchiude le speessa gode anche di una ricca tradizione civile e ranze dei nostri uomini migliori: «Se l’aurora religiosa in quanto precedente sede vescovile. arderà sui tuoi graniti, tu lo dovrai, Sardegna, Questo sistema di chiusura dei terreni lo tro- ai nuovi figli». viamo ancora presente nella memoria degli Purtroppo, con i piani ricchi di speranze ma anziani. A quei tempi il sogno di una attività co- lontani dalla realizzazione, iniziarono le nooperativistica era lontano dai pensieri dei dolia- stre correnti migratorie. La disoccupazione novesi e dei sardi in generale: l’individualismo obbligava uomini, per lo più giovani, ad emiera ben radicato nella mentalità di noi sardi; ne grare in Svizzera, Germania, Francia, Belgio sanno qualcosa i soci fondatori di questa can- ed altri Paesi d’Europa. Durante i miei viaggi tina quando, nel giugno 1949 - sessant’anni or in vari continenti ho incontrato spesso nei nosono – hanno dovuto affrontare le difficoltà per stri Circoli sardi tanti emigrati di queste zone. dar vita ad una realtà socio-economica che oggi Ricordano tutti con nostalgia la loro terra d’orifa onore a questa cittadina. gine che non aveva potuto soddisfare al loro La Sardegna, dopo il secondo conflitto mon- diritto al lavoro. diale, ha riveduto la sua posizione sociale ed Quanti non emigrarono si guardarono attorno economica e ha preso atto dell’urgenza di prov- e decisero di dar vita a varie iniziative: cantine, vedere ad uno sviluppo che la riscattasse da vari caseifici, artigianato, turismo e altro. La loro secoli di povertà e arretratezza. Non a caso, la forza confidava sulla Provvidenza e nella colfondazione di questa Cantina, avviene poco laborazione dei soci, e si è rivelata positiva in dopo le prime elezioni regionali della Sardegna sessant’anni di proficua attività. del maggio 1949, con un nutrito programma di Qui, migliaia di quintali d’uva sono stati pigiati, sviluppo. pressati dai torchi, trasformati in vino. Ed una La nostra terra ha sempre urgente bisogno di piccola parte di questo prodotto è stato certa-

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mente offerto alla Parrocchia perché servisse alla celebrazione del sacrificio eucaristico, trasformandolo nel sangue del Signore. La vite, pianta semplice e robusta, ha accompagnato la storia dell’umanità da sempre, così come gli effetti del suo prodotto inebriante: il vino. La Bibbia testimonia che fu Noè, coltivatore della terra, a salvare la vite e ad impiantarla dopo il diluvio. Ciò conferma che le tecniche enologiche erano ben conosciute già in epoca prediluviana. Gli Egizi furono maestri e depositari di tali tecniche: i magnifici geroglifici riproducono in dettaglio come si produceva il vino dei Faraoni. Attraverso i Greci e i Fenici il vino entrò in Europa. Con i Romani, gradualmente, l’arte della coltivazione della vita migrò verso il Nord Europa.

Vino e civiltà occidentale La centralità del vino nella civiltà occidentale è legata al ruolo divino che gli venne assegnato: presente anche nei culti pagani, nel Vangelo il vino è elemento essenziale. Lo troviamo alle “Nozze di Cana”, e fino all’episodio dell’“Ultima Cena” il vino diviene sangue: è il sangue della terra “sanguinis uvae”


e insieme al pane azzimo diventano il nutrimento dell’anima. Il vino e il pane, al momento dell’offerta sacerdotale, vengono tramutati in sangue e corpo di Cristo. La Chiesa fu promotrice dello sviluppo della viticoltura tramite i monasteri che divennero centri di aggregazione di contadini, i quali cominciarono a radunarsi attorno alle abbazie e a lavorare i vigneti protetti dai recinti. Anche in Sardegna si resero benemeriti per aver diffuso un’agricoltura ancora sconosciuta ai sardi di quel periodo. Anche le popolazioni barbariche iniziarono a prendere in considerazione la viticoltura. Le regole dei monasteri si ammorbidirono e al famoso motto benedettino “ora et labora” venne affiancato “bibite fratres ne diabolus vos otiosos inveniat”(bevete fratelli affinché il diavolo non vi trovi sfaticati ed oziosi). Gesù farà spesso riferimento alla vite: «Io sono la vite, voi i tralci». Come ci riporta l’evangelista San Luca, Gesù sceglie il pane ed il vino come segni eucaristici perché sono elementi presenti nella Pasqua ebraica. Tanto il pane quanto il vino richiedono da parte dell’uomo un lavoro di fabbricazione che trasformi il grano in pane e l’uva in vino. Sono entrambi elementi impregnati di simbolismo: il vino è simbolo di gioia, di forza, di festa, occupa un ruolo importante nella vita sociale, nei momenti più lieti della vita (come ricorda Giovanni evangelista, ad esempio, per le nozze

di Cana è presente il vino). Gesù istituisce l’Eucarestia durante l’Ultima Cena consumata con i suoi discepoli. Con essi stava festeggiando la Pasqua ebraica: ogni Giudeo, doveva rendere personali le preghiere di benedizione al pasto, come facciamo noi quando ci sediamo a tavola. In questo contesto si inseriscono le parole che Gesù pronuncia sul pane e sul vino nell’Ultima Cena: preghiera di lode e di benedizione rivolta al Padre. Parole che sono stretta relazione col fatto che Egli sta per dare la sua vita per la salvezza di tutti gli uomini. Gesù dice: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo» e «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati». Nei tre anni di vita comune Gesù aveva preparato gli apostoli a questo avvenimento: lo avevano visto moltiplicare i pani, camminare sulle acque, risuscitare dei morti, quindi avrebbero dovuto capire che Gesù operava non come uomo ma come Dio. Il pane e il vino divenuto corpo e sangue del Signore, sono anzitutto elementi di nutrizione e questo nutrimento è offerto ai discepoli radunati. Il vino, inoltre, rappresenta il sangue del Cristo, sangue dell’alleanza versato per la salvezza degli uomini: ciò significa che l’azione salvatrice è al centro dell’Eucarestia. Gesù si dona ai suoi nel duplice segno: del pane e del vino per nutrirli insieme e quindi riunirli, per stringere necessa-

Sa binnenna Boxis de genti allarga chi cantat e contat, de bisus, de piciocus sposus e coiaus, de sposorius storraus, cun cudd’axina, ceratza e vellutada, chi chistionat nendi ca su traballu est trumentu totu s’annu; cun manus tzacadas de sa puda, fata cun frius e cilixia, cun araduras, spitzaduras, smamaduras e arrobius tirriosus, chi ponint in timoria bingias e bingiateris, chi s’asseliant castiendi, cun crosidadi, pesu e gradu pentzendi ca sa terra, po esseri traballada est sempiri tostada. Riccardo Solinas riamente una nuova alleanza con loro. Il libro della Genesi ci ricorda che il sangue rappresenta la vita (Gen. 9,4) e non vi è vita senza sangue, per cui bere il sangue di Gesù, cioè il vino dell’Eucarestia, significa far entrare in noi lo Spirito Santo. Dirà il Redentore: «In verità vi dico se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui (Gv. 6,53-56)». Poiché Gesù è Dio stesso, nutrirci di Lui fa entrare in noi la sua vita che è eterna. Infine il Signore ordina: «Fate questo in memoria di me». Ogni giorno, nel mondo si celebrano milioni di Messe, per questo occorre disporre della materia prima, cioè del pane e del vino.

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Nei paesi tropicali, quando ancora mancavano i frigoriferi, era un bel problema preservare il vino dall’acidità. Oggi, anche nelle missioni più remote si riesce a conservare il vino per l’eucarestia, pane simbolo di unità e di pace. Sotto questo rapporto anche i membri della Cantina sono coinvolti in un’attività religiosa, pastorale che indubbiamente attira la grazia di Dio sulla attività vinicola e spiritualizza gli interessi umani.

Su gradadori Nelle cronache della Cantina e nel suo Archivio ben documentato, appare la figura di un uomo che non godeva di troppo affetto da parte di quanti consegnavano l’uva in cantina. Il compito de “su gradadori” era quello di valutare il livello alcolico, zuccherino o fruttosio della uva consegnata. Il povero uomo era spesso oggetto di contumelie e di contestazione. Dipendeva da lui registrare tale livello: le accuse erano tante. Nella nostra vita ciascuno di noi porta in se un “gradadori”: è la propria coscienza che gli indica il livello del bene da compiere e del male da sfuggire. Ma oltre la propria coscienza c’è la legge positiva dataci da Dio: il prodotto della Cantina consente tante manipolazioni. Oggi, con il perfezionarsi dell’enologia si dispone di prodotti di alta qualità capaci di imporsi in tutti i mercati del mondo. *Capitolo Vaticano

Manus de bingiateri Est sempiri malu a pentzai su chi podit sussidi de hoi a cras. Totus estus a bolli acua, soli e tempus bonu po podi traballai; mancai arribat bentu sciapidu e fridu, acumpangiau de stracia e cilixia e manus asrucadas de castigus, cun tzacaduras chi su frius no agiudat a tupai. Agoa, aici acraxioladas,ddas castias cun ogus fadiaus candu, setziu in sa forredda, no acudis a t’indromiscai poita ascutas sa muida de su bentu o de sa temporada, chi cun lampus e tronus ti nd’acabat de suciai cussu pagu de sperantzia chi donnia ota t’acumpangiat. Riccardo Solinas

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Gli organizzatori della Manifestazione insieme all’Assessore alle Politiche Culturali e alla Comunicazione del Comune di Roma, Umberto Croppi (il terzo da sinistra)

I

l modo di alimentarsi fa parte della cultura di un popolo, e il popolo sardo eccelle nel campo della cultura alimentare. È stata proprio l’enogastronomia uno dei migliori biglietti da visita della XX edizione, appena conclusasi, de “L’Isola che c’è – Sardegna incontra Roma”. L’evento, quest’anno più che mai di grande prestigio per presenze e collocazione, ha portato nella Capitale una parata di eccellenze da tutta l’Isola, offrendo degustazioni e vendite dirette dei migliori prodotti enogastronomici sardi. E ancora, gemellaggi, solidarietà, contatti per ambiziosi progetti, cultura e spettacoli. Sì, perché non sono mancati l’attesissimo concerto di Piero Marras, quello del Gruppo Folk IttiriCannedu, o ancora l’esibizione del Coro Gavino Gabriel di Tempio, e quella dei balestrieri e sbandieratori di Iglesias, capaci di creare suggestioni medievali grazie alla fedele rivisitazione dei costumi d’epoca. Il tutto, come perfetta colonna sonora del già ricco programma della manifestazione.

i prodotti tipici della sardegna

“L’Isola che c’è”

Sardegna incontra Roma

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Adriano Atzei, Sindaco di Usellus, già colonia romana,con l’assessore alla Cultura del Comune di Roma Umberto Croppi. Sotto: il presidente del Gremio Giovanni Battista Sotgiu (primo da sinistra) accoglie nella zona convegni i vertici della Società Operi e Mutuo Soccorso di Sardegna e dell’Associazione Trapianti Alessandro Ricchi.

Piero Marras durante il concerto di sabato 26 settembre

La rassegna, che quest’anno si è tenuta in un bel piazzale adiacente lo stadio Flaminio, ha ospitato esibizioni, danze e musica, mentre ogni paese presente (Nule, Samugheo e Usellus, solo per citarne alcuni) promuoveva il meglio delle proprie produzioni culturali, artigianali, artistiche e agroalimentari: dai tappeti, conosciuti e premiati anche all’estero, alle preziose filigrane, sapientemente rifinite da mani esperte e laboriose. La manifestazione è stata una importantissima vetrina per gli imprenditori della Sardegna che hanno presentato ai romani, al pubblico, ai ristoratori della Capitale e ai sardi in generale un ricco paniere di prodotti di qualità della nostra regione.

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sotto: il coro Gavino Gabriel di Tempio

Dorgali, Guamaggiore, Isili, Ittiri, Morgongiori, Tonara, Nule, Samugheo sono alcuni dei paesi che hanno promosso a Roma le loro eccellenze, offrendo ai presenti stuzzicanti assaggi. Ricchissima la scelta di formaggi, salumi, pasta, pane carasau, e dolci, sempre diversi a seconda del paese di provenienza. Si è potuto assistere alla lavorazione dell’ormai famoso torrone di Tonara, oltre alle degustazioni delle lorighittas di Morgongiori, la pasta di semola di grano duro che van-

Straordinario successo dello stand del Gruppo Editoriale L’Unione Sarda, Videolina e Radiolina

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Avis Roma e Società degli Operai di Cagliari premiano Giorgio Ariu per l’impegno nel Sociale

ta la denominazione di origine protetta (marchio D.O.P.) per l’unicità della sua preparazione. Le dimostrazioni dal vivo hanno dato un valore aggiunto al prodotto finale perché sono servite a testimoniare che chi lavora a un prodotto con passione, professionalità ed esperienza non risparmia sugli ingredienti. Hanno come sempre suscitato particolare interesse anche i vini, i liquori, e l’olio d’oliva di Sardegna che insieme rappresentano uno dei capitoli più importanti della nostra tradizione alimentare, e che hanno un ruolo di primo piano nell’esportazione della cultura enogastronomica sarda, resa unica al mondo dalle certificazioni di qualità e genuinità che periodicamente ricevono. Tale e tanta offerta culturale, allargata alle tradizioni popolari, è stata un ottimo spunto per una promozione turistica non stereotipata e non limitata all’identiIl Sindaco Angelo Crabolu nello stand del Comune di Nule; gli Sbandieratori di Iglesias; Giovanni Floris nello stand Plastwood; un bimbo americano con la famiglia e il presidente dell’Associazione Trapianti Alessandro Ricchi, GianPiero Maccioni: in Italia per il suo trapianto di cuore

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I FĂšrias in concerto a piazzale Ankara

ficazione della nostra Isola solo con le splendide coste. I prodotti tipici possono dunque essere un forte attrattore turistico e creare un binomio perfetto con ciò che maggiormente il mondo ci invidia: le meraviglie che la natura ha regalato alla Sardegna.

Sotto a sinistra: Antonio Maria Masia vice presidente del Gremio, Giovanni Floris e Giorgio Ariu. Nella foto accanto: Gemma Azuni, presidente del Gruppo Misto al Comune di Roma

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VI RACCONTO

L’ISOLA CHE C’È IN NOI

A Giuseppe Sotgiu ci ha parlato di come il Coro Gavino Gabriel ha vissuto l’eperienza di Roma. Per loro, legati fortemente alle tradizioni della cultura sarda, è stata un’occasione per promuovere la passione che hanno per la musica...e per il cibo sardo Per voi era la prima volta a “L’Isola che c’è”, il bilancio è positivo? È stata un’esperienza senz’altro positiva, che ci auguriamo di ripetere in un prossimo futuro. Per noi è un dovere, oltre che un piacere, rappresentare Tempio in giro per la Sardegna, per l’Italia, per il mondo. Parliamo per un attimo di enogastronomia, anche se non è propriamente il vostro settore. Noi siamo un Coro musicale, è vero, ma se abbiamo accettato l’invito di Giorgio Ariu e de “Il Gremio” è perché ci è piaciuto l’intero programma della manifestazione. L’offerta di prodotti tipici sardi era la migliore che si potesse esportare: oli, vini, formaggi, pane carasau, lorighittas, torrone. Tutti genuini e con certificazioni che rendono i nostri prodotti unici al mondo. La nostra passione per il cibo è sconfinata, soprattutto per quello dai connotati forti. Ci parli del Coro, delle attività svolte in quest’ultimo periodo. Tra le più importanti, si è pensato di consolidare il dialogo con la Discoteca di Stato, con la quale è stato instaurato da tempo un rapporto

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Incontro con Giuseppe Sotgiu di Simone Ariu

nche quest’anno Roma ha ospitato l’importante e collaudata manifestazione “L’Isola che c’è - Sardegna incontra Roma”, un’importantissima vetrina promozionale che gli imprenditori della Sardegna hanno sfruttato per far conoscere ai romani e agli oltre trecentomila sardi della capitale i prodotti di nicchia e le bellezze dei nostri territori ancora inesplorati. A tutto ciò si è unita un’offerta culturale diversificata, basata soprattutto sulle tradizioni popolari e allargata a gruppi e artisti sardi rappresentativi della cultura, del canto, del ballo, e della musica popolare sarda. Abbiamo incontrato Giuseppe Sotgiu, Presidente e voce del Coro Gavino Gabriel di Tempio. Entusiasta della riuscita dell’evento romano, ci ha parlato delle sue emozioni e di quelle dei suoi amici del Coro. Oltre a Piero Marras, ai Fùrias e al Gruppo Folk Ittiri-Cannedu, c’era anche il Coro Gavino Gabriel di Tempio… Non potevamo mancare ad una manifestazione che più di tutte esalta le tradizioni culturali ed enogastronomiche della Sardegna. Mi ritengo fortunato a presiedere l’omonima Accademia ed il Coro, è per me motivo di orgoglio e allo stesso tempo di grande responsabilità. Uno spettacolo all’altezza della situazione, molto apprezzato e applaudito dai presenti Il Coro ha presentato il caratteristico modulo del canto a tasgia con i solisti e suonatori di chitarra, proponendo i canti e le musiche di Tempio e della Gallura. La risposta dei presenti è stata ottima, e questa è la soddisfazione più grande per un Coro come il nostro che vive sempre a stretto contatto col pubblico. privilegiato di collaborazione - visti i trascorsi di Gavino Gabriel - che ne è stato ideatore, fondatore e primo direttore. A tale proposito, possiamo annunciare che qualche settimana fa è stato recuperato dall’Accademia il resto mancante dell’Archivio Gabriel: diversi quintali di documenti, compresi i famosi diari personali e l’epistolario di Gabriele D’Annunzio. Una mole di documentazione e di foto importantissimi, di valore culturale e storico inestimabile, che vanno così a completare quanto già in possesso dell’Accademia Gavino Gabriel. Ora, in attesa di risposte positive, non resta che trovare una sede idonea alla collocazione di questi documenti e spartiti inediti affinché tutti ne possano usufruire. Esatto. Infatti stiamo valutando alcune diverse opzioni. Per ora, come detto, attendiamo fiduciosi. L’altra notizia degna di nota è l’imminente esecuzione da parte dell’Ente Lirico Maria Lisa De Carolis di Sassari dell’opera “La Jura”, a cura dello stesso autore. A Roma c’erano tanti politici ed esponen-

ti delle varie istituzioni sarde e romane. Un’occasione per farsi conoscere non solo dal pubblico appassionato di musica e magari instaurare un fitto rapporto di collaborazione con qualcuno di loro. Certamente. La folta schiera di parlamentari e no, ci ha permesso di intavolare importanti discussioni al fine di promuovere il nostro Coro e far conoscere la nostra musica tradizionale sarda. Mi lasci salutare e ringraziare gli organizzatori: Giorgio Ariu, Il Gremio dei Sardi, rappresentato in forze dal Presidente Giovanni Battista Sotgiu e dal suo dinamico Vicepresidente Antonio Masia, nonché da Maria Vittoria Migaleddu, la Fasi con Serafina Mascia, e Gemma Azuni, Presidente del Gruppo Consiliare Misto del Comune di Roma. Con la speranza di ritrovarvi anche l’anno prossimo a “L’Isola che c’è”, vi auguriamo di trascorrere una stagione all’insegna delle tradizioni sarde: cibi sani, posti incantevoli e musiche da sogno.


Ristorante Hibiscus Bisteccheria La Cantina Via Dante 8109045 Quartu Sant’Elena Tel. 070 881373 Cell. 335 1360657


SARDEGNATAVOLA IN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLA BUONA OSPITALITÀ

A Nule

tra pabassinos e casadine

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na scorsa attraverso i tratti distintivi del paese di Nule non sarebbe certo completa se non ci soffermassimo sull’altro settore che le ha conferito notorietà: la produzione agroalimentare. Degna di menzione risulta essere l’amplissima gamma di dolci sardi la cui tradizione è rimasta viva nel corso dei secoli. Tra questi il dolce nulese per eccellenza, i Papassinos Nieddu, dolci unici e inimitabili, conosciuti per la loro ricchezza di gusto e morbidezza. Si presentano scuri per la molteplicità di ingredienti macinati e miscelati fino ad ottenere un impasto semiliquido morbido e omogeneo. Dopo la cottura vengono ricoperti da una glassa di zucchero fondente rendendoli ulteriormente più gustosi. Una peculiarità di questi dolci è quella di risultare duri e croccanti appena sfornati, per ammorbidirsi solo parecchie ore dopo la cottura. Nel passato a prepararli erano soprattutto le nonne, solitamente nel periodo di Tutti i Santi, per regalarli ad amici e parenti. Altrettanto diffuse risultano anche le casadine (o formagelle), dolci preparati con semola di grano duro a forma circolare e ripiene di formaggio fresco acido, buccia di arancia, uova e zucchero oppure con ranchidasa (formaggio fresco acido, sale e prezzemolo). Nella terra dei formaggi pregiati un posto di

grande rilievo non poteva che essere ricoperto, inoltre, dalla produzione di seadas, sfoglie di pasta ripiene di formaggio inacidito (aromatizzato con scorza d’arancia o di limone), poi fritte e degustate col miele. Da ricordare anche le tilicche preparate con il pistiddu, racchiuso dalla pasta preparata con semola di grano duro, strutto e uova e riconoscibili per le loro svariate forme (cuori, cerchi…), così come le orilettas e manganadas, prodotte solitamente in occasione del carnevale, con semola di grano duro, strutto e uova. Si distinguono per la forma in cui vengono realizzate: a treccia le manganadas e a forma di catenella le orillettas. La grande abilità delle donne del paese oltre che sulla scelta degli ingredienti migliori, si rivela anche per la loro capacità di raggiungere notevoli livelli artistici, soprattutto per le particolari forme conferite ai loro prodotti in occasione delle ricorrenze religiose più sentite come Pasqua e Tuttisanti o durante le grandi manifestazioni del Carnevale. Ma più di ogni altro componente a caratterizzare le tavole in questo scorcio della Sardegna è il pane: da sempre per i sardi esso è messaggero di schietta genuinità racchiudendo nelle sue semplici forme l’autentico carattere delle genti. In parecchie case perdura intatta la consuetudine, quasi sacra e tutta femminile, di produrlo nei forni a legna. Un esempio a Nule ci è offerto proprio dal pane carasau, preparato con farina di grano duro e conosciuto anche come carta da musica, che si contraddistingue per la fragranza e la lunga conservazione: dapprima gonfio e poi servito a sfoglie croccanti quasi trasparenti,

che con la variante guttiau racconta di pastori transumanti a sopportare lunghe stagioni di lontananza dalle proprie case. Alla lavorazione della pasta vanno associati anche la produzione di pane speciale e beneaugurante come il pan’e iscadda, donato solitamente in occasione di matrimoni, e gli speciali primi piatti, come i ravioli, fatti pasta fresca ripena di formaggio o ricotta. Accanto al pane e ai formaggi immancabile risulta l’altra prelibatezza tipica delle tavole nulesi, la salsiccia, dalla sua versione più semplice con sale e pepe, a quella aromatizzata con buon vino o semi di fincchio, solitamente preparata insieme a guanciali, derivanti dalla lavorazione sotto sale della regione carnosa delle guance e parte del collo, unitamente ad abbondanti spruzzate di pepe e peperoncino, che gli conferiscono quel sapore intenso e piccante.

Sa pira chi rende bocchi’ sa giocca sottoposta* Pendulinu pendulende pasculinu pasculende rue pendulinu bocchi pasculinu *La pera che cadendo ammazza la lumaca (Pendolino penzoloni, pascolino pascolando cade pendolino ammazza pascolino)


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erci fuori controllo

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olte merci importate senza i necessari controlli sanitari e immesse sul mercato»: interrogazione urgente di Attilio Dedoni (Riformatori) che chiede chiarimenti alla Giunta regionale. Quali controlli svolgono gli organismi regionali sulle merci importate in Sardegna, soprattutto quelle alimentari prima di essere immesse sul mercato? E’ noto agli organismi preposti che molte di queste merci sono spesso prive delle necessarie autorizzazioni e dei controlli sanitari di ingresso? Lo chiede con una interrogazione urgente e richiesta di risposta scritta l’On. Attilio Dedoni, Presidente della Ottava Commissione, al Presidente della Giunta, ed agli Assessori dell’Agricoltura, Andrea Prato, e della Sanità, Antonello Liori. Un fenomeno molto preoccupante, quello denunciato da Dedoni, il quale nella sua interrogazione ricorda come soprattutto le derrate alimentari, oltre che gli animali destinati al macello o per allevamento, abbisognano di controlli sofisticati e certi già prima del loro invio dal paese di origine. Ma in alcuni stati esteri questo non accade. «Si tratta», spiega Dedoni, «di un problema di enorme gravità che va affrontato con la massima attenzione ed urgenza». La Sardegna, infat-

a U

News

Sardegnatavola

ti, a causa delle sue condizioni di insularità soffre già di «diverse problematiche legate a fattori endemici», inoltre, «ha già dovuto subire malattie come Blue Tongue, Scrapia, varie Virosi del Pomodoro e non ultima la Totus Absoluta», parassita che sta distruggendo le piantagioni di pomodoro e l’intero comparto ad esso legato. Come sottolinea Dedoni, «non è quindi il caso di importare ulteriori fattori contaminanti». Nell’interrogazione, Attilio Dedoni chiede pertanto ai responsabili dell’Esecutivo Regionale, quali azioni intendano assumere per dare sicurezza ai consumatori e per contrastare una concorrenza deleteria verso quei comparti agroalimentari che già soffrono di una pesante crisi produttiva e di mercato.

ssociazione Donne al Traguardo

na fantastica opportunità per riscoprire e tutelare i segreti della tradizione gastronomica isolana quella proposta dall’Associazione Donne al Traguardo tramite il Concorso Internazionale di Antica Cucina Sarda. L’evento, che si è tenuto domenica 18 ottobre negli spazi all’aperto della Vetreria di Pirri, si è rivolto a tutti coloro che desideravano cimentarsi ai fornelli riesumando antiche ricette della tradizione sarda. Come di consueto, il concorso è stato suddiviso in due sezioni: la prima, Antichi piatti isolani, riservata ai residenti nell’Isola, è stata vinta dal piatto “gnocchetti sardi al sugo di galetti” di Caterina Onnis di Lunamantrona; la seconda sezione, intitolata Ricette sarde dal Mondo, dedicata ai sardi residenti fuori dalla Sardegna, è stata invece vinta da Andrea Muggiano di Lugano con i suoi calamari ripieni. Ai partecipanti di quest’ultima sezione non è stata richiesta la partecipazione alla serata finale

del Premio (alcune delle proposte provenivano addirittura dal Perù), mentre i concorrenti della prima sono stati invitati a cucinare in diretta le ricette proposte nel corso della manifestazione conclusiva. Le ricette in concorso sono state, infine, pubblicate in un ricettario che è stato presentato al pubblico durante la manifestazione finale, tra le azioni di Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna coordinate dalla Provincia di Cagliari. A indirizzare la scelta sono stati numerosi fattori ma, come ha ricordato anche lo stesso presidente della giuria Sergio Mei, originario di Santadi che oggi vive e lavora a Milano come executive chef, quelle fondamentali sono stati la tipicità e il gusto, oltre la capacità di valorizzare anche gli ingredienti più semplici della nostra terra per produrre piatti di elevata qualità.

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ermo biologico da retribuire

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ono numerose le problematiche che la Regione sta affrontando in relazione al comparto pesca nell’oristanese in vista di un futuro rilancio del settore. Tra le tematiche poste dagli operatori ittici, una posizione prioritaria occupano il pagamento del fermo biologico 2008 e la programmazione per il fermo 2009, cui seguono il risanamento degli stagni, il problema dei cormorani, la questione della taglia dell’aragosta, lo Sfop (Strumento Finanziario di Orientamento della Pesca) e il rinnovo delle concessioni degli stagni. In merito a quest’ultima problematica, l’Assessore dell’Agricoltura Andrea Prato afferma che l’obiettivo principale, è dare occupazione al maggior numero di persone, per evitare che gli stagni diventino grandi latifondi che danno lavoro e da mangiare solo a cinque famiglie. Per quel che, invece, concerne il fermo biologico 2008, sono già state pagate 519 domande per un totale di oltre 2,4 milioni di euro, mentre le restanti richieste verranno soddisfatte a breve. Per quel che riguarda la taglia minima dell’aragosta, si sta attendendo un parere da Bruxelles perché a dover essere rivisto sarà un provvedimento dell’Unione Europea, mentre intorno al tema del ripopolamento verranno create delle sottoaree in ogni marineria, dove i pescatori potranno conferire crostacei di taglia troppo piccola. Un’ultima questione da affrontare è quella relativa alla bottarga, uno dei prodotti cardine del comparto oristanese, per il quale si propone di puntare sulla denominazione di origine per una maggior valorizzazione del prodotto e per poter accedere alle risorse comunitarie per la sua promozione. Importante è che in un momento di grave crisi come quello attuale si rimanga uniti affinché la voce di protesta (e di proposta) non risulti debole nei tavoli nazionali e comunitario.


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lauso della Regione alle aziende agroalimentari

ra presente anche il ministro per le Politiche agricole Luca Zaia, alla consegna dell’Oscar Green 2009, promosso dai giovani della Coldiretti sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, per l’innovazione in agricoltura. A ricevere il premio sono stati “La genuina” di Ploaghe, produttrice di salumi, caprini e ovini preparati secondo le regole halal per i musulmani e kasher per la religione ebraica, e “Il cappero selargino”, che si occupa di produzione e valorizzazione di un’antica varietà locale di cappero. “L’importante riconoscimento a due aziende dell’agroalimentare della Sardegna testimonia ancora una volta le eccellenze del nostro territorio e delle nostre produzioni. Un plauso particolare va a queste e a tutte le imprese capaci di portare il valore della Sardegna non solo in Italia, ma in tutto il mondo”, ha affermato l’assessore regionale dell’Agricoltura, Andrea Prato.

Il medesimo interesse da parte del ministro Zaia verso le aziende isolane è stato confermato anche al Tuttofood di Milano, in occasione del quale alle nostre eccellenze è stata dedicata una particolare attenzione.

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onsorzio Artigiani del Gusto

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on poteva che essere pensata nella forma più gustosa possibile la presentazione del consorzio Artigiani del Gusto “Gusto Sardegna”, l’associazione nata con l’obiettivo di qualificare e tipicizzare la produzione con il confezionamento di prodotti sardi utilizzando materie prime sarde e, ove queste non producibili, materie prime di provenienza italiana certificata. Ed è presso la casa campidanese “S’omu ‘e Nannai” che è avvenuto il pranzo di presentazione che ha visto protagonisti assoluti i prodotti delle loro aziende: dagli antipasti di terra e di mare ai primi di pasta secca e fresca conditi con i sughi tipici, formaggi, salumi e carni sarde accompagnate dal pane carasau e dall’olio biologico, vino rosso e bianco e, per finire, dolci e liquori tipici del territorio.

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enominazione d’Origine per due prodotti agroalimentari

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ono state avviate le procedure per il riconoscimento della denominazione di origine di due prodotti agroalimentari tipici dell’isola: il carciofo spinoso e lo gnocchetto di Sardegna. Il Ministero delle Politiche agricole con l’Assessore dell’Agricoltura Andrea Prato e il capo del Dipartimento delle politiche di sviluppo economico e rurale Giuseppe Nezzo, si sono incontrati in un vertice per fare il punto sullo stato di procedura per la Dop (Denominazione di origine protetta). Dopo le controdeduzioni sottoposte a Bruxelles, utili per l’eventuale autorizzazione della protezione transitoria del Carciofo spinoso, il Ministero si è detto pronto a supportare la Regione nei vari passaggi amministrativi da compiere. Anche per lo gnocchetto, sul quale il dibattito è ancora alle prime fasi, si sta ricercando con l’appoggio del Ministero il percorso più veloce e migliore per raggiungere il riconoscimento: “Sono stati incontri proficui – ha detto l’assessore Prato – perché il Ministero ha ribadito di essere dalla nostra parte per la tutela di due prodotti così

importanti della nostra cultura agroalimentare e che con la denominazione di origine potrebbero contare su un decisivo valore aggiunto”.

Ogni socio ha presentato i propri prodotti agli operatori del settore, direttori commerciali delle principali catene distributive regionali e responsabili acquisti delle strutture alberghiere, di ristorazione e di catering. Non sono mancati, inoltre, anche il direttore ed il presidente della Coldiretti regionale e delle Coldiretti provinciali e altri rappresentanti delle associazioni di categoria, il Consigliere regionale Antonio Pitea e il sindaco di Decimoputzu Gianfranco Sabiucciu, che fortemente hanno sostenuto l’iniziativa sin dal principio. Presente, infine, anche un referente di importanti strutture commerciali nello stato di Veracruz in Nuovo Messico, una delegazione di operatori commerciali giapponesi ed il titolare di una struttura commerciale a Milano, specializzata nella distribuzione di prodotti tipici sardi. Un’inaugurazione che si propone di garantire qualità e trasparenza tali da assicurare al consumatore finale la reale origine e qualità delle materie utilizzate esportandone la fama in tutto il mondo.


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rgiolas sul NYT

il Costamolino, secondo il New York Times, ad aggiudicarsi la prima posizione tra i dieci migliori vini provenienti da Italia, Corsica, Provenza, Liguria e Toscana sia per la qualità che per il rapporto qualità/prezzo. Questo quanto emerso da una degustazione comparata di vini Vermentino effettuata dal giornalista Eric Asimov, titolare della rubrica Dining and Wine, e alcuni esperti dell’enogastronomia della Grande Mela. Tra i vini sardi premiati all’interno di altre due competizioni internazionali ricordiamo anche Is Solinas 2006, il Korem 2006 e il Turriga 2004 incoronati all’International Wine and Spirit Competition e nell’International Wine Challenge. Si prospettano positivi i livelli quantitativi e qualitativi della vendemmia 2009: le quantità attese sono pari al livello dell’anno precedente e nche la qualità si profila più che buona. Nell’ultima settimana di agosto ha avuto avvio la raccolta delle uve precoci, a settembre tocca al Fermentino, Monica e Nuragus, a ottobre Cannonau e i vini da dessert Nasco e Malvasia.

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News

Sardegnatavola

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celta storica del comparto ovino

liminare dal mercato 75 mila quintali di Pecorino romano: questa la decisione del Consiglio di Amministrazione del Consorzio di Tutela del Pecorino per far fronte alla grave crisi del comparto. Le misure d’emergenza in programma, dovute al sensibile decremento delle esportazioni e al raggiungimento di livelli di guardia per il prezzo, prevedono una riduzione del periodo di produzione ai soli mesi da gennaio a luglio (rispetto ai normali 8 mesi da ottobre a luglio). Non solo questa prima misura permetterà una riduzione della produzione di ventimila quintali, ma a questo si aggiungerà l’abbattimento della produzione da gennaio a giugno del 10% rispetto all’anno precedente, e un ammasso volontario di 30 quintali circa, per un totale di settantacinquemila quintali in meno. «Si tratta di una decisone storica con cui il consiglio direttivo sceglie di fare da sé, senza aspettare interventi pubblici – ha spiegato il presidente Toto Meloni –. Siamo coscienti dell’impatto nel comparto e delle varie problematiche che questa scelta creerà, ma a questo punto non è più possibile fare o immaginare altro perché l’amministrazione pubblica, con i suoi ritardi, non è riuscita a mettere in campo l’intervento di ricerca indispensabile per gestire al meglio la produzione del Pecorino romano».

rezzi al consumo a Cagliari

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i è registrata una variazione del -0,5% a Cagliari nell’indice dei prezzi al consumo del mese di settembre, rispetto al +0,7% di agosto. Anche l’indice tendenziale si mostra in controtendenza rispetto al mese precedente: +0,1% a settembre rispetto al -0,1% del mese di agosto. Da rilevare come tra i prodotti alimentari e bevande analcoliche a settembre non si registri alcuna variazione congiunturale, ma le sole significative oscillazioni nel prezzo siano per le voci “frutta fresca” (+1,6%), “patate” (+1,5%) e “pasticceria” (+1%). In diminuzione i prezzi al consumo di “crostacei e molluschi freschi” (-3,9%), “pesce fresco” (-2,6%), “te e infusi”(-2,1%) e “altre carni” (-1,6%). Una variazione congiunturale del +0,1% si registra invece a settembre come nel mese precedente per bevande alcoliche e tabacchi, mentre il tasso tendenziale risulta essere in calo rispetto

al mese di agosto (+2,5% rispetto al +2,6%). Nell’ambito dei servizi ricettivi e di ristorazione il tasso congiunturale rivela invece una variazione del -0,1%, in controtendenza rispetto ad agosto (+1,5%). Il tasso tendenziale si mostra invece in aumento (+2,8% a settembre rispetto al +2,7% di agosto).

Solo grazie a queste iniziative, unitamente all’imminente campagna di promozione negli Stati Uniti, sarà possibile tutelare e gestire tutta la produzione in termini di quantità e di prezzi, davanti ai crescenti attacchi del comparto vaccino, maggiormente sostenuto dalla politica nazionale e comunitaria.

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ine Dating

opo il successo riscosso al Phi beach in Sardegna, approda anche al Lotus di Milano l’appuntamento con il gioco di seduzione più cool del momento, il Wine Dating. Ideato in Francia dal sommelier Olivier Magny, portato in Italia dai fratelli Pasqua dell’omonima azienda vinicola, il Wine Dating è l’occasione ideale per riscoprire l’arte della seduzione attraverso la degustazione del vino. Il gioco è, infatti, condotto proprio da un sommelier che, divisi in coppie i partecipanti, li conduce per un percorso con una sequenza di cinque vini, ciascuno abbinato a uno dei cinque sensi. Ed è così che, per mezzo della degustazione, i partecipanti possono scoprire se esiste un feeling con la persona che gli sta di fronte o quali siano gli aspetti da cui sono maggiormente attratti.


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A TAVOLA CON DUE TRA LE DONNE PIÙ IMPORTANTI DELLA STORIA D

UEI PRANZI DI GRAZIA DELEDDA

e quello con Maria Carta

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a donna che scrive ha con la cucina, da sempre, un rapporto di doppia valenza In quanto donna si scontra con le “domestiche” faccende, quindi impara presto a cucinare per sé e per gli altri (prima per gli altri, poi per sé…) Ma in quanto donna che scrive deve conquistare un suo spazio anche all’interno del codice comportamentale che donnesco non è, bensì squisitamente, all’origine, maschile. Così molte scrittrici hanno vissuto il loro lavoro intellettuale con vistosi sensi di colpa, come tempo “rubato” alle attività riconosciute femminili. Alla cucina, appunto. Tutti ricordiamo le sorelle Brontë, sottomesse ad un padre severo, ministro di fede protestante, costrette a nascondere sotto le bucce di patate, appena pelate, le pagine scritte dei loro capolavori di narrativa. Ed Alba De Cespedes, nel 1952, dà alle stampe un libro, in questo campo, divenuto esemplare, Quaderno proibito, in cui la protagonista Valeria scrive di notte, in cucina, dopo aver riassettato i piatti e messo a letto marito e figli, nascondendo il “quaderno proibit”’ perché convinta di aver trascurato la famiglia. A differenza di Valeria che, alla fine del roman-

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di Neria De Giovanni

zo, brucia il quaderno e ritorna a fare la madre e la nonna a tempo pieno, Grazia Deledda riuscì a coniugare nella sua vita di donna, la cura della famiglia con la sua grande, vera vocazione alla scrittura. Fin da ragazzina Grazia Deledda aveva una certezza, quella di vivere un destino segnato, come la maggioranza dei suoi personaggi. Il destino di Grazia, Grazietta per i familiari, era quello di scrivere, di descrivere la sua Sardegna, il suo popolo così poco conosciuto e troppo spesso giudicato dall’esterno, senza prova d’appello! Infondo anche il giudizio per cui prese il Premio Nobel piuttosto che sottolineare caratteristiche stilistiche della sua opera, ne rimarca l’importante capacità divulgativa intorno agli usi e costumi di una regione certamente affascinante, ma in misura proporzionale alla sua impermeabilità allo sguardo esterno. Insomma, narrare la Sardegna era, per Grazietta, uno scopo di vita cui si preparò giudiziosamente fin da ragazzina. E’ soprattutto attraverso il romanzo autobiografico postumo Cosima che apprendiamo quanto precoce e pulsionale sia stata la passione di Grazia per la scrittura; scopriamo l’avversione e la diffi-

denza del piccolo paese (allora Nuoro contava circa sei mila abitanti) nei confronti di una ragazza che, sfrontatamente, usciva fuori dai canoni comportamentali e dai ruoli affidati a maschi e femmine nella società agro-pastorale, patriarcale, barbaricina. Ma Grazietta non si fa intimorire e mentre in cucina segue i rituali della preparazione del cibo, del ricamo della biancheria, guarda dai vetri verso le bianche cime del monte Ortobene che sovrasta Nuoro, che un altro scrittore nuorese, dopo di lei, Salvatore Satta, descrisse come “nido d’aquila”. E come un’aquila, forte, la scrittura di Grazia si leverà in volo ed avrà il vigore sufficiente per portare a conoscenza degli italiani, al di là del mare, le tradizioni e la vita vera della sua gente. Grazia Deledda portò con sé, come preziosa testimonianza e competenza personale, tutto quel patrimonio di cultura che conferì originalità e spessore alla sua scrittura. Perciò il suo italiano non ha niente dell’affettato, civettuolo e, in definitiva, falso linguaggio letterario dell’Italia liberty; Grazia Deledda resta un ‘unicum’ anche per l’emergere del modello linguistico materno sotto la griglia esterna della lingua nazionale scelta per raggiungere l’obiettivo


IA DI SARDEGNA

Galtellì: la casa delle vacanze di Grazia Deledda

della sua giovinezza. Nella sua narrativa la casa ed in particolare la cucina è il luogo dove si scatenano le tempeste dei sentimenti, si coltivano rancori ed odi, si arriva al pentimento ed alla espiazione. La cucina inoltre è l’unica stanza in cui le rigide divisioni tra i ceti sociali ed i sessi, padroni e servi, maschi e femmine, possono magicamente essere abbattute. In cucina dorme il servo accanto al camino e la padrona prepara il caffè per l’ospite (Canne al vento); in cucina può entrare il bandito in fuga e trovare conforto ed amore tra le braccia dell’expadrona (Marianna Sirca); nel giaciglio allestito in cucina, il vano più caldo della casa nel rigido inverno nuorese, si compie il rito di morte con cui Annesa, ‘figlia d’anima’, uccidendo il vecchio zio Zua, sacrifica la propria giovinezza al rimorso, per salvare il padrone-amante (l’Edera). Attraverso le ricette tratte dai testi più importanti di Grazia Deledda, si può ripercorrere la veritiera tradizione culinaria della gente barbaricina ed insieme capire dall’interno di un elemento antropologicamente e culturalmente femminile, il mondo narrato dalla scrittrice. E’ quello che ho fatto in due miei libri dei nove che ho dedicato al Premio Nobel nuorese: “Il pranzo dell’ospite - La cucina sarda nella narrativa di Grazia Deledda (Maria Pacini Fazzi editore in Lucca, 2000) e “A tavola con Grazia - Cibo e cucina nell’opera di Grazia Deledda (Il leone verde edizioni, Torino, 2008). Gli ingredienti utilizzati dalla cucina deleddiana nei romanzi sardi sono tutti appartenenti all’economia agro-pastorale della società di appartenenza. Oggi la nouvelle cousine è, paradossalmente, la più rigorosa nel ritornare all’antico. Si riscoprono le cosiddette “cucine povere”, le ricette della nonna che, vivendo presumibilmente in tempo di guerra, lontano dalla nostra società

consumistica gonfiata di ormoni, doveva in qualche modo inventarsi ogni giorno piatti diversi, giostrando con tanta fantasia e pochi mezzi, e pochi ingredienti gastronomici. Proprio come le ricette deleddiane che spesso sono presentate all’interno di un rituale comportamentale, di un “galateo” di civiltà purtroppo dimenticato. Che la cucina - e le scene descrittive la preparazione dei cibi - non siano semplici riempitivi ma importanti elementi della narrazione, lo si deduce anche dall’analisi dei cosiddetti romanzi italiani. Infatti su una trentina, circa un terzo dei romanzi sono ambientati nelle città e nelle terre che appartennero alla biografia deleddiana dopo che la scrittrice lasciò l’isola per andare a Roma con suo marito nel 1900. Innanzitutto Roma, la capitale tanto agognata dove, per esempio, Regina, la protagonista di Nostalgie , già nel 1906 affoga la propria solitudine e rimpianto per Viadana, il paese della Bassa dove abitavano i Madesani; poi “La danza” della collana del 1924 , per non citare che i più famosi tutti ambientati a Roma. Palmiro Madesani fu mantenuto agli studi a Roma da un alto militare, funzionario ministeriale, che a Viadana, nella Bassa Padana, aveva una cascina di cui era amministratore il padre di Palmiro. A Viadana, frazione di Cicognara, Grazia Deledda si recò tutti gli anni in autunno dopo le vacanze al mare. I parenti del marito la accolsero con molto affetto ed ancora oggi indicano la finestra della stanza destinata alla scrittrice dalla quale la Deledda vedeva il paesaggio padano, fino all’argine del Po. E in quei luoghi nuovi per lei, tra quella gente semplice la Deledda ambientò alcuni romanzi e novelle. L’anno dopo il premio Nobel usciva Annalena Bilsini . Dietro la potente figura di Annalena si nasconde probabilmente una parente del marito, la cui vitalità e fisicità è ricordata da tutta la famiglia. La polenta, tipico piatto del nord, certamente non sardo, è preparata da Annalena Bilsini con una dovizia di particolari che soltanto una attenta osservatrice, e cuoca, come la Deledda poteva annotare. Infine Cervia: dall’inizio degli anni ’20, dopo Anzio e Viareggio, la Deledda scelse la cittadina romagnola come luogo dove trascorrere la vacanze estive. Grazia amava Cervia e Cervia la amò tanto da dedicarle un monumento e il lungomare, prima città italiana ad onorarla così.

Il paese del vento (1931) è, dopo Cosima, il romanzo maggiormente autobiografico dove tra l’altro la scrittrice descrive come e quando conobbe Palmiro. È ambientato a Cervia, il paese del vento, così come dal vento è frustata l’isola natale. È, inoltre, uno dei pochissimi romanzi in prima persona. In questo romanzo soprattutto la scena finale del banchetto in onore della coppia in viaggio di nozze, dimostra l’importanza strutturale dei luoghi narrativi dedicati al cibo. Infatti la dovizia di portate , l’abbondanza e la varietà delle pietanze, innaffiate da abbondante vino, evidenzia la successiva scena contrastiva della morte, contemporanea e in solitudine del giovane Gabriele, primo sogno d’amore della sposa, nella casa paterna. La Sardegna è terra di grandi donne, Grazia Deledda, appunto, e lontano , con sguardo “di legge “ Eleonora d’Arborea, ma , molto più vicino a noi, l’indimenticabile e indimenticata Maria Carta. Mi piace chiudere queste note con un ricordo personale, che ci lega alla buona tavola… Era Pasqua. Maria si trovava ad Alghero con l’allora piccolo David, suo figlio. Amava la città catalana, ne amava il mare e gli amici. Anche i miei figli allora erano piccoli e sapevo che a Maria faceva piacere stare in famiglia. Le proposi un pranzo nella campagna di mia sorella: io apprezzo molto la buona tavola, ne scrivo pure ma in quanto a cucinare, lascio il compito a mani più esperte. Quelle di mia sorella, appunto e di suo marito che nato a Escalaplano, cucina “alla nuorese”. Così ci fu un vero e proprio banchetto, con ravioli di formaggio, il maialetto cotto allo spiedo, all’aperto, olive e sebadas e formagelle, dolci di Pasqua. Ma soprattutto ci furono le risate e gli occhi splendenti di Maria, il suo schernirsi davanti a richieste di canto (“Qui sono Maria amica non Maria cantante…”). Ricordo anche un particolare che non è molto “culianario” ma che rende indelebile quell’immagine nella mia memoria: sulla tavola ancora apparecchiata e con bricciole di dolci e macchie di vino allegramente traboccato dai bicchieri, ho poggiato il mio (primo) computer portatile, un “primitivo” Zenit, e all’ombra delle querce, mentre gli altri commensali sonnecchiavano, abbiamo lavorato alla revisione delle sue poesie che, pubblicate nella raccolta “Canto rituale” non più in commercio, Maria avrebbe voluto io ripubblicassi con una diversa scelta e con l’aggiunta di nuovi testi. Cara Maria, qualche giorno arrivai con l’auto in via Barbagia, sotto casa tua, per prenderti e portarti a pranzo da me , ad Alghero, (anche quel giorno c’erano i ravioli, oh poca fantasia!). Ricordo che dopo ti accompagnai all’aeroporto perché dovevi prendere l’aereo del pomeriggio per Roma: andavi ad una visita medica di controllo. Non ti avrei più rivisto.

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LA PRO LOCO DI MONSERRATO DA 14 ANNI RIPROPONE LA FESTA DI QUELLA CHE ERA LA PRINCIPALE FONTE ECONOMICA DELLA CITTADINA

Storia di Monserrato La monografia“Storia di Monserrato l’antica villa di Paulis”, autore Serafino Agus, storico monserratino, sarà presentato mercoledì 11 novembre 2009 alle ore 18,30, nella sala convegni di Casa Foddis, in via Giuseppe Zuddas, a Monserrato. Stampato per i tipi Grafica del Parteolla, il volume si compone di 339 pagine, ricco di foto d’epoca, racconta la storia dell’ex frazione di Cagliari dalle sue origini ad oggi attraverso la minuziosa ricerca da diversi archivi e corredata da una ricchissima bibliografia che ne garantisce le fonti di consultazione. La monografia, perfeziona la ricerca di una prima stesura dal titolo “Monserrato, una storia senza storia”, pubblicato alla fine degli anni ’80. Serafino Agus, emerito ordinario di lettere, attualmente docente alla Libera Università del Campidano di Selargius, è anche autore di: • Relazione sulla proposta di istituire un centro regionale sardo di cultura agra ria vitivinicola nella sede dell’Istituto Agrario ‘Duca degli Abruzzi di Cagliari; • Ipotesi di lettura di Grazia Deledda; • Arte e religione a Monserrato; • Del Consiglio di Comunità della villa di Pauli Pirri; • Profilo storico di Usellus; • L’abbazia cistercense di Santa Maria de Paulis.

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e un viticoltore, un qualunque Antoninu Argiolas, Srabadori Massidda o Peppineddu Picciau, morti a metà del secolo scorso dovessero, oggi, visitare Monserrato, sicuramente non riconoscerebbero più quella cittadina che hanno lasciato come frazione di Cagliari, già comune autonomo fino al 1928 per decisione fascista. In poco tempo, Monserrato ha visto mutare l’economia prevalente quale era l’agricoltura, oggi pressoché cancellata nel territorio comunale ma che in piccola parte resiste in aziende di monserratini ubicate fuori dai confini amministrativi. Quello che fino a trent’anni fa si poteva vedere dal vivo, vale a dire carri, trattori, camion carichi di uva da macinare, oggi è riprodotto fedelmente in una sagra, organizzata dalla Pro Loco di Monserrato, che da 14 anni coinvolge tutti, a partire dai bambini delle scuole elementari che aprono la festa con “sa binnenna de is pippius” (la vendemmia dei bambini). Per il monserratino la passione per coltivare l’uva è stata motivo economico di vita che ha cercato di “esportare” non solo nel Campidano, ma in tutta la Sardegna. Tantissime località, ancora oggi prestigiose per la produzione vinicola, hanno imparato dai monserratini l’arte della lavorazione della vite, a cominciare dagli innesti

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dei ceppi “americani” e perciò improduttivi, per poi passare alla delicata operazione della potatura, poi “sa smammadura”, sa zruffuradura per poi arrivare, appena terminata la festa della Madonna di Monserrato, a vendemmiare cominciando dalle uve fini quali moscatello, nasco, malvasia, e vernaccia passando poi alle rosse con monica, bovali, girò e altri, per concludere con le uve bianche dove predominava il Nuragus. Allora, i carri che invadevano Monserrato avevano destinazioni plurime. Molti vinificavano in casa, altri portavano l’uva nei torchi gestiti da grossi commercianti di vino i quali, si facevano pagare per la torchiatura prelevando una percentuale di mosto. Questo, poi, veniva portato nelle abitazioni con botti su carri a cavallo. Era un via vai di carri a cavallo e per noi, bambini, era una festa quando la sera, con la lucerna accesa, arrivava il carro a portare il mosto per il nonno. Un’altra parte consistente di uva veniva portata alla Cantina Sociale, la cooperativa di lavorazione e commercializzazione del vino nata a Monserrato nel 1924, la prima società cooperativa vitivinicola della Sardegna, ritenuta, non a torto, fra le più grandi e importanti d’Europa e certamente fra le prime costituitesi in Italia. A dare impulso a questo progetto economico fu Sante Cettolini che, come


ricorda lo storico Serafino Agus nel libro “Storia di Monserrato l’antica villa di Paulis”, giunse in Sardegna e il primo aprile 1889 aprì quella che poi divenne la “Regia Scuola di Viticoltura e di Enologia”. Una crisi economica all’inizio degli anni ’20, con l’imposizione di ulteriori tasse quali quella del focatico (tassa di famiglia) e quella sul vino, mise in ginocchio l’economia monserratina fra i piccoli e medi proprietari. «Fu l’on. Aroca – si legge nel libro dello storico a far ottenere una temporanea esenzione dal pagamento della tassa

quotidiana per almeno un mese di fatica nelle vigne. Il lavoro cominciava prima dell’alba per terminare il tardo pomeriggio. La ricreazione era detta “su smurzu”, cioè un pasto fugace a base di pane, formaggio, uva e vino. Agli studenti il proprietario forniva la poca attrezzatura necessaria per la vendemmia che consisteva nelle forbici da potare (negli ultimi anni qualche ragazzo cagliaritano si presentava con il trinciapollo preso in prestito dalla madre) e il cercine, in sardo “su tidili” che altro non era che una ciambella di panno

vendemmia che non c’è più si festeggia con i riti di allora di Paolo Trudu

sul vino, applicata ai compratori anziché ai venditori. Le proposte di un convegno sulla crisi del vino - prosegue Agus - tenutosi nel Circolo Sant’Ambrogio nel 1921, alla presenza di alcuni deputati del PPI, ebbero attuazione giuridica tre anni dopo allorché, per l’impulso dato da Sante Cettolini, fu fondata la Cantina Sociale». Oggi la Cantina Sociale di Monserrato lavora quasi esclusivamente uve provenienti da vigneti di Monsatir, Ussana, Barrali, conferite nel centro di Ussana, lasciando a Monserrato la direzione amministrativa, tecnica, imbottigliamento e due punti vendita di vino sfuso a Monserrato e a Cagliari in viale La Plaja. Negli anni scorsi, la Cantina sociale ha chiuso i centri di raccolta di Capoterra, e più recentemente, quello di Sestu che, per tutti gli anni ’80 ha contribuito, in maniera massiccia, a riempire i grandi e imponenti tini di via Giulio Cesare. La tradizione vitivinicola di Monserrato, (verbali consiliari sono riferibili fin dal ‘700 e, come scrive ancora Serafino Agus nel già citato libro sulla storia di Monserrato, «nel 1500 certe garanzia contrattuali furono avallate da botti di vino» e ancora «nel 1600 gli atti parrocchiani parlano di censi sicuri, garantiti da case di abitazione, ma anche da fondi rustici, specie vigne che assiepavano il paese»), ha consentito che in paese sorgesse anche una importante distilleria. Nel 1895, infatti, Francesco Larco impiantò una distilleria a vapore fra le più importanti della Sardegna e affidò al pittore Filippo Figari la realizzazione di un manifesto pubblicitario. Leggiamo nel libro storico di Serafino Agus come, nel primo dopoguerra lo stabilimento fu acquistato da Carlo Bassolillo la cui attività, nel 1954, venne portata avanti dal figlio Luigi. Ma se Monserrato da 14 anni, grazie all’iniziativa della Pro Loco, ripropone Sa fest’e sa binnenna, fino a pochi decenni fa sa binnenna era davvero una festa. Una moltitudine di studenti superiori e universitari transitavano per Monserrato in cerca di vendemmia per pagarsi gli studi. Il punto di raccolta era il Bar Centrale, luogo di incontro pomeridiano per i proprietari, piccoli e grandi, i quali trattavano la paga

morbido, legata con spago o cucita, necessaria per attutire la pesante corba in metallo “sa crobi” che, posta sulla testa, era utilizzata per trasferire l’uva dai filari fino al mezzo di trasporto. Negli ultimi anni, sa crobi in metalli andò in pensione e lasciò il posto ai contenitori di plastica che venivano trasportati sulla spalla. I giovani che non trovavano subito vendemmia non si perdevano d’animo e ogni mattina, prima dell’alba, si recavano all’altezza del già nominato Bar Centrale, lungo la via del Redentore e speravano di rimpiazzare qualche “collega” che la mattina avesse mancato l’appuntamento con la squadra dei vendemmiatori. La fine della vendemmia era caratterizzata dal pranzo offerto dal proprietario a base di pasta, carne, pesce, verdura e, naturalmente molto vino. Caduta nell’oblio, la vendemmia torna ad essere festa attraverso la sagra che la Pro Loco dal 1996 ripropone nelle sue caratterizzazioni principali, quali la pigiatura a piedi nudi o con una pigiatrice manuale e la torchiatura. Impossibile, per Monserrato recuperare questa tradizione economica, ma l’impegno dell’associazione turistica, con l’infaticabile presidente Mario Sini, è certamente occasione per recuperare una parte importante della nostra identità culturale che, necessariamente e idealmente, prosegue, non solo con la mescita di vino che ancora qualche viticoltore vende nella propria abitazione, ma che propone anche una vasta varietà di dolci. Alla vendemmia, ad esempio, era legata la produzione della sapa il mosto cotto e concentrato, ingrediente primario per produrre su “su pan’e saba”, un dolce preparato a novembre “po tottu is santus”. Oggi è difficile trovare chi, ancora, conosce la ricetta e i vari passaggi per preparare su pan’e saba, sostituito dal più facile panettone di sapa che non necessita di forno a legna e “sramentu”, cioè fascine provenienti della potatura delle vigne che, per provvista annuale venivano accatastate in “s’imbragu”. Monserrato organizzava anche la fiera del dolce, e la più importante e più partecipata, era organizzata dalle donne in coincidenza con la festa della Madonna di Monserrato dell’8 settembre.

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A QUARTUCCIU PER RILANCIARE IL SABATO DEL VILLAGGIO

casu, sartizzu Pani, e binu a rasu a cura di Jacopo Pesce e Ilaria Etzi

uale emozione indescrivibile passeggiare tra i gazebo de is maistus de s’arti mentre procedono alla dimostrazione pratica della loro manualità nella lavorazione del legno, dell’argilla, della ceramica, della pasta e dei dolci tipici della tradizione sarda. Osservare quelle mani sapienti all’opera segnate dall’esperienza di una vita, in possesso di segreti e di una conoscenza antica tramandata di padre in figlio, di generazione in generazione; sembra quasi di fare un salto nel passato, alle società delle arti del Medioevo, per le quali ogni Arte era un mondo a sé, fatto di propri riti e una propria filosofia, e dove ogni Arte rappresentava per il proprio maestro-artigiano il compendio della conoscenza e della natura. Nonostante i finanziamenti esigui a disposizione, la forza della tradizione e la volontà di organizzatori e partecipanti, hanno portato, infatti, Il Sabato del Villaggio alla sua dodicesima edizione. Il Sabato del Villaggio nasce nel 1998 dal volere della Pro Loco di Quartucciu e dell’Assessorato all’Agricoltura, all’Artigianato e alla Cultura per mostrare e far conoscere ai cittadini di Quartucciu la maestria degli artigiani locali e regionali. I gazebo sono disposti su tre lati, di cui due paralleli e uno ad unirli: sul lato destro il percorso inizia con le sedie e le sculture sul legno, per continuare con i taglieri degli artigiani di Guspini incisi a mano con una penna dalla punta di fuoco, usata per imprimere sul legno disegni tipici della Sardegna, come i costumi

sardi, e i detti più o meno conosciuti dell’isola. Non potevano mancare i tipici cestini sardi e di seguito i bracciali e le collane realizzati con pietre colorate, i gioielli di corallo, di conchiglie. Sono presenti anche i ceramisti di Assemini, con le loro sculture uniche, realizzate e decorate a mano secondo il gusto degli artisti. Troviamo poi i dipinti su tegole, mattonelle e piatti da portata realizzati esclusivamente a mano, come realizzati a mano sono gli strumenti musicali tra cui triangoli e sulittusu e le riproduzioni miniaturizzate di attrezzi tipici della tradizione sarda, come il carretto e la tracca di Sant’Efisio, le botti e altri macchinari per la realizzazione del vino. Un passo più avanti è possibile degustare i dolci e il pane di Settimo. Nella parte centrale, infine, tre stand particolarmente significativi: in uno L’associazione Quarto Josso di Quartucciu con i suoi artigiani, che si occupano di realizzare e insegnare l’intaglio della cassa sarda in legno, della lavorazione della ceramica e di riproduzioni in terracotta dei reperti ritrovati nell’antica necropoli di Pill’e Matta, località facente parte del territorio di Quartucciu particolarmente ricca di oggetti risalenti all’età nuragica in Sardegna. Il nome dell’associazione, infatti, non è casuale, perché Quarto Josso è il primo nome di Quartucciu, a sottolineare il loro impegno nel preservare tecniche e manufatti antichi e del paese stesso. Ancora oltre, lo stand della Pro Loco con il Presidente e le signore intente a “cumbidai” gli ospiti della festa con “pani, casu, sattizzu e binu a rasu” e per finire anche i dolcetti. Le signore portavano un abito tipico da lavoro, abbellito

da spille e gioielli sardi, in quanto si preparavano per fare il pane e avevano già fatto i dolci e is coccoisi di semola, accuratamente esposti all’interno di un paio di teche. «In un mondo in cui il tempo scorre ineluttabile e la società cambia adattandosi ai ritmi frenetici del presente, dove tutto è, ed è, per il consumo e le nuove generazioni dimenticano rapidamente le loro origini e la loro identità culturale, noi siamo qui per mostrare a tutti che la nostra tradizione è ancora forte e salda e che l’efficienza della tecnologia non potrà mai superare la finezza della mano». Sembra essere questo il messaggio che i maestri artigiani hanno voluto dare al pubblico in questa manifestazione culturale in cui davvero la creatività non ha limite, in cui colori e profumi ammaliano il visitatore che assapora con tutto il suo essere questi rari sprazzi di vita del passato. E spicca, così, tra il patrimonio della nostra isola, la gastronomia sarda, semplice e austera, capace di affiancare ai sapori tipici del mare i gusti e i forti aromi delle essenze mediterranee della sua flora. Protagonista di questa processione di sapori è il tipico zafferano rosso di San Gavino Monreale, vero oro di Sardegna, la cui qualità detiene il primato a livello nazionale, figlio di un terreno naturalmente predisposto a partorire simili gioielli. Pochi metri accanto veniamo attirati dalla varietà meravigliosa dei dolci artistici di Quartucciu della Pro loco e della Pasticceria degli Antichi Sapori di Luisa Milia. Dalla pasta ai dolci: culurgiones, malloreddus, coccoetti, piricchittus de bentu, su pani’e sa sposa, pistoccheddus, pane carasau e tanti altri. Un evento che ha riscosso grande successo, dunque, per il quale esprime grande soddisfazione la Presidente Anna Loi che inaugura così le due giornate: «Attraverso queste tradizioni noi possiamo conoscere il nostro passato e la nostra identità. La cultura deve appartenere a tutti: conoscere le proprie tradizioni vuol dire conoscere le radici della vita. È uno scambio produttivo che non ha colore, né politico né di pelle né sociale. È un sapere indispensabile per conoscere noi stessi e poterci confrontare con gli altri. Noi continueremo sempre a portare avanti le nostre tradizioni e così spero le istituzioni a cui mi appello sempre affinchè perseverino in queste iniziative».


H

a riscosso un grande successo il gemellaggio tra Fordongianus Italia, Oristano e Samoëns Francia, Alta Savoia. E’ il comune interesse per la scultura su pietra a far nascere l’unione tra i due comuni che organizzano regolarmente un Simposio dedicato a quest’arte. L’idea del gemellaggio è stata subito sposata dai due sindaci, Efisio Demartis di Fordongianus e Jean Jacques Grandcollot di Samoëns, in quanto vista come il primo passo di un’amicizia proficua, lunga e duratura, di uno scambio internazionale di idee, proposte e aiuto reciproco. Accoglienza calorosa a Fordongianus per una delegazione di un centinaio di francesi che hanno scoperto il patrimonio storico e culturale di Fordongianus e hanno assistito all’inaugurazione del Centro Culturale dedicato alla loro cittadina francese. Particolarmente apprezzata poi la cucina sarda a base di malloreddusu alla campidanese, lorighittas, maialetto allo spiedo, pecora bollita e tra i dolci non potevano certo mancare gueffus, petitfours e amaretti. Le giornate degli amici francesi

sono state allietate dalle esibizioni di gruppi musicali e folcloristici del Barigadu. Gli abitanti di Samoëns, dopo la superba accoglienza ricevuta in Sardegna hanno risposto con altrettanto calore e sentimento verso gli amici isolani. Per celebrare questo gemellaggio gli amici francesi hanno allestito, in modo permanente, la rotatoria della via principale con la bandiera dei quattro mori, e hanno dedicato la piazza centrale a Fordongianus e ai suoi abitanti. In occasione reciproche visite, gli ospiti sono stati accolti direttamente dalle famiglie del luogo, in questo modo si sono creati dei rapporti immediati e diretti fra le due popolazioni, le differenze linguistiche non hanno in alcun modo ostacolato la nascita di nuove e cordiali amicizie. Simboli di questo gemellaggio sono la quercia albero forte e resistente e il tiglio noto per la sua longevità, caratteristiche che il sindaco Efisio Demartis vede in questo gemellaggio. Per il primo cittadino del comune dell’oristanese infatti la valorizzazione e la promozione del territorio sardo in Europa è vero motivo di soddisfazione dopo circa 40 anni di vita dedicata alla politica.

Egli stesso afferma durante la cerimonia del gemellaggio: “Oggi posso dire di essere arrivato al pieno raggiungimento dei miei obiettivi, adoperarmi sempre al massimo per la popolazione fordongianese lasciandole tutte le buone realizzazione dell’amministrazione inserite in un valido e fruttuoso contesto europeo”. Dopo questi primi ma importantissimi passi delle amministrazioni e arrivati al pieno coinvolgimento dei cittadini, spetta ora anche questi mantenere i sinceri rapporti già avviati. Si spera che questa bellissima esperienza sia da esempio anche ad altre realtà, due paesi distanti l’uno dall’altro più di mille e cento chilometri in pochi giorni si sono scoperti più simili di quanto si potesse inizialmente pensare.

AFordongianus OSPITALITÀ SARDA E GEMELLAGGIO CON L’ALTA SAVOIA

tra maialetti e gueffus di Giuseppa Pianu


C’era una volta la noblesse! L’argomento può essere giudicato frivolo o vuoto di contenuti, ma se qualcuno decide di dedicargli un semplice cenno o un approfondimento, non saremo certamente noi a tirarci indietro. Anzi, come nostro solito, forniremo tali e tanti di quei pretesti volti a determinare elementi di discussione, poiché il discutere e il dibattere è proprio delle genti civili e dei dettami della democrazia. A prescindere dall’importanza o meno dell’argomento, in questo caso vengono offerte a tutti la possibilità e l’opportunità di mettere a nudo vizi, pregi e virtù di una comunità che sembra aver smarrito per strada le proprie radici, la propria identità, la propria autoironia, la propria tempieseria. Paglia, non sei più un tabù. Se ci sei batti un colpo. Se poi la paglia viene considerata nel senso di “orgoglio”, beh, allora sarà necessario che di colpi ne batta parecchi. Purtroppo, a Tempio, oltre alla crisi economica e a quella più variegata che attanaglia l’Italia e il mondo, c’è anche quella della paglia e “chista pal noi è una disgrazia manna” (questa per noi è una disgrazia grande). Dire paglia vuol dire tante cose e non vuol dire niente. Vi sono a Tempio

proverbi, modi di dire e curiosità sul tema che potrebbero interessare gli studiosi del passato da riempirne pagine intere. Sapevate che la Via Lattea in tempiese si chiama “Lu caminu di la paddha”? (La strada della paglia).

Timpiesu paddosu* Tempiu padda*

** Tempiese presuntuoso, Tempio Paglia Equivalgono ad uno scontato modo di dire di parecchi “paesani” di altri centri vicini, dimentichi il più delle volte dei loro “pseudonimi” o meglio ancora dei loro appellativi e della risposta altrettanto caustica che in genere veniva sibillinamente e ironicamente suggerita: Chici (in Tempiu) no c’è paddha pa l’asini (Qui a Tempio non c’è paglia per asini). Ma era una risposta data solo agli intenditori, gli altri non potevano capirla ed erano ovviamente autorizzati a non capire. In genere sono frasi dette per ferire e per offendere, raramente per sorriderci sopra appunto con una certa ironia. Ed è pur vero che i tempiesi, nell’arco dei secoli, apostrofavano questi altri con altrettanta reciproca ferocia. Detto comportamento, oltre che dalle scuole di pensiero dell’epoca era dettato anche da una specie di frustrazione che parecchi nutrivano nei confronti di Tempio e degli stessi tempiesi. Fortunatamente, sia a Tempio che negli altri centri, vi era e vi è tuttora la stragrande maggioranza delle persone che a

questi modi di dire non presta alcuna attenzione, appartenendo alla classe delle persone intelligenti, più colte o più responsabili; senza contare poi l’influenza degli insegnamenti religiosi, scolastici e pedagogici che tutti si presume abbiano ricevuto. L’argomento viene affrontato anche dal De Rosas nel suo interessante libro “Tradizioni popolari di Gallura” (Tempio - La Maddalena 1899) al capitolo: carattere morale dei galluresi, paese per paese, per rendersi conto che la questione, soprattutto nei secoli passati, era abbastanza sentita e praticata. Paddha vuol dire paglia in tutte le sue varianti, fieno secco eccetera. Però, nel linguaggio comune volto all’offesa, voleva e vuol dire: vuoto, vacuo, vanaglorioso, vanitoso, vanesio e chi più “v” ha più ne mette. Storicamente, invece, gli si può attribuire tutta una serie di significati abbastanza diversi. Per parecchi tempiesi la paddha non era altro che la consapevolezza di avere nella società dell’epoca una collocazione di primaria importanza, sia nella vita sociale, nella vita economica, nella vita ecclesiastica, nella vita politica, nella vita militare, in quella amministrativa, scolastica, culturale, per finire in quella artistica. Ecco giustificato il motivo dell’orgoglio di essere tempiesi o cittadini tempiesi. Se poi questo orgoglio, da parte di taluni è stato mortificato o male utilizzato, vedi scopi e interessi personali, prevaricazioni, umiliazioni verso terzi, offese e quant’altro, chi ne ha abusato è giusto che sia

TRADIZIONI POPOLARI IN GALLURA

A PADDHA TIM

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stato, o sia ancora, messo alla berlina. Bisogna considerare che a Tempio già nel ‘300 e nel ‘400 vi erano dei rioni composti da parecchie case in muratura e a più piani; che i tempiesi hanno dettato certi ritmi di vita in Sardegna per diversi secoli; hanno avuto una classe composta da religiosi e prelati, personaggi e medici di corte e uomini d’arme; che i tempiesi erano dei grandi proprietari terrieri e di bestiame e sappiamo tutti che parte di loro ebbe i benefici del cavalierato proprio per questo motivo; che i tempiesi, per salvaguardare i loro interessi locali, applicavano il “maso chiuso”; che hanno dato conti e marchesi fino ad esprimere addirittura un vicerè; che dal 1836, per regio decreto, erano diventati “cittadini”; che possedevano oltre 500 vigne; che hanno espresso uomini di ingegno e di cultura: artisti, pittori, poeti, musicisti, pensatori, uomini probi, imprenditori, inventori e valenti artigiani. (E abà?) (E adesso?) Ce la faremo a recuperare? Ecco giustificata la paddha, quella “doc”: quella paglia d’autore a noi tanto cara, mentre l’altra la lasciamo volentieri agli ignoranti e agli “accuditi” (arrivati da fuori che non riescono ad integrarsi e denigrano pure) scorretti. Noi non vogliamo aggiungere né togliere alla storia e alla fantasia; ci limitiamo solo a qualche considerazione senza per questo voler sollevare polemiche o rivangare sopiti rancori. È risaputo che anche dalle altre parti e negli altri paesi celiavano e rinfacciavano

e anche a Tempio sono noti i “vezzeggiativi” dianzi nominati. Ma sono luoghi comuni, a volte espressi senza riflettere. E per questo motivo, a volte per un singolo personaggio, tutto un paese o tutta una comunità venivano accomunati in un’unica situazione facendo di ogni erba un fascio. La scuola, i giornali, l’avvento della televisione e della globalizzazione hanno parificato l’informazione e pianificato la cultura in senso lato. L’arrivo in tempo reale della comunicazione e delle notizie ha permesso un livellamento sociale giusto e altrettanto democratico. Sta a noi e ai singoli cogliere i lati positivi di quanto ci circonda o spesso ci viene propinato. I commercianti locali e le relative associazioni di categoria, supportati dalla Pro Loco e dai “fidali” del comitato dei festeggiamenti patronali, hanno organizzato a tale proposito uno dei vari eventi compresi nel loro nutrito calendario proponendo una manifestazione diversa, abbastanza simpatica e carica di autoironia, intitolata appunto: “La Festa della Paddha” con annessi: rodeo casalingo, stand enogastronomici e punti di degustazione allietati da musiche e canti. La presentazione è avvenuta presso l’ufficio Turistico alla presenza delle autorità e di stampa e Tv, illustrata con lo spirito e la simpatia che li contraddistinguono dai portavoce responsabili Graziella Maisto e Gian Mario Azzena. Questa è soltanto una delle impegnative manifestazioni che i commercianti locali

MPIESA

hanno inteso realizzare, anche in risposta alla “gufata” di qualche linguaccia, con l’intento preciso di rivitalizzare e dare visibilità e ossigeno ad un settore che presenta diversi problemi di sopravvivenza. Facendo un bilancio della serata, nessuno avrebbe ipotizzato tanto successo. Mai vista tanta gente per le strade di Tempio all’infuori della domenica di carnevale: una fiumana. Ogni piazza, ogni angolo erano impegnati con bancarelle ed esposizioni. Tutti i negozi hanno approfittato dell’occasione per esporre le loro merci e venderle con grossi sconti. Sono stati affari per tutti. Tavolate e bancate hanno ospitato parecchie centinaia di forestieri che hanno particolarmente apprezzato la cucina e gli arrosti locali. Cinque enormi barbecue maneggiati da gente esperta del comitato della “classe” hanno retto bene l’urto della richiesta disimpegnandosi egregiamente. Bar, alberghi, ristoratori e pizzerie hanno registrato il pienone come non succedeva da tempo. Una menzione particolare a Paolo Sanna, il re delle frittelle lunghe, che con abilità e maestria durante tutta la serata ne ha spadellato diversi quintali. È il caso di dire che l’impegno e la fatica questa volta sono stati ampiamente ricompensati. Complimenti, ma a patto che non sia un fuoco … di paglia!

di Giuseppe Sotgiu

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U

N RITO CHE SA D

SU FILINDEU è un’antica pasta barba-

ricina, che si realizza esclusivamente a mano. Sono pochissime le artigiane che lo producono. Fra tutte vi è Paola Abraini, nuorese, protagonista del documentario, che ha ereditato l’arte da sua suocera. Da trent’anni Paola prepara questa splendida pasta che può essere degustata due volte l’anno, sotto forma di minestra: “Su filindeu”, appunto, offerta ai pellegrini durante la festa campestre di S. Francesco Lula, come piatto rituale ed augurale. Proprio per la rarità dell’argomento trattato, questo documentario è quello che fra tutti colpisce di più. La traduzione del termine Su filindeu, è FILI DI DIO, in quanto il suo originale aspetto, è para-

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di Pj Gambioli

gonabile ad una fitta ragnatela di pasta, che viene tesa e tirata più volte fino a farle assumere la forma di un’insieme di sottilissimi fili. I fili realizzati con pasta di semola di grano duro, vengono deposti su dei pannelli circolari, e al termine del lavoro formano un originale reticolato che dovrà essiccarsi al sole per il raggiungimento di una consistenza adatta alla conservazione. Vengono infine tagliati a tocchetti, e cucinati in brodo di pecora e formaggio fresco. Una minestra dal gusto esaltante!

SU PANE CARASAU è un pane

tipico dei paesi dell’entroterra sardo. La sua lavorazione tradizionale ha qualcosa di magico. Le donne benedicono la pasta ed iniziano a lavorarla, trasformandola in palline grandi quanto il palmo delle loro mani. Vengono poi stese con l’ausilio di un mattarello, fino a trasformarle in sfoglie. Nel frattempo il forno a legna ha raggiunto la temperatura ideale. Le sfoglie vengono poste dentro il forno, e con il calore levitano trasformandosi in giganteschi palloni candidi. Questi vengono aperti con delle forbici o dei coltelli. A quel punto si ottengono due sfoglie di “pane lentu”, morbido, fragrante, saporito.


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LA PREPARAZIONE RIGOROSA DI TRE PRODOTTI TIPICI SU FILINDEU, SU PANE CARASAU, SU CASU ECCO LA DESCRIZIONE DI CHI HA FILMATO QUESTI MOMENTI

DI RELIGIOSITÀ

Questo pane, viene infornato una seconda volta per essere tostato, trasformato quindi in Pane Carasau. Può essere degustato per accompagnare altri piatti, oppure condito con dell’olio extravergine d’oliva e un po’ di sale secondo la ricetta de “su pane guttiau”, oppure degustato come piatto unico cucinato con brodo di pecora, sugo, e uova “pane frattau”. Il pane carasau ha una caratteristica molto importante, mantiene la conservazione e la fragranza per lunghissimi periodi di tempo. Per questa ragione era un pane adatto alla vita dei pastori, che dovevano assentarsi da casa per lunghi periodi di tempo, specie durante la transumanza

del bestiame e l’attività impegnativa negli ovili di montagna.

SU CASU, in particolare il pecorino,

è uno dei miei piatti preferiti. Il pastore si reca molto presto a mungere le pecore, il latte candido viene trasportato dentro contenitori di latta (sa lamitta) e poi versato nell’apposito recipiente (su lapiolu). A fuoco vivo, il latte raggiungerà la giusta temperatura. Aggiungendo il caglio, il latte inizierà a raddensarsi, fino ad ottenere una certa consistenza. Il pastore lo lavorerà con le mani, dandogli forma. Sarà pressato e sgocciolato, riposto negli appositi recipienti forati, che

consentiranno a questa candida pasta fresca, di trasformarsi in cilindri di vario peso e misura. In seguito sarà sottoposta alla fase della salatura e della stagionatura. Nel documentario, il pastore di Nule ci mostrerà anche come si realizza la ricotta e la panna. Sembra superfluo dirvi come l’esaltazione del gusto nasca proprio attraverso la procedura artigianale di una delle arti più antiche e rappresentative della Sardegna.

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SARDEGNATAVOLA E I PRODOTTI DI ECCELLENZA

Malloreddus

cun bagna de petza di Marco Porcu

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el recente passato “is malloreddus” - che nell’etimologia della lingua sarda viene da “malloru”: toro, torello, per la forma data alla pasta - si facevano in tutte le case delle famiglie dei contadini. Parliamo degli ormai planetari gnocchetti, una volta orgoglio e vanto delle massaie che, per farli, dedicavano qualche giornata dei 365 giorni dell’anno, vuoi che fossero destinati al consumo familiare, o che finissero alla vendita, preparati su ordinazione dalle famiglie “borghesi” che vivevano in città. Ora è un formato di pasta di produzione industriale, incluso tra cento e passa varietà, distribuito e presente nei market di tutto il mondo, talvolta confondendo “is ciciones” (gnocchetti di fattura sassarese), con quelli tradizionali e unici campidanesi. Si preparano mettendo nell’acqua tiepida un po’ di sale e qualche filo di zafferano, si fa sciogliere il tutto, poi si aggiungono 400 grammi di farina di grano duro, si impasta per benino, poi

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Le origini, le usanze e il metodo di preparazione della pasta sarda famosa in tutto il mondo

si lascia riposare per una trentina di minuti. Dalla pasta ottenuta, si predispongono dei cordoncini sottili che, tagliati a pezzettini di circa mezzo centimetro, si schiacciano e si trascinano con il pollice su una tavoletta rigata che si incastra al bordo del tavolo. Vengono messi ad asciugare in “canisteddus cun poddini grussu” (cestini bassi di asfodelo con sul fondo crusca grossa) per non arricciarsi tra loro, sino a seccarsi.

Ingredienti per 6 persone 500 gr. di malloreddus (gnocchetti) 70 gr. di strutto 120 gr. di cipolla 5 gr. d’aglio 300 gr. di polpa di carne di maiale 15 gr. di concentrato di pomodoro 150 ml. di brodo di carne 10 gr. di basilico 100 gr. di formaggio pecorino romano stagionato grattugiato 4 pomodori secchi 1 bicchiere di vino vernaccia Zafferano Sale Preparazione Soffriggere, nello strutto fuso, la carne di maiale tagliata a tocchetti, l’aglio e la cipolla tritata e, a fine doratura, aggiungere un bicchiere di vino vernaccia facendolo evaporare. Versare quindi nel tegame i pomodori secchi, il concentrato di pomodoro, un mestolo di brodo di carne, lo zafferano e il basilico. Fare condensare il sugo a fuoco lentissimo. Condire is malloreddus, cotti al dente, con il sugo e spolverarli con una generosa manciata di formaggio pecorino sardo grattugiato. Questo cibo si sposa bene con un Cannonau giovane.


L’usanza campidanese li vuole affogati in una salsa di pomodoro con l’aggiunta di salsicce passate in casseruola e l’immancabile formaggio pecorino grattugiato. Il vino che sposa questo mangiare è un rosato o un rosso di medio corpo. *Con salsiccia

Si prepara una salsa di pomodoro, si aggiunge olio extra vergine d’oliva, sale, basilico. Si uniscono i gnocchetti con una generosa spolverata di formaggio pecorino grattugiato. Oppure cotti nel brodo di pecora e conditi con il solo formaggio pecorino grattugiato, come si usa fare in Planargia.

Da “guisado” termine di origine iberica, sardizzato in “ghisau”, ricetta ereditata dagli aragonesi nel triste periodo del loro dominio nell’Isola. È un condimento che si prepara utilizzando almeno tre tipi di carne: di agnello, vitello e maiale. Separatamente, ogni varietà, finisce rosolata in casseruola, poi si riuniscono in un solo recipiente, aggiungendo il passato del pomodoro, olio extra vergine d’oliva, sale, zucchero, prezzemolo e basilico, e a discrezione, una cipolla tritata.

Ingredienti 400 gr. di malloreddus 150 gr. di uova di ricci di mare 4 cucchiai di olio d’oliva 1 nocetta di burro 1 spicchio d’aglio tritato Un po’ di prezzemolo tritato

Chi decide di mettere qualche filo di zafferano, deve eliminare ogni altro ingrediente, tranne l’olio, il sale e lo zucchero. È una salsa straordinaria, molto saporita, anche da servire a tavola come portata di secondo piatto. L’esecuzione di questo mangiare, nella gestualità di chi cucina, è certamente materia che coinvolge la semiologia, per l’ancestralità del procedimento liturgico e scaramantico.

Preparazione Fate soffriggere leggermente l’aglio con il burro e l’olio. Fate cuocere i malloreddus in abbondante acqua salata, scolateli al dente e versateli nell’olio caldo. Levate dal fuoco, aggiungete le uova di riccio e il prezzemolo, infine mischiate bene e servite

*Una salsa rossa con tre diverse carni

*Con ricci di mare


Ardauli

A SCUOLA DI TRADIZIONI POPOLARI

di panificazione e di cucina locale organizzato dalla scuola. Un’iniziativa, quella dell’Istituto Comprensivo, attraverso la quale alcuni piatti “storici” ardaulesi, come sos culurzones de patata cun nebidedda e s’ortau, hanno ricevuto il riconoscimento ufficiale di “piatti tipici ed esclusivi” della tradizione di Ardauli, rilasciato dall’Accademia Nazionale della Cucina Italiana, sezione di Oristano, guidata dalla delegata provinciale Bruna Paola Manca, che ha provveduto a far certificare, con rogito redatto dal notaio Pierluisa Cabiddu, che «… i culurzones de patata e nebidedda e s’ortau di Ardauli sono piatti tipici del medesimo paese, non riscontrabili in altre località della Sardegna, a testimonianza della tradizione gastronomica locale, come fattore di cultura e civiltà». Copia dell’importante e significativo atto, è stata depositata anche presso la Presidenza della Provincia di Oristano, la Camera di Commercio di Oristano e il Comune di Ardauli. Un’iniziativa, quella messa in cantiere dal dirigente Nicola Cirillo, egregiamente coadiuvato da Mario di Rubbo e da tutto il personale amministrativo e tecnico dell’Istituto, che molti hanno auspicato non rimanga un fatto isolato per l’enorme successo conseguito.

che ama i culurzones de patata

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li adulti di Ardauli sono tornati a scuola per riprendere la propria formazione, in quanto questa non può essere soltanto appannaggio dei ragazzi ma lo deve essere anche dei genitori e dei nonni. Tutti si sono appassionati ai saperi di una volta, che sono stati poi fatti rivivere, arricchendoli dell’esperienza maturata nel tempo. L’idea di realizzare il corso di panificazione e preparazione di alcuni piatti tipici di Ardauli è nata dall’esigenza di fare incontrare adulti e giovani, per favorire così un dialogo finalizzato alla conservazione dei saperi legati all’arte culinaria locale, un patrimonio sedimentato nel tempo e arricchito di generazione in generazione. Il corso è stato organizzato dall’Istituto Comprensivo di Ardauli con la collaborazione del Centro Territoriale Permanente per l’Istruzione degli Adulti, con sede presso il Liceo scientifico “De Castro” di Oristano, diretto da Guido Tendas e dell’Amministrazione comunale di Ardauli. Il corso teorico-pratico, a cui hanno partecipato 30 persone, ha avuto la durata di 80 ore e si è sviluppato in 5 mesi con una cadenza settimanale di 4 ore, durante le quali gli adulti ed i giovani, guidati da esperti e da artigiani, hanno appreso e approfondito l’arte di confezionare i vari tipi di pane e due piatti della cucina locale: i culurzones de patata cun nebidedda e s’ortau. Hanno condotto il corso, che è stato arricchito anche da alcuni seminari a tema, l’esperta

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di Gian Piero Pinna

di panificazione, Antonietta Sanna, il medico dietologo, Franco Madau, la docente di storia, Lucia Manca, il pubblicista ed esperto di cucina medioevale, Gian Piero Pinna, le esperte locali per la panificazione e la preparazione dei piatti tipici, Maddalena Cossu, Chicchina Deiana, Agostina Madeddu, Nica Marras, Marina Marras, Ninetta Mura, Pina Murgia e il macellaio Igor Mura. Il tutto si è svolto nell’ambito dell’ampliamento dell’offerta formativa e per una piena fruizione degli ambienti e attrezzature scolastiche in favore degli alunni, dei genitori e degli adulti del territorio, da organizzare anche in orario extrascolastico, in collaborazione con le Amministrazioni locali interessate. L’iniziativa, denominata “Scuole aperte al territorio”, si inseriva nel progetto nazionale per le realtà sociali prive di centri di aggregazione, che mirava a fare della scuola un centro di promozione culturale, relazionale e di cittadinanza attiva, favorendo l’elevazione del livello culturale generale del territorio. A coronamento di tutti gli sforzi profusi nell’espletamento del corso, è stato prodotto un bel libro che il dirigente Nicola Cirillo ha presentato nell’aula magna dell’Istituto Comprensivo del centro del Barigadu, a un folto pubblico composto da corsisti, ospiti e alcuni docenti. L’elegante e agile volume, ricco di notizie interessanti e illustrazioni, raccoglie il racconto, per immagini e parole, del corso


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EVENTI/A SESTU PER IL FESTIVAL DELLE PRO LOCO

NA FIERA PER I SARDI

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iecimila. Forse erano quindicimila. Comunque sono stati tanti, tantissimi quelli che nel fine settimana hanno preso d’assalto la piazza Primo Maggio in occasione del “Festival delle Pro loco” – raduno regionale eno-gastronomico delle sagre paesane. Il meeting, giunto alla sesta edizione, ha proposto uno spaccato delle prelibatezze dell’isola, coniugandole alle tradizioni popolari di ogni paese. È stato un lungo itinerario tra le mille sagre della Sardegna. L’evento, sotto la regia della Pro Loco di Sestu, e con il contributo dell’Amministrazione Comunale – Assessorato alla Cultura, Spettacolo, Tradizioni Popolari e Turismo, ha così centrato l’obiettivo: «Valorizzare le diverse specificità dell’Isola - sottolinea il presidente dell’Associazione, Mario Ziulu - mettendo in vetrina il saper fare dei diversi sodalizi». Sentito a riguardo l’Assessore alla Cultura Dottor Roberto Bullita, dichiara che l’amministrazione comunale di Sestu «ha ritenuto di far propri gli intendimenti progettuali della Pro Loco locale, facendolo diventare il Festival delle Pro Loco un appuntamento programmatico importante e permanente nel tempo. E ciò perché questo evento coinvolge con una partecipazione di ampia portata numerose realtà associative regionali, che consentono alla nostra comunità sia di conoscere e recuperare gli antichi sapori della tradizione culinaria locale, che sono stati parte integrante della sana alimentazione dei nostri avi, sia di arricchire in parallelo raffronto anche la conoscenza delle pietanze enogastronomiche delle altre zone dell’isola, valorizzando

in tal modo la cucina mediterranea, anche in prospettiva di potenziali processi di sviluppo locale che potrebbero innescarsi da questo tipo di attività». E, sopratutto, offrire un panorama della Sardegna dal punto di vista turistico all’insegna dello slogan non solo mare. Missione compiuta, dunque. Con i visitatori che si sono aggirati tra gli stand per gustare i sapori genuini della cucina nostrana. Dai “ravioli dolci e le panadas” di Assemini alla “pecora all’erbe del marghine di Borore, dalla pasta con tonno e fritto di calamari di Portoscuso ai “sizzigorrus cun bagna” di Senis; dalle “zeppole” di Decimo alla “fregola con satizu” di Uta. E poi, “le fave lesse con cotiche di maiale” la fregola con salsiccia di Segariu i zappueddus di San Giovanni Suergiu; malloreddus ai frutti di mare di Pula; il risotto con funghi trifolati di Simaxis”; i malloreddus con funghi e salciccia di Furtei; su gattou di Pimentel; carne di pecora al sugo di Musei e tante altre. Una fiera dei sapori made in Sardegna per palati fini. La manifestazione si è arricchita ulteriormente per la presenza degli allievi del 1° corso dell’intreccio del fieno (su strexiu e fenu) che la Pro Loco con il contributo dell’Assessorato alla Cultura ha promosso per il recupero delle tradizioni. E’ molto importante salvaguardare queste esperienze dal silenzio, poiché esse costituiscono un patrimonio inestimabile in cui un popolo si riconosce e si identifica, la cui perdita equivarrebbe senz’altro a quella della propria identità. Le corbule hanno rappresentato una parte importante della storia del paese; per

svariate ragioni tale attività sta scomparendo ed è per questo che Comune e Pro Loco sono da alcuni anni impegnate nella valorizzazione e nel rilancio delle varie forme di artigianato locale tra cui il cestino. E’ che dire della panificazione. Solo per questa attività sono state coinvolte circa 20 persone (tra cui allievi del 1° e del 2° corso dell’Arte della panificazione) ed è stato prodotto pane per circa 120 chili. Tutto rigorosamente artigianale. L’altra novità di quest’anno e stata la preparazione del formaggio. Cristian, giovanissimo figlio di allevatori del luogo, diplomato in agraria, ha dato sfoggio della sua abilità. Nell’arco della due serate le Associazioni Folkloristiche I Nuraghi e San Gemiliano di Sestu, hanno con i loro danzatori, intrattenuto i numerosi visitatori presenti. E adesso i numeri forniti dagli organizzatori: 19 le pro loco che hanno preso parte alla rassegna, tra cui quella di Sestu; 360 i collaboratori e i soci delle Pro Loco presenti; 92 i collaboratori della Pro Loco di Sestu; 3000 i pasti distribuiti. E si pensa già alla prossima edizione: «Quest’anno - conclude Ziulu - abbiamo trasferito la rassegna in paese per via del recente rogo a San Gemiliano, per la prossima edizione contiamo di trasferire la manifestazione a Villasor. riportare la kermesse nel santuario campestre con spazi adeguati per aumentare l’esercito delle Pro loco». L.P. foto di RIno Piras


U

na volta il mercato di Via Mazzini era meta e punto di riferimento, oltre che delle comuni massaie, dei più quotati gourmet isolani e non solo. Oggi è una struttura che dimostra tutto il suo mezzo secolo d’età e non è più il punto di riferimento di una volta. I box che resistono ancora, sono quelli della frutta e verdura, molto meno i macellai e anche i banconi per il pesce, che comunque sono sempre gettonatissimi. Il coro è unanime: la struttura ha urgente bisogno di una ristrutturazione e bisogna trovare spazi da destinare al parcheggio, per invogliare la clientela a farvi tappa. Molto reticenti le titolari dei box della frutta e verdura, a cui, inspiegabilmente, riesce difficile strappare un’intervista. Anche chi

quattro, cinque box che sono ancora in attività, c’è il meglio che si possa trovare sulla piazza. La maggior parte di noi - prosegue - fa questa attività ormai da tre generazioni, quindi la nostra clientela sa che cosa trova nei nostri box. Purtroppo, l’affluenza è poca e di conseguenza lo è anche la vendita, complice inoltre la crisi in atto. I pesci che vendiamo di più, sono le spigole e le orate, ma anche sardine, polpi, seppie, gamberoni». Alla domanda se a parer suo sia possibile migliorare la situazione, risponde deciso. «Se lo rifacessero nuovo e con parcheggi adeguati sì! È importante anche la gestione, che deve garantire una manutenzione puntuale ed efficiente, mentre attualmente qui c’è una sola persona che si deve occupare di tutto e i risul-

dice - In questo periodo le verdure che vanno per la maggiore, sono quelle stagionali, come i fagiolini, le zucchine, le patate e le cipolle, mentre sono poco richieste le insalate. A giorni avremo anche i pomodori di stagione e i borlotti, ma già ad agosto, cominceremo a piantare le verdure per il prossimo inverno. Diamo anche dei consigli su come cucinare le verdure. Per esempio, a me piacciono molto le zucchine e suggerisco di fare la pasta al forno con questa verdura, ma anche tortini, oppure di farle al forno con il formaggio filante, o ripiene». Al macellaio Giovanni Fadda di Oristano, titolare di uno dei quattro box superstiti, dove si lavorano le carni fresche, chiediamo quali siano le preferenze degli oristanesi per quanto concer-

A Oristano

SARDEGNATAVOLA IN GIRO PER MERCATI

in via Mazzini un nobile decaduto di Gian Piero Pinna

potrebbe esprimere un parere professionale, si trincera dietro un «non siamo autorizzati a parlare». Solo davanti ai taccuini chiusi, ci si lascia sfuggire che «il mercato è un’autentica fogna e di questo passo, se non si iniziano al più presto i lavori di ristrutturazione, si rischia di perdere i finanziamenti già disponibili». Tuttavia, sin da un rapido giro nel mercato, aldilà delle pecche strutturali e organizzative, è possibile notare dell’ottima merce locale esposta, sebbene, purtroppo, sembrino veramente pochi i clienti, forse anche a causa della contingente crisi imperante di questi tempi. La prima persona che gentilmente si presta a rispondere alle nostre domande, è Sebastian Mulargia, di Santa Giusta, con un bel bancone pieno di pesci freschissimi, provenienti dai nostri mari, che accetta ben volentieri di farsi intervistare ed esordisce dicendoci che «la stragrande maggioranza dei ristoratori oristanesi viene in questo mercato, perché come quantità, qualità, varietà e freschezza di prodotto, nei

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tati sono, ovviamente, negativi». Andrea Crobu, di Cabras, gestisce un altro box del pesce e afferma che i prodotti ittici sono abbastanza richiesti, specialmente dagli “intenditori”, perché il prodotto in vendita è locale, freschissimo e buono. «Da noi vengono sia i clienti abituali sia i turisti che ritornano nelle nostre coste in vacanza – afferma -. Infatti, sto ritrovando molti di coloro che venivano qui l’anno scorso, ma vengono da noi anche diversi ristoratori che acquistano soprattutto pesci di prima scelta. Agli acquirenti, consigliamo anche come cucinare i pesci: per esempio, in questo periodo, che ci sono disponibili dei bei grossi muggini di Cabras, suggerisco di tagliarli a trance sottili, di passarli nel pane grattugiato e di cuocerli alla brace, sono veramente ottimi». Ci affacciamo nel piccolo box della ditta Mele, di Solarussa, dove si vende esclusivamente la verdura prodotta nella propria azienda: «Siamo agli inizi, in quanto abbiamo appena aperto, quindi le persone devono ancora conoscerci –

ne il suo settore: «dipende dai periodi: d’estate vengono preferite le fettine e le bistecche disossate, insomma, roba veloce da fare in piastra. Per quanto riguarda i maialetti e gli agnelli, prevediamo un incremento nel periodo di agosto e negli altri giorni di festa. A noi si rivolgono anche i ristoratori, che però richiedono in prevalenza bistecche e filetti e qualche taglio per brasato. I nostri clienti, comunque, sono in prevalenza oristanesi e dei paesi vicini, mentre di turisti se ne vedono pochi. Di solito dò anche dei consigli sul taglio e sul tipo di carne che devono prendere per preparare un determinato piatto. Chi viene ad acquistare qui lo fa perché ha fiducia in noi, altrimenti sarebbe un disastro, perché il mercato sta morendo lentamente, soprattutto per mancanza di parcheggi, ma anche per la presenza dell’Iperstanda che ci sottrae molti clienti. Prima la gente che veniva da fuori faceva la sua tappa obbligata in centro, oggi questo non è più possibile, proprio per la mancanza di spazi adeguati».


SARDEGNATAVOLA IN GIRO PER MERCATI

AElmas il Civico vola alto di Sandra Sulcis fotoservizio di Francesco Pisu

A

Elmas, in via del Pino Solitario, nel 1989 si inaugurò il Mercato Civico: era il 25 Ottobre. Sono trascorsi vent’anni da allora e la cittadina è cambiata: la popolazione è aumentata, le strutture e i servizi sono migliorati. I più anziani ricordano Elmas come una piccola frazione di Cagliari dove i giovani erano solo di passaggio. Dicono che era definita “città dormitorio” proprio per indicare quanto fosse desolata e priva di attrattive. Ma questa definizione ora sembra essere superata e oggi sono proprio i giovani i fautori di una nuova serie di iniziative in grado di far crescere la città. Lungo le strade principali le attività commerciali sono in aumento e basta recarsi al Mercato Civico per cogliere la voglia di cambiamento che caratterizza le nuove generazioni: tra le mura del mercato si riscoprono, oltre ai sapori autentici dei prodotti locali, anche l’anima della città, la voglia di crescere, confrontarsi e adeguarsi ai tempi che cambiano. Entrando nei locali del mercato, infatti, accanto alla luminosità dei locali e ai banconi ricolmi di prelibatezze, colpiscono i volti dei commercianti: sono per lo più giovani. La prima persona che incontriamo è Ketty: sta sistemando pesche, susine e albicocche nel suo bancone. Lavora qui da tre anni: «È un mercato piccolo ma completo - spiega Ketty - gestito in maniera esemplare da tutti noi e dall’Amministrazione Comunale sempre attenta ad ascoltare ogni nostra esigenza. In questi ultimi anni ha subito una svolta, il locale è stato rinnovato, i box sono stati ampliati e sono arrivati nuovi titolari dei posteggi. È più moderno, vivace, funzionale. Io vendo frutta e verdura e per fornire un servizio innovativo, mi sto specializzando nell’offrire prodotti anche già confezionati, vaschette di frutta, verdure per minestroni e insalate di stagione. Preparo porzioni piccole, utili per i single e per gli anziani che non hanno il tempo o la voglia di fare questi lavori autonomamente. È un’idea gradita che riscuote successo». Mentre Ketty racconta la sua esperienza, sopraggiunge nell’aria un buon profumo di arrosto, arriva dallo stand “Gastronomia e sapori d’altri tempi”. Qui troviamo Marta Rossi intenta a sfornare l’arrosto con patate e la pasta al forno. Ha poco tempo da dedicare alle chiacchiere perché la cucina l’attende ma in poche parole ci descrive la sua esperienza: «Cucino da quando ero una bambina - spiega Marta - iniziai aiutando mia madre, poi decisi di aprire un ristorante a Cagliari. Di recente però stava diventando stancante recarci in centro tutti i

giorni per lavorare, perciò abbiamo deciso di lasciare quell’attività ai nostri figli e di continuare a preparare primi, secondi, contorni e altre specialità vicino a casa. Abbiamo chiesto la disponibilità di questo box e da quattro anni lavoriamo qui. È una soddisfazione accontentare i clienti, in particolare quando stanchi e di corsa arrivano a comprare da noi per evitare di cucinare». Mentre Marta continua a controllare il forno, ci spostiamo nel bancone di Luciano Spiga. Si è specializzato nella vendita di legumi, olive, spezie e qualche surgelato. Ha partecipato all’inaugurazione del mercato. «Quando è stato aperto il mercato di Elmas - racconta - c’era l’esigenza di fornire agli ambulanti una struttura più idonea alla loro attività. L’apertura del mercato mise a disagio le botteghe trazionali, fu un’occasione per dare slancio all’economia, offriva prodotti a prezzi più convenienti. In vent’anni è stato ristrutturato e migliorato. Abbiamo l’aria condizionata, un banco frigo e un box spaziosi. La merce è sempre fresca, selezionata e di stagione. Il rappporto con i clienti è ottimo e siamo ben felici di vedere che i nuovi box sono gestiti da giovani, desiderosi di lavorare per offrire un servizio alla città in cui abitano».

“Mi piacciono gli amici che quando vengono a casa bussano con i piedi. Vuol dire che hanno le mani occupate dai vassoi di dolci sardi” Francesco Cossiga

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PORTFOLIO I MERCATI DEL MEDITERRANEO QUI IL MERCATO DI SAN MIGUEL

MADRID di Simone Ariu


Situato nel cuore di Madrid, è una meta d’obbligo per residenti e turisti in cerca di

prodotti

locali

di

eccellenza.

Ma

non solo, perché rappresenta anche un luogo di ritrovo dei giovani madrileni in cui sorseggiare una cerveza (foto 2) o pasteggiare con i famosi bocadillos della città. L’edificio, costruito nel 1916 da Alfonso Dubé e ristrutturato nel 2009, si presenta come una moderna struttura di colonne in ferro battuto e ampie vetrate (nella foto 1, il dettaglio dell’ingresso), elementi che lo rendono un piccolo monumento della città, visitato anche per la sua suggestione scenica. È, inoltre, a due passi da Plaza Mayor, la più famosa e fotografata piazza di Madrid.

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All’interno di questo affascinante mercato si trovano box di ogni genere e gusto (nella foto 3, l’afflusso mattutino): dalla frutta e verdura (foto 6) ai formaggi, fino al pesce fresco, i vini, i dolci, e i salumi (foto 5). Ma 4

non mancano i diversivi, come i quiz a premi (foto 4) o l’angolo culturale del Mercato, rappresentato da una libreria che contiene volumi sull’enogastronomia locale e no.

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Ti ritieni un esperto del settore o sei appassionato di vini e oli di Sardegna?

Scrivici la tua Top 5! simone_ariu@hotmail.com

Franco Pinna: VINI commerciante

Nuragus – c/o Cantina sociale di Monserrato – Monserrato (CA) Costera – c/o Cantine Argiolas – Serdiana (CA) Mamuthone – c/o Cantina Giampietro Puggioni – Mamoiada (NU) Juale – c/o Cantina Giuseppe Altea – Serdiana (CA) Rocca Rubia – c/o Cantina Santadi – Santadi (CA)

Andrea Mura: VINI velista

Turriga – c/o Cantine Argiolas – Serdiana (CA) Korem – c/o Cantine Argiolas – Serdiana (CA) Is Argiolas – c/o Cantine Argiolas – Serdiana (CA) Capichera – c/o Azienda Vitivinicola Capichera – Arzachena (SS) Nepente – c/o Cantina Gostolai – Oliena (NU)

Angelo Carracino: VINI barman

Tanca Sa Contissa – c/o Cantina Trexenta – Senorbì (CA) Donna Jolanda (moscato) – c/o Meloni Vini – Selargius (CA) Marghìa – c/o Jerzu Antichi Poderi – Jerzu (NU) Buio – c/o Cantina Mesa – Sant’Anna Arresi (C-I) Capichera – c/o Azienda Vitivinicola Capichera – Arzachena (SS)

Andrea Nissardi: VINI fotografo

Una pausa caffé nel bar del Consiglio Regionale, gestito da Angelo Carracino con la preziosa collaborazione di Patrizia

Capichera – c/o Azienda Vitivinicola Capichera – Arzachena (SS) Karagnanj – c/o Cantina Tondini – Calangianus (OT) Costamolino – c/o Cantine Argiolas – Serdiana (CA) Canayli – c/o Cantina Gallura – Tempio Pausania (OT) Rocca Rubia – c/o Cantina Santadi – Santadi (CA)

Biagio Arixi: OLI poeta scrittore

Olio Extra Vergine di oliva D.O.P. San Giuliano c/o Domenico Manca S.p.A. - Alghero (SS)

Paolo Fadda: VINI storico e scrittore

Buio – c/o Cantina Mesa – Sant’Anna Arresi (C-I) Capichera – c/o Azienda Vitivinicola Capichera – Arzachena (SS) Terre brune – c/o Cantina Santadi – Santadi (CA) Ajana – c/o Cantina Ferruccio Deiana – Settimo San Pietro (CA) Korem - c/o Cantine Argiolas - Serdiana (CA)

Olio Extra Vergine di oliva Antichi Uliveti del prato c/o Azienda Agricola F.lli Pinna - Ittiri (SS) Olio Extra Vergine di oliva Iolao D.O.P. c/o Argiolas & C. - Serdiana (CA) Olio Bio Masoni Becciu c/o Azienda Agrobiologica Serra - Villacidro (M-C) Olio Extra Vergine di oliva c/o Fattorie Enrico Loddo - Dolianova (CA)


ivere la campagna

Provincia del MEDIOCAMPIDANO

Fra identità e ambiente: una nuova agricoltura nel Medio Campidano. Sin dalla sua istituzione, la Provincia del Medio Campidano è impegnata a difendere e valorizzare le biodiversità del territorio al fine di rafforzare l’identità locale e tutelare la salubrità alimentare. Un percorso cominciato con il progetto di educazione alimentare Mangia come parli, continuato con Vivere la Campagna, promosso con le giornate dell’AgriCultura e con la Guida sull’enogastronomia, messo a sistema con l’iniziativa Il Paniere della Provincia Verde. Quest’anno il progetto Vivere la Campagna, che favorisce la rotazione dei terreni, vede coinvolti 750 agricoltori per una superficie coltivata di oltre 2000 ettari. Un risultato che permette di tutelare il suolo e valorizzare l’ambiente pedologico della provincia attraverso la coltivazione delle leguminose, della sulla, del trifoglio, dell’erba medica, della veccia. Produzioni che in gran parte vengono destinate agli allevamenti nostrani, che invece vedono spesso importare le derrate dall’estero. Un progetto con procedure amministrative che rispettano i tempi della durata del ciclo biologico del vegetale coltivato, secondo il principio un tempo per la semina (la domanda) e un tempo per la raccolta (la risposta). Di recente sono stati pubblicati anche i bandi relativi ai piani di valorizzazione dell’asparago, dello zafferano, del suino sardo. Questi piani non vanno visti singolarmente ma intrecciati fra loro, in modo integrato, formando i tasselli di una strategia che si pone l’obiettivo di tutelare e valorizzare il “prodotto territorio”, investendo su tutte le possibili potenzialità di sviluppo, esaltandone le caratteristiche socioeconomiche e ambientali, incentivando l’imprenditorialità locale. Questa è la missione strategi-

ca della Provincia. Del resto lo sviluppo delle filiere dell’agroalimentare è uno dei tematismi più rilevanti percepiti dal territorio. Durante i lavori del laboratorio territoriale sono state avanzate ipotesi di intervento tesi alla valorizzazione e promozione delle produzioni del territorio. Partendo dall’analisi effettuata con Progettazione Integrata si è proceduto a definire un’analisi SWOT del territorio condivisa e partecipata. In quella sede e successivamente sono state definiti gli obiettivi, le strategie e i programmi cercando di portare in valore le attività produttive e le filiere dell’agro-alimentare, per provvedere poi ad avviare la realizzazione di piani specifici. Oggi, la Provincia nell’adottare le politiche di dettaglio con i suoi Piani di Valorizzazione ha seguito le indicazioni provenienti dall’esperienza della progettazione integrata, utilizzando un approccio multidisciplinare ed empirico. I piani di valorizzazione prevedono interventi finanziari a sostegno delle spese di produzione sostenute dalle imprese agricole. La nostra è una realtà di microimprese, che difficilmente accedono ai bandi previsti dal Piano di Sviluppo Rurale, dove un piccolo aiuto può contribuire a non abbandonare i campi. In linea con la politica dei tempi, la pubblicazione dei bandi ha riguardato inizialmente l’asparago verde, con l’obiettivo di dilatarne i tempi di coltivazione attraverso l’impiego di tecniche in coltivazione in ambiente protetto, al fine di favorire una maggiore permanenza sui mercati e al contempo una maggiore remunerazione. Successivamente ha visto luce il bando relativo allo zafferano, la DOP per eccellenza del made in Campidano, che rappresenta il 60% della produzione nazionale. Un prodotto, l’oro rosso, che identifica

il territorio a livello nazionale e lo differenzia rispetto a tutti gli altri, costituendo inoltre un reddito integrativo per numerose famiglie. Il piano di valorizzazione del suino di razza sarda intende preservare e tutelare i capi della razza autoctona riconosciuta ai sensi del decreto del MiPAAF, incentivando gli allevatori alla selezione e certificazione della medesima. Un sostegno giustificato anche dal fatto che gli allevatori il nostro territorio non possono accedere al bando regionale per il miglioramento delle aziende suinicole. Infine la Provincia ha ritenuto opportuno bandire un piano straordinario di tutela del patrimonio apistico provinciale. Un sostegno di natura eccezionale e temporanea, che mira a riconoscere e valorizzare il ruolo multifunzionale dell’attività apistica per la salvaguardia della biodiversità e dell’ecosistema. La Provincia che aderisce all’Associazione Nazionale delle Città del Miele ha voluto incontrare gli operatori del comparto apistico, preoccupata dalle conseguenze drammatiche causate dalla nota moria di api che ha colpito il pianeta. Le api, infatti, con la loro azione pronuba contribuiscono all’80% delle impollinazioni che avvengono in natura e dalla cui attività dipende la sopravvivenza di gran parte delle essenze vegetali del pianeta. Attraverso il piano s’intende sostenere gli apicoltori operanti nel territorio provinciale, cercando di frenare la diminuzione degli alveari allevati e il conseguente abbandono dell’attività. Con questi interventi la Provincia agisce direttamente a tutela della conservazione dell’ambiente e dell’agricoltura, anche grazie ad una pratica apicola sostenibile che consente l’impollinazione naturale di piante coltivate e selvatiche.

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