La cattedrale di asola Gilgamesh Edizioni

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ENKI

Saggistica 15


Si ringrazia Rosanna Viapiana per le fotografie di pag. 50, 51, 52, 58, 71, 72, 73.

Si ringraziano Sara Fainozzi e Francesca Lamberti Zanardi per la piantina di pag. 20-21. Fotografie: Foto Tartarotti, Asola (MN).

Gilgamesh Edizioni Via Giosuè Carducci, 37 - 46041 Asola (MN) gilgameshedizioni@gmail.com - www.gilgameshedizioni.com Tel. 0376/1586414

ISBN 978-88-6867-103-7

È vietata la riproduzione non autorizzata.

In copertina: Sant’Andrea, polittico della Misericordia, cattedrale di Asola (MN).

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Michele Garini Andrea Lui

Lucia Molinari Matilde Monteverdi

La Cattedrale di Asola



LA GIOIA DELLA SUA DIMORA FRA LE NOSTRE CASE «Signore, tu ci hai dato la gioia di costruirti fra le nostre case una dimora, dove continui a colmare di favori la tua famiglia pellegrina sulla terra e ci offri il segno e lo strumento della nostra unione con te. In questo luogo santo, tu ci edifichi come tempio vivo e raduni e fai crescere come corpo del Signore la tua Chiesa diffusa nel mondo, finché raggiunga la sua pienezza nella visione di pace della città celeste, la santa Gerusalemme». (dal prefazio del Comune della dedicazione della chiesa)

Desidero aprire con queste parole della liturgia la lettura della nuova guida alla cattedrale di Asola. Mi colpisce l’espressione «una dimora fra le nostre case». La casa, per ogni persona e famiglia, è il luogo della vita e della quotidianità, spesso il luogo della storia di generazioni, è il luogo degli eventi, dove si custodiscono i ricordi più preziosi e si condividono i momenti della festa e quelli del dolore. Il Signore, più di cinque secoli fa, ha donato a noi, comunità cristiana di Asola, la gioia di costruire la sua dimora fra le nostre case. L’augurio, scorrendo queste pagine, è che possiamo percepire nella bellezza della nostra Cattedrale la dimensione di una casa che ci è stata consegnata, dove possiamo vivere i momenti della vita della “famiglia” dei figli di Dio, dove possiamo crescere come “Corpo del Signore”.

Voglio ringraziare don Michele Garini e quanti, con competenza e professionalità, hanno reso possibile l’edizione di questa nuova guida, che ci fa gustare la “bellezza sempre antica e sempre nuova” della nostra Cattedrale. don Luigi Ballarini parroco

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MILLE ANNI DI STORIA Le origini e i primi secoli di storia della comunità cristiana di Asola presentano ancora numerosi punti da chiarire, tanto che le scarse tracce documentarie e archeologiche non consentono di uscire dal campo delle ipotesi. Risale all’anno 930 il più antico documento in nostro possesso: si tratta di un contratto con il quale il monastero di Nonantola cede in affitto al conte Sansone la “corte” di Asola. Poco più tardi è attestata nel territorio la presenza di possedimenti delle abbazie di Leno e di Acquanegra sul Chiese. Questi dati, insieme ad altri indizi, lasciano intuire l’importanza del monachesimo benedettino anche nell’Asolano. È lecito quindi pensare che tale influenza non si limitasse alla vita civile ed economica, ma si estendesse anche alla dimensione strettamente religiosa. Di poco successive sono le notizie circa il rapporto tra alcuni arcipreti e gli imperatori del Sacro Romano Impero, che avrebbero a più riprese concesso alla pieve di Asola un’ampia autonomia giurisdizionale e il dominio feudale su un territorio compreso tra i fiumi Oglio e Chiese. La più importante attestazione in tal senso sarebbe costituita dal diploma rilasciato nel 1192 dall’imperatore Enrico VI a favore dell’arciprete Federico Ortobello, che menziona anche le benemerenze acquisite circa un secolo prima da un predecessore dell’Ortobello, Venceslao Visconti. Tuttavia gli storici moderni dubitano dell’autenticità di questo documento, di cui sussistono solo copie molto tarde, e incerta è la stessa esistenza degli ecclesiastici asolani in esso ricordati. Storicamente sicura è invece la figura di Martino, arciprete di Asola che nel 1275 partecipa all’elezione del vescovo di Brescia Berardo Maggi. Con il XIV secolo le notizie circa la situazione ecclesiastica locale si fanno più precise e continuate: la pieve dedicata a Santa Maria Assunta, ricordata tra i benefici facenti parte della diocesi di Brescia, risulta officiata da un collegio di canonici guidati dall’arciprete. Recenti sondaggi archeologici, compiuti a est dell’attuale abitato, nel sito tradizionalmente indicato come sede dell’antica pieve, hanno rinvenuto i resti di un edificio absidato a tre navate e di alcuni fabbricati annessi. Accanto a questa chiesa, distrutta nel XVI secolo, si afferma nel Quattrocento l’importanza di quella di Sant’Erasmo, posta all’interno della cinta fortificata. Dalla seconda metà del XV secolo Asola è interessata dal fenomeno, all’epoca assai diffuso, delle commende: la carica di arciprete e le relative rendite vengono assegnate a un ecclesiastico senza che questi sia tenuto alla residenza e all’esercizio degli altri doveri pastorali. In quest’ottica non deve stupire che il commendatario Giovanni Giusto, vescovo della diocesi dalmata di Ossero, non intervenga neppure alla consacrazione della chiesa di Sant’Andrea il 27 gennaio 1501. Per la solenne liturgia si limita infatti a delegare come proprio rappresentante il canonico Tommaso da Viadana. Al Giusto subentra mons. Cristoforo Mangiavino che, pur risiedendo solo saltuariamente ad Asola, dà più volte prova di interessarsi alla sua comunità. Membro della corte pontificia e più tardi vescovo di Polignano, nel 1507 ottiene da Giulio II che la pieve sia elevata a collegiata insigne. Il papa conferisce a lui e ai suoi successori la facoltà di celebrare adottando insegne e cerimoniali propri dei vescovi; di conseguenza anche il collegio dei canonici viene equiparato ai capitoli delle sedi episcopali. Risale dunque al Mangiavino l’utilizzo della cattedra pontificale durante le celebrazioni più solenni, con-

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suetudine da cui la chiesa parrocchiale deriva storicamente il titolo di Cattedrale. A queste peculiarità liturgiche si accompagnano una serie di concessioni giuridiche che danno alla Chiesa di Asola un carattere proprio all’interno della diocesi. In sostanza il governo della collegiata assume una certa indipendenza dal vescovo di Brescia, la cui autorità sarà sempre meno sentita. Durante il ministero del Mangiavino la sede dell’arcipretura viene spostata nella chiesa di Sant’Andrea e prende avvio anche la devozione popolare, tuttora viva, per Santa Maria del Lago. Per quasi tutto il Cinquecento si succedono prelati più o meno illustri che si limitano a rapide visite e alla nomina di vicari. Inoltre, con il definitivo affermarsi del dominio veneziano sul territorio (1440), spesso la collegiata di Asola diviene appannaggio del patriziato lagunare. In particolare la famiglia Lippomano assume, fino al termine del Seicento, il diritto di nominare l’arciprete. Quasi a compensare questa condizione non certo ideale, dalla fine del Quattrocento e per tutto il secolo successivo diversi ecclesiastici asolani si distinguono nel servizio della Chiesa universale: il francescano Roberto Tiraboschi, destinato alla gloria degli altari; il carmelitano Lucrezio Tiraboschi, teologo e predicatore al concilio di Trento; gli abati Andrea Pampuro e Giuliano Ghirardelli, promotori di studi teologici e filosofici nell’ordine benedettino; il canonico Sebastiano Manzoni, a servizio dei papi Pio IV e Pio V. Anche il laicato mostra la propria vitalità organizzandosi in varie confraternite. All’impegno di questi sodalizi dobbiamo la promozione di celebrazioni e pratiche devote, la commissione di numerose opere d’arte che ornano la Cattedrale e molteplici iniziative caritative. La profonda riforma della Chiesa operata dal concilio di Trento trova eco anche ad Asola. In esecuzione delle deliberazioni conciliari cessa la prassi delle continue assenze dell’arciprete e gradualmente, pur tra difficoltà e resistenze, migliorano la disciplina e le competenze del clero. Nel laicato viene invece istituzionalizzato l’insegnamento del catechismo. Evento simbolo di questa epoca può considerarsi la visita apostolica di san Carlo Borromeo nel 1580. Numerose ed esigenti sono le disposizioni dettate dall’arcivescovo di Milano a proposito della comunità, guidata in quel periodo dal veneziano Andrea Testagrossa. Oltre a promuovere una religiosità più consapevole, il cardinale aveva forse l’intenzione di fare della collegiata un punto di riferimento per la formazione del clero della zona. Nel periodo a cavallo tra Cinquecento e Seicento è arciprete Antonio de Antonii, sacerdote di solida spiritualità e dotto giurista. Convinto assertore del rinnovamento tridentino, egli presta un contributo decisivo per la fondazione del Monte di Pietà di Asola e collabora attivamente con il vescovo di Brescia Marino Zorzi nelle visite pastorali e nei sinodi. Dal 1664 al 1705 è invece a capo della collegiata Giovanni Battista Tosio; sotto di lui avviene il definitivo distacco della Chiesa di Asola dalla diocesi di Brescia. Con l’appoggio delle autorità veneziane viene infatti istituita un’abbazia nullius direttamente soggetta alla Santa Sede (1697). L’arciprete è in tal modo equiparato a un vescovo e il territorio a lui sottoposto - comprendente l’arcipretura e alcune parrocchie vicine (Acquafredda, Barchi, Casalmoro, Casaloldo, Casalpoglio, Castelnuovo, Gazzuoli, Remedello Sopra e Remedello Sotto) - a una diocesi. L’avvenuta separazione e le esigenze da essa derivanti sono il tratto che maggiormente caratterizza il Settecento. Il successore di mons. Tosio, Agostino Brutti, intraprende una vigorosa opera di riorganizzazione che comprende la celebrazione del sinodo, la pub-

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blicazione del catechismo per il popolo e la visita alle parrocchie. A lui si deve anche la promozione del culto a san Giovanni Crisostomo nella città e diocesi di Asola (1724), poi perfezionato da mons. Molin nel 1788. Per poter esercitare le funzioni sacramentali strettamente riservate ai vescovi, quali le cresime e il conferimento degli ordini, il Brutti e i suoi successori ricevono la consacrazione episcopale di antiche sedi soppresse (le cosiddette diocesi in partibus infidelium). A Federico Maria Molin, abate di Asola e vescovo di Apollonia, tocca gestire il difficile periodo della fine della Repubblica di Venezia (1797) e del successivo dominio napoleonico contrassegnato da spogliazioni e misure variamente restrittive dell’attività religiosa. Nel 1818, con la bolla De salute dominici gregis, Pio VII dispone la soppressione dell’abbazia nullius che viene suddivisa tra le diocesi di Brescia e Mantova, con l’inclusione della parrocchia di Asola in quest’ultima. Durante la prima metà dell’Ottocento gli ideali risorgimentali trovano convinti sostenitori tra il clero e la popolazione. Don Ottaviano Daina, membro di una famiglia aristocratica locale e parroco a Villa Cappella di Ceresara, è sorvegliato dalla polizia austriaca e incarcerato. L’arciprete Giuseppe Rondelli, che aveva esplicitamente appoggiato le truppe piemontesi durante la prima guerra d’indipendenza (1848), è costretto dalle autorità asburgiche a lasciare Asola. Dopo l’unità d’Italia la guida della parrocchia viene affidata a Luigi Visentini, già insegnante nel Seminario vescovile di Mantova. Dotato di notevole cultura teologica e sensibile alle correnti più avanzate del pensiero cattolico, il Visentini deve affrontare nel corso del suo ministero varie difficoltà che riflettono il clima teso instauratosi tra Stato e Chiesa all’indomani della presa di Roma. Tra i suoi collaboratori si distingue don Luigi Ruzzenenti, autore di apprezzati studi di storia locale e archeologo. Importante è tuttora giudicato il suo pionieristico contributo nel campo della paletnologia. Il primo quarantennio del Novecento è contrassegnato dalla figura di mons. Antonio Besutti che, particolarmente attivo nell’apostolato e nella formazione dei giovani, affianca all’esercizio dei propri doveri pastorali anche un’intensa attività di studioso. A lui si devono alcune pubblicazioni dedicate al patrimonio storico e artistico asolano e la promozione di varie campagne di restauro alla Cattedrale. Gli ideali del suo ministero sono ripresi nel dopoguerra da mons. Carlo Calciolari, che guida la comunità sino agli anni del Concilio Vaticano II, dimettendosi per raggiunti limiti di età nel 1976. Gli anni successivi sono forse ancora troppo vicini per tentare valutazioni storiografiche.

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L’ARCHITETTURA La cattedrale di Asola sorge sul sito in cui già nel XIV secolo è attestata una chiesa con la medesima intitolazione all’apostolo Andrea. Appartengono molto probabilmente a questo primo edificio, oggetto di svariati interventi di restauro nella prima metà del Quattrocento, l’abside e l’attiguo campanile. Nel 1472 la comunità intraprese un intervento - sottolineato con una solenne cerimonia officiata dall’arciprete Francesco Cattaneo - che si configurò come una completa ricostruzione. La chiesa assunse così le attuali monumentali dimensioni: le navate laterali sono alte 14 metri, mentre la navata centrale raggiunge i 20 metri. La direzione della fabbrica fu affidata a un architetto di cui le fonti d’archivio si limitano a ricordare il nome e la provenienza: Guglielmo cremonese. Secondo l’ipotesi formulata da Alfredo Puerari - che ha trovato consenso pressoché unanime tra gli studiosi - egli va identificato con Guglielmo de Bocoli, detto de Lera. Membro di una famiglia di architetti operanti nella Cremona del XV secolo, Guglielmo non poté seguire a lungo il cantiere asolano, in considerazione dei numerosi incarichi assunti negli ultimi decenni del Quattrocento. Spetterebbe a lui l’ideazione del corpo a tre navate e del transetto, in cui si ravvisano elementi comuni ad altre sue costruzioni. In particolare sono state individuate stringenti analogie con l’esterno della chiesa monastica di San Sigismondo a Cremona, al cui progetto Guglielmo collaborò con il fratello Bernardino. La fabbrica di Sant’Andrea fu poi guidata e condotta a termine dall’asolano Francesco Biondello. È probabile che l’edificazione della Cattedrale avvenisse contestualmente alla graduale demolizione della precedente costruzione, in modo da consentire per quanto possibile il proseguimento delle ufficiature. Nel 1488 venne terminata la copertura del tetto, mentre l’edificazione delle volte si protrasse sino al 1514. Già il 27 gennaio 1501 si era provveduto alla consacrazione ad opera di mons. Marco Saracco, arcivescovo titolare di Lepanto e ausiliare del vescovo di Brescia Paolo Zane, nella cui diocesi Asola era compresa. Circostanze a noi ignote impedirono la realizzazione del nuovo presbiterio; di quest’ultimo sussiste solo un breve tratto di muratura, tuttora visibile dal cortile della casa canonica. Guglielmo de Lera, architetto di formazione e gusto sostanzialmente conservatori, diede alla fabbrica asolana un’impronta ancora legata alla tradizione gotica. D’altra parte questo linguaggio non era affatto desueto nella Lombardia del secondo Quattrocento. Nel territorio della diocesi di Brescia sono pressoché coeve alla Cattedrale due chiese di dimensioni altrettanto maestose quali il duomo di Salò e il duomo di Chiari, entrambe accomunate dal medesimo stile presente in Sant’Andrea. L’architetto impostò una costruzione a croce latina con breve transetto e facciata a salienti scandita da contrafforti. La testata del transetto destro, che guarda l’attuale piazza XX Settembre, è ornata da una grande bifora ora cieca che si caratterizza per un’esuberante decorazione in cotto. Quest’ultima, come i fregi del rosone sovrastante, è chiaramente ispirata ai coevi modelli veneziani. Si è ipotizzato che l’utilizzo di tali ornamentazioni all’esterno della chiesa fosse in origine più esteso, come si ravvisa ancora oggi in altre opere dovute al maestro cremonese.

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Esterno, dal cortile della canonica.


L’interno, coperto da volte a crociera costolonate, è suddiviso in tre navate da sei pilastri cruciformi privi di basamento. Gli storici dell’arte vi hanno riconosciuto soluzioni caratteristiche del gotico lombardo, nei capitelli a fogliami che ornano i pilastri a fascio e nelle lesene poste in corrispondenza dei contrafforti esterni tornano tuttavia suggestioni di origine veneta. Il piedicroce e il presbiterio, risalendo a fasi costruttive diverse, rivelano due distinte identità artistiche. Le navate e il transetto sono caratterizzati dalla prevalenza di vaste superfici murarie lisce in cui gli elementi decorativi (capitelli e membrature) appaiono nel complesso poco rilevati. Grazie alla regolarità delle campate che suddividono un perimetro vicino al quadrato, l’impianto delle navate mostra una spazialità pacata ed equilibrata. Nell’abside, sia per l’adozione di una conclusione poligonale sia per la maggiore enfasi che assumono i costoloni a causa degli spazi ravvicinati tra una lunetta e l’altra, prevale viceversa una visione più nervosamente mossa. Anche i peducci sono qui realizzati in forme geometriche diverse dagli elementi vegetali utilizzati nel transetto. Dopo la conclusione dei lavori, la chiesa non fu interessata da rimaneggiamenti tali da snaturarne l’architettura interna. Nel corso dei secoli furono però numerosi gli interventi di minore impatto, fra i quali vanno ricordati la sopraelevazione del presbiterio e l’occlusione dei finestroni posti sui fianchi per addossare alle pareti i grandi altari laterali. All’esterno particolare rilievo ebbe la costruzione della torretta destinata ad accogliere l’orologio pubblico, posta sul lato meridionale. L’opera, una struttura cubica coronata da una bizzarra terminazione a volute, fu realizzata nel 1547 su progetto dell’architetto locale Cristoforo de Leno. L’anno successivo il pittore Giovanni Antonio de Fedeli venne incaricato della decorazione ad affresco di tutta la fiancata sud, secondo i disegni forniti dal de Leno stesso. Risalgono invece a un restauro di gusto neogotico dei primi decenni del Novecento i tre finestroni ciechi. L’impaginazione architettonica dell’orologio manifesta un’adesione piena al linguaggio rinascimentale più maturo, allontanandosi sensibilmente dallo stile proprio del resto dell’edificio. Tuttavia è probabile che i dipinti realizzati dal de Fedeli, ormai scomparsi, avessero lo scopo di adeguare l’esterno della chiesa al mutamento intervenuto nel gusto. In questo senso è da valutare un frammento di affresco presente sul cornicione della facciata ovest che raffigura una modanatura decorata con ovuli di impeccabile sensibilità classicheggiante. Infine va osservato che l’operato del de Leno assume un’importante valenza urbanistica: con la costruzione della torretta, il fianco meridionale di Sant’Andrea venne di fatto trasformato in una sorta di seconda facciata, che funge da quinta monumentale per la piazza.

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VISITA ALLA CATTEDRALE L’interno della Cattedrale si presenta come uno scrigno d’arte sacra, in cui le opere si snodano nella struttura a croce latina a tre navate: due laterali, particolarmente ornate da altari e affreschi, e una centrale, in cui spiccano per la loro peculiarità un organo e un pulpito decorati dall’artista bresciano Girolamo Romanino. Il visitatore, entrando, è accolto dagli affreschi speculari sulle prime colonne, che rappresentano la Sacra Famiglia: San Giuseppe e Maria che allatta il Bambino. In controfacciata, al di sopra dell’imponente bussola lignea settecentesca, è collocato un grande dipinto raffigurante l’Adorazione del Santissimo Sacramento. Nel quadro è ritratta su due registri una folla, composta da pontefici, vescovi e martiri in adorazione dell’eucaristia, collocata sull’altare in un ostensorio. Il dipinto, anonimo e misconosciuto dalla critica, rappresenta un’espressione della sensibilità controriformistica e ben si inserisce nel contesto del culto eucaristico praticato in Cattedrale.

IL PRESBITERIO Percorrendo la navata centrale si giunge alla zona presbiteriale. Essa rappresenta il cuore della Cattedrale e nel corso dei secoli è stata oggetto di modifiche e rimaneggiamenti, come attestano i documenti delle visite pastorali dei vescovi di Brescia e gli atti della visita apostolica di san Carlo Borromeo del 1580. È costituita da un’angusta campata fuori asse rispetto alle navate. L’anomalia è causata dalla preesistenza della torre campanaria, più antica della fondazione della chiesa di circa un secolo, comunicante mediante una porta col tempio stesso. Sopra questa porta e a quella speculare, che immette nella sacrestia cinquecentesca, vi sono alcuni affreschi: alla base del campanile è raffigurato il Martirio di san Bartolomeo, mentre sul lato opposto compaiono lacerti poco leggibili. La scena del martirio è impostata diagonalmente: il santo è legato al centro della stanza su una panca e, mentre due persecutori lo stanno squartando, un angelo ai suoi piedi gli riattacca le membra. L’affresco è opera di un pittore lombardo dell’ultimo quarto del XV secolo, che raffigura la scena con un linguaggio popolare, funzionale a esigenze devote. Sull’arcone che divide il presbiterio dalla navata centrale sono scavate tre nicchie in cui sono collocate delle statue marmoree settecentesche: al centro, all’altezza della chiave di volta, si trova l’Assunta, a cui è dedicato l’edificio sacro a partire dalla fine del Cinquecento; ai lati, al livello delle imposte della volta, sono posizionate le statue di Sant’Andrea apostolo, primo dedicatario della chiesa, e San Giovanni Crisostomo, patrono della città. Delle tre sculture si ignora l’autore, ma tradizionalmente si afferma che siano un dono del Provveditore di Venezia pentitosi delle angherie a cui sottopose

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Interno.

gli asolani. Tale ipotesi prese vigore in seguito a una tradizionale interpretazione dell’iscrizione “DDDDT” scolpita sotto la statua dell’Assunta, letta come “Dono Dato Da Donator Tiranno”. Un secondo parere più autorevole vede nelle lettere il seguente messaggio: Decreto Decurionum Dono Dederunt Testamento (Con decreto degli ammini-

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stratori diedero in dono per testamento), designando con tali parole la pubblica esecuzione di un lascito testamentario. I documenti in nostro possesso sembrano attestare che queste sculture vennero realizzate per essere poste sull’altare maggiore, ricostruito su iniziativa dell’arciprete Luigi Civran nel 1748. La stessa epigrafe dedicatoria dell’altare ricorda la sua intitolazione a Maria Assunta e ai santi Andrea e Giovanni Crisostomo. Alla morte del prelato venne loro assegnata l’attuale collocazione, anche a causa dell’oscuramento del coro che la loro mole provocava. L’altare maggiore, in pregevoli marmi policromi intarsiati, divide la zona absidale in due vani: in quello posteriore è collocato un coro ligneo tardo cinquecentesco e in quello anteriore è ubicata la cattedra del presidente, ricordo dei privilegi liturgici degli abati locali.

Martirio di san Bartolomeo, transetto sinistro.

L’altare attualmente utilizzato per la celebrazione proviene dalla chiesa dei Disciplini ed è un’opera lignea di gusto barocco, che riporta nello scudo al centro della mensa il motto Charitas, proprio di san Francesco di Paola, frate fondatore dell’Ordine dei Minimi, cui l’altare era dedicato. Sotto la mensa è collocata la lapide settecentesca commemorativa di Giovanni Battista Badoer, patrizio veneto divenuto abate di Asola negli anni 1768-85. Nell’iscrizione si ricorda l’atto di carità compiuto dal presule: il cospicuo lascito dei suoi beni ai poveri locali. Il presbiterio si completava con il coro ligneo intagliato e un crocifisso. Quest’ultimo con ragionevole probabilità venne realizzato attorno al 1575 dallo scultore bresciano Giovanni Maria Piantavigna. L’opera ha avuto una vicenda singolare. Essa non è più

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collocata in Cattedrale, ma si trova nella chiesa parrocchiale di Barchi, essendo stata venduta dalla fabbriceria nel 1854, senza una reale comprensione del suo valore artistico. Gli stalli del coro risalgono agli ultimi anni del XVI secolo e presentano una bizzarra decorazione a figure mostruose di gusto manierista. Il complesso ha subito alcune integrazioni in eleganti forme neoclassiche all’inizio dell’Ottocento. Completa la decorazione del presbiterio un rosone ottagonale del 1860, ornato con una vetrata raffigurante gli Angeli che portano gli strumenti della Passione, dipinti da Giovanni Bertini, lo stesso artista che realizzò alcune vetrate del duomo di Milano. Tale rosone fu acquistato a cura della fabbriceria locale dalla famiglia Bevilacqua di Brescia, che inizialmente intendeva porlo come decoro nella propria cappella cimiteriale.

Il Polittico della Madonna della Misericordia, capolavoro artistico del Quattrocento, spicca alle spalle della mensa eucaristica, sul maestoso altare maggiore barocco. Si compone di ventisette tavole lignee di diverse dimensioni e prende il nome dalla tavola centrale della Madonna che allarga il manto per accogliere i devoti in preghiera. I pannelli dipinti a tempera sono raccolti in un’unica struttura armonica di 460 cm per 323 cm. In essa compaiono: una predella, due ordini principali composti ciascuno da cinque tavole di grosse dimensioni e, come elementi culminanti, cinque cuspidi a goccia. Nel corso dei secoli l’opera ha conosciuto numerose collocazioni all’interno della Cattedrale, tanto che già in uno scritto del 1790, il Diario della città e diocesi di Asola, si afferma che dall’abside venne rimossa per essere sostituita con una pala raffigurante l’Assunzione. Le immagini sacre ritratte raffigurano santi e sante cari agli asolani che li veneravano anche con altari e chiese a loro dedicati. Nell’ordine inferiore, la tavola centrale rappresenta la Madonna della Misericordia che protegge sotto il suo manto alcuni personaggi, mentre due angeli le posano sul capo una corona e alcuni santi la attorniano. A sinistra di questa tavola si trovano Sant’Andrea e San Lorenzo con i propri attributi iconografici, ovvero gli strumenti che li portarono al martirio: la croce decussata per il primo e la graticola per il secondo. A destra della tavola centrale sono raffigurati San Marco con il leone, in omaggio a Venezia, città da cui Asola dipendeva politicamente, e San Sebastiano trafitto dalle frecce, invocato contro la peste insieme a San Rocco. Nell’ordine superiore campeggia la scena della Crocifissione in cui, ai piedi della croce, si notano la Madonna, Maria Maddalena e san Giovanni evangelista. Nello scomparto a sinistra è rappresentato un Santo vescovo, per alcuni identificabile in san Giovanni Crisostomo, patrono cittadino, per altri in sant’Erasmo. Quest’ultimo, raffigurato con la barba e le insegne vescovili, era particolarmente venerato ad Asola, tanto da essere dedicatario della seconda chiesa cittadina, oggi Teatro Sociale. A sinistra del santo vescovo si trova Sant’Antonio abate, protettore delle stalle e dei raccolti. Nello scomparto a destra della Crocifissione è rappresentata Sant’Agata, con una tenaglia, una mammella strappata e un rametto di palma, simbolo del martirio. Il suo culto si diffuse ad Asola perché venne invocata la sua protezione durante un rovinoso incendio. Nel Diario della città e diocesi di Asola, al giorno 5 febbraio 1790, si legge infatti: «S. Agata Verg. Mart. Festa di voto della città per la liberazione da un gravissimo minacciante incendio nell’anno 1426». Infine si vede San Rocco, ritratto col bastone e le vesti del viandante.

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Madonna della Misericordia, polittico della Misericordia. Sant’Andrea, polittico della Misericordia.

La predella su cui poggia l’intero Polittico è creata con un’architettura lignea di forma gotica per la tipologia degli archetti che, come finestre, lasciano affacciare gli Apostoli. Questi ultimi sono identificabili dalle iniziali dei loro nomi, scritte in greco a fianco di ognuno, e sono ritratti mentre sorreggono un cartiglio, che riporta un versetto del Credo. La parte più alta è formata da cinque cuspidi a goccia, raffiguranti al centro l’Eterno Padre e ai lati quattro dottori della Chiesa occidentale: Sant’Agostino, San Gregorio Magno, San Girolamo e Sant’Ambrogio. L’opera ha una duplice lettura: dall’alto verso il basso e viceversa. Il messaggio che si legge partendo dall’alto esprime il senso della rivelazione e della storia salvifica: la benevolenza di Dio verso l’umanità si manifesta nel sacrificio della croce del suo Figlio Gesù; dalla morte-risurrezione di Cristo viene generata la Chiesa, rappresentata simbolicamente da Maria e fondata sugli apostoli. La Chiesa è custode, testimone e messaggera di quanto ha ricevuto in dono dal Signore; l’accoglienza della rivelazione-salvezza

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di Dio da parte degli uomini genera la santità ed ecco appunto le tavole laterali con i santi. Pertanto, se questo è il senso dell’azione salvifica di Dio, noi uomini siamo esortati a percorrerlo “dal basso verso l’alto”, per giungere a Lui. Siamo cioè chiamati a far parte della Chiesa, ad accoglierne la testimonianza di fede (il Credo), ad affidarci alla protezione e all’intercessione di Maria, per giungere a condividere il mistero di Cristo (morte e risurrezione), unica via al Padre. I santi, come esempi, testimoni e intercessori, accompagnano questo impegnativo cammino di ascesa verso l’eternità (tavole laterali). Pur essendo un’opera di grande valore artistico, il Polittico non è datato né firmato, per cui sono comparse nei secoli varie attribuzioni e diverse datazioni. La fonte locale delle Historie Asolane di Ludovico Mangini attesta che già nel 1488 gli amministratori cittadini, citati nei documenti col titolo di deputati asolani, intendessero far dipingere una pala per ornare l’altare maggiore della Cattedrale: si ipotizza che si tratti proprio del Polittico. Per quanto riguarda la paternità dell’opera vi sono diversi filoni attributivi.

Crocifissione, polittico della Misericordia.

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Nel 1790 il Diario Asolano lo ascrive al catalogo di Giovanni Bellini, quindi a opere di influenza veneta, per il particolare legame che si instaurò a partire dal 1440 tra Asola e la città di Venezia, in seguito alla dedizione spontanea della fortezza asolana alla Serenissima, di cui si pensa che l’opera possa essere un dono o comunque il luogo della commissione. Secondo il Longhi l’opera andrebbe inclusa tra i dipinti giovanili di Gentile Bellini, fratello di Giovanni. Le fonti critiche successive hanno attribuito la paternità dell’opera ai Vivarini. In particolare mons. Besutti sostenne la candidatura di Bartolomeo Vivarini. Afferiscono a quest’ultimo percorso attributivo le ipotesi critiche di Pacchioni, Van Marle e Cagnola, che ascrivono la raffigurazione a un ignoto vivarinesco, che adotta repertori di immagini recenti e arcaiche. Un altro filone critico assegna il dipinto a Girolamo da Cremona e inizia a spostare l’attenzione sulla scuola artistica cremonese, che aveva contatti con Mantova e quindi familiarità con le opere di Andrea Mantegna. In studi più recenti, infatti, si è accreditata, non senza qualche dubbio, l’attribuzione al pittore cremonese Antonio della Corna, che coniuga componenti derivate dalla locale miniatura con l’influenza artistica mantegnesca e, insieme a questa paternità, viene proposta la datazione del 1470-80.

Apostoli (particolare), polittico della Misericordia.

La cornice lignea richiama quella del polittico del duomo di Salò, realizzata nel 1476 e attribuita a Bartolomeo d’Isola Dovarese: compaiono in entrambe il basamento intagliato, la predella con busti di santi, due ordini di figure con lo scomparto centrale solo leggermente più elevato dei laterali, che modifica velatamente lo schema veneto tradizionale.

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L’ORGANO E IL PULPITO Volgendo le spalle all’altare maggiore, si osservano l’organo e il pulpito cinquecenteschi. Queste opere svettano nella navata centrale l’una di fronte all’altra con un unico linguaggio artistico, entrambe commissionate in più fasi al bresciano Girolamo Romanino, uno dei più originali interpreti del Manierismo.

L’organo è collocato fra gli ultimi due pilastri a sinistra della navata centrale, luogo inconsueto per questa tipologia di strumento musicale, ma motivato sia dall’acustica sia dal ciclo narrativo che lo orna. La decorazione dell’organo e le commissioni per la realizzazione dello strumento sono analiticamente documentate dai registri locali, in particolare dal Registro 64, che si trova nell’archivio storico comunale. In origine lo strumento fu commissionato ai cremonesi Carlo Tezani e Zaccaria Stroppi, con un contratto datato 30 agosto 1515: essi avrebbero dovuto costruire rispettivamente lo strumento e la cassa. Per motivi non accertati il 3 settembre dell’anno successivo si esonerarono i cremonesi dall’incarico e gli amministratori asolani stipularono un nuovo contratto, con il quale la costruzione dell’organo fu affidata a due bresciani: lo strumento a Giovan Battista Facchetti di Brescia, l’intaglio della cassa e della cantoria a Clemente Zamara da Chiari, che in quegli anni risiedeva a Canneto sull’Oglio, un paese limitrofo ad Asola. I due ricevettero precise richieste da parte dei committenti: il Facchetti doveva realizzare lo strumento con un registro in più rispetto a quello della cappella di Santa Maria del duomo di Mantova, lo Zamara doveva modellare la cassa sul prototipo di quella di Santa Maria in Organo a Verona e, per quanto riguarda la cantoria, doveva eseguire il disegno di Giovanni Antonio da Asola. Il Facchetti entro il 15 aprile del 1520 realizzò come da contratto lo strumento, che fu però danneggiato da un fulmine e sostituito nel 1575 da un organo di Graziadio Antegnati; da ultimo, nel 1823, i fratelli Serassi lo ricostruirono conferendogli le pregevoli caratteristiche foniche che tuttora conserva. Lo Zamara ultimò l’intaglio probabilmente entro il 1524. Infatti il 30 ottobre di quello stesso anno gli amministratori locali, a conclusione del complesso decorativo, gli commissionarono l’esecuzione di due statue lignee per un’Annunciazione che doveva incorniciare superiormente l’organo. Essa si componeva di un’Annunciata e di un Angelo annunciante da collocare ai due lati del Dio Padre, che era già stato intagliato. Di tali opere resta soltanto l’Annunciata conservata nel Museo parrocchiale presso il Museo civico “G. Bellini”. Secondo un’altra interpretazione, in tale opera si potrebbe identificare Maria Maddalena, che andrebbe a corredo del gruppo di statue del Compianto del Cristo morto, sempre realizzato dalla mano di Clemente Zamara. Le ante dell’organo sono decorate sia all’interno sia all’esterno e furono commissionate al Romanino il 1° dicembre 1524 dai deputati cittadini, che stabilirono i soggetti da rappresentare secondo un tema tipico del lessico cinquecentesco. L’immagine interna dell’anta sinistra è tratta dal mondo classico e rappresenta L’apparizione della Vergine col Bambino ad Augusto e alla sibilla Tiburtina. La scena ritrae il fatto leggendario accaduto a Roma sul colle dove ora sorge la chiesa di Santa Maria

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Interno.

in Aracoeli e si ispira al testo della IV Egloga di Virgilio, riletta in termini umanistici come annuncio dell’avvento di Cristo. La leggenda è riportata nel testo Mirabilia Urbis Romae, dove si legge che i senatori volevano venerare Ottaviano Augusto come una divinità, perché ogni sua azione era stata positiva ed era riuscito a pacificare il mondo. Ottaviano allora chiese consiglio alla sibilla Tiburtina che, dopo un digiuno di tre giorni, si pronunciò con le seguenti parole, rievocate anche dal poema virgiliano: «Dal cielo verrà un re per i secoli futuri, veramente presente nella carne, per giudicare il mondo». Al termine della profezia, si udì dal cielo un’altra voce: «Questo è l’altare del Figlio di Dio». In quel momento Ottaviano si inginocchiò e adorò Cristo venturo. Lo stesso Ottaviano poi avrebbe narrato ai senatori la sua visione avvenuta presso il Campidoglio e proprio in quel luogo fece costruire l’altare per il Figlio di Dio: la chiesa edificata si chiamò, in ricordo del fatto prodigioso, Santa Maria in Aracoeli. L’altra anta interna ritrae la scena tratta dall’Antico Testamento del Sacrificio di Isacco, un episodio che prefigura il sacrificio di Cristo. La raffigurazione dispone i personaggi su due piani: in alto, al centro della tela, sulla cima del monte Moria, si sta compiendo il sacrificio e un angelo interviene a bloccare la mano di Abramo che sta per colpire il figlio. Ai piedi del monte, in basso, tra una natura appena abbozzata, i servi assonnati attendono che Abramo compia il suo sacrificio a Dio. I padri della Chiesa hanno visto nel sacrificio di Isacco la prefigurazione della Passione di Gesù, mentre nel sonno dei servi si ravvisa l’analogia con quello degli apostoli nell’orto degli Ulivi. La scena si svolge in un assetto prospettico denso di valore simbolico: i tre servitori, invece dei due del testo biblico, sono ritratti nella posizione di riposo ai piedi del monte e sem-

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Girolamo Romanino, L’apparizione della Vergine col Bambino ad Augusto e alla sibilla Tiburtina, organo. Girolamo Romanino, Sacrificio di Isacco, organo.

brano estranei al dramma che si svolge sull’altura. In alto le figure di Abramo e del figlio, che sta per essere sacrificato, sono raffigurate in modo prospetticamente sproporzionato rispetto all’angelo che blocca il gesto della mano del patriarca. Si vuole così dare risalto alla creatura spirituale attraverso le sue dimensioni amplificate, per esprimere graficamente la forza dell’intervento salvifico divino nel dramma umano. Nelle ante esterne sono raffigurati Sant’Andrea e Sant’Erasmo. I due santi sono identificati dalle iscrizioni sottostanti e caratterizzati dai rispettivi attributi iconografici: la croce per sant’Andrea, le insegne vescovili e l’argano per sant’Erasmo. Secondo il contratto la fornitura sarebbe dovuta avvenire entro la Quaresima del 1525, ma dai documenti relativi ai pagamenti si desume un ritardo nella consegna: il noleggio per il trasporto delle tele venne saldato il 28 luglio 1525 e al pittore vennero corrisposte

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Girolamo Romanino, Sant’Andrea, organo. Girolamo Romanino, Sant’Erasmo, organo.

125 lire planet solo dopo il collaudo dell’opera, avvenuto il 28 settembre 1525 da parte di Cristoforo de Leno, architetto già menzionato a proposito dell’esterno della Cattedrale. La cantoria lignea si presenta come una balaustra aggettante sia sulla navata centrale sia su quella laterale sinistra. Sul lato della navata centrale essa è analiticamente intagliata e decorata, mentre sulla navata laterale è più sobria e non presenta intagli. È ornata da un ciclo pittorico che si compone di trentaquattro tavole lignee e rappresenta diversi soggetti: dieci sibille, undici profeti e dodici tavole di dimensioni più grandi, disposte sul fianco e sul retro, raffiguranti santi localmente venerati e una Madonna col Bambino collocata al centro sul retro della cantoria. Tutte queste tavole, insieme alla doratura del poggiolo che le doveva incorniciare e agli affreschi delle spalle sostenenti l’organo, furono realizzate dal Romanino, dietro commissione dei deputati asolani, datata 5 giugno 1526. Egli eseguì questo ciclo decorativo entro la data del collaudo attestato al 27 ottobre 1526. La raffigurazione delle sibille nelle chiese è una particolarità propria del periodo: nessuno scandalo se figure pagane campeggiano in una chiesa cristiana, in quanto vanno

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Arco e cantoria, organo.

lette, come del resto i profeti, nell’economia della storia della salvezza umana. Le sibille sono ritratte nella maggior parte dei casi con dei cartigli in mano e, alla base delle nicchie in cui sono inserite, compaiono delle iscrizioni di motti in latino, che hanno la funzione di preannunciare l’avvento di una Madre e di un Bambino prodigioso. È lo stesso lieto annuncio che viene portato dalle parole dei profeti nell’Antico Testamento e che si concretizza con la nascita di Gesù e con i moderni annunciatori del Vangelo: i santi. Così nel Medioevo sorse l’idea, suggestiva ma errata, che i profeti biblici avevano avuto il compito di preparare il popolo ebraico alla venuta del Messia, mentre la misericordiosa bontà di Dio aveva inviato le sibille a predisporre anche i popoli pagani allo stesso annuncio. Durante il Rinascimento tale ipotesi si rinforzò, anche perché le ispirazioni attenenti al mondo classico vennero reinterpretate in funzione cristiana, trovando particolare fortuna artistica. Le nostre sibille indossano lunghe vesti con ampi panneggi i cui chiaroscuri, insieme alle torsioni dei busti, danno tridimensionalità e movimento alle immagini: ognuna è effigiata in una posa diversa, con un’acconciatura originale. Sul fronte, a partire dal lato sinistro, sono ritratte nell’ordine le Sibille Tiburtina, Ellespontica, Eritrea, Frigia, Cumana, Samia, Agrippa, Libica, Delfica e Persica. I Profeti, dipinti dopo le sibille pagane a partire dal centro della cantoria come una narrazione lineare secondo la cronologia storica, sono: Isaia, Michea, Abacuc, Aggeo, Malachia, Daniele, Geremia, Ezechiele, Zaccaria, Osea e Gioele. Tutte le sibille e i profeti, a eccezione delle sibille Libica, Persica ed Eritrea, impugnano un cartiglio bianco con qualche segno nero che ne simboleggia il contenuto. Sotto ogni

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Girolamo Romanino, Sibilla Persica, organo. Girolamo Romanino, Sibilla Delfica, organo.

Girolamo Romanino, Profeta Abacuc, organo. Girolamo Romanino, Profeta Isaia, organo.


sibilla e profeta è posta un’iscrizione, che allude all’avvento di Cristo e alla sua nascita da Maria Vergine. I profeti sono delineati in varie pose, poco classiche, e sono ritratti con i piedi nudi: Michea è visto di profilo, Malachia mentre si sta muovendo, Aggeo è chinato nella posizione di leggere un cartiglio che tende con le braccia, Gioele assume un’aria statuaria. Lo stile è quello della deformazione espressionista dei volti e della rapidità dei personaggi tracciati in movimento: le figure sono compresse e avvitate. Il supporto ligneo viene utilizzato come elemento di colore e le figure delineate entro nicchie reali e dipinte, talvolta subiscono torsioni tali da debordare dagli spazi, rievocando personaggi mantegneschi.

Girolamo Romanino, Madonna col Bambino, organo. Girolamo Romanino, San Rocco, organo.

Le immagini posteriori, di minor raffinatezza ma di maggiori dimensioni, partono da San Giovanni Battista e raffigurano i santi dedicatari di chiese, conventi e altari in Asola: Sant’Antonio di Padova, Santa Chiara, San Francesco, San Pietro, Sant’Andrea, Madonna col Bambino, San Marco, San Rocco, Sant’Erasmo, San Lorenzo, San Giuseppe e un Santo vescovo. Ogni santo è ritratto con un attributo iconografico che lo contraddistingue e lo identifica. Alcuni di loro debordano dallo spazio della nicchia, come eco delle opere di Mantegna: san Pietro e sant’Erasmo con un piede, sant’Andrea con la croce, san Rocco per il cane, san Lorenzo per la graticola e Maria con il manto. Fa parte della stessa commissione anche quella di due tavole lignee dipinte a olio, poste

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alla base delle lesene che fiancheggiano la fronte dell’organo. In esse sono ritratti a mezzo busto due personaggi che indossano berretti neri e vesti scure, da cui emerge un colletto bianco. I volti sono visibili solo se ci si porta a fianco della tastiera dello strumento musicale: quello sulla lesena sinistra mostra un uomo di profilo, di mezza età, dalla barba nera, mentre quello sulla lesena destra ne raffigura un altro dall’aspetto maturo con la barba dalle striature grigie e biancastre. Le tavole, nel catalogo della mostra dedicata al Romanino nel 1965, vengono identificate come ritratti di un sacerdote e di un laico. Due altre ipotesi sono state avanzate: la prima, dello storico Armando Bertuzzi, afferma che uno sia l’autoritratto del Romanino dipinto con la barba scura, mentre l’altro ritrarrebbe Zuan Antonio, il disegnatore del complesso organario. Alessandro Nova, curatore del secondo catalogo del Romanino, identifica invece i due personaggi nei committenti asolani dell’opera e propone i nomi dei notabili asolani Francesco de Danis e Adamino Manger(i), in alternativa alla coppia Cristoforo Martinengo e Girolamo Tirabosco, rispettivamente sindaco e amministratore di Asola. L’arco che sostiene l’organo conclude l’opera con una decorazione ad affresco di proporzione maestosa. Esternamente, nascoste dai pilastri, si scorgono due scene paesaggistiche dipinte dal Romanino: lo scorcio sui due lati mostra alcune piante e cespugli, mentre quello del lato destro lascia scorgere sullo sfondo una città fortificata, probabilmente Asola. Completano il ciclo pittorico gli affreschi di quattro santi, che a coppia ornano le spalle dell’arco sostenente l’organo.

Girolamo Romanino, Ritratto di sacerdote, organo. Girolamo Romanino, Ritratto di laico, organo.

San Paolo e San Pietro decorano il fronte del sottarco e sono ritratti in posizione chinata con i simboli che li identificano: la spada per il primo e la pietra e le chiavi per il secondo. San Paolo è effigiato con la spada perché avversò i cristiani prima di convertirsi e poi morì a Roma decapitato. Pietro, invece, venne scelto come “pietra vivente” su cui

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Girolamo Romanino, San Pietro, organo.

Girolamo Romanino, San Paolo, organo.


Girolamo Romanino, Elia, organo.

Girolamo Romanino, Mosè, organo.


costruire la Chiesa e a lui è stato conferito il potere di aprire le porte del Regno. Inoltre i santi Pietro e Paolo ricordano la Santa Sede, cui l’arcipretura di Asola era immediatamente soggetta fino al 1818. Sul retro del sottarco sono ritratti Elia e Mosè: il secondo si appoggia col braccio destro sulle tavole della legge, mentre il primo indica una tavola di legno. Quest’ultimo attributo iconografico probabilmente rappresenta il simbolo della sfida biblica sostenuta da Elia contro i sacerdoti di Baal (1Re 18,40): egli, infatti, dimostrò la potenza di Dio accendendo con la preghiera una pira di legna verde bagnata, mentre i sacerdoti non riuscirono ad affrontare la prova. Queste due figure vengono associate perché riassumono in sé i due aspetti essenziali dell’Antico Testamento: la Legge e la profezia. Nell’episodio evangelico della Trasfigurazione sono, infatti, Mosè ed Elia ad apparire al fianco di Gesù, a significare che in Cristo si compie l’antica alleanza del popolo d’Israele e si apre la nuova alleanza rivolta a tutti gli uomini. Tutti e quattro i personaggi sono delineati con forme monumentali, con contorcimenti che generano movimento e intensi chiaroscuri. Si notano nei colori utilizzati i richiami ai modelli artistici veneti: in particolare l’uso dei colori bianchi, dei verdi-azzurri e dei rosati imperlati di luce, che rendono espressivi gli incarnati delle figure. Inoltre nell’intensità psicologica con cui sono indagati gli sguardi e i lineamenti del viso delle quattro figure si ravvisa un influsso del pittore contemporaneo Moretto, con cui il Romanino si confrontava nelle numerose committenze bresciane. I pilastri su cui poggia la volta sono ornati nella parte inferiore da oculi contenenti decorazioni a monocromo ridotte al solo disegno. Sul fronte, a sinistra, nel 1965 il critico d’arte Panazza aveva visto un “ignudo femminile”, ma oggi l’immagine è illeggibile; a destra si scorgono soltanto i lineamenti di un uomo che indossa una veste corta. Nelle pareti interne dei pilastri sono rappresentati due tondi: in quello di sinistra è delineato l’episodio del Battesimo di Cristo, mentre in quello di destra la scena è illeggibile. L’immagine del battesimo si giustifica con il fatto che il battistero un tempo era collocato nel sottarco dell’organo. L’ubicazione era del tutto insolita, tanto che san Carlo Borromeo nella sua visita apostolica del 1580 voleva farlo spostare nella cappella di sant’Antonio, già del Corpus Domini. Tali affreschi sono slegati stilisticamente dagli altri e vengono assegnati a Giovan Battista Osma. Un documento di pagamento del 1599 ricorda infatti il compenso da lui ricevuto per dipinti eseguiti sul fronte e sul retro della struttura organaria.

Il pulpito, addossato al pilastro a fascio della cappella dell’Immacolata Concezione, si compone di una copertura, detta capocielo, e di una struttura lignea simile a un balcone esagonale, rivestita da sei pannelli e raggiungibile con una scala in pietra. La pregevole decorazione ne sottolinea l’importanza, in quanto luogo dell’annuncio della Parola mediante la predicazione. In origine l’opera venne commissionata nel 1516 agli artisti Giacomo Della Valle e Zambon Vallata, ma non fu eseguita. Dieci anni più tardi si stipulò quindi un nuovo contratto: il 27 ottobre 1526 la comunità di Asola, rappresentata da Francesco de Dadi, Agostino Turco e Giovan Filippo Ravani, ingaggiò il Romanino anche per la decorazione del pulpito. Gli asolani, infatti, soddisfatti per l’esecuzione degli ornamenti dell’organo, decisero di affidargli anche questa importante commissione. Gli venne

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richiesta la decorazione di sei tavole definendone i soggetti: quella centrale doveva raffigurare un Cristo risorto con un cartiglio in mano, mentre i quattro pannelli ai suoi lati i dodici apostoli, tre per ogni quadro. Non si stabilì, invece, il soggetto dell’ultima tavola a chiusura del pulpito, dove venne ritratto un san Marco con il leone. Il Romanino eseguì le tavole commissionate e, vista la fitta documentazione di pagamenti tra il dicembre 1535 e quello dell’anno successivo, dovrebbe averle decorate in quel periodo, anche se il saldo per l’opera prestata gli venne conferito soltanto nel 1543.

Girolamo Romanino, Cristo Risorto con un cartiglio, pulpito.

Al centro del parapetto appare il Cristo risorto con un cartiglio su cui è riportato l’invito ad evangelizzare: Ite et predicate Evangelium omni creature. Nei quattro pannelli, a destra e a sinistra rispetto alla raffigurazione del Cristo, sono dipinti i Dodici apostoli a gruppi di tre, compressi nelle tavole e in movimento. Nell’ultima, a chiusura del pulpito, è raffigurato San Marco evangelista seduto a fianco del leone. Tale soggetto non stupisce se si richiamano sia il legame politico-amministrativo degli asolani con Venezia, di cui San Marco è patrono, sia il chiaro riferimento al capitolo conclusivo del suo Vangelo (Mc 16,15). Quest’ultimo rappresenta per certi versi la chiave di lettura del ciclo pittorico del pulpito: il versetto di invito a evangelizzare, pronunciato da Gesù, viene riportato sul cartiglio del pannello centrale e diventa un’esortazione per i fedeli di tutte le epoche. Le figure sono pitturate a macchia e la disgregazione della forma, come per i mosaici, può giovarsi dell’effetto distanza, per ricomporsi in una visione d’insieme arricchita dal punto di vista luministico, spaziale e dinamico. In questa fase il Romanino si allontana dal modello morettiano e dipinge immagini con una forza quasi caricaturale e sproporzionata: le teste degli apostoli sono più grandi dei corpi tozzi. Vi sono, inoltre, analogie

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Girolamo Romanino, Apostoli, pulpito.

nei colori utilizzati e nelle forme dei soggetti tra i dipinti asolani e quelli del Romanino a Breno e Pisogne. Il progetto decorativo si protrasse nel tempo, in quanto gli artisti che cooperarono a vario titolo nell’iniziativa dovettero assentarsi dal cantiere. Il pittore Zuan Antonio da Brescia intagliò e dorò il capocielo applicandovi delle rosette negli anni 1532-33. L’intervento piacque molto, tanto che l’anno successivo si stabilì sia di abbellire il pulpito, dorandolo come la cantoria dell’organo, sia di affrescare fino a terra il pilastro su cui poggiava. L’intaglio del pulpito fu affidato a Clemente Zamara. Nel 1535 tuttavia si verificò un imprevisto: Zuan Antonio da Brescia se ne andò coi disegni e si dovette cercare un nuovo disegnatore. Venne incaricato Pedrino Picapreda, che produsse un progetto non apprezzato. Gli asolani pagarono l’artista, ma rifiutarono l’opera. Il compito di realizzare il disegno passò allora all’artista Giacomo Filippo Piazzone, detto Vanù, che ne realizzò la versione definitiva. Questa venne eseguita dallo Zamara, in parte a Canneto ove risiedeva e in parte ad Asola, ultimando il lavoro nel 1536. Infine il pulpito venne dorato da Corrado da Salò e dal Piazzone nel 1537. Al Romanino si devono anche la decorazione a finto marmo della base del pulpito e l’affresco dell’Ecce Homo sul pilastro. Quest’ultimo presenta Gesù incoronato di spine, ritratto a mezzo busto, col volto reclinato, le mani legate che stringono una canna e le spalle avvolte in un manto purpureo. L’immagine richiama quella realizzata dallo stesso autore nel duomo di Cremona: per creare il suggestivo risultato a livello di realizzazione luminosa, l’artista sfrutta la trasparenza dello smaltino ad acqua di calce, alternando l’intonachino bianco a parti realizzate su superfici variamente colorate.

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Girolamo Romanino, Ecce Homo, pulpito.

L’organo e il pulpito sono concepiti come un unicum iconografico. Le figure che vi sono ritratte possono essere lette in senso diacronico, come pagine della storia della salvezza. La redenzione umana fu preparata e annunciata al popolo ebraico e ai popoli pagani dai profeti e dalle sibille. Il sacrificio di Isacco e la visione di Augusto anticipano e prefigurano la vicenda di GesÚ Cristo, che trova il compimento nella sua morte e risurrezione. Gli apostoli sono inviati ad annunciare a ogni uomo la salvezza donata da Cristo e i santi che fioriscono nella storia della Chiesa sono il segno piÚ evidente della presenza e dell’azione di Dio nel mondo.

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IL TRANSETTO SINISTRO Cappella della Madonna della Misericordia

Cappella della Madonna della Misericordia, transetto sinistro.

Alla sinistra del presbiterio, nella testata del transetto, si colloca la cappella della Madonna della Misericordia, originariamente dedicata ai santi Fermo e Girolamo. Questo altare era detto anche della confraternita dei Disciplini Bianchi, perchĂŠ affidato alla loro cura, insieme alla locale chiesa di Santa Maria della Misericordia. Esso trova la sua posizione attuale a partire del 1580, quando san Carlo Borromeo volle che gli altari dei transetti venissero spostati dalla loro originaria localizzazione sul muro della sacrestia e del campanile, per essere edificati nella testata. Tale modifica strutturale potĂŠ comunque essere eseguita solamente dopo la chiusura dei finestroni gotici e degli ingressi laterali ubicati nelle testate dei transetti, mentre i nuovi, quelli oggigiorno utilizzati, vennero aperti nelle pareti occidentali dei transetti stessi.

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La cappella è ornata da un polittico ligneo cinquecentesco dedicato alla Madonna, incorniciato a sua volta da una preziosa struttura del XVII secolo e da un altare in marmi policromi. Il Polittico scultoreo cinquecentesco è ascritto a Clemente Zamara. A favore dell’attribuzione sono i profili secchi e taglienti delle figure, così come l’insistito andamento parallelo, che prevale nei panneggi delle vesti e che si ripropone nelle capigliature e nelle barbe dei personaggi. Inoltre nel 1532 lo stesso Zamara, che esercitava anche la professione notarile, aveva rogato un testamento con il quale Tonino Dati disponeva un lascito da impiegarsi nella costruzione di questo altare.

Clemente Zamara, Polittico scultoreo, cappella della Madonna della Misericordia.

Il Polittico presenta al centro la Madonna in trono con Bambino e ai suoi lati, entro due nicchie con colonnine decorate da girali a tralcio di vite, i Santi Girolamo e Fermo, dedicatari dell’altare. Nel secondo ordine sono collocate le statue a mezzo busto dei Santi Pietro e Paolo, mentre la cimasa è costituita da una lunetta in cui compare il busto di un Cristo in pietà. Un furto avvenuto nel 1980 ha privato il polittico delle statue originali dei santi Girolamo e Fermo e del Bambin Gesù: quelli attualmente visibili sono copie, simili a quelle asportate. La cornice esterna del polittico venne realizzata negli anni Set-

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tanta del Seicento da Gaspare Bianchi di Pavone Mella, autore anche degli intagli lignei che ornano l’altare del Santissimo Sacramento, collocato nel transetto destro. Essa è composta da due colonne corinzie laterali rastremate, che sostengono un timpano spezzato sormontato da tre statue: la Madonna in trono al centro e ai lati i Santi Domenico e Francesco, cultori rispettivamente del rosario e della devozione all’Immacolata. La loro datazione al 1630 è desumibile dall’iscrizione posta sul gradino del trono della statua della Vergine, mentre l’autore rimane ignoto. Tuttavia esse risultano di fattura molto simile a quelle che ornano il timpano dell’altare del Santissimo Sacramento, dalla parte opposta del transetto, eseguite nel 1650 dall’intagliatore bresciano Bernardo Rivolta. Una seconda interpretazione vede nel santo identificato tradizionalmente con Domenico, il beato Pietro Gambacorta, fondatore dei girolamini in Italia. Tale ipotesi è suffragata dall’abito grigio con lo scapolare nero, proprio dell’ordine girolamino, e dal libro della Sacra Scrittura che il santo meditava profondamente e che nella scultura porta stretto a sé nella mano sinistra. L’altare marmoreo della cappella venne edificato nel 1732 per volontà dei coniugi Giacomo e Maddalena Marinoni, ricordati sia nell’iscrizione posta a lato dell’altare sia nelle statue di San Giacomo apostolo e di Santa Maria Maddalena penitente, ai lati della statua della Vergine col Bambino nel paliotto dell’altare. A destra dell’ingresso della cappella di San Giovanni Crisostomo è collocato un quadro seicentesco raffigurante la Crocifissione, tradizionalmente ascritto a Guido Reni. Il dipinto, donato alla città di Asola nel 1824 dal conte Paolo Tosio, in realtà non è firmato e costituisce una pregevole replica della celebre tela eseguita nel 1617, ora alla Pinacoteca nazionale di Bologna. Sulla stessa parete, sotto al quadro della Crocifissione, sono visibili due affreschi quattrocenteschi raffiguranti il Martirio di san Simonino e Sant’Alberto degli Abati, uniti da una cornice rossa che li inquadra. Gli affreschi sono della seconda metà del XV secolo, ancora legati a stilemi tardogotici di gusto popolare, piuttosto rigidi e legnosi. Sant’Alberto, patrono e protettore dei Carmelitani, è rappresentato a figura intera con il saio carmelitano. La sua devozione, insieme alla sua iconografia, si spiegano in relazione al culto della Madonna del Carmine venerata dai Disciplini Bianchi, che esercitavano il giuspatronato della cappella. Senza dimenticare la motivazione legata all’impegno del santo nella conversione degli ebrei al cristianesimo.

Madonna in trono tra i santi Domenico e Francesco, cappella della Madonna della Misericordia.

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In riferimento alle relazioni con la comunità ebraica è anche la raffigurazione del Martirio di san Simonino. Il dipinto rievoca un tragico episodio avvenuto a Trento nel 1475, riguardante il presunto martirio di un bimbo cristiano di nome Simonino a opera di ebrei. La vicenda si colloca alla vigilia della Pasqua ebraica di quell’anno. Nelle vicinanze dell’abitazione-sinagoga di un israelita di origine tedesca fu ritrovato il corpo martoriato di un bambino cristiano di due anni, figlio di un modesto conciapelli. In modo del tutto arbitrario vennero individuati come esecutori dell’orribile gesto gli uomini più in vista della comunità ebraica. La sentenza fu esemplare: condanna a morte per gli imputati e, come conseguenza, cacciata degli ebrei da Trento. La devozione popolare verso Simonino si diffuse non solo nel Trentino, ma si propagò anche in provincia di Brescia e laddove esistevano comunità cristiane a contatto con quelle ebraiche. Non si mancò di attribuirgli miracoli e di invocarlo come protettore dei bambini, finché nel 1965 si riconobbero le gravi lacune del processo e l’infondatezza delle accuse a carico degli indagati. Anche la Chiesa prese atto delle ricerche storiche e deliberò di porre fine al culto del beato.

Martirio di san Simonino e Sant’Alberto degli Abati, transetto sinistro.

L’affresco si spiega alla luce della presenza ad Asola di una comunità ebraica, che esercitava la malvista attività di prestito di denaro dietro il pagamento di interessi. D’altra parte l’esistenza di un banco dei pegni garantiva un importante sostegno per le attività economiche e per le necessità della vita quotidiana di chi versava in condizioni difficili. Il dipinto è leggibile, pur non essendo in buono stato di conservazione: al centro della scena il piccolo martire con le braccia allargate (come se raffigurasse una croce umana) ha una benda attorno al collo, i cui lembi sono tenuti saldamente da un aguzzino. Altri sei aguzzini sono disposti simmetricamente ai lati a coppie di tre e contribuiscono a immobilizzare il bimbo e a reggere gli strumenti del martirio: le tenaglie e un coltello. In secondo piano si notano due porte ai lati della scena per attestare che il martirio avviene all’interno di un ambiente chiuso alla vista.

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Cappella di San Giovanni Crisostomo La cappella, inizialmente dedicata ai santi Ignazio di Loyola e Teresa d’Avila, solo in seguito fu rinominata di San Giovanni Crisostomo. Venne commissionata nel 1690-92 dal canonico Giovanni Battista Redoni, che originariamente la volle come chiesetta autonoma, esterna alla Cattedrale. Da qui deriva l’anomalia della sua ubicazione: presto il Redoni si rese conto che il progetto iniziale non era attuabile e già nel 1692 dovette chiedere il permesso di rendere comunicante la cappella con quella dei Disciplini nella Cattedrale. Si arrivò a un accordo con l’obbligo però da parte del canonico di far togliere a sue spese l’affresco dell’Adorazione del Bambino e di collocarlo nella vicina chiesa dei Disciplini Bianchi. La cappella, pur essendo strutturalmente completata nel 1693, verrà benedetta solo nel 1702 dall’abate Giovanni Battista Tosio. Nel frattempo il Redoni era deceduto e vi venne sepolto. Essa è composta da due vani attigui: la cappella vera e propria e uno spazio rettangolare, separato nel 1693 da una balaustra in marmo e da una cancellata in ferro. Quest’area, pensata come sagrestia dell’originaria chiesa autonoma, fu successivamente riconvertita in battistero. Ha un ingresso autonomo nella parete del transetto ed è ornata da una pala d’altare ascritta a Francesco Paglia, raffigurante la Madonna del Carmine con i santi Ignazio di Loyola e Teresa d’Avila e un committente e da un fonte battesimale in marmo d’Asiago, adorno di rilievi geometrici, che ne permettono la datazione al XIV secolo.

Cappella di San Giovanni Crisostomo, transetto sinistro.

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La cappella si presenta a pianta quadrata con angoli smussati e copertura a cupola: è completamente rivestita di raffinati stucchi con rilievi e di affreschi che narrano episodi tratti dall’Autobiografia di sant’Ignazio di Loyola e dalla Vita di santa Teresa di Gesù. Il primo è ricordato come fondatore della Compagnia di Gesù, mentre l’altra è riformatrice dell’Ordine carmelitano, fondatrice di monasteri di Carmelitane Scalze e dottore della Chiesa. Le immagini relative ai due santi dedicatari costituiscono un vero e proprio ciclo narrativo, motivato anche dall’incisività della loro opera nell’età della Controriforma cattolica. Gli affreschi, datati con sicurezza ante 1693, sono opera di un autore anonimo e il loro filo narrativo evoca la prodigiosa capacità dei santi di essere strumenti di guarigione fisica e spirituale per chi ne invoca la tutela. La disposizione degli affreschi e il loro contenuto possono essere letti in modo speculare. Così alla sinistra dell’altare compare santa Teresa raffigurata nel registro inferiore mentre intercede per la guarigione di un invalido che la invoca e nel registro superiore mentre interviene con la sua protezione celeste, scongiurando il peggio nel momento in cui un uomo sta uccidendo la moglie. Dalla parte opposta, a destra dell’altare, nel registro inferiore sant’Ignazio si fa strumento di guarigione di un lattante grazie alle suppliche della madre, mentre nel registro superiore intercede per la vita di un moribondo. Di fronte a tali immagini, la narrazione procede raccontando due episodi legati a santa Teresa: la guarigione fisica di un uomo cieco ferito a una gamba e quella spirituale di una donna da cui i demoni si allontanano, sotto forma di neri cervi alati. E altri due che hanno per protagonista Ignazio: nel registro inferiore un uomo piegato emette liquido

Francesco Paglia, Madonna del Carmine con i santi Ignazio di Loyola e Teresa d’Avila e un committente (particolare), cappella di San Giovanni Crisostomo.

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rosso dalla bocca e viene guarito; mentre in quello superiore è ritratta la lotta spirituale contro diavoli con sembianze di mostri scuri, sconfitti e allontanati dal valore salvifico del Crocifisso. Anche le immagini dei pennacchi sono da leggere in modo speculare. Nel primo Teresa compie il miracolo di riportare in vita un bambino caduto da una scala, mentre nel secondo la santa è rapita in estasi. Quest’ultima scena la presenta mentre viene punta da un angelo sul palmo della mano, a indicare la particolare unione mistica con Gesù, e nell’atto di pronunciare le parole Cum angelis, immortalate in un fumetto circolare che esce dalla sua bocca. Negli altri due pennacchi è ritratto sant’Ignazio mentre restituisce la vita a un giovane grazie alla sua benedizione e divide due violenti contendenti.

Estasi di santa Teresa (particolare), cappella di San Giovanni Crisostomo.

Nella cupola sono affrescati altri quattro momenti salienti della loro vita, con l’artista che ha racchiuso le loro parole in originali fumetti. Teresa è raffigurata nel noto episodio di estasi in cui pronuncia le parole Amore Morior (Muoio per amore) e in un incontro mistico in cui, durante la festa dell’Assunta, riceve dalla Madonna una veste bianca, simbolo di purezza. Specularmente Ignazio è presentato nell’episodio avvenuto a La Storta, nei pressi di Roma, dove ancora oggi si trova la cappella in cui egli si fermò a pregare la Madonna perché gli ottenesse la grazia dell’approvazione della Compagnia di Gesù. Nella seconda immagine il santo esclama di voler essere liberato dal male, mentre si trova nella volta celeste circondato da una corona di cherubini. Tra questi ne spiccano due: uno ha dimensioni più grandi e porta in mano un sacchetto con una pietra, mentre un altro bendato stringe anch’egli una pietra. La scena rappresenta in generale il concetto della misericordia di Dio, che ha pesi e misure diversi rispetto a quelli umani. La narrazione dei prodigi prosegue anche nei tre affreschi del Battistero: santa Teresa, durante la santa Messa, ha il desiderio di comunicarsi e un’ostia vola prodigiosamente nella sua bocca; sant’Ignazio è ritratto mentre il 25 dicembre 1538 celebra la sua prima messa a Roma presso la chiesa di Santa Maria Maggiore, nella cappella del presepio, dove si conserva la mangiatoia di Betlemme. Infine i due sono celebrati nella gloria del cielo e sono rappresentati inginocchiati ai lati di Maria e Gesù: santa Teresa è accolta da Maria, mentre sant’Ignazio è inclinato verso Gesù Bambino. I due santi sono presenti anche nella pala d’altare di Francesco Paglia, posizionati ai

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piedi della Madonna del Carmine, circondati da angeli, che indicano la chiesa cattedrale, quasi a offrirne la protezione; mentre in basso a sinistra è ritratto un devoto, probabilmente il canonico Redoni stesso.

Estasi di sant’Ignazio (particolare), cappella di San Giovanni Crisostomo.

Nella pala compaiono due scritte: non distante da sant’Ignazio troviamo il suo motto Ad maiorem Dei gloriam (Per la maggior gloria di Dio) e vicino a santa Teresa il suo detto Aut pati, aut mori, la stessa infatti avrebbe chiesto al Signore “O di morire o di soffrire”. Di fronte a questa tela vi è quella del Martirio di sant’Innocenzo: l’opera è particolarmente rovinata e fu attribuita a un ignoto artista della scuola emiliana del XVII secolo. Un tempo l’altare sottostante conteneva la salma del santo, oggi posizionata nella cappella Daina. L’unico altare della cappella di San Giovanni Crisostomo proviene dalla soppressa chiesa degli Agostiniani e fu qui traslato nel XIX secolo. Su di esso è collocato un tabernacolo marmoreo del 1722 attualmente ornato da un’icona raffigurante l’arcivescovo di Costantinopoli. Al suo interno è racchiuso il busto-reliquiario del santo, opera in argento del 1605. Giovanni, denominato “bocca d’oro” per la prodigiosa capacità oratoria, visse tra il IV e il V secolo ed ebbe un’esistenza tribolata. Nel 398 fu chiamato a succedere al patriarca Nettario sulla cattedra di Costantinopoli: la sua attività era nota per l’apostolato attivo e l’abilità nella predicazione. Evangelizzò le campagne, creò ospedali e pronunciò sermoni con cui accusava vizi e tiepidezze, in particolare della corte. I suoi oppositori lo deposero illegalmente e lo esiliarono due volte, prima in Armenia, poi sulle rive del Mar Nero. In questo luogo presso Comana il 14 settembre 407, Giovanni morì. Teodosio il Giovane, figlio dell’imperatore romano Arcadio, fece trasferire i suoi resti mortali a Costantinopoli, dove giunsero la notte del 27 gennaio 438.

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Ed è proprio in questa data che il santo viene ancora oggi festeggiato ad Asola, con l’esposizione del busto argenteo che ne custodisce la mascella. Il tabernacolo è protetto da sei chiavistelli, le cui chiavi sono tradizionalmente conservate dal parroco e dal sindaco. I due, a nome della comunità religiosa e civile, nella giornata festiva aprono le serrature di loro competenza, per offrire la reliquia alla pubblica venerazione. Secondo una leggenda essa fu trovata del tutto casualmente il 2 marzo 1604 e sarebbe stata portata ad Asola da un religioso di passaggio, deceduto in loco: il fatto fu interpretato come un segno della volontà del santo di veder qui collocata la sua insigne reliquia. In realtà essa è attestata ad Asola sin dal 1501, quando venne posta all’interno dell’altare maggiore durante la liturgia di consacrazione, officiata proprio nella ricorrenza liturgica (secondo il calendario all’epoca vigente) di san Giovanni Crisostomo. Nella seconda metà del Cinquecento, forse a causa di un rifacimento dell’altare, fu trasferita in un tabernacolo a muro realizzato nel presbiterio e qui la vide san Carlo che ordinò lavori di abbellimento del repositorio. Infine, nel 1604 i magistrati pubblici commissionarono l’attuale reliquiario a un orefice milanese avvalendosi della mediazione del benedettino asolano Giuliano Ghirardelli. L’opera venne terminata l’anno successivo, come testimonia l’epigrafe dedicatoria incisa sul basamento che celebra la speciale devozione della comunità per l’arcivescovo di Costantinopoli. A conferma della secolare venerazione, nel 1788 l’abate Federico Maria Molin e il senato veneto riconobbero solennemente il Crisostomo quale patrono della città in sostituzione dei santi Faustino e Giovita, patroni di Brescia. Ornano inoltre la cappella sette statue di figure femminili, che grazie agli elementi con cui sono ritratte, possono essere riconosciute come le Virtù. La croce e lo specchio per guardarsi alle spalle appartengono alla Prudenza. Un cero simboleggia l’equilibrio della Temperanza; un rametto di palma è proprio della Speranza, che talvolta fa giungere il

Busto reliquiario di san Giovanni Crisostomo, cappella di San Giovanni Crisostomo.

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Carità, cappella di San Giovanni Crisostomo.

Prudenza, cappella di San Giovanni Crisostomo. Temperanza, cappella di San Giovanni Crisostomo.

credente fino al martirio; una mamma con tre bambini ritrae l’amore disinteressato verso il prossimo della Carità(collocata sopra la pala, sul lato destro della cappella). Infine le mani giunte in atto di preghiera identificano l’atteggiamento di fiducia e raccoglimento della Fede; un fiore di calla e una colonna indicano la purezza e il sostegno dato al credente dalla Fortezza. Da ultimo un libro, per l’applicazione delle sentenze della legge, è l’attributo della Giustizia.

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IL TRANSETTO DESTRO Cappella del Santissimo Sacramento

Sole di san Bernardino, transetto destro.

La cappella del Santissimo Sacramento, collocata nella testata del transetto, era in origine dedicata a san Giovanni Battista. Nel 1580, oltre alle citate modifiche strutturali nei due transetti, san Carlo Borromeo volle trasferirvi la confraternita del Corpus Domini, che avrebbe dovuto occuparsi delle decorazioni della cappella e della chiusura dell’altare, mediante un cancello in ferro. Al momento della visita, la cappella e il suo decoro erano competenza della nobile famiglia Boccalini. Il prestigio del casato era tale che, nonostante l’intervenuto divieto borromaico di tumulare i defunti in chiesa, poté erigere la tomba di Olimpia Turca, moglie di Galeazzo Boccalini, nel 1599. A corredo della tomba è posto un bassorilievo con Cristo in pietà tra due pie donne. Due affreschi tombali, precedenti al divieto di sepoltura, si trovano sulla stessa parete. Il primo è quello di Marco Antonio Marescotti, morto nel 1568, in cui l’iscrizione tombale è sorretta da due cavalli alati e sormontata da Cristo che stringe con la mano destra la croce corredata da un vessillo, simbolo della resurrezione. All’intera figura fa da sfondo un baldacchino sostenuto da due angeli, uno dei quali è coperto da una lapide del 1599, che annovera le reliquie dei santi che impreziosiscono la Cattedrale. Il secondo, in una scena che si svolge in una tenda aperta verso lo spettatore, raffigura la Vergine col Bambino sopra una tomba. Dalla lacunosa iscrizione si comprende che si tratta della morte precoce di una bambina. La scritta recita: A hac Medea Marina nep(t)is

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Cappella del Santissimo Sacramento, transetto destro.


praetoria im(m)atura/morte rapta tegitur cuius spiritus super(n)o(s) colit/pro parentibus oratur(a est) (La nipote del Capitano rapita da una morte prematura è seppellita da questa Medea Marina, lo spirito della quale onora le anime celesti, sta pregando per i genitori). Non compare alcuna data ma, viste le analogie stilistiche tra gli affreschi, si potrebbe ritenere che le opere, collocabili nella seconda metà del Cinquecento, siano frutto dello stesso pittore locale.

Pietro Ricchi, Ultima Cena (particolare), cappella del Santissimo Sacramento.

Un’altra lapide tombale è posta sopra la porta d’ingresso del transetto e celebra il medico e trattatista asolano Gian Francesco Boccalini. Infine, sulla parete a fianco della sagrestia, è collocata un’iscrizione del 1621 che ricorda il privilegio concesso da papa Gregorio XV di poter celebrare messe in suffragio dei defunti, applicandovi particolari indulgenze. L’ancona lignea fu commissionata all’intagliatore Bernardo Rivolta di Brescia, che l’11 giugno1650 fu pagato 140 lire planet per il lavoro svolto e in particolare per aver eseguito le rifiniture, come le rose dorate applicate alle colonne. Lo scultore si rivelò disonesto perché, dopo aver scoperto che il tesoriere della scuola aveva smarrito la ricevuta del primo pagamento, ne pretese un secondo. Poi, una volta ritrovata la ricevuta, il Rivolta venne querelato. In seguito le finiture della cornice lignea dell’altare furono affidate il 29 dicembre 1671 a Gaspare Bianchi, che completò i lavori l’anno successivo. L’altare marmoreo e la balaustra furono trasferiti qui nel 1860 dalla distrutta chiesa dei francescani di Asola.

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La pala d’altare rappresentante l’Ultima Cena è ascritta a Pietro Ricchi, pittore lucchese residente a Brescia, detto “il Tenebroso” per gli accentuati chiaroscuri dei suoi quadri. La sua paternità fu sostenuta fin dal 1692 dal pittore e critico d’arte Francesco Paglia. Al centro della scena compare Cristo, mentre benedice il pane ed è attorniato dagli apostoli, disposti in modo da volgere le spalle all’osservatore. La prospettiva del tavolo, rappresentato in diagonale, è anticlassica. Di schiena, in primo piano, è ritratto Giuda il traditore con un sacchetto in mano; in secondo piano, a sinistra, una finestra aperta lascia filtrare un fascio di luce innaturale, che da un lato evidenzia i servi che si sporgono da una balaustra e portano alcune vivande, dall’altro sottolinea il volto e il gesto benedicente di Gesù.

San Giovanni evangelista, Maria e santa Maria Maddalena, cappella del Santissimo Sacramento.

La pala è incorniciata da una struttura lignea a doppio ordine di colonne, che sostengono un timpano spezzato sormontato da tre statue che secondo le cronache tradizionali rappresentano le tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. In base a una seconda lettura, accreditata da un’indagine iconografica recente, si fissa l’identità delle tre immagini con quella dei personaggi biblici che si trovavano ai piedi della croce. Da sinistra verso destra sono ritratti: San Giovanni evangelista, il discepolo ricco di amore e coraggio; Maria, la madre di Gesù, in espressione afflitta, ma che fa leva sulla sua fede per affrontare la difficile prova; infine Maria Maddalena con il vaso dell’unguento. Sulla parete attigua alla sagrestia campeggia la pala cinquecentesca dell’Assunta, donata alla chiesa di Asola dal conte Ottaviano Tosio di Sorbara Asolana nel 1790. L’opera venne attribuita a Giulio Romano dal Diario della città e diocesi di Asola nel 1790; mentre la Relazione di Restauro della Soprintendenza di Mantova del 1994 propone

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Fermo Ghisoni, Assunzione, transetto destro.


l’attribuzione a Fermo Ghisoni, allievo di Giulio Romano. La pala raffigura la Vergine assunta in cielo dagli angeli, mentre nel registro inferiore gli apostoli guardano la tomba vuota e si interrogano sull’accaduto. Chiude l’insieme un’ultima lapide tombale del 1705 posta a terra davanti alla balaustra, ricordo dell’abate Giovanni Battista Tosio, che appartenne alla stessa famiglia donatrice della pala.

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LA NAVATA DESTRA Cappella di San Giuseppe

Giovanni e Bernardino da Asola, Eterno Padre, cappella di San Giuseppe.

La prima cappella è dedicata a san Giuseppe, padre putativo di Gesù, ed è ornata di immagini che lo ricordano insieme alla Sacra Famiglia. Fu eretta in seguito a un voto cittadino formulato il 19 marzo 1516, giorno della festa di san Giuseppe. In quella data infatti la città di Asola subì l’assedio dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, ma non fu conquistata, perché egli, inspiegabilmente secondo le logiche umane, rinunciò al suo intento. L’iniziativa di Massimiliano I si collocava nella fase conclusiva della guerra della Lega di Cambrai, combattuta per ostacolare l’espansione del dominio di Venezia sulla terraferma. La notizia della prodigiosa liberazione cittadina è confermata da due autorevoli fonti: le cronache locali redatte dal Ricciardi e il codice manoscritto delle Provvisioni di Asola, in cui si aggiunge il particolare della notizia del voto, che venne ratificato in tempi brevi: il 29 marzo 1516. L’opera fu ultimata due anni dopo, nel 1518. L’altare, che oggi si presenta in semplici forme settecentesche, ha il paliotto decorato con un’immagine della Sacra Famiglia in marmi intarsiati. Sopra di esso è collocata la pala dell’Adorazione dei pastori, incorniciata da due colonne lignee che sostengono un architrave e una lunetta in cui è inserito il dipinto dell’Eterno Padre. Questa elegante architettura lignea, debitrice nella forma e nello stile da modelli artistici bresciani, è contemporanea alla pala e alla lunetta. In età barocca essa era stata

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integrata da un’elaborata ancona lignea, sormontata da statue. In occasione di un recente restauro questa aggiunta è stata rimossa, ripristinando almeno parzialmente l’aspetto cinquecentesco della cappella.

Giovanni e Bernardino da Asola, Adorazione dei pastori, cappella di San Giuseppe.

La pala, dopo essere stata attribuita a celebri pittori operanti nel Cinquecento in ambito bresciano e veneziano, viene oggi ascritta al pittore Giovanni da Asola con l’aiuto del figlio Bernardino. Al centro della composizione compaiono Maria e Giuseppe inginocchiati a fianco del Bambino, steso per terra su un panno bianco-argentato e reso ancor più luminoso dalla luce radente da destra. Sul lato destro della composizione due pastori contemplano il Bambino e la simmetria dei due uomini è rispecchiata dagli animali, il bue e l’asino, sulla sinistra. La Sacra Famiglia e gli animali sono protetti da un’archi-

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tettura composta da un tetto di paglia, sostenuto da un tronco d’albero e da una trave lignea, su cui è appollaiato un uccello. In alto a destra, tra le nubi e su uno sfondo dorato, sono dipinti in lontananza tre angeli che sostengono un cartiglio. In secondo piano si articola un paesaggio collinare e montano indagato dalla luce crepuscolare: sulla collina a sinistra un angelo porta l’annuncio ai pastori, mentre a destra è raffigurata una città ai piedi di due monti.

Deposizione con committente osservata dai santi Cristoforo e Vittore, cappella di San Giuseppe.

Nella lunetta è ritratto l’Eterno Padre in posizione centrale mentre tiene nella mano destra il globo e con la sinistra benedice. La sua immagine si staglia su uno sfondo dorato ed è circondata da sei angioletti alati: tre musicanti, due con i simboli della Passione (la croce e la colonna della flagellazione) e uno che sorregge il suo mantello. L’attribuzione dell’opera a Giovanni da Asola (o da Brescia) è verosimile: egli fu un pittore poco documentato, ma attivo a Venezia, insieme al figlio Bernardino, nei primi decenni del Cinquecento. Nelle sue opere coniuga componenti derivate da tre diverse

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fonti: gli effetti del luminismo lombardo, propri del bresciano Savoldo; i modelli degli angeli del Romanino; i moduli compositivi veneti del paesaggio e delle strutture architettoniche delle pale di Tiziano e Giorgione. La composizione richiama quella adottata dai medesimi autori nell’Adorazione di Motta di Livenza, in cui compaiono anche i magi.

Natività con committente, cappella di San Giuseppe.

Completa la decorazione della cappella un ciclo di affreschi votivi, che si snoda su due livelli ai lati dell’altare. L’iscrizione ai piedi dei santi effigiati precisa che venne terminato nel 1517. Marco Tanzi ha proposto di attribuire questo complesso a Giovanni Antonio de Fedeli, un pittore di origine milanese molto attivo ad Asola nella prima metà del Cinquecento. Nel primo livello a sinistra dell’altare sono raffigurati i Santi Francesco, Giuseppe e Antonio, a cui il committente defunto era devoto. Essi sono ritratti coi simboli che sono loro propri: Francesco contempla un crocifisso, oggetto di meditazione e ricordo delle sue stimmate; Antonio, insigne teologo e predicatore, legge la Bibbia e stringe un giglio, simbolo di purezza; Giuseppe reca in mano una verga fiorita, come descritto nei Vangeli

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apocrifi, essendo questo il segno con cui venne individuato tra i potenziali pretendenti di Maria. Nel primo registro a destra, invece, è dipinto un Miracolo di sant’Eligio. Il santo è ritratto mentre riattacca una zampa a un cavallo: per questo fatto prodigioso è considerato il patrono dei maniscalchi.

Flagellazione di Cristo, cappella di San Giuseppe.

Nel secondo livello a sinistra compare una Natività con committente: quest’ultimo è raffigurato in ginocchio, in piccole proporzioni. L’immagine è dipinta in suffragio di un defunto, come attesta l’iscrizione sottostante, così come quella simmetrica della Deposizione con committente osservata dai santi Cristoforo e Vittore. In quest’ultima è interessante notare la delineazione minuziosa del paesaggio aspro e roccioso del Golgota: sul monte campeggiano tre croci e una scala appoggiata a quella centrale. I due santi indicano la scena a un fedele, inginocchiato ai loro piedi. La cappella è arricchita con ulteriori affreschi collocati sul pilastro che divide la navata laterale da quella centrale. Il visitatore, entrando dalla porta d’ingresso, si trova immediatamente di fronte all’immagine della Flagellazione di Cristo. La tradizione racconta che gli asolani raschiassero un po’ di intonaco dell’immagine sacra da portare con sé come una sorta di reliquia. In ognuno dei rimanenti lati del pilastro compare un santo o un beato: San Biagio, invocato per la benedizione della gola, San Giuseppe e il Beato Roberto, francescano nativo

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di Asola e sepolto il 27 novembre 1467 presso il convento di Martinengo (Bergamo). La scena di San Giuseppe dormiente è affrescata sul semipilastro, in controfacciata. Egli è rappresentato nell’atto d’inizio della sua missione: il sogno in cui Dio gli rivela la natura del concepimento di Maria. Un angelo nel sonno lo conforta e sul cartiglio riporta le parole di Dio: Ioseph Fili (D)avid noli timere/accipiere Mariae coniugem tuae (Giuseppe, figlio di Davide, non temere di accogliere Maria come tua moglie). La volta è divisa in quattro vele. Al centro campeggiano i fregi attorno a un tondo da cui sporgono quattro soggetti sacri: San Giuseppe, San Simeone con il Bambino Gesù, la Vergine con il Bambino e un Santo apostolo. A causa di danneggiamenti essa fu decorata ex novo nel 1940 dal restauratore mantovano Arturo Raffaldini, che si ispirò alla decorazione delle cappelle attigue.

San Giuseppe dormiente, controfacciata.

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Cappella di Santa Barbara La seconda cappella, in origine intitolata ai santi Filippo e Giacomo, è oggi dedicata a santa Barbara. L’altare in marmi policromi, risalente al 1745, è opera dei maestri rezzatesi Alessandro e Giuseppe Bombastoni e del trentino Giuseppe Benedetti. La pala, eseguita dopo il 1597 da Antonio Gandino, raffigura il Martirio di santa Barbara. La scena si articola su due livelli. In quello superiore troviamo la Vergine con il Bambino, i santi Filippo e Giacomo e due angeli che portano in dono alla martire una corona di fiori e un rametto di palma, simboli della vittoria celeste. Essi osservano con partecipazione la scena inferiore del martirio di santa Barbara. Quest’ultima, raffigurata con una tunica bianca, è attorniata da alcuni cavalieri e sta per essere colpita da un uomo col turbante. La santa era particolarmente venerata ad Asola tra il XV e il XVI secolo, in quanto protettrice dei “bombardieri”, il corpo delle milizie cittadine che affiancava i soldati del presidio. In Cattedrale preesisteva un altare a lei dedicato, ubicato contro il pilastro sostenente l’organo, poi abbattuto nel 1580 in seguito alla visita apostolica del Borromeo. L’effigie della santa compare anche nella scultura al centro dell’altare, cui sono affiancate le statue (non più originali, a causa di un furto, ma riproduzioni non fedeli) dei precedenti dedicatari dell’altare: i Santi Filippo e Giacomo. Campeggia sopra il tabernacolo una scultura marmorea settecentesca del Cristo risorto e sulla sommità della pala, in un bassorilievo in marmi policromi, sono riprodotte le armi dei bombardieri cittadini. Solo la parete sinistra dell’altare conserva frammenti di dipinti murali che rappresentano San Giuseppe e San Gottardo, venerato nel vicino paese di Fiesse. Compaiono inoltre segni di sepolture: sulla parete destra si trova la lapide tombale che ricorda un medico, Antonio Zappaglio, deceduto nel 1566; a terra, quella di Francesco Roccio, morto nel 1589. Ornano i semipilastri tra la prima e la seconda cappella, le Sante Lucia e Apollonia, venerate come protettrici della vista e dei denti. La volta, suddivisa in quattro vele, è ornata da oculi dai quali si affacciano i Santi Gregorio, Eusebio, Pietro ed Erasmo. Gli affreschi sono parte di un progetto unitario di decorazione che interessa le volte delle navate laterali e sono databili con precisione al 1498, grazie all’indicazione sulla targa a destra degli oculi di San Pietro e di Sant’Eusebio. Ogni crociera ripropone con limitate variazioni il medesimo schema compositivo: figure poste in tondi circondati da racemi vegetali. La critica ha proposto l’attribuzione del complesso ad Antonio Della Corna, ravvisandovi la ripresa di moduli ricorrenti in decorazioni di area mantegnesca, come la volta della sagrestia del duomo di Mantova, gli affreschi di palazzo Fodri a Cremona e, dello stesso Della Corna, la tavola del Presepe con san Giovannino conservata al Museo civico di Cremona.

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Antonio Gandino, Martirio di santa Barbara, cappella di Santa Barbara.


Cappella dell’Immacolata Concezione La terza cappella è dedicata all’Immacolata Concezione, mentre un tempo era denominata di Santa Maria alla Colonna o di Santa Maria del Pergolo, perché ubicata alle spalle del pulpito (o pergamo). Sulla parete, originariamente interrotta solo da una monofora collocata al centro della cappella, troviamo un ciclo d’affreschi. In un secondo momento i dipinti furono parzialmente coperti dall’altare marmoreo voluto dalla confraternita della Concezione, sul quale è collocata la pala ascritta al Gambara o alla sua bottega, raffigurante la Madonna col Bambino, san Giovanni Battista e santa Elisabetta. Nel tempo gli affreschi subirono altre vicissitudini, tanto da tornare alla luce solo dopo numerose e periodiche imbiancature. Tutto il ciclo sarà poi descritto da mons. Carlo Calciolari in una relazione del 1940: egli lo attribuisce a Bernardo da Parenzo. La critica successiva invece, dagli anni Cinquanta del Novecento in poi, lo riconosce opera di Antonio Della Corna. La pala d’altare è tradizionalmente ascritta a Lattanzio Gambara: nel 1692 il critico Francesco Paglia affermava che i soggetti ritratti fossero la Madonna, il Salvatore, san Giovanni e sant’Anna, invece di santa Elisabetta. L’attribuzione al Gambara non è stata mai messa in discussione, tanto che nel 1978 la pala è stata pubblicata nel catalogo dell’autore, curato dai critici Begni Redona e Vezzoli. Permangono però alcuni nodi da sciogliere: il Gambara morì nel 1574 e la pala nelle relazioni delle visite pastorali non risulta collocata prima del 1597. Proprio in tale data monsignor Zorzi, nel corso della sua visita, rileva la mancanza della pala e la necessità di collocarla quanto prima per il decoro dell’altare. Si potrebbe quindi ipotizzare un’opera della bottega o una collocazione tardiva della stessa. Il paliotto dell’altare, in stoffa ricamata, raffigura l’Immacolata e ha avuto una particolare vicissitudine di restauro. Il 4 luglio 1874 si decise di far riportare il ricamo su una nuova stoffa di seta e l’incarico venne affidato alla ditta Tagliaferri di Brescia. Quest’ultima, contro gli accordi stabiliti, riconsegnò al costo di 200 lire un nuovo ricamo, senza dare più notizie dell’antico. Gli affreschi parietali, oltre a rappresentare alcuni santi legati alla devozione della committenza, svolgono il tema della lode mariana. Nella lunetta è ritratta la scena dell’Annunciazione. A sinistra dell’altare l’arcangelo Gabriele è raffigurato col panneggio svolazzante della tunica e del manto, che conferisce movimento all’azione. Nella mano sinistra stringe un giglio simbolo della purezza di Maria, mentre con la destra le impartisce una benedizione. Specularmente, Maria è inginocchiata vicino a uno scrittoio sul quale sono collocati due libri: uno aperto e uno chiuso sotto la sua mano destra; mentre altri due volumi sono a terra. In tali libri si ravvisa l’immediatezza dell’azione divina che sconvolge i piani umani; inoltre il particolare dell’immagine viene anche interpretato come il superamento dell’Antico Testamento, poiché con Maria si inizierà a scrivere il Nuovo. Nel registro sottostante sono ritratti due santi francescani che hanno particolarmente divulgato il mistero dell’Incarnazione: San Francesco e San Bernardino. Il primo è raffigurato in ginocchio mentre riceve le stimmate: sullo sfondo è intuibile, ma poco leggibile, il paesaggio roccioso della Verna. San Bernardino è scalzo e i suoi piedi de-

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Lattanzio Gambara, Madonna col Bambino, san Giovanni Battista e santa Elisabetta, cappella dell’Immacolata Concezione.

bordano dalla nicchia. Indossa la tunica francescana e mostra con la mano sinistra un libro aperto su cui è scritto il motto che gli è proprio: O.E.R./festavi/nomen/tuum/hominibus - O(b). E(am). R(em)/ (mani)festavi/ nomen/ tuum/ hominibus (Per questa ragione ho manifestato il tuo nome agli uomini). Tale frase fa riferimento alla predicazione del

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santo, basata sulla devozione al Sacro Nome di Gesù, come strumento utilizzato nell’evangelizzazione dei popoli. L’aspetto più sorprendente sta nella scoperta dell’iscrizione con abbreviazioni medioevali sul dorso del libro, sicuramente meno evidente, ma di notevole profondità teologica. Si riporta infatti il seguente messaggio: maxe/ mayrio/ matis/ testib/ virte/ noìs/ app/ regabr/ xpi/ nata/ om^/ rer/ - maxime/ magistro/ mandatis/ testibus/ virtute/ nominis/ appellati/ regenerabitur/ Christi/ natura/ omnium/ rerum (Con i testi dati dal Maestro in modo autorevole, in virtù del nome di Cristo invocato, si rigenererà la natura di tutte le cose). Esso rappresenta la sintesi della vicenda terrena di san Bernardino, concentrato nel fitto apostolato: lo ricordiamo nella sua azione pastorale in Lombardia, in particolare a Brescia, le cui tracce restano a perenne memoria negli affreschi del chiostro della chiesa di san Giuseppe.

Annunciazione (particolare), cappella dell’Immacolata Concezione.

Secondo un’antica tradizione nel corso dei suoi viaggi fu anche ad Asola. Durante il XV secolo è comunque accertato il soggiorno di altri due celebri predicatori francescani: san Giovanni da Capistrano e il beato Bernardino da Feltre. San Bernardino, come i suoi confratelli, proclamava la Parola di Dio con lunghe omelie, ma gli era propria l’abitudine di concludere il discorso mostrando una tavola con inciso il Santo Nome di Gesù a monogramma IHS: Iesus Hominum Salvator (Gesù Salvatore degli uomini). Nel secondo registro, entro due nicchie, compaiono i Santi Eudossia e Simone lo Stilita. Essi richiamano il mondo monastico orientale dei primi secoli dopo Cristo, nell’affer-

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Annunciazione (particolare), cappella dell’Immacolata Concezione.

San Bernardino, cappella dell’Immacolata Concezione.


mazione e nella lotta dei princípi della vera fede contro le eresie. Santa Eudossia, moglie dell’imperatore Teodosio, dopo aver peregrinato alla ricerca della fede autentica, costruì dei monasteri, detti laure, vicino a Gerusalemme, sostenendo con le sue ricchezze i monaci. È effigiata con un rametto di palma in mano, simbolo del martirio. Simone invece è ritratto con il Vangelo che, da solitario eremita qual era, meditava e proclamava con la sua vita. Infine nel primo registro compaiono Sant’Antonio abate con un devoto e il Martirio di una santa. Dal momento che sulla cappella esercitava il diritto di giuspatronato la nobile famiglia Dati, è possibile che l’uomo in armatura ritratto accanto a sant’Antonio sia un guerriero appartenente al casato. Le scene sono parzialmente leggibili, perché coperte dalla struttura marmorea dell’altare e quella della santa è ulteriormente deturpata da una nicchia. Quest’ultima venne realizzata nel Novecento per collocarvi un’immagine di santa Teresa, quando la cappella si presentava imbiancata e si era persa conoscenza degli affreschi.

San Bernardino (particolare), cappella dell’Immacolata Concezione.

Sant’Antonio abate è rappresentato con i simboli che gli sono propri: un bastone con un campanello e un maialino. Con la mano sinistra indica un cavaliere inginocchiato in atto d’adorazione verso il Bambin Gesù. Quest’ultimo è rappresentato su un lembo di stoffa blu, ai piedi di un albero di melograno, che reca attorno al fusto un cartiglio con un’iscrizione parzialmente leggibile. La scena del probabile Martirio di una santa si svolge all’interno di una stanza: la donna è sdraiata su un letto ed è attaccata da tre individui diabolici, di cui restano alcune tracce. La prima è composta dalla scritta “AL” e da una mano chiusa a pugno proprio nel lato a sinistra della scena, sotto la parte mar-

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morea dell’altare. La seconda riporta il nome di Mechoc, figura diabolica a cavalcioni sul letto, con le vesti dilaniate e un’espressione orrida in volto. La terza traccia si trova in basso, a fianco del letto dove, affiancata al volto malefico di un losco individuo, vi è l’identificazione Malvin. Benché la scena sia compromessa dalla nicchia è intuibile che la santa, di cui resta solo la parte superiore della testa coperta da un velo panneggiato, doveva essere così vicina a Dio da essere attaccata e perseguitata dai demoni: la sua presenza inconsueta nell’iconografia lombarda, rimanda alla potenza di Colei che per prima schiacciò la testa al serpente e conclude quindi idealmente il percorso mariano del polittico a muro.

Sant’Antonio abate con un devoto, cappella dell’Immacolata Concezione.

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LA NAVATA SINISTRA Cappella di Sant’Antonio di Padova

Ultima cena (particolare), cappella di Sant’Antonio.

All’inizio della navata sinistra, tra i due pilastri che definiscono lo spazio della cappella, è posta la grande ancona lignea che in precedenza si trovava addossata alla parete: tale sistemazione ha consentito la scoperta e il restauro degli affreschi sottostanti. I simboli eucaristici raffigurati nella volta e i dipinti parietali rimandano all’originaria dedicazione della cappella al Santissimo Sacramento, la cui devozione era promossa da una confraternita attiva già negli ultimi anni del XV secolo. Questa collocazione venne criticata da Carlo Borromeo che ordinò lo spostamento dell’altare del Santissimo nel transetto di destra. La realizzazione del nuovo altare si fece tuttavia attendere per quasi un secolo. In controfacciata troviamo una raffigurazione dell’Ultima Cena, chiaramente ispirata al celebre Cenacolo di Leonardo da Vinci. L’indicazione sul semipilastro, in cui è affrescata l’immagine di Santa Rosa da Viterbo, ci consente di datarlo al 1516. L’impaginazione della scena ricalca il modello leonardesco con i Dodici riuniti attorno a Cristo, in quattro gruppi da tre. Al centro il Salvatore, rappresentato con le braccia distese e la testa reclinata, è colto nel momento in cui pronuncia il discorso e compie i suoi gesti in una maestosa solitudine. È indubbio che il nostro pittore ha avuto modo di conoscere il Cenacolo vinciano dipinto solo pochi anni prima e ne ha riprodotto la disposizione e

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l’atteggiamento di ciascun apostolo, chiudendo però l’architettura della sala con una parete di fondo. Una differenza di non poco conto riguarda però lo stile pittorico. Se Leonardo applica e sviluppa con maestria la tecnica dello sfumato, il Nostro rimane legato a un disegno che contorna le figure, incidendolo quasi con durezza. Ben conservato è il cartiglio, posto al centro, sopra il capo di Gesù, con le parole: Dominus Iesus accepit panem et gratiam agens fregis et dixit: accipit et manducate hoc est corpus meum (Il Signore Gesù prese il pane e rendendo grazie lo spezzò e disse: prendete e mangiate, questo è il mio Corpo). Meno leggibile è la frase sottostante: Amen dico vobis quia unus vestrum me traditurus est (In verità vi dico, uno di voi mi tradirà). È dunque questo il preciso momento che l’artista ha voluto fissare, riuscendo a mettere in risalto la tragica solitudine di Gesù, che si offre col gesto sottolineato dalle braccia e dalle mani distese sul tavolo. La sala in cui si sta svolgendo l’ultima cena è aperta ai lati e con questo artificio il pittore

Ultima cena (particolare), cappella di Sant’Antonio.

può rappresentare due scene che si svolgono all’esterno: a destra la preghiera nell’orto degli Ulivi, mentre le lacune di quella di sinistra non ne consentono un’identificazione certa. Tuttavia una recente ipotesi vede in quest’ultima scena una rappresentazione dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, arrivando a interpretare il complesso dell’affresco come una cronologia degli avvenimenti dell’ultima settimana di Gesù: ingresso a Gerusalemme, ultima cena, preghiera nel Getsemani. A sinistra dell’altare si trova un affresco dal soggetto decisamente insolito. Si tratta della raffigurazione di un complesso Monogramma formato dalle lettere del nome di Gesù

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Monogramma dei nomi di GesÚ e Maria, cappella di Sant’Antonio.


(IHS) e di Maria (MA). Nelle lettere, disegnate con elegante carattere gotico e terminanti con elementi vegetali, sono inseriti strumenti e scene della passione di Cristo (i cosiddetti Arma Christi). Nel vertice intuiamo la crocifissione con accanto le figure di Maria e Giovanni, collocate all’interno della lettera M. Ai quattro angoli troviamo gli evangelisti. In basso, rac-

Monogramma dei nomi di Gesù e Maria (particolari), cappella di Sant’Antonio.

colti nei racemi della lettera, Luca nell’atto di dipingere la Madonna e Marco accompagnato dal leone. In alto a destra, collocato sulle nubi, Matteo scrive i suggerimenti dell’angelo, mentre nell’angolo opposto dovrebbe trovarsi Giovanni, troppo rovinato per risultare leggibile. Al centro incontriamo l’episodio della Messa di san Gregorio Magno e più in basso una teoria di santi, ben riconoscibili dai loro attributi iconografici: san Rocco, santo Stefano, sant’Antonio abate, san Girolamo e san Giuseppe accompagnato dall’offerente. I recenti studi di Corinna Gallori hanno inserito l’affresco in un gruppo di opere derivate da un prototipo comune, probabilmente un’incisione, largamente diffuso a partire dal tardo Medioevo. La fortuna di tali raffigurazioni è legata alla devozione per i Nomi di Gesù e Maria, incoraggiata soprattutto dai predicatori francescani. Il dipinto di Asola si distingue per le dimensioni monumentali, mentre la maggior parte delle riproduzioni del monogramma hanno un formato decisamente più ridotto. Strettamente legato a questo soggetto è l’affresco sulla destra dell’altare, nel registro superiore. Osserviamo infatti la Presentazione di Gesù al Tempio in cui solenni figure agiscono in un ambiente architettonico absidato di gusto rinascimentale. Al livello in-

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feriore, accanto a un Santo Stefano che porta in mano la palma del martirio e sulle spalle le pietre che ne ricordano la lapidazione, è rappresentato il Martirio di san Lorenzo. Anche questo presenta uno sfondo classicheggiante: una sorta di arco di trionfo decorato da tondi con effigi imperiali e coperto da una volta a cassettoni. Il diacono Lorenzo è dipinto sulla graticola avvolto dalle fiamme, mentre i carnefici e l’imperatore assistono alla scena. Nel pilastro che chiude la cappella è raffigurato Sant’Omobono che distribuisce l’elemosina, possibile omaggio alle varie famiglie asolane di origine cremonese e al contempo discreta allusione, come l’immagine dei diaconi martiri, alle attività caritative

Monogramma dei nomi di Gesù e Maria (particolari), cappella di Sant’Antonio.

svolte dai membri della confraternita. Gli affreschi della colonna richiamano invece la spiritualità francescana: sono infatti presenti San Francesco che riceve le stimmate e il Beato Bernardino da Feltre. Completano il ciclo una Madonna col Bambino e Sant’Agostino. La decorazione cinquecentesca sottende un progetto iconografico unitario; è verosimile che esso sia stato definito dal committente, ossia dalla confraternita del Santissimo Sacramento. Altrettanto unitaria pare la sua esecuzione, la Gallori e Tanzi suggeriscono di attribuire anche questo ciclo a Giovanni Antonio de Fedeli. L’attuale altare, realizzato in marmi policromi in età barocca, poggia su due gradini. Sul primo di questi è intarsiato un giglio, simbolo di sant’Antonio di Padova, attuale dedicatario della cappella, ben rappresentato nella scultura lignea firmata da Gaspare Bianchi, artista bresciano del XVII secolo. Il quadro ora sistemato in alto, già al centro dell’ancona lignea, ricorda un avvenimento

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Presentazione di GesÚ al Tempio, Martirio di san Lorenzo e Santo Stefano, cappella di Sant’Antonio.


accaduto nel 1662, così narrato dal Mangini: «era venuto il mese di giugno caldo [...] fuor di misura, per il che le biade mature più del solito venivano dà villici tagliate, e, seguitando tal facenda, il dì dedicato a Sant’Antonio di Padova - non hauto dalli asolani in considerazione - si levò dalla parte di tramontana un oscuro temporale, e portato da gagliardo vento s’inoltrò nell’asolano, accompagnato da tuoni, lampi e saette [...] e cadendo un fulmine nella torretta delle polveri che era fabbricata sulla cima della porta della rocca [...] andò in aria con gran fracasso [...]. Per implorar dal Cielo l’assistenza divina fu subito nel gran conseglio proposto d’ erger al santo di Padova un altare». L’esecuzione della deliberazione pubblica consentì dunque di attuare lo spostamento dell’altare del Santissimo Sacramento da tempo sollecitato. Il fatto di cronaca è tradotto in immagini con la raffigurazione della città di Asola nelle vesti di una figura femminile riccamente abbigliata che, attraverso l’intercessione di sant’Antonio, implora dalla Trinità la salvezza. Oltre alla minacciosa nube temporale-

Presentazione di Gesù al Tempio (particolare), cappella di Sant’Antonio.

sca, è dipinta sullo sfondo l’esplosione delle polveriera. Luciano Anelli data l’opera ai primi anni del Settecento, attribuendola a Francesco Paglia con la collaborazione del figlio Angelo.

Cappella del Rosario 85


Francesco Paglia, Asola invoca l’intercessione di sant’Antonio, cappella di Sant’Antonio.


Era il 1602 quando, come scrive il Mangini, «gli confratelli del Rosario dimandarono al conseglio un luogo per fabbricare un altare in honore della Beata Vergine del Rosario, che gli restò concesso l’altare di sant’Agata, di ragione pubblica, con l’obbligo di far dipingere nella nova palla l’immagine d’essa santa». Come si è già accennato la devozione

Martirio della Legione Tebana, cappella del Rosario.

verso sant’Agata ad Asola era radicata sin dal XV secolo. La santa compare nella decorazione tardo quattrocentesca della volta con i Santi Antonio abate, Rocco e Silvestro nonché, come era stato pattuito, nella grande pala commissionata per la nuova dedicazione. Il dipinto, realizzato a olio su tela, è opera di Jacopo Palma il Giovane, che lo eseguì nel 1621 come indicato in basso vicino alla firma. La scena si svolge su due piani. In quello inferiore vediamo i santi Agata, Domenico, Caterina da Siena e Lucia che rivolgono lo sguardo al cielo dove, su strati di nuvole, stanno la Madonna e il Bambino accompagnati da angeli. Nei petali di rose che il Bambino fa scendere sulla terra e nella loro accoglienza da parte di san Domenico possiamo leggere un’allegoria della preghiera del rosario come serto di rose spirituali offerte a Maria. La tradizione, infatti, ne attribuisce erroneamente l’invenzione a san Domenico, mentre di certo vi è solo l’impegno dell’ordine da lui fondato nella sua diffusione. Nell’ancona, finemente eseguita in marmo bianco, due colonne corinzie reggono la trabeazione con timpano spezzato. Su di esso troviamo le statue di due angeli e della Madonna col Bambino, alle cui spalle si scorge un affresco del Sole di san Bernardino. Le nicchie sulla parete contengono le statue di gusto barocco di San Domenico e di Sant’Antonio di Padova. La mensa, in marmi policromi a intarsio, proviene dalla cappella ora dedicata a san Giovanni Crisostomo e in precedenza intitolata ai santi Teresa d’Avila e Ignazio di Loyola. Le piccole nicchie ai lati del paliotto contengono infatti

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Jacopo Palma il Giovane, Madonna del Rosario, cappella del Rosario.

le loro statuette, accompagnate dai rispettivi motti. L’attuale sistemazione è il frutto di un rimaneggiamento che interessò l’arredo della cappella nel 1823. La tavola a olio che funge da paliotto raffigura il Martirio della Legione Tebana. Secondo

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una leggenda assai popolare nel Medioevo, l’imperatore Diocleziano incaricò Massimiano di reprimere una rivolta scoppiata in Gallia per mezzo di questa legione, composta da soldati già cristiani. Quando il comandante indisse un solenne sacrificio agli dèi, prima di procedere contro i ribelli, la Tebana rifiutò di parteciparvi. L’imperatore ordinò allora lo sterminio dell’intera legione e i soldati furono massacrati dai commilitoni pagani. Tra quei martiri la tradizione ricorda anzitutto san Maurizio e indica tra i suoi compagni anche sant’Innocenzo, le cui reliquie avevano trovato posto all’interno di questo altare.

Sant’Antonio abate, cappella del Rosario.

Cappella Daina

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Porta il nome dell’antica e nobile famiglia asolana dei Daina, i cui stemmi troviamo dipinti negli affreschi delle volte. Nel complesso essa risulta molto semplice e viene quasi nascosta dal complesso monumentale dell’organo. La mancanza dell’ancona, rimossa e attualmente posta nella chiesa di san Rocco, favorisce la vista completa degli antichi

Natività, cappella Daina.

affreschi attribuiti al pittore cremonese Antonio Della Corna. La decorazione parietale è suddivisa in riquadri disposti su tre livelli. Nel secondo piano, appena sopra l’altare, campeggia una Natività che mette in risalto l’umiltà e la tenerezza materna di Maria, che utilizza il suo manto come una culla per adagiarvi il Bambino. Giuseppe, uomo maturo, è accovacciato in disparte a vegliare e custodire, mentre sullo sfondo i pastori seguono l’invito degli angeli. Alla sinistra una bella statuaria figura: Santa Afra, che reca in mano la palma del martirio e ai piedi due animali che ricordano un po’ fantasiosamente un leone e un leopardo. Alla destra si osserva un dipinto molto consumato dove, con difficoltà, si riesce a intuire la figura di San Rocco a cui la cappella

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era dedicata. Passando al registro inferiore, il riquadro a destra dell’urna è dedicato a San Girolamo, che compare nella grotta in un ambiente ricco di elementi naturali e curiosi animali. La zona di questo affresco è stata coperta nel corso degli anni dai ricordi funebri della famiglia Daina. Alla sinistra dell’urna troviamo un bel cavallo bianco col suo cavaliere

Stemma della famiglia Daina, cappella Daina.

armato, a cui purtroppo manca la testa. La debole traccia di un drago ci ricorda il racconto di san Giorgio che salva una fanciulla dal terrificante animale. Il santo cavaliere era considerato il protettore degli uomini d’arme, professione a cui si erano dedicati diversi membri della famiglia Daina. Il più celebre è Riccino, capitano di ventura a servizio di Venezia che durante l’assedio del 1516 contribuì alla difesa di Asola dall’imperatore Massimiliano I. La decorazione termina, in alto al centro, con un sole raggiato affiancato dagli elementi della Passione e con la dedica a san Rocco della famiglia Daina. Sull’altare, all’interno di un’urna di legno intagliato e dorato, è posta la reliquia dello scheletro di sant’Innocenzo. Esso giunse ad Asola nel 1692, trasportato dal cimitero romano di Calepodio. Infatti, secondo una consuetudine assai diffusa in età controriformistica, molti corpi venivano esumati dalle catacombe e venerati come reliquie di supposti martiri. Nel nostro caso i resti furono attribuiti al diacono Innocenzo (o Vincenzo), martirizzato insieme a papa Sisto II nel 248. Il presunto sant’Innocenzo fu poi confuso con l’omonimo compagno di san Maurizio a cui si è già fatto cenno. Nel 1705

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l’urna venne sistemata sull’altare dell’attuale cappella di san Giovanni. Vi rimarrà fino al già ricordato spostamento dell’altare attuato nel 1823.

LA SAGRESTIA E IL MUSEO La sagrestia, costruita nel 1566 per iniziativa dell’arciprete Andrea Lippomano, è co-

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stituita da un salone con basso soffitto a lunette che collega la chiesa con la canonica. Fra i preziosi arredi spicca un armadio a parete databile ai primi anni del Seicento, realizzato per custodire le reliquie di proprietà della parrocchia. Le sei ante del mobile, che nasconde al suo interno anche una cassaforte, sono decorate con mascheroni scolpiti

Armadio, sagrestia.

a forte rilievo. Interessante è anche l’armadio a banco di notevoli dimensioni, corredato da due mobiletti con inginocchiatoio nei quali sono inserite le orazioni che costituivano la Praeparatio ad Missam. La parete opposta è occupata da un’antica panca lignea, completata da un dorsale diviso in dodici riquadri. Si tratta di un’opera di carpenteria quattrocentesca che nel corso dei secoli ha avuto alcune integrazioni. Fra la ricca dotazione di paramenti liturgici va ricordato quello composto da pianeta, mitria, stola e manipolo, che la tradizione ritiene essere stato indossato da san Carlo Borromeo durante il suo soggiorno. Il Museo parrocchiale, intitolato a monsignor Gian Battista Tosio, si articola in due

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diverse sedi: una parte dell’esposizione è sistemata insieme al Museo civico “G. Bellini” all’interno del palazzo del Monte dei Pegni, di fronte alla facciata della Cattedrale, mentre un’altra parte si trova nel salone soprastante la sagrestia. L’allestimento realizzato presso il Monte dei Pegni è concepito per ripercorrere la storia

Clemente Zamara, Annunciata, Museo parrocchiale.

della Chiesa asolana. Nella prima sala fa mostra il grande Ritratto di mons. G.B. Tosio, raffigurato in veste prelatizia, rocchetto e mozzetta, mentre sul tavolo accanto è appoggiato un documento che ricorda l’autonomia della Chiesa di Asola e la sua giurisdizione sulle terre circostanti. Accanto a esso sono esposte diverse preziose suppellettili in uso durante il rito della messa solenne, alcune delle quali riservate alle celebrazioni pontificali officiate dall’arciprete (calici, croce pettorale, mitria, cartegloria, messali). Nella seconda sala sono collocate tre belle statue lignee di diversi periodi: una Madonna (forse quell’Annunciata, opera del XVI secolo di Clemente Zamara, commissionata insieme a un angelo per essere collocata al vertice della cassa organaria in Cattedrale), un

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San Giuseppe (XVII secolo) e una Santa monaca. Alle pareti troviamo quattro Sibille di gusto rinascimentale, provenienti dalla chiesa di Santa Maria: la Frigia, l’Ellespontica, la Cumana e la Samia. La devozione ai santi è il tema conduttore della terza e quarta sala. Accanto a immagini relative alle figure più care alla pietà del popolo cristiano, compaiono testimonianze legate alla vicenda storica locale. Spiccano quattro tele opera di Alessandro Bonvicino detto il Moretto, artista bresciano del XVI secolo. Recentemente restaurate, fanno parte di un ciclo di otto dipinti a tempera databili tra il 1530 e il 1540 di cui non è nota l’originaria collocazione. Esse sono menzionate solo a partire dai primi anni del Seicento, quando vengono ricordate come ornamento della loggia annessa al palazzo comunale, edificato nel 1610. È probabile che

Disciplini, Museo parrocchiale.

provenissero dal precedente palazzo pubblico, essendo diffusa la consuetudine di decorare anche gli edifici destinati alle attività di governo con soggetti legati alla devozione cittadina. A causa delle precarie condizioni di conservazione attorno al 1620 furono spostate in Cattedrale. In esposizione possiamo ammirare un’Annunciazione con ai lati il Profeta Isaia e la Sibilla Eritrea, mentre nei depositi si trovano in attesa di restauro San Girolamo, San Giuseppe, Santa Caterina d’Alessandria e Sant’Antonio di Padova (o, secondo una recente interpretazione, il beato Roberto da Asola). La collocazione in uno spazio aperto come la loggia e una non ottimale qualità dei materiali impiegati dal pittore

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Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Angelo annunciante, Museo parrocchiale.

hanno pregiudicato la conservazione delle tempere. Quasi del tutto compromessa la cromia originaria, si può ancora ammirare l’arte del Moretto nella varietĂ degli atteggiamenti e nella forza del disegno.

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Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Annunciata, Museo parrocchiale.

L’ultima sala è dedicata alle confraternite, organizzazioni laicali ben radicate nella comunitĂ asolana. Da segnalare due sculture di legno dipinto del XVI secolo che raffigurano i Disciplini in preghiera e una bella croce astile del XV secolo, realizzata in lamina

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Croce astile (recto), Museo parrocchiale.

d’argento sbalzato su legno. Essa presenta nel recto una crocifissione e nel verso la Madonna della Misericordia, con la schiera di Disciplini sotto il manto. La sezione ospitata nel salone soprastante la sagrestia della Cattedrale, accessibile dal

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Croce astile (verso), Museo parrocchiale.

cortile interno della Parrocchia, si trova attualmente in fase di riallestimento. Essa, oltre a numerosi reliquiari, candelieri e suppellettili sacre, conserva un’interessante serie di una trentina di dipinti che ritraggono gli arcipreti asolani. Fra le opere piÚ preziose tro-

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viamo due sculture lignee cinquecentesche: il Cristo morto attribuito a Clemente Zamara, caratterizzato dalla rigorosa resa anatomica e dall’intensa espressività, e il Sant’Antonio abate.

Clemente Zamara, Cristo morto, Museo parrocchiale.

LE ALTRE CHIESE DELLA PARROCCHIA

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Chiesa dei Disciplini Bianchi Nella via a fianco della Cattedrale è ubicata la chiesa che prende il nome dalla confraternita che ne fece la propria sede: quella dei Disciplini Bianchi, detta anche della Misericordia. L’edificio, di antica fondazione, fu molto rimaneggiato nella prima metà del Settecento, periodo a cui risalgono le decorazioni di gusto barocco della facciata. L’interno a navata unica si caratterizza per il presbiterio sopraelevato a cui si accede tramite due rampe di scale ornate da una raffinata ringhiera in ferro battuto. L’accesso alla cripta sottostante è impreziosito da una mostra in marmi bianchi e neri, che le dà un’intenzionale imponenza rispetto al resto della chiesa. Era adibita a memoriale del Santo Sepolcro e in essa veniva custodita la statua del Cristo morto di Clemente Zamara. La meditazione della Passione era infatti centrale nella spiritualità dei Disciplini. Oltre all’altare maggiore, intitolato alla Madonna del Carmine, sono presenti due altari laterali dedicati rispettivamente alla Natività (a sinistra) e ai santi Francesco di Paola, Eurosia, Giovanni Nepomuceno, Faustino e Giovita (a destra).

Chiesa di San Rocco L’attuale edificio (1539-1544), che sostituisce una chiesa quattrocentesca eretta come ex voto per la peste, è frutto della stretta collaborazione tra due artisti asolani: Cristoforo de Leno, cui si devono le linee architettoniche dell’edificio, e Giovanni Antonio de Fedeli che eseguì le decorazioni ad affresco attenendosi a disegni forniti dal de Leno stesso. L’interno è a navata unica con soffitto a botte, le pareti laterali sono scandite dai pilastri fra gli archi a tutto sesto. Nella ricca ornamentazione classicheggiante della navata spicca la lunetta sopra l’altare maggiore con il Compianto del Cristo morto, direttamente ispirato all’affresco dipinto pochi anni prima dal Pordenone nel duomo di Cremona.

Chiesa di Santa Maria La chiesa sorse a partire dal 1569 sul luogo in cui si trovava un’edicola molto venerata già dagli inizi del Cinquecento. La facciata ha ritrovato grazie a un recente restauro le

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vigorose linee originali, mentre l’interno a una navata con presbiterio rettangolare e cappelle è stato rimaneggiato secondo il gusto barocco con una vivace decorazione a stucchi e affreschi. All’altare maggiore spicca la pala con l’Assunta, tela a olio firmata da Orazio Lamberti (1552-1612). Originario di Cento di Ferrara, il pittore visse a lungo ad Asola, operando con successo anche a Cremona e Mantova. Di notevole interesse è pure la decorazione della volta dove in specchiature rettangolari sono affrescate scene di vita di Maria. Campeggia al centro L’incoronazione di Maria Regina del cielo e della terra nella gloria degli angeli.

Chiesa di San Francesco di Paola La piccola chiesa, ubicata nella frazione di Sorbara e dedicata a san Francesco di Paola, sorse come oratorio annesso alla grande villa dei nobili Tosio. Si presenta in forme settecentesche che rispecchiano il gusto raffinato del casato cui appartennero l’architetto Giulio Cesare e i collezionisti Ottaviano e Paolo. Pregevole la pala dell’altare maggiore raffigurante una Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino e i santi Antonio di Padova, Francesco di Paola e Giovanni Crisostomo, opera firmata da Antonio Paglia e datata 1740.

Chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro I più antichi cataloghi delle curazie facenti capo alla pieve di Asola menzionano due benefici intitolati al principe degli apostoli: san Pietro degli Adelardi, corrispondente all’attuale parrocchia di Barchi, e san Pietro in Ciel d’Oro, da cui trae il nome la borgata posta tra Asola e Remedello Sotto. La chiesa del piccolo centro di San Pietro si presenta oggi in forme settecentesche.

CRONOLOGIA DEGLI ARCIPRETI

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L’attuale stato della ricerca non consente, specie riguardo alle epoche più remote, di ricostruire con perfetta continuità cronologica la successione degli arcipreti di Asola, né di risolvere qualche incertezza. Come si è già accennato la stessa esistenza storica del Visconti e dell’Ortobello è dubbia.

Venceslao Visconti (1028-1077?) Federico Ortobello (1153-1200) Martino (ricordato nel 1275) Faustino de Datis (rinuncia nel 1376 per entrare nell’ordine degli Agostiniani) Alberto Rolandi (ricordato nel 1376) Giovanni de Ottis (1379?-1406) Inverardo Inverardi (1406-1408) Guglielmo da Piacenza (1408?-1425) Bartolomeo Bellintani (1425) Cristoforo da Campo (1425-1436) Francesco Cattaneo (1436-1477) Giovanni Emo O.S.B. (1478-1483) Sede vacante Giovanni Giusti, vescovo di Ossero (1487-1504) Cristoforo Mangiavino, vescovo di Polignano (1505-1521) Giulio Mangiavino (1522-1524) Angelo Zane (1524) Bernardino Vergerio (1524-1525) Pietro Lippomano, vescovo di Bergamo e poi di Verona, nunzio in Scozia (1525-1549) Giovanni Grati (1549-1552) Andrea Lippomano (1552-1566) Vincenzo Duranti, già vescovo di Termoli (1566-1570) Camillo Bordonio (1571-1577) Andrea Testagrossa (1577-1590) Giovanni Emo (1590) Antonio de Antonii (1591-1630) Alvise Emo (1631-1633) Marcello Marcelli (1633-1664) Giovanni Battista Tosio (1665-1705) Sede vacante Agostino Brutti, vescovo titolare di La Canea (1722-1733) Luigi Civran (1734-1767) Giovanni Battista Badoer, vescovo titolare di Sidone (1768-1784) Federico Maria Molin, vescovo titolare di Apollonia (1785-1818) Luigi Turbini (1819-1835) Giuseppe Rondelli (1835-1853) Giovanni Battista Barosi (1854-1858)

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Sede vacante Luigi Visentini (1860-1897) Sede vacante Antonio Besutti (1901-1942) Antonio Artioli (1943-1945) Catullo Semeghini (1946-1947) Carlo Calciolari (1948-1976) Cesare Casati (1976-1987) Egidio Faglioni (1987-1995) Riccardo Gobbi (1995-2013) Luigi Ballarini (2013)

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Ritratto di mons. Gian Battista Tosio, Museo parrocchiale.

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BIBLIOGRAFIA


La cattedrale di Asola e le sue vicende storiche sono state oggetto di numerosi studi. In questa sede limitiamo le indicazioni bibliografiche ad alcuni contributi essenziali. AA.VV., I secoli delle Confraternite, Tip. Rongoni, Asola 2002.

Begni Redona Pier Virgilio, Alessandro Bonvicino. Il Moretto da Brescia, La Scuola, Brescia 1988.

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Brunelli Roberto, L’antica Cattedrale di Asola. Un itinerario tra storia fede e arte, Tip. Rongoni, Asola 1995.

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Panazza Gaetano (a cura di), Mostra di Girolamo Romanino, Industrie grafiche bresciane, Brescia 1965.

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INDICE DEI NOMI


Antegnati, Graziadio 29 Antonii (de), Antonio 10 Badoer, Giovanni Battista 23 Bartolomeo d’Isola Dovarese 28 Bellini, Gentile 28 Bellini, Giovanni 28 Benedetti, Giuseppe 67 Bernardino da Asola 61, 62, 63 Bernardo da Parenzo 69 Bertini, Giovanni 24 Besutti, Antonio 11, 28 Bevilacqua, famiglia 24 Bianchi, Gaspare 47, 57, 83 Biondello, Francesco 13 Boccalini, Galeazzo 55 Boccalini, Gian Francesco 57 Boccalini, Olimpia Turca 55 Bocoli (de), Guglielmo vedi Lera Bombastoni, Alessandro 67 Bombastoni, Giuseppe 67 Borromeo, Carlo 10, 19, 40, 45, 53, 55, 67, 75, 92 Brutti, Agostino 10, 11 Calciolari, Carlo 11, 69 Cattaneo, Francesco 13 Civran, Luigi 23 Corrado da Salò 43 Dadi (de), Francesco 40 Daina, famiglia 88, 89 Daina, Ottaviano 11 Daina, Riccino 89 Danis (de), Francesco 37 Dati, Tonino 46 Della Corna, Antonio 28, 67, 69, 88 Della Valle, Giacomo 40 Enrico VI, imperatore 9 Facchetti, Giovanni Battista 29 Fedeli (de), Giovanni Antonio 16, 64, 81, 99 Gambara, Lattanzio 69, 70 Gandino, Antonio 67, 68 Ghirardelli, Giuliano 10, 53 Ghisoni, Fermo 59, 60 Giorgione 64 Giovanni da Asola 29, 61, 62, 63 Girolamo da Cremona 28 Giulio II (Giuliano della Rovere), papa 9 Giulio Romano 58, 60 Giusto, Giovanni 9

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Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), papa 57 Lamberti, Orazio 100 Leno (de), Cristoforo 16, 33, 99 Leonardo da Vinci 75, 78 Lera (de) Bernardino 13 Lera (de), Guglielmo 13 Lippomano, Andrea 91 Lippomano, famiglia 10 Maggi, Berardo 9 Mangeri, Adamino 37 Mangiavino, Cristoforo 9, 10 Mangini, Ludovico 27, 83, 85 Mantegna, Andrea 28, 36 Manzoni, Sebastiano 10 Marescotti, Marco Antonio 55 Marinoni, Giacomo 47 Marinoni, Maddalena 47 Martinengo, Cristoforo 37 Martino, arciprete 9 Massimiliano I, imperatore 61, 89 Molin, Federico Maria 11, 53 Moretto, Alessandro Bonvicino detto 40, 93, 94, 95, 96 Ortobello, Federico 9 Osma, Giovan Battista 40 Paglia, Angelo 83 Paglia, Antonio 100 Paglia, Francesco 49, 50, 51, 58, 69, 83, 84 Palma il Giovane, Jacopo 85, 86 Pampuro, Andrea 10 Piantavigna, Giovanni Maria 23 Piazzone, Giacomo Filippo 43 Picapreda, Pedrino 43 Pio IV (Giovanni Angelo de’ Medici), papa 10 Pio V (Michele Ghisleri), papa 10 Pio VII (Barnaba Chiaramonti), papa 11 Raffaldini, Arturo 66, Ravani, Giovan Filippo 40 Redoni, Giovanni Battista 49, 52 Reni, Guido 47 Ricchi, Pietro, detto il Tenebroso 57, 58 Rivolta, Bernardo 47, 57 Roccio, Francesco 67 Romanino, Girolamo Romani detto 19, 29, 32, 33, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 42, 43, 44, 64 Rondelli, Giuseppe 11 Ruzzenenti, Luigi 11 Sansone, conte 9 Saracco, Marco 13 Savoldo, Gian Girolamo 64 Serassi, fratelli 29 Stroppi, Zaccaria 29 Tagliaferri, ditta 69 Testagrossa, Andrea 10

110


Tezani, Carlo 29 Tiraboschi, Lucrezio 10 Tiraboschi, Roberto 10 Tirabosco, Girolamo 37 Tiziano Vecellio 64 Tommaso da Viadana 9 Tosio, Giovanni Battista 10, 49, 60, 92 Tosio, Giulio Cesare 100 Tosio, Ottaviano 58, 100 Tosio, Paolo 47, 100 Turco, Agostino 40 Vallata, Zambon 40 Visconti, Venceslao 9 Visentini, Luigi 11 Vivarini, Bartolomeo 28 Zamara, Clemente 29, 43, 46, 92, 93, 98, 99 Zane, Paolo 13 Zappaglio, Antonio 67 Zorzi, Marino 10, 69 Zuan Antonio da Brescia 37, 43

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INDICE

La gioia della sua dimora fra le nostre case

Mille anni di storia

L’architettura

Visita alla Cattedrale Il presbiterio

L’organo e il pulpito

Il transetto sinistro Cappella della Madonna della Misericordia Cappella di San Giovanni Crisostomo

Il transetto destro Cappella del Santissimo Sacramento

La navata destra Cappella di San Giuseppe Cappella di Santa Barbara Cappella dell’Immacolata Concezione

La navata sinistra Cappella di Sant’Antonio di Padova Cappella del Rosario Cappella Daina

La sagrestia e il museo

Le altre chiese della parrocchia

Cronologia degli arcipreti

Bibliografia

Indice dei nomi

5

9

13

19

19

29

45 45 49

55 55

61 61 67 69

75 75 85 88

91

99

101

105

107


Finito di stampare nel settembre 2015 per conto di Gilgamesh Edizioni presso lo stabilimento di Via Alfieri, 13 Borgomanero (NO) - Italy


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