Rigenerazione urbana come impresa culturale CAP. 11. LA PSICOLOGIA AMBIENTALE ED I NUOVI PROGETTI CULTURALI DI RIGENERAZIONE URBANA, QUALI PRATICHE RELAZIONALI TRA LE PERSONE: di Giovanni Campagnoli DALL’ENGADGEMENT DI NUOVI PUBBLICI, ALLA NASCITA E LA GESTIONE DI “COMMUNITY”. IDENTIFICAZIONE DEL PROGETTO, PARTECIPAZIONE, AVVICINAMENTO TRA AUDIENCE E CREATORI. IL PARTECIP-ATTORE E L’AVVICINAMENTO E NUOVE FORME DIROMPENTI DI CO- CREAZIONE COLLETTIVA.
11.1 Il patrimonio culturale come piattaforma di innovazione sociale per nuovi progetti culturali1 Il contesto del nostro Paese si palesa come quello in cui vi è un eccesso di offerte culturali (e beni, v. Tab. 11.1), sia alla frammentazione delle produzioni culturali stesse (es. arte, teatro), che comporta difficoltà notevoli nel raggiungere una “massa critica” di pubblico sufficiente a sostenere il fare impresa. La rigenerazione di beni e spazi dismessi non può quindi che avvenire con una attenzione alla costruzione di relazioni tra le persone, in una logica di attivazione di reti di comunità da coinvolgere nelle locali. Il successo di questi processi deriva dalla capacità di gestire professionalmente le relazioni, da qui la nascita di nuovi lavori (v. Cap 6). Tab. 11. 1 L’offerta culturale del Paese Bene
Numero
Beni di interesse culturale (storico, artistico, architettonico, dati Mibact) L’Italia ha il 70% del patrimonio artistico, nello 0,2% delle terre emerse2
46.000
Musei pubblici e privati (4.026, più 293 aree archeologiche e 570 monumenti o 4.889 complessi monumentali, Fonte Censis 2019) Festival culturali (Censis, 2019)3 Biblioteche (Mibact - Minicifre cultura)
1.200 12.609
Archivi (Mibact - Minicifre cultura)
66.872
Mostre / anno (32 al giorno; un’inaugurazione ogni ogni 45 minuti)
11.000
Eventi e sagre/anno4 (v. www.eventiesagre.it)
17.600
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Campagnoli G. (2014), in AAVV, La (quasi) impresa culturale, Ilsole24ore, Milano. ci sono luoghi in Italia che in meno di un chilometro quadrato hanno visto più storia e causato più emozioni che intere regioni della Germania. 3 i tanti festival, sagre, eventi culturali così diffusi in modo capillare sono attività che valgono come affermazione di identità e di comunità locale, una occasione economica per l’attrazione turistica, un luogo di elaborazione di prospettive e di confronto intellettuale. 4 Sul fronte della socializzazione, si assiste anche al recupero di pratiche e comportamenti che affondano nel passato della nostra antica dimensione comunitaria. Il caso delle sagre dei prodotti locali è emblematico: considerando solo i maggiorenni, nell’ultimo anno il 17,5% degli italiani ha frequentato almeno una sagra e la percentuale sale al 23% considerando il segmento più giovane. 2
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Il territorio italiano rappresenta un’eccellenza a livello mondiale in termini di offerta culturale. Nel complesso si rilevano 1,6 istituti museali ogni 100 chilometri quadrati5. Il flusso di visitatori nel 2017 ha sfiorato i 120 milioni di ingressi: una cifra record. Le regioni in cui si è registrato il maggior numero di visitatori sono il Lazio (30,2 milioni di presente complessive), la Toscana (21,7 milioni) e la Campania (12,1 milioni): queste tre regioni da sole assorbono il 53,8% dei visitatori totali. Nel 2018 la spesa delle famiglie per attività ricreative e culturali è stata pari a 71,5 miliardi di euro (il 6,7% della spesa complessiva). Gli italiani che negli ultimi dieci anni hanno visitato monumenti o siti archeologici, sono aumentati del 31,1%, del 14% quelli che hanno visitato un museo. Su 4.889 musei, l'80% non ha più di 5 addetti, solo 1,5% ne ha oltre 50; ma la cosa drammatica è che ben 1.571 musei non hanno personale e 903 un solo addetto». E ancora: «Nel 49% dei musei l'ingresso è gratuito, in un terzo di queste strutture l'incasso dalla vendita dei biglietti non supera i 20mila euro l'anno; solo nel 40% c'è del personale in grado di fornire informazioni in inglese». Inutile aggiungere che la maggior parte delle protezioni sono inefficaci, non attive o desuete. In questo contesto di “eccesso di offerta”, si rileva anche una frammentazione delle proposte e produzioni culturali (es. teatro, arte), con la difficoltà a coinvolgere una massa critica di pubblico sufficiente a sostenere un’impresa capace di generare lavoro. Ma non può certo essere un ulteriore intervento del settore Pubblico a risolvere la situazione. È in atto un processo trasformativo del settore culturale che, a fronte di una carenza di risorse, apre una serie di nuove possibilità di mercato e quindi all’impresa culturale ad esempio nell’organizzazione di festival, eventi, spettacoli dal vivo gestione e valorizzazione del patrimonio, musei, rigenerazione urbana, turismo culturale ed ambientale, agenzie artistico / musicali. Di conseguenza, i progetti culturali, nel Paese della “bellezza diffusa” (settore ampio ed in ampliamento), per essere sostenibili, devono porsi l’obiettivo di generare risorse (e non “solo” richiederne, organizzarle, gestirle e rendicontarle) e quindi essere dotati di un approccio rivolto ad aggregare nuove domande di cultura che già esistono ma che sono ancora “disperse”. Oppure - compito dei progetti culturali - è di costituire (o ri-costituire) delle comunità di interessi, magari diffuse sul territorio (utilizzando quindi il web) per poi “addensarli” e trasformarli in esperienze, che “atterrano” in “luoghi” specifici. L’innovazione nelle progettazioni culturali non consiste tanto nel “conquistare” nuovi mercati, quanto nel creare / inventare nuove nicchie, attraverso connessioni tra offerte (reali o potenziali) ed esigenze latenti. In generale, guardando al mercato, a differenza del secolo scorso, non siamo più in un’epoca in cui è l’offerta a generare la domanda (approccio alla base delle grandi crisi del ‘900 e di inizio secolo), ma piuttosto il contrario. La strategia delle nuove progettazioni richiede di saper individuare i cambiamenti nel soddisfare i gusti, interessi, bisogni di un nuovo tipo di pubblico, che è sempre
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Il patrimonio museale pubblico è gestito prevalentemente dalle amministrazioni comunali: detengono il 67% degli istituti pubblici (2.067). Sono 478 le strutture (pari al 15,5% del totale) il cui soggetto titolare è il Ministero dei beni culturali. Sul fronte dei musei e degli istituti similari privati sono gli enti ecclesiastici a possederne quasi un terzo del totale (il 32,7%, pari a 569 strutture). Le associazioni riconosciute e le fondazioni bancarie sono titolari di un consistente numero di istituti, rispettivamente il 25,6% (446) e il 14,8% (257). Ci sono poi 179 musei di proprietà di privati.
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più disponibile ed interessato ad essere interpellato e coinvolto attivamente nelle fasi di produzione e progettazione6: si parla infatti del “partecip-attore7”. Il successo di queste progettazioni (a partire da quelle di rigenerazione) è proporzionale all’utilità percepita dalla comunità locale. Il valore economico della rigenerazione è contenuto, quanto più alto è il coinvolgimento della comunità locale, in termini di donazioni, volontariato, professionalità aggiuntive8. In questo modo, le nuove domande di cultura, arte, inclusione, esperienze, welfare, turismo, non vengono soddisfate con logiche additive rispetto all’offerta già esistente, ma con logiche semplificatrici e connettive. L’innovazione avviene per ibridazione e contaminazione, sempre più su confini tra ambiti diversi, sempre più su legami sociali e culturali. In questo contesto, gli asset chiave sono un mix di competenze di cui è dotata una nuova generazione di innovatori culturali, portatori di forte idealità (mission), consapevolezza rispetto al “sentirsi dentro un mercato”, capacità di exploration (ideazione), ma soprattutto di execution. In questa fase di trasformazione del settore culturale (sospeso tra il non più ed il non ancora), questi neo imprenditori culturali non nascono come sussidiari del settore Pubblico9, ma in quanto portatori di soluzioni nuove per nuovi pubblici della cultura. Nascono spesso nelle forme di esperienze ibride tra profit e non profit, tra cultura e sociale, tra arte e welfare, tra inclusione e creatività, che stanno sviluppando nuovi processi di lavoro sempre più capaci di “far funzionare le cose” (getting things done), nonostante i tanti - e troppi - vincoli burocratici ed amministrativi del nostro Paese. 11.2 Gli innovatori culturali10 La gestione dei beni culturali, le performing arts e le arti visive (attività di produzione di beni e servizi culturali “non riproducibili”), rappresentano il settore “core della cultura” che, come detto, sono attraversati da percorsi di innovazione sociale e culturale e da forti cambiamenti, a partire da un progressivo “ritiro” degli Enti Pubblici e dall’ingresso di nuovi players. È sempre più evidente che la valorizzazione del patrimonio e il fruire di eventi (soprattutto se originali e/o inaspettati ed in contesti inconsueti) produce valore economico, occupazionale, un indotto indiretto (che si registra cioè anche in altri settori - a partire da turismo, commercio, servizi - e a beneficio di più attori del territorio), grazie ad un “effetto moltiplicatore” di cui la cultura gode. In questo modo la cultura ha effetti anche sul contesto, che è stimato in 1,8: in altri termini, per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,8 in altri settori. Non solo, in particolare ogni euro speso nella gestione di un evento culturale genera effetti economici positivi per oltre 2,5 euro (v. ad esempio i rapporti con il settore del turismo slow, Par. 8.5). Allo stesso tempo può produrre anche un impatto in termini socio-culturali sul locale, 6
Ciò è il principio di Ikea, che coinvolge i clienti nella fase di trasporto e montaggio dei mobili, ma è anche il principio base dei self service (distributori di carburante, lavanderie, banche, ecc. ecc). 7 Jenkins H. (2010). 8 come visto a volte si arriva, soprattutto nelle fasi iniziali a valori dai 50 ai 200 eu/mq . 9 Era invece capitato così negli anni ’90 per il settore sociale ed educativo. In quegli anni, la cooperazione sociale (ed in generale il Terzo settore) cominciava a gestire servizi ed interventi a cui il Pubblico progressivamente rinunciava, in quanto erano richieste maggior dinamicità e flessibilità organizzativa. Gli enti pubblici allora garantivano però risorse sufficienti a creare un “mercato” (e quindi la sostenibilità per le organizzazioni non profit) e si sono sviluppati importanti rapporti di integrazione e sussidiarietà con il Privato sociale. La stessa “stagione” ora però non è più riproducibile per la Cultura. 10 Campagnoli G. (2014), Riusiamo l’Italia. Da spazi vuoti a start up culturali e sociali, Ilsole24ore, Milano.
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introducendo elementi di ricerca e contemporaneità nell’azione di trasformazione dei gusti del pubblico, unito alla capacità di attrarne di nuovo, originando capitale reputazionale che permette di posizionare un territorio tra esperienze di eccellenza anche in contesti internazionali (“glocal”), accrescendone la valenza simbolica/evocativa. Si innesca quindi, grazie a questi processi di trasformazione, un circolo virtuoso che permette di attrarre talenti disponibili a spostarsi in questi territori, formare nuove classi creative (v. più avanti), contribuire allo sviluppo locale. Questo processo è innescato da una nuova classe di innovatori culturali che investono tempo, lavoro e risorse in questi ambiti “labour intensive”, portando progettazioni originali e facendo crescere nuove “professioni della conoscenza”, insieme ad una micro-imprenditorialità giovanile sempre più di tipo cooperativistico, che opera in rete. Tutto ciò incide sul patrimonio cognitivo dei territori, sviluppando nuova conoscenza, che oggi è il driver del loro sviluppo socio-culturale, generando così una nuova “economia della cultura11”. Affinché ciò avvenga, è necessario che l’innovatore (inteso anche come il rigeneratore di questi spazi) abbia una serie di competenze chiave ben precise e cioè: -
conoscenza di base del concetto di valorizzazione del patrimonio, attività culturali, innovazione sociale e rigenerazione urbana; capacità imprenditoriali (manageriale, social media, organizzazione, marketing); motivazione, abilità sociali, lavoro di gruppo, risoluzione dei conflitti, cooperazione; creatività.
Questa professionalità richiede capacità di trovare finanziamenti, superare i vincoli della burocrazia, la mancanza di formazione specifica, la “supposta” mancanza di potenziali utenti (in alcune aree). La rigenerazione di spazi, attivando comunità locali e quindi persone, diventa driver per lo sviluppo locale, costruzione di sinergie e networking; capacità di potenziare il potenziale dei talenti; creare lobby o reti forti in grado di combattere specifiche sfide territoriali; migliorare le condizioni di lavoro per le comunità locali, creando un ecosistema. Si tratta di un complesso insieme di relazioni tra risorse, habitat, residenti, in cui obiettivo è mantenere uno stato di equilibrio sostenibile. Come si vede, è determinante che questa figura professionale sappia gestire al meglio le relazioni, sviluppando quella strategia delle connessioni che, permettendo maggior conoscenza, genera fiducia e quindi capitale sociale e relazionale sul territorio, generando anche risorse, grazie ad un effetto moltiplicatore che aiuta la crescita sociale delle persone, imprese, territori e comunità. Oltre a ciò, si producono piccoli (ma importanti) “beni comuni”, riconosciuti e riconoscibili dalla comunità in cui si possa scoprire la propria soggettività. In questi contesti, si fa e si dà vita a microprogetti/micro esperienze in cui si “sta e si produce” con le persone (es. volontariato, attività, Tavoli, cabine di regia, ecc.). Ma anche si produce anche “pensiero sull’azione”, cioè si prevedono “tempi e luoghi” adeguati per riflettere e valutare quanto progettato ed attuato, dandone anche una restituzione pubblica alla comunità. Così l’esperienza può divenire apprendimento e sapere condiviso; ciò significa dare valore al lavoro. Chi si occupa di tutto ciò (rigeneratore, attivatore territoriale, Project manager per la rigenerazione urbana, v. Cap. 6) deve avere quindi un buon mix di competenze, attitudini e conoscenze, con un punto di partenza che è la passione per questo tipo di lavoro. Non è detto
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Salvemini S. (2016), Quando la cultura rende, Severino in Il giornale delle Fondazioni (pubblicato il 27.06.2016).
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che sia un free lance, anzi, opera in team, anche perché in generale le attività della cultura12, in ragione delle loro peculiarità e complessità13, necessitano di una dimensione realizzativa unica e specifica, che determina un “vestito organizzativo”, di tipo “sartoriale”, ovvero un “progetto”. Questo è una sintesi tra pensiero e azione, che produce senso e sistema e che contiene un insieme di processi costituiti da passaggi, fasi, azioni e sequenze. Il progetto è quindi un’attività temporanea, non ripetitiva, in cui le risorse sono concentrate e tese ad ottenere un risultato unico14. Ma esso è anche una filosofia di azione, un processo di creazione di determinati risultati, un insieme di regole e strumenti, un modo di lavorare in team ed un mezzo idoneo a fare innovazione. Si diversifica sia dal “programma (iniziativa a lungo termine che può contenere più progetti), che dal “compito” (sforzo a breve termine che assieme ad altri può formare un progetto)15. Il termine progetto deriva dalle parole latine pro – jectus, cioè gettarsi in avanti. Progettare è uno slancio verso il futuro, unito alla capacità di costruire nel quotidiano, un vivere sia in situazione che in prospettiva, contemporaneamente. Il collegamento tra queste due dimensioni temporali è dato appunto da un “frattempo creativo” che prende la forma di un percorso (passaggi, fasi, azioni, sequenze), svolto in team, finalizzato a generare senso, sostenibilità, impatti16, innovazione, fertilizzazione17. Tutto ciò in un’epoca che vede in atto una serie di processi trasformativi, a partire da un “ritiro” degli Enti Pubblici nel settore culturale (anche per una contrazione di risorse) e di un loro nuovo ruolo (meno regolatore e più promotore), che innescano inedite opportunità d’azione, tra professionalità e volontariato, nuove traiettorie ed esperienze imprenditive18. Nell’era della “liquidità” anche le strutture istituzionali e organizzative devono riuscire a essere il più fluide e dinamiche possibile, mantenendo costantemente la capacità di essere sintonizzate con il contesto di riferimento e di riplasmarsi in modo rapido in funzione dell’evoluzione dell’ambiente e delle mutevoli prospettive. Secondo le teorie organizzative e di strategia aziendale tali strutture sono definite “lean”, snelle19. Evidentemente una simile configurazione può risultare una sfida molto complessa da affrontare per le grandi e classiche istituzioni culturali pubbliche, mentre essa appare quasi connaturata nelle piccole organizzazioni di recente istituzione, di 12
in relazione alle sue funzioni caratteristiche di conservazione, identità e celebrazione, aggregazione e coesione sociale, critica e innovazione, educativi, raccolta fondi, ricreative, sociali, terapeutiche, manageriali, sviluppo turistico e/o economico e/o territoriale e urbano, posizionamento, democratiche. 13 legate alle azioni di tutela, conservazione, catalogazione, inventario, valorizzazione e programmazione, sviluppo, riqualificazione e rigenerazione, creazione artistica, gestione diretta e indiretta (da terzi), commercializzazione e sfruttamento, informazione e sensibilizzazione, comunicazione, promozione, immagine, sponsorizzazione, educazione, formazione, didattica, divulgazione, studio e ricerca, pubblicazioni, uso e fruizione, intrattenimento e ricreazione, servizio e supporto. 14 Sono progetti una attività su commessa, la realizzazione di lavorazioni speciali ed uniche con prodotti/servizi standard adattati alle specifiche del cliente, la risoluzione di problemi specifici e straordinari, il lancio sul mercato di un nuovo prodotto / servizio o l’ingresso in un nuovo business, l’adozione o la ristrutturazione di una nuova tecnologia di processo, un intervento di riorganizzazione aziendale. 15 Argano L. (2012), Manuale di progettazione della cultura, Franco Angeli 16 L’impatto è esito di un processo inclusivo, di partecipazione, di co-produzione: non c’è impatto senza inclusione. 17 Nuovi risultati, anche spostati nel tempo ed in spazi / territori diversi. 18 Bollo A. (2016), La cultura in trasformazione. L’innovazione ed i suoi processi, Minimum Fax. 19 Camuffo A. (2013), Made in LeanItaly, in Economia e Management n. 4/2013.
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estrazione privata, di natura non profit, auto-imprenditoriali, di emanazione giovanile. Si tratta di soggetti estremamente interessanti e importanti, per garantire dinamicità e innovazione culturale, sociale e anche economica, nel rispetto di efficienza ed efficacia, generando occupazione e sviluppo sociale e territoriale; soggetti che stanno allargando e modificando il perimetro del settore culturale, introducendo notevoli elementi di pluralismo ed evoluzione. Gli start-up creativi giovanili ne sono dei brillanti esempi20. Fig. 11.1: La lean organization: organigramma a matrice per esternalizzare competenze non specifiche e dotarsi di limitata tecnostruttura
Questa nuova “classe imprenditiva culturale” non è quella “classe creativa” descritta da Florida21 anni fa come coloro che avrebbero cambiato le città22, ma persone appassionate, “di talento”, che si impegnano in queste nuove pratiche. Qui però con talento si intende non tanto e non solo appunto la “classe creativa” (peraltro sempre di difficile definizione), ma più semplicemente una nuova cultura del lavoro collegata al perseguimento delle proprie inclinazioni, vocazioni e passioni, soprattutto a partire dalle nuove generazioni coinvolte in 20
Campagnoli G. (2014), Riusiamo l’Italia. Da spazi vuoti a start up culturali e sociali, Ilsole24ore, Milano. 21 Florida R. (2003), L’ascesa della nuova classe creativa, Mondadori, Milano. 22 Sacco P., (2017), Partecipazione inclusiva. La classe creativa di Florida ha fallito: per lo sviluppo urbano è necessario puntare su progetti coinvolgenti di cittadinanza attiva, che mettano insieme esperti e comunità, in Nova24, IlSole24Ore, 2017.
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queste nuove sfide, con molta più consapevolezza23, capaci di sviluppare un rapporto affettivo con il lavoro, in un mix tra fatica e bellezza. Dove il progetto è sempre più processo (e sempre meno un form, un “master plan e/o una attività di programmazione lineare, logica e burocratica, v. Fig. 11.2), si viene a creare - nel luogo e nel tempo - un “ecosistema vivente” tra persone e comunità e spazi. Fig. 11.2: Il progetto di processo (il concept delle montagne russe).
La centralità è quindi il percorso di co-creazione e di coinvolgimento, di ricucitura di relazioni – tra persone, gruppi, volontariato, professionisti, istituzioni – attraverso percorsi di community building, che si sviluppano grazie all’avvio / ideazione del progetto. Ancora una volta, si vede come nei processi di community building sia la professionalità della gestione delle relazioni, il fattore di successo e di tenuta dei progetti. Si parla allora di rigeneratore urbano, di Project manager per la rigenerazione urbana, attivatore territoriale, come già presentati nel Cap. 6. 11.2.1 I Wanna be dell’innovazione culturale24 Nel settore della nuova imprenditorialità culturale, vi sono un 4% in più di giovani Under 39 che nel resto degli altri ambiti ed un terzo dei lavoratori culturali e creativi (il 33,9%) è in possesso di una laurea specialistica. Tanti soggetti “giovani e competenti”, accumunati dalla voglia di 23
Un visitatore entrò nel cantiere dove nel Medioevo si stava costruendo una cattedrale. Incontrò un tagliapietre e gli chiese: “Che cosa stai facendo?” L’altro rispose di malumore: “Non vedi, sto tagliando delle pietre”. Così egli mostrava che considerava quel lavoro increscioso e di poco valore. Il visitatore passò oltre e incontrò un altro tagliapietre, a cui rivolse la stessa domanda. Questi rispose gioiosamente: “Sto costruendo una cattedrale”. 24
Campagnoli G. (2014), Riusiamo l’Italia. Da spazi vuoti a start up culturali e sociali, Ilsole24ore, Milano.
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essere coinvolti in nuove pratiche di impegno culturale, artistico, occupazionale, sociale, creativo. È la nuova classe dei prevalentemente “wanna be”, giovani (under 40), sia free lance che team di potenziali start up, artisti e performers, responsabili di organizzazioni culturali “no profit” sottoposti a stress anche della Riforma del Terzo Settore, mossi da un bisogno di trasformazione di una propria idea in ambito artistico, creativo, culturale in un progetto lavorativo stabile. Tra questi anche le figure del rigeneratore urbano, dell’attivatore territoriale, del Project manager per la rigenerazione urbana. Questi “wanna be” sono indicatori di un nuovo fenomeno sociale, oltre per quanto già detto, anche per il dato di fatto che probabilmente metà dei ragazzi che si diplomeranno quest’anno andrà a lavorare tra tre/cinque anni in imprese che oggi ancora non ci sono... Sviluppo ed innovazione sono le dimensioni che incardinano queste start up, ritenute molto affascinanti dagli adolescenti di oggi, tanto che uno su due dimostra una propensione all’autoimpiego. I giovani che decidono di seguire il percorso che porta alla costituzione di una start up, nel nostro Paese sono persone generalmente consapevoli delle difficoltà a cui andranno in contro, a partire dal pregiudizio del mondo adulto verso le nuove generazioni. Ma anche degli ostacoli amministrativi e burocratici che dovranno superare, così come della scarsa capacità del sistema nel valutare le idee delle persone e non esclusivamente la loro ricchezza, soprattutto rispetto dell’accesso ai capitali. Questi start uppers diventano automaticamente degli “imprenditori nonostante” le difficoltà ed il clima generale di sfiducia presente nel Paese, oltre alle difficoltà specifiche del fare impresa in Italia. Sono anche interessati a contribuire allo sviluppo del proprio territo- rio (e/o del proprio Paese), in cui preferirebbero rimanere, proprio per mettere a frutto qui le proprie capacità (alcuni anche dopo aver svolto esperienze anche all’estero). Sono dei “social” start uppers, quindi propensi a considerare il lavoro quale ambito di autorealizza- zione del proprio talento e non solo come strumento per portare “a casa uno stipendio”. Rappresentano bene la “generazione mille euro”, guadagnati però con passione e fatica, con alte motivazioni, ma senza “contare le ore di lavoro”, lavorando in gruppo, spesso anche di sera e nei week end... Sono persone appassionate, guidate dalla ricerca di un appagamento (forse mai del tutto raggiungibile25) che sta nel piacere/desiderio di fare un lavoro sfidante, per il quale si è fatto (e si fa ancora) fatica, ci si è impegnati, si è “sudato” e si è disposti a sudare ancora tanto, sentendo di avere le competenze per riuscire26... Come detto, la motivazione forte non è la ricerca di guadagni stratosferici (soprattutto in ambito culturale/sociale e generalmente non tecnologico), così come i modelli imprenditoriali non sono quelli dei “capitani di industria” del capitalismo italiano. La passione e la possibilità di realizzare un desiderio, il sentirsi appagati e soddisfatti sono gli incentivi maggiori per queste persone, che guardano a questa epoca di crisi, anche come ad un tempo per opportunità interessanti, dove minori certezze non significa per loro, minori opportunità. In questi ambiti – come detto – queste persone sono formate ed hanno competenze maturate anche in precedenti esperienze, hanno viaggiato per conoscere realtà simili a quelle che vorrebbero avvia- re, conoscono le lingue ed hanno una propensione al cooperare ed al comunicare, conoscendo bene il web
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Un sentimento alla “Leopardi” ne “Il sabato del villaggio” (1829), unito a quell’essere sempre pronti ad attivare il pensiero (sempre in “stan by”) sorprendendosi poi nel “e il naufragar m’è dolce in questo mare” de L’infinito (G. Leopardi, 1818). 26 È l’equivalente della “metis” di Ulisse (Odissea), cioè il suo comportamento caratterizzato dal multiforme ingegno e dal ricorso alle risorse intellettuali legate anche alla conoscenza, per superare le varie difficoltà nelle diverse esperienze accadute durante il viaggio.
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2.027. Hanno anche un rapporto diverso con i tempi del lavoro: infatti vi è una nuova organizzazione che prevede che il pensiero sia sempre in “stand by”, ma non solo: oggi il lavoro segue gli start uppers ovunque: basta uno smart phone, un tablet o un portatile per lavorare e ciò può avvenire ovunque ed in qualunque orario, anche di notte. Alcuni spazi co-working ed hub permettono infatti l’accesso 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Sono persone propense al concetto del “life long learning”, sono professionisti, creativi, ma anche artigiani (spesso digitali), comunque tutti portatori di innovazione. Infine ognuno di loro sa di essere portatore ed appartenente ad altre reti, nelle quali risiede anche parte della sua forza e del valore della start up, in quanto queste sono anche luoghi di opportunità. Ma queste non sono più le reti amicali/familistiche dove avviene il “reclutamento” dei soliti noti attraverso relazioni già date e non è nemmeno più quel “provincialismo relazionale” e che si traduce anche nelle raccomandazioni di figli e parenti, che porta all’87% delle assunzioni28. Qui siamo di fronte ad una nuova classe di giovani che probabilmente (e silenziosamente) sta assumendo nuovi percorsi e nuovi strumenti per compiere quella “rivoluzione del merito e del talento” tanto auspicata per il bene del Paese. Giovani prevalentemente con già un percorso formativo e professionale alle spalle, (spesso in ambito associativo), fragile, ma motivati dal conoscere nuove metodologie per sviluppare una cultura manageriale ed una visione strategica contemporanea del settore culturale. Giovani capaci di avviare percorsi che vedono un impegno di tante persone comuni, che danno vita a “beni comuni”, che diventano forme di innovazione sociale e culturale. Come detto nel Par. 4.3, allora questi percorsi possono anche diventare volutamente “inefficienti”, ma non inefficaci, anzi: creare consenso sociale sul progetto, promuovere “scambi” con il territorio, comunicare costantemente con la comunità locale, genera da subito impatto ed empatia sul progetto, riducendo il rischio di concentrarsi sulla costruzione di offerte non sentite e/o ritenute utili dal territorio (che si aspettava altro, ad esempio per le sue necessità), basate sulla vision di pochi (ad es. le cosiddette “Cattedrali nel deserto”). È nell’attivazione di pratiche con le caratteristiche qui descritte (approccio processuale, provvisorio, a steps, permanente o “solo per”) che lavoro creativo, cultura e innovazione sociale, reti sociali29, diventano assets che possono contribuire allo sviluppo del Paese. E ciò avviene laddove queste competenze individuino formule di innovazione culturale radicale: attraverso la ricerca, si costruiscono offerte culturali ad hoc, sulla base di nuove community di domanda, aggregata sulla base di preferenze e gusti, sempre più possibile grazie all’uso dei social network. La concorrenza attuale non è rilevante, lo sguardo è infatti rivolto verso la “costruzione” di nuovi mercati (strategia “oceano blu30”) ed ai numerosi spazi per la nascita di nuove attività imprenditoriali, che possono andare, ad esempio, dalla progettazione/gestione di eventi artistici, espositivi e di spettacolo, all’organizzazione e allestimento di festival/eventi teatrali, musicali, di danza e cinematografici; dalla gestione di musei, agenzie musicali e istituzioni artistiche (es. centri di documentazione teatrale, musicale o cinematografica, archivi storici, ecc.), alla tutela/conservazione/gestione dei beni archeologici e storico-artistici. Nascono così nei settori delle produzioni (ma anche nella finanza) le “Indie”, come diminutivo di “indipendent”. Ma si sviluppano sempre più – grazie a queste logiche e a questi attori – alcuni 27
Se nel “secolo scorso” probabilmente al fenomeno delle start up si sarebbero affiancate logiche di rappresentanza, questi giovani danno evidentemente il meglio su logiche di rappresentazione di sé, ma soprattutto dei loro prodotti, che spesso finiscono per identificarli. 28 Rapporto Excelsior (2010), Union Camere, Roma. 29 corte o lunghe. 30 Kim C., Mauborgne R. (2009).
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nuovi fenomeni, come per esempio i generi “off’: house concerts, secret performances, street art, escape rooms, community hubs31 e altro ancora, generi cari prima di tutto ai giovani e caratterizzati dal coinvolgimento attivo del pubblico, che diventa - come detto - un “partecipattore”. In questo senso sta infatti venendo meno la separazione tra audience e creatori, aprendo la strada a nuove forme dirompenti di co-creazione collettiva. Le tecnologie (sempre più potenti ed economiche) usabili per la produzione semi-professionale di contenuti di qualunque tipo (immagini, video, musica, videogiochi), liberano il lavoro creativo da qualunque vincolo spaziale. Con un modesto investimento economico e una sufficiente costanza nello sperimentare e nell’apprendere si può passare a un livello produttivo professionale con una rapidità un tempo impensabile, e naturalmente i contenuti prodotti possono essere distribuiti in modo sia generico che mirato con modalità impensabili prima dello sviluppo dei social media contemporanei32. Il pubblico, sempre più, non è un “target” di destinatari, ma anche e soprattutto una comunità di co-innovatori: di conseguenza, la vendita non è più l’atto finale di un processo di sviluppo e produzione, ma la partecipazione a un processo di condivisione in cui l’acquisto non si esaurisce in uno scambio singolo, ma prende forma in una collaborazione creativa costante (anche se discontinua). I progetti culturali diventano quindi pratiche relazionali tra le persone, che prima identificano e poi vivono Il pubblico non è considerato il fruitore, non è più visto in modo indifferenziato (“gli appassionati di…” o “i giovani”), ma sulla base di altri descrittori dell’identità. Infatti i “tradizionali” criteri demografici come età, genere, professione, luogo, reddito, status familiare, ecc. non sono più gli unici in grado di individuare dei “target” omogenei. Anzi definire gusti, preferenze, interessi, desideri, attese, influenze, amicizie, stili di vita, consumi, ecc. è molto più interessante e si arriva a definire delle “community” con cui dialogare33. I social network ad esempio permettono una facile rintracciabilità di questo tipo di variabili, in quanto siamo noi stessi a pubblicare” ciò che ci piace, fornire apprezzamenti, indicare “dove siamo”, di quali consumi (anche culturali) fruiamo, il nostro livello di partecipazione alla vita culturale e sociale. Queste informazioni che ciascuno di noi pubblica on line, sono tracciabili e rintracciabili, per cui è più semplice “profilare” una community di interesse, contattarla e cercare un dialogo on line con questi soggetti, per poi portarli “off line” all’incontro, evento, altro… Il co-progettare (e sempre di più anche co-realizzare) con il proprio pubblico di giovani, sarà quindi la chiave del successo (in termini di impatto sociale e culturale, ma anche di sostenibilità) dei progetti giovani. Tutte le progettazioni delle attività culturali - seguendo le strategie descritte si pongono l’obiettivo di essere sostenibili, cioè di remunerare i costi (a partire da quelli del lavoro degli stessi innovatori) e non solo di gestire e rendicontare budget assegnati, ma facendo anche leva sulle capacità di questi progetti di fungere da moltiplicatore di contributi pubblici. Se non stanno 31
Nelle città, alcune fabbriche dismesse sono state progressivamente sostituite da comunità creative, la cui materia prima è la capacità di immaginare, creare e innovare, in Maccaferri A. (2016), La rigenerazione dei luoghi parte dai community hub, in Nova24 - Il Sole 24ore, 20 settembre 2016. 32 Pier Luigi Sacco, Partecipazione inclusiva. La classe creativa di Florida ha fallito: per lo sviluppo urbano è necessario puntare su progetti coinvolgenti di cittadinanza attiva, che mettano insieme esperti e comunità, in Nova24, IlSole24Ore, 2017. 33 Si parla di “sincretismo culturale” per indicare per indicare la compresenza nella vita delle persone di scelte che indicano una coesistenza di stili, una commistione di scelte anche “non coerenti”, grazie anche al potenziale narrativo che l’offerta culturale ha in sé (v. Fabris G.P. (2008), Societing. Il marketing nella società, Egea, Milano).
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in piedi gli economics, anche le belle operazioni culturali inciampano e spesso non si rialzano. Da qui l’impostazione di una struttura di costi che tende ad abbassare il punto di pareggio con i ricavi (break even point) e a rendere variabili la maggior parte dei costi. Fig. 11.2 L’abbassamento del punto di pareggio nelle start up culturali
Le organizzazioni devono essere “leggere”, capaci di non disperdere risorse in costi fissi rigidi, derivanti da immobilizzazioni improduttive e difficilmente modificabili. Per fare ciò, si adotta un assetto economico nonprofit e strutture leggere che generano bassi costi fissi, anche grazie a un ampio ricorso al volontariato ed al concorso della comunità di riferimento, con forme innovative di auto-finanziamento e di comunicazione. Per lavorare su queste dimensioni, sono necessari dati (quali e quantitativi) per la gestione dei progetti, provenienti da fonti e da valutatori diversi, ma utili al formare conoscenza sull’oggetto trattato. I dati devono essere raccolti in modo costante, a metodologie standard e conservati su strumenti digitali che ne permettano l’elaborazione ed il confronto nel tempo, oltre che comparazioni con altre realtà, costruzione di indici, misurazioni di impatti, ecc. Vanno superate logiche arcaiche nella produzione di informazioni rilevanti Ritornando al concetto di “classe creativa”, oggi non ha molto senso nemmeno dal punto di vista sociologico visto che, come abbiamo appena osservato, ciò che evapora nel nuovo scenario è proprio la barriera costituita dall’accesso ai mezzi di produzione. Il problema del conflitto sociale si sposta semmai al livello del controllo delle piattaforme che fungono da aggregatori dei contenuti, ma questo è un altro tema. Il principale danno del paradigma di Florida è stato quello di convincere tanti amministratori che la chiave del successo delle politiche dello sviluppo locale fosse quella di appiattirsi sulle aspettative e sulle necessità della “classe creativa”, creando di fatto le condizioni ideali per trasformare i produttori culturali in agenti, spesso involontari, di gentrificazione, ed esasperando una spesso già preesistente diffidenza delle fasce sociali più esposte ai rischi di espulsione 13
sociale ed economica e più marginalizzate nei confronti della cultura come fattore di inclusione sociale. Se si vuole guardare al futuro, è proprio da qui che bisogna invece ripartire: lavorare a processi partecipativi di sviluppo urbano dove quel che conta non è appunto la retorica della partecipazione – un gioco a cui sanno giocare soprattutto i più istruiti, i più garantiti, i più smaliziati nei confronti delle logiche dell’interazione sociale nello spazio pubblico – quanto piuttosto la creazione massiva di capacità proprio nelle fasce sociali più deboli e meno garantite. Ma un lavoro di questo tipo non ha bisogno di guru da jet set come Florida, la cui speaking fee per una singola apparizione costa più di un medio progetto annuale di sviluppo locale comunitario: al di là del messaggio non proprio coerente con un’idea di inclusione e di contrasto delle disuguaglianze sociali, dietro questo modus operandi si riflette una classica logica top-down che riflette una cultura di planning ormai superata. Ciò che serve invece è sperimentare processi partecipativi situati nei quali gli esperti e la comunità lavorano assieme in una prospettiva di lungo periodo, scegliendo un luogo e legandosi ad esso in un percorso di empowerment reciproco i cui effetti abilitanti emergono mano a mano col tempo, con l’emergere di percorsi sempre più concreti ed efficaci di cittadinanza attiva che la comunità locale possa personalizzare e fare propri. E la geografia di queste nuove forme di riappropriazione inclusiva della città non si limita all’Europa o al Nord America, ma assume un respiro sempre più globale. È da qui che si può quindi ripartire. Il momento è ancora quello giusto, e forse ora anche le idee sono un po’ meno confuse34. 11.3 Verso un new deal della cultura?35 Come detto, nel Paese si sta formando una nuova “classe di imprenditori locali della cultura”, (di cui fanno parte anche i rigeneratori, gli attivatori territoriali, i Project manager per la rigenerazione urbana), una comunità non formale estesa nello spazio e nel tempo, sempre connessa, inspirata che vuole provare a lasciare un segno sul territorio. C’è un “new deal” dovuto sia ad una buona fiducia tra i players (si condivide la finalità di contribuire allo sviluppo del Paese, in questo tempo, investendo su questi asset), sia ad una “atmosfera creativa” generale che sa cogliere più di un tempo le opportunità culturali trasformandole in valore anche economico ed occupazionale (v. ad es. Parma Capitale italiana della cultura, Matera capitale europea della cultura), sia anche alla presenza di strumenti più contemporanei e che sanno rispondere in modo efficace a questa nuova “classe”. Tra questi, sicuramente, gli incubatori ed acceleratori di progetti culturali, bandi delle fondazioni bancarie che ricercano innovazione culturale, ma anche sostenibilità futura delle iniziative, fornendo accompagnamento, consulenza, formazione ed assistenza. Poi alcune nuovi leggi volute dal Mibact sulla fruizione dei beni, un ruolo più propulsivo dell’Agenzia del Demanio rispetto alla valorizzazione dei beni, le Camere di Commercio coinvolte con una nuova funzione, cioè occuparsi della valorizzazione del patrimonio culturale e del turismo, la nuova legge sul Terzo Settore, l’azione di organizzazione di settore (Federculture, Agis, Symbola, Alleanza delle Cooperative Italiane Turismo e Beni culturali, Forum terzo Settore, CEI, Coop Cultura, SIAE). Affinché però le esperienze legate allo sviluppo delle attività culturali abbiano successo (e possano trasformarsi quindi in impresa culturale vera e propria, sostenibile ed in grado di offrire 34 35
V. Nota precedente. Campagnoli G. (2014), in AAVV, La (quasi) impresa culturale, Ilsole24ore, Milano.
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una occupazione continuativa e di qualità), ci si deve concentrare sulla execution dei progetti. Come detto, si parla di ambiti dove prevale un approccio “creativo, innovativo e labour intensive” alla valorizzazione e gestione culturale. Sono principalmente attività legate all’attività di gestione, produzione e valorizzazione di musei, biblioteche, archivi e luoghi della cultura, aree archeologiche, aree di pregio naturalistico e paesaggistico, oltre alle attività di spettacolo e performing arts. In questi ambiti, in cui ci si misura nell’approccio alla valorizzazione e gestione culturale, va promossa una formazione legata all’acquisizione di capacità e competenze del “fare impresa” (intesa soprattutto come conoscenza degli strumenti specifici) e ad una “cultura della gestione”. Sono infatti quattro (v. Fig. 11.3) le determinanti del successo di questi progetti: progettazione, sostenibilità economico finanziaria, governance dell’organizzazione (e delle attività), realizzazione (con una attenzione agli aspetti tecnici e burocratici). Fig. 11.3: Le quattro dimensioni chiave dei “prodotti” culturali
Riprendendo il concetto di “atmosfera creativa nazionale”, i protagonisti di queste attività operano con la consapevolezza di svolgere un ruolo importante per lo sviluppo del Paese. La sfida futura sarà dimostrare che questa nuova “comunità di progetto” (che oggi è connessa, si incontra ai convegni, fa networking, si legge a distanza, dialoga in skipe, partecipa a conferenze in giro per il Paese), prenda (e, soprattutto faccia prendere ai propri stakeholders) la consapevolezza del peso strategico delle imprese profit e non profit protagoniste dell’offerta culturale del paese. Non vi è dubbio infatti che questa costellazione di esperienze spesso ancora di “piccola scala”, possa localmente sempre più essere capace di costruire luoghi di prossimità ed alimentatori di trasformazione, creatività, innovazione, cultura, attivando processi locali irreversibil. Ma anche, contemporaneamente, promuovere un passaggio dalla piccola alla larga scala nazionale, generando grandi impatti (a partire dal permettere nuove fruizioni al pubblico) ed arrivare così ad avere un progetto di identificazione globale (ad esempio quello di essere / diventare “impresa culturale”). 15
Questa nuova “classe di imprenditori locali della cultura” dovrà fare propria la sfida di enfatizzare la funzione straordinaria che le imprese culturali possono avere per l’economia italiana, rafforzando la consapevolezza che esse hanno un ruolo rilevante nel creare occupazione e valore culturale e sociale per la collettività. Oltre al fatto di diffondere la consapevolezza che un’impresa culturale “innovativa e sostenibile” coglie l’obiettivo di rafforzare gli attrattori culturali locali (e nazionali…) anche in chiave turistica e per questo crea un “ecosistema” di servizi che, integrati a quelli culturali, contribuiscono alla creazione di un circolo virtuoso di sviluppo territoriale. In questo senso, l’impresa culturale diventa l’infrastruttura strategica innovativa e sostenibile per valorizzare le risorse identitarie del territorio, favorire la crescita sociale e lo sviluppo economico. In questi nuovi “ambienti di lavoro” la contaminazione tra la professionalità, il lavoro e la bellezza diventa la caratteristica distintiva di tutte le realtà attive in questi percorsi di impresa culturale. Sono allora necessarie forti competenze relazionali / orizzontali / epatiche e di coordinamento, per guidare questi processi a forte impatto locale, affinché siano il più possibile generativi ed inclusivi. Il successo di queste attività culturali è proporzionale alle qualità di questi percorsi, tanto che si parla di “progetto di processo”. La cultura è quindi considerata non solo un bene materiale, ma anche valutata nella sua dimensione immateriale legata al capitale relazionale che sa sviluppare nella comunità locale (v. il concetto di “Eredità culturale”, contenuto nella Convenzione di Faro). L’ipotesi di fondo è che la cultura generi indotto anche in altri settori correlati (trasversalità / spill over, v. più avanti), a partire dal turismo di tipo culturale, naturalistico/paesaggistico / slow, sociale e quindi il coinvolgimento di più attori sociali è funzionale all’impatto del progetto culturale. L’innesco di queste esperienze può finire anche per valorizzare le produzioni agricole di eccellenza, il food di qualità, la memoria locale e contribuire a promuovere il rilancio integrato ambientale e paesaggistico del patrimonio edilizio di tradizione e dell’intera filiera edilizia ad esso legata, con un significativo ruolo anticongiunturale per l’economia del territorio. Se la cultura diventa un brand per il territorio (e/o viceversa), si innescano virtuosismi e sinergie che portano a giochi win win per tutti gli attori, dando vita a progettualità che non sono di per sé “auto-consumatrici” di risorse, ma beneficiario ne diventa il territorio, che vede lo sviluppo di un indotto positivo (rispetto a cultura, valorizzazione, nuovo pubblico, nuovi lavori, nuovi insediamenti, inclusione e partecipazione, sviluppo di reti locali ed anche vantaggi economici legati ad esempio all’occupazione ed all’attrazione di risorse e progetti, fiscali ) e creare sinergie positive in particolare, come detto, con il settore turistico. Percorsi come quelli descritti possono probabilmente essere riletti e poi correttamente narrati solo a posteriori: sono infatti interazioni comunitarie, dove l’importanza dello “stare nei processi e nelle situazioni” rende difficile definire a priori effetti e risultati. Possono essere percorsi a tratti inefficienti, ma mai inefficaci. La logica della serendipidy è preponderante ed il procedere è tutt’altro che lineare: si avanza anche con ripensamenti, blocchi e superamenti, a volte con accelerate improvvise, a volte molto più lentamente. Ogni scatto in avanti - generalmente - è irreversibile: non si retrocede infatti rispetto a quanto conquistato, soprattutto in termini di risultati, legami acquisiti, apprendimenti e know how (vedi Figura 11.2, con il concept delle montagne russe). Obiettivo è costituire (spesso non da zero, ma riunendo e scoprendo ciò che il territorio offre), un sistema o meglio un ecosistema creativo locale, in cui si genera un nuovo sviluppo, molto labour intensive, basato su una economia culturale immateriale, che mira alla valorizzazione del territorio, di eventi, tradizioni, paesaggio. Si crea quindi occupazione qualificata sui territori, per contrastare la fuga proprio di quei giovani più intraprendenti. Questo modo di fare cultura attraverso la ri-generazione di capitale relazionale locale, ha il vantaggio di procedere in 16
progress - per piccoli passi - ma innescando in modo irreversibile la dimensione della continuità del progetto. Ciò slegandosi dal rischio del “ciclo di vita di un unico progetto finanziato” di cui si è detto prima. Invece qui l’avvio di nuove e diverse attività avviene grazie all’adozione di questo modello economico, a ridotto o diffuso capitale iniziale (fare più con meno), capace di individuare attrattori36 e patrimonio cognitivo. Un effetto di “agopuntura locale” che sa generare un beneficio energetico e diffuso, anche con una ridotta forza iniziale. La tecnologia può dare un grosso contributo in questo senso, con bassi investimenti: AirBnB (il social network che permette ai proprietari di case di offrire direttamente ospitalità e la cui filosofia è “Prenota degli alloggi unici, vivi come una persona del luogo”,), ha permesso di accogliere 3,6 milioni di viaggiatori negli ultimi 12 mesi ed ha visto il numero di host, nel 2016, arrivare a 223.000 (da 234 del 2009), con un impatto complessivo di 3,4 miliardi di euro, nel nostro Paese. Oggi essere connessi alla rete vuole quindi dire avere strumenti nuovi per svilupparsi. Oltre alla tecnologia, come detto, le condizioni di contesto possono facilitare o ostacolare lo sviluppo e l’applicazione di queste idee nuove, in funzione delle determinanti relazionali. In questo scenario, il numero e il tipo di relazioni in cui i diversi attori sono inseriti (embedded) influenza considerevolmente le performance innovative. Le relazioni, infatti, costituiscono importanti veicoli per ottenere risorse di vario genere come, ad esempio, informazioni, status, legittimazione e fiducia, le quali a loro volta possono sostenere i processi innovativi. La cultura è una leva di sviluppo locale che produce un impatto positivo sul territorio, generando occupazione ed indotto, un effetto che viene chiamato spillover. Questo fenomeno in economia avviene infatti quando un'attività economica volta a beneficiare un determinato settore o una determinata area territoriale, produce effetti positivi anche oltre tali ambiti. Il driver di sviluppo è pensare al territorio come ad un ecosistema generativo aperto, innescando processi, conducendone altri, favorendone alcuni pur senza prendervi parte. Un lavoro complesso, faticoso, di cucitura di legami, che incidentalmente produce strappi - per poi rammendarli -, non sempre comprensibile, spesso ricostruibile solo a posteriori. Quindi, l’effetto spillover della cultura è la rilevanza dei variegati esiti territoriali che escono dalla sfera propriamente culturale o imprenditoriale, legati allo sviluppo di “economie di prossimità” sul territorio e che originano il moltiplicatore di risorse di cui si è detto. Agendo in questo modo si è sviluppata una community informale, capace di fornire conoscenze, competenze, capacità realizzative, risorse, dove l’ingresso e la partecipazione di persone, gruppi e imprese in queste reti sono governati da un processo di engagement. Queste community, nei vari territori, sono i costituenti di una nuova economia, che può ridefinire i modelli dell’impresa, del lavoro e del welfare locale, della valorizzazione e dell’offerta culturale. Tra le capacità necessarie vi è infatti è quella di individuare il target di pubblico coerente con il progetto (in una Italia che ha una crisi di eccesso di offerta culturale), interessato ad una specifica fruizione, ad una proposta di un mix tra più esperienze (quindi non solo “spettatore”).
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Gli “attrattori” locali sono delle ricchezze localizzate sul territorio, beni e i servizi che costituiscono il patrimonio di base, la cui individuazione e valorizzazione permette la nascita di “bacini occupazionali locali” (o “nicchie”). La loro individuazione è premessa per l’avvio di questi percorsi di sviluppo locale. Gli attrattori si dividono in più tipologie: Sito-specifici: legati ad una precisa ubicazione fisica, Eventi: legati a precise attività, Reali: con potere di attrazione nel presente, Potenziali: con potere di attrazione nel futuro, Naturali: sempre sito-specifici, Artificiali-antropici: sia sito-specifici che eventi.
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11.4 Il project management della rigenerazione degli spazi Se è vero che il settore cultura è anticiclico e generativo (con un “effetto moltiplicatore” di occupabilità e risorse), così come è vero che vi sono risorse della nuova “finanza di impatto” che aspettano di incontrare “idee sostenibili”, capaci anche di considerare le potenzialità della rigenerazione urbana visto l’enorme potenziale degli spazi vuoti di cui è piena l’Italia (si pensi anche ai lasciti37), non si devono creare ingenue illusioni. Va subito esplicitato infatti che non tutte le attività ed i progetti culturali funzionano: occorre infatti che siano ben gestite. Sono molte le potenzialità da rileggere (v. ad es. quelle legislative legate al riuso degli spazi), però anche in maniera operativa e non più solo teorica e di principio. Tab. 11.2 I fondamenti giuridici della rigenerazione degli spazi - legge 383/2000, art. 32 "Disciplina delle Associazioni di Promozione Sociale”: concessioni gratuite di beni dello Stato ad Associazioni di promozione sociale e di volontariato - art. 9 D.P.R. n. 296/2005 “Concessione di immobili dello Stato”: immobili gestiti dall'Agenzia del demanio, edifici scolastici e strutture sanitarie pubbliche o Ospedaliere possono essere oggetto di concesse a APS e onlus per finalità di di interesse pubblico o di particolare rilevanza sociale - Legge n. 112 del 7 ottobre 2013: "Valorizzazione del patrimonio culturale italiano”: art. 6: entro il 30 giugno di ogni anno, l'Agenzia del Demanio segnala al MIBACT beni immobili dello Stato - caserme e scuole militari in primis - per residenze artistiche gratuite - L. 106/2014 “accessibilità a cultura e turismo”: per promozione di turismo ambientale, le case cantoniere, i caselli e le stazioni ferroviarie o marittime, le fortificazioni e i fari, immobili di appartenenza pubblica non utilizzati, possono essere concessi in uso gratuito, a coop e associazioni giovanili (under 40) - art 24 e 26 della L. 164/2014 “Sblocca Italia”: | Comuni individuano i criteri in base ai quali cittadini singoli o associati possono presentare progetti con finalità di interesse generale - Art. 71 c.2, Decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 117: Lo Stato, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, agli enti del Terzo settore, ad eccezione delle imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. La cessione in comodato ha una durata massima di trent’anni, nel corso dei quali l’ente concessionario ha l’onere di effettuare sull’immobile, a proprie cura e spese, gli interventi di manutenzione e gli altri interventi necessari a mantenere la funzionalità dell’immobile. - Art. 71 c.3, Decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 117: I beni culturali immobili di proprietà dello Stato, del- le regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici, per l’uso dei quali attualmente non è corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro, possono essere dati in concessione a enti del terzo settore […] con pagamento di un canone agevolato, determinato dalle amministrazioni interessate, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione a spese del concessionario, anche con l’introduzione di nuove destinazioni d’uso finalizzate allo svolgimento delle attività indicate38 […]. La concessione d’uso è finalizzata alla 37
Il cui valore stimato oscilla tra il minimo di 12 miliardi di euro nel 2020, ad un massimo di 130 nel 2030. 38 Si tratta di f) interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni; h) ricerca scientifica di particolare interesse sociale; i) organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato e delle attività di interesse generale di cui al presente articolo 5; k) organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso; z) riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata.
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realizzazione di un progetto di gestione del bene che ne assicuri la corretta conservazione, nonché l’apertura alla pubblica fruizione e la migliore valorizzazione. Dal canone di concessione vengono detratte le spese sostenute dal concessionario per gli interventi indicati nel primo periodo entro il limite massimo del canone stesso. L’individuazione del concessionario avviene mediante le procedure semplificate di cui all’articolo 151, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Le concessioni di cui al presente comma sono assegnate per un periodo di tempo commisurato al raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa e comunque non eccedente i 50 anni.
Occorre infatti bilanciare e integrare queste opportunità con altri settori, all’interno di un nuovo paradigma di sviluppo e benessere equilibrato e sostenibile, che è indispensabile gestire con grande competenza e responsabilità, evitando di cadere in pregiudizi, luoghi comuni e banalizzazioni. Un punto chiave della maggior professionalizzazione e della contemporaneità che i nuovi soggetti di questo comparto devono esprimere, è quello delle maggiori conoscenze e competenze specifiche. Non ci si improvvisa infatti né project manager né fundraiser, anzi si tratta di aspetti gestionali per i quali preparazione, predisposizione ed esperienza sono imprescindibili e fanno la differenza. Le determinanti del “successo” (inteso come mix tra sostenibilità ed impatto positivi) dei progetti e delle attività culturali sono proporzionali al passaggio a nuovi paradigmi d’impresa, che sono, oltre la leggerezza, anche la visibilità, la flessibilità, la rapidità, la molteplicità39. In questo contesto quindi, il successo non è dato da una competizione sui costi: la qualità è giudicata dai pubblici40 (e non determinata a priori da “iso standard”, come nel “vecchio paradigma” dell’impresa) e conta più del prezzo. La qualità è data infatti da un valore intangibile, che supera quello tangibile “di prodotto” che tra l’altro non è più sempre in grado di retribuire i fattori di produzione41 anche in altri settori. Sono invece le narrazioni elaborate dalla cultura (che rappresentano anche una visione del mondo) che possono contribuire a creare valore aggiunto anche per gli oggetti42. In questo contesto è evidente che le progettazioni innovative non sono più iscritte nel tempo “kronos” dell’impresa azienda (cioè quello pianificato, basato su approcci deterministici, su orizzonti lunghi, sulla ripetitività, sugli standard di qualità, sul controllo dalla “deviazione”, sulle produzioni di scala per il contenimento dei costi, sulla divisione del lavoro), ma in quello “kairos”, dove prevale la capacità di cogliere il momento, l’opportunità, l’imprevisto e l’inatteso43, l’emersione del nuovo, la collaborazione, il network, l’intelligenza connettiva, il lavoro creativo, l’approvvigionamento di conoscenze diversificate e rilevanti, in rapporto diretto con la società. Ciò guidati dalla “bussola” di una forte mission e vision, potendo contare su leadership
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Calvino I. (2000), Lezioni americane, Milano, Mondadori. E ciò avviene sempre più anche per strutture, prodotti, servizi, persone, prestazioni, grazie sempre al web ed al coinvolgimento dei clienti come “valutatori”. 41 Ci riesce ancora nelle economie emergenti a bassissimo costo del lavoro, ma non ci vorrà molto perché le cose cambino anche in quei paesi: i mercati sono globalizzati, anche quelli del lavoro. 42 Sempre più spesso infatti si compiono scelte di consumo che permettono di partecipare ad una narrazione comune. 43 È il concetto di “serendipity”, un neologismo che indica il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un’altra, che però spesso si rivela di valore ed utilità superiore ai propri scopi, ma non se ne aveva coscienza. Sviluppare quindi nelle reti forti capacità di ascolto e coinvolgimento, moltiplica le possibilità che si rivelino queste opportunità inaspettate. 40
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preparate e team motivati44, risorse vincolate ai progetti e decision making (v. Tab. 11.3). La presenza di queste cinque dimensioni chiave comporta una “vitalità” organizzativa funzionale al successo, mentre la carenza anche solo di uno di questi fattori provoca il prevalere di confusione, angoscia, rallentamenti, frustrazioni e sogni.
Tab. 11.3: Le imprese culturali: cosa provoca la carenza di una dimensione Progetto Culturale Leaders dell’organizzazione (mission forte e vision condivisa)
Team interno
Risorse Decisioni Vitalità
Leaders
Team interno
Risorse Decisioni Confusione
Team interno
Risorse Decisioni Angoscia
Progetto Culturale dell’organizzazione (mission forte e vision condivisa) Progetto Culturale Leaders dell’organizzazione (mission forte e vision condivisa)
Risorse Decisioni Rallentamento
Progetto Culturale Leaders dell’organizzazione (mission forte e vision condivisa)
Team interno
Progetto Culturale Leaders dell’organizzazione (mission forte e vision condivisa)
Team interno
Decisioni Frustrazione
Risorse
Sogni
In queste organizzazioni, il valore dell’innovazione si basa sulla creazione di valore intangibile, la cui fonte – i contesti cognitivi – è inesauribile45, mentre il valore della produzione dell’impresa vecchio paradigma, si basa su trasformazioni tangibili che consumano risorse del pianeta, più o meno limitate. Sembra di essere dunque alla fase iniziale di un nuovo ciclo, in cui l’impresa, anziché limitarsi a un confronto con istituzioni regolanti, contribuisce a creare un ecosistema complesso, in cui essa stessa non è un soggetto predefinito, come l’azienda, ma acquisisce una identità via via che interagisce con altri soggetti, sempre più numerosi e a loro volta interconnessi: si comporta come un soggetto cognitivo, cioè come un “quasi-vivente”46. In questo contesto, l’impresa (o la “quasi”) culturale che in fase di“start up” spesso si “sovrappone” 44
E che prendano parte al percorso di progettazione in modo volontario e non ad esempio in rappresentanza di… o su ordine del… . La libertà della persona è alla base di ogni processo di trasformazione. E l’innovazione e la trasformazione delle situazioni partono dal cambiamento personale. Stare in un progetto senza esserne coinvolti e contaminati, non è quindi possibile. 45 Ad esempio, nei due bandi Culturability 2016 e 2017 della Fondazione Unipolis, su 951 progetti, il 40% proviene dalle quattro Regioni del Sud ad Obiettivo Convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), a dimostrazione che la dimensione dell’innovazione sociale non presenta aspetti di divide tra Nord e Sud, tra centro e periferie, metropoli e aree interne. 46 Zanenga P. (2010), Le reti di Diotima. Società della conoscenza ed economia della bellezza, Carocci Editore, Milano.
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(e si identifica) con solo uno o più progetti, è avviata non unicamente per raggiungere obiettivi che si conoscono, ma è invece aperta ed interessata a quelli che ancora non si conoscono, creata per far nascere situazioni nuove (e non “prodotti standard”, ma invece unici ed irripetibili), capace appunto di cogliere opportunità e valore date delle connessioni (es. tra settori, a partire - come detto - dal turismo). In questi contesti, è proprio la conoscenza (ed in particolare quella “tacita”) a fungere da nuova “materia prima”, per cui la cultura ha un ruolo determinante, anche perché l’innovazione nasce da questa diversità di conoscenze, da una ridondanza e sovrabbondanza di fonti e dalla “trans settorialità”. In queste nuove situazioni, prevalgono le dimensioni del cooperare, del condividere (che traspare nei termini co-working, sharing, wiki, crowdfunding) e un approccio interdisciplinare alla soluzione di sfide e problemi sempre più complessi, dove le conoscenze sono però uno strumento e non la soluzione stessa47. È la “soft economy”, un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione, ma anche sull’identità, la storia, la creatività, la qualità. Un’economia in grado di coniugare coesione sociale e competitività e di trarre forza dalle comunità e dai territori48. Osservando quanto sta capitando, ci si trova davanti un ecosistema in cui si sviluppano nuovi paradigmi, generati anche grazie all’avvento di piattaforme sul web, meno costose, meno rischiose e più veloci delle precedenti, capaci di generare risparmi e nuove risorse49. E’ chiaro quindi che la nuova impresa culturale non è una trasposizione dell’impresa tradizionale in un nuovo settore (come è già avvenuto in tante altre circostanze) con annessi e connessi (a partire da strumenti e processi produttivi, di lavoro, ecc.). A partire dal fatto che la conoscenza tacita alimenta, motiva e coinvolge l’impresa culturale, quest’ultima contribuisce a produrre una nuova cultura di impresa. Di conseguenza anche il project management non può essere un mero adattamento di quanto vale nell’impresa tradizionale, aggiungendo magari il solo aggettivo “culturale”. Infatti il project management può essere proprio una di quelle attività che - in modo emblematico - diviene rappresentativo della transizione tra il modo di operare dell’azienda gerarchica “vecchio paradigma” ed il modo di operare delle reti. A partire dal fatto che il project management culturale, per quanto detto prima, si confronta con una serie di variabili che dipendono da un contesto aperto, a differenza della programmazione aziendale. Anzi è un’attività di business transformation che aiuta nella transizione di un contesto a forte intervento e regia pubblica ad uno nuovo, appunto di imprenditoria (se non imprenditorialità) culturale. I progetti culturali sono infatti un ibrido di vincoli determinati e di situazioni emergenti, non deterministiche. Si è in una situazione in cui una definizione dei percorsi troppo rigida (ed organizzata su strumenti dell’impresa tradizionale) rischia di portare all’insuccesso. Il Project Management culturale è un’arte, oltre che una tecnica, e richiede un feedback continuo da 47
In questo senso sono necessari luoghi e tempi da dedicare all’innovazione per connessioni, degli “otium lavorativi” ad hoc, che non possono però essere nelle sole istituzioni, o imprese, o Università, ma sempre sulle interazioni e sui confini tra questi spazi (“open innovation”, v. Il Libro Bianco sull’innovazione sociale - Open Book, 2015) 48 Cianciullo A., Realacci E. (2005), Soft Economy, Rizzoli, Milano. 49 Google è uno di questi super aggregatori di conoscenze, a livello esponenziale, quindi infinito, che permette a tutto il mondo di farsi vedere e vedere la realtà attraverso questo motore di ricerca. Un aggregatore è oggi una “meta impresa” che, comparato alla fase d’inizio della Rivoluzione industriale, equivale a quella che una volta la grande fabbrica rappresentava per il (piccolo) artigiano. Il passaggio a nuovi paradigmi richiede anche una nuova finanza, che colga questi nuovi asset: gli esempi non mancano a partire dal crowdfunding e nemmeno le capacità della cultura di dialogare con questi strumenti (ad es. i due terzi delle produzioni teatrali dal basso, riescono ad ottenere i finanziamenti grazie ai risultati su piattaforme tipo Kickstarter, Eppela, produzionidalbasso). Fonte: v. Nota precedente.
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parte di tutti i players coinvolti. In altre parole, percorsi, milestones50, deliverable51, alternative, biforcazioni, ecc. non vanno intesi come strumenti predittivi determinati, ma come strumenti euristici per orientarsi in un contesto complesso e variabile. Per questo si adotta la what if analysis (v. Fig. 11.4): si ipotizzano cioè diversi scenari, che prendono forma a seconda del verificarsi o meno di alcune condizioni di partenza e all’utilizzo delle risorse nel tempo.
Fig. 11.4 La What if analysis
In questi contesti, dove il successo deriva da una forte capacità innovativa, difficilmente è possibile imporre un ordine determinato in precedenza. Non è il rispetto delle procedure ad interessare veramente il cliente (inteso come pubblico e, tra l’altro, sempre più come “partecipattore”), quanto il value-added che si forma nei processi, anche grazie al fatto che - a livello micro - il programma cambia di continuo. La capacità di accogliere i cambiamenti è funzionale al successo stesso del progetto ed è fondamentale la capacità di interpretazione di quanto si sviluppa nelle varie fasi del percorso. L’utilizzo delle reti (reali e virtuali) può accelerare straordinariamente alcuni progetti: infatti la creazione di ridondanza52 libera vincoli sulle risorse, e crea molteplici percorsi paralleli che si aiutano e si verificano vicendevolmente, andando a 50
Sono quei punti di arrivo fondamentali che fanno fare uno scatto in avanti al progetto, le tappe determinanti del suo avanzamento, il conseguimento di obiettivi e traguardi intermedi ma importanti nell’economia e nel complesso del progetto. 51 Sono task di attività che devono essere completate dentro il progetto. Un gruppo di deliverable costituisce una pietra miliare (o milestones). 52 La complessità si può definire come un “fenomeno quantitativo determinato dal numero di interazioni e di interferenze tra un numero elevato di entità” sapendo che “Dobbiamo abituarci ad una certa ambiguità ed a una ambiguità certa” (Edgar Morin).
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sviluppare un “project management per le reti aperte” e per le “organizzazioni a rete”, che trova molti esempi pratici nella gestione dei progetti di innovazione culturale53, a partire da quelli di rigenerazione54 / valorizzazione del patrimonio artistico / simbolico / religioso, in cui è evidente che il valore del bene non è “solo” quello storico, ma anche quello contemporaneo rispetto a ciò che riesce ancora a trasmettere oggi. In questi progetti poi le possibilità reali di fruizione sono importanti rispetto alla mera proprietà: di nuovo, allora, le capacità di tessere alleanze, reti, collaborazioni (dall’esito incerto ad inizio percorso) tra attori diversi sono fondamentali per il successo del progetto, soprattutto se sa diventare un sistema di governance multi-attoriale ben articolato. Tab. 11.4: Il project management culturale: la definizione di Argano L. (2012), in Manuale di progettazione della cultura, Franco Angeli. Il project management culturale rappresenta la gestione sistemica di una attività complessa, unica, di durata predeterminata, orientata al conseguimento di più obiettivi e finalità predefinite a carattere innovativo, sociale e culturale, realizzando un risultato che consiste in un prodotto, un servizio o una esperienza originale, a elevato contenuto intellettivo e creativo, attraverso un processo di conduzione progettuale, una logica adattativa e lʼimpiego di persone e risorse organizzate differenziate materiali e finanziarie, unitamente alle informazioni (prescrizionali, modelli, dati, etc.) e relazioni, privilegiando il lavoro di gruppo (team), con vincoli interdipendenti derivanti da tempi, ambiente, ambito e sostenibilità del progetto, risorse, qualità complessiva.
Preso atto del contesto in cui sono inserite le attività culturali e le dimensioni da considerare nello specifico della progettazione, emerge quanto l’engagement, ovvero il coinvolgimento emotivo con cui le persone partecipano attivamente, rappresenti una delle sfide primarie del settore, non essendo certo la competizione sul prezzo55. Riuscire a coinvolgere il pubblico della cultura in attività di progettazione, ricerca di senso, comunicazione, formazione, educazione, volontariato, valutazione, costruzione di comunità di interessi, comporta un impatto delle attività tale da giustificare lo sforzo delle organizzazioni. Il maggiore impegno, l’iniziativa e la passione delle persone “engaged” permettono risultati migliori rispetto all’incremento di pubblico (es.
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Ad esempio l’azione di preservare e difendere un bene trova meno interesse e passione rispetto a quella di rigenerare uno spazio, che è più coinvolgente, attrae maggiori risorse e “pubblici”. Nella rigenerazione, infatti, l’interesse parte dal “genius loci” dello spazio e non solo dalle attività lì proposte e/o dai lavori di “risistemazione”, tanto che generalmente il “pay off” (la frase riassuntiva che accompagna la promozione del progetto) non identifica le singole azioni, ma è oltre. Nel rapporto contenuti / contenitore, i primi possono essere “de-localizzati”, mentre il “genius loci” - se ben identificato, condiviso e comunicato - funziona da “aggregante”, anche ad esempio per azioni di crowdfsourcing (richiesta di idee, suggerimenti, opinioni, rivolta agli utenti di Internet da un'azienda o da un privato in vista della realizzazione di un progetto o della soluzione di un problema). 54 Bacchella U., Bollo A., Milella F. (2015), “Riuso e trasformazioni degli spazi a vocazione culturale e creativa: un driver per lo sviluppo, ma a quali condizioni?, in “Io sono cultura – Rapporto 2015”, Fondazione Symbola, Roma. 55 La curva di domanda della cultura è infatti molto rigida.
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grazie al passaparola positivo56), alla miglior reputation sui social, ad un “sentiment” positivo verso le attività, alla soddisfazione dei clienti, ma anche rispetto all’incremento dei profitti di medio / lungo periodo, per citare solo alcuni dei principali indicatori che giustificano l’engagement come scelta strategica della progettazione delle attività culturali. L’Engagement del pubblico della cultura è paragonabile al concetto di operaio aumentato nelle nuove fabbriche dell’Industria 4.057 (“quarta rivoluzione industriale”). Si tratta di lavoratori in grado di gestire i dati, compiere una pluralità di operazioni, connettersi agli altri, mettendo al servizio del lavoro quelle stesse abilità di “nativi digitali” che utilizzano nella vita privata, interpretando il lavoro in modo più creativo, responsabile e coinvolto. Ciò in un contesto di responsabilità ed interconnessioni maggiori, dove infatti i livelli organizzativi sono mediamente ridotti da sette (nelle aziende standard) a quattro (in quello 4.0). In un contesto dove l’offerta culturale è sempre più trasparente e valutata direttamente dal pubblico, la sfida diventa oggi costruire organizzazioni / attività culturali “irresistibili” (v. Tab. 11.5). Tab. 11.5: Impresa culturale e missione forte. -
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non c’è impresa culturale autentica senza missione forte senza missione non c’è posizionamento distintivo, necessario in un contesto esterno caratterizzato da eccesso di offerta e tagli delle risorse pubbliche non ci sono pubblici senza missione forte le risorse sono sia pubbliche che private, ma non c’è raccolta fondi senza missione forte e pubblico appassionato ed ingaggiato non c’è volontariato culturale senza missione forte (donatori e volontari chiedono di conoscere quanto bene si fa all’organizzazione con il proprio impegno) vi è un “vincolo ed una finalità di missione” che sostiene il “vincolo economico” e alimenta la ricerca dell’eccellenza tecnico organizzativa, in un contesto che necessita di un approccio imprenditivo competente.
In questo senso, l’engagement del pubblico non è l’ultima frontiera del marketing della cultura58, ma sono i percorsi per arrivare ad una attribuzione condivisa di significato alle azioni da parte della comunità del pubblico. Per questo la profilazione dei pubblici59, l’individuazione dei partner, la definizione dell’identità e del concept del progetto culturale, ne portano a descrivere il profilo strategico, che si unisce agli elementi di fattibilità (governance, conto economico e funding mix, risk management). La sostenibilità è ottenuta con un funding mix molto articolato, capace ad esempio di reperire risorse da enti pubblici o privati, in aggiunta alle entrate commerciali previste ed alle risorse ottenute da attività di fund rainsing. Si progetta di conseguenza una struttura modulare dei costi, in modo da permettere una certa flessibilità e un’attivazione graduale delle attività in funzione della loro capacità di finanziarsi. Questo “stare nei processi” unito ad un approccio di analisi progettuale legate al “cosa succede se” (v. Fig. 56
O sui social, anche grazie ai followers di Twitter, ai “Mi piace” su Facebook, i fans e/o gli “influencers” sugli altri social. 57 Magone A., Mazali T. (2016). 58 Bollo A (2014), Si fa presto a dire Audience Development, in doppiozero.com 59 I tre nuovi "target group" del pubblico della cultura possono essere descritti con il modello delle "tre e” (v. Wired dell’aprile 2011): portatori di esigenze (drivers), di esperienze (players), emozioni (unpluggers).
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3), permette di gestire gli imprevisti nello sviluppo dei percorsi e re-agire immediatamente per cercare nuovi equilibri. Progettare infatti significa occuparsi di limitare il rischio e gestire l’incertezza, in un contesto di alta variabilità e di fattori il cui verificarsi (o meno…) cambia scenari in modo anche definitivo. 11.5 Gli strumenti del project management della rigenerazione culturale La progettazione culturale avviene - come detto - innescando processi trasformativi tutt’altro che lineari, promuovendo connessioni che sono relazioni tra attori diversi e che quindi non possono non prevedere intoppi, arretramenti, stop and go, uscite ed entrate, illusioni e delusioni, ecc. Molto del lavoro di project management culturale si giustifica nel riuscire a far integrare culture organizzative diverse (portate dai diversi attori), a gestire relazioni in modo professionale, a costruire a partire dalle emozioni organizzative e di processo che possono generarsi (ansie, paure, invidie, rivalità, tristezze malcontento, entusiasmi, gioie, frustrazioni), a superare imprevisti, intoppi, difficoltà relazionali che i processi di lavoro in ambito culturale avvengono regolarmente. Il project management culturale è un lavoro per e con le persone, per dar vita a “beni comuni”, che si co-costruiscono con “gente comune”. Fig. 11.5: Due rappresentazioni delle progettazione: quella logico /lineare e quella di design di processo creativo
La capacità del project management sta nel saper far cogliere il momento Kairos60 (v. Fig. 11.5) al team coinvolto nel processo, a procedere attribuendo significati condivisi agli accadimenti (attingendo ad un sapere narrativo-immaginativo), procedendo anche in fasi di caos, di “sospensione di giudizio”, ansia confusiva e ricerca, per poi ridefinirsi in un percorso ed arrivare ad una pulizia di concept ed infine di design di progetto / prodotto culturale. Un esito condiviso (spesso rappresentato anche da un simbolo) - co-costruito con gli attori - che hanno integrato i propri punti di vista, partecipato attivamente ed emotivamente al percorso, partendo 60
l’intuizione (o il “pre-sentire”) è una parte importante del processo di progettazione culturale e si può imparare ad affinarla, cominciando a raccogliere pensieri.
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da un riconoscimento delle logiche dell’altro, grazie ad un percorso di conduzione del team di lavoro. Stare nell’incertezza significa assumere che il divario tra l’ideale e il reale (utile per definire bisogni ed obiettivi del progetto, partendo spesso dai desideri del team) è una dinamica psicologica motivazionale e trasformativa da tenere presente nel processo della progettazione. Per fare ciò, è necessario concentrarsi anche sulla formazione, sugli apprendimenti e sull’empowerment degli attori coinvolti, così come sul costruire un comune lessico ed una base metodologica condivisa. Il project management culturale non può non comprendere quindi questi aspetti, che sono funzionali al raggiungimento del risultato finale, pur rischiando di essere meno efficienti, ma comunque efficaci. Se non addirittura “eccellenti”, perché generati grazie quel proposito collettivo necessario all’avvio del processo di trasformazione. Infatti seguire la vocazione (talento, passione, competenze, desiderio) fa la differenza tra la leadership trasformazionale, che dura in modo sostenibile e la leadership più superficiale. La “trasformazione” richiede infatti il coinvolgimento del gruppo e di ognuno, una visione condivisa, una comunicazione personalizzata ed ha come effetto il cambiamento dei modelli del pensare e dell’agire61, assumendo un cambio di prospettiva. La progettazione è anche un percorso di apprendimento organizzativo, pur non essendo un’aula di formazione, ma un percorso spesso ad assetti variabili e a multilivelli di responsabilità e partecipazione. In questo modo, la leadership si distribuisce tra tutti gli agenti, eliminando progressivamente l’identificazione della leadership con il ruolo formale della dirigenza e nascono le “comunità di pratiche”. E’ sempre più chiaro che il project management culturale non solo pianifica una trasformazione da attuare, ma è esso stesso un percorso di trasformazione, muovendosi con un approccio sistemico relazionale. Tutto ciò presuppone quindi leadership trasformazionali (quindi orizzontali, di community), più ispirazionali (per favorire il “prendere parte”), che dirigistiche o burocratico / formali o legate ad una esclusiva funzione di direzione tecnica, artistica. Nemmeno funzionano le leadership autoritarie, ne “solitarie”, nemmeno quelle centrate sul “sacrifico” e sulla “rinuncia”, anche se nelle prime fasi - unite a passione e competenze - spesso rendono sostenibile l’organizzazione. La leadership (e non il leader, v. Tab. 1) deve invece saper costantemente dotare di significati il lavoro per porre nuove sfide, personali e di team, organizzative e di territorio, che facciano perno su innovazione62 e creatività, capaci di alzare il livello delle aspettative, motivare e sviluppare fiducia tra i collaboratori favorendo ed incoraggiando la loro azione e le loro relazioni positive, i loro apprendimenti ed esserne modello di ruolo. In ogni caso, è essenziale che sia alta la motivazione delle persone che operano in queste organizzazioni63, a prescindere dal fatto che siano volontari o professionisti. A tutti è infatti richiesta adattabilità al contesto ed alle 61
A volte la progettazione non porta esisti sino a quando le persone coinvolte si mettono in gioco, sono motivate, apprendono, quindi “si trasformano” e così diventa possibile progettare le attività, in un rapporto circolare tra la trasformazione dei singoli ed il cambiamento trasformativo del team, dell’organizzazione, delle reti, dei territori. 62 L’innovazione nei percorsi (e nelle organizzazione), non procede con l’unanimità dei consensi o “a colpi di maggioranza”. Parte generalmente da un nucleo di pionieri (che possono anche non raggiungere i risultati previsti) - magari in più situazioni - e (se funziona) si diffonde a “macchia d’olio”. La trasformazione avviene prima, e soprattutto, nell’interazione delle persone e non solo dei sistemi organizzativi. Per questa bisogna dar vita a processi relazionali “caldi” e stimolanti, dove le persone partecipano volentieri, stando anche bene. 63 Anche perché l’innovazione (proprio per quanto detto nella nota precedente) fondandosi spesso su intuizioni, privilegia condivisioni immediate per poi espandersi - irreversibilmente (se funziona…) - nelle organizzazioni e nei territori.
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situazioni, essere “multitasking” ed adottare un approccio “problem solving”. Inoltre, in queste organizzazioni, va sempre sottolineata l’importanza della progettazione e della programmazione che devono avvenire in un clima “rallentato” di “sospensione” dalla quotidianità, che invece è pressante, veloce e pulsante, oltre che appiattita dalle questioni operative e gestionali. È riconosciuto fondamentale anche il ruolo della formazione continua e del “learning by working” degli operatori. Infine, vi è una dimensione forte di informalità che non significa mancanza di formalità (cioè di forma), ma “formalità leggera” o “non convenzionale”. L’organigramma deve tener presente tutti i “lavori” che richiedono le attività culturali, che non sono solo quelli creativi ed artistici, ma anche amministrativi, burocratici, tecnici, organizzativi e di marketing. Passione, competenze ed alta motivazione contribuiscono ad una maggiore produttività del lavoro e, quindi, anche ad un risparmio di costi, dimensione da avere presente, alla luce delle considerazioni inerenti il budgeting. Oltre a questi strumenti molto potenti ed immateriali, ne esistono altri più gestionali. Il project management supporta l’organizzazione in una (o più) delle attività indicate nella Tab. 11.6, ripensati ad hoc per le attività culturali. Tab. 11.6: Attività, strumenti e metodologie del project management ATTIVITA’
STRUMENTI E METODOLOGIE
Definizione dei valori, Identificazione dei valori ed esplicitazione di mission e vision, a sostenibilità, prodotti, ciclo partire dall’analisi dello Statuto (“the reason why”) di vita Individuazione della fase del ciclo di vita dell’impresa Analisi del “portafoglio prodotti” SWOT analysis e business canvass Budget triennale e Budget degli investimenti Business plan semplificato I passaggi per la generazione di nuove risorse Definizione degli stakeholders, degli strumenti di analisi del proprio pubblico e di strategie di audience development ed engagement Definizione degli aspetti principali di un progetto culturale: obiettivi; strategie e risultati attesi; Risorse organizzative ed economico-finanziare necessarie; aspetti logistici e tecnici; valutazione dei rischi e analisi dei risultati; identificazione e organizzazione di gruppi di lavoro per la progettazione e la realizzazione delle attività;
Analisi delle reti organizzative e percorsi di sviluppo a rete Networking e ‘lobbying’ per la cultura Identificazione di nuovi stakeholders per l’impresa culturale: le aziende profit, dalle sponsorizzazioni alle partnership di valore Targeting e segmentazione: individuazione dei criteri dell’’out-reach’ Strategie per il coinvolgimento di nuovo pubblico ed analisi dei rapporti con i media Il piano di marketing di prodotto Identificazione di strumenti di raccolta fondi su progetti Design di progetto Data base per la gestione dei progetti culturali Definizione delle risorse dell’impresa culturale: make or buy? L’organigramma ed il disegno organizzativo La progettazione del ruolo dei volontari nell’impresa culturale Recuperare efficacia nei processi organizzativi interni Misurazione di efficienza e utilità sociale prodotta Progettazione e gestione della lean organization Team working tra professionalità e volontariato Bottom up ed approccio partecipativo La formazione adeguata Il responsabile di progetto
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ATTIVITA’
STRUMENTI E METODOLOGIE
supporto alla realizzazione di un’analisi di benchmarking, di un piano di marketing e all’attività di budgeting in relazione al piano strategico dell'organizzazione. definizione degli stakeholders, degli strumenti di analisi del proprio pubblico e di strategie di audience development ed engagement
Individuazione e analisi di best practices Il piano operativo di marketing Identificazione di strumenti di raccolta fondi e di autofinanziamento Strumenti di budgeting e introduzione alla contabilità di progetto ed alla rendicontazione Analisi dei costi Analisi della forma giuridica migliore alla fase di vita dell’impresa Analisi delle reti organizzative e percorsi di sviluppo a rete Networking e ‘lobbying’ per la cultura Identificazione di nuovi stakeholders per l’impresa culturale: le aziende profit, dalle sponsorizzazioni alle partnership di valore Targeting e segmentazione: individuazione dei criteri dell’out-reach sul territorio Strategie per il coinvolgimento di nuovo pubblico ed analisi dei rapporti con i media
L’utilizzo di questi strumenti è importante fin dalla prima fase di progettazione di queste organizzazioni, proprio perché l’avvio avviene, come detto, con poche risorse: non è quindi il capitale economico l’asset principale, quanto piuttosto quello della conoscenza e della creatività, oltre che la motivazione ed il desiderio. L’analisi SWOT64 può essere un buon punto di partenza per la progettazione Fig. 11.6: Una applicazione dell’analisi SWOT
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Metodologia di analisi SWOT (conosciuta anche come Matrice SWOT) è uno strumento di analisi e valutazione (al fine di una pianificazione strategica su obiettivi fissati) usata per valutare i punti di forza (Strengths), i punti di debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di un ambiente interno ed esterno in cui si agisce come organizzazione (o ente), progetto (o singolo): minacce e opportunità fanno riferimento all’ambiente esterno e al sistema in cui si agisce; i punti di forza e le criticità sono elementi più interni.
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Il budget di queste attività è molto semplice e contenuto, per cui è possibile per tutti cimentarsi nell’elaborazione, disponendo così di uno strumento di programmazione da usare periodicamente per analizzare gli scostamenti tra quanto ipotizzato ed ottenuto e condividere le motivazioni di questi gap. L’organizzazione - come detto - non ha molti progetti, per cui soprattutto all’inizio - la gestione dei progetti coincide e si identifica con l’organizzazione (v. Fig. 11.8), anche se va tenuto da subito conto di quelle attività extra culturali, fondamentali per la gestione organizzativa, che se non presidiate - soprattutto all’inizio - possono portare successivamente a dei “guasti”. La gestione della sostenibilità complessiva dei progetti culturali avviene con la ricerca di equilibri che individuano “prodotti” che cedono risorse ad altri che ne necessitano, perché producono alta utilità culturale / sociale, ma non ricavi sufficienti a coprire i costi. La sfida della sostenibilità è tenere insieme il tutto ed alimentare costantemente questo sistema, ricorrendo anche alla finanza (v. Fig. 11.7), per la gestione dei flussi di risorse. Fig. 11.7: La matrice redditività / utilità culturale e sociale dei progetti
Nella fase successiva all’avvio, l’impresa culturale si confronta con il tema dello sviluppo di strategie di crescita, sempre grazie all’incremento del proprio portafoglio prodotti. Viene in aiuto un altro strumento, quello della matrice prodotti / mercati (v. Fig. 11.8). Si tratta di una matrice che permette di determinare quattro strade per lo sviluppo, attraverso i prodotti esistenti o di nuova concezione, in mercati esistenti o nuovi, intesi come territori, ma anche come “community” di interessi. Si individuano così quattro strategie diverse, che vanno dalla penetrazione nei mercati esistenti, fino alla diversificazione (di prodotti e mercati), passando per lo sviluppo di prodotto e di mercato.
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Fig. 11.8: La matrice prodotti / mercati dell’impresa culturali
La struttura organizzativa è a rete, molto semplificata, con pochi livelli gerarchici e capi intermedi. Rispetto alla tecnostruttura si riscontra sia una integrazione nella linea di produzione (collegata a team interfunzionali), che una sua riduzione, collegata a scelte di outsourcing. Queste scelte sono costitutive di questo nuovo modello di imprenditorialità, che si contraddistingue anche per il fatto che i confini organizzativi sono molto labili, in quanto i processi produttivi sono spesso a rete, fondati su legami fiduciari. Si sviluppa una “economia del co” (o “we economy”) che porta gli attori alla cooperazione creativa nel formare dei team (già in fase progettuale), alla co-generazione di opportunità e di lavoro (anche di nuovo artigianato, spesso digitale), condivisione di informazioni (social, wiki), risultati (share), strumenti (co-working, fab lab, hub). Questo modello, nato dalla carenza di risorse economiche (a partire da quelle pubbliche), ha trasformato ciò in virtù. La collaborazione sulla rete web avviene per strategie di ricerca di capitali (crowdfunding) e di risparmio dei costi (il ri-uso, la sostenibilità, la mobilità sostenibile, il “low cost”). Queste nuove “imprese culturali” si presentano quindi non come soggetti isolati, ma come attori di un sistema di relazioni articolato, intenzionalmente disegnato ed orientato alla produzione. Un nuovo concetto di distretto industriale, dove alcuni attori della rete possono però essere localizzati anche a distanza. Da un certo punto di vista, se una volta l’imprenditore coincideva esclusivamente con la figura del proprietario dei mezzi di produzione, qui la funzione imprenditoriale si gioca nel ruolo di nodo (e manutentore) di relazioni della rete. In questo sistema viene ridotta anche la distanza tra produzione e consumo (o fruizione), tanto che il cliente/committente partecipa attivamente a parte del processo produttivo, divenendo - come visto - un “partecip-attore”. Nascono quindi
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sistemi di gestione delle relazioni con clienti e fornitori65 attraverso il contatto diretto, personalizzato e duraturo, di fiducia reciproca, il che è facilitato dai new media (social, app, blog, community, etc.), che sono tra l’altro strumenti poco costosi ed estremamente pervasivi66. In queste nuove dinamiche, sempre più si registra il coincidere tra reti reali e virtuali: si conoscono gli interlocutori, li si “segue” e si è “seguiti”. Ciò dimostra che nella rete non esiste centro e periferia, ma nodi, dove ognuno è centro di relazioni più o meno intense con altri attori divenendo quindi “mondo”. La struttura a rete vede infatti l’esistenza di gruppi con un ordinamento poco gerarchizzato e molto partecipato. Se nella rete si sviluppano processi decisionali, questi sono di tipo consensuale. La leadership è informale e si fonda sulla reputazione (un mix tra notorietà ed autorevolezza dei soggetti) dovuta alle capacità dimostrate rispetto a innovazione / intuizione. Ed è una reputazione che i social (a partire da linkedin) permettono di confermare e verificare. Chiaramente queste start up creative/culturali sono pioniere a tutti gli effetti e non solo si fondano su nuovi paradigmi e concetti, ma – a livello operativo – agiscono in ambiti non ancora normati, ripercorrendo a volte le stesse dinamiche dei “prodi pionieri” della cooperazione italiana. Significa dover usare molte forze per superare barriere ed ostacoli (anche culturali e di pensiero) non ancora valicati. Ed, anche in questo caso, la rete (il web) può essere un ottimo veicolatore di soluzioni. La misurazione del valore di queste start up avviene dunque su parametri immateriali, non ancora chiaramente definibili, ma comunque evidenti e dati dalla rete di relazione e dai soggetti di questa rete, dalla reputazione ed autorevolezza delle persone e delle start up, dal know how e dalle conoscenze tecniche e capacità di applicazione possedute, dalla forza e notorietà dei brand. Ma anche dal valore delle conoscenze tacite, della capacità di auto-organizzazione, dal ruolo in queste reti interattive e dall’interdipendenza nell’ecosistema, in quanto strumenti concreti per costruire e governare gli ambienti e le attività in cui il nuovo modello di impresa prende corpo. Un concetto di valore d’impresa che è quindi diverso da quello di proprietà dei mezzi di produzione. Da quanto detto, il budget non può dar conto di tutte queste misurazioni, per cui la misurazione dell’impatto dei progetti contempla una serie di indicatori più ampia. I progetti culturali - uniti a processi di aggregazione sociale - diventano generativi di risorse, anche economiche, a favore del territorio, intese come gap tra input utilizzati (economico, di risorse umane professionali e di volontariato) e risultati. Questi output (secondo quello che viene definito “Modello delle tre R”67) sono relativi a misure di rendimento, di rigenerazione delle risorse, di responsabilizzazione dei beneficiari (v. Fig. 11.9).
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Customer relationship management (CRM) o gestione delle relazioni coi clienti, ma qui molto più autentica e meno strumentale che, supportata da piattaforme ad hoc (anche open) può essere un importante acceleratore di sviluppo. 66 Oggi il lavoro “sta” con le persone ovunque, è nelle loro relazioni: basta uno smart phone, un tablet o un portatile per lavorare e ciò può avvenire ovunque ed in qualunque orario, anche di notte, nel week end, in vacanza… 67 Una best practice è il “Piano di sviluppo del capitale e della coesione sociale“ approvato dal Consiglio Comunale di Rovereto il 24.09.2013 (v. Fig. 9).
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Fig. 11.9: Piano di sviluppo del capitale e della coesione sociale
11.6 Imprese culturali: soggetti ibridi, tra profit e non profit68 I protagonisti di queste esperienze sono soggetti ibridi, a cavallo tra profit e non profit, nati nel cuore della crisi per rispondere a bisogni sociali emergenti, ma anche per creare opportunità di autoimpiego. Si occupano di innovazione culturale, termini con cui si intende da un lato l’applicazione di “elementi di cambiamento” nelle politiche di supporto alla produzione e fruizione di beni e servizi culturali. Per altro verso, indichiamo galassia di esperienze di innovazione sociale attraverso la cultura, ovvero un insieme di pratiche e progetti attraverso cui le comunità soddisfano i propri bisogni utilizzando, producendo, rigenerando beni comuni. Hanno forte vocazione imprenditoriale, ma sono portatori di istanze trasformative e di senso quasi militanti. Operano in molteplici settori di attività ad alto tasso di conoscenza, utilizzano le nuove tecnologie, ma mantengono un forte radicamento sul territorio e mutano in corsa adattandosi al contesto in cui operano dimostrando capacità di anticipare tendenze e bisogni e di volgere i problemi del proprio contesto in opportunità. In Italia vengono comunemente chiamate startup sociali e culturali, ma raramente sviluppano modelli di business capaci di intercettare l’interesse di capitali di rischio. 68
Fonte: Le imprese culturali in Italia: un ponte tra sviluppo sociale e territoriale (Luca Tricarico, Andrea Billi, in Ceriios 16/2018)
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Hanno difficoltà ad intercettare strumenti di sostegno pubblico (scarsa solidità, capacità economico finanziaria, forme giuridiche ibride). Il valore generato da queste esperienze non si traduce solo nel (modesto) apporto economico delle attività quanto nel contributo che offrono alla coesione sociale, soprattutto nei contesti di inefficacia delle politiche pubbliche e degli operatori privati, nella sperimentazione e disseminazione di nuove pratiche economiche. Economie ed organizzazioni che lavorano in diversi livelli di disintermediazione nei servizi per comunità, individui ed una pluralità di attori locali coinvolti, superando i vincoli all’azione grazie a complessi processi community-based di costruzione di asset relazionali, finanziari e spaziali. Fig. 11.10 : Le caratteristiche delle nuove imprese culturali
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