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Tutti i giochi del dopo elezioni

LUIGI DI MAIO E VITO CRIMI

di Alessio Crisantemi

Èfinita in “pareggio”, la partita elettorale giocata in occasione delle elezioni Regionali: Liguria, Marche e Veneto hanno scelto il centrodestra (con l’unico risultato clamoroso rappresentato dalla seconda, storicamente di sinistra), mentre Campania, Puglia e Toscana sono rimaste al centrosinistra. Un equilibrio che, in parte, appaga tutte le parti politiche, confermando le leadership più forti, e un discorso a parte per la Valle d’Aosta, dove il presidente in virtù di una diversa legge elettorale verrà eletto dai consiglieri candidati nelle 12 liste presentate, che interessa per via del legame fra Regione e casinò di Saint-Vincent. Come impatteranno le nuove nomine sul gioco pubblico, lo vediamo nell’approfondimento che segue: guardando, caso per caso, come si legano i risultati elettorali con il settore, oltre a fornire uno sguardo più generale sull’intero percorso di possibile (e auspicato) riordino. Nel frattempo vale la pena osservare ciò che accade a livello nazionale, anche in seguito al referendum costituzionale che ha accompagnato le regionali: dove la vittoria schiacciante del “Sì” al taglio del parlamentari vede affermarsi il principio ideologico gridato a gran voce, fin dalle origini, dal Movimento 5 Stelle. Un risultato che permette aa Luigi Di Maio di riprendersi la scena, anche se è ormai evidente che il Movimento non può più vivere di sola antipolitica. Se il verdetto evidenzia il risentimento che gli italiani continuano ad avere nei confronti della “casta” e di un certo modo di fare politica, è altrettanto palese che il populismo – pur continuando ad avere una certa presa sugli elettori – ha cambiato i suoi connotati. E dopo i tanti strali e i troppi annunci, spesso anche non corrisposti da fatti, è arrivato il momento di dare risposte concrete al paese, magari anche attraverso (vere) riforme. Ora ci sarà la convocazione degli Stati generali, dopo una consultazione online, sulla forma di leadership che il M5S dovrà assumere: con l’ipotesi di una sorta di segreteria collegiale che raduni tutti i “big”: Paola Taverna, Roberto Fico (o un suo fedelissimo: Vito Crimi), Stefano Buffagni e persino Alessandro Di Battista, se vorrà. Avrebbe dovuto entrarci anche Chiara Appendino, ma la recente condanna per falso in atto pubblico dal tribunale di Torino e la conseguente autosospensione dal Movimento cambiano i piani. Oltre a poter sgombrare il campo da altre ostilità nei confronti del gioco pubblico. Va All’indomani del duplice voto di fine settembre si delineano nuovi scenari per governo e parlamento, ma anche per il gioco pubblico.

ricordato, infatti, che negli stessi giorni la sindaca torinese aveva fatto infuriare gli operatori con nuove e ulteriori affermazioni nei confronti del settore a dir poco discutibili. Con il presidente onorario di As.Tro, Mario Negro, che aveva replicato spiegando che: “Il dibattito sull’efficacia della legge regionale del Piemonte deve essere basato su numeri reali e non su interpretazioni ideologiche” dopo che la sindaca aveva parlato di “risultati concreti” poiché il volume di giocato delle Vlt è diminuito nel 2019. “Nulla di più ovvio – secondo Negro - se i congegni non sono accessibili perché vietati, è inevitabile che la raccolta diminuisca. Bisogna invece chiedersi dove sia andata a finire e le operazioni di polizia – citate dalla stessa Appendino – possono fornire un indizio di risposta: la domanda di gioco o si è spostata verso l’illegalità”. Tornando alle vicende nazionali, il voto del referendum suggerisce altre conseguenze e considerazioni. Con l’architettura del 5 Stelle che dipende dall’incognità dei parlamentari e dalla partita che si giocherà al governo, perché la stabilizzazione dei circa 300 eletti pentastellati, tra tanti mal di pancia e vari dissidenti, è indispensabile per la sopravvivenza dell’Esecutivo: e un eventuale rimpasto che renderebbe tutto più difficile. In questo difficile gioco di equilibri si inserisce anche il tema del gioco pubblico. Nella partita a scacchi giocata nella maggioranza, il problema per il M5S è legato alla perdita di mordente e all’affievolimento delle sue battaglie di bandiera. I numeri del referendum dicono che le vecchie parole d’ordine contro il “sistema” funzionano ancora, ma a scartamento ridotto. Figuriamoci, poi, quelle battaglie puramente ideologiche che il consenso non lo hanno neppure mai avuto, ma sono state soltanto assimilate di default dagli elettori, anche senza crederci del tutto, perché in fondo non c’è niente di male nell’invocare la tutela dei consumatori o della salute, come viene sistematicamente annunciato quando si deve inveire contro il settore. A distanza di anni, tuttavia, si è ormai palesata l’inconsistenza di certe battaglie, soprattutto nel gioco: dove i vari territori che hanno dato spazio alle rivendicazioni a 5 Stelle hanno dovuto fare marcia indietro per manifesta inapplicabilità ma anche per il disastro occupazionale che certe disposizioni avrebbero provocato e senza alcun beneficio per la comunità. Anzi. Anche a livello nazionale comincia a essere evidente l’inconsistenza e criticità di altre misure, come quella del divieto di pubblicità voluto dallo stesso Di Maio con il decreto Dignità, che passerà alla storia, forse, più che altro per le frasi a dir poco “buffe” con cui è stato accompagnato: tipo quella (celebre) dell’abolizione della povertà. Oggi, peraltro, diventa anche una questione di credibilità: difficile gridare contro i privilegi quando si gode di stipendi elevati, scorte, auto blu, e via dicendo, esattamente come i politici che un tempo si combattevano. Figuriamoci, dunque, continuare a parlare di azzardo. Alla fine, saranno gli stessi elettori a dire basta. Ammesso che ce ne siano ancora, nei prossimi mesi.

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