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Ermanno Prandini

VIAGGIO IN YEMEN



Viaggio in Yemen

da gigante, correndo e sgretolando gioielli d’architettura di valore inestimabile. Ora vi racconterò il viaggio da me intrapreso, assieme a un gruppo di amici; un itinerario che si snoda fra profondi canyon, distese aspre e desertiche, altipiani di oltre 3000 metri, dove svettano le case-torri di epoca medievale.

Yemen: a spasso fra la gente della regina di Saba Lo Yemen, posto nell’estremo sud ovest della penisola arabica, s’affaccia sulle acque calde del mar rosso e su quelle dell’oceano indiano. Paese sospeso nel tempo tra mito e storia: dalle sabbie del deserto Rub’ Al Khali, spianata sabbiosa senza confini, il regno del vuoto assoluto, fino al confine con l’Arabia Saudita. Ricco di reperti preistorici e sabei lo Yemen vive una realtà molto complessa, dove arretratezza e religione la fanno da padrone. È uno dei Paesi più poveri e indebitati, a causa di un’economia che non funziona per svariati e contraddittori motivi. Pur tuttavia è il luogo in assoluto più bello e affascinante che abbia visitato. Nessun altro stato è simile allo Yemen, una perla straordinaria che brilla di luce propria, anche se la decadenza avanza a passi 11




Sana’a – La capitale

Viaggio in Yemen

Le strade strette, serrate dalle case e le torri con le facciate decorate da arabeschi bianco gesso, sono un tuffo nel passato, una visione che si colloca nelle righe dei racconti di Sherazade. Fra gli stucchi e le articolate decorazioni aleggia una leggenda: si racconta che Sana’a fu fondata da Sem, figlio di Noè, guidato su queste montagne da un uccello mentre girovagava, dopo la morte del padre.

Il 22 maggio 1990, dalle ceneri dello Yemen del nord e da quelle dello Yemen del sud, nasce la Repubblica araba yemenita. La sua capitale è Sana’a, ubicata a 2400 metri d’altitudine; una città a nido d’aquila circondata, da montagne color delle spezie, con palazzi dalle magnifiche facciate, patrimonio d’arte tutelato dall’Unesco.

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Primo incontrovertibile documento storico costituito da un’iscrizione del primo secolo dopo Cristo, dove Sana’a è indicata come una delle tappe più importanti della pista carovaniera che da Aden conduceva alla Mecca e come il maggiore centro mercantile della penisola arabica ancora prima dell’avvento dell’Islam.

Mura possenti e maestose alte otto, dieci metri, proteggevano le imponenti case-torri, costruite con mattoni pisé che consistevano in un impasto d’argilla e paglia seccati al sole; costruzioni che contavano fino ad otto, nove piani. I solai, ricavati con travi di legno d’acacia e d’albicocco, venivano poi completati con fascine secche e terra battuta.

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Viaggio in Yemen

Capire gli usi, i costumi, le tradizioni del popolo della regina di Saba

L’impatto con la cultura di questo antico popolo è veramente forte, ma se si vive a stretto contatto per alcuni giorni ci si rende conto che tutto è estremamente affascinante, per il ritmo lento della vita e il gusto delle tradizioni e dei piaceri. Nello Yemen, come in quasi tutti i paesi arabi, vige un’imperante maschilismo, che si ripercuote sulla mancata libertà delle donne. Ne abbiamo la prova

quando comodamente seduti al tavolino di un bar della capitale ci fumiamo un narghilè. 24

Fra una boccata e l’altra, persi a guardare le nuvolette di fumo che salgono disperdendosi nell’aria, notiamo un folto gruppo di donne vestite di nero, il vento che soffia modella i lunghi e larghi abiti, facendo intravedere le linee dei corpi. I neri fantasmi agitati entrano ed escono dai negozi con molta destrezza e abilità, guidati dai due fori che lasciano vedere solo gli occhi neri come perle luccicanti. Non un piede s’intravede e tanto meno le mani, che sono guantate e stringono forte le borse della spesa. È la via principale, la via dove si fanno compere. Anche i negozi che vendono oro in poco tempo si affollano. La via è presa in ostaggio, si fanno compere. Gli uomini, dal canto loro, sono seduti in crocche, addossati




Viaggio in Yemen

ai muri, con le gambe incrociate, tenute da lunghe e colorate fusciacche, con le pupille dilatate, intenti a masticare foglie di una pianta stupefacente che si presenta in verdi mazzolini e che si chiama qat.

diventato uno status symbol. Quasi tutte le case-torri possiedono un mafraj, sempre ubicato all’ultimo piano dello stabile. Saliamo con piacere e curiosità le scomode scale, ma alla fine veniamo ripagati della breve fatica. È un tardo pomeriggio e il sole sta scendendo lentamente dietro le aguzze montagne. I raggi obliqui illuminano i preziosi tappeti che ricoprono l’intero pavimento. Enormi cu-

Tutti a ruminare: gli anziani barbuti con il capo avvolto in abbondanti e colorati turbanti e i giovani, con le facce rigonfie di verde e tenero bolo che di tanto in tanto annacquano con tiepido tè. Fumano e parlano, oziando sino a quando la blanda droga finisce. Si fa a gara a chi ha la guancia più gonfia, chi ha potuto permettersi una dose più sostenuta. Quindi più sei benestante più foglie puoi masticare. Questo comportamento nello Yemen è

scini con finiture dorate ci accolgono.Sdraiati come i sudditi della regina di Saba ci beviamo il dolce tè. Restiamo sdraiati fino a quando l’ultimo raggio di sole morente si spegne e la luna curiosa s’affaccia a imbiancare le terrazze della città. 27









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A bayt el Faqih: il mercato che non vedemmo Ubicata non distante dalle coste del Mar Rosso si trova la località di Bayit Al Faqih, dove corre voce ci sia sull’esistenza di un grande e ben fornito mercato, meta da non trascurare. Ogni autista o accompagnatore turistico informato su questo posto lo consiglia, giurando di conoscerne l’origine e l’originalità.

Ci mettiamo intanto i viaggio, incuriositi e ansiosi di godere di tanta bellezza. Ronzano le jeep con rumore di alveare, percorrendo gli impervi sentieri, i sassosi wady, fino a che giungiamo nei pressi della meta predestinata.

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Ci accompagna un cielo grigio, velato di sabbia fine e polverosa, simile a borotalco spinto dal vento. Di tanto in tanto alcune borsine di plastica si gonfiano e prendono a volare; gli anomali aquiloni, senza colore sfrecciano e s’appiccicano alle gambe, al collo, qualche volta anche sul viso.

ci arrabbiamo e chiediamo di lasciare al più presto questa appendice infernale. Strada facendo i nostri driver ci informano che quel giorno non era giorno di mercato. Per scusarsi dell’errore e per riparare ci avrebbero accompagnati da un gruppo di guaritori che in zona lavorano molto, applicando metodi tradizionali per guarire bubboni e altre malattie. La cura consiste nel praticare una serie di incisioni sulle parti malate, collocando poi su ognuna un corno riscaldato a mo’ di ventosa ed estraendo poi il sangue da un piccolo foro. Sukran, sukran, rispondiamo in coro, ma vorremmo proprio farne a meno, grazie.

Dove avremmo goduto delle bancarelle cariche d’ogni ben di dio, ora non c’è altro che un piano di calpestio costituito da un letto di borsine, o per meglio dire di shopper. Camminando come zombie, claudicanti su questo materasso di aria sporca; ci sentiamo come sul set di un film di Dario Argento. Il caldo afoso e la sabbia volante rende l’aria irrespirabile, quindi 40




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Zabid e il fiore delle mille e una notte

E noi ci siamo trovati proiettati in questo set: le strade, le case, la gente; tutto era come doveva essersi presentato agli occhi del Maestro. Ora la casa usata dal regista è diventata una tappa fissa, un luogo di culto per i visitatori. Intanto il cielo si fa sempre piÚ scuro, la tempesta piÚ intensa; solleva nuvole di sabbia che offusca gli occhi, frusta le gambe e si deposita sui davanzali e le soglie delle porte. Gli abitanti semicoperti da poveri abiti consumati, vagano come spauriti fantasmi per le vie torride e inospitali di questa zona, dove le tempeste sono molto frequenti.

Nella Tihamah, situata sulla costa del Mar Rosso, dove trova sede Zabid, vi giungiamo accompagnati da una sottile e insidiosa tempesta di sabbia. Le case, rigorosamente dipinte di bianco, assumono un colore grigiastro e polveroso. Gli abitanti della zona hanno tratti somatici africani: una risultanza tra le etnie somala ed etiope, poco distante dallo Yemen. Un paesaggio inquietante e misterioso si delinea ai nostri occhi, una visione che ci riporta indietro cento anni. Proprio qui il grande regista Pasolini trovò il luogo giusto, perfetto, un set naturale con attori non professionisti presi sul posto, gente povera che viveva di poche cose, ma che faceva al caso suo. Erano i personaggi per il film Il fiore delle mille e una notte, straordinaria rivisitazione delle novelle della principessa Sherazade. 43






















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Notte movimentata a Bir Alì

Il nostro arrivo desta curiosità fra i riparatori di reti. Un anziano pescatore è ansioso di conoscere la nostra provenienza e ci chiede se ci interessa acquistare del pesce. Ebbene si, ci servirà per la cena, visto che pernotteremo più distante, sulla spiaggia. A Bir-Alì non vi sono molti alberghi, tanto meno dormitori pubblici. Se non hai la tenda

Al villaggio di Bir-Alì vi giungiamo nel tardo pomeriggio. Troviamo pescatori affaccendati a riparare le reti. Alle loro spalle una bassa e fatiscente costruzione funge da mercato del pesce. A dire il vero a quest’ora del pomeriggio il mercato langue fra cassette di legno vuote e resti di pesce carichi di mosche golose.

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rischi di dormire sotto le stelle. Uno squaletto di medio peso basterà per tutti. Ci accomiatiamo e infiliamo la strada per la spiaggia, anche se a chiamarla strada si fa un po’ fatica. Giungiamo infine alla meta che il sole sta perdendo calore. I sassi per il bivacco, le jambaye per eviscerare il pesce, i rami secchi vomitati dal mare e in poco tempo tutto è pronto per la grigliata. Il mare in questo angolo è da paradiso, uno schianto verde e

turchese con placide onde crestate di pizzi d’acqua. Un invito in barca da parte di giovani pescatori è molto allettante e ci intriga parecchio perché non distante potremmo godere della compagnia del passaggio dei delfini. Saliamo sull’esile imbarcazione di legno. I giovani islamici forse ci volevano far divertire con ondeggiamenti poco rassicuranti, al limite del rovesciamento, ma non era un divertimento a noi gradito, tanto che prendendo posizione li

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facciamo tornare alla spiaggia. I due Caronte ci hanno preso sul serio e in un battibaleno ci troviamo di nuovo a lasciare le nostre impronte sulla sabbia bianca e asciutta. Vengono posizionate le macchine a semicerchio e nel mezzo si sistemano i sassi; dopo poco il fuoco avvampa. In attesa delle braci facciamo un cicchetto di whisky. Anche i nostri autisti, di nascosto l’uno dall’altro e dalla nostra guida, si disinfettano la gola. Il sole, nel frattempo, arrossisce, tanto da sembrare un enorme arancia sospesa fra le onde e alcune nuvole. Le tenebre non tardano a calare. Intorno nessuna luce, tranne quella prodotta dalle fiamme del fuoco. Uno spiffero di vento fischia fra gli scheletri di cemento e ferro arrugginito e corroso dalla salsedine; sono i resti di una costruzione iniziata e mai portata a termine. L’unica, preziosa, lampada in dotazione alla spedizione nello Yemen, priva di lampadina, è una di quelle costruite a

reticella, fragile come un pizzo delle ceramiche di Limoges; senza questo arnese, l’unica fonte di luce rimarrebbe il fuoco e il timido chiarore della luna. Il più perspicace degli autisti, quello che vede anche un po’ più in là del proprio naso, salta in macchina e insieme percorriamo i sentieri impervi, fra scossoni e balzi andiamo e torniamo dal villaggio con l’oggetto del desiderio; e fu subito luce. Incaute falene attirate dalla fonte di luce si abbattono contro la debole fiammella, suicidandosi e lasciando nell’aria odore di bruciato. Sale la luna, aumentando di luminosità, la risacca si carica di perle d’acqua e anche la brezza marina si trasforma in vento prepotente; dispettoso disperde le ceneri del bivacco e solleva la sabbia fine che entra negli occhi.

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In sintonia con le folate di vento una musica strana, proveniente dall’autoradio di uno dei mezzi, crea un certo fermento fra gli autisti, che s’alzano sfoderando dalle custodie i ricurvi pugnali, le sacre jambaye, che rappresentano per chi le porta un segno che narra di virilità e potenza sessuale. Un tris di elementi che assieme danno vita a un raffazzonato balletto, una coreografia squinternata, nata per caso una sera sulla spiaggia di Bir-Alì. Ma la notte è ancora giovane e qualcuno dei nostri amici yemeniti fa una proposta: la caccia ai granchi, armati di torcia e di forchetta. Intrigati, accettiamo. Partiamo quindi come l’armata Brancaleone alla caccia dei crostacei, buoni per la colazione mattutina. È ormai notte fonda, la luna è alta e distante nel cielo, quando prendiamo posto nelle minuscole tende che il vento tormenterà per l’intera notte, impedendoci di prendere sonno. L’umidità del mare e della notte imperla di gocce l’interno della tenda.

Con gli occhi arrossati dalla sabbia, dalla salsedine e del mancato riposo, all’alba riprendiamo il viaggio, decisi a raggiungere il golfo di Adem. Lasciamo così la splendida e selvaggia spiaggia di Bir-Alì. Infilati nel fondo di un lungo e sassoso camion, iniziamo un travagliato e avventuroso percorso.

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Taizz e la Jambya miracolosa

grandi collane, orecchini, bracciali di fattura assai discutibile. Appollaiati dietro i banchi di vendita, i gestori, con le gambe incrociate e i ventri gonfi, osservano i passanti. Con i turbanti rotolati e le macchie di unto su i lunghi vestaglioni, passano la giornata a fumare e sorseggiare tè.

Passeggiando per la città di Taizz, lungo le contorte vie perennemente occupate da cenciose bancarelle che offrono ogni sorta di mercanzia, giungiamo nel centro storico. Ogni città, piccola o grande che sia, possiede un cuore pulsante, un punto importante d’aggregazione, dove si aprono i negozi che espongono gioielli d’argento, vetrine polverose, con

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Molto spesso hanno la guancia con l’enorme protuberanza piena di foglie di qat e spesso un rivoletto di verde saliva scende dall’angolo della bocca storta, lungo il collo, addentrandosi nelle profonde pieghe del collo. Mai una donna in questo paese potrà gestire un punto vendita, è prerogativa dei maschi questa attività e non di rado alla vista di un obiettivo o di una macchina fotografica, succede che questi pavoni alzino la coda e mettendosi in mostra con le mani appoggiate sull’impugnatura dei pugnali vogliano immortalare la loro ambita virilità. La città di Taizz conserva una delle tradizioni più antiche e rinomate: quella della produzione di jambaye. Se ne possono trovare d’ogni qualità e prezzo. Ve ne sono d’ogni tipo, con i foderi rivestiti di corde colorate, di cuoio decolorato, coperti di pelo caprino o con decolorazioni scintillanti per giungere poi ai negozi d’antiquariato, che mettono in vendita il famoso pugnale ricurvo custodito in un fodero d’argento.

Il più ricercato, l’oggetto culto è quello con l’impugnatura ricavata dal corno di rinoceronte. Vi sono negozi esclusivi che mettono a disposizione dei compratori più facoltosi oggetti di pregio. La jambya antica, prodotta dagli argentieri ebrei, deve esibire la stella di David, incisa sulla lama, seguita dalla firma del suo autore. Un negozio di questo tipo attira la nostra attenzione, la vetrina, accattivante sirena, ci seduce. All’interno il gestore ci accoglie riccamente vestito, dotato di baffi alla Salvador Dalì, lucidi e rivolti all’insù; ci sorride salutandoci gentilmente. Un signore in gran spolvero, disposto a soddisfare ogni nostra richiesta. Dopo questa premessa, passiamo in rassegna le meraviglie esposte sul banco. Individuato l’oggetto, e constatato che tutto sia consono alle informazioni ricevute in precedenza incominciamo le trattative.

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È ormai risaputo che gli arabi non concludono mai un affare senza contrattare; la trattativa fra venditore e compratore è la norma, e se alla fine il venditore offre il tè sta a significare che ha concluso un affare soddisfacente, ma anche l’acquirente deve essere soddisfatto. A questo proposito giunse un ricco vassoio con tanti bicchieri di tè aromatizzato al cardamomo, e un cin cin con in alto i bicchieri suggella l’accordo avvenuto. I salam aleikum non si risparmiano comunque, a sottolineare l’avvenuto pagamento. È fatta: un bellissimo pezzo con l’impugnatura di corno decorato di fiorellini d’argento, la lama larga e ricurva, ben soda, con la stella di David che brilla giorno e notte incisa in un angolo, corredata dall’autografa firma del suo autore a garantire l’autenticità – inshallah – ora è nostra. Usciamo felici dopo aver acquistato questo meraviglioso souvenir con la custodia d’argento che reca sulla punta ricurva una piccola cupola di moschea, a ricordare l’origine

dell’oggetto. Ora, dopo l’avvenuta cacciata degli ebrei (eccellenti argentieri) dallo Yemen sono arrivati pochi artigiani in grado di eseguire lavori di pregio, quindi gli oggetti creati prima di quell’epoca sono ricercati, perché ritenuti preziosi per la loro fattura. La prova l’ho avuta la sera uscendo a cena con gli amici a Taizz. In attesa di essere serviti notiamo che parecchi avventori del ristorante, appoggiati i kaiasnikof alle pareti s’accostano al nostro tavolo, congratulandosi con me per l’oggetto che indosso, l’abbigliamento poi fa la sua parte turbante: bianco, pantaloni arabi con sbuffo dello stesso colore, insomma un finto sceicco passato da Taizz per caso. Tanto interesse e tanto rispetto ossequioso è dovuto poi al pugnalone infilato nella cintura stretta in vita, considerato in Yemen uno status simbol. Quindi più prezioso e ricercato l’oggetto, più ricca e potente è la persona che lo indossa. Ci siamo divertiti tanto, e per una sera ho avuto congratulazioni, compli-

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Shibam la Manhattan del deserto

menti ed onore che, ad essere sinceri, non meritavo.

Shibam affascinante, unico agglomerato di alti grattaceli di fango stipati in cinquecento metri quadrati. Le fondamenta affondano nel letto di uno wadi (fiume in secca) e le case torri svettano in alto, costruite con legno, paglia e fango, raggiungendo l’altezza di sette piani.

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Dall’ultimo piano della costruzione, quando il sole cala dietro un sipario di roccia, e le ombre si allungano nello wadi, si gode di una vista irripetibile. Lungo le pareti rocciose che arginano il fiume, fra le protuberanze appuntite, il sole si suicida e cade a brandelli mentre silente s’erge chiara la luna. Distesi, seduti, sui cuscini arabescati, come tanti marajà, dalle strette finestre dei mafraj , il locale antistress per eccellenza, ci gustiamo il trapasso del giorno, quando il popolo di Bilquis, regina di Saba, si concede al piacere della vita. Tè aromatizzato al cardamomo, masticazione del qat, fumo di tabacco e ascolto di musica dell’Hadramaut, divinamente eseguita con l’ūd equivalente del nostro mandolino: così le chiacchiere e le risate degli abitanti che passano lungo la via sottostante ci giungono sotto forma di mormorio vago e indistinto. Oltre le mura delle città s’estende un vasto spazio sabbioso, circondato da basse colline rocciose, dove sopravvi-

vono cespugli aridi e spinosi; nell’ora più santa per l’Islam, il vento che scende generoso e tiepido trasporta lungo il canalone riarso la voce dei muezzin che giunge dai villaggi a monte; una nenia melodiosa, dolce e filamentosa ti prende e qualunque brivido scorre lungo la schiena, facendoti vibrare d’emozione. Nei campi di sorgo e di miglio, sotto il sole, si aggirano neri fantasmi con il capo coperto da cappelli a larghe tese; sono le donne yemenite, che armate di affilati falcetti con naturale eleganza recidono gli steli. Streghe benigne, riunite in un sabba agreste e faticoso. La fatica di queste donne lavoratrici senza tempo e senza fine si perpetua giorno dopo giorno.

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Sadah e le sue mura

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mura che cingono l’abitato, stretto da una lunga cintura che funge da argine, sul quale si può camminare ammirando dall’alto l’agglomerato urbano. Costruite con il sistema piramidale, le mura hanno la base larga che si restringe man mano che salgono, terminando all’apice con una solida e percorribile strada.

L’alba fresca e un pallido sole ci prendono per mano accompagnandoci alla visita della città posta all’estremo nord dello Yemen. Stretta fra le sabbie del grande vuoto (deserto di Rubal Kalì) e le coste del Mar Rosso, Sadah è un agglomerato di costruzioni fatte di mattoni, di fango e paglia. Le strette vie sono serrate da bassi edifici protetti da possenti

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Passeggiando senza fretta puoi godere della vista su un paesaggio vago e straordinario. Le terrazze, costruite con grossi tronchi coperti di terra, sono diventate il ricettacolo di cose inutilizzate e luogo di riposo d’ogni tipo di rifiuti. Alcune costruzioni sono abbellite da porte e finestre con colori veramente sgargianti. Le altre facciate sono coperte da intonaci color del fango, che brillano nei punti in cui le dorate pagliuzze spuntano qua e là, come peli di barba, dall’intonaco. Durante la passeggiata sulle mura di tanto in tanto la nostra curiosità cade su delle anomale costruzioni che sono caratterizzate da porte coloratissime, con sgargianti tinte a smalto, che hanno fatto sì che queste metalliche barriere possano sembrare preziose e solide protezioni poste a salvaguardia di tesori inestimabili. Dopo qualche dubbio o ragionevole perplessità ci rendiamo conto che nulla di ciò che abbiamo considerato corrisponde a verità.

Guardando il retro di questo ostentato trono con scale a salire sino alla porta scopriamo la sua reale destinazione d’uso: si tratta di un comune gabinetto con pilastri di pietra a sostegno di tutta quanta la costruzione. Lo spazio che separa i due pilastri è ora occupato da una discreta piramide di escrementi umani che aumenta di volume secondo il numero di occupanti, e anche dalla necessità d’evacuazione. Queste latrine imperiali, prive d’acqua corrente, ma anche di normali fognature, vengono svuotate a mano e sparse, dopo previa mescolazione con zappe o arnesi di questo tipo, negli orti da coltivare, nei giardini o nei campi seminati a mais e, perché no, anche nelle coltivazioni di qat. L’erba tanto decantata dai poeti yemeniti e ancor di più dal popolo di consumatori. Il qat

Il qat, l’erba che incanta i tuoi sortilegi nella semioscurità guariscono i cuori feriti 91


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Al Mukkalla e la guerra nord e sud

degli amanti. In te è il conforto dell’anima, il riposo del corpo la stimolazione dell’anima allontani il sonno dalle palpebre, per quello di cui il libro accompagna le notti... Poeta dunque canta canta dunque sempre, le lodi al qat.

Al Mukalla si specchia nelle acque del golfo di Aden, nell’Oceano Indiano. Vi giungiamo con un volo da Sana’a, la capitale. Il porto, un po’ fatiscente, ci accoglie alla partenza del percorso verso Bir Alì. Parecchi chilometri da percorrere con il fuori strada, attraverso lande deserte e desolate. Il sole, rotondo e mattiniero, illumina le bianche dune di sabbia, la brezza del mattino le spolvera, sollevando ventagli trasparenti in controluce. Una demmera mostra protuberanze rocciose di colorato granito che spuntano dalla sabbia dal color cipria. Alberi di carbone, bruciati dal conflitto, sono scheletri immobili scarnificati dal vento. Si scorgono ovunque reminiscenze e resti di aspri combattimenti: simulacri di camion, carri armati, jeep sventrate. Annerite carcasse

Autore ignoto

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I piccoli villaggi: perle preziose dello Yemen

che gridano al cielo la disperata condizione, l’innegabile stupidità degli uomini.

Persi qua e là sulle montagne, arroccati sulle rocce come nidi d’aquila, o circondati da balze terrificanti, fatiscenti nelle zone desertiche, a volte preda di forti piogge, sopravvivono piccoli agglomerati, perle preziose, scrigni di pietra che custodiscono tesori medievali. Acque di smeraldo racchiuse in cisterne a cielo aperto, contornate da possenti mura, viste dall’alto sembrano giochi, stretti fra terrazzamenti coltivati a qat, e protuberanze rocciose. Sono abbeveratoi per greggi transumanti. Ci affascina l’abbagliante splendore di Tarim, Seyoh, Kawkaban appollaiato sulle rocce, che domina una vallata verdeggiante. L’asfalto contorto come una biscia conduce ai piedi del massiccio roccioso. Una piccola serpe di ghiaia e di sassi conduce al grande portone di legno che serra l’unica entrata e uscita del piccolo scrigno. 94






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La notte le deboli luci rischiarano le strette viuzze del centro. Da qualche finestra si gode la vista notturna dell’immensa vallata, cosparsa da tremule lampade tormentate dal vento, fuochi fatui che come esili candele s’arrendono e si spengono nel blu della notte. La grandiosità di Wadi Daar con il suo palazzo costruito sopra una grande roccia, con la torre quadrata e possente a guardia dell’abitato.

Ma le perle si moltiplicano come i grani di una collana: Jblah, Ibb, Al Mawit, sono alcuni villaggi che conservano tutt’ora un’atmosfera medievale. Tula, Az e Assara rendono corposo e interessante l’antico regno della regina di Saba.

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