Incontro con le arti |Arti Visive | Reading | Musica

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Ars Docet Centro di promozione e divulgazione delle arti !

è lieto di presentare


Incontro con le Arti Arti Visive | Reading | Musica

Corte Catalana di Palazzo Pinto - Salerno


sabato 25 luglio 2015 h 19.30


Il territorio di Salerno, con la Costiera e parte del Cilento raccoglie un patrimonio ricchissimo di miti e leggende che rappresentano il legame tra il patrimonio materiale a quello immateriale. Una roccia dalla forma particolare, un foro nella montagna, un nome o un piatto hanno visto l’intervento del soprannaturale o dell’eroico. E lì dove il mistero avvolge ogni cosa, anzi ogni casa, quella è la patria delle janare, donne con poteri straordinari capaci di volare sul mare con le barche sottratte ai pescatori. Il mare, poi, è il luogo dove questi miti trovano ambientazione: gli isolotti de Li Galli diviene la sede delle mitiche sirene, i fenomeni meteorologici delle trombe marine vengono opportunamente calmati dagli interventi di pescatori che conoscono le formule per modificare il corso degli eventi, il mare come luogo di villeggiatura che diventa praticabile dai bagnanti solo dopo la discesa di un pezzo di fuoco nella notte di S. Giovanni, il 24 giugno. Tutto questo patrimonio offre ai visitatori una lettura profonda del territorio nelle sue componenti antropologiche e sociali.


La leggenda della Sirena Leucosia !

Partenope, Leucosia, Ligea. Esseri mitologici dal canto ammaliatore o bellissime e sognanti principesse. Sono queste le tre sirene, a cui i secoli hanno dedicato altrettante leggende. Tre spiriti che proteggerebbero ancora i luoghi in cui si consumarono le loro esistenze. “Leucosia lo osservava ogni notte. Nuotava silenziosa e leggiadra come solo le sirene potevano. Arrivava sotto la finestra del castello del suo amato. E lo guardava da lì, mentre il principe si affacciava alla finestra delle sue stanze e si perdeva con lo sguardo lungo l’orizzonte del mare, un lastra nera su cui si specchiava la luna pallida. Lui era lì. Ma lei non lo poteva toccare, accarezzare, baciare. La sua coda le impediva di muoversi sulla terraferma, e nonostante questo amava quell’essere umano con tutta sé stessa. Ma la cosa che faceva soffrire di Leucosia più era un’altra: la consapevolezza che il principe non sospettasse nemmeno della sua esistenza. Lei era una sirena. E le sirene dovevano tenersi nascoste alla vista degli umani. Era sempre stato così, e così sarebbe stato per sempre. Un giorno accadde qualcosa. Lei sapeva che prima o poi sarebbe successo, ma Leucosia aveva preferito ignorare ogni volta quel triste pensiero. Al castello ci fu movimento per diversi giorni. E di notte, lo sguardo del suo principe non era più triste: adesso era sognante, estatico. Come se stesse pensando a qualcuno. Nascosta dalla sciabordio delle onde del mare, Leucosia si costrinse a zittire quanto il suo animo le stava gridando con tutta la forza possibile. La donna arrivò una mattina piena di sole e con il mare placido. Il giorno che tutte le donne sognavano per il proprio matrimonio. E convolò a nozze con il principe. Leucosia assistette a tutto. Attonita, incapace anche solo di pensare a qualcosa. Attese che calasse la notte. E vide il suo principe nuovamente affacciato alla finestra. Quel breve, fugace attimo di felicità, l’illusione che niente fosse cambiato, si tramutò nella più atroce delle condanne per la sirena: il suo principe si era affacciato con la donna che era diventa sua moglie, e le stava mostrando quel mare in cui Leucosia era stata costretta a nascondersi. I due sposi scomparvero. E il cuore di Leucosia non poté reggere oltre. Raggiunse un piccolo isolotto a poca distanza dal castello. Fu lì che si uccise, dilaniandosi il cuore con un pezzo di roccia mortale come una lama. Il suo ultimo pensiero fu per l’uomo che aveva amato.

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Ancora oggi, diversi pescatori che navigano nei dintorni dell’isolotto omonimo asseriscono che in particolari giorni è possibile ascoltare l’armonioso, triste e struggente canto della sirena Leucosia. E alcuni affermano anche di averla vista nuotare sotto la propria barca, una visione tanto fuggevole quanto stupenda.

reading a cura di Antonella Fimiani

Leucosia, dipinto di Mauro Trotta


La principessa Sichelgaita e Francesco

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Sichelgaita nacque a Salerno nel 1036 da Guaimario IV principe di Salerno. Conobbe l’arte medica sin da fanciulla e subì una grande attrazione per lo studio, la bellezza dei classici latini e greci e la sapienza delle Sacre Scritture. Furono proprio gli studi a farle incontrare quello che sarebbe passato alla storia come il più grande amore della sua vita: Francesco. Dovettero attendere dieci anni per incontrarsi ancora, tempo in cui Gaita da fanciulla era mutata in signora, la signora di Roberto il Guiscardo. Il rivedersi accadde per caso. I due si incontrarono a San Marco, nuova residenza della principessa e luogo in cui Francesco era stato convocato in qualità di medico proprio presso la dimora del Guiscardo per curare un incidentato. Anche se ormai adulti, i due si riconobbero subito, tornò la stessa sintonia che li aveva accesi in gioventù, sintonia che la principessa provò a combattere e sotto cui perì miseramente a causa di un bacio d’addio così appassionante da sfociare nell’uragano nascosto in cui i due precipitarono poco dopo. Fonti scritte parlano di una profonda crisi attraversata dai due che, seppur estremi devoti a Cristo, erano caduti vittima dell’adulterio, peccato mortale che per Gaita e Francesco rappresentava invece quella fiamma di vita che i due bramavano con tanto desiderio e sofferenza. Un amore così inarrestabile e forte che fu suggellato, esattamente nove mesi dopo, dal figlio Ruggero, attribuito falsamente al Guiscardo. Gaita aveva fatto della Torre Normanna il tenero nido d’amore da condividere, nei lunghi periodi di solitudine dal marito, con il suo prezioso amante. Quando il Guiscardo però rientrò a San Marco, la principessa fu preda dello sconforto: avrebbe passato interi mesi da sola senza il suo amore a causa dell’odiato marito! Aveva perciò bisogno di un piano. Le fonti raccontano che un giorno, persa con lo sguardo sconsolato oltre la finestra delle sue stanze, notò da lontano i tetti rossi del Convento della Matina, da lei stessa ordinato. Vide come la struttura fosse collegata direttamente con il Rivellino del Torrione dove lei stava. Fu così che nacque il caminetto sotterraneo e la famosa fontana, voluta dalla principessa per realizzare in segreto l’allaccio della via sotterranea tra l’Abbazia e il Torrione; Infine, convincendo l’abate Abelardo a fare di Francesco il medico del convento, Gaita raggiunse il suo scopo. Il triangolo maledetto era in atto: il Guiscardo spesso lontano per le battaglie, una via nascosta che collegava i due amanti, e la principessa che visse finalmente quella vita da moglie cui seguirono, sulla scia di Ruggero, la bella Costanza, Olimpiade e Guido. Per quanto un disegno goda di grande progetto e meticolosa virtù nell’attuazione, persiste sempre quell’insignificante margine d’errore in grado di sconvolgere il tutto. Quel margine fu il Guiscardo in persona che dubbioso dell’estrema fertilità della moglie, ordì un sagace inganno: la notte prima della sua nuova partenza si finse ubriaco non toccando affatto la moglie, e quando tempo dopo Gaita annunciò una nuova gravidanza, per Roberto fu la conferma di un amante. Non riuscendo a cogliere in flagrante la sagace adultera aiutata dall’abile inganno del caminetto sotterraneo, fu la sorte ad aiutare il marito cornuto: recandosi presso il convento, a Roberto il Guiscardo fu presentato il nuovo medico, Francesco appunto. Notando l’estrema somiglianza con il primogenito Ruggero, preso nota da quanto tempo egli operasse nel convento e di chi l’aveva voluto al servizio. L’inganno era ormai scoperto. Roberto preso da grande ira giurò vendetta e tese un agguato a Francesco che venne ucciso e lasciato alla mercé di cani selvatici che dilaniarono il corpo prima di lasciare che fosse ritrovato. Gaita, abbandonata ormai al suo destino maledetto riprese il suo ruolo di consorte, rimanendo accanto al marito Guiscardo fino alla morte di costui, morte avvenuta poco dopo aver bevuto un sorso di una medicina offerta dalla servizievole moglie.

reading a cura di Elisa Carrafiello

Sichelgaita da Salerno


Antonella e Raimondo, e la fonte del Museo Archeologico

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Il palazzo che oggi ospita il Museo Archeologico, è stato sede della triste storia trecentesca di Raimondo ed Antonella, una delle più belle damigelle della regina Margherita di Durazzo che, rifugiatasi a Salerno dopo l’uccisione del marito Carlo III aveva ricostruito parte del Castel Terracena e ne aveva fatto la sua dimora. Un giorno il figlio di Margherita, Ladislao, di ritorno dalla guerra si fermò a Salerno per salutare la madre ed era accompagnato dal valoroso guerriero Raimondo, figlio di una nobile famiglia ungherese. La sorte volle che Antonella e Raimondo si incontrassero nel giardino della reggia, nei pressi di una fontana e si innamorassero perdutamente. Ma una perfida damigella avvertì Ladislao dell’accaduto. Il principe proibì ai due di incontrarsi, perché Antonella era figlia di un umile fabbro, chiamato mastro Matteo del Convento e fece rinchiudere la giovane nel vicino monastero di San Michele, mentre Raimondo fu inviato in guerra. Trascorsi due anni, il re, per premiare il valore dimostrato dal giovane, gli diede il permesso che si celebrasse, di nascosto, il matrimonio. Nel 1412, durante una terribile epidemia di peste, la regina si ammalò. Accorsero al suo capezzale sia il figlio che Raimondo con la sua sposa. La regina nel vedere la damigella rivelò che non era Antonella ma la sua gemella Vanna, sostituitasi a lei per sposare il nobile ungherese. Antonella difatti era anch’essa moribonda nella stanza contigua a quella della regina. Raimondo riuscì appena in tempo a vederla prima che spirasse tra le sue braccia. Il povero innamorato perse il senno. Spogliatosi di tutti i suoi averi, si vestì con un saio ed iniziò a vagare per la città alla ricerca della sua amata. Pare che ancora oggi, nelle notti invernali tempestose, il fantasma si aggiri bussando alla porte e chiedendo con voce fioca della sua bella. Accanto ai resti del castello c’è ancora la fontana presso la quale s’incontrarono per la prima volta i due sventurati giovani. La leggenda vuole che se una giovane, salernitana di nascita, in un giorno di agosto si accosti alla fonte e dopo essersi bagnata le labbra dica sottovoce:” Anima della fontanella di Margherita, La regina bella, caccia le lacrime di Antonella, tradita dall’infame gemella”, vedrà all’improvviso arrestarsi il getto d’acqua e dopo poco cadere solo sei gocce, che sono, in realtà, le lacrime di Antonella. Se avrà la fortuna di raccoglierle e serbarle potrà vedere avverarsi il suo sogno d’amore.

reading a cura di Vanessa Pignalosa

Fonte di Castel Terracena


Gli archi del Diavolo ed il mago Barliario !

Intorno al XII° secolo il medico e alchimista Piero Barliario era considerato un vero e proprio mago; gli si attribuivano eventi soprannaturali di ogni genere. La conoscenza della chimica fecero credere che i suoi esperimenti fossero interventi del demonio. Per questo si dice che il Diavolo, da sempre ritenuto un grande architetto, fu invocato dal mago per costruire in una sola notte, estendendosi per una lunghezza di circa un chilometro, gli archi di Via Velia, che poi non sono altro che i resti di un antico acquedotto medievale, da lì il nome “Archi del Diavolo”. Leggenda che si è tramandata fino ai giorni nostri, rafforzata dal fatto che durante la seconda guerra mondiale nonostante i vari e numerosi bombardamenti ai quali fu sottoposta la città per diversi mesi e i terremoti accorsi nel corso degli anni, gli archi non hanno mai dato segno di cedimento. Nel 1260, il re Manfredi decise di far costruire il porto. Era un lavoro gravoso e temerario per le correnti che si trovano nel Golfo. Decise di affidarsi a Barliario. Prima di cominciare i lavori, furono uccisi tutti i galli della città, perché si diceva ritenuti capaci di scacciare tutti gli spiriti maligni con il canto. Il timore, infatti, era che avrebbero potuto far fuggire i demoni che avrebbero dovuto eseguire l’opera. Solo un galletto si salvò. Mentre il lavoro dei diavoli procedeva a pieno ritmo, il gallo cantò e i demoni scomparvero, lasciando il lavoro incompleto. Ecco la probabile ragione per la quale il porto non è mai stato integro e funzionante e perché sia così difficile aggiungervi i pezzi mancanti. Accadde poi che un giorno due suoi nipoti si introdussero nel laboratorio, lasciato incautamente incustodito, ed entrati in possesso di un libro di magia nera morirono di paura nell’osservare le figure diaboliche dipinte al suo interno. Plausibile pensare che vennero a contatto con qualche sostanza chimica di cui restarono vittime. Barliario fu accecato da un dolore incredibile misto ad una buona dose di senso di colpa, si recò al monastero di San Benedetto per chiedere perdono a Dio rimanendo steso davanti al crocifisso per tre giorni e tre notti in attesa di un segno. Mentre fuori infuriava la tempesta il segno tanto invocato arrivò: la testa del Cristo si piegò miracolosamente verso di lui ed aprì gli occhi. Il mago Barliario abbandonò per sempre la magia e gli esperimenti alchemici morendo nel 1149 all’età di 93 anni. Questo fenomeno ha lasciato una traccia indelebile nelle tradizioni popolari e religiose di Salerno. Il Cristo è tutt’ora conservato nel Museo della Cattedrale.

reading a cura di Alessandro Zannini

Gli Archi del Diavolo


Gli artisti in mostra


Anna Avossa “…e pensare che mia madre voleva una femmina” acrilico su tela cm 40x60

“Dieta ferrea”

acrilico su tela cm 40x60


Antonio Carrese Il manichino stanco olio su tela cm 60x40 Utopia olio su tela cm 60x120


Melina Cesarano Nudo di donna olio su tela cm 40x60 !

Dolce nanna acrilico e olio su tela cm 40x30


Paolo D’Alessandro

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Melusina sanguigna su cartone cm 50x70


Anna De Rosa Simona cm 30x30 cosmetici su tela Debbie cm 30x35 cosmetici su tela Laura cm 30x30 cosmetici su tela


Nina Esposito Penombra olio su tela cm 70x45 Il velo di Cirri olio su tela grezza cm 70x50


Viviana Gigantino Untitled olio su tela cm 35x50 Il vizio tecnica mista su cartone cm 50x60


Viktoryia MacrĂŹ

"Thirst"

grafite su carta liscia 53x73 cm

"Fire"

mista (olio, pastelli e biro) su carta telata 53x73 cm


Antonio Magnotta

Evolution - ceramica porcellanata scolpita e smalti cm 120x60


Sguardi…oltre acrilico su tela cm 50x70

Elena Ostrica


Arianna Paparella

Minori acquarello e china su carta cm 38x53 Il riposo delle barche acquarello su carta cm 38x53


Pantaleo Tarallo

Natura morta olio su tela cm 30x40 Luigi De Luca scultura in bronzo a grandezza naturale


Bruno Tarantino

Pescatori al tramonto olio su tela cm 50x70 Abbracci olio su tela cm 60x80


Toni Traglia

Impressione Ruggine Fotografia rielaborata artisticamente cm 21x42 Ringhiera Fotografia rielaborata artisticamente cm 21x42


Alessio Trevisani

Torii cotone, metalli preziosi e gesso, dimensioni variabili Orione cotone, metalli preziosi e gesso, dimensioni variabili


Antonello Valitutto L’innocenza matita su carta cm 70x100


Silvia Zaza d’Aulisio La leggerezza dell'essere 40/30 tecnica mista (olio e acrilico) su tela

Le Lavandou 50/35 olio su tela


Ivan Pili la pièce musicale

Musicista concertista e compositore cagliaritano ha ideato un percorso melodico-armonico teso idealmente a far rivivere le atmosfere, i tempi ed i respiri fin qui narrati. I paesaggi, le scene ed i contesti su cui si fonda la colonna sonora puramente improvvisata, prenderanno un colore ed un respiro che l’ascoltatore immaginerà a modo suo. Sospesi, virtuosismi, armonizzazioni, altri sospesi, racconti di viaggio ed un viaggio di racconti, il tutto mai fuori tema e contemporaneamente mai in tema, come a mostrare una chiave di lettura contemporanea per delle storie, miti e leggende senza tempo‌


Si ringrazia

Provincia di Salerno sez. Arco catalano di Palazzo Pinto !

Elisa Carrafiello Antonella Fimiani Vanessa Pignalosa Alessandro Zannini !

Ivan Pili !

Tutti gli artisti partecipanti


Centro per la promozione e divulgazione delle arti www.arsdocet.org | info@arsdocet.org curatela Gina Affinito


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