In questi giorni di freddo a Candlekeep ritorno con la memoria ai tempi in cui la giovinezza fluiva nelle mie vene. Ero stato assegnato dal collegio dei Bardi come scriba ed allievo di uno storico, uomo di acume non comune, Whilelm da Casterblik ed insieme a lui mi sono trovato ad ascoltare la storia di un giovane elfo, e del suo viaggio alla Grande Foresta. Lo chiamavano il cantore, e quando l’abbiamo incontrato pareva nn essere del tutto certo di quello che ci andava narrando, che il mio maestro mi fece appuntare: come se nella sua saggezza serena avesse inteso che in quel racconto vi era altro, e che quello che narrava altro non era che il canovaccio sul quale si andava disegnando un arazzo. Giunto ora il tempo dei miei ultimi giorni, ancora lo trascrivo. E ricordo il suo soprannome. Il cantore. Che dell’unico amore terreno della mia vita, non ho mai saputo il nome.
1. La Nascita di una Stella. 2. Il Risveglio nel Cielo Notturno. 3. All’Alba della Seconda Vita. 4. Quando la Magia Impazzì. 5. Il Seme Inoculato dal Caos. 6. Fra Arte & Fato: Nuova Via. 1. Prologo: “La Nascita di una Stella”. ´Vedi l’astro che brilla nel cielo? Quello che sovrasta col suo splendore il firmamento? Bene. Quella stella si chiama Alkarinque. Nostro figlio porterà il suo nome, oltre che la sua benedizione.” Alkarinque significa letteralmente Piccola Gloria del Popolo, una stella che si scorge principalmente nel cielo primaverile del Faerun. Secondo l’astrologia elfica è anche la stella più luminosa della costellazione di Wilwarin, la Farfalla. Entrambi segnano l’inizio della bella stagione, quando i fiori iniziano a sbocciare ed il sole torna tiepido a scaldare le terre del Faerun, prendendo il posto delle frequenti piogge e rigide nevicate. Nel nostro caso specifico, è anche il nome del cucciolo d’elfo di cui andrò ad esporvi la storia, ancora incompleta, dalla sua nascita, fino ai giorni nostri della sua avvenuta stabilità nelle terre del Nord, precisamente nelle Marche d’Argento. Alkarinque nasce dall’amore fra Nimtelorsa, un’elfa selvaggia custode del Bosco di Yuir ed i suoi segreti, e Belegil, un elfo delle stelle fiero combattente della sua stirpe. Erano due cuori appartenenti a stirpi differenti, ma sempre fatate e provenienti dalla benedizione di Corellon Larethian stesso. Erano due cuori che, privi di preconcetti troppo diffusi invece fra le altre razze, riuscirono a trovare il modo di conciliare le lor vite differenti, intrecciandole fra di loro in un vincolo sacro del matrimonio e, successivamente, quello di un figlio. Il cucciolo del popolo prese i tratti caratteristici degli elfi delle stelle anche se, esteriormente, non è facilmente riconoscibile, avendo ereditato del sangue misto che, però, non l’ha reso impuro. Il piccolo, nonostante la madre vivesse al di fuori dei confini del reame di Sildeyuir, è cresciuto al loro interno, dato che erano stati ritenuti più sicuri per lui. Lontano dalla natura selvaggia, è immerso in una cultura elfica originale, dato che gli stellari si dissociarono molto tempo addietro dal Faerun, rimanendo così fra i più radicati, in tal senso, nei loro usi e costumi, al contrario di altri elfi che per sopravvivere si mescolarono nelle terre colonizzate dagli umani. Ovviamente
non gli fu mai vietato di uscire da quelle mura per congiungersi con la madre e passare del tempo con lei, beandosi del suo affetto e della sua saggezza. In fondo si sa, la concezione elfica del tempo è astratta, a causa della loro longevità, quindi si concedono lussi che altri esponenti delle razze dalla breve vita non possono permettersi. Belegil aveva intenzione di trasmettere al figlio la sua dote nell’arte della scherma ma, nonostante quest’ultimo apprendesse i rudimenti necessari di essa, non si mostrò mai particolarmente adatto o interessato ad approfondire oltre la sua pratica. Al contrario, Alkarinque si mostrò più idoneo ed attratto dall’arte degli eruditi e dei custodi dei segreti, iniziando così ad apprendere da loro l’utilizzo dell’Arte, particolarmente portato a causa delle forti emozioni che smuovono il suo animo, e le conoscenze storiche che contraddistinguono un maestro dei miti e delle leggende. Nimtelorsa incoraggiava caldamente il figlio a seguire il cammino dei suoi interessi, il padre ovviamente non poteva che mostrarsi accondiscendente, memore dell’insegnamento dell’Io e del Noi, classico della cultura elfica. Il giovane elfo, crescendo negli anni del beryn fin, fra i piaceri di quell’età, doveva anche imparare a trovare il suo posto, ad essere veramente se stesso, concependo l’Io della propria esistenza, oltre che a rendersi conto di far parte di una comunità, quindi utile e necessario per la prosperità del Noi, avendo una collocazione nella stessa. 2. Capitolo 1: “Il Risveglio nel Cielo Notturno”. E’ tempo che tu vada figlio mio, non devi avere timore. Sii forte e coraggioso e risulterai meritevole agli occhi dei Seldarine. Dopo il Risveglio, tornerai adornato di nuova essenza. Giunse il compimento dei cent’anni, età molto importante per gli elfi, anche per Alkarinque. Il Beryn Fin alla fine, fra giochi, avventure ed insegnamenti, era servito principalmente per questo scopo: aiutare l’elfo a Risvegliarsi per così diventare maturo e scegliere il suo nuovo nome. Il tutto era trascorso sotto gli occhi attenti del padre e della comunità intera di Sildeyuir, mentre la madre, fino ad allora, lo aveva accudito come tale dandogli però modo di sviluppare la sua indipendenza. Oltre ad essere amato, doveva anche comprendere, piano piano, quello che sarebbe stato il suo posto all’interno dell’enclave che ospitava la sua presenza, un enclave peculiare e anche abbastanza anomalo, trattandosi quello di un reame extraplanare segreto e custodito all’interno di un semipiano. Quando giunse
il tempo, però, i consigli sembravano non smettere mai di arrivare, da qualsiasi parte, da qualsiasi elfo della comunità che l’aveva visto crescere e s’era affezionato a lui. Come è giusto che sia per qualsiasi vita di quella stirpe nobile e antica. Nonostante gli fu insegnato che non doveva avere aspettative eccessive, che la chiamata dei Seldarine arriva nelle scoperte delle piccole cose, quelle che ti lasciano comprendere il lato sublime dell’esistenzza nella loro semplicità, Alkarinque era al quanto nervoso e, a dirla tutta, il padre dovette spendere diverso tempo per rassicurarlo e donargli forza. La notte precedente al periodo di prova, fu passata senza riposo a chiacchierare e ad infondere coraggio al figlio, per quante parole possano mai spendere gli elfi. Belegil lo accompagnò oltre i portali, nel Bosco di Yuir, e poi si ritirò di nuovo all’interno di quelle mura magica e invisibili. Da lì in poi avrebbe dovuto pensarci la madre del piccolo. Nimtelorsa, piena di orgoglio e gioia per il figlio, lo preparò alla sopravvivenza nella natura selvaggia. Doveva riconoscere il cibo buono e nutriente, a rispettare le piante e gli animali, e anche a sapersi orientare. L’elfa utilizzò un metodo pratico, quello degli astri nel cielo, che sembrava tanto colpire ed affascinare il figlio. Poi, finalmente, iniziò il periodo di prova. All’interno del Bosco di Yuir l’elfo si mosse lasciando tracce e segnali riconoscibili, nutrendosi unicamente delle bacche e radici che la madre gli aveva insegnato, senza mai cacciare, orientandosi di notte quando il cielo permetteva di scrutare le stelle. Il rintocco del loro potere sfiorava le corde dell’anima di Alkarinque, era qualcosa di strano, di mai provato prima. Lui rispettò la natura e la natura rispettò lui. Peculiare, eppure nel suo muoversi senza meta, non incontrò mai un pericolo lungo la via. Forse era questo il segreto? La calma, la tranquillità. Lunghi momenti protratti per giorni di concentrazione e pensieri che maturavano da soli nella sua mente. Una notte si scatenò un temporale, colpendo l’elfo alla sprovvista e, allo stesso tempo, fra tuoni e lampi, ammaliandolo. Si fece avanti sotto la pioggia ed iniziò a cantare smosso dal sentimento. Con se aveva anche la sua lira, strumento prediletto. Gli elfi apprendono qualche arte da piccoli poichÈ essa fa parte della loro stessa concezione di esistenza. L’esibizione che stava improvvisando richiamò l’attenzione di molte creature lì attorno, notturne o diurne, che si affacciarono solo ed esclusivamente per poter osservare cosa stesse accadendo e beandosi di quello spettacolo inaspettato. Quello era il suo inno alla vita, alla gioia e alla bellezza. Era pericoloso ma lui fu avventato. Quando terminò, anche le nubi si diradarono, come alleviate da tale melodia. Le prime stelle che lui riuscì a scorgere nel cielo furono quelle della costellazione di Wilwarin. Un sorriso di sentimento indescrivibile colpì l’elfo fino in fondo al suo cuore. Ora sapeva la via
per tornare a casa ed era sicuro che tutto si era consumato per il meglio. Ora il piccolo elfo si poteva definire tranquillamente un elfo maturo. Ora, Alkarinque godeva del diritto di scegliere il suo nuovo nome: Wilwarin. 3. Capitolo 2: “All’Alba della Seconda Vita”. ´Hai sentito di Alkarinque, il figlio di Belegil l’Incantaspade? Pare che, dopo il Risveglio, i Seldarine l’abbiano benedetto con un enorme potenziale. Adesso stanno cercando un mentore che gli insegni a domarlo.” Tutto si consumò al meglio e nella tranquillità. Il Risveglio in realtà è un avvenimento molto tipico, diffuso, rari sono i malawain; eppure ciò rappresenta un punto focale per la vita di ogni elfo, un piccolo miracolo, una nuova nascita, quindi qualcosa che merita di essere festeggiato. Dopo l’euforia, però, sopraggiunse il momento di prendere atto di ciò che si era diventati e dei doveri che si erano acquisiti nei confronti della comunità. Wilwarin fu richiamato per prendere parte ad un’azione difensiva per la città, il suo primo incontro reale con i Nilshai, creature aberranti che odiano con tutta la loro essenza Sildeyuir ed i suoi abitanti. Belegil, anche se non lo dava a vedere, nascosto nella sua maschera di contegno, era molto apprensivo e anche al quanto preoccupato nei confronti del figlio. L’incantaspade sapeva benissimo che non avrebbe potuto dare sfogo al suo potere attaccando furiosamente i nemici odiati. Lui sarebbe rimasto nella difensiva per proteggere il nuovo in modo tale che potesse sopravvivere alla sua prima esperienza e comprendere come meglio comportarsi in queste evenienze che, purtroppo, nel reame extraplanare sono assai diffuse. Belegil non immaginava cosa sarebbe accaduto quel giorno. Se qualcuno avesse tentato di predirglielo, lui avrebbe riso per risposta. Beh, a dire il vero, un amico di Belegil, seguace di Sehanine Moonbow e studioso delle arti divinatorie, gli parlò di una visione avuta durante la trance tempo addietro, però nessuno dei due vi diede troppo peso. Wilwarin era teso. Inutile negarlo, ne tanto meno lui aveva provato a nasconderlo. Qualcun altro lo osservava un po’ col timore che risultasse un peso, altri invece gli donavano consigli, memori anche loro della prima epserienza in campo. Tutti però erano consci di una cosa: l’elfo era un cantore, amante delle arti e dotato di curiosità e creatività, storico ed iniziato all’astrologia. Avrebbe mai potuto reggere uno scontro del genere senza preparazione? Lui sapeva che avrebbe potuto ispirare, incoraggiare, le gesta di chi combatteva al suo fianco, supportarli, ma da
solo non sarebbe sopravvissuto molto probabilmente. Lui era il primo a crederlo. Belegil era avanti al proprio figlio mentre quest’ultimo utilizzava le sue arti bardiche. Tutti i presenti sapevano che avrebbero potuto contare di meno sulla sua presenza, sulla sua tattica e sulla sua potenza. E, proprio per i pensieri di troppo nella mente dell’elfo, quest’ultimo finì col distrarsi per assicurarsi che Wilwarin stesse bene. Un colpo mancino di quelle orrende creature lo porta prono per terra, inerme alla loro mercè. Pochi se ne accorsero nel furore della battaglia, però tutto ciò stava accadendo sotto gli occhi del figlio, come avrebbe mai potuto ignorare la faccenda? Smise all’istante di usare le sue doti e si fece avanti, frapponendosi nel mezzo per attirare la sua attenzione su di se, in modo tale da lasciare tempo al padre per rimettersi in piedi, in allerta. Prese fiato e poi... un urlo fortissimo, dissonante. La voce del cantore si propagava lì attorno, disperdendosi piano piano oltre, ma chi era nelle vicinanze potette notare tutto il sentimento che vi aveva messo all’interno. Paura, quella di perdere il padre, foga, nel tentativo di distrarre i Nilshai, protezione, nei confronti della propria famiglia. La magia evocata fu talmente così devastante che le membra di quei corpi mostruosi si contorcevano dal dolore, mentre gli occhi si striavano di sangue e le venature del loro corpo sembravano esplodere. Belegil fu protetto. La minaccia che incombeva su di lui annientata. Membra aberranti giacevano al suolo prive di vita. Quella era l’Arte di Wilwarin. Un elfo che fino ad all’ora non era mai stato visto al di là di ciò che mostrava dall’esterno, fu rivisitato per ciò che aveva dimostrato di possedere al suo interno. 4. Capitolo 3: “Quando la Magia Impazzì”. ´L’abbiamo trovato vicino ad uno dei sentieri nel mezzo della Grande Foresta, era all’estremo delle sue forze. Altre creature giacevano morte intorno a lui. Poi ha solamente perso i sensi.” Tutti ormai sapevano, o almeno avevano sentito il chiacchiericcio, quale gesta Wilwarin era stato in grado di compiere. Tutti lo guardavano ormai con occhi differenti e sapevano che, dietro quella scorza appena maturata, si nascondeva il succo di un frutto particlarmente succoso e polposo. Belegil accompagnò il figlio presso vari mentori, i migliori che conoscesse, ma il figlio apprendeva in fretta e ci metteva davvero poco a migliorare le sue dotti affinandole a ciò che gli poteva essere insegnato. Nimtelorsa lo incoraggiava e sosteneva, ma non aveva mai provato a cercare mentori per lui all’esterno di Sildeyuir, in quanto il Popolo
di quel Bosco era dedito alla magia divina, non a quella arcana che praticava il figlio. Fu così, dopo diversi anni, che la famiglia prese la decisione di incoraggiare il nuovo risvegliato a viaggiare per le terre del Faerun in cerca di qualcuno che fosse capace di insegnargli. Non è raro, nella vita di un elfo, che questo inizi a viaggiare per proprio interesse e finisca col passare molto tempo lontano dalla propria dimora, eppure di elfi delle stelle, a piede liberi nel Faerun, se ne vedono ben pochi. Lui non sarebbe passato per un elfo della luna, a causa dei suoi colori, della sua pelle, dei suoi capelli, dei suoi occhi, ma per un elfo selvaggio. Nimtelorsa, da parte sua, sapeva che far viaggiare il figlio nelle terre circostanti era pericoloso, senza una meta precisa: il Thay confina con l’Aglarond e, nel caso avesse mai raggiunto le rive dell’Ashane, lì non vi sarebbe stato alcun buon auspicio per l’elfo. Con queste considerazioni, prese la sciamana la decisione di utilizzare i segreti dei portali che ella detiene, accompagnando Wilwarin fino alla Grande Foresta. Il Nord può essere pericoloso, ma le voci parlavano di nuova fondamenta sicure in quelle terre, grandi maestri di conoscenza, saggi ed eruditi, si stavano insiedando a Silverymoon di qualsiasi appartenenza razziale. Il figlio sarebbe maturato e non solo dal punto di vista del potere che deteneva innato nelle sue vene; avrebbe fatto esperienze di vita che gli avrebbero permesso di diventare più saggio e maturo di quanto potesse diventare racchiuso a Sildeyuir o nel Bosco stesso. Così, un giorno, dopo aver meditato e preparato il figlio al viaggio solitario, lo accompagnò con la magia fino alle Grande Foresta. Wilwarin le chiese di rimanere un giorno solo con lui e così lei fece, poi gli diede i suoi auguri e gli ricordò la strada da seguire. Il sentiero andava diritto su verso nord e, nel caso, la notte avrebbe potuto osservare le stelle. Un po’ di cibo, sapendo che il figlio non era pratico della sopravvivenza, dopo di che ritornò nella sua terra natia. Wilwarin adesso era solo. Wilwarin adesso stava per cominciare il suo viaggio personale. Richiamò con la magia un destriero, dalle fattezze quasi eteree, come un fantasma, che gli avrebbe permesso di viaggiare veloce, creato dall’Arte appositamente per lui, e così fu. Passò almeno una giornata o due al sicuro, fin quando non accadde qualcosa di imprevisto: la magia impazzì. Il destriero si sciolse nell’aria lasciando l’elfo stramazzare al suolo, mentre la Grande Foresta, tutto attorno a lui, sembrava quasi stesse cambiando aspetto, diventando inospitale agli occhi fatati di un elfo, avversa nei suoi stessi confronti. Continuò il viaggio a piedi e la notte si accampò, eppure gli astri in cielo non sembravano volergli consigliare: erano confusi, in una forma a lui sconosciuta, così dovette cessare di fidarsi di essi e seguire il sentiero e basta. Il giorno successivo, lungo il cammino, venne
attaccato da una serie di creature abominevoli a lui sconosciute. Utilizzò gogni trucco a sua disposizione per sopravvivere a quell’imboscata e, nonostante vi riuscì, non rimase di certo illeso. Ferite adornavano il suo corpo, pulsanti e febbricitanti. L’elfo rimase immobile per diverso tempo, non saprebbe dire quanto, dopo di che udì delle voci; non riuscì a stabilire a chi potessero appartenere poichÈ perdette i sensi anzitempo. 5. Capitolo 4: “Il Seme Inoculato dal Caos”. ´Vedo qualcosa nei tuoi occhi, giovane elfo. Gli spiriti mi sussurrano di eventi passati e futuri, eppure mi confidano di sogni, non di realtà. O tu farai diventare realtà i sogni?” Quando riaprì gli occhi, l’elfo si trovava all’interno di una costruzione fatta in legno, principalmente. Tentò di alzarsi ma fu costretto a ritirarsi di nuovo nel letto: gli girava la testa e gli mancavano le forze. Sulla fronte aveva uno straccio bagnato molto caldo e, poco dopo, entrò qualcuno nella stanza dove si trovava: un’elfa dalla lunga chioma come la notte e la pelle chiara come la luna. Il suo nome era Roshell e, dopo avergli cambiato lo straccio con uno nuovo e fresco, andò a chiamare i genitori e, poco dopo, i saggi della tribù. Praticamente, Wilwarin si trovava all’interno di un piccolo villaggio nella Grande Foresta, era stato ritrovato dal fratello di Roshell, Thalion, durante una ronda assieme ad altri esploratori del villaggio, di nome Reitheillaethor. Venne a sapere anche che era da diverso tempo lì in cura, svariati giorni, a causa di una febbre alta che sembrava attanagliarlo senza sosta, fino a qualche giorno prima che era iniziata a scemare, permettendo così una guarigione in un lasso di tempo nemmeno troppo lungo. Wilwarin, dal canto suo, ringraziò chi l’aveva aiutato e parlò del suo viaggio e della sua meta: Silverymoon. Gli elfi lo rassicurarono che non era molto lontano ma, purtroppo, non avrebbe potuto continuare il suo viaggio: la Grande Foresta era in subbuglio e animali e mostri saltavano fuori come erbaccia pronti ad attaccare chiunque incrociassero la loro strada. Il peggio era che quelle creature, nonostante sembrassero a delle bestie, mostravano peculiarità mai conosciute prima da alcuna Guida o Esploratore della Grande Foresta. Wilwarin dovette cedere alla fine e restare all’interno del villaggio, ospite della famiglia Silverleaf. Nonostante i vari pericoli, fu un periodo molto florido per l’elfo quello all’interno di Reitheillaethor: fece conoscenze esterne, imparando abitudini, miti e leggende, nonchÈ usanze e accrescendo le proprie abilità ed affinandone di nuove. Usciva
di ronda assieme a Thalion e si fermava attorno al fuoco con i saggi per lunghe chiacchierate notturne. Era un po’ come essere a casa, in un puro enclave elfico, ma tutto era al contempo differente, crescendo spalla a spalla con elfi sconosciuti con i quali ha dovuto fare rapida conoscenza per sopravvivere, adattandosi alla situazione e prendendo anche iniziativa, alle volte, per riuscire al meglio delle possibilità. Passarono diverse lune e quasi Wilwarin non se ne era reso conto, lo stellare si era ormai ben amalgamato all’interno di quel gruppo e, quando piano piano tutto sembrava tornare alla normalità, sembrava non avere più voglia di andarsene da lì per continuare il viaggio fino a Silverymoon. Eppure lui lo sapeva fin troppo bene, il suo potere necessitava di controllo e, dopo il decadimento di Myth Drannor, solo la città delle neonate Marche d’Argento sembrava possedere la conoscenza necessaria per accrescere il controllo dell’elfo. Il controllo interiore, mentale, non quello fisico, in fondo stiamo parlando dell’Arte, quella per eccellenza. Doveva rimettersi in viaggio il cantore, ma nel suo cuore già sapeva che qualcosa lo avrebbe spinto in futuro a tornare indietro, all’interno della Grande Foresta a cercare qualcosa che sia a lui vicino, al di là della natura selvaggia, ma anche qualcosa di nuovo che si stava insinuando al suo interno, senza avere la minima idea di cosa esso possa essere. O almeno, prima non ne aveva cognizione, ma in futuro comprenderà benissimo di cosa si tratta. Alla fine, fra indecisioni varie, dopo aver aiutato nelle ultime incombenze gli elfi di Reitheillaethor, Wilwarin prese il coraggio a due mani e decise di partire per raggiungere la Gemma del Nord. Il pericolo sembrava essere scampato e quella zona della Grande Foresta era stata ripulita da quelle creature abominevoli, permettendo allo stellare di riprendere il viaggio in totale tranquillità. 6. Capitolo 5: “Fra Arte e Fato: Nuova Via”. ´Un elfo del Bosco di Yuir? Col nome di una costellazione elfica? Mi incuriosisci figliuolo, parliamo un po’. Sai, troppi vogliono essere miei allievi, pochi però sono degni dei segreti della Volta dei Saggi.” L’elfo si diresse verso Nord, seguendo la via che gli era stata consigliata. La prima tappa, l’unica prima di Silverymoon, era Everlund. E’ stato proprio qui che lo stellare ha incominciato a tessere i primi approcci con il resto del Farun, quello a lui sconosciuto. Dato che non aveva denari con se, ma solo i possedimenti ricevuti all’interno della sua vita a Sildeyuir, dovette cercarsi un lavoro, incominciando a comprendere l’importanza di quel nuovo commercio, differente
dal classico baratto a cui era abituato. Si accorse, con suo enorme stupore, che le conoscenze e le abilità che aveva sviluppato per il suo sostentamento, ed interesse, tornarono molto utili. Prese una stanza in taverna e, all’inizio, si mostrò alla città come un cantastorie. Passò del tempo e, da semplice oratore di miti e leggende, divenne anche una figura di consulto grazie alle sue conoscenze storiche e magiche, prendendo un posto fisso all’interno della biblioteca di Everlund. Quando si accorse che parte di quelle sue conoscenze rischiavano di perdersi, o di venire distorte dal solo utilizzo orale, allora iniziò a scrivere, a metterle su carta. Divenne un autore che si dilettava in manoscritti di qualsiasi genere: dalle ballate ai racconti, dalle poesie alle commedie e le tragedie, mettendo in essi la sapienza che aveva accumulato nella sua vita centenaria. Nel frattempo, l’elfo venne anche avvinato dalla milizia in qualche particolare situazione, per poter difendere Everlund da minacce specifiche in cui l’aiuto di un esperto poteva fare comodo. In fondo la posizione della città è particolare: da un lato la Grande Foresta che pare estendersi verso di lei, dall’altra parte invece la Brughiera Sterminata con i suoi orrori. Voci di corridoio, molto incerte, affermavano che l’elfo era stato avvicinato più volte da soggetti estranei con i quali si soffermava a lungo a chiacchierare, in riservatezza nella sua stanza, oppure di nascosto allontanandosi addirittura da Everlund. Ciò gli permise di avere delle entrate per una vita agiata e piacevole e non solo! Divenne, nel corso degli anni, conosciuto anche nelle città più vicine, fra cui Silverymoon stessa. Così l’elfo decise di partire per la meta agognata, giungendo finalmente a destinazione. Arrivato in città, come prima cosa, l’elfo inizio a tessere conoscenze stratificate nel tessuto sociale della stessa, in modo tale da poter ricevere il meglio sia per continuare la sua carriera lavorativa, che si stava consolidando, sia per cominciare quegli studi presso la grande Università di Silverymoon, il vero obbiettivo del suo viaggio all’interno di quelle terre. Wilwarin iniziò a seguire anche i corsi presso la Sala del Tramonto Eterno, in modo tale da ampliare ancora di più le sue conoscenze sui vari testi di studio elfici, approfondendo così il suo sapere nell’ambito a lui più caro, orgoglioso e fiero del suo essere elfo. A fine lezioni, dedicava sempre il suo tempo a letture di trattati di filosofia elfica, oppure a consumare i testi di poesie scritte di pugno di suoi parirazza. Tutto ciò, eppure, non gli bastava. Era lì, si stava facendo un nome, stava accumulando conoscenze, ma tutto ciò non era ancora sufficiente: lui doveva trovare il modo per imbrigliare il potenziale interno delle sue emozioni. Doveva trovare qualcuno che gli insegnasse, in termini pratici e non teorici, come fare. Iniziò a frequentare anche la Volta dei Saggi, espandendo il suo sapere
anche al di fuori del campo elfico, quello in cui s’era specializzato fino ad allora, avanzando poi anche la proposta di incontrare i suoi illuminati per diventare un loro adepto. Wilwarin andava molto a naso, a causa della sua scarsa conoscenza di un posto così lungimirante che non si mostrava per la sua totalità agli occhi indiscreti di terzi solo dall’esterno, ricevendo diversi rifiuti dai più conosciuti. Ma sono coloro che passano inosservati, il più delle volte, a lasciare aperte le porte migliori per gli audaci che osano tentare. Una sera l’elfo era sempre lì, alla Volta dei Saggi, che osservava le stelle da un terrazzo della struttura con il cannocchiale e diversi tomi che parlavano di stelle. Scoprire nuove costellazioni, i nomi utilizzati dalle altre razze per essi, i possibili significati, permetteva all’elfo di potersi avvalere di conoscenze che pochi possono veramente vantarsene. Una sera fra le tante, ma che venne avvicinato da una figura poco conosciuta agli occhi della città, quasi come se fosse un eremita: un mezz’elfo anziano, un Saggio. Si presentò come il Sapiente Stellato, l’esperto di astrologia di quella raccolta di saperi, e si mostrò essere molto interessato nei confronti dell’elfo che, con perseveranza, stava cercando il suo posto per avere le sue risposte. Ma in fondo si sa, trovare nuove risposte porta alla creazione di nuove domande. La verità è un’essenza astratta e lontana, non la si può afferrare ma solo mirare, come i disegni degli astri che formano nel cielo. Parlarono i due, chiacchierarono fino all’alba. Non aveva la forma di un colloquio, di un test per mostrarsi preparato, ma solo scambi di opinioni e possibili ipotesi, di quelli che si fanno fra persona che mostrano di avere le stesse passioni. E non si parlò solo di stelle, ma il divagare di filosofie di vita in certi tratti. Il giorno dopo, Wilwarin era stato nominato ufficialmente allievo del Sapiente Stellato, iniziando un lungo rapporto profiquo, anche di amicizia. Qualcuno dice che, dietro alle loro lezioni, si nasconde anche ben altro...