1933
Famiglia Cobalchin I Pionieri dell’Agro Pontino Giorgia De Micheli Grafica catalogo
Pixartprinting
Stampa catalogo
Testi Giulio Alfieri
Testo “Famiglia Cobalchin Giovanni, Podere ONC n.937”
Le voci della Scienza
La bonifica delle paludi Pontine
Borghi di Latina Borgo Sabotino
1933 Famiglia Cobalchin I Pionieri dell’Agro Pontino
�
Non sapere che cosa sia accaduto prima della tua nascita, sarebbe per te come restare per sempre un bambino. A cosa serve la vita umana, se non è intessuta con la vita dei nostri antenati tramite i registri della storia?
�
8
La bonifica delle paludi Pontine La bonifica dell’Agro Pontino, una zona caratteriz zata da paludi, acquitrini e infestata dalla malaria, si è concretizzata durante il regime fascista, ne gli anni’30 del ‘900. I lavori sono affidati all’Opera nazionale per i Combattenti che in breve tempo portano a compimento un lavoro cominciato fin dal tempo degli antichi Romani. La città di Littoria vie ne inaugurata da Benito Mussolini il 18 dicembre 1932 a circa un anno dall’inizio dei lavori di recu pero dei territori: la posa della prima pietra risale al 30 giugno 1932. I lavori principali consistono in: “diboscamento, sterpatura e dicioccatura di oltre 6.000 ettari di terreni boschivi; dissodamento dei terreni incolti; sistemazione idraulica dei terreni paludosi; co struzione di case coloniche e poderi di estensio ne variabile; costruzione di una rete di strade e di canali.” Nella zona dell’Agro Pontino vengono poi fondate anche le città di Sabaudia, Pontinia, Aprilia e Pomezia, come si legge nel pieghevole intitolato “La bonifica e la trasformazione fondiaria dell’Agro Pontino”: “Il 5 agosto 1933 Il Duce fonda Sabau dia, il 19 dicembre 1934 Pontinia, il 25 aprile 1936 Aprilia, 22 aprile 1938 Pomezia” . Le fotografie dell’opuscolo ci ripropongono le principali costru zioni presenti nelle nuove città e lo stato dei terreni prima dell’intervento dell’Opera Combattenti. Ma cos’è l’Opera Nazionale per i Combattenti?
E’ un “Ente parastatale, ha lo scopo di concorrere allo sviluppo economico ed al migliore assetto so ciale del paese, provvedendo alla trasformazione fondiaria delle terre ed all’incremento della media e piccola proprietà in modo da accrescere la produ zione e favorire l’esistenza stabile sui luoghi di una più intensa popolazione agricola” così troviamo nella pubblicazione del 1933. Sorta in segno di gratitudine per i combattenti d’I talia si avvale dei reduci della Grande guerra per la ricostruzione del patrimonio terriero ottenendo in cambio benefici diretti sulla terra. Gli operai che lavorano per la bonifica dell’Agro Pontino giungono da tutte le parti d’Italia e in se guito arrivano i coloni per le colture agricole, so prattutto dal Veneto e dalla Valle del Po. Nel 1932 a Littoria si contano 17.800 abitanti. Dopo la guerra, nel 1946 Littoria cambia il nome e diventa Latina.
Una piccola curiosità: esiste persino un disegno di Leonardo sul prosciugamento delle paludi pon tine nella biblioteca reale di Windsor, come si leg ge in un articolo di giornale: “Il Solmi ha rinvenuto una compiuta carta riproducente l’intero contorno dell’Agro Pontino con il tracciato delle due opere fondamentali da farsi, il tutto segnato di mano di Leonardo”.
9
Borgo Sabotino Borgo Sabotino nacque nel 1929 col nome di “Vil laggio operaio a Passo Genovese” e con l’etichetta amministrativa di “Lotto N. 31” delle “Opere pub bliche per l’esecuzione della Bonifica dì Piscinara. Il villaggio venne costruito, per concessione avuta dallo Stato, dal Consorzio della Bonifica di Pisci nara, senza l’intervento di appaltatori, ma a mez zo di un cantiere direttamente gestito, denominato “Cantiere di Foce Verde”, diretto dal Geometra An tonio Barberi, proveniente da Molinella (Bologna). Il Cantiere di Foce Verde era inquadrato nel 2* Reparto lavori del Consorzio di Bonifica, Reparto diretto dal Geom. Giovanni Bortolotti e compren dente, in quell’anno, anche i cantieri di Sessano, Doganella, Capograssa, Casal dei Pini, oltre gli im pianti ed i servizi relativi. Il Reparto Lavori prendeva ordini dalla Direzione del Consorzio (Roma) e precisamente dall’ing. Enrico Nasi. La data precisa della effettiva fondazione del villaggio non risulta da alcun atto; il progetto di esso è compreso, quale allegato esecutivo, nel Progetto Generale della Bonifica redatto in data 29 aprile 1929 dall’ing. G. B. Pancini. L’approvazione, il finanziamento e la concessione delle opere relative sono provvedimenti contenuti nel Decreto Ministeriale 29 settembre 1929 che approvava l’intero Progetto Generale, ma la nasci ta vera e propria del villaggio, con il tracciato delle
10
fondazioni e dei fabbricati non diede luogo a ceri monie di sorta e fu soltanto un fatto tecnico rien trante nell’ordinario svolgimento dei lavori. La costruzione del villaggio operaio a Passo Ge novese iniziò nei primi mesi dell’anno 1929, non appena l’asta di binario décauville con trazione a vapore, che partiva da Passo Barabino dall’anello ferroviario elettrificato, raggiunse la località di Pas so Genovese, assicurando così il rifornimento dei materiali da costruzione occorrenti. Questo Villaggio venne costruito come opera di bonifica, al fine di costituire una base di appog gio ai numerosi e importanti lavori che si dovevano effettuare nella zona, dei quali i più notevoli erano l’apertura del tronco inferiore del Canale Mussolini, che sul percorso della valle del vecchio Fosso Mo scarello veniva portato a sfociare in mare presso la torre corsara di Foce Verde, nonché la sistema zione idraulica e la colmata dei pantani litoranei nel tronco tra la Foce Verde ed il lago di Fogliano. Il fosso Moscarello, che scende dalle ultime pen dici dei Colli Albani, giunto presso la Torre di Foce Verde, trovava la zona pantanosa re trostante la duna marina; in quei pantani il Moscarello ha ver sato per secoli le proprie acque e con esse anche le torbide e le fanghiglie in sospensione che rialza rono il fondo dei pantani. In queste alluvioni il fosso si tracciò un proprio alveo
a ridosso della duna sabbiosa e parallelo ad essa; le acque erosero in un certo punto la duna e si apri rono uno scarico diretto al mare: la “Foce Verde”. Quando i Pionieri di Piscinara si affacciarono nei Pantani di Foce Verde nel 1926, il Moscarello sfo ciava in mare non certo con una foce stabile, poi ché, data la spiaggia sottile, questa era soggetta a venir richiusa dalle sabbie sospinte dal mare ad ogni mareggiata, salvo riaprirsi spontaneamente, e non sempre nella stessa posizione, quando le ac que di piena del Moscarello premevano da dietro la barra sabbiosa. Nel tratto di alveo parallelo alla spiaggia era costru ito un ponte in muratura di aspetto antico, segnato sulle vecchie carte col nome di Ponte dei Genove si o anche di Passo Genovese. Prima della bonifica, procedendo da Passo Barabi no verso Passo Genovese, si trovavano terreni più alti lasciati a macchia, poi altri terreni più bassi la sciati a prato naturale; questi si stendevano fino ai canneti dei pantani, che per una larghezza media di oltre mezzo chilometro si allungavano parallela mente alla linea del litorale. Nei terreni alti, dove cresceva la macchia, si incon travano di tanto in tanto, nei punti più elevati ed in radure appositamente predisposte, delle capanne formate da tavole grezze e frasche, ove abitavano i pecorai che, discesi nell’autunno inoltrato con i loro
greggi dai paesi posti sui monti Ernici (Alatri, Trevi, Filettino ecc.), restavano nella la zona per il pascolo fino al mese di maggio. Nello sgrondo della macchia verso l’ampia area en tro la quale scorreva il Fosso Moscarello, vi e una località chiamata “Le Vergini” ove i pascoli risulta vano più freschi e abbondanti; ivi le capanne erano più numerose e raggruppate così da costituire un villaggio primitivo. Nei mesi invernali e primaverili il Villaggio delle Vergini era popolatissimo, mentre nella stagione calda appariva del tutto deserto Nella zona dei prati e dei pantani litoranei pasco lavano numerose mandrie di bestiame bovino e greggi mentre nella parte più bassa e acquitrinosa si incontravano numerosi bufali. L’allevamento dei bufali faceva capo principal mente a tre vecchi casali in muratura che sorgeva no appunto al centro della località chiamata Passo Genovese; erano stati costruiti da tempo dal Duca Onorato Caetani, come ricordava la lapide mura ta sulla porta di ingresso del fabbricato principale chiamato “procoio”. Il procoio era una costruzione in muratura di tufo del tutto caratteristica, su pianta circolare, a solo piano terreno; nel mezzo si ergeva un immenso fo colare con sovrastante cappa, che girava intorno al pilastro centrale di sostegno del tetto, il quale aveva la forma di un grande ombrello aperto. Su
11
questo focolare veniva fatta la lavorazione del latte per ricavarne le mozzarelle, i formaggi, ecc.: Negli anni 1929 e 1930 il villaggio entrò gradual mente in funzione con tutti i suoi servizi ed allog giamenti, ed il Cantiere di Foce Verde, che nel Villaggio aveva la base, poté completare gli impor tanti lavori stradali ed idraulici ad esso assegnati: tra questi ultimi, molto importante la costruzione, nei pressi della Torre di Foce Verde, dello sbocco a mare del grande Canale Mussolini (il Collettore delle Acque Alte) con il ponte per la strada diretta a Nettuno e la lunga botte in cemento armato per il preesistente Canale di Mastro Pietro, l’antico deri vatore delle acque del Fiume Astura per l’alimenta zione del lago di Fogliano). In data lo novembre 1930 il Consorzio di Bonifica presentò al Ministero una proposta per dare alla Chiesa di Passo Genovese, non ancora costrui ta, ampiezza maggiore di quella prevista nel primo progetto; la proposta venne accettata ed il tempio poté così venir edificato con dimensioni sufficienti per accogliere due anni dopo i coloni sopraggiunti a seguito dell’intervento in Agro Pontino dell’Opera Nazionale per i Combatenti. Il cantiere lavori di Foce Verde esaurì i suoi compiti sul finire del 1931, ma non cessarono per questo motivo le funzioni del villaggio operaio nel quadro dei lavori di bonifica: nel villaggio venne ad inse
12
diarsi nel gennaio 1932 la direzione di un nuovo cantiere di lavoro, il “Cantiere di Passo Genove se“, al quale vennero affidati i lavori di sistemazio ne della zona. I lavori, consistenti in canalizzazioni, dragaggi e colmate, da effettuarsi in terreni posti talvolta sotto il livello del mare e sempre insidiosi e malarici, furono diretti dal Geometra Pietro Mo denesi da Bologna, che dipendeva dal 3° Reparto lavori, diretto a sua volta dall’ing. Carlo Romagnoli, sempre agli ordini del dott. ing. Enrico Nasi, Diret tore tecnico del Consorzio di Piscinara. Il grande numero di operai impiegati nella zona li toranea e l’alta morbilità della malaria indussero il cantiere di Passo Genovese a trasformare il salone del Dopolavoro in Infermeria, seguendo le direttive del Prof. Giulio Alessandrini, al quale erano affidati i servizi antimalarici dell’Agro Pontino I fabbricati del villaggio vennero disposti ai lati della costruenda strada di bonifica proveniente da Pas so Barabino, strada che, come già detto, investiva per tutta la lunghezza un vecchio tratturo rettilineo che permise di fare un solo rettifilo stradale lungo sette chilometri e mezzo da Passo Barabino al co struendo villaggio. I lavori di costruzione dei fabbricati vennero esegui ti direttamente dal Consorzio di Piscinara, interes sando la mano d’opera con piccoli cottimi. I criteri generali a cui fu ispirata la costruzione del
villaggio ed i tipi dei fabbricati eseguiti, furono ana loghi a quelli dei villaggi precedentemente costruiti. La direzione locale dei lavori di costruzione del vil laggio venne tenuta dal geom. Antonio Bàrberi, il quale fu coadiuvato in un primo tempo dall’assi stente edile Aurelio Ricci e dal contabile Amilcare Carnevali e in un secondo tempo dall’assistente Ambrogio Aleroni e dal contabile Adolfo Porcelli. Il primo dispensiere che prese in consegna il fab bricato Dispensa e Dopolavoro è stato Serafino Toti di Cisterna; il primo medico che organizzò in luogo il servizio sanitario fu il Ddott. Marchetti, dell’ Istituto Antimalarico Pontino. Nell’autunno del 1930 la Scuola cominciò a fun zionare in modo regolare e la prima maestra fu la signorina Benericcetti di Brisighella (Faenza). La Chiesa fu molto curata nelle rifiniture e nell’arre damento; notevole la sua bella cupola centrale. Il progetto fu elaborato dall’architetto Tirelli di Reggio Emilia, cui si devono anche i progetti delle chiese dei Villaggi di Dorganella, Capograssa (Borgo S. Michele) e Casale dei Pini (Borgo Grappa). La Chiesa fu consacrata il giorno 13 dicembre 1931 con l’intervento dell’Arcivescovo di Velletri e del Presidente del Consorzio ing. Natale Tram polini. La cerimonia diede luogo ad un simpatico raduno di autorità locali e di appassionati Pionieri, che sentirono in quell’occasione di aver compiuto
un altro passo nell’aspro e lungo cammino della bonifica dell’Agro Pontino. Il progetto del villaggio comprendeva, raggruppati nel cosiddetto “centro” e schierati ai due lati della strada di bonifica, i seguenti fabbricati: 1 fabbricato per assistenza sanitaria; 1 fabbricato per scuole e abitazione maestri; 1 fabbricato per Stazione Reali Carabinieri; 1 fabbricato per dispensa e forno; 1 fabbricato per guardiani idraulici; 1 Chiesa; 1 fabbricato per dirigenti lavori e in un secondo tempo per Capi Azienda; 1 fabbricato per Dopolavoro operai. In località più periferiche, il progetto comprendeva poi tre grandi fabbricati destinati a divenire centri colonici soltanto in un secondo tempo ma da uti lizzare immediatamente come alloggiamenti per squadre di operai, oltre un fabbricato colonico per il Campo Sperimentale Agrario. Quest’ultimo e due fabbricati di alloggio erano allineati ai due lati della strada per Passo Barabino; l’altro fabbricato d’al loggio sorgeva lungo la strada litoranea in direzione della Villa di Fogliano. Questi 4 grandi fabbricati compresero una casa di abitazione ed un grande vano per la futura stal la. Annessi ad ogni fabbricato furono costruiti un lavatoio con fontanella e un ampio edificio rustico
13
comprendente magazzino, tettoia, ripostiglio, for no, porcile, pollaio. Il campo sperimentale Agrario comprese anche l’allevamento in stalla di vitelli di razza Reggiana. Sul finire del 1932, con l’avvenuta costituzione del Comune di Littoria, la zona che fino ad allora era ricaduta nel territorio del Comune di Cisterna di Roma, venne compresa nel nuovo Comune e il Vil laggio di Passo Genovese cambiò nome in quello di Borgo Sabotino. Il nome di Passo Genovese era già da secoli nel la località quando venne decisa la costruzione del villaggio, cui venne dato il vecchio nome, che echeggiava ricordi di traffici marittimi e di scambi dal mare verso l’entroterra paludoso ed impervio. “Vuole la tradizione che i Genovesi fossero usi ad inviare navigli a Foce Verde per caricare legnami di essenza forte, occorrenti per la costruzione delle loro imbarcazioni, scaricando in cambio minerali metallici dell’Isola d’Elba che alimentavano le Fer riere di Conca” Ricordi di sacrifici e di gloria, di lotte durissime e di fulgente vittoria affiorarono alla mente di operai e di contadini, di tecnici e di ingegneri allorquando il Villaggio di Passo Genovese, costruito dai Pionieri di Piscinara, assunse il nome di Borgo Sabotino. Il Monte Sabotino, presso Gorizia, era stato teatro, al pari del Monte San Michele e del Monte Podgo
14
ra, di asperrime battaglie, che ebbero il loro coro namento il 6 agosto 1916. Quando nel 1929 il binario décauville raggiunse il villaggio di Passo Genovese non si arrestò, ma continuò ad allungarsi verso il mare, per poi piega re parallelamente ad esso all’altezza della foce del Moscarello. Uscendo dal comprensorio di bonifi ca di Piscinara, il binario entrò nel limitrofo territorio della Bonifica di Valmontorio, allora appartenente al comune di Nettuno, nel quale il Consorzio N. 5 di bonifica dell’Agro Romano aveva iniziato la co struzione della strada Foce Verde‑Acciarella‑Net tuno. Per accordi presi con quest’ultimo Consorzio di Bonifica, presieduto da Don Rodolfo Borghese, Principe di Nettuno, i treni “della Piscinara” riforniro no dalla lontana cava di Monticchio i materiali oc correnti per la massicciata di questa strada. Nel giugno 1934 il Consorzio N. 5 dell’Agro Ro mano venne fuso dal Governo con il Consorzio della Bonifica di Piscinara per dar luogo al più gran de Consorzio di Bonifica di Latina, che assunse perciò in gestione questa strada. Nel 1935 l’Opera Nazionale per i Combattenti co struì la Strada Lungomare da Foce Verde al Circeo e venne così realizzato un diretto collegamento stradale, prossimo al mare, da Nettuno al Circeo. Nell’anno 1933 l’Opera Nazionale per i Com battenti insediò nel Borgo l’Azienda Agraria Pontina
del Sabotino, della quale pose a capo il dr. Angelo Ponzetti da Castelmassa (Rovigo). In quel tempo prese corpo l’iniziativa di fare della spiaggia di Foce Verde il Lido di Littoria. Poco a poco, anno per anno, gli impianti bal neari di Foce Verde progredirono e si ampliarono, estendendosi lungo la strada Lungomare costru ita dall’Opera Nazionale Combattenti. Venne poi la guerra a devastare la zona e a trasformarla in campo di battaglia.
15
Villaggio Passo Genovese Chiesa in costruzione 15/08/1930 Chiesa di Passo Genovese, giorno della consacrazione 13/12/1931
16
Torre di Foce Verde 15/08/1930 Villaggio Passo Genovese, Srada d’accesso 15/08/1930
17
Villaggio Passo Genovese, scuola 08/06/1931 Foce Verde, casale dei bufali, Procoio 22/08/1928
18
Borgo Sabotino, azienda agraria 1933 Villaggio Passo Genovese, insieme 20/03/1931
19
20
�
Dimenticare i propri antenati significa essere un ruscello senza sorgente, un albero senza radici.
�
Famiglia Cobalchin Giovanni podere
ONC n .937
La famiglia Cobalchin fu autorizzata a partire per l’Agro Pontino il giorno 11 novembre 1933. Arrivò alla stazione di Cisterna di Roma il giorno dopo, 12 novembre. Si mossero da Nove, paese rurale della provincia di Vicenza, che nel 1931 registrava 2.554 abitanti, in calo rispetto al passato, e che al censimento del 1936 vedeva pressoché immutato il numero dei residenti, nonostante i tanti nuovi nati: paese d’emigrazione, dunque, verso il Sudamerica e gli Stati Uniti dalla fine dell’800 alla Grande Guerra, verso Vicenza, Padova, il triangolo industriale di Mi lano, Torino e Genova dopo la guerra, quando le norme imposte dal fascismo vietarono l’espatrio. E migrarono verso il Pontino, o verso l’area di Sanluri in Sardegna, o di Castel Volturno ed altre in Cam pania, durante gli anni ’30, con le bonifiche e gli appoderamenti di tante aree d’Italia. Lì, a Nove, era nato Giovanni, figlio di Gian Maria e di Chemello Antonia, famiglia anch’essa di con tadini. Pietro Paolo e Lorenzo, i fratelli di cui si ha notizia per aver svolto il servizio militare, al fronte, come Giovanni, richiamati già a maggio del 1915. E a Nove Giovanni sposò Dalla Gassa Teresa, figlia di Francesco e di Toniolo Maria, famiglia originaria di Altissimo, altro paese rurale di grande emigrazio ne. I Cobalchin si mossero da Nove la mattina del giorno 11 novembre, Giovanni, Teresa e i loro 5
22
figli; ne sarebbero venuti altri 4 negli anni succes sivi, in terra Pontina. La famiglia aveva una compo sizione assai gradita all’ONC per il lavoro mezzadri le, poiché di quei 5 figli ben 4 erano maschi: ma era una valutazione rivolta alle prospettive future, nell’immediato gli adulti scarseggiavano. I Cobalchin decisero perciò di partire con i Dalla Gassa: non è documentato chi dolo, ma la signora Lidia Cobalchin riferisce che si trattava di France sco, suocero di Giovanni e di suo figlio Giulio. Su un carro giunto appositamente per prelevarli caricarono le masserizie e qualche attrezzo da la voro e percorsero i quasi 10 km fino alla stazione di Bassano del Grappa. Lì attesero il treno per Vicenza. Scesero nel ca poluogo e attesero l’accelerato per Padova, che era la stazione di riunione e partenza di tutti i colini veneti, divisi per provincia. Quel giorno toccava ai vicentini. A Padova l’attesa fu lunga. I treni, i carri, gli autocarri provenienti da tanti paesi del Vicentino scaricarono tutte le mas serizie. Fu formato il treno per Cisterna, le littorine, i vagoni di 3 classe con le panche di legno, ag ganciati uno dopo l’altro alla locomotiva a vapore e da ultimo una fila interminabile di carri merce con tutte le masserizie. Finalmente, intorno alle 18, or mai notte, il treno si mise in movimento. Passò per bologna, poi percorse l’appennino lungo la linea
Porrettana fino a Firenze. Poi Arezzo, Chianciano, l’arrivo a Roma termini che era ormai l’alba. Di nuovo attesa, la locomotiva aveva bisogno di rifornirsi li carbone e di acqua. Infine l’ultimo tratto, l’ultima ora fino a cisterna di latina, dove arrivarono alle 8.30 del 12 novembre, dopo un intero giorno di viaggio! Li attendeva il personale dell’opera na zionale combattenti e le crocerossine, latte per i bambini, pane, caffè, vino, per i grandi. L’appello nominale, l’indicazione del podere desti nato ad ogni famiglia. Intanto una fila di carri trainai da buoi trainava le masserizie, dividendole per ogni nucleo. I Cobalchin montarono su quello destinato a loro e nel tardo pomeriggio giunsero al podere 937, sulla strada litoranea, nell’area che faceva ri ferimento a borgo sabotino e all’omonima azienda agraria ONC. Come tutti i coloni, nei giorni suc cessivi scoprirono che il viaggio era stato a loro carico: il comune di Nove aveva anticipato il costo per i biglietti come tutti gli altri comuni coinvolti, ma ora quel costo, che l’ONC doveva restituire, veni va addebitato sul libretto colonico nuovo di zecca: circa 800 lire, tra biglietti viaggiatori e peso delle masserizie. La vita in Pontino iniziava con un debi to pesante. A proposito della partenza con i Dalla gassa, il viaggio delle due famiglie è documentato da una rara comunicazione presso l’archivio cen trale dello stato, a Roma.
Il prefetto di Vicenza aveva sollecitato l’ONC ad in viare ai comuni interessati il rimborso degli anticipi per i viaggi. Aveva allegato alla richiesta l’elenco dei comuni, ciascuno con la cifra da rimborsare. La puntigliosità di una mano anonima, sicuramente un impiegato amministrativo dell’ONC che stava facendo il riscontro, permette oggi di sapere mol te cose di quel viaggio: egli si appuntò accanto a ogni comune il nome dei coloni che provenivano da quello stesso comune. Così noi sappiamo che da Nove viaggiarono Cobalchin e Dalla Gassa, an che se il capo famiglia era Cobalchin Giovanni e i Dalla Gassa, seconda la burocrazia pontina era la famiglia “aggregata”. Nel documento il cognome risulta non correttamente trascritto. L’impiegato, necessariamente, aveva dedotto i dati dai registri dei coloni. In effetti, ancora prima dell’arrivo, l’ONC aveva registrato la famiglia come Cobalchini: co gnome anch’esso presente nell’area vicentina ma non riscontrato a nove, a quell’epoca. E Giovanni si ritrovò così con questo errore per tutti gli anni successivi. Il podere n.937 aveva un’estensione dichiarata di 22 ettari. Si trovava sul lato sinistro della Litoranea percorrendola da Borgo Sabotino in direzione di Borgo Grappa. Confinava, sullo stesso lato, con il 933 e con la strada Casilina, dove si affacciava il 940, poderi assegnati rispettivamente ai padova
23
ni Trevisan Antonio e Bonora Antonio; dirimpettaio era invece D’Agosto Edoardo, veronese del pode re 936, sul lato destro della Litoranea. Aveva dunque una posizione ottima, non interclu so e confinante con due strade, l’una provinciale (la Litoranea) e l’altra un importante interpoderale. Il terreno risentiva però della vicinanza del mare, come molti altri di quell’area, fino a Sabaudia, ed era in molti punti duro, argilloso, con l’acqua sal mastra a poca profondità: difficile e faticosissimo da lavorare, con le semine di grano che non di rado finivano per essere inghiottite dall’acqua. Migliora la quota di terra che si estendeva verso l’interno. Una vita dura, di grandi sacrifici e, soprattutto nei primi anni, senza soddisfazioni, di miseria, vista la scarsa produttività dei terreni. Non è documentato, ma è probabile che anche Cobalchin venisse autorizzato nei mesi invernali a prestare servizio come cottimista delle ditte che procedevano nella sistemazione dei poderi non ancora ultimai, così da integrare il poco reddito: 1,20 lile/l’ora, pagamento a quindicina. Tanta fati ca ma un po’ di pane almeno era assicurato. L’alta umidità della zona favoriva la proliferazione della zanzara anofele, portatrici (“vettore” della malaria): a differenza di poderi vicini, non risultano però dalle documentazioni situazioni di morbilità nella famiglia. Senza nessuna attenzione per i sacrifici dei coloni,
24
senza distinguere tra capacità produttive dei coloni che conducevano poderi ad alta fertilità e coloni conduttori di terre dure ed argillose, scarsamente fertili, il presidente dell’ONC, Orsolini Cencelli, or mai quasi defenestrato da Mussolini, volle compie re un gesto inusitato, grave: inviò il 15 marzo 1935 la disdetta ben 150 famiglie per “scarsa produttivi tà”, quasi a dimostrare che, se le cose non anda vano bene in Agro Pontino, la colpa non era la sua. Cobalchin Giovanni fu tra i disdettati. Avrebbe dovuto abbandonare il podere alla fine dell’anna ta agraria, a settembre, al massimo nei due mesi successivi. Tuttavia Orsolini Cencelli fu sostituito proprio alla fine di quello stesso marzo. Il succes sore, Araldo Di Crollaralansa, ordinò di non pro cedere per la grande maggioranza dei casi. Per i Cobalchin la questione fu più complessa. All’atto grave del Cencelli si aggiunse, quasi viaggiando in parallelo, un’altra contestazione fatta dall’Opera in quella stessa primavera. Dalla famiglia si erano allontanati, cioè erano defini tamente usciti dal podere alcuni familiari, seppure i documenti non permettono di definire chi fossero, forse proprio i Dalla Gassa. Quando gli allontana menti, a giudizio dell’ONC compromettevano la forza lavoro capace di condurre il podere, in quel momento si avanzava l’ipotesi della disdetta; se gli allontanamenti erano stati “arbitrari”, cioè senza
preavviso e richiesta di autorizzazione (ed era sta to questo il caso), la proposta diveniva di disdet ta “in troco”. Ma anche questa vertenza si risolse, Giovanni riuscì a dimostrare che se l’ONC avesse concesso di integrare la famiglia con un altro com ponente, permettendogli di unirsi a loro, la capacità produttiva non avrebbe subito flessioni. L’ordine di non procedere contro Cobalchin Giovanni reca la data del 7 agosto 1935. Il 10 settembre successi vo, l’azienda del sabotino confermava di aver so speso di gli atti di rescissione in tronco. Nel 1936 fu introdotto il reddito minimo garantito. Il colono versava l’intero raccolto all’ONC, non la metà. L’opera, a fine annata, provvedeva a fare i conti e a retrocedere il 50% del valore del raccolto conferito, pagando sia in grano che in denaro. Ma, prima, decurtava tutte le anticipazioni e i costi a carico del colono stesso. L’ungo l’intera area co stiera, per esempio, occorreva preparare i terreni prima delle semine con grandi quantità di fertiliz zanti diversi, che avevano dei coti molto elevati. In sostanza, al colono rimaneva ben poco della fatica di un anno, comunque non tale da sostenere de centemente la famiglia, mediamente id 8-10 com ponenti, proprio come la composizione familiare dei Cobalchin, 9 persone all’arrivo. Il reddito minimo garantito stabiliva che, fatti tutti i conti, a ogni famiglia doveva restare, comunque,
almeno la cifra di 1500 lire “per ogni unità lavorati va”, secondo il coefficiente calcolato con il “meto do Tommasi”. Nel 1936 i Cobalchin esprimevano un coefficiente - cioè un totale di unità lavorative-, pari a 4,5 considerando la composizione familia re e i Dalla Gassa, ma detraendo gli abbandoni e aggiungendo l’integrazione dell’anno prece dente: spettavano loro, per ciò, circa 6700 lire (1500x4,5=6750), che in realtà corrispondeva, per i Cobalchin, a meno di 700 lire annue pro-capite, appena sulla soglia dell’indigenza. Sacrifici e difficoltà economiche, perciò, prosegui rono per i Cobalchin, seppure con un minimo di miglioramento rispetto al triennio 1933-1936: ma era, soprattutto, un tirare avanti a forza di anticipi sul minimo garantito, cosi che alla fine dell’anna ta restava men poca liquidità da riscuotere e si ricorreva ad anticipi sul reddito minimo dell’anno successivo. Questo precario equilibrio finanziario entrava in crisi non appena si poneva la necessità di una qualche spesa straordinaria o imprevista, come una malattia, un ricovero, l’acquisto di scar pe o vestiti per sé o per i figli. La situazione migliorò un po’, anche per loro, nel 1938/38, grazie all’aumento dei prezzi delle derra te agricole sui mercati. Ma con l’entrata in guerra, prima, e con la fine del reddito garantito dell’annata 1941, la situazione precipitò nuovamente.
25
Nel 1941-42 si avviò la procedura di vendita dei poderi. Cobalchin opto per il contratto di tipo c, come la maggiorana dei coloni, in sostanza, egli divenne affittuario del podere per un periodo quin quennale, impegnandosi a corrispondere un cano ne annuo esoso, pari a 5000 lire da pagarsi in due rate, di cui la prima ad agosto 1942. Già da quel momento, però, si impegnò ad ac quistare il podere 937 al termine del quinquennio, con una dilazione di pagamento di 25 anni, cia scuna rata annua da saldare o in denaro ovvero anche con una determinata quantità di grano da attualizzare anno per anno, secondo il suo valore in ogni anno. Prezzi di pura stima, nessuno sconto per chi-nonostante tutto- quelle terre aveva fatico samente reso fertili. La guerra mandò all’aria tutte le pattuizioni e com portò nuove sofferenze e nuovi sacrifici per la fami glia. L’ONC, nel 1945, comunicò al genio civile di Roma che il podere 937 era tra quelli “fortemente danneggiati”, con riferimento alla casa colonica. La ricostruzione fu aiutata dallo stato per il 60% per gli immobili e per il 30-40% per le perdite di bestiame. Nel 1947, finalmente, furono firmati i contratti di acquisto. Giovanni, da colono e poi da affittuario, divenne concessionario. Chiese che il podere fos se intestato a lui stesso, insieme alla moglie Dalla Gassa Teresa e i figli Mario, Francesco, Fausto. La
26
scelta non va considerata ne ovvia né scontata: altri coloni scelsero i non ricomprendere nel novero degli intestatari le mogli, pur riconoscendo loro ex lege, l’usufrutto vita natural-durante all’abitazione e al godimento dei frutti dell’azienda agricola. Infine, pagata l’ultima rata e riscattato pienamente il po dere 937 i Cobalchin (anzi, secondo gli atti, i Co balchini) ne divennero proprietari il 2 maggio 1972, dopo un’intera vita di sacrifici, testimoniando con la loro fatica e insieme con la tenacia nel restare, anche quando ciò significò la miseria, di dovere il successo esclusivamente a sé stessi, smenten do la falsa leggenda dura a morire secondo cui in Pontino qualcuno, prima della guerra, regalò la terra ai contadini.
Ricostruzione del Podere a seguito dei bombardamento del1943/1944 Sul tetto Francesco e Mario
28
Podere ricostruito Estate 1953
29
Atto di rescissione in tronco del contratto 1935
30
Contratto d’acquisto 1947
31
Nozze d’Oro Giovanni e Teresa 1971
32
Nozze d’Oro di Giovanni e Teresa Da sinistra Emma, Giuseppe, Assunta, Francesco, Giovanni, Mario, Teresa, Umberto, Guglielmo
33
Giovanni e Teresa (Podere Cobalchin) 1975
34
Da sinistra Lina, Teresa, Pierina, Giovanni e Emma (Podere Cobalchin) 1975
35
Da sinistra in piedi Primo, Emma, Fausto, Pierina seduti Agostino, Assunta, Lina,Teresa, Francesco, Marietta
36
Da sinistra ultima fila Giuseppe, Mario, Francesco, Umberto fila centrale Guglielmo, Assunta, Emma, Elena, Fausto seduti Teresa e Giovanni
37
Teresa e Giovanni Inverno 1968
38
Giovanni e Teresa 1973
39
Giovanni e Teresa
E poi ci siamo noi, i vostri figli e i vostri nipoti, che insieme ai cugini venuti da lontano siamo qui ad onorarvi. È propio in giorno speciale come questo che noi tutti vogliamo dirvi che siamo orgogliosi di voi e che nel nostro cammino cercheremo di far tesoro dei vostri insegnamenti e di crescere le nostre famiglie così come hanno fatto i nostri nonni e come avete fatto voi, con amore, onestà e tanta umiltà.
”
La vostra famiglia
”