2009. Spazi, centri, luoghi e contesti dell’aggregazione giovanile: ipotesi e modelli a confronto

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Spazi, centri, luoghi e contesti dell’aggregazione giovanile: ipotesi e modelli a confronto

Michele Marmo Giovanni Campagnoli Vedogiovane - Associanimazione


INDICE 1. POLITICHE PUBBLICHE PER LO SVILUPPO DI SPAZI GIOVANILI E YOUTH WORK 2. IL CENTRO GIOVANI TRA DEFINIZIONI E DESCRIZIONI. IDENTITA’ E SENSO DEGLI SPAZI 3. SPAZI GIOVANILI E PARTECIPAZIONE ATTIVA ALLA VITA LOCALE 4. ELEMENTI PER LA PROGETTAZIONE DI UNO SPAZIO PER I GIOVANI 5. ESPERIENZE: IL CENTRO GIOVANI SPAZIOPER 6. ESPERIENZE: IL BUSINESS PLAN DI MELTINPOP 7. ESPERIENZE: INTERNET CAFE’ (SCHEDA PROGETTO)


Spazi, centri, luoghi e contesti dell’aggregazione giovanile: ipotesi e modelli a confronto Il recentissimo disegno di legge presentato dalla Ministra Giorgia Meloni sui centri giovanili, ha ri-centrato l’attenzione su uno dei bisogni da sempre chiaramente espressi dalla maggior parte di adolescenti e giovani, quello degli spazi. Oggi infatti sono tantissime le tipologie (e le relative prefigurazioni) di centri per i giovani: si va da luoghi educativi più classici (doposcuola, oratori, centri educativi) a quelli autogestiti da giovani/adulti (i centri sociali comunitari e/o di quartiere), dai centri di aggregazione alle factory, dagli open air ai temporary place, dagli Informagiovani ai live club, dai Lab com ai circoli, dagli spazi “a tempo” (“solo per…”) agli skate park, dalle sale prove ai noprofit bar. Ri-parlare di questi temi è importante, affinché la programmazione degli interventi sia coerentemente indirizzata a far incontrare bisogni e giovani, non potendo quindi prescindere da una progettazione partecipata che dia parola agli stessi giovani interessati da questi interventi. Ad oggi in Italia non esiste una ricerca in materia, ne molta letteratura. Eppure sono tantissime e diffuse le esperienze di eccellenza e le buone prassi in materia, dalle metropoli ai piccoli Comuni montani, dalle periferie delle città alle località turistiche, dai centri in pianura fino ai paesi collinari. Il meeting nazionale di Rovigo, promosso da Associanimazione e giunto nel 2009 alla terza edizione, riunisce questa rete di esperienze ed è una grande occasione di confronto. Da lì partono poi una serie di riflessioni che si diramano in questa grande “comunità di pratiche” dove ciascuno è un nodo che può contribuire ad alimentare la rielaborazione culturale su questi temi. Questa pubblicazione mette al centro una serie di ipotesi su funzione e senso degli spazi aggregativi a disposizione per adolescenti e giovani, con


uno sguardo anche alle politiche pubbliche che possono contribuire al loro sviluppo. Suggerisce poi anche alcuni elementi utili alla progettazione e presenta alcune esperienze divenute “buone pratiche” di lavoro animativo con adolescenti e giovani, utilizzando format diversi (un articolo di Animazione Sociale, un business plan, una scheda progetto). Il tutto con una attenzione anche agli aspetti economici, gestionali ed organizzativi ed alla dimensione dell’investimento. Vedogiovane ha una esperienza diretta di gestione di spazi giovanili (Spazioper dal 2002 e, dal 2010, anche MeltinPOP), oltre ad un progetto Emblematico Cariplo per la messa in rete di questi due spazi insieme ad altri sei Oratori e Scuole. Ma tante, nel tempo, sono state anche le esperienze di lavoro in centri di aggregazione e oratori. Così la riflessione su queste esperienze ha contribuito a dar vita a work shop e percorsi formativi su questi temi, in tanti luoghi d’Italia per conto di Amministrazioni pubbliche e Enti religiosi, a curare diversi articoli e pubblicazioni, oltre a contribuire all’organizzazione dei convegni nazionali di Associanimazione sui centri e spazi aggregativi. Michele Marmo (pres Vedogiovane e Associanimazione) Giovanni Campagnoli (resp. Politichegiovanili.it e Vedogiovane)


CAP. 1. POLITICHE PUBBLICHE PER LO SVILUPPO DI SPAZI GIOVANILI E YOUTH WORK1 Gli spazi giovanili Quello degli spazi giovanili è un tema vecchio, ma ripreso in ben 20 su 21 Accordi di Programma Quadro (APQ) siglati tra il 200872010 da Ministero e Regioni, oltre che da un disegno di legge Ministeriale, quello sulle Comunità giovanili (o “Villaggi dei giovani”, v. Tab. 1). Tab. 1. Il Disegno di legge Meloni Presentato dalla Ministra Meloni il 15 maggio 2009, con il parere favorevole espresso dalla Conferenza Stato Regioni lo scorso 8 aprile ‘091, è un disegno di legge approvato quindi dal Consiglio dei Ministri e che conta su uno specifico fondo di 5 milioni di euro l’anno2, la cui amministrazione è di competenza del Ministero alla Gioventù. Un re-stayling del tema degli spazi giovanili quindi, che parte dalle molte tipologie presenti oggi, originate dai più tradizionali centri di aggregazione che oltre agli Oratori, sono stati i cosiddetti “Cag”, il cui sviluppo è stato in passato sostenuto anche dalla legge 285/973 nei 10 anni in cui è rimasta pienamente in funzione4. Ma anche una nuova riprogettazione degli spazi aggregativi abbinata a quelle della delle città e dei territori (v. Tab. 2). Tab. 2. Verso una “rinascita urbana”? Le città hanno bisogno di proposte e di progetti. La scia dei grandi eventi produce certamente un effetto mobilitante, come dimostrano quelli riguardanti le due città maggiori (Milano 2015 o le Olimpiadi a Roma), ma è improponibile la loro generalizzazione a ogni contesto. L’intervento recente si è infatti troppo spesso limitato ad investimenti “primordiali”: l’80% di residenze e un 20% fra uffici e centri commerciali. Bisogna ricercare alcune linee guida su cui far convergere istituzioni, imprese, finanza, per una stagione di rinascita urbana, lavorando su alcuni temi chiave per il futuro, tra cui […] dei nuovi format per il commercio ovvero reinventare il centro commerciale e ridare senso alle aree storiche 1 G. Campagnoli (2010) in: A. Bazzanella (2010), Investire nelle nuove generazioni: modelli di politiche giovanili in Italia e i n Europa: Uno studio comparativo, Osservatorio Giovani Provincia di Trento, scaricabile qui: www.iprase.tn.it/prodotti/libri/scheda.asp?id=289


o consolidate con una particolare attenzione ai luoghi di aggregazione giovanile il cui esodo verso le nuove strutture causa lo svuotamento delle vecchie. Fonte: “Metropoli per la ripresa. Il sistema urbano italiano al 2009”. RUR – Censis 2009

Infatti ancora oggi quello degli spazi (insieme alla musica) rimane uno dei pochi bisogni da sempre chiaramente espressi dalla maggior parte degli adolescenti e giovani. Sono infatti tantissime le tipologie (e le relative prefigurazioni) di centri per i giovani: si va da luoghi educativi più classici (doposcuola, oratori, centri educativi e cag) alle factory, dagli open air ai temporary place, dagli Informagiovani ai music club, dai Lab com ai circoli, dagli spazi “a tempo” (“one shot” o “solo per”) agli skate park, dalle sale prove ai noprofit bar, dalle Comunità giovanili alle Officine dell’arte (così come definite – entrambe - nell’APQ della Regione Lazio), dai centri polifunzionali ai Centri di iniziativa studentesca, dai tanti luoghi del divertimento, ai centri sociali autogestiti da giovani/adulti. Tab. 3 Le tipologie di spazi giovanili previsti dalla Regione Lazio La Regione Lazio intende le comunità giovanili come associazioni di giovani, anche autogestite, che svolgono attività di tipo sociale, culturale, artistica, sportiva; questa entità sembra essere strumento idoneo ad abbattere il tasso di non partecipazione giovanile ed “intercettare” i giovani meno interessati a forme e modalità di partecipazione più istituzionale come i Consigli dei giovani. Invece, con il progetto le “Officine dell’arte”, si intende favorire la partecipazione attiva dei giovani allo sviluppo regionale mediante la promozione e il sostegno delle loro attività e produzioni culturali. Ciò significa predisporre – nei 15 centri di produzione e di promozione culturale previsti - delle condizioni, strutturali e di servizio, che consentano ai giovani impegnati a diverso livello nella produzione culturale, da quello amatoriale a quello professionistico, di sviluppare attività e progetti che divengano anche fattori di coesione sociale, sviluppo locale e creazione di nuove opportunità di lavoro. Tra gli obiettivi dell’APQ della Regione Piemonte vi è la realizzazione di un centro polifunzionale in ciascun capoluogo di Provincia (definiti hub cultural giovanili) e la loro successiva messa in rete a livello regionale, anche con altri spazi più piccoli sui territori provinciali (sub hub). L’obiettivo


è qualificare gli spazi di vita dei giovani, per creare situazioni che siano occasioni di vita, di relazioni, di partecipazione e creatività, fino al sostegno per la nuova impresa ed all’avvio di percorsi di formazione formale e informale. Ad oggi in Italia non esiste una ricerca in materia, né molta letteratura. Eppure sono tantissime e diffuse le esperienze di eccellenza e le buone prassi, dalle metropoli ai piccoli Comuni montani, dalle periferie delle città alle località turistiche, dai centri in pianura fino ai paesi collinari. Il Meeting nazionale di Rovigo5, giunto nel 2009 alla terza edizione, riunisce questa rete di esperienze ed è una grande occasione di confronto. Nonostante gli appuntamenti di questo network nazionale, una stima quantitativa di questi centri è altrettanto ardua. C’è stata, negli anni ’80 e ’90, una stagione di forte crescita dei Centri di Aggregazione Giovanile (CAG), monitorata da più Osservatori. Infatti, relativamente ai CAG6, secondo la rilevazione del “Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza”, nel 2000 vi erano già 530 progetti di questo tipo finanziati dalla Legge 285/97, a cui si sarebbero dovuti aggiungere quelli già esistenti, arrivando così a 9007. A partire dal 2000 e fino al 2004, grazie soprattutto a finanziamenti pubblici (es. la L.285/97, le leggi sulla prevenzione delle tossicodipendenze, le diverse leggi regionali in materia, quella sugli Oratori e così via), si sono sviluppati una pluralità di progetti legati all’aggregazione giovanile intesa come primo livello del protagonismo sociale dei giovani e come forma di prevenzione primaria aspecifica8. Sempre nel 20049, il finanziamento di Servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero è il secondo ambito di intervento sostenuto dalla legge 285/97, con un valore assoluto di 1.765 progetti, pari al 35,4% del totale. Ciò non significa assolutamente che siano stati finanziati solo dei Centri di aggregazione per adolescenti, anzi10, quanto piuttosto è una indicazione della considerazione crescente di una tipologia di interventi non solo riparativo. Percentuale pressoché identica anche negli interventi attualmente in corso nelle 15 “città riservatarie” e, si stima, anche nella Terza annualità dei progetti 285/9711. Per arrivare ad una stima dei Centri giovanili, è possibile ricorrere a più fonti: i 21 APQ, una ricerca del 2006 della Provincia di Pistoia e Gruppo Abele12, i web delle Regioni stesse ed altre fonti regionali dirette. Con tutta la prudenza del caso, si evidenzia una crescita negli ultimi due anni di ulteriori 300 centri di alta qualità ed innovazione, su uno stock consolidato


di circa 1.100 già presenti nel 2006. Stime che danno conto di una fase di sviluppo e crescita (v. Grafico 3), da interpretare però con molta prudenza: in ogni caso già la stessa difficoltà a reperire fonti ed informazioni, è un dato in sé della carenza di riferimenti nazionali in materia e del relativo bisogno, come già evidenziato in precedenza. Grafico 3. La nuova crescita e sviluppo degli spazi giovanili in Italia

Lo youth work Lo “youth work” o animazione socioeducativa13 è definita dai documenti europei come una forma di educazione extrascolastica organizzata da professionisti e/o volontari nell’ambito di organizzazioni della gioventù, di municipi, di centri della gioventù, di chiese, ecc. e che contribuisce allo sviluppo dei giovani. Si pensi al lavoro negli spazi giovanili, con i gruppi di adolescenti e nell’associazionismo giovanile, al “lavoro in strada” e nei progetti per sviluppare cittadinanza, integrazione, solidarietà tra i giovani ecc. . Sono quindi attività al di fuori da quanto è già svolto dalle altre politiche, come quelle relative all’istruzione, all’occupazione, all’integrazione sociale, ma in forte alleanza con queste. Per questo i documenti europei14 parlano di “educazione informale15”, intesa come un’attività educativa intrapresa al di fuori del sistema formale dell’istruzione e perciò al di fuori della Scuola e delle attività curricolari tradizionali (v. Tab. 3).


Tab. 3. Raccomandazione del Parlamento europeo n° 1.437/2000 In questo documento l’educazione non formale è considerata parte fondamentale che accompagna l’educazione formale, che, sola, non può rispondere e affrontare il rapido cambiamento sociale, economico e tecnologico della nostra società. Inoltre aggiunge che “l’educazione non formale è una parte integrante del concetto di lifelong learning, che permette ai giovani e agli adulti di acquisire e mantenere capacità, abilità e prospettive necessarie per adattarsi al continuo cambiamento dell’ambiente”. L’Assemblea Parlamentare individua tra le iniziative con le quali gli individui possono prendere parte all’educazione non formale, il ruolo importante svolto dalle Organizzazioni non governative, e invita i governi degli stati membri a incentivare la collaborazione tra insegnanti, educatori e ONG e a supportare le attività educative non formali attraverso particolari finanziamenti alle ONG. L’Assemblea richiama la Dichiarazione Finale della quinta Conferenza dei Ministri Europei responsabili della Gioventù nella quale i paesi europei sono spronati a riconoscere le capacità acquisite attraverso l’educazione non formale, e richiama i governi affinché riconoscano l’educazione non formale come parte del processo di formazione continua, rendano accessibile a tutti l’educazione non formale e monitorino sui risultati ottenuti. È fondamentale, inoltre, il ruolo importante dello youth work nella lotta contro la disoccupazione, l’insuccesso scolastico e l’esclusione sociale, nel miglioramento dell’acquisizione di competenze e nelle attività del tempo libero. Di conseguenza, vista la complessità e l’articolazione dei temi, la Commissione propone l’utilizzo di un approccio transsettoriale per affrontare tutte le questioni concernenti i giovani16. Nella Strategia europea del 2009 “Investire nei giovani e conferire loro maggiori responsabilità17”, così come nella Risoluzione del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, Sessione Gioventù, del novembre 200918, tra gli obiettivi principali, si esplicita quello di un nuovo ruolo per l’animazione socio-educativa, sostenendo e riconoscendo l’apporto economico, sociale e professionalizzante dell’animazione socio-educativa. Le azioni conseguenti sono quattro e cioè: - dotare gli animatori socio-educativi di competenze professionali e promuovere la loro validazione mediante strumenti europei adeguati (Europass, EQF, ECVET);


- sostenere l’animazione socio--educativa, tra l’altro attraverso i Fondi strutturali; - favorire la mobilità degli animatori socio-educativi, conformemente al trattato CE; - sviluppare servizi, pedagogie e prassi innovative in materia di animazione socio-educativa. Non vi sono dubbi della considerazione e del credito di cui godono questi percorsi di apprendimento presso le istituzioni europee. Non è ancora così in Italia. Quanto detto nei capitoli precedenti rispetto a risorse, intenzionalità e progettualità delle istituzioni pubbliche per i giovani, sono condizioni necessarie ed importantissime, ma potrebbero non rivelarsi ancora sufficientemente utili in questa azione. Infatti se l’azione delle istituzioni nel tempo è stata contrassegnata da carenza di risorse e di capacità progettuali, la criticità maggiore è stata probabilmente la mancanza di interesse da parte degli stessi giovani verso le azioni poste in essere dalle Amministrazioni pubbliche, siano esse occasioni di partecipazione o luoghi di aggregazione o erogazione di servizi. Un fenomeno che può essere messo in relazione sia con un accertato deficit di fiducia dei giovani verso le istituzioni e sia con la “concorrenza” degli attori di parte privata19, promosse in ottica di marketing. Di conseguenza nel lavoro con gli adolescenti, spesso la fatica maggiore è proprio il riuscire a coinvolgere direttamente i giovani, ad incontrarli, ad aggregarli, ad “agganciarli”. Ri-parlare (come sta avvenendo ora) di questi tematiche giovanili è importante ed affinché la programmazione degli interventi sia coerentemente indirizzata a far incontrare bisogni e giovani, va impostato un percorso di progettazione partecipata che dia parola a loro stessi, in quanto interessati da questi interventi. Allora, il link tra giovani ed istituzioni è quell’ambito di lavoro che la Commissione Europea, nei documenti ufficiali20, riconosce e definisce proprio “youth work”. Questo lavoro, svolto nei centri e negli spazi giovanili, può contribuire in modo ancor più potente che altrove, ad un incremento di quelle “competenze chiave” che la Commissione Europea ritiene necessarie per la realizzazione personale, la cittadinanza attiva, la coesione sociale e l’occupabilità21. Si tratta appunto del riconoscimento dell’educazione non formale quale modalità di apprendimento di 8 “key competences” (v. Tab. 4). La considerazione di partenza è infatti questa: circa il 70% dell’ap-


prendimento nella vita di un individuo avviene in contesti informali e non formali (famiglia, tempo libero, gruppi informali, organizzazioni giovanili)22, soprattutto per quel che riguarda una serie di competenze sempre più spendibili anche sul mercato del lavoro. Proprio per questo, la U.E. mira, ad integrazione dell’educazione formale, a sviluppare l’istruzione non formale per i giovani, in modo che contribuisca alla loro formazione permanente. Ciò in una società della conoscenza, dove il miglioramento delle competenze a tutti i livelli è una condizione essenziale tanto per un rilancio a breve termine dell’economia, quanto per uno sviluppo più a lungo termine e per l’aumento della produttività, della competitività, dell’occupazione, nonché per la garanzia di pari opportunità e per la coesione sociale23. Tab. 4. Competenze chiave per l’apprendimento permanente: un quadro di riferimento europeo Le competenze sono definite in questa sede alla stregua di una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. Il quadro di riferimento delinea otto competenze chiave: 1) comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8) consapevolezza ed espressione culturale. Le competenze chiave sono considerate ugualmente importanti, poiché ciascuna di esse può contribuire a una vita positiva nella società della conoscenza. Molte delle competenze si sovrappongono e sono correlate tra loro: aspetti essenziali a un ambito favoriscono la competenza in un altro. La competenza nelle abilità fondamentali del linguaggio, della lettura, della scrittura e del calcolo e nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) è una pietra angolare per l’apprendimento, e il fatto di imparare a imparare è utile per tutte le attività di apprendimento. Vi sono


diverse tematiche che si applicano nel quadro di riferimento: pensiero critico, creatività, iniziativa, capacità di risolvere i problemi, valutazione del rischio, assunzione di decisioni e capacità di gestione costruttiva dei sentimenti svolgono un ruolo importante per tutte e otto le competenze chiave. Fonte: Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, (2006/962/CE). Nel nostro Paese, però, il lavoro di tipo animativo-promozionale con gli adolescenti e lo sviluppo delle relative professionalità, è stato fino ad ora un ambito di intervento marginale, spesso relegato al volontariato24, investendo più su interventi e professionalità in ambito assistenziale e riparativo (v. Tab. 5). Tab. 5. Gli operatori del settore Socioeducativo e turistico

Fonte: Isfol Orienta, “Materiali per gli operatori”, aprile 2007

Non vi sono però stime in grado di individuare però il numero degli animatori sociali, il cui iter formativo professionale, attivato grazie ad alcune Regioni, oggi è quasi del tutto sparito. Così, seppur presente da oltre 15 anni nei documenti e nei programmi europei come professionalità nell’ambito del lavoro con i giovani, in Italia la figura dello youth worker è ancora poco conosciuta, cioè di chi svolge un lavoro a contatto diretto con minori, adolescenti, giovani. Sono quindi persone in grado di sviluppare relazioni significative con loro, di svolgere una funzione formativa ed orientativa e di sviluppo di competenze, attraverso la promozione di esperienze e percorsi. E sono anche dei facilitatori/mediatori che lavorano a metà tra mondo giovanile ed istituzioni (“in mezzo” a due mondi molto distanti tra loro), quindi educatori, operatori sociali, animatori, operatori di Informagiovani e dell’orientamento, allenatori, volontariato, sacerdoti, in genere adulti significativi, nel senso di autorevoli e credibili agli occhi dei giovani. Si tratta di un settore che fino agli anni ’80 ha giocato, in termini di volontariato, un ruolo molto forte nell’accompagnare i ragazzi nella crescita, che successivamente è entrato in crisi e che oggi si sta notevolmente professionalizzando, anche grazie


all’avvento della cooperazione sociale e del Terzo settore in generale. In Italia, oggi è possibile ridare un forte impulso a questo ambito, proprio come è previsto dalle nuove politiche europee per i giovani, riprendendo i risultati importanti che in questo settore sono stati raggiunti negli anni. Si pensi all’associazionismo ed alla Chiesa cattolica, a quei 9.000 Oratori attivi26, agli altrettanti circoli Arci ed alle 8.000 strutture Acli ancora presenti e ramificate su tutto il territorio nazionale27, nell’ambito dell’offerta di attività aggregative, tempo libero, ecc. Organizzazioni che nel Dopoguerra hanno svolto una mission di autentica “impresa sociale” investendo risorse, costruendo e gestendo spazi ed attività, scommettendo sul volontariato, alimentato da una generosità e da valori forti. Accanto a questo è da evidenziare anche l’attenzione alla promozione sportiva ed allo scoutismo28 , tanto che esistono in questi ambiti dei network diffusi in tutto il Paese, oltre ovviamente alle tante altre associazioni nazionali di promozione sociale e culturale. Queste organizzazioni, storicamente, si sono attivate nelle realtà locali, a prescindere dall’intervento delle istituzioni o, a volte, proprio in assenza di questo o in supplenza. Il ruolo del volontariato, degli oratori, dell’associazionismo studentesco, sociale e culturale, degli enti di promozione sportiva29 e sociale, dello scoutismo, del sindacato, dei partiti, è stato motore di una serie di interventi importanti per le nuove generazioni, nella storia del nostro Paese. Ciò, soprattutto, in un contesto di assenza di riferimenti nazionali da parte dello Stato, che – ricordiamolo - non ha mai approvato una legge nazionale a favore dei giovani. In questa situazione, c’è stato un Terzo settore che ha investito le proprie risorse in spazi, in cultura, aggregazione, socialità, sulle basi di valori ed idealità che hanno contribuito alla formazione umana ed alla educazione di tantissime giovani generazioni. Rispetto ad allora, il Terzo settore si è sicuramente professionalizzato, c’è stato sia l’avvento della cooperazione sociale (con una forte “deriva lavorista30), sia il riconoscimento legislativo della funzione educativa e sociale svolta dagli Oratori31, ma una rete così estesa e capillare di spazi ed attività per i giovani non è stata costruita da nessun altro attore. Il ruolo del Terzo settore nello sviluppo degli interventi per i giovani In Italia la figura dello “youth worker”, pur (come visto) non essendo una professione particolarmente diffusa dal punto di vista quantitativo, è sicuramente ben più presente tra gli operatori delle organizzazioni giovanili o


tra quelle che si occupano di giovani, che non nell’Ente pubblico. Le organizzazioni del Terzo settore gestiscono localmente molti degli interventi in ambito di politiche giovanili a titolarità pubblica, soprattutto comunale. In questo settore, come già visto per il resto degli interventi, sono però molte le differenze e le disomogeneità sul territorio nazionale, soprattutto tra il Sud ed il resto del Paese. Con queste precisazioni, si può comunque affermare che laddove intervengono in partnership con gli Enti locali (soprattutto Comuni), spesso la qualità finale dell’intervento è elevata. In queste situazioni il ruolo di associazioni e cooperative sociali in particolare,32 va ben al di là dell’essere quello di meri “gestori di interventi e Servizi per adolescenti e giovani”. Infatti, sempre più frequentemente, queste organizzazioni assumono la funzione della contitolarità/co-proprietà sociale con l’Ente Pubblico (i Comuni) del progetto stesso, spesso co-progettandone insieme il senso ed il significato. Queste organizzazioni infatti sono soggetti portatori di una cultura, di un sapere e di un saper fare fondamentale nel lavoro con gli adolescenti di oggi33 che dovrebbe essere assunto a livello progettuale nell’elaborazione degli APQ regionali e delle politiche nazionali. Tab. 6 Riconoscere la centralità del lavoro sociale Nonostante sia una variabile essenziale per l’esito positivo di un progetto, il lavoro degli operatori non sempre è adeguatamente riconosciuto. Il contesto dei nuovi problemi sociali (come la precarizzazione del lavoro e la frammentarietà dei progetti), nonché le nuove risposte che le politiche di esternalizzazione stanno attivando, sembra produrre delle organizzazioni lavorative complessivamente più fragili, poco capaci di tutelare l’attività degli operatori, ai quali si richiedono investimenti ampi in termini di competenze e disponibilità. La responsabilità della presa in carico dei problemi dei/delle giovani rischia, in alcuni casi, di scaricarsi interamente sugli operatori e le operatrici, spesso giovani a loro volta. Il contenuto ad alta intensità relazionale del loro lavoro richiede la messa a punto di specifici supporti (sia in termini di formazione e supervisione che di organizzazione lavorativa) che consentano la sostenibilità del lavoro e ne valorizzino le competenze. Gli operatori sociali, come facilitatori di processi complessi, svolgono un ruolo-ponte tra il mondo delle istituzioni e quello dei e delle giovani. In questa loro posizione intermedia sviluppano un sapere specifico che risulta strategico per promuovere progettazioni


più adeguate. Occorre peraltro considerare che la complessità del lavoro di comunità si presenta particolarmente elevata anche in ragione della sua conformazione di lavoro di equipe multidisciplinari che richiedono un investimento specifico per poter funzionare. Ciò non può essere ritenuto un costo eccessivo dei progetti: se è vero che la complessità dei problemi sociali va crescendo, occorre costruire progettazioni che sappiano rispondervi adeguatamente piuttosto che ignorarla. La qualità organizzativa del lavoro degli operatori è in tal senso un contributo decisivo. Fonte: “Giotto: giovani connessioni toscane”, Filigrane, Regione Toscana, 2009.

L’incontro tra queste organizzazioni “talentuose” ed Assessorati comunali che hanno una intenzionalità d’intervento nei confronti delle giovani generazioni, quando avviene in termini collaborativi, è generativo di capitale sociale e dà avvio e sviluppo ad importanti progetti territoriali. In questi contesti riesce infatti il connubio tra “cultura della strada e del palazzo” e si sviluppa un confronto costruttivo che genera sperimentazioni, innovazione, ed il ruolo svolto dal Terzo settore è riconosciuto come fondamentale e determinante rispetto allo sviluppo dei progetti e ciò per alcuni specifici fattori: 1. la presenza nel No profit di professionalità sempre più formate e competenti nel campo sociale; 2. il buon livello di motivazione del personale; 3. i percorsi di formazione continua svolti durante il periodo dell’intervento; 4. la continuità del gruppo di lavoro (tra Privato sociale ed istituzione); 5. la condivisione della mission34. Un dato a conferma di tutto ciò: ben il 75% degli interventi finanziati dalla legge 285/97 è stato attivato in convenzione o affidamento al Terzo Settore35. Questa collaborazione è una potenzialità forte, una risorsa da valorizzare e che può portare al successo delle azioni a favore dei giovani, in quanto lo “youth work” ha proprio la caratteristica di sapersi rivolgere direttamente a loro, di saperle intercettare, coinvolgere, motivare e quindi di aumentare l’efficacia degli interventi, evitando l’effetto “top down”. Come già detto, è lo stesso principio, pur con le dovute differenze, di incrementare i risultati della raccolta differenziata coinvolgendo il più possibile i cittadini a collaborare36. Lo youth work si caratterizza però anche per il fatto di sviluppare


reti sui territori a partire dalle preziose alleanze educative tra Scuola ed ExtraScuola. Lo sviluppo degli Informagiovani è un ambito dove è ben visibile questa collaborazione: infatti mentre l’Ente comunale ha attivato il servizio direttamente solo nel 20% dei casi, lo ha fatto invece tramite convenzioni, appalti o formule miste nella maggioranza degli altri casi, con cooperative sociali e, meno spesso, con associazioni37. Queste collaborazioni, hanno dimostrato come ci sia un rapporto tra attivazione degli Informagiovani e sviluppo delle politiche giovanili locali fin dalla fase di progettazione e come, in carenza di riferimenti nazionali, sia stato spesso il Terzo Settore più pronto ad innovare, a trovare risposte, ad essere anche proattivo rispetto ai cambiamenti del mondo giovanile38. Non ci sono dati complessivi in proposito, ma le Amministrazioni che sviluppano interventi per i giovani lo fanno, come detto, quasi sempre con le organizzazioni giovanili39. Soprattutto oggi che gli interventi che i Comuni capoluogo di provincia e regione attuano sono ad alto coinvolgimento di giovani40. Un ulteriore dato di conferma arriva, a livello di Province italiane, dai progetti presentati nel bando 2008 all’UPI: il 62,5% degli Assessorati aveva sviluppato una partnership con uno o più soggetti del Terzo settore già in fase di progettazione41. Tutto ciò, da un altro punto di vista, significa anche che nell’ambito degli interventi per i giovani, si sta andando nella direzione dell’attuazione del principio contenuto nella nostra Costituzione (art. 118) di “sussidiarietà orizzontale”, cioè di attribuzione delle funzioni pubbliche oltre che agli Enti anche alle formazioni sociali, che vengono così chiamate a condividere le responsabilità pubbliche in un sistema integrato di interventi42. Organizzazioni del Terzo settore quindi contitolari di una “co-proprietà sociale” delle politiche giovanili, partecipanti attivamente alla fase di progettazione, gestione e valutazione dell’intervento, titolari, appunto, di una funzione pubblica. Proprio in via di quest’ultima considerazione, appare legittimo sperimentare anche nuove modalità di rapporto con la Pubblica Amministrazione, anche su basi di non solo di Diritto privato43, ma anche Pubblico44, tra cui sicuramente lo strumento del Piano Locale Giovani di cui si è detto. Ciò per essere in grado di dare maggiore continuità, un più alto livello di investimento e di qualità all’azione sociale, traducendo quindi la capacità di relazionalità positiva con la P.A. in funzione di co-partecipante al ruolo di indirizzo e programmazione degli interventi. Nuove


modalità di rapporto tra P.A. e Terzo Settore (a partire ad esempio da una durata contrattuale di 5/6 anni delle collaborazioni45), mettono quest’ultimo nelle condizioni di poter effettuare un investimento economico maggiore sui progetti e servizi, svolgendo così un autentico ruolo di “impresa sociale”, al pari di quel Terzo settore “storico” di cui si è detto prima. Queste organizzazioni co-producono “beni pubblici”, perché: 1. utilizzano risorse pubbliche; 2. coinvolgono attivamente in questo processo di erogazione anche i destinatari stessi degli interventi, rendendo così visibile che questi beni pubblici sono davvero “beni comuni”. In questi contesti, spesso le organizzazioni svolgono anche la funzione di “incubatore sociale” di altre organizzazioni (associazioni giovanili e/o cooperative, piuttosto che microimprese), generando quindi cittadinanza, impresa, lavoro. Con l’istituzione del Ministero e l’avvio di questa “stagione dei bandi”, questi soggetti hanno ricevuto un notevole impulso, che può permettere loro un salto di qualità in termini di costituzione di sistema. Infatti i know how di questi Enti ed organizzazioni sono evidenti e rappresentati dall’altissimo numero di progetti presentati nell’ambito dei primi bandi indetti dal Ministero (v. Grafico 1). Grafico 1: Le proposte presentate al Ministero dai diversi attori46

Un indicatore qualitativo è invece il coinvolgimento nel Terzo settore nelle prime sperimentazioni relative ai Piani Locali Giovani ed ai Piani Giovani di Zona, se non addirittura nei Patti territoriali e nei Distretti territoriali, ricomprendendo le politiche giovanili nell’ambito delle politiche di svi-


luppo locale, autentica mission di questi interventi. Questo Terzo settore che oggi si occupa di adolescenti e giovani non è raggruppato in una rete nazionale omogenea, a differenza dei diversi netwok presenti in Europa, che concertano direttamente con le istituzioni europee strategie ed interventi. In Italia questo può essere un obiettivo. Oggi comunque alcuni network hanno intrapreso questa via: tra questi (rischiando di dimenticarne alcuni), senz’altro CGM “Luoghi per crescere”, la rete delle organizzazioni del CNCA con un gruppo di lavoro ad hoc, l’Associanimazione47 (che promuove i meeting nazionali dei centri, spazi e contesti di aggregazione), la rete Libera, poi le già citate Arci e Acli, le associazioni studentesche, lo scoutismo, quelle – più specifiche - delle botteghe del Commercio Equo (la più diffusa è CTM Altromercato), quella del turismo studentesco CTS, degli ostelli della gioventù, le associazioni ambientaliste (a partire da Legambiente), la CdO, i Centro Servizi per il volontariato ed il Mo.Vi, le diverse organizzazioni religiose nazionali (in primis quelle cattoliche, con la Comunità di Sant’Egidio e la Gioventù Francescana), le tante associazioni nazionali di promozione sportiva, sociale e culturale. Alcune di queste reti fanno parte, a loro volta, del Forum Nazionale Giovani. In conclusione, è possibile rielaborare una matrice Swot (Tab. 7) per sintetizzare quanto fin qui detto. Tab. 7. La Swot delle organizzazioni del Terzo settore che si occupano di giovani


NOTE 1

“Norme in materia di riconoscimento e sostegno alle comunità giovanili e disposizioni in tema di gioventù”, con la raccomandazione di prevedere, tra le finalità di questi spazi, anche quelle turistiche, agricole, ambientali, artigianali. Tali attività potrebbero far assumere alle comunità giovanili un carattere imprenditoriale più che quello di associazionismo tra i giovani. L’APQ della Regione Lazio ne stima 50 già attive sul territorio. 2 Fondo nazionale per le comunità giovanili, costituito con le “finanziarie” 2005 e 2006, in tema di sensibilizzazione e prevenzione dei giovani rispetto al fenomeno delle dipendenze. 3 Legge 285/1997, ”Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”. 4 finanziando complessivamente almeno 7.902 progetti nell’arco di 10 anni (oggi lo è solo per le cosiddette 15 Città riservatarie), Fonte: Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza: Quaderno 47 – “Dieci anni di attuazione della legge 285/97”, Firenze novembre 2009. 5 Meeting Nazionale dei Centri, Spazi e Contesti di Aggregazione Giovanile, Rovigo, 12/14 novembre 2009. 6 Fonte: Veneto Sociale: “Una riflessione sui Centri di aggregazione giovanile“- Atti del primo convegno nazionale, Regione Veneto, 2007. 7 Fonte: D. Biella: “L’oratorio dalle stanze vuote”, VitaNonProfi, n° 9/08. 8 Regione Emilia Romagna: “Terza Conferenza regionale per le politiche giovanili”, Bologna 16 febbraio ’05. 9 Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza: - Quaderno 41 – “Monitoraggio sullo stato di attuazione della legge al 30 aprile 2004, dopo due trienni di programmazione”, Firenze 2005. 10 Una criticità, per le politiche giovanili, fu proprio il fatto che l’età più “trascurata” dagli interventi fosse proprio quella tra i 14 e i 17 anni (solo il 10% dei progetti era destinata a questo target). 11 Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza: Quaderno 47 – “Dieci anni di attuazione della legge 285/97”, Firenze novembre 2009. 12 Gruppo Abele: “Eppur si muove Secondo Rapporto sulle Politiche giovanili in Italia”, Provincia di Pistoia, 2006. 13 Nella “Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni” - COM(2009) 200-, è tradotto ufficialmente come “animazione socio educativa”. Il termine è comunemente utilizzato per le attività di inquadramento dei giovani “istruttori socioeducativi”, essendo questo il vocabolo ufficiale per “animatori di attività socioeducative” utilizzato nell’articolo 149, paragrafo 2, del Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992. 14 Tra gli altri, anche la Raccomandazione del Parlamento europeo n° 1.437 del 2000 ed il già citato Libro Bianco. 15 L’educazione formale è ogni tipo di educazione strutturata e regolare organizzata essere il diploma o la laurea ad esempio. È un’educazione suddivisa cronologicamente per gradi, dalla scuola primaria, alla secondaria, all’insegnamento universitario (o superiore).


L’educazione non formale è un’attività educativa intrapresa al di fuori del sistema formale e perciò al di fuori della scuola al di fuori delle attività curricolari. L’educazione non formale e le attività extra-curricolari che la compongono non rilasciano alcuna documentazione o certificato di frequenza. L’educazione informale rappresenta l’apprendimento non pianificato che accompagna ogni persona nella vita quotidiana e che corrisponde alle esperienze di ogni giorno acquisite nell’ambito della famiglia, degli amici, del gruppo di pari, dai media. 16 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni. “Una strategia dell’Unione europea per investire nei giovani e conferire loro maggiori responsabilità. Un metodo aperto di coordinamento rinnovato per affrontare le sfide e le prospettive della gioventù”, Bruxelles, 27 aprile 2009. 17 V. Nota precedente. 18 Risoluzione n°15131/09 del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea (Sessione Gioventù), “Un quadro rinnovato di cooperazione europea in materia di gioventù per il periodo 2010-2018”, Bruxelles, 17 nov. 09. 19 Fonte: Regione Puglia, “Accordo di programma quadro in materia di politiche giovanili”, Relazione tecnica, Roma, 28 luglio ’06. 20 Commissione Europea: “Libro Bianco della Commissione Europea: un nuovo impulso per la gioventù europea”, Bruxelles 2001. 21 Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente - (2006/962/CE) - Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 30.12.2006 22 Commissione Europea, Programmi Gioventù in azione, Bruxelles 2007. 23 Commissione Europea: “Nuove competenze per nuovi lavori - Prevedere le esigenze del mercato del lavoro e le competenze professionali e rispondervi, Bruxelles”, 16 dicembre 2008. 24 Negli Oratori sono presenti 200 mila volontari tra catechisti, educatori, animatori [Fonte: Forum degli Oratori Italiani-FOI, febbraio ‘05]. 25 di cui circa 460 volontari [Fonte: Coordinamento Nazionale Informagiovani: “Informagiovani”, Ministero della Gioventù, Anci, Roma 2009]. 26 Fonte: Forum nazionale degli Oratori, dicembre ’09 (v. www.oratori.org). 27 Fonti: www.arci.it e www.acli.it . 28 Attualmente si contano oltre venti associazioni operative di scout e le quattro più diffuse nel territorio sono l’AGESCI (177.000 iscritti), la AIGSEC (19.000 iscritti), il CNGEI (con quasi 11.000 soci) e l’Assoraider [Fonte. wikipedia]. 29 È comunque estesa sia la rete dell’Associazionismo di promozione Sociale, sia quella di promozione sportiva, i cui affiliati svolgono un’importante azione educativa attraverso le discipline: tra queste le PGS, l’Unisp, il CSI, che ha affiliate ben 13.000 società sportive e garantisce 12 milioni di ore di volontariato all’anno [Fonte: www.csi-net.it]. 30 Sono circa 5.500 le cooperative sociali in Italia, con 173.000 occupati (70% donne) e 10.000 “svantaggiati”. 31 Legge 206/2003 e riconoscimento, ai fini del finanziamento, con 15 leggi regionali ad hoc (v. www.oratori.org) e due provinciali, che sono Lombardia, Abruzzo, Lazio (con 6 milioni all’anno a disposizione), Calabria, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Campania, Um-


bria, Sardegna, Marche, Molise, Veneto, Puglia, Liguria, Valle d’Aosta e Province autonome di Trento e di Bolzano, 32 L. Regoliosi, P. Bisesti, A. Terzi: “Giovani possibili”, La Meridiana, Molfetta, 2006, pag 132. 33 Tanto da poter affermare che il know how del lavoro con i giovani risiede più in queste organizzazioni che non nella P.A. 34 Quaderno 41 “I progetti nel 2004. Lo stato di attuazione della Legge 285/1997”, pag 19 e 25. 35 Fonte: Quaderno 47: “Riflessioni su dieci anni di attuazione della legge 285/97”, Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Firenze, ottobre 2009. 36 G. Arena: “Cittadini attivi”, Edizioni Laterza, 2005. 37 Coord. Nazionale IG: “Informagiovani”, Ministero della Gioventù, Anci, 2009. 38 A. Serafin, Direttore Nazionale Coord. Informagiovani, Anci - Ministero Gioventù: “Informagiovani: dalla rete al sistema. Terzo Convegno Nazionale degli Informagiovani”, Roma, 4 maggio ’09. 39 Meno, invece, con le “giovanili” dei partiti, indicati dagli Assessori stessi all’ultimo posto nell’elenco dei partner per lo sviluppo di politiche giovanili [Fonte: R. Pocaterra, Fondazione Iard, “Settima Conferenza Nazionale Informagiovani“, Castellamare di Stabbia, 23 febbraio 2005]. 40 G. Campagnoli: “Politiche giovanili. Progetti in ordine sparso”, in “Guida agli Enti Locali”, IlSole24ore, 28 ottobre 2005. 41 Rielaborazioni da www.azionepronincegiovani.it . 42 F. Dalla Mura: “Appalti, concessioni e convenzioni tra enti pubblici e terzo Settore”, IlSole24ore, Milano ‘05. 43 ad es. l’appalto, forma principale di affidamento dei servizi socioeducativi. 44 Procedimenti di affidamento quali concessioni, accreditamenti, Accordi di programma, Protocolli di Intesa, bandi per ricerca di partner per progettazione e gestione, ecc. . 45 Va infatti ricordato che i servizi e gli interventi gestiti dalla cooperazione sociale in questo ambito sono quasi tutti di durata inferiore ai tre anni. 46 Per quanto riguarda il numero dei Comuni (480), si fa riferimento alla stima del risultato atteso rispetto al Bando Anci 2010 (Giovani Energie in comune), pubblicato a fine 2009. 47 Vedi rispettivamente www.luoghipercrescere.it, www.cnca.it e www.associanimazione.org.


CAP. 2. IL CENTRO GIOVANI TRA DEFINIZIONI E DESCRIZIONI. IDENTITA’ E SENSO DEGLI SPAZI

Il Centro Giovani è uno dei luoghi di costruzione dell’identità per fanciulli, preadolescenti, adolescenti e giovani. La specificità del Centro riguarda le modalità con cui questa identità viene costruita. U La costruzione è progressivamente autonoma, in considerazione dell’età di chi è coinvolto. Parlare di “costruzione autonoma” indica il tentativo di non accontentarsi di un’identità definita attraverso la trasmissione e/o l’imitazione di modelli, ma di stimolare e favorire un’elaborazione personale, critica. U L’identità costruita è relazionale: la sua elaborazione avviene attraverso il contatto e il confronto con altre persone, simili, diverse, distanti, evitando il ripiegamento su di sé ma aprendo piuttosto a un processo di conoscenza e costruzione che trae linfa e si realizza nelle interazioni sociali. U Strumenti essenziali per la costruzione di identità sono le relazioni che si instaurano ed evolvono nel Centro. Così definite, le diverse relazioni (con i coetanei, con gli adulti) non sono fini a loro stesse, ma assumono valore come occasioni significative di elaborazione identitaria. U Se il Centro è luogo di costruzione di relazioni, lo stare e il fare sono i contesti all’interno dei quali le relazioni nascono e si sviluppano. Rappresentano infatti gli ambiti nei quali è possibile sperimentare la condivisione delle esperienze, facendole, narrandole, pensandole. U Fare e stare al Centro significa sperimentare modi complementari di rapportarsi alla realtà: da un lato in termini di pensiero, commento, elaborazione; dall’altro come efficacia esperita, possibilità di trasformazione, presenza concreta ed evidente per sé e per gli altri. U Nell’integrazione tra fare e stare, il Centro stimola e sostiene l’utilizzo di una molteplicità di linguaggi, che rappresentano per chi partecipa altrettante vie e modalità di costruzione della propria identità in rapporto al mondo circostante e a chi lo abita. U In continuità con quanto detto finora, il Centro non può che essere luogo di apprendimento. La sua azione può essere tanto più efficace nella misura in cui sia in grado di riflettere, conoscere e dichiarare quale sia il modello di apprendimento che cerca di realizzare, cogliendone caratteristiche ed implicazioni.


U Il Centro fallisce la sua funzione nella misura in cui si costituisce come bozzolo che racchiude in sé e non apre all’esterno. Se il Centro si occupa dell’identità di chi lo abita e questa riguarda anche la cittadinanza, allora non va dimenticato il ruolo generativo, di portatore di novità all’interno della comunità.

Come descrivere i Centri Giovani

Sin dalla fase di esplorazione è emersa la necessità di costruire categorie di analisi utili per osservare e conoscere le specifiche realtà dei Centri Giovani. Queste categorie non si presentano sotto forma di tipologie di Centro all’interno delle quali incasellare le singole realtà, bensì come variabili che presentano polarità opposte, all’interno delle quali ogni realtà cerca un proprio posizionamento. 1. Il rapporto tra stare e fare L’equilibrio tra queste dimensioni è la questione centrale degli spazi giovanili. Estremizzando, sono comprensibili tanto le posizioni a favore di una prevalenza dello “stare” quanto quelle che privilegiano il “fare”. U In un contesto che propone molte iniziative organizzate, i giovani (e soprattutto gli adolescenti) hanno bisogno di un luogo non necessariamente produttivo, in cui possono stare tra loro senza fare nulla. Si tratterebbe, in questo senso, di una sospensione necessaria, coerente con l’età di passaggio tra infanzia e adultità. La preoccupazione per il fare risponderebbe a una preoccupazione degli adulti piuttosto che a un bisogno dei giovani. U Il semplice stare sconfina nella noia, nella mancata assunzione di responsabilità, nella scarsa percezione di una propria efficacia nei confronti del mondo esterno. Per questo è necessario promuovere una dimensione produttiva, che faccia sperimentare l’impegno nella realizzazione di qualcosa. Anche sotto il profilo relazionale la possibilità di fare insieme rappresenta un’opportunità, che evita il ripiegamento su di sé. I Centri realizzano un equilibrio tra “stare” e “fare”, a seconda dei casi sbilanciato su una delle due dimensioni. Sta agli operatori essere in grado di dosare, in base alle esigenze dei ragazzi e al ciclo evolutivo del gruppo, ognuna di queste dimensioni. Non solo: “stare” e “fare” sono dimensioni che possono evolvere reciprocamente. Vediamo come: U Lo “stare” di un gruppo di ragazzi può evolvere verso il “fare”: lo stare per-


mette all’operatore un ascolto diretto, un sintonizzarsi che facilita l’identificazione di proposte che possono interessare i giovani; la costruzione di una relazione nata dallo “stare” porta a partecipare a una proposta in quanto parte del gruppo, al di là dell’interesse manifesto nei confronti dell’iniziativa stessa. U La proposta di un “fare” può essere un motivo che spinge alcuni giovani ad esserci, promuovendo quindi la dimensione dello “stare”. Attraverso l’interesse per un’iniziativa, il ragazzo può incontrare un contesto piacevole, che lo porta a fermarsi, con i vantaggi che questo implica in termini di costruzione di relazioni con soggetti diversi e con figure adulte “altre” rispetto a genitori e insegnanti. 2. La seconda casa Da diversi colloqui emerge una percezione da parte dei ragazzi del Centro come seconda casa. In effetti molte caratteristiche dei Centri Giovani come modello di intervento inducono a sviluppare questa percezione. Il Centro è un luogo stabile, protetto rispetto all’esterno, con un ampio orario di apertura; gli spazi sono almeno parzialmente personalizzabili da chi li frequenta; l’operatore è una presenza che si è certi di incontrare; vengono costruite modalità di stare abituali, routinarie. La questione che si pone qui è la seguente: in che rapporto sta questa “seconda casa” con la “prima casa”, cioè il contesto familiare. Anche qui possiamo estremizzare: U La “seconda casa” può essere molto simile alla prima, per tipo di ambienti e modalità di rapporto tra giovani e adulti. In questo caso viene enfatizzata la dimensione rassicurante (per i ragazzi, in genere più piccoli, e gli adulti), che accompagna l’uscita dalla casa familiare passando attraverso un ambiente che la ricorda molto. U La “seconda casa” è nettamente diversa dalla prima, il rapporto tra giovani e adulti è segnato da una maggiore corresponsabilità, con una vicinanza “controllata” tra operatori e frequentatori del Centro, viene posta enfasi sulla possibilità di sperimentare qualcosa di nuovo: non solo è possibile fare qualcosa di diverso, ma si viene provocati a fare qualcosa di diverso. 3. L’educazione e la sperimentazione Il tema del modello educativo è stato toccato più volte nel corso dei colloqui, esplicitamente o implicitamente. In alcuni casi è evidente che la na-


scita stessa del Centro è connessa con esigenze di tipo educativo. Non si tratta tanto di chiedersi se gli spazi svolgano una funzione educativa (di fatto praticamente tutti sentono di svolgerla), ma di individuare le modalità con cui questa funzione viene espletata, e la centralità della stessa all’interno del Centro. Anche in questo caso, forzando un po’, possiamo identificare due polarità opposte. U Un modello tendenzialmente trasmissivo. In questo caso esistono valori esplicitamente riconosciuti come importanti; vengono costruite attività mirate a farli riconoscere e a trattarli insieme ai ragazzi (anche se non rappresentano la totalità delle attività). La strutturazione delle attività permette una buona efficacia del modello, anche attraverso il contenimento dei ragazzi che frequentano il Centro. U Un modello tendenzialmente sperimentale. In questo caso viene data maggiore importanza alla sperimentazione da parte dei giovani e alla possibilità di fare esperienze diverse, a volte spiazzanti. Non ci sono momenti di riflessione dedicati, piuttosto questi sorgono a partire da interessi ed esigenze via via espressi, da spunti che emergono all’interno dei laboratori o nei momenti più liberi dello “stare”. 4. Fare e produrre Ognuno dei Centri incontrati è attivo nel proporre e realizzare attività di vario genere. Quella che viene messa qui in evidenza è la distinzione tra “fare” inteso come svolgimento di un’attività proposta, possibilità di prendere parte a un progetto definito, di trascorrere il tempo seguendo un interesse, e “produrre” nel senso della promozione della creatività, dell’innovazione. U Il “fare” permette ai ragazzi di essere attivi, di impegnarsi nella realizzazione di qualcosa insieme ad altri. E’ un antidoto alla possibile noia dello starsene semplicemente lì; in genere l’esito del fare è predefinito, si sa che cosa verrà realizzato e come. Non per questo si tratta di un’esperienza di poco valore, anche perché permette ai giovani di dimostrare la propria efficacia. U Il “produrre” ha maggiormente a che fare con originalità e creatività, quindi con lo sviluppo di prodotti imprevisti, immaginati e realizzati ex novo. Il “produrre” va a toccare la dimensione culturale, non solo in termini di fruizione ma di innovazione, di capacità di “mettere mano”. Fondamentale, in questo senso, è utilizzare una definizione ampia di “cultura”, capace


di abbracciare espressioni giovanili e non solo adulte e di non soffermarsi solo sulla riproduzione e sulla trasmissione. 5. Stare nella comunità Tra i temi individuati, il rapporto tra Centro e comunità di appartenenza è forse quello più delicato. Come detto sopra, si nota in generale la consapevolezza degli operatori nel considerare in sede di progettazione e realizzazione delle attività quali sono le coordinate di appartenenza territoriale dello spazio. Vediamo situazioni molto diverse: U Lo spazio giovanile può essere chiaramente incastonato all’interno della comunità: sarebbe impossibile pensarlo al di fuori di essa. Rappresenta il luogo di incontro per i giovani che abitano un certo micro-territorio, anche al di là delle proposte che possono trovarvi. In questo caso si può assistere ad un tentativo di colonizzazione dello spazio, più volte segnalato, spesso risolto con un’esclusione dei gruppi che si sono impadroniti del Centro stesso. U Lo spazio può essere un’isola all’interno di un contesto, in cui i giovani vanno volentieri perché possono sperimentare qualcosa che non trovano altrove, in termini di attività, rapporto con gli adulti, modalità di incontro con coetanei. L’isola accentua la dimensione di separatezza nei confronti dell’esterno, collocandosi come ambiente alternativo, proprio per colmare qualcosa che nell’esterno manca. U Lo spazio può essere in dialogo con la comunità di appartenenza. Le forme di questo dialogo sono assai varie e sviluppate a livelli diversi di complessità. Il livello di base è la mera informazione e promozione, volta a far sapere che lo spazio esiste e a cercare di spiegare in cosa consiste: alcuni interventi più raffinati permettono di svolgere all’esterno parti di attività o di mostrane i risultati. Un livello successivo è la collaborazione con soggetti esterni, strutturale o episodica che sia. Un livello ulteriore consiste nella possibilità di sviluppare un dialogo tra cultura giovanile presente e sviluppata nel Centro e cultura della comunità. Questo livello ha a che fare tra l’altro con la capacità di interessarsi e di esprimersi su ciò che accade nel proprio territorio, in un’ottica di promozione di cittadinanza attiva. 6. Quotidianità ed eventi speciali Cosa propongono i Centri ai giovani che li frequentano? Nella descrizione delle attività emerge un’intersezione tra la continuità della presenza


quotidiana e la straordinarietà di alcuni eventi, che costituiscono delle occasioni speciali per chi vi prende parte. Naturalmente è possibile immaginare una compresenza di quotidianità ed eventi speciali, ma può essere utile riflettere su come vengono “dosati” questi aspetti, in termini di importanza per la vita del Centro e di energie spese nel realizzarli. Possiamo riconoscere le specifiche funzioni di entrambi: U La quotidianità segnala la progressiva evoluzione della relazione educativa, che non procede a sbalzi ma ha un proprio ciclo di vita, che comprende anche difficoltà e battute d’arresto. Secondo questa prospettiva l’operatore del Centro attraverso la continuità di relazione accompagna la crescita del giovane. Sempre in termini processuali va letta la possibilità di costruire le iniziative con i ragazzi: solo nella quotidianità possono sperimentare da protagonisti i passaggi che portano a definire e realizzare qualcosa. U Gli eventi possono avere una grande forza attrattiva, soprattutto per quei giovani che non cercano l’esperienza stabile dello “stare”, ma sono maggiormente stimolati da iniziative mirate. Sono occasioni più visibili, capaci di toccare direttamente anche chi non sta abitualmente nel Centro: quindi possono interpellare con più forza il territorio. L’eccezionalità di queste iniziative sollecita alcune dimensioni creative ed espressive che a volte nella quotidianità restano sullo sfondo e non riescono ad emergere. 7. Il target: tra flessibilità e scelta Questo tema appare non solo centrale, ma anche di grande impatto emotivo, perché va a toccare profondamente le aspettative degli operatori nei confronti del proprio ruolo, del senso e delle possibilità del proprio lavoro. Potremmo dire che tutto gira attorno al tema del “dare possibilità”: non predefinire il target traduce l’idea di un’accoglienza che consente di “dare possibilità” a tutti; oppure la scelta del target, basilare per costruire setting e interventi mirati, consente di “dare possibilità” reali, effettive e non generiche. Ma vediamo meglio: U Il target flessibile richiama l’idea di un Centro come luogo aperto a tutti, che non intende caratterizzarsi in senso preferenziale verso alcuni giovani piuttosto che altri. Si pensa a un luogo aperto in cui possono e hanno voglia di convivere più generazioni, più provenienze culturali e sociali, potenzialmente tutte: l’animatore vuole costruire un contesto in cui si possano tessere legami tra soggetti anche molto diversi tra loro.


U Selezionare il target non è ritenuto antitetico all’accoglienza: la scelta non avviene certo per escludere, ma per poter includere efficacemente, per vari motivi. L’apertura totale non permette, in concreto, un lavoro efficace. Perché un Centro che non si caratterizza e rimane “né carne né pesce” non è in grado di attirare i giovani; perché linguaggi, interessi, modi di fare e pensare dei giovani cambiano rapidamente e per restare al passo con essi è necessario focalizzare l’attenzione; perché i Centri stessi, spesso incerti nel definire la propria identità, hanno bisogno di scegliere per dire cosa vogliono essere e cosa vogliono proporre. 8. Agio e disagio Questo tema è chiaramente in continuità con il precedente e va a toccare in una certa misura un’altra delle distinzioni più volte citate nei colloqui: il Centro si occupa di culturale, di sociale, di entrambi? In questo caso la definizione di confini è piuttosto complicata: il termine “disagio” viene frequentemente associato all’età adolescenziale, di fatto rendendone nebuloso il significato. Ampliando notevolmente l’estensione semantica del termine, occuparsi di adolescenti significherebbe quasi automaticamente occuparsi di disagio. D’altra parte un’accezione restrittiva del termine ne restringe la portata a “disagio conclamato”. Raccogliamo qualche spunto: U Qualche operatore avverte la necessità di “farsi carico di tutto”: il Centro è a disposizione di qualsiasi giovane, per cui possono arrivare (ed essere accolte) le richieste più diverse. Una lettura connessa a questa vede il Centro come osservatorio che permette di entrare in contatto e di conoscere con i giovani: i contatti con altri enti specializzati consentirebbero di trattare le esigenze emergenti grazie alla funzione di osservazione (e di presenza sul territorio) non direttamente, ma attraverso la collaborazione con altri enti presenti sul territorio. U Per alcuni, semplicemente, i Centri non hanno gli strumenti per trattare il disagio: il lavoro su di esso non rientra nella loro specificità, ma in quella di altri servizi. I Centri possono entrare in contatto con alcune forme di disagio portate da adolescenti e giovani, ma ciò che possono offrire ha a che fare con dimensioni aggregative, espressive, di promozione delle capacità e della cultura dei giovani, non con aspetti dichiaratamente o velatamente terapeutici.


9. Chi è al Centro: ragazzi nuovi o già presenti Che tipo di “ricambio” esiste all’interno dei Centri? I racconti fatti parlano di alcuni ragazzi che frequentano per periodi molto lunghi, che restano legati alla struttura e agli operatori, ma anche della necessità di contattare nuovi giovani, di formare nuovi gruppi che andranno ad abitare il Centro. Si tratta certamente di esigenze compresenti; resta da interrogarsi su dove sia rivolto prioritariamente lo sguardo degli animatori, se sul consolidare il lavoro con chi già c’è o sullo sviluppare possibilità che facilitino i nuovi arrivi. U Il tentativo di contattare altri giovani richiama un’idea di dinamismo, di Centro che non vuole restarsene fermo sull’acquisito ma prova ad evolvere, ad aprirsi maggiormente al territorio. La presenza costante di alcuni ha per certi versi un effetto rassicurante, perché fa sentire il Centro abitato e garantisce stabilità: ma ha in sé la trappola del “tenere lì” i ragazzi senza costruire una prospettiva di loro uscita dal Centro, una volta che esso paia aver esaurito le proprie funzioni nei confronti di chi ha realizzato lì dentro un proprio percorso. U La cura del lavoro con chi già c’è richiama soprattutto la possibilità di una programmazione mirata e condivisa con i ragazzi, basata su una conoscenza sviluppata nel contatto quotidiano e sulla costruzione dell’abitudine a realizzare qualcosa (o semplicemente a stare) insieme; la continuità di relazione è percepita infatti come funzionale al lavoro con adolescenti e giovani, soprattutto in vista di un percorso graduale, che porta progressivamente verso obiettivi più elevati. 10. Un luogo, più luoghi Possiamo intendere questa variabile in relazione a quanto detto più in alto sul rapporto con il territorio. Il Centro è chiaramente caratterizzato da una propria struttura fisica, ben riconoscibile: in questo senso, esso rappresenta evidentemente un luogo specifico e delimitato. La questione che si apre è relativa a quanto esso tenda restare “singolo luogo”, cioè posto speciale con proprie caratteristiche, oppure cerchi di essere un progetto che si muove su più luoghi all’interno del territorio, coordinati tra loro. Questa opzione è ritenuta diffusamente preferibile dagli operatori, ma occorre chiedersi quanto si riesca a realizzarla concretamente, analizzandone punti di forza e nodi critici: U Il luogo singolo rappresenta il punto di riferimento nel quale i giovani


sanno di poter incontrare sempre gli operatori, sanno che potranno esserci delle attività, sanno probabilmente di trovare un gruppo stabile. In questo senso il luogo singolo è pertinente a quell’esigenza di una “seconda casa” di cui si è parlato sopra. Il luogo singolo è anche più controllabile e modificabile da parte di chi sta lì dentro, quindi non solo i ragazzi ma anche (e soprattutto) gli animatori, che hanno la possibilità di caratterizzarlo e ridefinirlo in base alle proprie esigenze e preferenze. U Più luoghi significa, potenzialmente, maggiori possibilità, perché posti diversi possono fornire strutture e strumenti differenti e mirati. Non solo, più luoghi significa anche apertura al territorio e collaborazione con altri soggetti: si tratta di aspetti che fanno propendere gli operatori ad accordare in genere la propria preferenza a questa soluzione. Ma più luoghi significa anche necessità di costruire legami con altri soggetti, co-progettazione con loro, impegno a confrontare e discutere le proprie specificità, rinuncia a un controllo ampio sullo spazio e su ciò che si realizza in esso: un lavoro ulteriore che porta al di là della gestione del proprio spazio.


Identità e senso dei centri di aggregazione La funzione di questo documento è quella di costruire un quadro di riferimento condiviso per coloro che lavorano nei Centri di Aggregazione che parta sì da buone prassi condivise, ma che sappia anche individuare linee di miglioramento e di sviluppo che abbiano valore normativo rispetto alla definizione dell’identità e del significato del Centro di Aggregazione (da ora CAg) come proposta formativa delle nuove generazioni. La questione che proviamo ad affrontare, quindi, è quella di capire cosa sia un centro e cosa non lo sia. Nel percorso realizzato con gli operatori delle cooperative che gestiscono tali CAg, abbiamo visto che non basta uno spazio fisico a definire il centro di aggregazione. Abbiamo anche condiviso che gli elementi più visibili del setting educativo (gli spazi, i tempi, le regole) non caratterizzano in modo omogeneo le esperienze di CAg. Proviamo allora evidenziare quelli che a nostro parere sono alcuni aspetti di presupposto e di metodo caratterizzanti, gli elementi costitutivi del dispositivo formativo “Centro di Aggregazione”. L’educazione alla scelta in un contesto di libera scelta Al Centro si accede spontaneamente con una domanda che è fondamentalmente di aggregazione, di svago, di divertimento e di liberazione dalle attività del tempo occupato (scuola, lavoro) ma anche di ricerca di relazioni con gli adulti diverse da quelle esperite nella quotidianità (genitori, insegnanti, capi, responsabili..). Spesso quindi i centri sono luoghi dove è possibile il libero accesso, dove non c’è selezione preventiva. Gli animatori hanno a che fare con ragazzi che possono autonomamente scegliere di frequentarlo e di partecipare alle sue attività, così come di smettere di farlo. Questo caratteristica del dispositivo però non può essere fine a sé stessa. La libera frequentazione del centro è il terreno sul quale si può e si deve attivare l’ intenzionalità educativa dell’operatore. La flessibilità del setting risponde al problema del primo aggancio aprendo però a una relazione all’interno della quale l’obiettivo ineludibile è la costruzione della “scelta” consapevole del centro. Lo spazio di libera scelta non significa assenza di regole e di responsabilità. Ai ragazzi devono essere proposte e richieste assunzioni di responsabilità e rispetto degli impegni presi.


Ovviamente non è semplice, perché il livello di maturità dei ragazzi non sempre permette di stipulare e soprattutto di rispettare un vero e proprio patto, perché spesso non sono in condizioni di operare una libera scelta, non abituati a volte, o perché non hanno ancora operato consapevolmente una scelta davvero soggettiva. Il Centro di aggregazione raccoglie, comunque, la sfida di proporre, indirettamente, un percorso di educazione alla scelta, proprio a partire dalle modalità di frequentazione del centro stesso. L’ampliamento dell’esperienza di socialità La flessibilità del setting, dell’impiego dei suoi spazi, della caratterizzazione delle sue attività risponde anche ad un’altra condizione costitutiva di un Centro: operare sul campo della socialità e dell’aggregazione. E nulla più della socialità ha bisogno, per essere autentica e significativa, di avere un contesto fluido, disponibile al cambiamento, adattabile alle risorse più creative, e quindi non troppo condizionato da vincoli istituzionali e burocratici e, soprattutto, non irregimentato in un ambiente completamente strutturato e predeterminato. La socialità, i suoi stili, le sue modalità, i suoi pretesti e contenuti, rappresentano la materialità educativa, di un Centro, la sua ragione sociale, il terreno sui cui attivarsi. Ma lavorare con i ragazzi su questo oggetto significa porsi l’obiettivo di ampliare le loro rappresentazioni in merito, consentire un allargamento del loro campo di esperienza, aiutarli a significare anche in modo critico le modalità solite di concepire lo stare insieme e il costruire relazioni. In questa prospettiva da una parte c’è una spinta ad accettare e a riconoscere i codici che contraddistinguono i diversi modelli di socialità di ogni ragazzo, dall’altra a metterne in crisi l’aspetto della routine, della fruizione passiva e acritica. L’animatore si rapporta allora sia come facilitatore della libera e attiva espressione delle iniziali proposte di aggregazione dei ragazzi, sia come mediatore delle differenze in termini di gusti, interessi e linguaggi che spesso caratterizzano i frequentanti. Ma l’animatore ha anche il compito di proporre modalità altre di socializzare, magari non prese in considerazione, oppure semplicemente non praticate da chi spesso è comunque abituato ad una socialità tutta da consumare, da fruire come cliente: propone di auto-produrre, di costruire


occasioni di aggregazione, di fare oltre che di stare insieme, di progettare oltre che pensare al qui ed ora, di aprire ad altri oltre che fare riferimento a sé e ai propri gusti, e propone questo come il terreno dove rimettere in gioco i propri modelli. Tra singoli, gruppi e gruppo Nel Centro di aggregazione trovano spazio le iniziative di ampia aggregazione, le attività di piccolo o di grande gruppo. E’ lo spazio rivolto ai gruppi, che in esso si formano, si sciolgono e si ricostruiscono, ma è anche il luogo in cui si cerca di ritagliare e dedicare, in termini di attenzione e di ascolto, per il singolo. Compito del centro è gestire la sfida della convivenza tra gruppi diversi, la rielaborazione della logica di appropriazione, il superamento delle difese tribali del territorio e l’esigenza di condividere l’esperienza in un gruppo comune e differenziato. Il centro accoglie i gruppi informali, ne rispetta l’autonomia, riconoscendo l’iniziale ed inevitabile refrattarietà all’intrusione di figure adulte regolative. L’animatore si presenta al gruppo come garante della struttura, presenza non intrusiva disposta ad attendere segnali di disponibilità o di semplice curiosità. Ma il centro tende anche a sparigliare le situazioni più cristallizzate, per esempio proponendo la costituzione di un gruppo più formale, con una composizione trasversale, con il compito di co-gestire e co-programmare le attività e le forme di convivenza interne. D’altronde la costituzione di una nuova soggettività sociale attraverso lo scambio culturale è una tappa obbligata del metodo dell’animazione socio-culturale. Il gruppo è uno strumento privilegiato di animazione solo se non rimane sistema relazionale, ma diventa un crogiolo di senso, un luogo di costruzione di significati e interpretazione di sè e della realtà. L’animazione e il centro animativo sono visti come strumento per cambiare, che consente al singolo di crescere nel e per il gruppo di appartenenza, facendolo crescere a sua volta. Il centro come esperienza di progettualità e di impegno Un altro elemento costitutivo del dispositivo pedagogico “centro di aggregazione” è la progettualità. La costruzione della capacità di agire progettualmente, direbbe il pedagogista Mario Pollo. Il metodo dell’animazione si fonda sulla capacità di far vivere esperienze in cui, in modo rigoroso, a


partire da bisogni e interessi, interni al gruppo o presenti nella comunità, si elaborano dei progetti, si avviano delle azioni per realizzarli e si valutano i risultati raggiunti. Progetti e azioni in cui tutti i membri del gruppo, possono sperimentare, anche se in misura differenziata, un adeguato protagonismo. Gli animatori hanno il compito d’introdurre i ragazzi al tempo del progetto, procedendo dalla rilevazione delle idee, delle proposte, delle risorse e dei mezzi in campo, prefigurando i percorsi possibili per la realizzazione di eventi, situazioni, attività. Un progetto che può essere facile e abbastanza immediato nel passaggio dall’ideazione all’esecuzione (l’organizzazione di un torneo o di una festa), oppure che può implicare un forte investimento e soprattutto il differimento nel tempo della sua realizzazione (Per es. l’allestimento di una sala prove per i gruppi musicali del territorio). In entrambi i casi un progetto da condividere con altri, partecipando ad un gruppo in quanto gruppo di lavoro che dispensa incarichi, si pone obiettivi, valuta i mezzi a disposizione, sperimenta e verifica i risultati ottenuti. I pretesti ovviamente possono essere tanti per avviare una negoziazione e sperimentare un progetto. L’importante è l’accompagnare i ragazzi nella scoperta che il proprio tempo libero può diventare un tempo impegnato: impegnato nel costruire le condizioni del proprio divertimento (seguendo i preparativi per una festa), nel misurarsi con un interesse (frequentando un corso o un laboratorio), nella partecipazione ad un gioco, impegnato nel pensare oltre che nel fare. Impegnato magari inizialmente su se stessi, sul proprio specifico interesse da realizzare, ma che può anche diventare impegnato per e con gli altri, per realizzare interessi comuni. La progettazione naturalmente deve prevedere anche momenti di valutazione del processo e dei risultati dell’azione del gruppo di animazione che vedano il coinvolgimento attivo dei membri del gruppo. Questa attività apre alla ricerca di nuovi significati nella realtà dell’azione e, quindi, a sperimentare come la diversa lettura e combinazione degli elementi presenti nella realtà del gruppo e del contesto in cui è situato possono produrre una nuova realtà culturale, innovativa e creativa. La partecipazione dei ragazzi. Di cosa parliamo? I ragazzi sono fruitori o protagonisti? Sono partecipi in quanto sono pre-


senti o partecipi in quanto decidono? Chi decide e come si decide nei Centri? Dal nostro punto di vista la partecipazione deve costituire prassi reale nei centri. La partecipazione è conditio sine qua non di realizzazione e attuazione della democrazia. Con il termine democrazia non intendiamo “solo” il governo della maggioranza ma lo spazio di negoziazione e decisione in cui i bisogni individuali sono tradotti in bisogni e impegni collettivi a tutti i livelli della vita sociale, dal Centro di aggregazione al Parlamento. La partecipazione democratica, quindi, non si traduce nel voto ma definisce il processo con cui si confrontano le opinioni, si identificano i bisogni, si definiscono le priorità all’interno di gruppi, comunità e società. La democrazia è il fine e la partecipazione il metodo. Il Centro di aggregazione è luogo di partecipazione perché è uno spazio tempo in cui ci si esercita a partecipare, cioè a “ fare” la propria parte nella costruzione dell’evento collettivo. Il Centro è un luogo dove, per utilizzare la metafora teatrale, vengono messe in scena diverse piéce che vanno a costruire un testo in cui è proiettata e rappresentata, tradotta l’aggregazione giovanile in città così come se la vivono alcuni giovani che hanno scelto come palcoscenico quello del Centro. La partecipazione costituisce, dal nostro punto di vista, il nome del compito primario dell’esperienza del Centro. E questo è il significato profondo del termine “socialità”: la qualità/capacità di costruire la propria vicenda personale insieme agli altri e di contribuire alla costruzione della vicenda altrui e comune. Per l’animatore si pone allora la questione di quali strategie utilizzare per favorire e consentire la partecipazione, ma anche come accompagnarla e in qualche modo “condurla” affinchè sia effettiva partecipazione di tutti. Il centro come luogo di elaborazione culturale da parte delle giovani generazioni La questione qui posta al centro richiama la finalità complessiva dell’esperienza educativa: la presa di coscienza di sé dentro la presa di coscienza del proprio ruolo nel mondo finalizzata a contribuire alla costruzione della società, della comunità locale in cui si è inseriti. Quindi il processo educativo non è finalizzato solo al rafforzamento delle competenze individuali, tensione collusiva rispetto al brodo culturale in cui si è inseriti, ma, credendo nella struttura relazionale e sociale della per-


sona, promuove il cambiamento personale insieme e attraverso il cambiamento sociale, nel piccolo gruppo. Risulta così molto importante partire dalle esperienze vissute per fondare una ricerca che aiuti a scoprire nuovi significati presenti nella realtà dell’azione e, quindi, a sperimentare come la diversa lettura e combinazione degli elementi presenti nella realtà possono produrre nuovi sguardi sul mondo. In questa azione è molto importante il dialogo, la possibilità di comunicare ed essere ascoltati ed accolti, ma anche la possibilità di essere provocati a pensare, messi in discussione rispetto alle prassi abituali, essere sollecitati da situazioni perturbanti, essere messi in condizione di attraversare esperienze che aprano a nuove prospettive per poter raccontare di quale sguardo siano portatori i giovani formatisi nel grande laboratorio della loro esistenza a particolari sensibilità. In questo modo pensiamo che si possa accompagnare a produrre cultura e contribuire a creare una cultura nuova. Qui il richiamo quindi è alla importanza di produrre cultura attraverso lo scambio fra le culture particolari che le diverse generazioni sono in grado di elaborare. Che consiste nel costruire significati condivisi attorno alla propria esperienza. Questo permette di non sentirsi passivi all’interno della vicenda del mondo, ma capaci di affermare il proprio contributo specifico Questo aspetto riguarda la capacità presente e da promuovere ulteriormente di costruire contesti in cui le persone possano dedicare del tempo alla rilettura di ciò che hanno vissuto e di ciò che hanno realizzato per poter verificare e riprogettare se stessi, la propria storia, la propria azione. Essere nodo della rete: il centro come laboratorio di cittadinanza Il Centro oltre a porsi come luogo di protagonismo, di espressione e di valorizzazione delle potenzialità insite nei singoli e nei gruppi, è e deve essere un «laboratorio di cittadinanza», di iniziazione sociale, di mediazione tra mondo giovanile e mondo adulto, di attivazione di sperimentazioni e iniziative tese a promuovere e a stimolare l’imprenditorialità e la partecipazione dei giovani alla vita della città, il senso di responsabilità civile e la capacità di scelte critiche, l’apertura al contesto sociale, l’educazione al concreto impegno, la cooperazione e la solidarietà, la disponibilità all’accoglienza, l’astensione dalla discriminazione, al fine di costruire quel


senso di appartenenza che è condizione essenziale per ogni processo di inserimento nel tessuto sociale, riducendo i fattori di rischio e di disagio sociale. La questione è quella di evitare con i fatti l’autoreferenzialità. Il centro deve poter dire qualcosa su di sé e su ciò che significa (il centro può essere visto come una risposta della preoccupazione del mondo adulto di “assegnare un posto ai giovani”, ma questo cosa significa?). Si pone qui il tema della rete e della comunicazione con altri soggetti istituzionali e non nella ricerca di collaborazioni e di occasione per potersi misurare e farsi riconoscere: di quale reti ci facciamo promotori? Che ruolo ha la rete nella vita del centro? Ma si pone soprattutto il tema della relazione con il contesto cittadino (o paesano) nel suo complesso: fa parte del suo progetto il generare iniziative sul territorio, riprodurre partecipazione e formare soggetti protagonisti non solo della gestione del centro stesso ma della vita del proprio territorio. Queste intenzioni si concretizzano aprendo le porte del centro ad altri destinatari, rendendolo, per alcuni momenti, uno spazio fruibile anche per gli adulti, o creando iniziative che coinvolgano, che sensibilizzino, che creino occasioni di incontro e confronto.









CAP. 4. ELEMENTI PER LA PROGETTAZIONE DI UNO SPAZIO PER I GIOVANI In ogni Comune molto spesso esistono strutture, luoghi e spazi che con una serie di interventi possono assumere una funzione di centro aggregativo giovanile. Si pensi ad esempio a spazi pubblici dismessi (scuole dismesse, centri sportivi da rinnovare, piccoli skate park, ex Ipab, parchi, chioschi, ecc.) piuttosto che beni oggetti di fallimento o confisca, o ancora strutture di cooperative e società operaie. Tutti questi spazi, potenzialmente, si possono trasformare in un “luogo” con un forte potenziale capacità di attrazione giovanile. Queste stesse finalità possono potenzialmente essere ritradotte in un Centro giovanile di animazione socioculturale. Il Centro giovanile di animazione socioculturale è uno spazio aperto, frequentato prevalentemente da giovani dai 14 ai 25 anni, che lì trascorrono una parte del loro tempo libero. È un luogo (in contrapposizione ai “non luoghi”, dove l’aspetto relazione non è certo privilegiato…) che nasce per rispondere ai bisogni dei giovani legati alla possibilità di incontrare i coetanei, socializzare e svolgere delle attività che soddisfino le aspettative creative e ricreative di ognuno, confrontarsi (anche con il mondo adulto) e partecipare attivamente alla vita della città, oltre a poter contare su strumenti/attività/strutture/proposte che favoriscono l’espressione di sé, l’acquisizione di competenze, l’assunzione di responsabilità e di un ruolo sociale nell’ambito della propria comunità. I Centri giovanili hanno una struttura flessibile ed adattabile per favorire l’accesso ad attività formative e culturali quali la musica, il teatro, il cinema, la danza, la pittura, il disegno e le attività manuali ed espressive, i nuovi sport, la multimedialità, la comunicazione, l’informazione ed i media. A garantire tutto ciò, nel centro operano uno o più animatore/animatrici (e/o coordinatore/ coordinatrice) per favorire lo sviluppo di questi percorsi con i ragazzi, che siano attenti al compito (il prodotto, es. una rassegna di band), che alle relazioni che si sviluppano tra gli adolescenti. Le attività ricreative, culturali e formative che i ragazzi propongono, possono essere rivolte a tutta la comunità: compito dell’animazione è infatti avvicinare e costruire ponti tra mondi che rischiano di essere separati.


La presenza di una equipe di animatori non esclude la possibilità che i ragazzi stessi diano vita ad esperienze di autogestione in un ottica di assunzione progressiva di responsabilità. Il Centro giovanile di animazione socioculturale è uno spazio che: -propone attività a tutti i giovani (non connotandosi per un target particolare); - opera su un orizzonte di normalità e quotidianità, intrecciando ordinario e straordinario (l’evento, la festa, con l’incontro quotidiano, la performance con il corso e le prove, ecc); - la finalità è di tipo aggregativa/partecipativa legata allo sviluppo del protagonismo e della cittadinanza attiva; - lo sguardo al mondo giovanile è quello di una scommessa sulle potenzialità e risorse degli adolescenti, che devono accettare di mettersi in gioco e valorizzare i propri talenti; - non è prevista un’iscrizione al Centro, ma nel suo interno vi sono regole chiare di comportamento, garantendo anche una funzione educativa; - la titolarità del progetto è del Privato sociale sostenuta dal Pubblico, in un ottica si sussidiarietà orizzontale prevista dall’art. 118 della Costituzione; - la progettazione viene fatta con l’organizzazione che si occupa della gestione, la programmazione coinvolge anche i ragazzi in modo attivo; - la comunità entrerà in relazione con il Centro, a partire dalle proposte che il Centro offre (es. festa, concerto, incontro, cinema, video, ecc), per offrire anche le proprie disponibilità/risorse o essere portatrice di “questioni”. Alcuni esempi di attività, strumenti e strutture che vi possono essere in un Centro giovanile: concerti, spettacoli teatrali, incontri e seminari, gite/viaggi guidati, scambi all’estero e/o in Italia, laboratori artistico-creativi, postazioni per la navigazione, laboratori di radio, fotografia, video, cooperazione internazionale, software libero, web design, autocostruzione, centro famiglie, incontri a tema, feste, calcetti, ping pong, giochi di società, street cacio e street basket, arrampicata sportiva, skate park, proiezioni cinema e video (sala per cinema digitale), musica, teatro, internet point, wi-fi, bar e piccola cucina, campi di calcio a 5, pallavolo, basket, sala dj, sala prove, studio di registrazione, palco e spazio teatri/concerti anche al chiuso, bar (o equo bar o local bar o bio bar), feste e cene, banchetti (anche per compleanni, battesimi e varie ricorrenze), spazio concerti e dj set, sala lettura, altri spazi


in cui è possibile fare formazione (o affittarli su richiesta), ospitalità (es. piccola foresteria/ostello), dolce far niente, colloquio con animatori, ecc ecc ... Infine uno spazio come questo potrebbe vedere annesso anche un Ostello della Gioventù. In ogni caso, tutto quello che riguarda le strutture, va definito in fase di progettazione, mentre attività, orari di apertura, ruoli e compiti del gruppo di lavoro si possono stabilire anche sperimentando e procedendo per fasi. Elementi da considerare in fase progettazione

IPOTESI GESTIONALI E RIFLESSIONI DI SENSO: Gli spazi giovanili L’esperienza di anni del lavoro con i giovani delle istituzioni mantovane e del Terzo settore locale, dice che in questo periodo i giovani non cercano servizi, non frequentano molti le istituzioni, non domandano esplicitamente ai loro assessori di partecipare attivamente alla vita politica, ma sembrano guardino altrove. Si è rilevato (sia da ricerche sociali che dall’esperienza diretta) che questo “altrove” sono sia luoghi virtuali (che loro realmente abitano, mentre gli adulti al massimo utilizzano), sia luoghi fisici. I giovani chiedono luo-


ghi e quando vengono messi a loro disposizione (se hanno alcune precise caratteristiche) dimostrano di saperli abitare e di essere interessati alle attività che lì si svolgono. Da qui l’ipotesi di promuovere questi spazi, intesi quale strumento per rispondere “qui e ora” – nel migliore dei modi – alla richiesta di aggregazione, socialità, produzione culturale, capacità espressive nei diversi linguaggi che i ragazzi esprimono. Spazi che possono avere caratteristiche diverse, a secondo del target e degli obiettivi che si individuano in fase di progettazione. È strategico però che su un territorio, i luoghi esistenti per i giovani, quelli che verranno costruiti e le varie “sperimentazioni” possano procedere in rete, in modo da costruire relazioni, utilità sociale, oltre che confrontarsi costantemente sulle pratiche del lavoro sociale. Oggi infatti per i cosiddetti “ragazzi normali”, quelli che hanno voglia di “fare qualcosa di positivo” per la loro città (es. musica, aggregazione, gioco, sport, cinema, mostre, arti digitali, writing, teatro, video, fotografia, comunicazione, editing, memoria locale, ecc.), spesso è difficile trovare spazi, attrezzature, strumenti, risorse per poterlo fare. Sembra infatti che solo nel momento in cui un giovane venga percepito come “problema sociale”, le istituzioni se ne facciano carico, ma per la quasi totalità dei ragazzi non ci sia proprio nulla. Basta fare mente locale e chiedersi cosa offrano i Comuni per i loro giovani.1 L’idea L’idea è di promuovere uno spazio polifunzionale in grado di offrire più attrezzature/servizi/attività quali “strumenti” per rispondere alle attuali esigenze, necessità, bisogni del mondo giovanile. Luoghi (al posto di “non luoghi”) destinati a più target di giovani, con forte capacità attrattiva, riconoscibili dai ragazzi, a loro rivolti, facilmente fruibili, stimolanti e con la disponibilità di attrezzature per permettere loro di produrre cultura, di esprimersi attraverso i loro modi e linguaggi. Abitati da giovani-adulti (con ruoli di educatore, animatore, piuttosto che barista, organizzatore di eventi o pr, ecc.) che comunque abbiano responsabilità educative nei loro confronti e verso lo spazio. Da qui l’idea di adeguare strutture e spazi per 1 In Lombardia, i Comuni della provincia di Milano destinano mediamente lo 0,3% delle uscite correnti dei loro bilanci! Una cifra ridicola, se confrontata con i dati europei che vanno dall’1,5% al 2,25%. Ciò indica che senza un minimo di quantità, non ci può essere qualità nella progettazione per i giovani. [R. Grassi: “Esperienze di politiche giovanili in provincia di Milano”, Iard Rps, ottobre ‘09].


offrire spazi di socializzazione ed accesso a strumenti per la produzione culturale ed alla partecipazione attiva. L’idea è che questi spazi fungano da polo di aggregazione tra quei giovani che hanno passioni artistiche culturali, propensione al volontariato ed all’impegno civile, o che hanno già intrapreso percorsi formativi legati alle dimensioni artistico/espressive/comunicative. Ma questi spazi possono diventare interessanti e capaci di coinvolgere altre realtà associative presenti sul territorio che si occupano di questi stessi temi. A seconda del progetto o delle azioni, lo spazio può caratterizzarsi secondo due polarità: essere più un luogo dell’aggregazione per una fascia adolescenziale (13/18 anni), dove il ritrovarsi, giocare e stare insieme sono le dimensioni più importanti, oppure connotarsi come un centro di “produzione cultural giovanile”, dove musica, incontri, mostre, cinema, eventi ecc sono le dimensioni più centrali. In quest’ultimo caso, si tratta di un progetto che guarda ai giovani come soggetti attivi della produzione culturale locale proponendosi di coniugare le politiche culturali per i giovani con quelle per il lavoro e dell’imprenditoria, declinandole a livello locale, in maniera tale da divenire anche fattore di sviluppo locale e da garantire più opportunità alla partecipazione attiva anche alla vita dello spazio stesso e della città. Per tutto ciò, è evidente che questo nuovo spazio assumerebbe in città un ruolo sociale unico e chiaro. Inoltre, potrebbe anche creare anche un ponte fra le generazioni, mettendo a disposizione fin da subito competenze e reti di relazione per l’avvio di prime sperimentazioni produttive, sia per il territorio, che per altri giovani. Inoltre questo spazio potrebbe diventare anche una mostra permanente con i lavori dei giovani, in modo che questi “prodotti” abbiano la possibilità di un costante confronto con il mercato. Infine sarebbe un nodo di una rete di cooperazione tra spazi per i giovani già presenti sul territorio, costituendo un nodo di una possibile rete locale di spazi giovanili. Il centro di aggregazione (prima ipotesi) guarda al mondo adolescenziale come ad una parte di cittadini che ha diritto ad avere uno spazio ad hoc, per la loro quotidianità, da abitare nei modi e nei tempi che lo vorranno. Di conseguenza ipotizza uno spazi più legato a dimensioni del tempo libero e dello svago, da cui però possono nascere proposte accattiva menti di impegno, partecipazione e cittadinanza attiva a livello locale. Questi centri di aggregazione dispongono di strutture base di sale prove e palco,


internet e pc, piuttosto che di videogames ed altri giochi. Il bar è previsto generalmente solo per un uso interno ed ha una dimensione più familiare. Vi è generalmente un regolamento che stabilisce le norme d’accesso e d’uso dei locali. Il personale che vi lavora (educatori/animatori) è professionale (non volontario) e l’investimento è a carico degli Enti locali. L’orario di apertura è diurno, se non con qualche eccezione, che può prevedere l’autogestione in caso di serate ad hoc e feste. La quotidianità è spesso rappresentata da un gruppo di adolescenti (10/25 persone, come dato medio nazionale), che aumentano in specifici eventi. Tra questa “doppia polarità” del centro di aggregazione e quello di produzione, possono esserci diverse forme ibride, così come vi sono esperienze innovative ed interessanti di spazi che si connotano come centri di produzione, ma che hanno proposte, spazi, tempi, proposte e modalità ad hoc per il target più adolescenziale, risultando sperimentazioni più vantaggiose, economiche e a più alta efficacia, soprattutto in Comuni di dimensioni contenute. Di seguito si descrive proprio questa formula di spazio. Le finalità di uno spazio di aggregazione e produzione giovanile Le finalità di questo progetto (da tutto quanto descritto prima) possono essere riassunte in quattro parole chiave (o tags) e cioè: 1. aggregazione, 2. creatività, 3. rete, 4. nuovi lavori. Per concretizzare questo impianto progettuale, sono necessarie alcune strutture. Una prima ipotesi è di poter contare su uno spazio di medie dimensioni con bar e piccola cucina, quello che diventerà un “open space” dell’aggregazione quotidiana. In questo spazio, le strutture correlate possono essere un palco ed un impianto audio e luci, e (ipotesi) anche uno schermo e proiettore HD per il cinema digitale d’essay. Rispetto ai concerti dal vivo, di dimensione contenuta, si può pensare ad un impianto che privilegi la qualità del suono, piuttosto che la sua potenza. Intorno a questo grande “open space” dell’aggregazione giovanile, dovranno esserci spazi più piccoli, ma dedicati a laboratori per altre produzioni: infatti, oltre a cinema e musica, potrebbero trovare casa anche pic-


cole performance teatrali e tanta tecnologia per creare delle web radio e tv. Oltre al fatto di poter disporre di attrezzature e strumenti per i vari laboratori (es. fumetti, fotografia, video, ecc.) ed in particolare tavoli, sedie e scrivanie, sale prove, studio di registrazione e sala montaggio. In tutti questi spazi sarà possibile per i giovani connettersi alla rete internet con i loro portatili, grazie alla tecnologia wireless. Dal punto di vista dell’adeguamento degli spazi, è necessaria un’operazione di re-styling all’interno e di comunicazione all’esterno, in modo da connotare anche visibilmente (ed immediatamente) questo luogo come quello di uno spazio destinato all’aggregazione giovanile ed alle attività rivolte a target specifici di giovani (musicisti, internauti, skaters, writers, appassionati di cinema, libri, ecc). Una prima operazione da fare è quella di “dare un nome” allo spazio e poi cominciare l’azione promozionale in vista dell’apertura, comunicando sempre lo stato in progress dei lavori. Ciò permette già di costruire una rete di contatti ed alleanze locali, ancora prima che lo spazio sia aperto, con i conseguenti vantaggi. In questo luogo, una questione a sé è sempre quella legata all’esterno, il cortile: è necessario valutare se – oltre a prevedere una serie di attrezzature per incontri e concerti (open bar, palco, impianto audio, luci, schermo, piantane, sedie e vela – si vorrà riservare uno spazio (anche piccolo) al gioco. Si pensi alla potenza aggregativa dei campi di calcetto, piuttosto che oggi ad un piccolo skate park. La vocazione turistico, commerciale, artistico culturale, piuttosto che agricola produttiva di un territorio può essere ripresa anche in questo progetto, influenzando positivamente la dimensione creativa, anche con l’obiettivo di creare nuovi lavori, professionalità, innovazione ed imprese. Andando a caratterizzare questi spazi per una dimensione di impegno e di creatività, questi stessi luoghi potrebbero essere sede di esposizione delle produzioni che qui si realizzano, per un confronto diretto di vendita al pubblico (il “mercato” delle produzioni artistico-culturali), piuttosto che iniziative più “easy” quali le forme di mercato giovanile, dai libri di testo usati, a quelle dei fumetti, piuttosto che alle iniziative per bambini del tipo “commercianti per un giorno”, oppure anche alle tradizionali “feste di compleanno”. Infine la comunicazione e la promozione. Rispetto alla prima dimensione, va ricordato che ogni spazio pubblico è connotato e, a maggior ragione, lo sono i luoghi di aggregazione giovanile. Affinché l’identità del luogo


sia percepita in linea e coerente con le attese del progetto culturale, è necessario affidarsi ad un consulente, con una professionalità simile all’arredatore di interni ed al comunicatore. Infatti per la promozione vanno pensate sia le forme tradizionali (flayer, insegna, sito web, cartellonistica, supporti diversi), sia formule più innovative e destrutturate. Se l’ipotesi di fondo è che questo sia un luogo di aggregazione e di produzione, è importante che questo spazio generi risorse, attraverso gli eventi, il bar, la ristorazione, i concerti musicali, i mercati, feste e manifestazioni varie (anche private), le vendite durante le mostre, le produzioni di editing, ecc. ma vi possono essere progetti ad hoc quali radio e tv in internet in grado di generare ulteriori interessi e risorse. Non solo: può essere che questo luogo diventi sempre più anche sede per altre associazioni giovani, che quindi possano contribuire con affitti alla copertura dei costi di gestione, piuttosto che di micro imprese giovani che lì utilizzano gli stessi spazi e condividono le stesse attrezzature (si parla di co – working). La stima dell’investimento iniziale prevede due polarità, a seconda delle logiche da adottare e cioè quella di un intervento professionale ed esternalizzato o quella di procedere ad una serie di interventi “in economia” ed a alto contenuto di impegno volontaristico locale. In questo caso, il re-stayling e l’adeguamento con strutture, cucina ed arredi (usati) di uno spazio (o area) di complessivi 200 metri quadrati, con attrezzature tecniche ed adeguamento di alcune aula in laboratori e sale prove, potrebbe attestarsi attorno ai 65.000 euro (v. MeltinPOP, anno 2010). Invece lo stesso intervento affidato professionalmente all’esterno, può richiedere un investimento di 250.000 euro. Tra queste due polarità, sono sempre possibili soluzioni intermedie. Nel budget degli investimenti, si stima un ammortamento di 20.000 euro/ anno per le attrezzature ed arredi e di altrettanti 20.000 euro per la realizzazione dei campi di calcetto. L’ipotesi è che nei primi tre anni di gestione, si possa infatti arrivare alla copertura delle risorse anticipate per le strutture funzionali alla gestione. Se invece vi fosse un contributo esterno (Pubblico o ad esempio da fondazioni) in grado di far fronte a questi costi, l’ammortamento non è nemmeno più da prevedere, Le ipotesi di gestione ed i budget Se le ipotesi di un nuovo progetto, sono quelle evidenziate in queste pri-


me pagine, la gestione degli spazi deve essere funzionale a queste finalità. Da qui l’idea di un forte re-styling, di un investimento in comunicazione, un nuovo nome, un periodo di “work in progress” (anche per comunicare il nuovo progetto), una inaugurazione ufficiale. Per questi progetti le forme di finanziamento possono essere un mix tra: - contributo pubblico di avvio ed annuale per personale e gestione; - risorse ottenute su specifiche progettualità (es. azioni regionali, provinciali, europee, ministeriali); - bandi di Fondazione bancarie; - eventuali sponsor e/o donatori; - risorse generate dalla gestione delle attività. Rispetto a quest’ultima dimensione, pur essendo alta la variabilità delle diverse situazioni che possono verificarsi, rimane la certezza che sarà l’area “Food & drink” a garantire le entrate maggiori. A seguire (se verranno realizzati) quelle della sale prova, degli eventi e del co-working. Se verrà realizzato un campo di calcio, questa è sicuramente un’area di ricavi molto importante, seconda sola al Food & drink . Dettaglio delle aree del progetto - l'area Food & drink: si può prevedere una piccola cucina a tema (anche a piatto unico) e lounge bar. Nell’open space, si può ipotizzare una media prudenziale per il primo anno di un ricavo da 150 scontrini fiscali al giorno2 (che possono non corrispondere però ad altrettanti avventori) al giorno, per una stima di 600 euro/giorno3, con un aumento del 40% negli anni successivi. - l’area “sale prove e studio di registrazione”. Qui i ricavi diretti sono grazie al prezzo orario delle sale prova e studio, i cui prezzi sono diversi (es. da 10 euro anche a 80/100). Si può ipotizzare una media prudenziale per il primo anno di un ricavo di 15 euro/giorno, con un aumento del 40% negli anni successivi. - l'area degli “eventi periodici”: se la programmazione delle attività prevede eventi open air, questi comportano una eccezionalità sia di ricavi che 2 Si ipotizzano per il primo anno 5 aperture dal mezzogiorno in poi pensate ad hoc per studenti e per i laboratori, più aperitivo. Durante il week end dal pomeriggio fino a notte. Settimanalmente è previsto un solo evento musicale (al sabato sera), e due serate di altre tipologie di eventi culturali. 3 Si ipotizza un margine sui prodotti del 50%.


di costi4; - l'area “co-working”: organizzazioni giovanili formate da persone con interessi, formazione e competenze specifiche. Lì si ritrovano per lavorare (co-working), contribuendo alle spese di gestione, alla programmazione ed organizzazione delle attività, di corsi e laboratori. Per il primo anno, prudenzialmente, non si ipotizzano ricavi; - l’area “sport”: il campo da calcio se viene realizzato, può essere aperto dal pomeriggio fino a notte, per una media prudenziale di due ore al giorno a 50 euro l’ora, per un totale di 100 euro/giorno, che può incrementarsi di un 50% per il secondo e terzo anno di attività, dopo di che si può pensare ad un aumento del prezzo a 60 euro/ora (a partire dal quarto anno). Il budget annuale di gestione Con le ipotesi descritte in precedenza, si può elaborare un budget gestionale di start up del primo anno di attività. Il bilancio annuale a carico di un soggetto gestore degli spazi e delle attività che lì possono prendere piede comprende tutte le ipotesi fin qui presentate. Budget di gestione del primo anno di attività56

Anche negli anni successivi al primo, conviene procedere per ipotesi prudenziali di sviluppo, lasciando invariati (ad esempio fino al terzo anno) i prezzi di sale prova e campo di calcio (passati però da due a tre ore al giorno). Si può ipotizzare invece di aver migliorato l’efficienza della gestione ed avere un margine sul costo dei prodotti della ristorazione del 60% (+ 10%) 4 Si può ipotizzare un evento di dimensioni importanti per ogni mese estivo, quindi quattro, con una adesione media di 800 persone, per ricavi complessivi di 16.000 euro a stagione 5 si ipotizza l’apertura di 300 giorni/anno. 6 Costo dei prodotti, del lavoro, delle utenze. La percentuale dei costi è ricavata dalla Tabelle di settore, vedi Allegato.


Budget di gestione del terzo anno di attività78

La sintesi delle Tabelle precedenti, può essere ripresa dal Grafico sotto, in cui emerge come i ricavi superiori ai costi a partire dal secondo anno, indicando così la sostenibilità del progetto con un punto di pareggio già dopo il terzo anno, nell’ipotesi di un investimento già totalmente ammortizzato.

Una riflessione a parte merita l’andamento del fatturato dell’area “Drink and food”. Se lo spazio giovanile sarà di successo, il numero dei frequentatori crescerà e di conseguenza il fatturato del bar e ristorazione. La crescita quasi esponenziale dei primi tre ani, evidenzia il trend dei locali giovanili di successo, che in pochissimo tempo (quando “prendono piede”) godono di risultati economici importanti. 7 si ipotizza l’apertura di 300 giorni/anno. 8 Costo dei prodotti, del lavoro, delle utenze. La percentuale dei costi è ricavata dalla Tabelle di settore, vedi Allegato.


Il fatturato dell’area “Drink and food”.

Dal punto di vista economico, il progetto,, come detto a partire dal terzo anno, genera risorse sufficienti a coprire ciò che è stato stimato come investimento iniziale alle strutturazione dello spazio. Chiaramente la dimensione centrale è la capacità di garantire una buona gestione dello spazio. La virtuosità è evidente: con questo investimento, già nei primi tre anni le risorse generate superano il milione e centomila euro: si tratta di una leva di 1 a 2,6! Conclusioni. Dopo tutto quanto detto, è possibile elaborare una matrice SWOT delle opportunità e minacce di questo progetto, oltre punti di forza e criticità. L'analisi SWOT (conosciuta appunto anche come Matrice SWOT) è uno strumento di analisi e valutazione (al fine di una pianificazione strategica su obiettivi fissati), usata per valutare i punti di forza (Strengths), debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di un ambiente interno ed esterno in cui si agisce, come organizzazione (o ente), progetto (o singolo).


Allegato: Food & drink. Una stima dei costi Nel settore bar/ristorazione, l’analisi dei costi è determinate rispetto alla sostenibilità dell’attività. Vi sono due principali specifiche categorie di costo: quello fisso (rappresentato in particolare dal lavoro e utenze) e quello variabile (dei prodotti). Nel dettaglio, il costo del personale dipendente, nel commercio è stabilito da i contratti di settore: così, ad uno stipendio di circa 1.000 € mensili corrisponde un esborso dell'azienda di circa 2200€. In più tredicesima in dicembre e quattordicesima in luglio. Il costo del personale tende al patologico quando supera il 35% degli incassi. Il costo di 5 persone full time in un anno è di 154.000 €, che si mantiene sotto il 35% degli incassi preventivati. I costi variabili sono rappresentati di fatto dal costo del cibo. Il dato di par-


tenza per calcolarlo è il cosiddetto food cost, il costo unitario delle preparazioni in menù. Qualche esempio: il costo di un cappuccino è di 0,25 €9, venduto a un euro il food cost è quindi del 25%. Generalmente il food cost medio è intorno al 18 % nel settore caffetteria e può arrivare e superare facilmente al 30% nel settore food. Valutato il food cost di ogni preparazione, va calcolato quello medio in base alle percentuali di vendita ad ogni settore di prodotti. Bisogna infatti fare un’analisi preventivo di cosa comporrà l’incasso, suddiviso almeno nelle macrocategorie di caffetteria, drink, food. Se il preventivo è di incassare 450.000 € all'anno, il food cost medio è del 30% il food cost sarà di 162.000 €. 9 Infatti per preparare un cappuccino serve: caffè 7gr = 0,09€; zucchero 5gr =0,02€; latte 120ml (si considera anche un piccolo spreco) = 0,14 €.


6. ESPERIENZE: IL BUSINESS PLAN DI MELTINPOP (Arona)1 1. Descrizione del prodotto Il progetto “Meltin Pop” è l’avvio e la gestione di uno spazio giovanile/ culturale che, con una operazione di restayling strutturale, di contenuti e di comunicazione, vuole diventare un luogo aggregativo-culturale, polifunzionale, uno spazio per incontri e concerti, un atelier, un laboratorio di produzioni video ed una sale prova, dotandosi anche di bar/piccola ristorazione. La sfida è di attualizzare i valori fondativi della Casa del Popolo, con una proposta dotata di appeal anche su un pubblico giovane. Lo spazio (di proprietà della Coop. Casa del Popolo) è già dotato di licenza bar e piccola cucina. A questo può aggiungersi un trilocale al piano superiore, idoneo per l’ospitalità di volontari europei, artisti, giovani. La dotazione dello spazio rispetto ad attrezzature tecniche (es. sala prove, atelier, strumentazioni audio e video) avviene “in economia” perché oggi ci sono più soggetti coinvolti in questo progetto (sei organizzazioni giovanili), interessati a trovare uno spazio da abitare. La dimensione del co-working è infatti un aspetto centrale e generativo di questa impresa sociale. Tutto ciò si traduce in una “factory della creatività giovanile”, gestita dagli associati al circolo Arci, che sarà il gestore di questi spazi ed intestatario delle licenze, il cui ingresso richiede il tesseramento. Dettaglio delle aree del progetto - l'area “co-working”: organizzazioni giovanili formate da persone con interessi, formazione e competenze specifiche, che si ritrovano in uno spazio comune per lavorare (co-working), contribuendo alle spese di gestione, alla programmazione ed organizzazione delle attività, di corsi e laboratori. Ad oggi già 6 organizzazioni locali (Occhiaperti, Tantaroba Studio, Samsara, Musicaviva, Befol.co, I Menestrelli di Jorvic) hanno aderito alla proposta. - l'area food & drink: oggi il locale ha già una licenza per bar e ristorazione (il soggetto gestore subentra alle stesse condizioni eseguendo alcune prescrizioni imposte dall'Asl). Le dimensione della cucina permettono una ristorazione a tema con al massimo 2 primi e 2 secondi. Nei termini di un 1 30 gennaio ’10. Per maggiori info: www.meltinpop.it


ulteriore sviluppo, va segnalato che la imminente liberalizzazione delle licenze del Comune di Arona nel settore della ristorazione permetterà a questo spazio di disporre di una autorizzazione per piccola cucina aperta al pubblico senza nuovi investimenti. - Apertura: la sperimentazione prevede 5 aperture pomeridiane pensate ad hoc per studenti e per laboratori, più aperitivo. Durante il week end dal pomeriggio fino a notte. - l'area degli eventi periodici: la programmazione delle attività (a cui contribuiscono tutti i soggetti coinvolti) è mensile. Settimanalmente è previsto un solo evento musicale (al sabato sera), e due serate di altre tipologie di eventi culturali. I punti di forza del progetto Il circolo potrà: - disporre di uno spazio (unico sul territorio, v. più avanti) per propri progetti ed attività su Arona; - valorizzare il progetto per accedere ad altre fonti di finanziamento; - garantire ospitalità per l'accoglienza di volontari SVE (e di conseguenza margine); - beneficiare della promozione che questa sperimentazione potrà avere, con un effetto volano per una eventuale replicabilità. Criticità - anticipo capitali iniziali - rischio di eccessivo assorbimento di risorse umane e personali - imprevisti nella gestione, pur in presenza di alcune tutele (insonorizzazione, piano acustico del locale, piano della sicurezza, ingresso limitato ai soci) 2. Ipotesi di mercati e concorrenti Sull'intero territorio delle province di Novara e Verbania esiste oggi un solo centro giovanile comunale (a Borgomanero, Spazioper, ma depotenziato...); in questi anni nessun'altra amministrazione, nonostante le numerose dichiarazioni di intenti, ha avuto la forza economica e politica di attivare uno spazio come questo (o di mantenerlo). La richiesta da parte dei giovani di questa tipologia di spazi è invece elevatissima, come emerge regolarmente in ogni ricerca su adolescenti e giovani promossa dai vari


enti pubblici dal 2002 ad oggi. Detto ciò, diventano potenziali concorrenti gli altri bar e spazi di ritrovo dei ragazzi. Va segnalato però che ogni spazio giovanile ha una sua immagine (questo riprende l’idea della factory) e quindi un target a cui rivolgersi (“gli attivi ed impegnati”). Ma proprio per quest’ultima categoria di giovani, i luoghi di ritrovo sono sempre più scarsi e, quando se ne apre uno (come è stato per Spazioper all’inizio) viene immediatamente abitato da questi, grazie ad una tam tam di relazioni orizzontali. 3. Lo start up L’adeguamento dei locali prevede alcuni piccoli interventi in cucina contenuti nelle prescrizioni Asl per il mantenimento della Tipologia 3 (licenza bar e per ristorazione con piccola cucina), la rimessa in funzione degli impianti elettrico e di riscaldamento. Poi un lavoro (in economia) di verniciatura di interni ed esterni, la dotazione di pannelli fonoisolanti, l’arredo con materiale di riuso (ma con uno stile molto caratteristico), alcune strumentazioni tecniche (wireless, pc per i clienti, ecc). Realizzare una factory della creatività giovanile, con un bar ristorante caratteristico (con prodotti a km zero e del commercio equo) e con una immagine particolare è davvero una grossa sfida, che richiede investimenti contenuti, ma importanti. Il fatto che si facciano alcuni lavori in economia poi fa si che si possano ottenere dei risparmi, ma alla luce dei preventivi richiesti ai vari artigiani, l’investimento richiesto è di circa 70.000 euro. Un vantaggio però è che per approntare questi spazi sono sufficienti pochi mesi di lavori, tanto che non è nemmeno richiesta una DIA edilizia e gli spazi hanno già una licenza ASL (tipologia 2) che può essere mantenuta. La ricerca di fonti di finanziamento è già cominciata ed in più direzioni: si parte da un autofinanziamento che ha già permesso di raccogliere 9.000 euro. Poi Meltin POP ha partecipato sia ai Tavoli delle Politiche Giovanili della Provincia di Novara, che al bando per le neonate Associazioni giovanili, ottenendo contributi per 3.500 euro. Poi vi sono le Fondazioni bancarie: nell’ambito del progetto emblematico presentato alla Fondazione Cariplo da Vedogiovane (organizzazione da cui proviene tutta la compagine sociale), è stato ottenuto un contributo ad hoc per questo spazio. Anche al bando del Ministero alle politiche giovanili (scaduto il 15 marzo ’09) è stato chiesto un contributo. Si è in attesa – nel 2010 - dei bandi APQ sulle politiche giovanili della Regione Piemonte, che hanno l’obiettivo di


finanziare una rete di centri giovanili, sostenendo le attività e le strumentazioni, gli adeguamenti. Il Meltin Pop sarebbe quindi l’unico spazio nelle due province, con buone chance di vedersi destinare delle risorse. Gli spazi della ex Casa del Popolo sono stati presi in affitto a 800 euro al mese e, nella messa a regime, si avrà a disposizione un bar con ristorantino (autorizzato fino a 60 posti a sedere), spazio incontri e concerti (fruibile da 250 persone), un atelier, una sala di produzioni video ed una sale prova. La formula è che quegli spazi siano una factory e che dall’esterno il tutto appaia come un contenitore, con una immagine moderna ed accattivante. La durata dell’affitto è quella commerciale, quindi sei anni più altri sei 4. Il gruppo di progetto Come detto, le persone che hanno dato vita al Circolo provengono da Vedogiovane ed hanno competenze tra loro diversificate, che vanno da quelle relative all’ambito gestionale, alla promozione, al lavoro con i giovani, fino a competenze tecniche su audio e video (diplomate in Istituti di design e di musica). 5. Il budget degli investimenti Per avviare questo spazio è richiesto un capitale iniziale di circa 85.000 € per restyling ed avvio gestione. Come detto, le possibili fonti di finanziamento sono il Tavolo politiche giovanili della Provincia di Novara (stima: 3.500 €), la Fondazione Cariplo (Progetti Emblematici 2009, rete di spazi giovanili, capofila Vedogiovane, per 71.000 euro), la Regione Piemonte (bando per spazi cultural giovanili, stima: 20.000 €). Sempre per questo progetto, Vedogiovane ha anche presentato un progetto al Ministero Gioventù (Bando Azione Giovani, scadenza il 15 marzo 09 per 90.000 €). Detto tutto ciò, oltre al fatto che tutti questi progetti sono stati presentati insieme a Vedogiovane (per avvalersi di una esperienza di più di 20 anni di lavoro nell’ambito dell’aggregazione e delle politiche giovanili), il fabbisogno per gli investimenti è di 75.000 euro, mentre per l’avvio (affitto, deposito, primi acquisti) è di 10.000 euro. L’investimento è ripartibile sui 12 anni di gestione (quindi circa 300 euro + interessi) che, aggiunti agli 800 euro di affitto mensili, comunque evidenziano che il progetto per un’attività commerciale e cultural aggregativa ad Arona rimane molto conveniente, come dimostra il budget triennale.


6. Budget triennale del Centro Le premesse: - margine prudenziale sui prodotti: 60% - ricavi medi di un bar oggi: 130.000 euro/anno (10.800 euro/mese quindi 433 euro al giorno). - Utenze (medie): 1.100 euro/mese - I “costi altri” 500 euro/mese - il costo del lavoro per i primi tre mesi è zero, poi vi è un gettone di 80 euro ad apertura per il secondo trimestre e poi è sempre crescente. Nei primi tre mesi, il punto di pareggio, a queste condizioni, lo si ottiene con 5.700 euro di fatturato mensile (285 euro ad apertura, con 5 gg/settimana). Nel secondo trimestre, stimando 80 euro in più ad apertura per il personale, il punto di pareggio lo si ottiene a 8.900 euro mensili di fatturato (445 euro al giorno). Questo risultato non dovrebbe essere difficile da raggiungere perché programmando anche solo una serata a settimana con un evento musicale, si potrebbe raggiungere il doppio della cifra (900 euro) in una sola apertura (bastano infatti 120 persone che consumino per 7,5 euro ciascuna). La stima possibile dei primi tre anni è:

Da queste previsioni, si vede come i ricavi del settore “Food and drink” siano sufficienti non solo a coprire tutti i costi generali dello spazio già dal


primo anno, ma anche a lasciare un margine di circa 1.000 euro al mese. Questo margine può essere un “salvagente” rispetto ad errori e/o omissioni, piuttosto che un miglioramento retributivo. Va detto che il basso costo del lavoro è legato alla formula gestionale e, soprattutto, si basa sul ricorso al lavoro volontario di giovani soci motivati nella gestione dello spazio. Come detto, l’idea di costituire una factory, permette anche di ottenere lavoro in campo della produzione di eventi, video, web tv, ecc. Allora va previsto anche un budget di questi prodotti. 6.1 Budget prodotti Si è detto che vi è un volano di prodotti sui quali si può avere un margine. Le previsioni hanno come riferimento i dati degli anni precedenti di Vedogiovane (che esternalizzerebbe questi lavori), e le stime sono prudenziali. Si tratta di: - le produzioni video ed i servizi multimediali - gli eventi periodici con service audio e luci, cinema - progetti legati a identità/territorio Ricavi per altri prodotti del progetto pilota

Queste attività confermano la validità del progetto, non solo rispetto all’utilità sociale prodotta svolgendo una funzione aggregativa (si stimano infatti un centinaio di giovani ad apertura), ma anche dal punto di vista reddituale. 2 Negli ultimi due anni Vedogiovane (che esternalizzerebbe), ha fatturato 18.000 euro da Prov di Mantova per documentario sugli spazi e Dedalo&Icaro, 10.000 euro da prov di Vercelli per documentario su D3. 3 Nel 2008 Vedogiovane ha fatturato per il progetto del museo didattico 10.000 euro e quello per il Comune di Sesto 8.000 euro. 4 quest’anno il valore degli eventi promossi da Spazioper, Musica360 e Agogna Park è stato di quasi 10.000 euro


CAP. 7. ESPERIENZE: INTERNET CAFE’ (SCHEDA PROGETTO) Dati generali Tipologia azione: promozione di uno spazi giovanili sperimentali a bassa soglia per l’alfabetizzazione informatica dei giovani e/o il potenziamento delle loro competenze, l’aggregazione e l’animazione giovanile grazie alle nuove tecnologie Tipologia destinatari azione: giovani inseriti nei circuiti di istruzione e formazione, con una attenzione particolare per ragazzi a rischio di abbandono scolastico/formativo e giovani con fragilità sociale Numero complessivo di accessi: 1.890 (7 accessi di giovani per ogni apertura, per tre aperture a settimana per 45 settimane/anno per due anni di gestione dell’Internet cafè) Numero ore edizione/azione: 810 ore tre aperture a settimana per 45 settimane/anno per due anni di gestione dell’Internet cafè Numero personale coinvolto: l’ipotesi è che l’Internet cafè venga collocato preso strutture già esistenti ed il personale sia quindi già presente e solo da formare in fase di start up di questa sperimentazione. Obiettivi/Caratteristiche generali Finalità generale Avvio di un luogo (c/o spazi già esistenti, es biblioteche, centri giovanili, oratori, Informagiovani, Scuole e CFP) sul modello degli INTERNET-CAFE' francesi, destinati ai giovani e gestiti da giovani. Questi centri nascono per aggregare, mettere in comunicazione i giovani e creare nuovi rapporti tra i giovani, territorio ed istituzioni, con l'aiuto della la creatività culturale ed artistica, delle nuove tecnologie e della rete internet. Sono luoghi di contrasto allo svantaggio derivante dal digital divide. Questi centri sono soprattutto un luogo di sperimentazione e acquisizione delle nuove tecnologie di comunicazione nel rispetto dei valori di uguaglianza, partecipazione, integrazione, inclusione e solidarietà. Questi spazi (laddove collocati in centri giovanili) possono contribuire anche alla sostenibilità dei centri giovanili no profit e/o essere integrati in no profit bar e/o centri giovanili culturali, contribuendo alla loro sostenibilità e divenendo anche un esempio di buona pratica nello sviluppo di impresa per i giovani del territorio.


Obiettivi specifici Questi luoghi sono tendenzialmente previsti per giovani dai 12 ai 23 anni d'età e si può navigare in Internet liberamente oppure, se necessario, con l'aiuto di un operatore. Si può creare una propria casella di posta elettronica e gestire la propria corrispondenza. È anche possibile chattare, giocare on-line, ascoltare musica, vedere video e anche utilizzare il computer per scrivere, fare ricerche, produrre grafica e montare i propri filmati. Qui si organizzano durante tutto l'anno corsi di informatica a vario livello: dai corsi di base a quelli avanzati per l'impiego di programmi complessi. Questi spazi sono un ottimo e potente veicolo di promozione della rete di servi per i giovani già eventualmente presenti sul territorio. Metodologia che si intende utilizzare per il target dei soggetti di riferimento Animazione sociale e culturale Modalità di erogazione dell’azione Questi spazi sperimentali vengono promossi presso altri luoghi già frequentati da giovani biblioteche, centri giovanili, oratori, Informagiovani, Scuole superiori e Centri di formazione che garantiscano l’apertura al pomeriggio ed una assistenza, con uno standard minimo di 3 aperture a settimana x 3 ore l’una x 45 settimane/anno x 2 anni Modalità di monitoraggio/valutazione azione Il monitoraggio verràeffettuato attraverso la verifica costante in ambito di coordinamento di questa rete. Il risultato atteso è l’avvio di un nuovo spazio, con un risultato atteso di oltre 1.800 accessi in due anni. I dati di sintesi costituiranno oggetto di valutazione quanti/qualitativa della relazione finale del progetto. Tempi di attuazione Due annualità Budget U Costo avvio di uno spazio giovanili: 23.000 euro (comprende tutte le attrezzature e canoni assistenza)


U Formazione new media per i responsabili del centro: 2.000 euro U Materiali promozionali (e gestione web): 3.000 euro U Coordinamento e start up: 2.000 euro Totale: 30.000 euro


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