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Valorant come nasce un titolo eSports

LO SFIZIO DEL GIOCO

A cura di Daniele Duso

Dopo mesi di annunci, lo scorso 7 aprile il publisher Riot Games ha lanciato ufficialmente la versione closed beta di Valorant. Si tratta della prima versione giocabile del nuovo videogame del genere tactical shooter della casa statunitense, creato già pensando al suo sviluppo competitivo. Il nuovo titolo, infatti, ha attirato sin da subito l’attenzione degli appassionati del gioco a squadre (si gioca cinque contro cinque), con ognuno dei cinque personaggi dotato di abilità uniche, e nel quale una squadra si impone sull’altra dopo una serie di round di gioco. Il nuovo titolo è stato reso disponibile inizialmente solo in Europa, Canada, Russia, Turchia e Stati Uniti, una prima limitazione che deriva dall’emergenza dettata dalla diffusione del Covid-19, come ha dichiarato Anna Donlon (nella foto), Executive Producer di Valorant: “Il nostro obiettivo era di portare la clo

ANNA DONLON

sed beta di Valorant al maggior numero di giocatori in tutto il mondo e il più velocemente possibile, ma la pandemia di Covid-19 ha interferito con questi piani. Per ora, dobbiamo concentrarci sulle regioni dove ci sentiamo più pronti”. Parole che fanno capire cosa è Valorant per Riot Games: un titolo studiato proprio per avere successo, per sfruttare al massimo il filone degli sparatutto mutuando i tratti essenziali dei titoli simili che hanno avuto maggior successo, come Counter Strike: Global Offensive e Rainbow Six: Siege, Overwatch e Apex Legends. Proprio con Apex Legends, poco più di un anno fa, il publisher Electronic Arts ha tracciato un percorso simile, inserendosi nel nutrito carniere dei battle royale, e riuscendo in breve a ritagliarsi uno spazio tutt’altro che indifferente. Ora, anche per Valorant, da un lato c’è l’effetto novità che incuriosisce sempre (come è stato per il gioco di Electronic Arts), ma il resto è merito di un’attenta e oculata pianificazione. L’annuncio, fatto qualche mese prima (Riot cominciò a parlare del suo nuovo gioco, chiamandolo “Project A”, sul finire del 2019), poi i vari leaks rilasciati ad arte, infine la pubblicazione della versione closed beta (che nei primi venti giorni ha collezionato oltre 75 milioni di ore di visualizzazioni su Twitch), doppiamente utile: a testare il terreno dei fan e raccogliere idee (e critiche) per migliorare ulteriormente il prodotto. E poi c’è la costruzione del gioco e la sua preparazione alla scena esportiva: “la modalità competitiva – ha spiega

Questo articolo è realizzato in collaborazione a eSportsMag.it, il primo magazine online in Italia interamente dedicato al fenomeno degli eSports

to il membro senior del team di sviluppo di Valorant, Ian “Brighteyz” Fielding – userà le stesse regole di gioco e lo stesso formato della modalità non classificata, ma si concentrerà sulla competizione vera e propria con un sistema di livelli che indicano la bravura e il talento di ogni singolo giocatore. Il sistema competitivo di Valorant è ancora nelle sue fasi iniziali e si evolverà nel tempo, ma i test della closed beta sono indispensabili per mettere insieme una piattaforma di competizione stabile e affidabile”. Un mix di rivalità, che crea adrenalina e offre ricompense crescenti; il gioco di squadra, che punta sul legame creato da senso di appartenenza, e dal senso di responsabilità nei confronti degli altri membri; e poi l’esperienza di gioco, piacevole, veloce, semplice (con tanti elementi già conosciuti) ma avvincente (con elementi di novità). Ci saranno otto gradi di gioco – riporta la nota di Riot Games - ciascuno diviso in tre livelli, ma vincere le partite non sarà il fattore più importante per salire di grado. Insomma, pare esserci tutto, e sembra non mancare anche un altro degli elementi che fanno grandi gli eSports, ossia il sostegno del publisher. Ma trattandosi di Riot Games si viaggia, molto probabilmente, sul sicuro. Infatti ora manca solo una data d’uscita del videogioco completo, probabilmente in contemporanea alla distribuzione di questa pubblicazione. Dopo di che, ai fan, non resterà che prepararsi a gustare i nuovi tornei in giro per il mondo.

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Un bel rebus! Alle aperture del decreto dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli che prevede dal 27 aprile la accessibilità agli articoli di “gioco” offerti nelle tabaccherie (ma escludendo successivamente, con una determinazione del giorno 29, la ripartenza di scommesse e slot machine) rispondono le associazioni che si schierano “a tutela” dei giocatori e delle loro famiglie che manifestano il loro timore per il fatto che questo periodo, per molti lontano dalle attività lavorative e nella artificiosa costrizione all’interno delle mura domestiche (per chi le ha…) rappresenti un incentivo in più a evadere attraverso le nota “via di fuga dalla realtà” (specie se non favorevole) ricorrendo alla “droga eccitatoria” del gioco d’azzardo. La Campagna “Mettiamoci in gioco” che rappresenta la più rappresentativa associazione nazionale contro i rischi del gioco d’azzardo, seppure su posizioni non proibizioniste, aveva espresso la propria ferma contrarietà all’ipotesi di riaprire, forse già dal 4 maggio (una ipotesi poi smentita dal nuovo Dpcm del premier Giuseppe Conte, che dispone il riavvio di altre tipologie di attività Ndr), le sale giochi sottolineando come “il gioco d’azzardo è tutt’altro che un’attività essenziale, anzi comporta numerosi rischi di carattere sia sociale sia sanitario. Proprio la situazione di lockdown ha avuto il positivo risultato di contenere le forme di abuso e dipendenza da gioco d’azzardo. Sarebbe sorprendente e deplorevole che, in una situazione di generale e grave impoverimento del Paese, si consentisse la riapertura di locali che producono di fatto ulteriore perdite di denaro specie per le fasce più deboli della popolazione. Inoltre, va ricordato un altro aspetto rilevante. Molte delle persone che frequentano le sale giochi hanno un’età avanzata e, dunque, sono particolarmente esposte ai rischi collegati alla diffusione del Covid-19. Per queste ragioni Mettiamoci in gioco chiede al Governo e alle forze politiche che le sale giochi siano tra gli ultimi esercizi commerciali a essere riaperti, quando l’emergenza sanitaria sarà del tutto sotto controllo”. Così è stato, infatti, visto che di riapertura di sale giochi non c’è traccia nel decreto Riccardo Zerbetto È psichiatra e direttore del Centro Studi di Terapia della Gestalt. Dal 2007 è direttore scientifico di Orthos, associazione per lo studio e il trattamento dei giocatori d’azzardo.

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Quale Fase 2 per i giocatori?

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di Conte. Ma su questo punto, e anche per contenere il rischio di una massiccia migrazione verso il gioco online, riteniamo che i luoghi che offrono occasioni di “gioco” si adeguino ad ospitare clienti nella salvaguardia di tutte le precauzioni richiesta a luoghi pubblici di lavoro o frequentazione (come ristoranti, musei, teatri, biblioteche, etc) e che, a nostro parere, debbano prevedere non solo le mascherine e la distanza sociale, ma anche la sanificazione ripetuta dei luoghi di frequentazione e degli oggetti manipolati (come le tastiere della slot machine ad esempio). Non ultimo la garanzia al fatto che i gestori non siano contagiati, cosa che può solo essere appurata tramite test sierologici e dei tamponi orofaringei. Importante sarebbe inoltre che questi luoghi possano offrire occasioni di “entertainment” non solo collegata al gioco d’azzardo ma anche alla possibilità di socializzare come, nella sua più autentica natura, il gioco (che non sia una illusoria aspettativa di guadagno…) dovrebbe offrire. Attenzione però a un “veicolo” che da sempre si accompagna alle epidemie: il passaggio del denaro, oltre che delle carte o altri “strumenti di gioco”, come scacchiere, flipper, calciobalilla etc.. Indispensabile quindi l’uso dei guanti, oltre che delle mascherine, e il lavarsi le mani una volta tornati a casa!

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