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Animazione giovanile. L'esperienza di Vedogiovane Unicopli, 2002, a cura di G. Campagnoli, M. Marmo Un racconto, la storia di un’organizzazione giovanile arrivata nella sua adolescenza che ricerca nuovi significati sul proprio impegno nel sociale nel Terzo millennio. Il volume nella prima parte descrive le esperienze caratterizzanti Vedogiovane e nella seconda evidenzia gli “apprendimenti” ed i “saperi” dell’organizzazione, facendo emergere il “senso” dell’esperienza ed il progetto culturale-politico. Così la vita di un’impresa sociale che si occupa di giovani, della formazione di animatori professionali, di insegnanti ed operatori sociali, dell’informazione su politiche giovanili, ma che è anche quotidianamente impegnata nella gestione di centri di aggregazione, informagiovani, centri estivi e progetti giovani, può diventare un capitale spendibile ed utile anche ad altre organizzazioni e cooperative giovanili, ad operatori sociali, animatori, educatori e giovani. INDICE I. Gli ambiti dell'esperienza: 1. Animare il tempo libero dei bambini. La gestione di un centro estivo 2. Il diritto all’informazione. La progettazione di un Informagiovani 3. Se la città si apre ai giovani. Come gestire un centro d’aggregazione per adolescenti 4. Mercoledì pomeriggio: a scuola di nuova scuola. Il liceo europeo 5. In nome del libero scambio. L’organizzazione degli scambi giovanili internazionali 6. Per una formazione al pensare: il modello formativo di Vedogiovane 7. La città accende la sua musica. Un modo di promuovere il protagonismo giovanile
II. Le riflessioni sull’esperienza 1. La storia di Vedogiovane 2. Come Vedogiovane vede i giovani 3. Animazione ed evoluzione III. Diritti e opportunità per i giovani: storia e prospettive Lo sviluppo delle politiche giovanilI!
LA GESTIONE DEI CENTRI ESTIVI di Katia Faletto e Michele Marmo 1. Quando la scuola elementare chiude, si va al Centro estivo L'estate, la fine delle scuole, le mattine senza più la sveglia, i pomeriggi finalmente liberi dai compiti. E poi quella voglia irrefrenabile di stare all'aria aperta, a giocare con gli altri, muoversi, fare piccole esplorazioni, imparare nuove cose. Quanti bambini attendono i mesi estivi per liberare la loro immensa energia vitale? In questo stesso periodo, però, le famiglie assistono alla chiusura delle scuole con un po' di inquietudine. Che cosa sostituirà la scuola? Quali attività è in grado di offrire il territorio, che da un lato garantiscano continuità educativa e rispondano al bisogno di socializzazione dei loro piccoli, ma dall'altro li tengano occupati nel tempo in cui i genitori lavorano? Per soddisfare queste domande, dei bambini come dei loro genitori, molti Comuni, parrocchie, oratori organizzano i cosiddetti Centri estivi, dove filo conduttore — nella maggior parte dei casi — non è tanto l'intrattenere i bambini, la semplice offerta di "prestazioni ludiche", ma l'opportunità di far vivere loro — meglio se in piccoli gruppi — un'avventura del corpo e della mente. Non un "parcheggio" insomma, ma un'opportunità di gioco e di crescita. I Centri estivi, che si rivolgono generalmente a bambini tra i 3 e gli 11 anni, mirano a favorire alcune sperimentazioni cruciali in un'età ancora infantile: la sperimentazione di relazioni di gruppo; di sé in rapporto alla differenza, comunque essa si presenti (la differenza della malattia, della pelle...); di relazioni con gli adulti animatori; di responsabilità adeguate all’età; dell'avventura; l’apprendimento di abilità e l’acquisizione di conoscenze relative al tema di volta in volta proposto (la propria città, il mondo animale, gli alberi, ecc.). 2. I Centri estivi secondo Vedogiovane La proposta dei Centri estivi ha le sue origini nella diffusa esperienza dei soci di Vedogiovane di gestione di Estate ragazzi presso gli oratori salesiani del Piemonte. Tutti i soci fondatori hanno in modi e tempi diversi sostanziato la propria competenza animativa in questo tipo di contesto. E proprio da questo genere d’esperienza affiancata dalla proposta di formazione degli animatori per le attività estive è nato il progetto stesso della cooperativa sociale Vedogiovane. 2.1. In principio furono le parrocchie, poi venne l'ente pubblico Inizialmente sono state le parrocchie a chiedere un servizio di animazione e a volte di coordinamento di esperienze estive nelle condizioni più diverse: campeggi in montagna, Estate ragazzi, campi animatori, ecc. La prima richiesta di un ente pubblico è stata rivolta a Vedogiovane (nel 1992) dall’Assessorato all’istruzione del Comune di Cossato per la gestione di Centro estivo per i bambini e le bambine delle scuole elementari e materne. Il rapporto e la formula contrattuale erano inizialmente un po’ confusi: non un appalto o una trattativa privata, ma un incarico diretto di coordinamento a un socio con il personale assunto direttamente dal Comune. Dal punto di vista dell’organizzazione del servizio, ci si caratterizza subito per l’importanza assegnata alla formazione degli operatori che, dopo aver superato una selezione, frequentano un piccolo percorso formativo di 30 ore e mantengono un impegno settimanale di verifica formativa (oltre alla progettazione e programmazione delle attività durante l’esperienza di lavoro). La struttura della settimana e della giornata che nasce dal lavoro animativo degli oratori, ripensata per le esigenze e la tradizione del posto, è quella che tuttora caratterizza l’attività estiva nei Centri sia pubblici che privati. L’esperienza di Cossato risulterà essere il prototipo dei Centri estivi successivi, anche per il successo che la formula proposta riscosse. 2.2. Quali sono le finalità del Centro estivo?
Quali sono le finalità di un'esperienza come il Centro estivo? Anzitutto, fornire un servizio alle famiglie del territorio coinvolgendo i bambini in un'esperienza di vita insieme, nella quale la convivenza, il dover dipendere l'uno dall'altro, il dover cooperare per rispondere alle esigenze dei singoli e della comunità costituiscano la sostanza e la condizione della crescita personale e dei gruppi. In secondo luogo, far sì che l'esperienza del Centro estivo non si limiti a essere un tempo/spazio fine a se stesso, ma un'occasione di coinvolgimento, per l'intera comunità, e un'opportunità di apprendimento, per i bambini, che travalica i limiti del Centro, scardinando la logica che lo riduce a una funzione di semplice "parcheggio". In questo senso è importante che l'esperienza sia sostenuta da una progettazione seria e puntuale che coordini questa esperienza con altre esperienze (esistenti o non ancora esistenti) del territorio. In funzione di ciò, è importante che il coordinatore del Centro estivo si renda disponibile a una serie di incontri con gli Uffici comunali e con i Servizi territoriali per precisare una strategia di "interventi di prevenzione del disagio" (come recita, con ansia appunto preventiva, il linguaggio burocratico). 2.3. Il nostro metodo di lavoro Evidenziamo alcuni degli elementi che caratterizzano il metodo di lavoro di Vedogiovane nella gestione di un Centro estivo. 2.3.1. I laboratori Generalmente, i ragazzi vengono suddivisi in gruppi composti da circa 12 elementi, ai quali vengono assegnati responsabilità e ruoli commisurati all'età. Ogni piccolo gruppo è guidato da un animatore. Gli animatori, lavorando in équipe, progettano insieme ogni attività e verificano costantemente il proprio lavoro con l'aiuto del coordinatore. Vengono attivati laboratori che permettano l’innescarsi di processi di produzione creativa di gruppo nelle seguenti aree di lavoro: ! ludico-sportiva. Nell’ambito dell’educazione attraverso il movimento, l’attività ludico-sportiva rappresenta per le sue caratteristiche primarie (elementi d’incertezza, norme accettate da tutti) un luogo privilegiato di formazione e apprendimento, non solo rispetto alla formazione delle prime abilità fisicosportive, ma anche (e soprattutto, considerando che un contesto di animazione non è necessariamente finalizzato alla prestazione sportivo-agonistica) rispetto ai comportamenti e all’inserimento nella vita e nel lavoro del gruppo. La metodologia d’intervento utilizzata considera innanzitutto le regole del gioco (sportivo, presportivo, tradizionale, codificato, ecc.) non come un impianto giuridico somministrato dall’esterno, codice assoluto e definitivo, ma come strumento flessibile e assai specifico capace d’intervenire sulla tipologia del gruppo "in situazione", rivelandone reazioni e comportamenti a volte inaspettati che la situazione di fatica, inadeguatezza e confronto con l’altro propria del gioco sportivo determina nei ‘giocatori’, moderandone simbolicamente gli aspetti conflittuali; ! espressivo-narrativa. Si prospettano percorsi che intendono potenziare i canali di comunicazione sensoriali, le capacità motorie, le capacità espressive attraverso giochi senso-percettivi, drammatizzazione, psicomotricità ed espressività corporea. L’attività fa perno su quattro punti cardine (movimento-sensazione-pensiero-azione) e ha come obiettivo il compimento e la maturazione dello schema corporeo attraverso il dialogo tonico. Il presupposto è che conosciamo attraverso il movimento: attraverso di esso i canali della conoscenza si mettono in funzione e restituiscono messaggi. I nostri cinque sensi forniscono sensazioni e suggestioni che originano pensieri. I pensieri possono tradursi in azione. Questo percorso consente una progressiva presa di coscienza di sé, delle proprie potenzialità e delle possibili relazioni con la realtà esterna e con i personaggi che la abitano. Le modalità comunicative permetteranno di narrarsi come individui e come gruppo. In particolare, per i preadolescenti, la strumentazione farà leva su laboratori di musica, video e drammatizzazione; ! educazione al territorio. Il territorio è una porzione delimitata e ben individuata di spazio: è il luogo dove ciascuno agisce, sperimenta, prova emozioni, sensazioni, percezioni. Interagendo correttamente col proprio territorio si può giungere ad essere consapevoli, partecipi, rispettosi: si conquista cioè una coscienza di appartenenza al proprio territorio, attraverso un’esperienza vissuta. Inoltre è importante che il territorio venga riscoperto e vissuto anche nella sua accezione di comunità. La comunità è il luogo in cui poter riscoprire la propria soggettività, valorizzare le relazioni e recuperarne il significato. E’ nella
comunità che il singolo trova le coordinate per affrontare la complessità che caratterizza la nostra società. Possibili proposte: iniziative guidate, ma al tempo stesso libere, stimolanti e creative, attraverso una serie d’attività sul territorio; giochi didattici riguardanti il tema di fondo che sfruttano le caratteristiche e le risorse specifiche della zona: gli insediamenti, l’ambiente, le persone, le attività lavorative, le attività espressive. Nell’individuare le strategie di lavoro, si tiene conto dei vari livelli di comunicazione integrando linguaggi diversi: parole, gesti, suoni, immagini. 2.3.2. La cornice narrativa La proposta di attività estiva di Vedogiovane da tempo non prescinde da una scelta metodologica cruciale: l'individuazione di una cornice narrativa, di un tema cioè che orienti l'intera esperienza radicandola in un contesto suggestivo. In tal modo si eleva il grado di coinvolgimento dei bambini, che così sembrano disponibili non semplicemente a "fare delle cose", ma a vivere un'avventura accattivante. La cornice narrativa consente di assolvere le seguenti funzioni: ! creare uno spazio-tempo altro, in cui possano essere attivati dei processi sui quali poi ragionare. I bambini vestono panni non abituali agendo in un "come se", così da sperimentare ciò che nel "come è" non è possibile provare. Lo spazio offerto diventa liberante, si scoprono cose nuove di sé, nuove capacità; ! stimolare la ricerca di soluzioni non scontate ai problemi facendo leva sul potere della fantasia, risorsa preziosa anche nella vita reale; ! superare lo spazio dato, manipolandolo, trasformandolo e sentendolo proprio anche quando esso è quello abitato nel restante periodo dell'anno; ! permettere la manipolazione delle regole, la loro produzione e sperimentazione; ! stimolare l'invenzione di nuovi giochi; ! stimolare la curiosità che sta alla base del desiderio di apprendere. La scelta di lavorare con i ragazzi all’interno di una cornice narrativa ha spinto alcuni soci, prima in collaborazione con la Pastorale giovanile salesiana e poi autonomamente, a pubblicare alcuni sussidi che, a partire da una romanzo per ragazzi famoso o dalla costruzione di un impianto narrativo originale, permettessero di elaborare una serie di proposte per sostenere il lavoro degli animatori1. 2.4. Una giornata tipo Le varie proposte e intuizioni vengono tradotte in una strutturazione della giornata di questo tipo: ! accoglienza individuale e avvio a un breve momento di socializzazione libera; ! raduno assembleare destinato alla condivisione dei significati che le diverse attività assumono nella dimensione narrativa; costituisce il momento celebrativo, nel quale si elabora e si sperimenta un linguaggio comune, privilegiando il codice teatrale tramite bans, drammatizzazioni...; ! lavoro di piccolo gruppo, occupato ora da attività di laboratorio che conducano alla realizzazione di prodotti originali, ora da tecniche centrate sulle dinamiche relazionali, per realizzare autenticamente la costituzione di un gruppo primario; ! giochi per fasce d’età, in cui si realizzi davvero il protagonismo di ogni partecipante, rivisitando le regole classiche per consentire al gioco di risultare funzionale all’apprendimento; ! pranzo insieme come occasione di condivisione e confronto con alcune piccole norme di sana convivenza; ! gioco libero come occasione d’osservazione, da parte degli animatori, delle dinamiche presenti; ! grande gioco strutturato2 in modo da coinvolgere contemporaneamente l’intero insieme dei bambini eventualmente suddivisi in squadre; oppure laboratori creativi; 1
Così sono stati prodotti e commercializzati (tramite la casa editrice salesiana Ldc) i seguenti sussidi: Non di sole carote (La Collina dei conigli); Cari Hobbit, siamo in un bel pasticcio (Il Signore degli Anelli); Ovverosia, la terra è rotonda (1992 - Cinquecentenario della scoperta dell’America); Eur & Opà (1993 - Europa); Usa e getta (1994Campionati mondiali di calcio); Destinazione Capolinea (1996). I sussidi, oltre a riprendere in sintesi la struttura delle narrazioni, propongono itinerari educativi, una serie di strumenti per il lavoro a piccoli gruppi, giochi, canti e laboratori e, in alcuni casi, un itinerario di spiritualità. In sostanza tracciano la proposta di lavoro per Centri estivi, campeggi, campi scuola o addirittura per l’attività di un gruppo per un anno intero. 2 E’ necessario esplicitare alcune categorie di giochi utilizzati:
la merenda seguita da un momento assembleare che significhi la conclusione della giornata insieme e costituisca il corrispettivo simbolico dell’accoglienza mattutina; ! momento celebrativo di restituzione dei vissuti giornalieri. Una volta alla settimana possono essere previste: attività in piscina; escursione.
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2.5. Come valutare l'esperienza? Tutti in gioco La preoccupazione di offrire un servizio rispondente ha permesso di costruire una serie di strumenti di valutazione dell’esperienza. Sono previsti, durante lo svolgimento del Centro estivo, momenti di monitoraggio/verifica con l'Ente committente. Il lavoro può essere oggetto di documentazione non solo tramite la classica relazione finale del coordinatore, ma anche attraverso strumenti di verifica (questionari, interviste di gruppo, ecc.) pensati appositamente per i ragazzi e i genitori. L’impianto generale di valutazione prevede il coinvolgimento, a vario titolo, di quattro soggetti diversi coinvolti nella comune esperienza del Centro estivo: bambini, genitori, animatori e Amministrazione comunale. Il sistema risulta articolato con quattro focus valutativi diversi, che sono oggetto della valutazione e anche in certa misura soggetto della valutazione stessa. 1. Bambini. Gli animatori valutano il raggiungimento, da parte dei bambini, degli obiettivi prefissati, utilizzando indicatori di processo e di prodotto per ogni attività svolta con il gruppo. Utilizzano il “quaderno dell’animatore”: le argomentazioni annotate durante le giornate diventano materiale di riflessione per il singolo quotidianamente, per l’équipe settimanalmente, permettendo così di ri-orientare l’azione educativa. I bambini hanno la possibilità di esprimersi in merito al benessere e al loro vissuto emotivo grazie ad attività quotidiane, che mediano la loro espressione attraverso il gioco e l’animazione. È previsto inoltre un tempo nella settimana finale dedicato al racconto del percorso vissuto, in modo che l’animatore possa “fare memoria” e sollecitare l’espressione dei ragazzi in merito all’esperienza vissuta. 2. Genitori. I genitori sono fortemente coinvolti nell’attività di valutazione, entrando direttamente non solo nella fase finale, ma anche nella preliminare definizione degli obiettivi. A tal proposito si organizza un incontro iniziale che abbia come temi: descrizione del progetto come pensato dagli animatori, raccolta di obiezioni e suggerimenti tecnico-operativi, gruppi focus aventi come obiettivo l’individuazione dei bisogni del proprio figlio e della generalità dei bambini. Quest’ultima attività permette ai genitori di portare l’attenzione da aspetti meramente pratici (che pure hanno una certa rilevanza) ad altri legati al senso dell’esperienza, attivandoli nella definizione di quei bisogni che solo essi, in quanto testimoni privilegiati della situazione dei bambini, possono condividere fra loro e con gli animatori, ai fini di una ulteriore ri-taratura della progettazione. Al termine dell’esperienza di Centro estivo, viene somministrato un questionario di valutazione sulle attività svolte, legato anche alla soddisfazione dei bisogni individuati nell’incontro iniziale. È infine prevista una serata di restituzione dei risultati. 3. Animatori. Con gli animatori s’intende avviare un processo che permetta di attribuire un significato formativo all’esperienza, nei termini della competenza di ruolo, emotiva e relazionale, legata al sapere, saper fare e saper essere. Per questo sarà essenzialmente compito del coordinatore, a partire dal colloquio individuale e dall’osservazione del lavoro in équipe, individuare un punto di partenza definitorio. Si attua nel corso delle valutazioni quotidiana e settimanale un monitoraggio dei vissuti e del progressivo raggiungimento degli obiettivi. Al termine del percorso una griglia finale permette una auto-valutazione degli animatori, andando anche ad individuare le mutate percezioni legate all’appartenenza alla comunità (rapporti con bambini, genitori e Amministrazione). 4. Amministrazione. Con l’Amministrazione si intende da subito, in un incontro iniziale, definire gli obiettivi che l’Ente locale intende raggiungere, definendo anche le modalità di lavoro da adottare. • • • •
gioco contenitore: gioco a squadre (gruppi composti da età differenti), che può contenere al suo interno altre piccole prove i cui punteggi si cumuleranno, risultando in ultimo su un “cartellone punti”; grande gioco: gioco fra due sole squadre, che si scontreranno senza la finalità di accumulare un punteggio finale. Il grande gioco si basa su un tema avventuroso-fantastico; giochi sfogo: giochi che favoriscono lo scarico dell’aggressività, vengono proposti a gruppetti di libera aggregazione; tornei: sfide (calcio, pallavolo, palla prigioniera) tra le diverse squadre che si alterneranno utilizzando una modalità rotatoria. Le vittorie e le sconfitte determineranno l’esito finale dei tornei.
Successivi incontri settimanali permetteranno di monitorare il progressivo raggiungimento delle finalità con le modalità concordate. S’intende poi avere un incontro finale che permetta di fare un bilancio finale di quanto sopra e che sia occasione nella quale i coordinatori possano restituire gli esiti delle valutazioni degli altri soggetti (bambini, genitori e animatori) all’Amministrazione. Tab. 1 – La valutazione dei Centri estivi Su chi Animatori
Di chi
Su quali aspetti
Animatori/coordinat ore -
Bambini
Animatori
-
-
Genitori
bambini
-
genitori
-
-
Equipe Cooperativa
committenza
-
Quando
Modalità e strumenti Competenze e Per tutta la durata Griglia di abilità del servizio valutazione Vissuto emotivo e relazionale Percezione dell'organizzazi one il processo lavorativo partecipazione Per tutta la durata Griglia di e del Centro estivo valutazione coinvolgimento durante le attività socializzazione e vita di gruppo benessere Per tutta la durata Griglia di vissuto del Centro estivo valutazione emotivo raccolta di Nell'incontro A seguito della bisogni, idee, precedente l'inizio presentazione del suggerimenti del Centro estivo Centro estivo raccolta di idee, suggerimenti tecnico/operativi… verifica e Al termine della Griglia di valutazione seconda settimana valutazione delle attività E al termine della svolte quinta settimana verifica e Durante tutta la incontri valutazione del durata del servizio settimanali tra rapporto, del committenza e processo coordinatore lavorativo e del servizio/referen risultato atteso te cooperativa relazioni finali: mese di luglio e settembre
3. Selezione e formazione dei nuovi animatori e coordinatori A partire dal 1993 (l'anno successivo al primo Centro estivo a Cossato) si è lavorato in una ventina di Comuni e realtà parrocchiali, non in grado di rispondere autonomamente alle richieste delle famiglie (tab. 2). Per Vedogiovane i Centri estivi costituiscono una tappa importante nel suo sviluppo organizzativo. Hanno rappresentato, infatti, l’entrata ufficiale nelle logiche di vendita di progetti d’animazione e il primo misurarsi
con la dimensione lavorativa dell’animazione, che sino a quel momento aveva maggiormente i connotati dell’esperienza di volontariato. Tab. 2 – I Centri estivi gestiti da Vedogiovane dal 1993 a oggi LUOGHI
COMMITTENZA
Bianzè Biella Borgomanero Cossato Camburzano Cavaglio Fenegrò Gozzano
Parrocchia-comune Comune Comune Comune Parrocchia Comune Parrocchia Genitori
Invorio Mezzomerico Omegna Orta Pettinengo Quaregna Serravalle Sesia Suno Valdengo Varallo Pombia Verbania Vercelli
Parrocchia Comune Comune Comune Comune-parrocchia Comune Comune-parrocchia Comune Comune Comune-parrocchia Comune Parrocchia (cappuccini)
MODALITA’ DI ASSEGNAZIONE Incarico diretto Appalto pubblico Appalto pubblico Appalto pubblico Incarico diretto Incarico diretto Incarico diretto Di continuazione al servizio annuale Incarico diretto Incarico diretto Trattativa privata Incarico diretto Trattativa privata Incarico diretto Incarico diretto Trattativa privata Incarico diretto Appalto pubblico Incarico diretto
La richiesta consistente e l'impegno contemporaneo in più contesti ha posto però un problema: come reperire personale con esperienza (tanto più che il lavoro nei Centri estivi è faticoso e di grande responsabilità)? 3.1. Fine di una generazione? Nuove leve avanzano Fino al 1998, della selezione e formazione del personale coinvolto nelle attività d’animazione estive se ne occupavano: per i coordinatori e gli animatori Vedogiovane Michele Marmo e Marco Bernardi; per gli animatori esterni a Vedogiovane la scelta avveniva direttamente da parte della committenza, magari supervisionata dal coordinatore della cooperativa che successivamente avrebbe lavorato nel servizio, oppure direttamente da Vedogiovane. Dal ’98 questa funzione viene svolta da una "équipe Centri estivi", coordinata da Michele Marmo, formata da ex-coordinatori o da futuri coordinatori, che dal mese di gennaio iniziano a progettare la cornice narrativa di riferimento, a contattare i Comuni e le parrocchie, a produrre pensiero anche sui criteri di selezione e assunzione del personale. Per Vedogiovane è sempre stato importante tutelare un buon coordinamento del servizio, adoperandosi in modo da far corrispondere la persona giusta al posto giusto. Il coordinatore di Centro estivo aveva inizialmente un curriculum standard: ex-animatore, simpatizzante e frequentatore della Vedogiovane durante l’anno oppure socio-lavoratore in altri servizi, che d’estate ricopriva questo specifico ruolo. I coordinatori erano persone fidate e cresciute ad hoc con una specifica formazione sul campo e nel campo. Ora non è più così. Pur tutelando sempre e comunque l’importanza di un efficace ed efficiente coordinamento, le persone con quel profilo non ci sono più. Oggi, chi all’epoca ricopriva questi ruoli, è andato via, oppure, pur essendo ancora in cooperativa, veste panni di responsabile in altri settori o aree. L’esigenza, ma anche la crescita che riconosciamo in noi e negli altri, ci impone di allargare il campo, di "cedere" e di ricercare competenze fuori, dove spesso ci si scontra con una realtà che sta cambiando, con una forza lavoro che non s’identifica socialmente in questo specifico ruolo e settore, ma che lo vive come un
qualsiasi altro lavoro estivo, come un compito da svolgere con mansioni precise sulle quali vuole essere informato e per le quali vuole essere adeguatamente pagato. È importante ricordare che Vedogiovane nasce sui servizi estivi d’animazione, per cui lavorare in un Centro estivo era identificarsi con la cooperativa, era essere Vedogiovane. Oggi chi vuole lavorare in questo tipo di servizio ci contatta inviandoci il curriculum e fissando un appuntamento per un colloquio di selezione, finalizzato principalmente alla reciproca conoscenza. Durante il colloquio si esplorano le competenze e la personalità del richiedente. Requisito necessario per entrambi i ruoli (animatore, coordinatore) è il diploma di scuola media superiore; inoltre Vedogiovane richiede ai coordinatori una precedente esperienza nel settore. 3.2. Il percorso formativo Venendo meno quel personale interno che godeva di una formazione interna continua, o che a sua volta si autoformava per soddisfare esigenze interne-esterne di differenti contesti lavorativi, è stato necessario studiare un percorso formativo che riassumesse in maniera discretamente approfondita le modalità di lavoro e gli strumenti che distinguono l’intervento in questo settore di Vedogiovane. All’animatore è richiesta una competenza ludico-creativa, che si esplicita nella capacità di attivare il piccolo gruppo attraverso le attività di gioco e di laboratorio, presidiando in particolare la relazione con i singoli data l’età. Ricopre anche una funzione organizzativa degli spazi e delle attività comuni, e ha un ruolo di raccordo tra genitori e committenza, intendendo con questa sia Comune o ente gestore che cooperativa. Nella tabella viene riportata la struttura del percorso formativo, la cui durata è di 30 ore per un gruppo di 2025 persone. Tab. 3 – La struttura del percorso formativo per animatori Risultato atteso Conoscere ed essere capaci di condurre esperienze di gruppo utilizzando come strumenti e tecniche il metodo dell'animazione, attraverso un'esperienza diretta e guidata da personale specializzato nell'area ludicoeducativa. Attività • Conoscere e saper utilizzare strumenti e tecniche proprie dell'animazione; • conoscere e saper utilizzare il piccolo e il grande gruppo, in contesti d’animazione estiva, come strumento di apprendimento e produzione; • analizzare la fase progettuale e quella operativa del piano di lavoro per l'organizzazione di un Centro estivo. Modalità formativa Per realizzare attività formative in questo senso è utile prevedere: • l'utilizzo del gruppo come strumento di apprendimento e di lavoro fondamentale in quanto ambito di apprendimento individuale, di rapporto interpersonale e sociale; • un uso privilegiato del metodo esperienziale, integrato da brevi momenti di sintesi che facilitino la riorganizzazione e la concettualizzazione delle esperienze. Contenuti • Il gioco: la nostra filosofia del giocare (modalità e significato dello stare insieme giocando); acquisizione e utilizzo di competenze tecniche su grandi giochi (giochi sfogo; giochi contenitore; giochi al chiuso; giochi in piccolo gruppo; gestione di tornei); • i laboratori: musicali; sportivi; ludici; creativi; espressivo-teatrali; di fabulazione; di arte povera; • canti, danze, bans; • il sussidio: conoscenza e utilizzo della cornice narrativa proposta…; • l'organizzazione: programmazione del lungo e breve periodo di lavoro (settimane, giornate); attribuzione di turni, ruoli e responsabilità; condivisione del piano di qualità del servizio Centro estivo e degli strumenti necessari per il suo monitoraggio (strumenti di verifica).
Al coordinatore è affidata la conduzione del gruppo di lavoro degli animatori, verso i quali dovrà svolgere quotidianamente azioni orientate alla buona riuscita del compito, in questo caso il buon andamento della giornata, con tutto ciò che questo comporta, facilitando le relazioni tra i membri dell'équipe. È responsabile del mantenimento delle relazioni formali con la committenza e con le altre realtà che operano sul territorio. In alcuni casi il coordinatore vive una duplicità di ruolo, svolgendo anche le funzioni dell'animatore. 3.3. Una nuova figura professionale: il coordinatore di territorio Durante gli ultimi due anni (1999-2000) si è aggiunta una terza figura: il coordinatore di territorio. Il suo ruolo, ancora in fase di sperimentazione, dovrebbe garantire l’iniziale presa di contatto e il mantenimento delle relazioni nei futuri contesti lavorativi, nei quali dovrebbe conoscere le esigenze e i bisogni dell’utenza a cui si rivolge il servizio. Il coordinatore di territorio si impegna, insieme a un’équipe costituita con questo scopo, al pensiero/scrittura del progetto; è coinvolto nella cernita del personale, è impegnato in azioni di coordinamento delle équipe di lavoro. In particolare dovrà: fornire e richiedere informazioni; orientare verso il compito e attribuire ruoli; essere in grado di riassumere sequenze d’interventi; stimolare eventualmente il lavoro e verificare la comprensione del metodo e del senso di ciò che si sta facendo. Dovrà svolgere azioni che si orientano al buon clima del gruppo: incoraggiare, facilitare la comunicazione, intervenire allentando le tensioni, osservare il processo e restituirlo a chi sta lavorando. È responsabile in prima persona delle inadempienze gravi dei coordinatori. Supervisiona programmazioni e verifiche, è in grado di sostenere coordinatori e animatori, durante il lavoro, sia a livello operativo che psicologico/affettivo. Si è ritenuta necessaria questa nuova figura per l’accompagnamento e tutela dei nuovi coordinatori, che spesso sono distanti da Vedogiovane, sia come pensiero/azione che dal punto di vista geografico. A differenza del consulente/supervisore, che per anni ha salvaguardato il gruppo dei coordinatori, il coordinatore di territorio è attivo su tutta l’area di lavoro e supplisce alle due precedenti figure (animatore, coordinatore) a volte anche operativamente; gode inoltre di una conoscenza generale più approfondita, e più tecnica. 4. La nostra idea di Centro estivo, immerso nella vita della comunità In questi anni il tentativo è stato quello di accreditare "una certa idea di Centro estivo", troppe volte inteso come spazio/tempo chiuso in se stesso e con poche possibilità di aprirsi a un prima progettuale e a un dopo di continuità di proposta. La difficoltà su cui si è lavorato è stata proprio quella di trasformare la domanda privata in un bisogno che appartiene a tutta la comunità e infine in un desiderio di qualità di vita migliore per ragazzi e famiglie anche nella gestione del tempo libero. Quest'aspirazione forse fa a pugni, più che con l'individualismo (tentazione ricorrente nelle nostre società, dove i servizi si preferisce acquistarli singolarmente sul mercato piuttosto che produrli socialmente sul territorio), con i meccanismi burocratici di gestione di questo servizio, i cui appalti vengono pubblicati a un mese dall’inizio delle attività (!) rendendo impossibile disegnare un percorso di progettazione sensato e costringendo a lavorare sulle urgenze. Come contromisura, si è deciso di costituire un gruppo di lavoro interno che si prendesse cura di costruire una fitta serie di contatti con le amministrazioni, al fine di sollecitare la promozione di una mentalità progettuale anche rispetto a questo tipo di servizio. Mentalità che si traduce nel coinvolgimento delle famiglie nella definizione degli obiettivi, nel pensare per tempo alla costruzione dell’équipe così da poter affidare all’équipe stessa la progettazione del Centro estivo e quindi, a monte, nella definizione dell’assegnazione dell’incarico con molto anticipo rispetto ai tempi tradizionali delle Pubbliche amministrazioni. Resta l'esigenza di un coordinamento maggiore e puntuale, che preveda come interlocutore forte e visibile il territorio e non solo lo spazio vitale della struttura che accoglie un servizio d’animazione. Un buon coordinatore dovrebbe essere in grado di sintetizzare i bisogni del contesto, nel senso più allargato del termine, utilizzando la sua "cultura Vedogiovane". Come il lettore avrà ormai capito, l'idea di Centro estivo che proponiamo lo colloca nel cuore della vita della comunità. L'obiettivo è quello di renderlo, oltre che un luogo dove i genitori portano i bambini finita la scuola e dove i bambini trascorrono otto ore divertenti della loro giornata, anche uno spazio di riflessione sull’educazione/animazione e un’opportunità di riflessione culturale per tutta la comunità. Per raggiungere questo scopo, è importante fare anche un'altra operazione:
garantire una continuità tra l'esperienza scolastica e quella della gestione del tempo libero, nello specifico del Centro estivo, individuando ambiti di progettazione comune. Nel Comune di Cossato, lo si è fatto: si è collegato il Centro estivo a un servizio continuativo durante l’anno scolastico cercando di conservare alcuni degli operatori comuni a entrambe le esperienze. Ci sembra un'indicazione preziosa su cui lavorare in prospettiva.
GLI INFORMAGIOVANI Marco Bernardi e Giovanni Campagnoli 1. Gli Informagiovani, un pezzo importante delle politiche giovanili 1.1 Nascita e sviluppo degli Informagiovani Nel nostro Paese gli Informagiovani sono uno dei pochi servizi pensati per i giovani. Qui si possono trovare e scambiare informazioni sui settori di interesse giovanile: scuola, formazione e lavoro, tempo libero, programmi europei, vacanze, vita sociale… Gli Informagiovani nascono all’interno dei Progetti giovani, istituiti presso gli Enti locali a partire dagli anni Settanta. E dei Progetti giovani (che nel loro insieme di iniziative, e soprattutto nel loro sviluppo di collaborazione pubblico/privato, hanno rappresentato un primo intervento in un’ottica di prevenzione del disagio giovanile) sono forse il settore che più si è sviluppato, tanto che oggi questi servizi sorgono anche dove di fatto non esiste un Progetto giovani. In Italia i primi sono stati istituiti a Torino (1982), Milano (l’Osmeg, nel 1983) e Forlì (1984), ma la loro storia è assai più lunga: in altri Paesi europei (Francia, Belgio) hanno infatti cominciato a funzionare già dalla seconda metà degli anni Sessanta. A oggi, ne esistono oltre 600 e sono in continuo aumento. Parallelamente alla loro espansione, si assiste a una tendenza a delegare a questi servizi la funzione esclusiva di un rapporto tra giovani e istituzioni (al punto che spesso sopperiscono alle politiche giovanili). Questa tendenza si deve alle proprietà intrinseche degli Informagiovani, al loro essere strumenti che “tagliano” tutti i campi d’interesse giovanile. Succede così che, oltre alla principale funzione informativa, essi rivestano, soprattutto nei Comuni medio-piccoli, anche funzioni di “ascolto”, di orientamento alla vita sociale, di sostegno alle iniziative giovanili, nonché di facilitazione di processi di aggregazione. E proprio l’esperienza di città di dimensioni analoghe a Borgomanero (20.000 abitanti), dove Vedogiovane gestisce il locale Informagiovani (dopo essersi impegnata a farlo nascere), indica come tutte queste funzioni siano decisive per favorire l’inserimento partecipato dei giovani nella vita attiva. 1.2. Che cos’è un Informagiovani? L’attività principale degli Informagiovani è, come dice la parola stessa, l’informazione. Su questa base essi si differenziano da quelle agenzie per le quali l’informazione è secondaria o accessoria rispetto alle proprie finalità istituzionali. Destinatari privilegiati sono i giovani dai 14 ai 29 anni. Gli Informagiovani assumono i bisogni informativi giovanili nella loro interezza, tendendo a coprire i principali campi d’interesse delle nuove generazioni (formazione, lavoro, salute, tempo libero, sport, cultura, viaggi, ecc.). Sono pertanto “generalisti” e “plurisettoriali” (erogano cioè informazioni a tutto campo), a differenza delle agenzie informative specializzate e settoriali operanti su alcune aree o utenti specifici (Centri d’orientamento scolastico, professionale, Centri informazione disoccupati, ecc.). L’azione informativa deve tendere a rispondere all’evoluzione dei bisogni giovanili in modo dinamico, verificando con continuità la corrispondenza tra offerta e domanda informativa, le esigenze degli utilizzatori finali, i supporti, i canali e metodi comunicazionali adottati, l’emergere di zone di silenzio informativo per tendere a un superamento delle cause di tale silenzio. Da ciò consegue il vincolo di rilevare sistematicamente le istanze e il livello di soddisfazione del pubblico nonché la funzione di portavoce delle richieste giovanili. Questi fin qui enunciati sono, potremmo dire, i punti fondamentali. Ma ci sono altre importanti funzioni che un Informagiovani svolge in città per rispondere a specifici bisogni. Pensiamo alla funzione di consulenza e di primo orientamento scolastico e lavorativo: sono infatti sempre di più le situazioni di disagio in cui vengono a trovarsi moltissimi giovani che, nei primi anni delle scuole superiori o dell’Università, sono costretti a rivedere la scelta fatta, con le inevitabili conseguenze di difficoltà e perdita di sicurezza. O alla funzione di struttura di raccordo tra iniziative che partono da giovani e sono destinate ad altri giovani e che possono trovare nell’Informagiovani il luogo di un possibile
coordinamento. C’è poi un’altra funzione, da cui l’Informagiovani difficilmente può esimersi data la cronica mancanza di spazi destinati ai giovani. Riguarda la possibilità di porsi come Centro di aggregazione giovanile: è forse necessario porsi l’obiettivo di rispondere anche a queste esigenze, magari individuando un luogo che, partendo esclusivamente come Informagiovani, col tempo possa trasformarsi in un Centro d’aggregazione giovanile, con spazi per concerti, mostre, conferenze, sale prove, ecc. 2. La lunga marcia verso l’Informagiovani di Borgomanero Il percorso che ha portato all’istituzione e poi all’apertura del Servizio Informagiovani a Borgomanero è stato lungo e travagliato. È durato sei anni, ma ha consentito alla cooperativa Vedogiovane che lo ha promosso di accumulare una notevole esperienza, utilissima poi nell’avvio di Servizi analoghi in altri Comuni (tanto oggi che la fase di apertura non supera i sei mesi). A Borgomanero i primi contatti relativi all’Informagiovani risalgono al 1990, quando venne presentato il progetto all’Amministrazione e poi, con un assessore, si fece visita al Centro Informazione e Documentazione Giovani di Torino. Purtroppo, il dialogo con l’Amministrazione si interruppe e anche negli anni seguenti procedette a tratti per le crisi che coinvolsero la vita politica locale. Fu a quel punto che ci si attrezzò affinché la sede di Vedogiovane potesse diventare punto informativo aperto alla città (si raccolse documentazione su alcuni settori, in particolare obiezione di coscienza, mobilità e formazione) e di incontro per i giovani disponibili a impegnarsi in attività legate all’animazione, al volontariato, al cinema, alla musica, all’ambiente1. Vedogiovane manterrà questa sede, che con due vetrine si affacciava su un corso importante della città, fino al ‘96, quando venne aperto il Servizio Informagiovani in Municipio. A fine ‘94 ci furono nuove elezioni amministrative e Vedogiovane svolse un ruolo animativo proponendosi come laboratorio politico-culturale aperto alla società civile borgomanerese, disorientata davanti alla fulminea scomparsa dei partiti tradizionali e al vuoto che avevano lasciato. Ciò significò – anche se non ci fu un impegno politico diretto – l’assunzione di una collocazione ben precisa e tra l’altro opposta all’Amministrazione che vinse le elezioni. Il dialogo con l’Ente locale si fece di conseguenza più difficile, ma anche più libero e chiaro, e non privo di risultati. Infatti, nell’inverno 1994-95, venne assegnata a un assessore la delega alle Politiche giovanili, si aprì un capitolo di bilancio e nella primavera l’Amministrazione pensò all’istituzione del servizio Informagiovani. Il primo passo ufficiale avvenne il 3 luglio 1995, con l’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio comunale della delibera che istituì il servizio. A questa tappa si arrivò dopo un lavoro svolto dall’Assessorato alle politiche giovanili, che incontrò le agenzie educative operanti in città. Da questi incontri emerse come prioritaria l’esigenza di dotare il territorio di una struttura di servizio per il mondo giovanile, con funzioni prevalenti di erogazione d’informazione, consulenza, sostegno e riferimento, ma in grado anche di favorire processi di aggregazione per i giovani2. All’approvazione del Consiglio comunale fecero seguito, da parte della Giunta comunale, i provvedimenti deliberativi relativi all’organizzazione e gestione dell’Informagiovani, consistenti nella redazione di un capitolato necessario a indire una gara d’appalto per l’affidamento del servizio (tab. 1). Dopo una prima gara invalidata (per vizi di forma di due offerte concorrenti), Vedogiovane ottenne la gestione del servizio, che venne avviato il 1° giugno 19963. Tab. 1. I punti principali del capitolato di gestione del servizio Informagiovani
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Vedogiovane riuscì a garantire questo piccolo servizio informativo senza ricevere nessun contributo dall’Ente locale e senza far pagare mai le informazioni distribuite, nemmeno le fotocopie. Nel frattempo, si continuò nell’opera di raccolta d’informazioni, progetti, atti, bibliografia e partecipazioni a convegni e seminari utili all’istituzione di un vero IG e alla realizzazione di un Progetto giovani. 2 Il progetto relativo all’Informagiovani prevedeva sia l’adesione ai principi contenuti nella “Carta europea dell’informazione per la gioventù”, adottata a Bratislava il 3 dicembre 1993, allegata alla delibera, sia l’adesione al Coordinamento regionale Piemonte-Valle d’Aosta per disporre della Banca dati Spring. 3 Il primo operatore è stato Giovanni Campagnoli, che ha svolto anche tutto il lavoro precedente di contatti con l’Amministrazione comunale e poi quello di avvio.
Il capitolato di gestione del servizio Informagiovani conteneva diciassette punti che prevedevano modalità, tempi e periodo di gestione, mansioni dell’operatore e responsabilità. Si riportano di seguito i punti principali. 1. II soggetto aggiudicatario si impegna a svolgere, secondo la programmazione concordata con l’Assessorato alle politiche giovanili, e tramite propri operatori, la gestione del servizio Informagiovani. […] 3. Il soggetto gestore si impegna a progettare, programmare, gestire e incrementare l’attività del Centro Informagiovani. Per tale attività il gestore impiegherà 1 addetto, che opererà presso l’ufficio appositamente allestito nella sede municipale, in orari coerenti con quelli di funzionamento degli uffici comunali per 30 ore settimanali di norma dal lunedì al venerdì. È onere del gestore documentare le ore di presenza dell’operatore con criteri oggettivi. 4. L’operatore dovrà essere in possesso di titolo di studio di scuola secondaria di secondo grado e avere frequentato corsi formativi adeguati. Inoltre dovrà avere le seguenti caratteristiche: - essere preparato e disponibile ad una attività fondata prevalentemente sulla gestione dei rapporti interpersonali; - avere attitudine a svolgere lavoro di équipe e a realizzare e rispettare le direttive ricevute e le decisioni collegialmente stabilite; - avere conoscenza del territorio e delle istituzioni ed essere in grado di rapportarsi con essi. 5. Le mansioni dell’operatore sono: - ideazione e programmazione di interventi nel campo dell’informazione per i giovani; - creazione, implementazione, aggiornamento di archivi cartacei e banche dati computerizzate; - ideazione, cura, redazione di schede di prima informazione, opuscoli monotematici, guide informative, realizzazione di materiale su supporto audiovisivo; - gestione/interazione del rapporto con l’utenza (sportello); - rapporti con Enti, associazioni ecc. per la realizzazione di interventi esterni quali, ad esempio, decentramento delle informazioni, dibattiti, seminari. 7. Il gestore è tenuto a far frequentare all’operatore i corsi di aggiornamento e perfezionamento che l’Assessorato alle politiche giovanili ritenga utili e opportuni. Ogni costo relativo alla frequenza di tali corsi è a carico del gestore. […]
3. Un modello d’Informagiovani 3.1 L’informazione che serve Per un servizio Informagiovani il rapporto con l’utente costituisce l’elemento centrale. Il Centro deve adattare le proprie funzioni all’ambiente in cui si trova, sulla base delle reali esigenze di tutta la popolazione giovanile, con particolare attenzione alle fasce deboli. A Borgomanero la decisione di istituire un Centro Informagiovani è nata anche dalla considerazione che, nonostante l’enorme massa di informazioni disponibili, ancora troppi giovani sono esclusi dalla possibilità di accesso a quelle veramente utili al loro progetto di vita. L’informazione che serve, come fa notare il sociologo Franco Garelli, “non è l’informazione attraverso i mass media, ma quella che fornisce strumenti per conoscere e supporti per situarsi meglio; in breve, l’informazione è utile quando è utilizzabile, quando serve per decidere meglio (cioè per correlare le proprie aspettative e le proprie attitudini con le informazioni della società) e attuare una più equa distribuzione di una migliore qualità della vita”. Per questo l’Informagiovani è uno strumento che l’istituzione mette a disposizione di chi si trova in una fase della propria vita in cui deve compiere scelte spesso decisive e necessita, oltre che di informazioni, anche di un sostegno nel saperle selezionare. Ecco perché tra le finalità del Centro si parla di azione di diffusione
equa, garantita attraverso un ampio accesso all’informazione, e di azione di orientamento come stimolo alla capacità d’uso e adattamento dell’informazione. 3.2. Un luogo d’incontro fra istituzione e giovani Con questi obiettivi l’Informagiovani diventa uno degli strumenti con cui il Comune apre un dialogo con il mondo giovanile. Un dialogo che include anche la funzione di raccolta di richieste che provengono da esso, in modo da organizzare e adattare la propria capacità di risposta agli interessi dell’utenza. Partendo da queste premesse, la finalità che il servizio Informagiovani può assolvere è quella di diventare il luogo di incontro fra istituzione e giovani e di elaborazione delle politiche dei cittadini per e con i giovani. Il servizio Informagiovani può, in altre parole, diventare il braccio operativo dell’Assessorato alle politiche giovanili agendo da interfaccia tra l’istituzione e il mondo giovanile. Questo servizio è un ulteriore passo sul sentiero che porta al Progetto giovani (l’ambito ideale nel quale esso si dovrebbe collocare), alla costruzione cioè di un’iniziativa globale rivolta ai giovani, che conterrà gli indirizzi verso cui l’Amministrazione comunale dovrà tendere e operare per la risoluzione delle problematiche giovanili. Così l’Informagiovani viene a porsi come tramite tra le politiche dell’Ente locale, le diverse attività presenti sul territorio e i giovani stessi. Fungendo da verificatore dell’efficacia delle iniziative poste in atto, l’Informagiovani potrà ritradurre i bisogni dei giovani in adeguati stimoli verso l’Ente locale e le altre associazioni. La fisionomia del servizio Informagiovani mantiene quindi lo specifico del servizio informativo, di consulenza e orientamento per singoli, gruppi e associazioni, integrato con spazi per incontro e servizi a disposizione per i giovani. La scelta della gestione affidata a una cooperativa giovanile esterna, in convenzione con l’Ente pubblico, è motivata dall’avere ritenuto come indispensabile il lavoro di animazione nei confronti del territorio. 4. L’attività di consulenza: come si avvia un Informagiovani? Grazie all’esperienza acquisita con l’avvio dell’Informagiovani di Borgomanero, negli anni successivi Vedogiovane è diventata consulente per l’avvio di servizi analoghi (tra il ‘97 e il ‘99 ne sono stati avviati quattro). La consulenza si è rivolta dapprima ai Comuni della provincia di Novara, quindi si è estesa al territorio vercellese (presso l’Osservatorio sulle politiche per infanzia adolescenza e giovani della Provincia di Vercelli). Nel ‘99 si è assunta la gestione dell’Informagiovani di Novara e si è data consulenza all’avvio di altri sei centri, uno dei quali addirittura in provincia di Agrigento (a Palma di Montechiaro)4. In genere la fase d’avvio dei Centri (tab. 2) si svolge così: comincia con una serie di contatti con gli amministratori (sindaci e assessori competenti in materia) che interpellano Vedogiovane per avere informazioni su che cosa un Ente locale può fare concretamente per i giovani di quel Comune; si conclude con la presentazione di un progetto d’istituzione dell’Informagiovani redatto su base standard, modificata tenendo conto delle esigenze e delle peculiarità di quel Comune. Le Amministrazioni affidano poi direttamente a Vedogiovane l’incarico relativo all’avvio del Servizio (proprio sulla base dell’esperienza maturata) per un periodo di tempo limitato (es. sei mesi, max un anno), cui fa seguito una gara pubblica5. 4
Ulteriori conoscenze si sono ottenute entrando a far parte, come IG di Borgomanero, del Coordinamento regionale degli Informagiovani di Piemonte e Valle d’Aosta; partecipando alle Conferenze Triennali degli Informagiovani; lavorando con la Coop. Sociale Orso di Torino, con il Consorzio In&Co di Modena e frequentando il corso per operatore senior Informagiovani a Torino. 5 La fase d’avvio in un primo tempo veniva gestita individuando e accompagnando nel lavoro l’operatore che avrebbe lavorato presso il Comune. Successivamente, dato il moltiplicarsi dei Centri da avviare, si è pensato di attivare un percorso di formazione interna proprio sull’avvio degli Informagiovani, seguito poi da incontri periodici sul tema. Nel ‘99 sono stati attivati due di questi corsi: uno rivolto ai futuri operatori degli Informagiovani dei Comuni della provincia di Novara, del Verbano Cusio-Ossola e del Comune di Palma di Montechiaro, l’altro destinato a quelli della Provincia di Vercelli in collaborazione con l’Osservatorio. Si tratta di un percorso intensivo, della durata di circa 40 ore, metà delle quali di pratica con visite ad alcuni Centri Informagiovani.
Tab. 2. Programma tipo per l’avvio di un Informagiovani • Allestimento dei locali Rendere accogliente l’ufficio (con poster, qualche pianta, una radio con lettore cd, mobili e arredi, attrezzature informatiche, libri e bacheche). • Preparazione delle bacheche Cominciare a raccogliere dati e informazioni da sintetizzare per l’utenza: offerte di lavoro, concorsi, viaggi e scambi all’estero, campi estivi di studio e di lavoro, siti Internet da consultare, messaggi e annunci, iniziative culturali, concerti. • Elaborazione dei questionari delle scuole - Inserimento dei dati - Analisi dei dati - Creare un report - Comunicazione del report alle scuole e all’Amministrazione • Catalogazione dei libri Schedatura dei libri seguendo il sistema nazionale di classificazione degli Informagiovani, diviso in settori d’informazione per agevolare la consultazione e favorire l’autoconsultazione dei materiali. • Contatto con gli Enti, le associazioni, le imprese e le istituzioni dei territorio Informare della nascita del servizio e creare una mappa divisa per aree, seguendo i settori di informazione del servizio, quali: area scuola, area lavoro, area servizio militare e civile, area mobilità all’estero, area sport, area cultura e spettacolo, area vacanze e turismo, area ambiente. Ogni area conterrà dati e informazioni su Enti, associazioni o uffici relativi a un settore specifico. • Utilizzo di Internet Approfondimento e conoscenza dei siti e dei servizi degli Informagiovani nazionali per cercare sistemi e soluzioni di gestione dei dati. Conoscenza delle più efficaci strategie di ricerca sulla rete. • Rapporti per adesione al Coordinamento regionale degli Informagiovani Delibera da parte del Comune di un protocollo di intesa per aderire al Coordinamento. • Definizione degli orari e della data di apertura • Realizzazione di attività promozionali Preparazione di un pieghevole informativo, volantini e manifesto. Realizzazione di un banchetto-tipo per la partecipazione alle feste estive con pannelli con il logo dell’Informagiovani, scritte informative e una scheda che spiega che cos’è e come funziona il servizio, quali sono i settori d’informazione. • Monitoraggio e verifica delle attività della prima fase Si verificheranno le attività svolte e seguendo gli obiettivi raggiunti si programmerà la seconda fase, verso la piena operatività dello sportello. È possibile suddividere gli obiettivi del Servizio in generali e specifici (questi permettono di realizzare i primi): Tab. 3 - Gli obiettivi Obiettivi generali Obiettivi specifici Sviluppare le modalità organizzative specifiche • Differenziare la produzione di offerte informative per offrire un servizio informativo mirato alle (servizi/prodotti) a seconda di età, esperienze, giovani generazioni interessi e bisogni • Attivare le funzioni base di un servizio informativo: ! Ricerca ! Documentazione ! Informazione/comunicazione • Individuare strategie di promozione presso i clienti (interni ed esterni) Attivare l’integrazione fra il Servizio • Individuare le modalità di connessione informativa Informagiovani e gli altri Uffici con gli altri Uffici/Servizi/Progetti in atto dell’Amministrazione comunale • Sviluppare un modello di integrazione
Promuovere lo sviluppo di un sistema informativo • territoriale integrato fra servizi, agenzie, gruppi formali e informali (rete informativa territoriale) •
• Sviluppare una dimensione europeo/interculturale • del Servizio
Sviluppare la funzione di consulenza progettazione delle politiche giovanili
• • e •
•
amministrativa Decentrare i servizi e i prodotti informativi a livello territoriale Individuare le possibili connessioni fra enti istituzionali e del privato sociale a livello cittadino e di quartiere, sviluppando soprattutto la rete periferica Fronteggiare l’esclusione e il disagio intesi come mancanza di risorse informative Facilitare le azioni che permettono ai giovani di percepire come risorsa la dimensione europeo/interculturale Garantire la presenza di un operatore comunitario Usufruire dei prodotti informativi delle reti europee Attivare azioni di consulenza sia su specifiche richieste dell’utenza che promuovendo alcune tematiche (Carta di partecipazione dei giovani, associazionismo giovanile, ecc.) Trasformare il contesto Informagiovani in un luogo di progettazione delle politiche per e con i giovani
5. La centralità strategica dell’informazione Torniamo su un tema cui si è fatto già ampio cenno: l’importanza dell’informazione nella vita individuale e sociale. Un’informazione equa e corretta costituisce uno stimolo decisivo per la partecipazione e la crescita sociale dei giovani, chiamati a compiere scelte che costruiranno il loro futuro. La qualità del servizio informativo è quindi obiettivo primario. Per i ragazzi che frequentano la scuola, è decisivo poter avere una consulenza e un orientamento. In questo senso una città dovrebbe poter offrire una struttura stabile di supporto dei bisogni di giovani, famiglie e insegnanti, al fine di garantire un accompagnamento specifico nelle fasi di passaggio e scelta e più in generale durante tutto il percorso scolastico. Di fatto, con la scelta di un percorso scolastico vi è un primo tentativo da parte dell’adolescente di focalizzare e concretizzare un progetto di vita, tanto che, come emerge da molti studi e ricerche, a un percorso travagliato o a un’uscita precoce dei soggetti dall’istituzione scolastica si associa, molto spesso, il fenomeno della devianza giovanile. Questo servizio di orientamento e consulenza garantisce un suo specifico che potrebbe collegarsi ai servizi già esistenti, quali quelli relativi al lavoro sul territorio o i Cic nelle scuole. 5.1. Un’informazione prossima al cittadino “adolescente/giovane” Il rispetto della democrazia, delle libertà fondamentali e della dignità dell’uomo implica il diritto per il cittadino di disporre di una informazione che sia: completa, comprensibile, affidabile, senza riserve sulle questioni e i bisogni che si esprimono, scevra da influenze ideologiche. Questi diritti all’informazione sono affermati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione dei diritti del bambino e dalla Raccomandazione del Consiglio d’Europa concernente l’informazione e la consulenza da fornire ai giovani. Al riguardo la Carta europea di partecipazione dei giovani alla vita comunale e regionale6 (1990) afferma: “Di fronte alle richieste dei giovani, i Comuni e altre collettività territoriali si impegnano a favorire la creazione e a sostenere l’attività di centri di informazione e di consulenza che offrano servizi a tutti i giovani e forniscano loro direttamente le informazioni in vari campi
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La Carta è stata adottata dal Consiglio comunale di Borgomanero.
quali gli svaghi, gli sport, la vita culturale, l’alloggio, la vita associativa, gli impieghi a carattere temporaneo e i progetti di formazione professionale”7. Rispetto all’informazione per il “cittadino” adolescente/giovane rimangono validi i criteri di riferimento e i principi pragmatici di qualità dell’informazione8 di ERYICA: a) aperta a tutti i giovani; b) ugualmente accessibile a tutti i giovani, qualunque sia il loro stato, il loro luogo di residenza, la loro classe sociale; c) capace di dare risposta alla domanda e al bisogno espresso dall’utente con l’esclusione di ogni altro interesse; d) in grado di fornire un trattamento personalizzato e organizzato sulla base della domanda; e) rispettosa della segretezza e dell’anonimato dell’utente; f) gratuita; g) capace di informare in modo: completo, imparziale, preciso, pratico, aggiornato; h) fornita attraverso l’utilizzo della pluralità delle risorse; i) libera da interessi politici, commerciali o religiosi; j) rispettosa dell’indipendenza dei servizi e dell’informazione fornita, qualora si facesse ricorso a sponsor e pubblicità pagante. 5.2. Perché è importante l’informazione? Punti di vista sul mondo adolescenziale e giovanile Per inquadrare il tema degli interventi a favore di adolescenti/giovani e quindi descrivere l’identità e il significato del servizio IG, è necessario tracciare dei contorni anche sullo scenario di riferimento della condizione giovanile. Il punto di vista sociologico Da un punto di vista sociologico, in una società che si fa sempre più complessa l’informazione e la consulenza rivolte ai giovani hanno un ruolo essenziale per il loro percorso di vita. In questi ultimi anni si è assistito al dilatarsi spaziale e temporale di quella che viene considerata “età adolescenziale e giovanile”. Da un lato la necessità di prolungare gli iter formativi, soprattutto scolastici9, dall’altro l’inserimento posticipato (e sempre meno stabile) nel mondo del lavoro hanno dilatato la permanenza in famiglia e quindi rinviato il raggiungimento della piena autonomia economica e sociale10. Il quadro sociale che emerge dalla lettura della situazione giovanile deve perciò trovare risposta in una metodologia progettuale che aiuti i giovani nel percorso di transizione alla vita attiva e “adulta” in quanto caratterizzata dall’autonomia non solo affettiva, ma in ogni ambito11. Un’autonomia resa possibile anche dalla facilità di reperire le informazioni necessarie per orientare al meglio il proprio percorso, non solo individualmente ma anche nel gruppo di pari. Una notazione soltanto: se l’artefice di quest’operazione volta a facilitare l’accesso alle risorse informative è l’istituzione, in quanto intende attivare servizi informativi, non 7
Consiglio d’Europa 1990, Carta europea di partecipazione dei giovani alla vita comunale e regionale, pubblicazione edita nel 1998 dalla Provincia di Novara in collaborazione con Vedogiovane, punto 24. 8 Carta europea dell’informazione per la gioventù, adottata a Bratislava il 3 dicembre 1993 dalla IV Assemblea dell’Agenzia europea per l’informazione e la consulenza per la gioventù (ERYICA). Gli altri testi di riferimento sui Servizi Informagiovani sono: Ministero dell’Interno, Direzione generale dei servizi civili, Informagiovani. Guida alla realizzazione di servizi di informazione e consulenza per i giovani, Roma, 1993; Ministero dell’Interno, Direzione generale dei servizi civili, Informagiovani. Dai centri di informazione locali al sistema informativo nazionale per i giovani, Roma, 1993. 9 Cfr. Quarto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Supplemento a Laboratorio Iard n.4, dicembre 1996, pp. 55-59.; La famiglia lunga: il permanere dei giovani nella famiglia dei genitori, anno III, Quaderno 1/95. 10 Cfr. Quarto rapporto…, cit., pp. 6-10. 11 Rimangono validi gli ambiti individuati dal Convegno “Bi-lancio giovani. Differenze autonomia rappresentanza” tenutosi a Torino il 28-29 novembre 1997: percorsi di autonomia (casa, lavoro, formazione continua); socialità, creatività, produzione culturale; espressione del corpo, gioco, affettività, sessualità; scambi fra generazioni, comunicazione, reti informative; mobilità, scambi internazionali e nazionali; responsabilità sociale, rappresentanza politica.
bisogna trascurare ciò che la ricerca sociologica indica: ovvero un sentimento diffuso che giudica l’istituzione/mondo adulto come un luogo nel quale riporre poca fiducia12. Il punto di vista psicologico Gli psicologi sostengono che è in atto un ribaltamento che investe in pieno l’idea di identità e il rapporto che la persona ha con la società. Se un tempo (si pensi alle analisi di Freud, il cui approccio alla sofferenza psicologica era legato alla repressione della libido tipica della società borghese; ma si pensi anche alla contestazione del ‘68) la domanda che ci si poneva era: “ho il diritto di compiere quest’azione?”, oggi che le norme limitative non ci sono più e tutto sembra consentito la domanda diventa: “sono in grado di compiere quest’azione?”. Il problema è sempre più spesso quello di restringere il campo della propria esperienza, in un tempo in cui a tutti sembra dischiudersi un ventaglio di possibilità pressoché illimitato (non bisogna dimenticare che questa condizione coinvolge anche le persone adulte, le cui traiettorie lavorative si sono fatte più incerte e più precarie rispetto al passato). Discende da qui l’impegno a garantire e tutelare spazi fisici e culturali aperti ai giovani, perché possano non solo ricevere informazione da fonti altrui, ma anche produrla partendo dalle fonti del proprio sapere quotidiano. In questo senso occorre un lavoro con le istituzioni per rimuovere quegli ostacoli che non permettono alle giovani generazioni di essere protagoniste della costruzione del proprio e altrui futuro, appropriandosi di quegli spazi di potere (informativo) spesso negati o non riconosciuti. Tutto ciò va fatto riconoscendo ai giovani quella capacità contrattuale che se da un lato porta con sé il rischio della conflittualità, dall’altro innerva e dà significato al processo di costruzione della comunità tutta. Il punto di vista psicosociale Infine il punto di vista psicosociale, con le sue riflessioni sull’empowerment, ci indica l’ottica con cui relazionarsi con la persona singola o il gruppo di pari: questi sono risorsa e non problema, da potenziare e incrementare nelle competenze legate all’informazione (capacità di reperimento, di gestione, di produzione). In questo senso non si tratta soltanto di soddisfare la domanda immediata d’informazione, ma di facilitare il protagonismo giovanile nel campo dell’informazione/comunicazione utilizzando i canali informativi informali/formali già attivi fra adolescenti e giovani. Il ruolo dell’Informagiovani è inoltre quello di favorire lo sviluppo di un sistema informativo territoriale, quale “progetto sociale per l’emancipazione dei giovani che vede coinvolte e interagenti tutte quelle realtà che in qualche modo hanno contatto con i giovani e gli adolescenti”13. Può essere questa la prospettiva che collega servizi istituzionali e agenzie educative (Centro per l’impiego, scuola, associazionismo, ecc.) in una rete informativa propria del “mondo territoriale”: rete che ha la finalità di far sviluppare alle giovani generazioni una competenza informativa; rete che assume la tonalità e un’attenzione particolare sull’informazione grazie allo stimolo portato dalla presenza del servizio Informagiovani, che a sua volta si collega alle altre reti informative esistenti nel “mondo cibernetico”14.
6. La partnership con l’Ente locale nello sviluppo di politiche giovanili 6.1. Il ruolo dell’Ente locale Il modo con cui si fanno (se si fanno) politiche giovanili indica la capacità del Paese di occuparsi di se stesso, di investire sul suo futuro. Le politiche per i giovani non sono una somma d’interventi o servizi, ma una politica di programmazione delle città che tiene conto del mondo giovanile in senso lato considerandone tutti gli aspetti (educazione, formazione, informazione, lavoro, ecc.). 12 Una recente indagine condotta dall’Amministrazione provinciale di Novara sulla fascia 15-18 anni ha confermato i dati nazionali della IV Indagine Iard: all’ultimo posto della tabella “Fiducia nelle istituzioni” compaiono gli uomini politici. 13 Ministero dell’Interno, Direzione generale dei servizi civili, ???, 1996, p. 16. 14 Vedogiovane dal 1996 ha attivato una “Rete informativa sulle politiche giovanili” (www.vedogiovane.it, “Trattamento dei dati e delle informazioni”) al cui interno si può accedere gratuitamente per attingere dati, informazioni, documenti, normativa riguardante l’area delle politiche per e con i giovani.
Un importante ruolo è svolto a questo proposito dai Comuni, che dopo la riforma della legge elettorale comunale (che ora prevede l’elezione diretta del sindaco) sono percepiti dalla gente come l’istituzione più partecipativa e senz’altro il più vicino “pezzo di Stato”. La nuova legge dà agli amministratori anche maggiori garanzie di continuità per un lavoro di quattro anni. E con il passaggio al sistema federalista, sarà la città il luogo in cui avverranno le “cose”, nel senso che saranno le città i soggetti principali della vita “politica”. Nelle molte realtà comunali medio-piccole (meno di 20.000 abitanti), con limitate risorse a disposizione, occorre pensare a strategie d’intervento diverse da quelle delle grandi (e poche) città. In questi centri gli interventi devono saper coinvolgere tutta la comunità (oratorio, gruppi informali, associazioni…) per sostenere quelle esperienze che già ci sono, senza sostituirvisi. E le politiche giovanili debbono tradursi in una serie di interventi per i giovani inseriti nei bilanci delle Amministrazioni in capitoli ad hoc tra le spese correnti (da rifinanziare ogni anno) e anche tra gli investimenti (es. per la realizzazione di strutture). Nell’amministrazione di una città ci deve essere un “punto fermo” che si occupa dei giovani, un riferimento, cioè un vero e proprio Assessorato con tre compiti precisi: 1) incontrare i giovani, confrontarsi con loro in Assessorato, o meglio in assemblee di associazioni varie o conferenze e dibattiti (l’assessore deve essere comunque sempre a disposizione); 2) coordinare le diverse iniziative che esistono nei Comuni e fare in modo che le proposte che arrivano dagli stessi giovani possano essere realizzate (es. per le feste o i mercatini dei libri l’Assessorato si occupi di tutta la parte burocratica che le singole iniziative richiedono). Inoltre l’Assessorato deve portare avanti le richieste/esigenze dei giovani presso altri Assessorati (es. all’Urbanistica per gli spazi di incontro da pianificare nei Piani regolatori); 3) studio/analisi del mondo giovanile15. 6.2.Aree e criteri di intervento Lo si è detto tante volte, ma le istituzioni debbono occuparsi di giovani (e non preoccuparsi…) considerandoli una risorsa positiva, con cui rapportarsi non attraverso processi di “etichettatura”, ma agevolando processi che portino nuova cultura. I criteri con cui realizzare le politiche giovanili sono: la contrattualità (non più erogazione di servizi, ma dialogo per la promozione del “processo”); l’accessibilità (progetti per tutte le categorie di giovani e non solo per alcune, e con obiettivi tarati per le categorie con più difficoltà ad accedere ai servizi); il lavorare per progetti (analisi della situazione/obiettivi e strategie/valutazione per consolidare o riprogettare). Vi sono più aspetti da considerare: la scuola in primis (tutto il sistema educativo) e la qualità della formazione (mediamente bassa, che aumenta sono per i livelli più alti); il lavoro (molte zone in Italia sono inserite nell’area 5b per l’Europa e ciò causa l’allarme nella crescita dei tassi di disoccupazione giovanile, con il rischio che le nuove generazioni perdano l’appuntamento con il lavoro); le politiche sociali (bisogna smettere di farle e lasciare che si facciano da sole); forme di disagio: esclusione (dal lavoro, dalla formazione, dalla ricchezza) e inclusione “viziata” nel benessere/ricchezza che viene vissuta in modo immaturo. Queste due forme di disagio spesso si presentano combinate tra loro (es. nel Nordest dove a molta ricchezza corrisponde una povertà formativa e culturale) e questo è senz’altro un problema nuovo; l’importanza dell’informazione. Tutte le politiche che con “fantasia” hanno come obiettivo quello d’inventare soluzioni a questi problemi devono essere incoraggiate. Inoltre è necessario che nella progettazione d’interventi per i giovani si seguano alcuni criteri principali: occuparsi di comunicazione (non solo di informazione, ma relazione, educazione, processi); proteggere e promuovere ciò che già esiste; promuovere servizi alle persone (es. promuovere gli Informagiovani anche in 15
Come realizzare i tre punti? Al riguardo la “Carta europea di partecipazione dei giovani alla vita comunale e regionale” prevede 4 criteri che orientano le scelte per quanto concerne le politiche giovanili dei Comuni: 1) informazione: tutte le proposte, iniziative, leggi, opportunità, facilitazioni rivolte ai giovani devono essere comunicate loro, portate a conoscenza tramite gli Informagiovani o altri supporti informativi (riviste, Internet, Banche dati ecc.); 2) partecipazione: si deve istituire una Consulta dei giovani con potere propositivo per ciò che riguarda temi aventi a che fare con i giovani in città; 3) promozione e sostegno dell’Amministrazione a tutto quello che riguarda iniziative per i giovani (cultura, musica, cinema, ecc.) coinvolgendo anche altri settori della città (es. commercio, privato sociale, trasporti, ecc.). 4) prevenzione: i Progetti giovani sono progetti di prevenzione del disagio e non di recupero (occorre investire anche sulla formazione degli operatori che quotidianamente sono a contatto con i minori, come educatori e insegnanti, ma anche allenatori e dirigenti di associazioni sportive, di volontariato ecc.).
comunità piccole, se legati a contesti aggregativi più ampi); lavori di équipe territoriali su problemi “reali” (nelle piccole comunità è più facile); va riconosciuta l’importanza dell’associazionismo (es. quello di tipo sportivo, che coinvolge quasi il 90% dei ragazzi tra i 10 e i 13 anni) come soggetto protagonista di ricerche, progetti, soluzioni; vanno elaborate politiche giovanili che siano fuori da politiche di emergenza (tipo droga e prevenzione) e di più ampia progettazione; va assunto nella progettazione il “linguaggio” giovanile, perché espressione di una cultura che deve essere riconosciuta; bisogna promuovere l’autonomia personale attraverso i servizi di informazione e consulenza, soprattutto per quanto riguarda il lavoro (es. Legge 44), mettendo in condizione i giovani di far da sé; va favorita nelle città la ricerca da parte dei giovani di identità, di luoghi (circondati da non-luoghi, es. centri commerciali, traffico, spazi abbandonati), di senso di appartenenza, ricerca che ha la città come vero cuore e centro delle politiche giovanili. 6.3. Le fatiche della partnership Il problema principale con cui Vedogiovane si è dovuta confrontare è stato proprio il rapporto con l’Ente locale. Come detto nel testo, sono dovuti trascorrere sei anni tra la presentazione del progetto e l’apertura del servizio... Il susseguirsi di assessori e amministrazioni, rimpasti, sostituzioni e passaggi di deleghe hanno fatto sì che tutte le volte si dovessero reimpostare i rapporti e le trattative. A volte l’avvio del servizio sembrava imminente, altre volte si pensava che fosse sospeso per sempre e allora bisognava attrezzarsi diversamente per reggere un servizio minimo d’informazione e animazione in città. Per questo è stata necessaria una grande pazienza, unita alla determinazione di non “mollare” mai su questa idea. Queste difficoltà legate all’avvio dell’Informagiovani hanno ostacolato lo sviluppo di Vedogiovane in quanto impresa al momento che: l’attività di informazione e animazione della città doveva essere sostenuta esclusivamente con fondi propri; l’avvio di altri Informagiovani (in altri Comuni) risultava impossibile proprio perché Vedogiovane difettava di credibilità sulla gestione di un servizio del quale sapeva molto, ma “praticava” poco; e nelle province di Verbania e Novara l’Informagiovani rimaneva un servizio poco conosciuto perché aperto solo a Novara. Questa situazione ha costretto Vedogiovane a costruirsi davvero una forte specializzazione teorica su questo servizio, a raccogliere molto materiale, a visitare tantissimi centri, a contattare spesso anche il Coordinamento Piemonte-Valle d’Aosta. E tutto questo know how è poi risultato utilissimo anche per l’avvio del centro di Borgomanero, ma soprattutto di altri Comuni. Un’altra difficoltà è stata il presentarsi presso l’istituzione apparendo sempre come “ragazzi troppo giovani”, senza nessun adulto alle spalle che potesse fungere da garante e, forse, senza nessun referente politico in Consiglio comunale. 7. Conclusioni Se per un’organizzazione l’apprendimento non è sempre facilmente quantificabile, in quest’esperienza per Vedogiovane sicuramente si può parlare di accrescimento del “capitale cognitivo”. Infatti, dal punto di vista del materiale di informazione, si è imparato a conservare e catalogare il patrimonio di conoscenze acquisite, sperimentandolo poi in un “centro pilota” quale è stato l’Informagiovani di Borgomanero. Qui si è resa evidente una serie di problematiche relative all’avvio, il cui superamento ha costituito un materiale utilizzato poi nei corsi di formazione successivi. Il fatto di dover relazionare all’Amministrazione il lavoro che settimanalmente veniva svolto, ha “costretto” a razionalizzare questo know-how appreso sul campo. Lo si è poi codificato in un manuale operativo (tecnico e applicativo) contenente la sequenza di operazioni da svolgere per attivare il servizio. Le competenze tecnico-progettuali acquisite sono state utili in fase di consulenza. Inoltre si è individuata una serie di strategie utilissime per intuire-individuare-immettersi in quei canali di comunicazione che permettono di raggiungere le fonti di informazione importanti (che spesso equivalgono poi a fonti di risorse anche economiche). E proprio questo lavoro ha consentito (finalmente!) a Vedogiovane di accumulare e sviluppare il proprio capitale cognitivo. Anche da qui è nata la riflessione che ha portato Vedogiovane a immaginarsi dapprima come Centro documentazione e poi come vera e propria rete informativa in Internet (vedi nota 14).
Ma questi apprendimenti forse non sono stati utili solo alla crescita della Cooperativa. Forse la crescita del nostro capitale cognitivo si accompagna con la crescita di quei processi animativi che in una cittadina favoriscono il protagonismo giovanile. In questo senso, forse, c’è anche la consapevolezza di aver lavorato per il futuro della città. Perché lavorare per il futuro in fondo non vuol dire altro che interloquire con chi domani dovrà necessariamente governare e avere responsabilità all’interno della società (i giovani appunto). In altre parole porsi il problema della maturazione del cittadino adulto di domani, favorendo la cultura della sua partecipazione alla vita comunale, anche attraverso la possibilità di veder rispettato il diritto all’informazione. È questo uno dei compiti istituzionali fondamentali dello Stato (l’art. 31 della Costituzione recita: “La Repubblica protegge la gioventù”). E gli Enti locali in partnership con il privato sociale possono svolgere un ruolo importante, come questa esperienza ha provato a testimoniare.
SE LA CITTÀ SI APRE AI GIOVANI, I GIOVANI SI APRONO ALLA CITTÀ La costruzione di un Centro di aggregazione per adolescenti 1. IL RESPIRO DI UNA CITTA' Il respiro di una città ha bisogno di centro e periferia. Perché una città è un organismo vivente alimentato dall’interscambio di beni, relazioni e idee che circolano al suo interno. Eppure, quante città vediamo respirare senza il polmone delle periferie? Come se quegli spazi, dove si concentra un’umanità spesso povera di mezzi e di opportunità, costituissero il rimosso della città, il suo lato d’ombra. Una città ha bisogno soprattutto della sua parte più giovane. Perché se non scommette sul protagonismo sociale dei ragazzi, rischia in futuro di essere abitata da in-dividui. Ovvero da soggetti che “non dividono” il loro spazio sociale con altri. Atomi sul territorio, tra loro slegati, senza un’idea di società in testa perché non l’hanno sperimentata da piccoli. Come può allora la città diventare, da spazio fisico (da non-luogo direbbero gli antropologi), laboratorio sociale e culturale dove i giovani – anche quelli di periferia, se non vengono rinchiusi in ghetti e abbandonati a loro stessi – possono trovare stimoli e strumenti per inventare nuovi mondi possibili? Queste pagine sono un pezzo di risposta. Raccontano come una città, di piccole dimensioni ma con la sua periferia, è approdata, attraverso i suoi attori istituzionali (l’amministrazione comunale) e del privato sociale (la cooperativa sociale Vedogiovane), con il contributo degli enti religiosi (le suore rosminiane, il collegio salesiano), a scommettere sul protagonismo dei giovani. Sostenendoli nel loro percorso di crescita da un lato, favorendone l’aggregazione all’interno della comunità locale dall’altro. In un senso che non sia la chiusura tribale in piccoli clan (fenomeno tipico dei ragazzi delle periferie), ma la connessione del loro bisogno di socialità con il bisogno che la società ha di loro. 2. COME RESTITUIRE CENTRALITÀ AI GIOVANI DI PERIFERIA Gli inizi in strada, da volontari (1994-1997) A Borgomanero le case popolari sono colorate di giallo, rosso, verde, marrone. Alla vivacità delle facciate fa da contrappunto la poca abitabilità del territorio. Poche opportunità educative e ricreative per i più giovani, un debole senso di appartenenza degli adulti a una zona scarsamente ospitale della città. Problemi di periferia, si potrebbe dire. È in questo scenario che nel 1994 la cooperativa Vedogiovane incontra un gruppo di giovani volontari, che fino all’anno prima hanno lavorato con la Comunità di Sant’Egidio. Poiché quest’ultima non può più garantire il sostegno ai bambini delle elementari, si pensa che la Cooperativa possa dare una mano. Da questa domanda di “aiuto per aiutare”, parte la storia. L’intervento, che si configura come intervento di volontariato, assume decisamente una fisionomia da “animazione di strada”: il vasto e disertato parcheggio di via Aldo Moro, opportunamente truccato con gessi colorati, diviene teatro di giochi sportivi e “celebrazioni” di gruppo (bans, aquiloni che volano...). Insistendo con le attività all’aperto, data la mancanza di locali agibili, si rende visibile all’ambiente circostante l’avventura “in fieri” e si ottiene la partecipazione di ragazzi mai contattati prima. Il lavoro dei volontari è centrato sul piccolo gruppo, dichiaratamente individuato come luogo in cui l’individuo scopre e sviluppa le proprie risorse e potenzialità. Fin da subito, tuttavia, si avverte la necessità di rapportarsi con un contesto più ampio, a partire dal quartiere, e il desiderio di far diventare il progetto, in prospettiva, un intervento stabile a favore dei minori di Borgomanero. Indicativo il titolo del primo documento di progetto, datato 1994: “Progetto di Prevenzione: dall’animazione di strada al centro di incontro per minori”.
Accanto alle consuete attività con i bambini, si sente così il bisogno di aprire il confronto con i genitori, le istituzioni e gli altri soggetti del territorio. È il primo, abbozzato, tentativo di un lavoro di rete. Tuttavia l’amministrazione comunale non sembra volersi “implicare” nella faccenda, nonostante la concessione di un piccolo spazio in cui svolgere le attività. Si tenta la strada di presentare progetti per chiedere finanziamenti (legge 216), ma il tentativo fallisce. Subentra un periodo di stanca del gruppo. Chi rimane deve ridurre i tempi per i ragazzi. E lavorare solo per strada diventa più duro. C’è bisogno di più professionalità. Forse non bastano più i volontari puri. Il volano della legge 285 – Nuovi orizzonti per i progetti giovani (autunno '97/primavera '98) La svolta si ha tra fine '97 e inizio '98, quando una nuova legge nazionale – la 285/97 – sembra lo strumento “ad hoc” per dare continuità e solidità al progetto. Il titolo della legge recita infatti: “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”. Intanto il gruppo aveva già reagito alla fase di stanca inserendo nuove risorse: una figura con molta esperienza, alcuni obiettori e un animatore retribuito da Vedogiovane. Questi innesti nell’équipe rinnovano la determinazione degli operatori (volontari e non). Nasce ad esempio la possibilità di una relazione con le mamme del quartiere popolare riconosciute come portatrici di risorse. Il desiderio è “spingerle a riunirsi, per discutere insieme dei problemi comuni o del quartiere o, semplicemente, per conoscersi” (dal documento di progetto “Obiettivo famiglie”). Tra fine ’97 e inizio ’98, si attiva anche una ricerca sulla "percezione dei nuovi bisogni dei giovani", da parte degli operatori di Vedogiovane. Assunto di partenza è che chi lavora a contatto quotidiano con i ragazzi abbia un punto di vista privilegiato sulla loro situazione nel territorio. Lo strumento usato è la ricerca qualitativa1. Le interviste agli operatori della Cooperativa vengono condotte sulla base di una griglia di domande volta a indagare domande e bisogni di minori e genitori, risposte disattese e urgenze. Si rileva così che i preadolescenti hanno bisogno di persone che sappiano esplorare i loro luoghi, e con un contatto efficace leggerne i bisogni quotidiani che difficilmente loro riescono a esplicitare. Emerge inoltre la richiesta che l’intera comunità si interessi a loro. Senza soldi, si parte comunque (novembre ’98/giugno ’99) – Il ruolo del Comune Si convince la nuova amministrazione comunale a presentare un progetto triennale per i ragazzi preadolescenti e adolescenti “ai sensi della L. 285/97”. Il progetto viene approvato ma, per il primo anno di attività della legge, non finanziato. Si parte lo stesso: le attività e le relazioni avviate con i ragazzi necessitano di continuità. Vedogiovane decide (novembre 1998) di farsi carico del costo di due animatori retribuiti e di un obiettore per sostenere i volontari. Nel frattempo, succede un fatto importante: la frequentazione degli uffici comunali e le relazioni periodiche delle attività svolte portano (primavera 1999) alla decisione da parte dell’amministrazione comunale di attivare il progetto per preadolescenti e adolescenti con risorse proprie (in attesa dei finanziamenti della legge). Titolare del progetto, che si chiama "Ai confini della casa", diventa così il Comune. Protagonista resta il gruppo di ragazzi del quartiere popolare, conosciuto nei quattro anni precedenti. Il numero dei partecipanti è nel frattempo aumentato e le età si sono diversificate. Per gestire meglio gli incontri di animazione, ma soprattutto per offrire ai ragazzi attività mirate ai loro bisogni, si divide il gruppo in due sottogruppi: il primo formato da ragazzi dagli 11 ai 14 anni, il secondo tra i 15 e i 18. L’attività con i preadolescenti Da sempre si privilegia l’ambito ludico. L’intenzione è quella di sperimentare con i ragazzi, soprattutto attraverso il gioco, modalità relazionali di convivenza non regolate dalla legge del più forte, ma garantendo spazi in cui ciascuno abbia la libertà di esprimersi. Centrale è la valorizzazione della voglia di protagonismo, che passa attraverso la contrattazione rispetto all'organizzazione del pomeriggio e alla strutturazione di un insieme di poche regole condivise.
1
“Ricerca sui nuovi bisogni di infanzia e adolescenza. Report interviste qualitative a operatori e formatori Vedogiovane”, a cura di Nadia Trabucchi e Roberto Maurizio, marzo 1998, riportata nella seconda parte.
Oltre alla divisione dei due gruppi, due sono le novità importanti che hanno caratterizzato l'attività in questa fase: 1) il passaggio da un appuntamento unico (la domenica pomeriggio), a un doppio appuntamento infrasettimanale (mercoledì e venerdì pomeriggio, dalle 14.30 alle 18.30; 2) la possibilità di utilizzare alcuni spazi messi a disposizione dalle suore rosminiane presso il loro Istituto. Si ha, così, un luogo accogliente che i ragazzi apprezzano da subito. Il passaggio dall'attività "festiva" al doppio appuntamento "feriale" è una sfida motivata dal tentativo di rendere più significativo il rapporto con i ragazzi. E infatti i ragazzi rispondono positivamente alla proposta e le presenze, gradualmente, aumentano. La possibilità di avere dei locali a disposizione è decisiva per l'attività: nei mesi più freddi permette l'organizzazione di giochi al chiuso (giochi in scatola, giochi di ragionamento, giochi competitivi o collaborativi, giochi creativi…)2. Questi spazi diventano presto punto di riferimento per i ragazzi. Con il ritorno del bel tempo (da fine febbraio ’99), gran parte del pomeriggio è trascorso all'aperto (in genere al "Don Bosco"); l'attività si conclude al "Rosmini" con la merenda insieme. Il gioco di gran lunga preferito è il calcio, sport nel quale i ragazzi si sentono sicuri perché non richiede sforzi di comprensione (rispetto a regole e strategie) rientrando nel loro bagaglio esperienziale. Il tentativo è comunque quello di sperimentare con loro la novità, in modo da ampliare gli schemi d’esperienza consueti, sviluppare relazioni e abilità (fisiche e non). L’attività con gli adolescenti La proposta di incontri pensati in modo specifico per gli adolescenti è accolta con entusiasmo dai ragazzi del quartiere con cui eravamo in contatto (sei persone inizialmente) e, dopo soli sette incontri, i contatti con i ragazzi sono raddoppiati. Con loro ci si ritrova ogni due settimane, tendenzialmente il lunedì sera. Si decide insieme di alternare le attività, a volte uscendo (birreria, palaghiaccio, palestra…) a volte trovandoci alla sede di Vedogiovane dove, dopo una cena insieme, si organizzano attività di gruppo (giochi a tema, serate musicali, visione e discussione su un film…) La scelta è quella di dare subito caratteristiche particolari agli incontri: 1) la cadenza non segue uno schema rigido adattandosi agli impegni dei ragazzi; 2) l'orario scelto è quello preserale e serale, per coinvolgere anche gli adolescenti che lavorano e per connotare gli incontri in maniera distintiva anche da questo punto di vista: al bisogno di "sentirsi grandi" è data risposta anche attraverso l'individuazione di tempi "altri" rispetto a quelli dei più piccoli; 3) le attività hanno come peculiarità comune la centralità della relazione, giocata spesso nel dialogo. La parola, che sembra un problema nella relazione con i più piccoli (che spesso percepiscono di non avere un linguaggio appropriato), diventa importante strumento per gli adolescenti (se pur non sempre usata adeguatamente). Le decisioni sono quindi discusse in gruppo e contrattate con gli operatori. Il centro estivo “Borgoman-heroes” (estate ’99) Nella primavera ’99 l’ingresso del Comune nel progetto e il successivo arrivo dei finanziamenti danno slancio ulteriore alle attività. Si decide di organizzare un’insolita “Estate Ragazzi” aperta a tutti i preadolescenti di Borgomanero. Le risorse, infatti, sembrano permettere un buon sviluppo del progetto. E il periodo estivo sembra quello ideale per promuoverlo, facendolo conoscere al maggior numero di famiglie e favorendo così una rete di relazioni più allargata. Il centro estivo comunale "Borgoman-heroes" dura tre settimane (12-30 luglio). Per questo periodo anche l’équipe degli animatori si ingrandisce. Al centro, infatti, sono presenti un coordinatore, tre operatori e due obiettori di coscienza, mentre per la gestione dei vari laboratori si contattano, di volta in volta, esperti nei diversi ambiti. Il numero degli iscritti aumenta gradualmente, arrivando fino a 46. Si può dire che il tentativo di coinvolgere un numero crescente di ragazzi ha dato esito positivo. Il gruppo dei ragazzi del quartiere popolare, protagonista del progetto fino a questo punto, non dimostra alcuna difficoltà ad aprirsi ai nuovi ingressi. Anzi, il fatto di poter contare su un rapporto avviato con qualche operatore spinge molti di loro a distinguersi in termini positivi, di collaborazione o di appoggio, risultando così una risorsa per la buona riuscita dell’esperienza.
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Memorabile la costruzione di una “pista per tappi di plastica” che si sviluppa occupando i tre locali dl Rosmini. La valenza educativa è consistita nel rapporto che questo lavoro ha saputo creare con l’ambiente: di esplorazione, appropriazione e attaccamento.
Le attività proposte sono un po' insolite: i giochi che loro stessi si costruiscono, l’arrampicata con le funi, la canoa, ecc. Tutti sembrano molto interessati a sperimentarsi in tali attività, unendo curiosità e gusto per l’avventura. Grande spazio viene dato alle proposte che nascono direttamente dai ragazzi. In questo modo percepiscono di essere protagonisti nella costruzione di qualcosa non già preconfezionato. Il ritorno in strada (settembre '99) Il centro estivo ha un’appendice “settembrina”. Si decide di partecipare alla sfilata inserita nella tradizionale “festa dell’uva” di Borgomanero. I ragazzi che aderiscono alla proposta, circa 30, si incontrano durante i primi dieci giorni di settembre per preparare l’evento. Dopo la sfilata, che conclude il centro estivo, si ripropone il problema di trovare un luogo di ritrovo (i vecchi locali non sono più utilizzabili). Per quasi due mesi, il progetto riprende i connotati di “animazione di strada” che aveva alle origini. Gli appuntamenti con i ragazzi tornano a essere più informali e il gruppo si riduce a uno "zoccolo duro" di una decina di persone, tutte del quartiere popolare. Pur avendo stabilito due appuntamenti fissi durante la settimana, in questa fase si dà importanza soprattutto agli incontri “non ufficiali” con i ragazzi, magari andando a incontrarli in cortile sotto casa o per strada, e le attività svolte sono perlopiù ludiche e sportive (partite di calcio, pallavolo, giochi di gruppo…) e hanno come teatro il campo da calcio dell’istituto “Don Bosco” e il parco “Marazza”. La Regione intanto ha assegnato il contributo. Si hanno così risorse sufficienti per tre animatori che lavorano tre pomeriggi a settimana3. L'inaugurazione del Centro di aggregazione (Natale '99) A fine ottobre, dopo vari incontri con l’amministrazione comunale e le suore rosminiane, tornano a essere disponibili i locali presso il collegio Rosmini. Sembra che si possa finalmente progettare un utilizzo a lungo termine dei locali (tre grosse aule). In questa fase di “approccio” alla nuova sede, centrale è il ruolo del gruppo, ormai consolidato, dei ragazzi del quartiere popolare. Con loro si cerca di strutturare il centro in vista di una inaugurazione vera e propria. Accanto alle classiche partite di calcio e basket, vengono perciò proposte attività di pulizia e abbellimento dei locali; inoltre si fa strada l’idea di organizzare una festa, sfruttando la ricorrenza del Natale, alla quale invitare altri ragazzi (i compagni di classe, quelli che hanno partecipato alle attività estive, ecc.). La festa di Natale, oltre che momento inaugurale, rappresenta l’apertura alla città. I ragazzi si occupano di preparare la serata, mettendo in piedi un piccolo spettacolo teatrale e realizzando il volantino di invito. Alla festa partecipano più di trenta ragazzi e altrettanti genitori. A loro, durante la serata, viene illustrato il progetto e in particolare le attività che si svolgono al Centro. Molti si dimostrano interessati alla proposta. Le voci corrono, tanto che dopo le vacanze natalizie si cominceranno a rivedere alcune facce note (per aver frequentato il centro estivo l’anno prima) e altre del tutto nuove. L'appropriazione degli spazi, il laboratorio musicale, il doposcuola (gennaio/aprile 2000) In brevissimo tempo tutti i ragazzi riconoscono i locali come luoghi di incontro significativi, se ne “appropriano”, li trasformano secondo i loro gusti per renderli più belli e accoglienti. Di fatto questo luogo comincia a connotarsi come Centro di Aggregazione, aperto a tutti i preadolescenti e adolescenti di Borgomanero per tre pomeriggi a settimana, la cui “gestione” (delle attività come delle modalità) è sempre frutto della contrattazione tra gli animatori e i ragazzi stessi. Questi ultimi sembrano sempre più sviluppare una sorta di “identità comune”, che culmina nella scelta condivisa del nome che il gruppo vuole darsi: Compagnia Ragazzi Liberi – BorgomanHeroes. 3
E il lavoro con le materne e le elementari? Il progetto, proposto non da Vedogiovane ma da un'altra organizzazione di Borgomanero, non viene inizialmente finanziato. La situazione si sblocca quando lo si ribattezza come “Ali per volare – intervento dell’Amministrazione Comunale di Borgomanero contro la dispersione scolastica” (che peraltro presenta dati allarmanti). Si riesce così a gestire nuove risorse a favore dei bambini e degli adulti delle case popolari. Si affacciano nuovi giovani volontari, mentre i "vecchi" entrano come operatori retribuiti.
Nel frattempo, l’arrivo di un nuovo operatore esperto in materia permette di dare il là alla sperimentazione del Laboratorio musicale, con la possibilità offerta a ciascuno di proporre la musica di proprio gradimento, nel rispetto dei gusti di tutti. Le attività più frequenti svolte al Centro sono quelle ludiche e sportive, ma molti spazi sono dedicati ai laboratori manuali e artistici. Un altro elemento di novità è l’attenzione dedicata all’ambito scolastico. Ogni pomeriggio in cui il Centro è aperto è garantita, per chi lo desidera, la possibilità di svolgere i compiti scolastici, singolarmente, in gruppo o con l’aiuto degli animatori o dei volontari. Parallelamente si sviluppano contatti con il preside della scuola media, al quale viene presentato il progetto, e con alcuni professori che si dichiarano interessati a una collaborazione. Animatori, ragazzi & Comune co-progettano il Centro (primavera 2000) I finanziamenti regionali, dunque, sostengono il progetto per due anni (1999 e 2000), ma poi? In primavera si inizia il confronto con l’amministrazione comunale sul futuro del progetto, ma quest’ultima sembra non avere le risorse per sostenerlo autonomamente. Nel frattempo, però, la legge 285 mette a disposizione risorse per un nuovo triennio; si decide di presentare un nuovo progetto. L’aspetto più importante e innovativo è rappresentato proprio dal processo di progettazione, che vede coinvolti gli operatori che hanno lavorato nel progetto precedente, l’amministrazione comunale e i ragazzi stessi. Il titolo del progetto lo scelgono loro: “Centrodentro”, come riconferma del desiderio di avere un luogo di aggregazione stabile, un “centro” appunto, ma anche come espressione della volontà di diventare protagonisti, anche all’interno della realtà cittadina. I progetti, però, tardano a essere approvati per difficoltà burocratiche. Con i soldi del finanziamento precedente, riducendo l’intervento, c’è la possibilità di continuare l’intervento fino a luglio 2001, sperando che nel frattempo arrivino i soldi. L’incertezza con cui era iniziato il progetto è la stessa che accompagna gli operatori in questa fase: “Arriveranno i soldi? Oppure il Comune si prenderà carico del progetto? Oppure…no?”. Lettera al signor Sindaco (estate 2000) – Concessione di una nuova sede (autunno 2000) Durante l’estate 2000 viene riproposta l’esperienza del Centro estivo comunale per i ragazzi delle scuole medie. L’iniziativa ha un buon successo e coinvolge, oltre ai "borgoman-heroes”, anche un discreto numero di ragazzi fino a quel momento estranei alle attività. Questa volta, a tutti pare possibile fare una proposta anche per il periodo invernale: il fantastico luogo di incontro presso l’Istituto Rosmini! Ma alla ripresa delle attività… si ripete un film già visto: l’Istituto ha bisogno degli spazi per attività proprie, ritirando di fatto la propria adesione al progetto. I borgoman-heroes sono di nuovo “a piedi”. Dopo un periodo di “disorientamento”, le attività proseguono più informalmente e con meno ragazzi coinvolti. Lo schema ripercorre quello già “collaudato” nel settembre dell’anno prima e cioè la partecipazione, ormai tradizionale, alla sfilata della "Festa dell’Uva" e l’incontro con alcuni ragazzi nel parco cittadino. Anche loro si attivano alla ricerca di nuovi spazi e preparano addirittura una lettera di richiesta per il signor Sindaco. A partire da novembre 2000, sono messe a disposizione del progetto tre aule di una scuola elementare, al cui interno si cerca di ricreare le condizioni perché possano diventare il nuovo Centro di aggregazione. Per certi versi è un po’ come ricominciare daccapo, con in più la difficoltà di dover superare la diffidenza di chi fatica a investire su un luogo ancora diverso. Molti domandano: ma fino a quando staremo qui? I ragazzi contattati in ormai due anni di attività, però, sono tanti, la voce gira in fretta e i nuovi locali non tardano a riempirsi. Nuvole di incertezza: che ne sarà dei borgoman-heroes? Come detto, l'amministrazione comunale non si è resa più disponibile a sostenere il progetto autonomamente. Riguardo la possibilità di accedere ai fondi pubblici stanziati per sostenere un secondo triennio di progetti, ai sensi della legge 285, tardano ad arrivare notizie sicure. Probabilmente le richieste di finanziamento giunte dal territorio della provincia di Novara superano i fondi disponibili per quest'area (forse non tutto ha funzionato, in fase di coordinamento dei progetti, in sede
provinciale…), cosicché si giunge all’estate 2001 senza sapere se, quando e quanto del nuovo progetto verrà finanziato. Tornano ad addensarsi nuvole di incertezza: succede a noi come a quei contadini che, col naso all’insù, si chiedono se, quando e quanto pioverà. I contadini, forse, hanno qualche elemento di sicurezza in più. In molti casi hanno scavato pozzi o predisposto un sistema di irrigazione locale in grado di superare i periodi di siccità. In questo caso non sembra che le risorse locali riescano da sole a garantire un futuro al progetto. Non resta che aspettare e sperare? 3. SE IL TERRITORIO HA RESPONSABILITÀ EDUCATIVE I giovani, un bene comune Uno degli scopi della legge 285/97, condiviso dal progetto raccontato in queste pagine, è far interagire, in fase di progettazione e realizzazione, agenzie educative e istituzioni, costruendo un tavolo di concertazione che metta al centro la condivisione delle responsabilità educative sul territorio. La prima finalità esplicitata nel documento di progetto riguardava appunto la “assunzione di responsabilità, ovvero il passaggio da un intervento unicamente di volontariato a un progetto condiviso dalla comunità e dalle istituzioni”. Il gruppo di partenza a cui ci si è rivolti è stato quello dei ragazzi del quartiere popolare, ma l’intenzione dichiarata era di allargare l’intervento a tutta la popolazione borgomanerese appartenente alla stessa fascia d’età. E infatti nel documento si legge: “(…) sviluppo dell’intervento, ovvero il passaggio da un intervento sui gruppi di preadolescenti del quartiere a quelli della città”. Si è individuato esplicitamente come destinatario del progetto anche “il mondo adulto, informale e formale, in quanto coinvolto relazionalmente con i minori, sia direttamente che indirettamente”. Centrale è stato anche l’investimento sulla ricerca, scoperta e strutturazione di luoghi di aggregazione, in cui i preadolescenti e gli adolescenti possano incontrarsi tra di loro e con il mondo adulto. Accanto al riconoscimento e alla valorizzazione dei luoghi di incontro informali, il desiderio esplicito era quello di costruire insieme ai ragazzi uno spazio riconosciuto come punto di riferimento significativo, su cui essi sentissero di poter investire perché percepito come “proprio”. Un'attenzione peculiare si è avuta al rapporto con la scuola (o comunque all’ambito formativo): si è inteso continuare il lavoro di affiancamento e di sostegno scolastico, ma soprattutto inserire un’attività di orientamento, sia scolastico che professionale, in modo che i ragazzi si sentano sostenuti nella possibilità di effettuare scelte personali piuttosto che rassegnati a un destino già segnato. Ma, al di là degli obiettivi esplicitati dal documento cartaceo, è importante raccogliere le logiche che hanno sorretto il progetto fin dagli inizi – logiche che evidenziano precise scelte di valore. Gli operatori del progetto le hanno così sintetizzate: • la necessità di portare attenzione su una realtà sociale discriminata, offrendo una nuova possibilità di aggregazione; • favorire il protagonismo dei ragazzi; • l’opzione fondamentale del gruppo, luogo privilegiato di comunicazione educativa; • la scelta del metodo dell’apprendimento esperienziale; • la proposta di eventi stra-ordinari, che offrendo emozioni speciali arricchiscono di significati particolari l’esperienza e rilanciano la vita di gruppo collocandola esplicitamente in una più ampia dimensione comunitaria. A questo si affianca, senza contrapporsi, l’attenzione al “quotidiano”, “luogo” da scoprire e da valorizzare; • l’evidenziazione della ricchezza dell’incontro con la diversità; • il coinvolgimento dei genitori come protagonisti dell’intervento; • l'integrazione fra privato sociale e istituzioni pubbliche, che ha dato al progetto una forza in più rispetto alla pluriennale esperienza di volontariato. Lavoro con i giovani, lavoro di comunità Nella pratica, si è scelto di partire dal quartiere popolare perché lo si riteneva povero di risorse e di stimoli da offrire alla popolazione minorile lì residente. «Ma lì non c’è proprio niente!» era una delle
frasi più ripetute dagli operatori. Questa decisione iniziale, motivata da una situazione reale, portava con sé alcuni “rischi”. Il primo era quello di far scattare automatici meccanismi di identificazione: il quartiere popolare è stato considerato per anni come un complesso omogeneo, distinto dal resto di Borgomanero (e in tutto ciò la collocazione geografica “marginale” ha giocato un ruolo importante). Ben presto, però, gli operatori hanno constatato di trovarsi di fronte a un complesso umano per nulla uniforme, anzi decisamente articolato. Tra gli stessi ragazzi, ve ne sono alcuni che sottolineano la propria appartenenza a una cultura “altra”, ma molti, soprattutto i preadolescenti e gli adolescenti, hanno instaurato legami relazionali forti con i coetanei, e condividono con loro lo stesso senso di appartenenza (si sentono di Borgomanero, non di un quartiere o di Napoli…). Un secondo “rischio” era legato alle logiche progettuali. Il quartiere popolare è stato considerato tante volte, anche dagli stessi operatori, in termini di bisogni e di problemi, un “contesto” in cui era necessario intervenire, e non un "soggetto" con cui interloquire, possibile protagonista di un processo di cambiamento. Il fatto che nel progetto fosse un soggetto “esterno” (Vedogiovane) al quartiere popolare a cercare di rilevarne i bisogni e a promuoverne ipotesi di cambiamento non metteva certo al riparo da questo rischio. Ecco perché un'attenzione costante è stata rivolta a "sorvegliare" i propri comportamenti, evitando il più possibile che l'intervento si connotasse come "l'azione di qualcuno che cerca di far qualcosa per qualcun altro". Anche il coinvolgimento di altri soggetti (es. le famiglie) è stato animato dal desiderio che fosse funzionale non tanto a un progetto già pensato, ma a costruirne uno in comune. Un’importante acquisizione, segno di una strada intrapresa verso interventi di “animazione di comunità”, è la consapevolezza, da parte degli operatori, del ruolo di mediazione che essi svolgono tra le varie "micro-comunità" di Borgomanero (quartiere, città, genitori, ragazzi, istituzioni, scuola, agenzie educative ecc.). Sembra che questo ruolo sia sempre più riconosciuto, soprattutto da quando i progetti sono aperti a tutta la popolazione della città, e che passi anche attraverso un cambiamento del rapporto tra operatori e famiglie (che ora, in genere, riconoscono il ruolo educativo che gli animatori hanno nella vita dei loro figli). Ciò potrebbe permettere ai vari soggetti di riconoscersi la possibilità di entrare in relazione reciproca, e quindi di considerarsi “soggetti attivi”, in grado di esercitare la propria partecipazione in termini di “contare” e non solamente in termini di “far parte di…”. Nel rapporto con i ragazzi si è verificato quanto sia efficace mettere in pratica veri processi partecipativi, che muovono dalla co-costruzione di percorsi comuni. La contrattazione è diventata l’elemento caratterizzante soprattutto l’intervento con i preadolescenti e adolescenti. Le decisioni rispetto alle attività da svolgere, ma soprattutto l’attribuzione di significato al ritrovarsi insieme, sono sempre state frutto di negoziazioni tra i ragazzi. Il Centro di aggregazione, confermandosi come spazio co-costruito, è diventato in alcune occasioni una risorsa del territorio funzionale alla partecipazione di una parte della comunità, anziché una struttura rigida, perché “pensata da qualcuno per qualcun altro”4. Problemi affrontati e risultati ottenuti Come il lettore avrà capito dal racconto dell'esperienza, in questi anni non sono mancati i problemi, alcuni dei quali persistono. Il primo riguarda la difficoltà di poter disporre di un luogo stabile dove incontrarsi. L'aver dovuto migrare da una sede a un'altra, con intervalli in cui il luogo di aggregazione diventava la strada, ha prodotto, in alcuni momenti, un calo delle presenze e in altri ha ritardato (se non impedito) il raggiungimento di obiettivi prefissati. Ecco perché c'è bisogno di un luogo riconosciuto dove potersi esprimere e apprendere dall’esperienza; dove poter trovare spazi di ascolto e 4
L’importanza della partecipazione dei cittadini alla vita della città e l’offerta di spazi di protagonismo per i giovani sembrano ormai un’acquisizione diffusa. Si ha tuttavia l’impressione che spesso, nella pratica, manchino le condizioni necessarie per poter lavorare con questa logica. È molto difficile, infatti, porre come centro di un progetto il coinvolgimento della comunità, la coprogettazione, che richiedono il massimo della flessibilità, dell’apertura mentale, dell’attenzione ai soggetti senza rigidi schemi mentali in testa, quando la maggior parte dei progetti per essere finanziati chiedono di esprimere obiettivi e sotto-obiettivi ben chiari e dettagliati. È difficile che le istituzioni locali vi investano davvero in maniera convinta, anche perché i processi di partecipazione implicano necessariamente la possibilità di confronto, a volte di conflitto, con un soggetto a cui si è concesso un potere.
di gioco, far emergere il conflitto per imparare a gestirlo, sperimentarsi nel rapporto con gli altri, interiorizzare le regole del vivere insieme. Crescere come cittadini, insomma. Un secondo problema riguarda la costruzione e cura della rete. La difficoltà nel costruire e condividere un linguaggio comune e il differente punto di vista dal quale si osserva la realtà sono i fattori di complessità più evidenti quando si cerca la collaborazione tra soggetti con esperienze diverse (pubblica amministrazione, scuola, operatori sociali, animatori, genitori, volontari, oratorio…) attorno a un medesimo progetto. C'è poi un problema di visibilità. In questi anni il progetto non ha ancora acquisito la visibilità necessaria. Molte possono essere le concause di questa situazione: forse ci si è concentrati troppo sull’attività con i ragazzi, forse ha pesato la difficoltà in fase di costruzione della rete territoriale. Di sicuro confrontarsi su un oggetto poco visibile può portare a fraintendimenti, a valutazioni contrastanti e, soprattutto, a una certa indifferenza. Nel corso del progetto si è tentato di invertire questa tendenza raccogliendo e cercando di diffondere relazioni e resoconti del lavoro fatto. Non sempre gli sforzi hanno ottenuto il risultato desiderato. Infine, il rapporto con i genitori. Primo e ovvio requisito per l’efficacia di un intervento educativo è la sua coerenza con tutti gli altri che vengono messi in atto. Passo determinante per garantire tale coerenza è, in questo caso, il reciproco riconoscimento dei rispettivi ruoli educativi da parte degli operatori e dei genitori. In tal senso si sono fatti passi avanti, ma molti ne restano da compiere e permane l’interrogativo riguardo le modalità di dialogo più idonee da avviare con questi ultimi. Tuttavia non sono mancati i successi. È possibile tracciare un bilancio sintetico del lavoro svolto considerando le sue ricadute sui due principale soggetti coinvolti: i ragazzi e la comunità locale. * I ragazzi. Nei primi due anni del progetto ('97-'99), il gruppo è andato ingrandendosi. Oggi possiamo dire di aver contattato più di 60 ragazzi/e, anche se con livelli di partecipazione alle attività diversi (lo “zoccolo duro” è formato da circa 25 persone; un gruppo altrettanto consistente partecipa saltuariamente alle iniziative; una decina sono i “contatti” sporadici). I ragazzi hanno gradualmente maturato un atteggiamento di apertura nei confronti dei “nuovi ingressi” nel gruppo. Da una iniziale chiusura, sono passati a un avvicinamento “diffidente”, fino ad arrivare alla partecipazione attiva alla promozione del Centro (organizzando eventi e invitando altre persone). Il momento della contrattazione con il gruppo è sempre stato centrale. I ragazzi hanno raggiunto un buon livello di propositività e di autonomia nella gestione degli spazi e nell'organizzazione di piccoli eventi (feste, tornei di calcetto, ecc.). L’esperienza ha favorito inoltre lo sviluppo di relazioni positive tra i suoi membri e i ragazzi hanno riconosciuto la figura dell’animatore come adulto significativo di riferimento. * La comunità. Si sono poste le basi per un proficuo lavoro di rete. I rapporti con l’amministrazione comunale, in particolare con alcuni funzionari, si sono intensificati e ora pare più facile capirsi: questo ha permesso di collaborare in fase di elaborazione del nuovo progetto “Centrodentro”. Alcuni dei genitori dei ragazzi coinvolti ora considerano gli operatori interlocutori autorevoli con cui confrontarsi e condividere responsabilità educative. Buone relazioni di collaborazione si sono infine instaurate con alcune agenzie educative del territorio. In particolare, ci si è spesso confrontati con il Consorzio che gestisce i servizi sociali nel borgomanerese (individuando spazi di collaborazione nell’ambito della gestione di alcuni interventi educativi) e con il mondo della scuola (all’interno del Centro si sono strutturati spazi, riconosciuti dal gruppo, dedicati allo svolgimento dei compiti scolastici). Parallelamente, gli operatori hanno sviluppato contatti con la scuola media, che ha espresso la propria disponibilità a collaborare su "casi specifici". Molti dei ragazzi che hanno partecipato al progetto in maniera costante (lo “zoccolo duro”) hanno avuto difficoltà (e bocciature) durante il proprio iter scolastico. Risulta così sorprendente il fatto che, nell’anno scolastico 1999/2000, nessuno di loro sia stato bocciato. Forse non è fortuito il fatto che questo risultato sia stato ottenuto contestualmente all’impegno dedicato, da parte degli animatori, alle attività “didattiche” e ai contatti intrapresi col mondo della scuola. 4. RINSALDARE IL LEGAME GIOVANI/TERRITORIO Da questa esperienza pluriennale, si è appreso che un progetto di animazione con gli adolescenti, perché possa produrre risultati significativi sul territorio, ha bisogno di due elementi: alcuni “spazi di libertà” e una prospettiva di stabilità temporale. Per “spazi di libertà” si intende la possibilità che il
progetto, oltre che frutto di una progettazione partecipata, sia continuamente formulato e “riplasmato” dalla contrattazione tra tutti i soggetti che ne sono protagonisti, perché risponda sempre ai bisogni percepiti dalla comunità e trovi in essa le risorse per sostenersi. Per "stabilità temporale" si intende la possibilità di un investimento prolungato nel tempo, perché promuovere il “protagonismo” dei ragazzi è un processo lento e faticoso. Ci siamo accorti che non conta tanto l'aspetto esteriore degli spazi che vengono loro concessi (anche, certo), quanto che gli spazi siano percepiti come luoghi da poter costruire e trasformare. E infatti i ragazzi hanno, di volta in volta, personalizzato e “utilizzato” gli spazi avuti: incontrandosi, organizzandovi feste o giochi, sapendo che lì potevano sentirsi come a casa. Molto lavoro sociale in questi anni ha lavorato su un’intuizione. Che ogni periferia può essere “centro del mondo”. A patto di lavorare sui legami tra persone, tra generazioni, tra la gente e il suo territorio, tra passato, presente e futuro di una collettività. A rileggere la nostra esperienza, ci accorgiamo quanto essa sia stata animata da questa scommessa. Si è lavorato tra le case popolari, ai margini di una piccola città come Borgomanero, cercando di "portare il margine al centro". L'esperienza di animazione con i giovani è stata insieme sviluppo di comunità. E la partnership tra privato sociale e ente pubblico è stata il volano dell'iniziativa. Una città, se vuole diventare luogo ospitale e non spazio anonimo segnato da barriere e ghetti, non può che lavorare in questo senso e investire sul protagonismo sociale dei ragazzi. Il futuro di una città dipende da chi la abita. Dipende da noi se questa sarà sempre più un "luogo" umanamente denso o un "non luogo" freddo e grigio. Un brano di Marco Revelli, che riportiamo a conclusione di quest'esperienza, chiarisce bene quella che è l'alternativa che secondo noi le nostre comunità hanno di fronte: «Un luogo è una frazione di spazio "lavorata" dalla storia, dalla memoria, dall'esperienza vissuta di una collettività. È il contrario dello sconosciuto e dell'indifferenziato: è dove ci si trova "a casa propria". Dove ci si può muovere "ad occhi chiusi" (perché ogni parte del territorio ci è nota) e ci si può "capire al volo" (perché ogni comportamento, atteggiamento, parola degli altri ci sono consueti). Dove si riconoscono gli altri e si è "riconosciuti". Un luogo - in sostanza - è uno spazio dell'identità, delle relazioni e della storia. Tale era il villaggio, il quartiere, la piazza, il cortile, ma anche la fabbrica, il caseggiato operaio, il mercato… Un "non-luogo", al contrario, è uno spazio inerte, vuoto di relazioni, fantasmatico. È "lo spazio degli altri senza la presenza degli altri", dove gli individui, estranei tra loro, indifferenti l'uno all'altro, si sfiorano e si urtano senza incontrarsi. Tali sono gli infiniti luoghi dell'esistenza moderna commercializzata: i supermercati, gli aeroporti, le metropolitane, artificiali e impersonali, dove lo spettacolo delle merci sommerge ogni altro significato. E dove "nessuno si sente a casa propria, ma non si è nemmeno a casa degli altri».
LICEO EUROPEO Michele Marmo e Giovanni Campagnoli INTRODUZIONE L’esperienza che il lettore troverà raccontata in queste pagine nasce all’interno di un territorio – Borgomanero (Novara)– che ha provato a scommettere su un’idea alta di scuola. Una scuola, cioè, intesa come organismo vivente, connesso ai bisogni del territorio e immerso nella cultura del tempo, e non istituzione chiusa, referenziale a se stessa come per troppi anni è stata. Una scuola che quindi accetta di riformularsi a partire dalle esigenze di chi la fa, dalle sfide che la società si trova davanti, più che da astratti mandati legislativi. Una scuola luogo di formazione umana e sociale incomparabile, dove il sapere viene rielaborato non recepito, ricreato non consumato. Una scuola che punta, in altre parole, a porsi come esperienza del cuore e della mente per tutta la comunità, e non spazio freddo, appartenente all’istituzione, dove ragazzi e ragazze non riescono a sostare ma solo a transitare, lungo cinque anni cruciali della loro vita, prima di approdare all’università o al mondo del lavoro. Gli attori di questa scommessa, avviata nell’estate del 1995 e tuttora in corso, sono il Liceo Europeo del Collegio don Bosco, con i suoi allievi e il suo corpo insegnante, e la cooperativa Vedogiovane, una ONLUS che si occupa di animazione sociale e culturale. Sullo sfondo, ma ben presente, il territorio di Borgomanero, un distretto industriale per cui l’imprenditorialità è un valore condiviso e dove una scuola capace di abilitare i ragazzi all’autonomia creativa e alla progettualità è considerata all’avanguardia. Il Liceo Europeo (“l’Europeo”, nel linguaggio abituale) fin dalla sua istituzione presenta elementi di novità. Nato infatti dall’esigenza di creare l’uomo e il cittadino dell’Europa interculturale, già dal primo anno prevede lo studio dell’inglese e del tedesco, del diritto e dell’economia, dell’informatica e del latino. Quello che si è inteso fare, tramite l’“alleanza” tra il Collegio salesiano e la Cooperativa Vedogiovane, è stato creare anzitutto un luogo dove gli insegnanti, affiancati da un tutor e accompagnati da un formatore, potessero progettare e gestire l’attività didattica in modo innovativo. Attento soprattutto a connettersi ai bisogni dei ragazzi e alle esigenze della formazione, in una circolarità ermeneutica capace di mobilitare le risorse progettuali dei ragazzi, senza le quali, difficile negarlo, non si dà scuola. Dal 1995 il team di insegnanti si ritrova puntualmente ogni mercoledì. COME SONO STATE FATTE LE COSE 1. I primi passi: dall’idea al progetto Si può gestire la scuola introducendo metodologie animative nella didattica? Si può fare delle ore di lezione non interminabili attimi di sospensione dalla vita, ma momenti in cui ci si riaccorda con le sfide del proprio tempo? Si possono costruire processi di apprendimento con gli studenti? Si può pensare che il territorio non sia solo il luogo fisico cui la scuola restituisce i ragazzi terminate le lezioni, ma un’estensione dei processi di apprendimento/insegnamento? È l’estate del 1995, quando il Collegio don Bosco di Borgomanero raccoglie una proposta lanciata dalla Cooperativa Vedogiovane. Essa consiste nel promuovere un progetto di convenzione fra cooperativa e comunità salesiana per cogestire il neonato Liceo Europeo sperimentale a indirizzo giuridico-economico. Superate le titubanze iniziali, la proposta è raccolta nella seguente convenzione: Convenzione tra il Collegio salesiano don Bosco e la Cooperativa sociale Vedogiovane Il Collegio salesiano don Bosco di Borgomanero – rappresentato dal direttore don Giuliano Palizzi – e la Coop. sociale Vedogiovane – rappresentata dal presidente Michele Marmo, premesso, ! che l’Istituto salesiano don Bosco di Borgomanero e la Coop. sociale Vedogiovane hanno dimostrato volontà reciproca di continuare il rapporto di collaborazione avviato nei quattro anno scolastici precedenti per lo sviluppo in comune di progetti didattici, educativi/animativi e formativi;
! che Vedogiovane riconosce la validità del metodo educativo di don Bosco e in particolare condivide le finalità educative espresse nel progetto specifico legato alla Comunità di Borgomanero, si accordano e convengono su quanto segue: 1. Oggetto. Il Collegio don Bosco incarica la Coop. sociale Vedogiovane di occuparsi: a. della progettazione e della gestione di percorsi formativi dell'équipe di insegnanti del Liceo linguistico europeo a indirizzo giuridico-economico e del Ginnasio Liceo classico con sperimentazione; b. della consulenza e della progettazione per il progetto di animazione e sostegno allo studio per il Liceo Europeo e Ginnasio Liceo classico; c. della progettazione di interventi rivolti agli studenti, tra cui il Cic; d. della realizzazione di iniziative promosse da Istituzioni Pubbliche per la scuola (tra cui quelle dell’Unione europea); e. degli incontri di formazione con i genitori e, su richiesta, dell’organizzazione di realizzazione di convegni e/o attività promozionali della scuola; f. della progettazione, organizzazione, realizzazione e valutazione di progetti di carattere interculturale e di scambi scolastici sia all'interno dei programmi europei per la gioventù, sia attivando iniziative di tipo privato, privilegiando la rete scolastica salesiana. 2. Modalità di svolgimento del rapporto Per quanto riguarda il lavoro con gli insegnanti si costituirà un gruppo formato dagli insegnanti, dalla preside e dal direttore e coordinato da un conduttore (tutor) – messo a disposizione da Vedogiovane – che si incontrerà settimanalmente (per 4 ore) per attività di programmazione e di verifica legate alla scuola e di formazione docenti. Il tutor del gruppo insegnanti è Michele Marmo. Per quanto riguarda le attività di scambio e interculturali si attiveranno gruppi ad hoc, coordinati da un consulente Vedogiovane, a cui si potranno aggiungere, se necessario, animatori interculturali di Vedogiovane. I rapporti istituzionali tra i due soggetti firmatari la convenzione – il Collegio salesiano don Bosco di Borgomanero e la Coop. sociale Vedogiovane – saranno regolati da incontri mensili di verifica ai quali parteciperanno: il direttore del Collegio Don Bosco (o un suo delegato), il preside del Liceo, il responsabile del Progetto giovani del Liceo, il tutor. Altre persone possono essere invitate a partecipare a questo gruppo di verifica su comune accordo dei soggetti firmatari la convenzione. Questo gruppo deciderà anche le modalità di svolgimento di tutte le altre iniziative previste dal punto 1 della convenzione, oltre a quella del lavoro con gli insegnanti. 3. Calendario scolastico. I docenti del Liceo saranno vincolati agli impegni tradizionali legati al calendario scolastico, concordati con preside e direttore. 4. Durata. La convenzione ha durata triennale e partirà dal 1 Settembre ’00 e durerà fino al 31 luglio ’01; non è automaticamente rinnovata alla scadenza, ma entro quattro mesi dalla scadenza deciderà sul suo futuro il gruppo di verifica. 5. Rapporti economici. I rapporti economici tra i due soggetti contraenti verranno regolati da pagamenti mensili da effettuare entro 5 giorni dalla presentazione della fattura. I compensi, determinati in altra sede, comprendono le attività effettivamente svolte nel mese previste dal punto 1 della convenzione. La fattura verrà presentata da Vedogiovane ogni 10 del mese successivo a quello cui competono le prestazioni. 6. Risoluzione del contratto. Il non rispetto di uno dei punti elencati nella convenzione sarà considerato giusta causa di risoluzione del contratto. Per il Collegio don Bosco ________________________ Don Giuliano Palizzi, direttore
Per Vedogiovane ______________________ Michele Marmo, presidente
Il progetto nasce dal desiderio d’integrare percorsi, tradizioni e competenze diverse. Vi convergono: l’esigenza del territorio di un percorso scolastico formativo adeguato alle nuove esigenze del mercato del lavoro e alla complessità sociale e culturale; la necessità di riprogettare, da parte della comunità salesiana di Borgomanero, la propria presenza con una proposta qualificata e qualificante, anche attraverso una nuova idea di collaborazione con i laici; e l’interesse, da parte di Vedogiovane, a verificare il proprio modello d’intervento formativo e animativo all’interno di un progetto sperimentale e a sostenere un’iniziativa di collaborazione tra organizzazioni no profit per proporre una logica d’imprenditorialità nuova all’interno di un percorso formativo-scolastico.
2. Il percorso formativo con gli insegnanti Come da contratto, si procede a impostare il lavoro formativo con gli insegnanti. Prima tappa: la selezione degli insegnanti disponibili a intraprendere un percorso d’apprendimento continuo. È questo infatti il requisito base per sostenere un lavoro con le nuove generazioni: la capacità di sentirsi in formazione continua, non per moda ma perché convinti che la crescita è un processo mai concluso. Gli insegnanti si rendono disponibili a quattro ore settimanali di progettazione, verifica e formazione. Nella fase iniziale dell’esperienza molte energie sono rivolte a lavorare per costituire un gruppo insegnanti compatto e motivato, così da creare uno spazio di confronto continuo e di sostegno per ciascuno. Il confronto si svolge in presenza del tutor e di un formatore. La scelta di un tutor con il compito d’accompagnare il gruppo insegnanti nel percorso formativo nasce dalla convinzione della necessità di presidiare il gruppo come luogo e strumento d’elaborazione di pensiero1. La domanda a cui il gruppo insegnanti è chiamato a rispondere è: come ci si può organizzare per abilitare i ragazzi a raggiungere gli obiettivi didattici, educativi e spirituali, partendo dalle loro domande, attese, carenze, progettualità inespresse? Resta tuttavia da chiarire, prima di definire qualunque azione o programma, quali siano queste domande inespresse, questi bisogni cui la progettazione dei percorsi didattici, educativi e spirituali deve connettersi se non vuole risolversi nell’insignificanza.
2.1. Le domande e i bisogni inespressi degli studenti a. Essere accolto con la dignità di soggetto capace di pensiero e azione Un primo bisogno riscontrato, a volte dissimulato dal ragazzo/a tramite modalità comunicative tutte centrate sull’ostentazione dell’autosufficienza, è quello di sentirsi accolto come “unico” e come potenzialmente capace di quello che la vita, anche attraverso l’adulto, richiede. Questo bisogno è dimensione costitutiva dell’esistere stesso di ogni persona, ma è particolarmente urgente per gli studenti che vivono il passaggio critico dell’adolescenza. La rilevazione di questo bisogno è intuitiva: basta osservare, nella relazione scolastica, come proprio l’accoglienza sia ciò che anima le energie nei giovani. Quando i ragazzi si sentono confermati – come singoli, come classe, come generazione – della bontà fondamentale del loro esistere a questo mondo, al di là di ciò che dicono o fanno (anche e soprattutto quando sono confusi o incoerenti o sbagliano), mobilitano le loro risorse, le canalizzano e non le dissipano. Sul piano metodologico ne discende un principio ispiratore cruciale in ogni lavoro con i ragazzi: la loro accoglienza incondizionata. La scelta è di comunicare con loro in modo che, sentendosi gratuitamente confermati, possano decidere di aprirsi a una comunicazione altrettanto gratuita con noi. L'accoglienza dev’essere infatti reciproca. Un patto non scritto, che porti ragazzi e insegnanti ad accettare consapevolmente di fare insieme un pezzo di strada nella vita e di provare a comunicare, senza strumentalizzazioni o secondi 1
Come in ogni processo animativo, il tutor ha avuto un ruolo e una presenza forte nei primi anni dell’esperienza del Liceo Europeo, per poi progressivamente ritagliarsi un ruolo più di consulente e formatore a seconda delle necessità. A questa figura viene attribuita la responsabilità d’individuare i bisogni formativi dei vari soggetti del processo, al fine di predisporre spazi adeguati al loro soddisfacimento. Inoltre a lui è affidata la responsabilità di facilitare l’integrazione fra le varie componenti del progetto svolgendo una funzione di animazione.
fini. Non sempre si riesce a firmare questo patto. Ma la domanda è se, senza di questo, si possa far scuola. D’altra parte l'accoglienza non è permissivismo, ma è parlare dal di dentro di una relazione di conferma. L'accoglienza non abbandona chi è in difficoltà né mai l'insegnante interpreta un gesto negativo come un attacco alla sua persona o un tradimento della sua fiducia. Solo dentro la gratuità possono germinare nuovi percorsi di crescita per i ragazzi come per gli insegnanti. L'accoglienza dispiega tutta la sua energia nel motivare a intraprendere "insieme" percorsi impegnativi: in particolare, in quanto scuola, quello dell'immersione dentro la storia della cultura umana e dei diversi saperi in cui essa si offre oggi. L'accoglienza è matura se genera l'amore per la cultura, il piacere di conoscere, la curiosità verso mondi altri da se stessi. L'accoglienza predispone e genera l'apprendere. E in questa avventura i ragazzi vengono riconosciuti come una grande risorsa nei processi di apprendimento. Non più un ostacolo da "aggirare" per farli apprendere, ma degli alleati da sostenere nell'apprendere. b. Poter partecipare alla costruzione della comunità e del suo sapere È altrettanto forte il bisogno, da parte degli studenti, di collocarsi come partner nell’esperienza della costruzione della comunità scolastica e del sapere che questa comunità produce. Il riconoscimento delle potenzialità dei ragazzi e dell’esistenza di spazi reali di contrattazione fra saperi viene da loro avvertito come condizione per motivarsi e attivarsi nel processo di insegnamento/apprendimento. Il bisogno è rilevato tramite la presa d’atto di quante energie creative vengono investite dagli studenti a fronte di questo riconoscimento da parte dei docenti o degli animatori e di quanta inconcludente fatica si è destinati a sperimentare se non si ottiene questo riconoscimento reciproco. D’altra parte, i saperi di cui ciascun soggetto è portatore diventano necessari a interpretare il mondo che ci circonda solo se integrati. Dietro questa lettura traspare una radicata convinzione: l’adolescente è dotato di una struttura percettiva e interpretativa più adeguata a cogliere la ricchezza della realtà proprio perché in sintonia con essa, quindi più capace di stare in una zona di confine rispetto al “brodo culturale” di cui è figlio, come se quest’immersione lo avesse dotato degli anticorpi necessari per sostenere un cambiamento. Sul piano metodologico questo significa assumere la “socialità del sapere” e ritenere l'apprendere come “esperienza sociale”, come contesto collettivo creato dall'interscambio fra persone in cui il singolo può fare scoperte, nuove connessioni, all'interno di una comunità del sapere. Tutt'altro che un approccio tra un individuo e il sapere del passato, tutt'altro che un insieme di testi da studiare nel chiuso della propria stanza, l'apprendere è un fatto collettivo in quanto fa rivivere il passato e lo fa interagire con nuove domande e nuovi punti di vista. Dire socialità del sapere è dire interscambio generazionale in un contesto emotivo di conferma, centrato sulla ricerca, in cui la storia del sapere accumulato in ogni concetto interagisce con il presente, le sue intuizioni generatrici e gli interrogativi irrisolti, attraverso l'irrinunciabile mediazione della comunità dei docenti. È importante essere catalizzatori di un incontro fra saperi e domande, tra cultura accumulata nel tempo e bisogno di fare cultura da parte dei giovani. Dire socialità è anche dire modalità d’apprendimento di tipo cooperativo, in opposizione a metodi incentrati sulla competitività e sull'individualismo. Apprendimento di tipo cooperativo vuol dire esercitare gli studenti a lavorare come gruppo, avendo gli stessi obiettivi da raggiungere. Il riuscire dipende dalla collaborazione fra tutti e il passo avanti fatto da uno diventa facilmente un passo avanti anche per gli altri. In altre parole, si dà una correlazione positiva tra il proprio rendimento e quello degli altri. Di conseguenza, ognuno cerca di raggiungere l'obiettivo condiviso e facilita, aiuta, incoraggia e sostiene tutti quelli ai quali si trova vincolato affinché anch'essi abbiano successo. In definitiva, tutti cercano un risultato che sia vantaggioso per se stessi e per gli altri. Si discutono i contenuti, ci si aiuta l'un altro per capirli e impararli e ci si stimola reciprocamente a lavorare. Dire socialità è, in terzo luogo, dire esperienza di vita democratica nella scuola. La costruzione e il consolidamento del tessuto democratico del Paese e il superamento di alcune sue patologie devono vedere la scuola in primo piano, come luogo d’esercizio attento di tutto ciò che può abilitare le nuove generazioni a una convivenza democratica. c. Poter partecipare alla costruzione di un sapere capace di entrare in contatto con le questioni urgenti della vita
E’ evidente nei ragazzi il desiderio di vivere esperienze significative che aprano scenari di senso a una quotidianità percepita come ostica e di difficile interpretazione. Il bisogno intuito è quello di non sentire separata la propria vita personale dall’esperienza scolastica, quasi che quest’ultima rappresenti una parentesi tra le cose che realmente urgono nella quotidianità dell’adolescente. Sul piano metodologico si profila la necessità di strutturare l’esperienza scolastica come una sorta di “laboratorio permanente” in cui il misurarsi con le dimensioni problematiche della storia, della cultura, della ricerca scientifica rappresenti una continua esercitazione che promuova atteggiamenti e strutturi competenze per la risoluzione dei problemi. Gli studenti chiedono di portare la loro vita nella scuola ed è importante rileggere questa domanda non come una richiesta distraente rispetto alle esigenze dei programmi e dei contenuti, ma come un richiamo a riformulare obiettivi didattici a servizio di un apprendimento che possa, con le mediazioni necessarie, essere trasferibile nella quotidianità. Di qui discende un ulteriore principio metodologico, consistente nel “procedere per problemi”. Problema è ciò che ha a che fare con le sfide personali e quindi diventa una sorta di ostacolo da superare, in cui vale la pena investire con pazienza e intelligenza le proprie energie. Si deve lavorare allora perché nei ragazzi possano affiorare domande e attese, dubbi e curiosità, ostacoli da superare e mete da raggiungere. Il problema suscita collegamenti con le informazioni che i ragazzi sanno già, con le loro mappe mentali, facendo vedere le connessioni, ma anche i vuoti, i quali possono essere colmati solo stabilendo altre connessioni tra le reti concettuali e annodando altri fili al sapere già posseduto, in modo che sia la trama nel suo insieme a consolidarsi e allargarsi. Il problema suscita inoltre il fascino e il "piacere" del conoscere. Più che un assemblaggio meccanico, il sapere è un processo di fermentazione, una ri-rappresentazione continua dell’oggetto culturale, in modo che ulteriori elementi vengano a formarsi e altri cadano nell'oblio, nel momento in cui viene a crearsi un organismo vivente concettuale. È facile rendersi conto che lavorare per problemi richiede un approccio interdisciplinare. Ogni problema infatti si presenta come realtà complessa e quindi mai del tutto esplorabile da una sola disciplina. Diventa necessario far ricorso alle mappe concettuali di discipline diverse e, quel che più conta, far interagire le diverse mappe. Non è un lavoro facile, perché di fronte ad ogni problema vanno esplicitate le differenze di concettualizzazione, di linguaggio, di metodo d’accertamento e spiegazione. È importante aiutare i ragazzi a superare l'impressione che ogni disciplina stia parlando di una cosa diversa, per rendersi conto invece che esse, con strumenti diversi, esplorano un'unica realtà. Ciò che è in gioco non è una sorta d’esercizio accademico senza frutto, ma l'immagine stessa dell'uomo e della realtà in cui l'uomo vive. È in gioco una forma mentis capace di superare l'unilateralismo di ogni disciplina, ma anche il relativismo del sapere. L'interdisciplinarità è un modo per superare l'artificiosa distinzione tra discipline umanistiche e discipline scientifiche tipica della cultura occidentale e contribuire a creare una "terza cultura" e un nuovo umanesimo scientifico. d. Imparare l’autonomia attraverso la metacognizione Il bisogno dei bisogni sembra, in questo momento, quello legato all’acquisizione di una sufficiente padronanza dei propri processi cognitivi al fine di poter elaborare strategie adeguate per rendere efficace il proprio lavoro finalizzato all’apprendimento. Le ipotesi sui motivi di questa urgenza possono essere: la crisi verticale dei modelli trasmissivi classici, la complessità e pluralità di suggestioni rispetto a cosa è più utile, una fragilità maggiore nell’elaborazione di un’identità capace di integrare sapere emotivo e sapere razionale, la distanza fra un’esperienza quotidiana di multimedialità e il rapporto con il libro e la parola. Risulta comunque evidente la difficoltà che le nuove generazioni mostrano a cimentarsi con la modalità scolastica d’apprendimento e la contemporanea necessità di impostare un lavoro che permetta ai giovani di sviluppare autonomamente le proprie capacità utilizzando i percorsi più adatti a loro. Sul piano metodologico questo implica lo sviluppo del processo dell'apprendere insieme allo sviluppo del sapere appreso. Certamente i ragazzi hanno diritto al sapere, ma ancor di più a esercitarsi nel “come procedere per apprendere”, in modo che sappiano sia “trattare” il loro sapere sia sviluppare nuovi apprendimenti. In una parola, apprendere ad apprendere, avere un metodo di lavoro personale, sulla base del proprio stile cognitivo. Non basta che i ragazzi apprendano dei contenuti. Interessa che maturino le abilità procedurali rispondenti non più al “sapere che” ma al “sapere come”. Molte volte gli insegnanti rischiano di dare per scontate queste
abilità, che invece vanno apprese attraverso un lungo allenamento e un quotidiano esercizio. Occorre pensare alle capacità logiche, a quelle espressive, manuali, motorie, linguistiche, cognitive e metacognitive, strategiche... Come s’intuisce, le competenze riguardano la capacità di organizzarsi per apprendere. L'acquisizione di contenuti e competenze richiede un sottofondo di atteggiamenti che continuamente cerchiamo di consolidare come la disposizione all'impegno, la resistenza alla fatica, il gusto del progettare, la fedeltà nelle relazioni, come anche il sentirsi cittadini responsabili, il partecipare da protagonisti alle diverse iniziative. Nella maturazione di tali atteggiamenti sono di grande significato la testimonianza degli insegnanti, i momenti di metadiscussione su eventi, vissuti emotivi di classe, incidenti di percorso, giochi di simulazione seguiti da momenti di rielaborazione. e. Esprimere capacità e abilità non strettamente connesse al programma scolastico utilizzando nuovi canali comunicativi ed espressivi A sottolineare il punto precedente, esiste un altro bisogno che è quello di poter esprimere capacità e abilità non strettamente connesse al programma scolastico, utilizzando canali comunicativi ed espressivi non consueti.
2.2. I grandi capitoli di metodo. Ovvero: come lavorare con i ragazzi Se questi sono, nella lettura che il gruppo insegnanti ne ha fatto, i bisogni dei ragazzi e delle ragazze, si tratta di capire quale lavoro ne deriva. Sul piano dei contenuti ma prima ancora sul piano del metodo: anche se i due aspetti non sono separabili e il contenuto si dà attraverso il metodo. Quali indicazioni trarne? Quali modifiche al proprio modo di essere insegnanti? Quali attività in classe , quale progettualità “eccentrica” (verso il territorio di cui la scuola è un attore, verso il futuro dei ragazzi per cui la scuola è un trampolino)? Il lavoro con gli insegnanti è così proseguito nella direzione di capire attraverso quali percorsi connettersi a questi bisogni, a queste attese spesso inespresse. In questa sezione elenchiamo quelli che abbiamo chiamato i “grandi capitoli del metodo di lavoro”, fermo restando che queste pagine non esauriscono l'insieme del metodo ma intendono semplicemente offrire stimoli a chi lavora con i ragazzi. a. La cura del gruppo-classe Una classe non nasce gruppo, ma lo può diventare con la mediazione di un adulto nel ruolo di animatore. Nella scuola di oggi, far sì che la classe diventi un gruppo è compito irrinunciabile. Per molti motivi. La centralità del gruppo nell’apprendere. Intanto il ragazzo ha un bisogno impellente di sentirsi parte di un organismo vivente che gli permetta di sganciarsi dalla famiglia, con la quale ha avuto nell'infanzia un rapporto fusionale. Inoltre il ragazzo ha bisogno del gruppo come luogo in cui rielaborare la propria identità sentendosi riconosciuto da altri e trovando, in questo e nelle idee che il gruppo aiuta ad elaborare, il modo per resistere a un “eccesso di attrazione” della società con tutte le sue ambivalenze. Certo, non manca il rischio di divenire prigionieri del gruppo. Il gruppo è d’aiuto se abilita all'autonomia personale. Ma il gruppo è importante anche perché offre, attraverso i meccanismi di accoglienza/conferma e il continuo espandersi dell'affettività, le energie necessarie per inoltrarsi nel cammino culturale. In altre parole, è il volano che sostiene i processi di apprendimento. Ma neppure questo basta: il gruppo è importante perché luogo dell'apprendimento culturale, luogo in cui il sapere sociale da una parte entra in contatto con i giovani e dall'altra ne è rielaborato e interiorizzato. Se è vero che è sempre il singolo che apprende, non è meno vero che più la classe è gruppo più diventa un contesto significativo in cui il singolo può apprendere. La classe come gruppo. Quando si parla di gruppo, non s’intende tanto lavoro in gruppi, ma il sentirsi appartenenti a un organismo vivente dove sia possibile salvaguardare il bisogno di riconoscersi appartenenti e di rimanere autonomi, essere parte di un tutto e rimanere individui proprio mentre si è parte. Va subito aggiunto che il gruppo diventa anche uno strumento di lavoro, al punto che l'interlocutore principale dell'insegnante è il gruppo. Ad esso l'insegnante si rivolge perché diventi partner consapevole e
attivo del lavoro scolastico. Partner nell'orientare il lavoro e programmare gli obiettivi, partner nel recepire i messaggi e rielaborarli, partner nel discutere i risultati dei lavori e valutarli come fase di passaggio per un rilancio in positivo delle responsabilità personali e come avvio verso una nuova fase di lavoro. Da questo punto di vista, il gruppo diventa il luogo di un incessante brainstorming, cioè di un’incessante produzione di idee, di una valorizzazione delle diverse intuizioni, di una capacità di riflettere sulle proposte fatte da altri come proprie, di un orientarsi dentro l'insieme delle intuizioni in modo distaccato perché ormai vengono considerate proprie del gruppo classe. L'insegnante facilitatore di gruppo. Lavorare con il gruppo classe chiede all'insegnante di sentirsi "dentro" il gruppo, ma anche “fuori”. Dentro, in quanto con la sua presenza conferma tutti come esistenti e interpreta il cammino del gruppo restituendolo ad esso, e inoltre sostiene e garantisce il raggiungimento degli obiettivi discussi e condivisi, alimenta la responsabilità dei singoli verso la classe, restituisce la parola al gruppo dopo momenti di conflitto e smarrimento, ma anche dopo mete raggiunte con successo. Fuori, in quanto, mentre facilita interazioni sempre più autentiche, sa mantenere la giusta distanza relazionale, senza lasciarsene mai catturare e senza abbandonarsi a forme di reattività immediata in risposta a eventuali "provocazioni" della classe. Ed è proprio la giusta distanza dal gruppo che gli permette poi di essere d’aiuto alla classe lungo tutto il suo cammino evolutivo, per sostenerla nei momenti di fatica e conflitto, per aiutarla a rielaborare passo passo la sua esperienza, per stimolarla a metacomunicare sugli eventi comunicativi che ne segnano il cammino e guidarla nell'apprendere ad apprendere attraverso momenti di metariflessione sui processi cognitivi attivati. b. Il metodo didattico Ferme restando le comprensibili differenze tra le varie discipline, esistono alcuni punti fermi di metodo didattico che travalicano le singole materie e valgono come istanze generali della didattica. Il clima d’apprendimento. Non si dà metodo senza un contesto metodologico. Pertanto occorre costruire una struttura organizzativa che possa presentarsi come contesto significativo in cui apprendere. Se non c'è un clima, una disponibilità, un senso anche d’attesa, le risorse cognitive non si attivano. Come non si apprende se la classe non si percepisce tutta dalla stessa parte nell'affrontare una nuova piccola o grande impresa scolastica. Mantenere alto il livello d’attenzione, interesse, motivazione, impegno e partecipazione della classe è preliminare. Quanto più l'ambiente nel quale s’apprende è vario, ricco di situazioni diversificate e piacevoli, quanto più si dà spazio all'accoglienza e al rispetto dei vissuti emotivi e cognitivi di ciascun individuo, quanto più il docente stesso possiede ed esprime il gusto del sapere, tanto più i soggetti saranno motivati a sostenere le fatiche che l'apprendimento comporta. Fare di una classe un ambiente che stimola l'apprendere comporta un insieme di strategie: dal saper alternare gli approcci e i linguaggi al differenziare le fonti d’informazione a cui attingere; dal variare le fasi di lavoro tra modalità a coppie, in piccoli gruppi, individuale o nel gruppo-classe al far ricorso a forme diversificate di brainstorming per rimettere in gioco conoscenze acquisite, interrogativi e problemi che si affacciano di fronte alla nuova sequenza didattica; dal modificare lo stesso spazio classe in modo più congeniale al tipo di lavoro da fare al visualizzare attraverso cartelloni il “verso dove” si intende andare. La riduzione della distanza tra allievi e docente. Lo sviluppo del processo didattico-cognitivo comporta anzitutto di ridurre la distanza tra gli allievi e il docente. La distanza non solo emotiva, ma anche cognitiva dall'insegnante è senz'altro un elemento che ostacola l'apprendimento. La lezione tradizionale mette al centro l'insegnante che parla (spiega), mentre lo studente spettatore ascolta e assimila. Il percorso che invece stiamo delineando pone al centro un processo di comunicazione di tipo circolare, sia a livello emotivo che di contenuti. A livello emotivo docenti e allievi si trovano uniti in una sorta di complicità finalizzata al superamento delle difficoltà di apprendimento. Si viene così a creare e a ricreare un'alleanza fra tutti per sconfiggere gli ostacoli che i vari contenuti disciplinari possono presentare. Tutto ciò comporta un lavoro di contrattazione in cui vengono discussi gli obiettivi e quindi il senso della nuova sequenza d’apprendimento, le modalità con cui perseguirli e il metodo di lavoro. È qui che nasce l'atteggiamento attivo della classe come dei singoli.
L’esercizio della conoscenza. La didattica tradizionale affida la fase dell'apprendimento vero e proprio allo studio personale e solitario (a casa). In fondo, tra la spiegazione (fase di trasmissione) e l'interrogazione (fase di controllo) non c'è che il compito a casa e lo studio personale. Discipline come storia, scienze, filosofia e, in parte, diritto, economia e altre ancora non possono che essere insegnate prevalentemente in forma d’informazioni verbali, per essere quindi apprese più per ricezione che per scoperta. Ma questo non vuol dire apprendimento passivo, se si diventa coscienti che i processi di memorizzazione, tutt'altro che meccanici, sono processi costruttivi che richiedono partecipazione attiva e consapevole. Il modo migliore di apprendere delle conoscenze è esercitarsi nel costruirle e ricostruirle, incrociarle e confrontarle, rielaborarle e riesporle. Va ribadito, anche a livello di contenuti, il principio della circolarità e dunque dell'atteggiamento attivo e partecipativo di docenti e allievi. Partecipazione vuol dire possibilità per gli allievi di collegarsi alla propria matrice cognitiva e dunque alle preconoscenze individuali per prendere atto delle maglie ancora aperte, dei vuoti, degli interrogativi che motivano a entrare in una nuova fase di apprendimento. Da parte loro, gli insegnanti sono impegnati a disporre le operazioni per far sì che quel che dicono e come lo dicono rispetti la circolarità del comunicare e renda attive le mappe concettuali degli allievi. Il punto di arrivo non è l'assimilazione passiva, ma la riespressione linguistica da parte dei ragazzi, che comporta momenti di scoperta e creatività e momenti di esercizio linguistico in senso stretto. Quanto più una persona è in grado di passare da un codice a un altro, tanto più la conoscenza è flessibile, ricca, operativa. c. Una valutazione a servizio dell'apprendimento La valutazione non è un momento separato dalla comunicazione o dal lavoro didattico ora enunciato, ma fa parte integrante del processo d’insegnamento/apprendimento. Ogni valutazione ha un duplice volto: 1) la verifica dei livelli di conseguimento degli obiettivi in termini di maturazione della persona e di acquisizione dei contenuti culturali; 2) l'autovalutazione dell'insegnante a livello individuale come di consiglio di classe e di collegio docenti per prendere atto del successo/insuccesso degli interventi didattico-educativi e rimettere in discussione sia gli obiettivi che s’intendeva perseguire sia il percorso attraverso cui si è cercato di raggiungerli. La valutazione non è un atto soggettivo arbitrario limitato al soggetto giudicante, ma è un atto che intende migliorare una situazione, individuare come far evolvere positivamente, con la collaborazione di tutti, situazioni di difficoltà, blocco, demotivazione. Fuori da ogni velleità di potere e da ogni intento di discriminare e punire, la valutazione autentica vede allievi e insegnanti dalla stessa parte, di fronte ad un'impresa comune, ovviamente con competenze e responsabilità diverse, ben sapendo che ogni difficoltà di comunicazione come di studio può trovare ostacoli nel modo di pensare, progettare e agire sia degli allievi come degli insegnanti. La valutazione, in quest’ottica, accompagna l'intero percorso didattico-educativo. Tre fasi di valutazione. È essenziale, anzitutto, una valutazione di tipo diagnostico all'inizio di ogni unità formativa, per fare insieme agli allievi un quadro delle conoscenze già possedute e, ancor più, delle competenze operative relative al "come sapere". Siamo alla ricerca dei cosiddetti prerequisiti. È il momento in cui viene a (ri)generarsi il contratto formativo e dunque a scatenarsi la disponibilità di tutti a mettersi al lavoro, avendo presente il “verso dove” ci si incammina.Senza questo paziente lavoro, si rischia di perseguire obiettivi decisi dai soli insegnanti; obiettivi forse inutili, in quanto gli allievi li hanno già raggiunti, oppure irrealistici, viste le competenze di base e le abilità specifiche in possesso degli alunni. Lungo il cammino abbiamo la valutazione formativa, che ha a che fare certamente con il profitto e si avvale quindi di prove che vanno opportunamente diversificate per dare la possibilità ai ragazzi di esprimersi secondo il proprio stile cognitivo. Ma, come abbiamo detto, se da una parte è necessario misurare il progetto in forma il più possibile oggettiva e imparziale per condividere con i ragazzi e le famiglie un quadro dell'andamento scolastico, dall'altra intento ancor più profondo è permettere ai singoli e alla classe (come pure all'insegnante e al consiglio di classe) di ripensare il cammino percorso, individuare eventuali errori, ridefinire gli obiettivi, rimotivare al lavoro, precisare le competenze preliminari in cui esercitarsi. Così facendo, il valutare si manifesta pienamente come momento dell'apprendere. Esistono infine gli appuntamenti di valutazione sommativa, a fine trimestre o quadrimestre. L’impegno in questi momenti è quello d’arrivare ad una valutazione globale del processo, alla luce di tutte le valutazioni in itinere, e con l'intento da una parte di stabilire l'idoneità di passaggio ad un livello superiore e dall'altra, in
caso di manifeste carenze, di offrire dei percorsi alternativi d’integrazione a livello di contenuti e abilità di base che permettano di acquisirli. La valutazione come lavoro collegiale. Se il valutare, come si è visto, rimanda alla ridefinizione del cammino e dei suoi obiettivi, è facile intuire che la valutazione comporta un forte impegno da parte del singolo insegnante e del consiglio di classe. Fare il punto sul cammino degli studenti dal punto di vista educativo e didattico è impegnativo, soprattutto se l'intento è prospettare il percorso ancora da fare. È essenziale allora che gli insegnanti da una parte maturino una comune cultura del valutare e dall'altra si confrontino sugli strumenti che utilizzano nel valutare, in particolare all'interno delle stesse discipline. In ogni caso, ogni docente in sede di consiglio di classe è tenuto ad esplicitare i propri criteri valutativi e a confrontarli con quelli dei colleghi. d. Lo sviluppo della partecipazione Un quarto capitolo di metodo è relativo all'esercizio paziente e intelligente della partecipazione democratica. Alla democrazia, in altre parole, si può nascere esercitandosi nella gestione partecipata di spazi e tempi. La partecipazione pone il problema del potere, inevitabile quando si cerca – all’interno di un’istituzione come la scuola – di consolidare legami che non siano solo tra ruoli, ma tra persone. Il potere, inteso in un’accezione non gerarchica, ma di energia vitale – è quella forza che si scatena nei legami interpersonali, di gruppo e d’istituto, che permette di perseguire obiettivi comuni canalizzando energie personali. Il potere viene a generarsi continuamente e diventa una palestra in cui tutti, insegnanti e allievi, possono allenarsi. E se, comprensibilmente, parte del potere viene ad essere delegato dagli studenti ai docenti affinché l’utilizzino in vista di obiettivi decisi insieme e da perseguire insieme, è anche vero che è importante restituire continuamente potere agli studenti e apprendere con loro ad esercitarlo. L'esercizio del potere avviene anzitutto nella gestione quotidiana della vita di classe, dove l'insegnante è costantemente chiamato a fare con gli allievi il punto rispetto al cammino da percorrere non solo a livello di contenuti, ma anche di interazioni affettive, per poi individuare insieme i sentieri in cui inoltrarsi. In altre parole, la partecipazione a scuola è quella che tocca le decisioni d’ogni giorno e si esprime nell'appello leale alla classe a dire il proprio punto di vista, in un clima di rispetto e non di giudizio, per provare a tracciare insieme il futuro. Questo atteggiamento non sminuisce la competenza propria dell'insegnante nell'indicare come organizzarsi e come garantire la collaborazione di tutti, a partire proprio dal fatto che ognuno è stato coinvolto, ascoltato e valorizzato. In questo l'insegnante usa il potere, ma è un potere riconosciuto (non senza contraddizioni) dalla classe. L'esercizio del potere avviene poi attraverso le diverse rappresentanze che, in modo formale, sono chiamate a confrontarsi sul percorso formativo della classe e dell'istituto nel suo insieme. Infine, un luogo di esercizio del potere è l'insieme delle possibilità associative, a livello sportivo e culturale come di volontariato, che la scuola offre alla libera scelta degli allievi. Tutto l'associazionismo che vede per protagonisti i giovani è un luogo di apprendimento della vita democratica. e. Il ruolo delle attività integrative e di recupero Parlare di attività integrative e di recupero nella tradizione salesiana è riandare alla scelta che da sempre ha caratterizzato questa esperienza di scuola dove, se in un primo momento il docente è insegnante in cattedra, in un secondo momento, in tempi diversi dalle lezioni, è l'"assistente di studio", una sorta di "tutor" che sta in mezzo ai ragazzi con l'impegno di seguire come studiano e fanno i compiti. In quanto assistente "tra i banchi", può rendersi conto dei problemi per poi ricalibrare il percorso didattico. L'ingresso ufficiale delle attività integrative didattiche ed educative trova dunque un terreno fertile, con una particolare disponibilità a pensare tali attività non solo come recupero di contenuti, ma anzitutto come iniziazione a un metodo di studio, per lo più in un contesto ben diverso da quello dell'aula, dove è possibile far nascere inesplorate alleanze fra ragazzi e "tutor" per far fronte ai problemi. Tutto questo fa emergere un approccio preventivo, se così si può dire, agli interventi integrativi. Si è impegnati, anzitutto a dare una mano ai ragazzi, in aula e fuori, per apprendere un metodo di studio, proprio perché molti insuccessi nascono dal fatto che nessuno si preoccupa di insegnare ai ragazzi a organizzarsi per apprendere.
f. La valorizzazione delle attività extracurriculari Non si apprende solo in aula, ma continuamente nei diversi ambiti della vita scolastica. Le attività ricreative e sportive non vengono considerate un intervallo, come non lo sono le attività associative che vedono i giovani come protagonisti. Oggi il panorama di tali attività si è arricchito e si dispiega in più direzioni. Le attività ricreative e sportive. Sono per noi attività ricreative quelle che mettono in primo piano il gioco come intreccio di fantasia, libertà, gratuità, fedeltà alle regole e loro riscrittura, incontro fra persone e non più fra ruoli. Accanto, senza confondersi con il gioco nonostante la loro carica ludica, vengono a moltiplicarsi le iniziative sportive, per lo più quelle dove possa prevalere il senso della squadra e dell'avventura collettiva. Uno sport quindi che sa mantenersi nei confini della pratica non professionistica e sa evitare quelle tensioni che essa si porta appresso in termini d’esagerata competitività. Le attività culturali. Una seconda area di attività sono quelle a sfondo culturale in cui vengono a riproporsi, attraverso dibattiti, gruppi di ricerca, confronti con testimoni, cineforum, recital, giornalini interni, le grandi tematiche del vivere oggi a livello sociale, politico, culturale, etico, in modo da esercitarsi nel maturare un punto di vista personale, fuori da ogni adeguamento impersonale, senza cedere ai facili etichettamenti a cui abitua la civiltà dei consumi e del conformismo. L’alfabetizzazione informatica. Una terza area è quella dell'alfabetizzazione informatica, che consenta un minimo d’autonomia operativa ad ogni ragazzo. La possibilità d’accedere e utilizzare con una certa continuità tali strumenti e di impossessarsi di programmi di scrittura e trattamento dei dati è una qualifica che la nostra scuola garantisce a ogni allievo. L’orientamento scolastico. Una quarta area è il servizio di orientamento scolastico pensato in modo organico per tutto il ciclo scolastico. Il CIC (Centro di Informazione e Consulenza) dà un notevole contributo in questo settore. Realizzato nel “modello sportello”, è gestito da un gruppo di docenti, coordinati da un tutor (esterno, non docente) con competenze psicopedagogiche. Esso garantisce un punto di “ascolto” per facilitare l’attivazione di canali di comunicazione tra adulti (insegnanti e genitori) e giovani, per individuare eventuali situazioni di disagio, per favorire la crescita dell’identità personale base per un auto-orientamento efficace, per favorire la raccolta d’idee e iniziative varie utili appunto all’orientamento. Attività di animazione extrascolastiche. Una quinta area è quella degli stage educativi e didattici al di fuori della scuola. L’attività d’animazione è progettata, secondo convenzione, in collaborazione con Vedogiovane, che mette a disposizione un gruppo coordinato di animatori i quali intervengono in momenti programmati e attivano nel pomeriggio laboratori di musica, sport, teatro, di educazione all’immagine, interculturalità... L’importanza del ruolo dell’animatore, particolarmente vicino al vissuto degli allievi-adolescenti, è riconosciuta dal consiglio di classe, che prevede all’interno dell’ordine del giorno momenti di comunicazione-confronto docenti/animatori. 3. COSA È STATO FATTO Abbiamo iniziato questo racconto riferendoci all’estate del 1995, quando il Collegio don Bosco e la cooperativa Vedogiovane decisero di allearsi per cogestire il Liceo Europeo e aprirlo a una progettazione non banale dei propri percorsi didattici e della propria proposta formativa. Abbiamo detto della costituzione di un team di insegnanti selezionati sulla base della loro disponibilità, coordinati da un formatore e supportati da un tutor. E abbiamo fin qui riassunto finora le tappe di un percorso che ha avuto nelle “riunioni del mercoledì” lo spazio della riflessione, della discussione e dell’elaborazione strategica. Ma tutto questo lavoro – di esplicitazione dei bisogni dei ragazzi prima, di definizione delle scelte di metodo caratterizzanti la scuola poi – a quali attività ha dato luogo? Si è più volte evidenziato che l’Europeo non faceva e non fa niente di più di quello che una scuola normale dovrebbe fare. In un suo intervento al don Bosco, dopo la presentazione del Liceo Europeo da parte dei ragazzi, l’allora ministro della Pubblica Istruzione Berlinguer dichiarò: “Così vorrei che fosse la scuola della riforma!”. Forse può essere utile elencare sommariamente le scelte caratterizzanti l’esperienza:
- una didattica interdisciplinare organizzata attorno a grandi temi e problemi e di volta in volta sostenuta da metodologie innovative (cooperative learning) o progetti specifici (imprenditoria giovanile, percorsi di educazione alla legalità, pubblicazione di una guida turistica, gruppi di studio su tematiche, progetti interdisciplinari annuali, ecc.); - una proposta linguistica avanzata implementata da progetti di scambi internazionali all’interno dei progetti Socrates e Comenius (Russia: scambio con Gatchina/San Pietroburgo; Germania: scambio con Friburgo e Ingolstadt; Austria: scambio con Oberpullendorf; Spagna: scambio con Madrid; Bulgaria: scambio con Sofia; Finlandia: scambio con Kitee); - la promozione di una sensibilità interculturale attraverso gli scambi stessi, anche in Italia (in Meridione), e progetti specifici; - una concezione di relazione educativa che pone i ragazzi al centro attraverso la mediazione culturale; - un lavoro costante per la costruzione di rete sul territorio con aziende, professionisti, realtà amministrative pubbliche e organizzazioni del privato sociale (stages in azienda, alternanza scuola lavoro, convegni, conferenze, visite alle principali istituzioni, collaborazioni); - un ambiente educativo che si arricchisce delle migliori intuizioni della tradizione salesiana: la pedagogia della festa, la scelta dell’animazione, la relazione adulto/giovane giocata sulla vicinanza d’interessi più che sulla distanza delle sensibilità 4. CONCLUSIONE In queste pagine si è raccontato un tentativo di ripensare la scuola, al di fuori delle rigide contrapposizioni che la cronaca sempre propone quando si parla di scuola (cultura/mercato, formazione/competenze, valori/tecniche, istruzione/educazione, ecc.). Un tentativo che nasce dalla convinzione che la scuola può oggi riformulare la sua proposta non tanto cedendo a esigenze di marketing, inevitabili da quando anche le scuole sono diventate “aziende”, quanto semmai ripensando il senso della propria presenza in un territorio, di cui è parte integrante, ma più ampiamente in una società dove la conoscenza è oggi risorsa prima. L’idea che ha ispirato la partnership tra Collegio salesiano e cooperativa Vedogiovane è stata una visione pedagogica non tecnicista né moralista, ma profondamente umana, legata a un’idea di sviluppo della persona che potremo definire “globale”. Dove le dimensioni emotive e affettive (in questo caso dell’insegnare e dell’apprendere) ritrovano centralità. Dove l’apprendimento dei contenuti e delle tecniche si risolve in un apprendimento più radicale, che è quello del metodo (del come si apprende, del come si apprendere ad apprendere). E dove la retorica, oggi tristemente dominante, di una scuola “funzionale al mondo del lavoro” viene messa in scacco da un’idea irrimediabilmente umanistica (e non tecnico-professionale) delle persone, chiamate a crescere nella capacità di governare – nel segno dell’autonomia e della libertà – il proprio personale progetto di vita. Il percorso fatto nella scuola è stato condotto in puro stile animativo. Al centro si è quindi messo non tanto il singolo quanto il gruppo classe. Se la prima capacità dell’animatore/insegnante è quella di “trasformare gli aggregati di persone in gruppi primari a carattere formativo”, si capisce come una classe che si trasformi in gruppo possa essere un prezioso alleato nei processi di apprendimento in classe. La potenza del lavoro in gruppo è stata confermata dal team di docenti che ha avviato l’esperienza dell’Europeo. Gli “incontri del mercoledì” hanno ribadito una volta di più quanto sia irrinunciabile, in ogni progetto di cambiamento, il confronto, il sostegno e la produzione di pensiero che l’esperienza di gruppo consente. Questo team di insegnanti, accompagnati dal formatore e dal tutor, è cresciuto in questi anni (da 8 a 16) parallelamente all’aumentare degli allievi del Liceo (27 il primo anno, 400 oggi). L’esperienza di questa piccola équipe ha coinvolto tutta la scuola in un percorso di ripensamento del proprio ruolo e delle modalità di gestione dei vari momenti educativi e didattici. È un percorso tuttora in atto e che difficilmente potrà concludersi. Al termine di cinque anni di lavoro, il Liceo ha 400 iscritti, due sezioni complete e il primo Esame di Stato superato con una media di 79/100. Si registrano alcuni successi, molto lavoro, fatica e qualche fallimento, ma la certezza di aver letto un bisogno, decodificato una domanda e avviato un progetto coraggioso e problematico.
GLI SCAMBI GIOVANILI INTERNAZIONALI di Michelangelo Belletti 1. Se non siamo palle da biliardo… I ragazzi oggi sono più che mai mobili, liquidi. Viaggiano, si spostano, si adattano. Nelle loro agende figurano nomi e indirizzi di coetanei conosciuti chissà dove e residenti in altri punti del globo. La loro formazione è sempre più internazionale. Sono tanti quelli che escono dai territori d'appartenenza, spinti non dal bisogno (come capitò ai loro nonni e come accade oggi, purtroppo, a molti sventurati delle zone povere del pianeta), ma dal desiderio di allargare gli orizzonti di vita. Da un bisogno di conoscenza, da un’istanza evolutiva potremmo dire. Perché non è vero che siamo palle da biliardo, che restano uguali dopo essere venute a contatto; al contrario siamo persone con una identità mai conclusa, capace di ridefinirsi nei molti incontri che la vita propone. Questo nomadismo delle nuove generazioni è un bene. Motivi di varia natura inducono a questo giudizio. Motivi pedagogici ad esempio: perché cos'altro è l'educazione se non un fatto eminentemente relazionale? L'educazione si dà nell'incontro con l'altro, è esposizione alla diversità più che imposizione di regole. È confronto, dialogo, conflitto. Nell'incontro con l'altro si capisce chi si è, ci si mette in discussione, si cresce. Nelle società tradizionali i riti di iniziazione prevedevano che il giovane passasse alcuni giorni fuori dal villaggio, nella boscaglia. Forse non è azzardato dire che oggi, per molti giovani delle nostre società (certo non più tradizionali), il soggiorno all'estero, lontano dalla famiglia, conservi ancora molto di quell'antica funzione. Ci sono poi motivi politici: coniato l’euro, non è forse il caso di pensare a fare gli europei…? Non basta la moneta a fare di oltre 300 milioni di persone una comunità, serve soprattutto una formazione culturale e civile che parta dalle nuove generazioni. E poi anche per i territori stessi, per le singole comunità locali, è un arricchimento che i loro giovani crescano con una visione sprovincializzata delle cose, capace di connettersi a praterie più vaste. Suonerà retorico, ma il futuro del pianeta dipende dai giovani, dalla loro capacità di trovare nelle relazioni con l'altro più motivi di incontro che di scontro. Nonostante le diversità di geografia, di cultura, di lingua. Anzi, proprio in virtù di questa diversità, che se ben modulata è poi ciò che rende la vita degna di essere esplorata. Queste e altre riflessioni sono alla base degli "scambi giovanili internazionali", che sono uno dei modi — dal punto di vista dell'animazione socioculturale, forse il più interessante — con cui gruppi di ragazzi d'Europa possono venire a contatto, frequentarsi, scambiare informazioni e conoscenze, fare amicizia. Non deve sembrare strano che sia una cooperativa sociale profondamente radicata nel territorio a farsi promotrice di questi scambi. Specifico di Vedogiovane è infatti la tutela dei diritti di cittadinanza delle nuove generazioni. E i giovani, oggi, non sono forse cittadini anche d'Europa? 2. La logica dello scambio tra gruppi di pari 2.1. Cos’è uno scambio giovanile internazionale? Quando parliamo di scambio giovanile internazionale, intendiamo la particolare situazione in cui due o più gruppi di giovani provenienti da diversi Paesi s’incontrano, normalmente in regime di mutualità ("Io vengo da voi, voi venite da me"), al fine di scambiare informazioni, metodi, significati, attività su un tema concordato. Esistono molteplici modalità di realizzazione e possibilità di finanziamento per gli scambi giovanili internazionali: quelle scolastiche attuate per mezzo del programma Socrates, i gemellaggi, gli scambi tra Stati per mezzo dei protocolli bilaterali d’intesa, e poi quelli realizzati mediante il
Programma Gioventù per l’Europa. Tutti questi sono strumenti che permettono a gruppi di giovani di muoversi e conoscersi. Hanno però diversità legate sia agli aspetti finanziari, sia al livello di partecipazione dei giovani e soprattutto agli obiettivi dichiarati. Vedogiovane ha fatto la scelta di promuovere il Programma Gioventù per l’Europa1 (GpE) perché ritiene che con questo programma sia possibile: • favorire la conoscenza tra giovani di culture diverse, nell’accezione che diamo in questo capitolo (vedi il paragrafo sull’interculturalità), all’interno non di tavole rotonde o di uno studio astratto, ma d’incontri e azioni congiunte; • promuovere una dimensione di imprenditorialità per il gruppo di giovani, poiché chiede di ideare, programmare, realizzare e valutare lo scambio, che si pone quindi come un laboratorio protetto in cui sperimentarsi in una dimensione “adulta” e progettuale; • sviluppare interesse per il territorio. La nostra esperienza nel campo degli scambi ci ha mostrato come ogni progetto sia occasione di conoscenza del territorio sia per i ragazzi stranieri (ovviamente), sia per il gruppo dei ragazzi italiani, poiché è richiesto loro di diventare “testimoni privilegiati” del territorio (e per fare ciò, è necessario documentarsi...). 2.2. Come avviene uno scambio giovanile internazionale? Vedogiovane ha iniziato a occuparsi delle tematiche interculturali nel 1992, poco dopo l'approvazione del Trattato di Maastricht, allorché pubblicò con la casa editrice LDC un sussidio d’animazione dal titolo Eur & Opà. Era la prima esperienza nell’esplorazione degli stereotipi e dei pregiudizi verso la diversità. La ricerca di nuove competenze in questo ambito, coniugate alla vocazione animativa, ha portato Vedogiovane a partecipare al 2° Corso per animatori di scambi giovanili internazionali Eurosud, organizzato a Zaragoza (Spagna). Le finalità del corso erano connesse alla conoscenza dello strumento “Gioventù per l'Europa", ma anche allo sviluppo di competenze sull'apprendimento interculturale. Dopo quest’esperienza, l’impegno di Vedogiovane nel settore degli scambi giovanili si è fatto convinto. In particolare: si è provveduto a organizzare scambi internazionali e visite di studio in collaborazione con partner spagnoli, inglesi, francesi, rumeni, bulgari, polacchi, greci, ciprioti, tedeschi e belgi all’interno di Gioventù per l’Europa (1996-2000); si è collaborato in varie regioni d’Italia e in alcuni paesi stranieri (anche extraeuropei: Uruguay, Cuba, Sudafrica…) alla realizzazione di corsi per animatori di scambi giovanili internazionali; inoltre si è data consulenza sul territorio a gruppi di giovani desiderosi di organizzare gli scambi, ma privi delle necessarie competenze. Ma come avviene uno scambio giovanile internazionale? Quali sono le tappe da seguire? Di solito la decisione di un gruppo di giovani di fare uno scambio matura dopo un’azione informativa, magari nelle scuole, magari all’informagiovani… (vedi box) Box - Come si informano i ragazzi? A Novara, il modello d’informazione adottato è stato il seguente: si è organizzata una prima fase d’incontri di zona, in giorni e a orari diversi per far sì che la partecipazione fosse massima. A questi incontri, dove si sono presentati gli scambi e le opportunità di mobilità giovanile europea, sono stati invitati direttamente tutti i comuni, le associazioni, i gruppi e le scuole della Provincia. Quindi, sono stati fissati incontri ad hoc per chi desiderasse progettare uno scambio. In questa fase si è provveduto a costituire piccoli gruppi omogenei per situazione, affiancati da un consulente. Vedogiovane ha offerto poi, a chi ne avesse bisogno, la possibilità di continuare a usufruire della consulenza specifica nella progettazione e organizzazione.
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Dal 2000, il programma non si chiama più Gioventù per l’Europa, bensì Gioventù e ingloba anche il programma pilota Sveg di mobilità individuale. Per comodità continueremo qui a riferirci a Gioventù per l’Europa.
Un altro modello di informazione “attiva” è stato sperimentato nel territorio della Provincia di Vercelli, committente l’Assessorato alle Politiche giovanili dell’Amministrazione provinciale. Qui le tappe si sono così succedute: ° predisposizione di un piano di comunicazione, fatto da esperti di Vedogiovane in collaborazione con l’ufficio stampa dell’Amministrazione provinciale; ° comunicato stampa per il lancio della campagna informativa, con un incontro con i giornalisti della stampa locale e nazionale; ° riunioni informative in tutte le scuole superiori della provincia (un’ora per scuola) dell’assessore e del consulente per i programmi europei, al fine di spiegare il programma e “agganciare” i ragazzi. Al termine di ogni riunione, abbiamo dato una scadenza inderogabile per ricevere la consulenza ai progetti. Entro quella data, chiunque (sia in gruppo sia come singolo) avesse desiderato avere ulteriori informazioni o iniziare il rapporto di accompagnamento-consulenza al progetto avrebbe dovuto mettersi in contatto con la Info-line europa attivata per l’occorrenza (numero di tel. e indirizzo e-mail dedicato); ° consulenza ai singoli gruppi per la nascita e lo sviluppo del progetto; ° fornitura, per i gruppi privi di un animatore, di personale professionale. Questa azione d’informazione attiva ha portato il territorio provinciale da 0 progetti presentati nei dieci anni precedenti a 12, di cui 10 approvati e finanziati. Il piano prevede che le prossime azioni siano: ° un corso di formazione per futuri animatori, visto la totale assenza di queste figure sul territorio provinciale; ° un’azione europea sulle politiche giovanili, da farsi in partnership con enti di pari livello (Provincie) per confrontarsi sulle politiche messe in pratica e costruire a livello europeo una rete di connessioni che si possano usare per tutti i programmi europei (Gioventù, Leonardo, Socrates, ecc.); ° un’informazione costante per i giovani, non più attuate da adulti, ma dagli stessi giovani che hanno sperimentato la mobilità e che possono così essere “comunicatori” diretti dell’esperienza presso i coetanei.
Qualunque sia la motivazione di partenza (la suggestione di poter fare una “vacanza alternativa” all’estero, il bisogno di imparare una lingua straniera, la possibilità di un soggiorno all’estero spendendo meno rispetto alle classiche vacanze studio, ecc.), per noi è quella giusta. Perché per iniziare un viaggio ci possono essere mille motivi. A noi interessa: che abbiano chiaro i motivi che li spingono a “uscire”; che alla fine desiderino soprattutto incontrare gli altri… Perché gli scambi in fondo sono questa cosa qui: relazione. Sono relazione con i propri amici/compagni di viaggio, sono relazione con gli animatori, relazione con l’altro gruppo e con i suoi membri, relazione con se stessi, con le proprie paure, con le proprie emozioni… I primi incontri con i ragazzi sono centrati attorno alla risoluzione di alcuni nodi: ° quanti sono (devono essere gruppo, e devono esserlo al completo fin da subito); ° quando vogliono fare lo scambio (non è sempre facile incrociare le agende dei ragazzi); ° con chi (possono scegliere orientativamente sia l’età, sia il numero, sia il paese, o meglio i paesi, per aumentare la possibilità d’incontro tra domande); ° cosa vogliono offrire ai loro partner (che richiede una risignificazione del territorio nel quale si vive, un prendere coscienza delle risorse della comunità in cui abiti); ° come intendono organizzarsi per rispondere a tutte queste domande. Nel box che segue il lettore può vedere tappa per tappa cosa succede di norma nella preparazione con i gruppi: Box – Come si prepara uno scambio? Ecco di seguito elencate le fasi della preparazione: ° fase di costituzione del gruppo, della contrattazione del progetto e del ruolo dell’animatore. In questa fase, l’animatore/consulente si confronta con il gruppo che lo ha chiamato per far emergere le aspettative rispetto allo scambio, rispetto al suo ruolo e all’investimento in termini
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di tempo e affettivo di ognuno. È anche la fase della conoscenza reciproca e dell’avvio delle interazioni (nel caso in cui il gruppo sia formato da soggetti che non si conoscano); fase di ideazione dello scambio e dell’espletamento degli adempimenti burocratici. In questa fase, il gruppo si confronta con la propria capacità creativa e con le difficoltà a riconoscersi capace di progettare. L’animatore diventa soprattutto strumento di facilitazione, in una dinamica a volte difficile tra la dipendenza e l’autonomia. In più, il gruppo si scontra con le difficoltà insite in ogni attività che dall’ideazione cerchi di passare al concreto, con l’aggiunta del muro burocratico da superare. Ulteriore elemento di fatica riguarda il reperimento di un partner affidabile con cui contrattare lo scambio, le attività, la metodologia, la composizione del gruppo, il ruolo dell’animatore (in quest’operazione Vedogiovane si appoggia alla REP, Rete Europa Piemonte, di cui fa parte); fase dell’attesa. Tra la presentazione del progetto e l’esito passano normalmente un paio di mesi, in cui il rischio più forte è quello della dispersione: finita la spinta emotiva iniziale, diventano concrete le occasioni d’abbandono; fase della preparazione interculturale, linguistica e della programmazione delle attività. Approvato il progetto, il gruppo deve cercare di concretizzare ciò che ha pensato. Dato che gli incontri di breve periodo rischiano di confermare gli stereotipi, si aiuta il gruppo a prendere coscienza dei propri pregiudizi in generale e rispetto al gruppo che si accoglierà. Una modalità ulteriore di lavoro consiste nel far cercare informazioni utili sulla zona in cui si andrà, sugli usi e costumi, sulla gente…
L’animatore deve proporre attività che non portino a svelare troppo, a “vivere troppo in anticipo lo scambio”, a non permettere nessuna sorpresa. La programmazione delle attività permette all’animatore di rendere ulteriormente autonomi e responsabili i partecipanti, mediante le decisioni comuni e la suddivisione dei ruoli e dei compiti. Si può dire che, in questa fase, il prodotto del processo è di tipo imprenditivo, mentre durante lo scambio il prodotto sarà di tipo interculturale. Arriva poi la fase dello scambio, durante la quale si rappresenta in piccolo ciò che è avvenuto nel gruppo nazionale. Certamente è necessaria una ricontrattazione, lo svelamento delle aspettative, la suddivisione dei compiti, la presa in carico del programma, l’onere della valutazione. Il progetto ha infine bisogno di un momento per valutare se gli obiettivi sono stati raggiunti oppure no (fase della valutazione), se il metodo adottato è stato il più adeguato, se l’apprendimento interculturale è avvenuto e in che parte ciò è successo, e così via. È questo anche il momento della decisione sul futuro: cosa fare, e con chi, e quando? In questa fase c’è anche da rendicontare, ossia da compiere alcune azioni quali: fare relazioni, compilare bilanci consuntivi, giustificare spese, ringraziare enti e persone che hanno aiutato… 2.3. Le professionalità che entrano in gioco Non è possibile, o comunque è molto difficile, che un gruppo di giovani possa costruire autonomamente uno scambio senza l’aiuto e la consulenza di uno o più animatori. Senza un intervento specifico la mobilità internazionale è riservata a pochi fortunati. Per questo è cruciale tutto il lavoro di accompagnamento e consulenza che animatori di scambi ben preparati possono fornire. Per quanto riguarda la nostra organizzazione, tutti i membri dell’équipe che conducono gli scambi hanno frequentato corsi specialistici. Nella tabella seguente proponiamo a titolo d’esempio le figure che possono entrare a far parte dell’équipe che gestisce uno scambio2: Il tipo di professionalità Progettista dello scambio
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Le azioni Le competenze necessarie È colui che prende contatto con Conoscere bene il programma i partecipanti e li aiuta a GpE
Si noti che la stessa persona può mettersi in gioco su più professionalità: può, per esempio, essere il progettista dello scambio e l’animatore interculturale, oppure il conduttore di workshop e il traduttore…
esprimere i desideri connessi con lo scambio, a trasformarli in progetto, a scrivere il progetto nel formulario apposito, a seguire le formalità necessarie
Animatore interculturale
È colui che anima il gruppo nella preparazione, nella realizzazione e valutazione dello scambio
Esperto dei laboratori
È colui che progetta e conduce gli eventuali laboratori che possono essere inseriti all’interno di uno scambio oppure gli esperti sul tema che lo scambio affronta
Traduttore
È colui che prima dello scambio facilita il lavoro di traduzione dei documenti e (a volte) delle telefonate con i partner o con la Commissione europea. Durante lo scambio, può essere utilizzato negli eventuali momenti ufficiali per le traduzioni, oppure in alcuni momenti in cui si ritiene fondamentale che tutti possano capire bene cosa si sta dicendo e possano comunicare
Conoscere i formulari GpE con lo scadenzario Essere in grado di far lavorare il gruppo di lavoro come facilitatore Essere in grado di fare un bilancio preventivo adeguato, attingendo a fonti informative affidabili Essere in grado di parlare un’altra lingua, per poter comunicare con il partner Avere competenza nella conduzione del gruppo e del gruppo di lavoro Essere in grado di parlare la lingua del partner o la lingua veicolare usata Avere conoscenze sulla cultura dei partner Conoscere i meccanismi teorici di stereotipizzazione e nascita del pregiudizio Essere in grado di facilitare il gruppo dal punto di vista linguistico Essere in grado di far emergere il conflitto e lo choc interculturale e convertirlo in apprendimento per il singolo e per il gruppo Essere in grado di condurre un laboratorio in un gruppo Essere esperto in una materia e/o tema Essere in grado di comunicare con il gruppo Capire, parlare e scrivere una o più lingue straniere Essere a conoscenza di almeno un minimo lessico specialistico rispetto al tema
Rendicontatore
È colui che sovraintende alla parte economica della rendicontazione del progetto. Può anche essere impiegato più in generale per la costruzione della relazione finale
Conoscenza delle regole per la rendicontazione in GpE Capacità di mettere ordine nel caos Conoscenza dei meccanismi che regolano le fatturazioni e i pagamenti per lo Stato italiano
Il Programma Gioventù per l’Europa prevede la possibilità che gruppi di giovani non associati (i cosiddetti “gruppi informali”) possano accedere ai finanziamenti. Si tratta di una possibilità assolutamente innovativa rispetto ai rapporti tra un Ente pubblico (in questo caso, l’Unione europea) e un gruppo di cittadini. È chiaro però che questo gruppo non ha una struttura di supporto adeguata per reggere sia dal punto di vista economico (costi-ricavi) sia soprattutto dal punto di vista finanziario (entrate tardive, uscite immediate). Nella nostra esperienza, l’aiuto che un Comune può dare rispetto a ciò è notevole, sia come appoggio alla logistica, sia come forza contrattuale garante nei confronti dei fornitori. In Provincia di Vercelli abbiamo dal 2001 sperimentato la possibilità di aiuto finanziario di Banca Etica, che dietro presentazione del contratto finanziario anticipa parte del finanziamento. 3. Lo scambio interculturale in una prospettiva d’animazione 3.1. Non si fa interculturalità con le teorie La grande rilevanza assunta nell’ultimo ventennio dalle tematiche dell'interculturalità3 ha permesso una faticosa acquisizione: il bisogno di riconoscere le differenze e d'integrarle in un'unità che non le annulli. È questa la sfida che attende ogni forma di convivenza: l’armonizzazione delle differenti identità. Ma quale definizione dare di interculturalità? Ve ne sono infatti molteplici. Qui ne indichiamo una che rimanda alla dimensione di prassi–teoria–prassi cara all’agire animativo: "Un processo multidimensionale di interazione tra soggetti di identità culturali diverse che attraverso l’incontro vivono un’esperienza profonda e complessa di conflitto/accoglienza come preziosa opportunità di crescita della cultura personale di ciascuno nella prospettiva di cambiare tutto quello che è di ostacolo alla costruzione comune di una nuova convivenza civile”4. Questa definizione implica alcuni elementi importanti: ° la centratura sul processo; ° il fatto che parliamo di relazione, interazione, incontro. Non si può fare interculturalità da soli, si ha bisogno necessariamente di un altro diverso da sé; ° la dimensione esperienziale: non si fa interculturalità con le teorie, ma rielaborando le situazioni di vita (che diventano quindi “esperienza”); ° la non-negazione del conflitto nel momento in cui s’incontra il "diverso", che rimanda all’idea che per conoscersi bisogna “toccarsi”, con il rischio che questo generi fastidio. Del resto, proviamo nei confronti del diverso un sentimento ambivalente, che è sia di fascinazione sia di repulsione. Entrare in contatto con il diverso richiede l’accettazione di questa ambivalenza; ° la crescita della cultura personale nell’incontro, che mi dice che la cultura non è qualcosa di statico, ma che dalla relazione con l’altro si esce sempre modificati, e questo vale anche per le culture;
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Questa sezione riprende parti della tesi di diploma in animazione di Silvia Maglio: “Oltre il giardino” (anno formativo 1999/2000, relatore Michelangelo Belletti). 4 Nanni A., L’educazione interculturale oggi in Italia, EMI, Bologna 1998.
la necessità di un orizzonte etico di convivenza (di rifondazione di un patto). Nell’incontro tra le culture ci possono essere altre due posizioni: quella etnocentrica, che guarda e giudica tutto in base ai propri parametri culturali, e quella relativista, che considera tutte le culture uguali e di pari dignità, e per questo invita a non giudicare, ma anche a non “meticciarsi”, ritenendo che questo sia un modo “criminale” di limitare le culture stesse. La posizione interculturale rispetta invece tutte le culture, ma tenendo presente sia un orizzonte etico di convivenza che permetta l’incontro e lo scambio sia la certezza che le culture “vive” (come le lingue) sono quelle che continuamente si modificano e si adattano alle nuove realtà. Nondimeno, vi sono alcuni rischi. Nell’epoca odierna, in cui i processi di globalizzazione indicano come le frontiere si vadano sfaldando e le spinte verso l’unità sono molteplici, enfatizzare le differenze culturali può risultare dannoso causando “etichettamento”5 da parte della maggioranza e conseguente isolamento. Risulta ugualmente improduttivo soffocare le diversità culturali e le singolarità personali che promuovono e garantiscono la crescita e l’evoluzione culturale. Se il presupposto è che siano le differenze a generare cambiamento ed evoluzione, è sbagliato, anche in un'ottica di salvaguardia del diritto di unicità della persona, andare verso un’omologazione dell’individualità. L’educazione interculturale propone come percorso possibile la via del dialogo, attraverso cui mettere in contatto le diversità dei singoli. Per fare questo, è però necessario possedere identità forti, tanto da potersi allontanare dai propri punti di riferimento senza perderli. La grande sfida risulta essere la riscoperta della propria cultura attraverso il confronto con l’altro.
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3.2. Le quattro anime degli scambi giovanili I manuali dicono che nel suo approccio l’animazione (perlomeno una certa animazione, quella “che da sempre si batte per un originale incontro e percorso con le nuove generazioni”6) non rinuncia alle sue quattro anime “che, nel loro incrociarsi, delineano un terreno dove è appunto possibile un diverso incontro tra generazioni, tra culture, tra forze sociali: l’anima educativa, l’anima politica, l’anima culturale, l’anima ludica”. Proverò a fare un parallelo fra queste anime e ciò che avviene processualmente negli scambi giovanili internazionali. L’anima ludica Da sempre l’animazione ha trovato nelle attività di tipo ludico un suo campo elettivo. La centralità della dimensione ludica è legata all’idea di uomo sottesa alla festa come al gioco. “Se, come ha scritto il poeta Schiller, l’uomo è pienamente uomo quando si abbandona al gioco, in quanto afferma la sua dignità assoluta, precedente a ogni fare produttivo e ogni successo operativo, la festa da sempre implica anche una presa di distanza e risignificazione forte del quotidiano”. “Nella festa si recuperano uno spazio e un tempo sociale (mai solo individuale) di messa in discussione, di irrisione stessa di tali legami di sudditanza, provando a sperimentare legami di tipo diverso, ispirati al ritrovarsi al di là delle barriere e dei legami quotidiani. La festa è essenzialmente una rottura di regole, di legami, di imposizioni, per ritrovare oltre a essi il senso stesso dello stare insieme collettivo”. Sono passaggi, questi riportati, che rischiarano secondo noi il significato non consumistico di un evento festoso come lo scambio giovanile internazionale. Il suo porsi fuori da
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Il concetto di etichettamento rinvia alla teoria dell’etichettamento e al concetto di stigma. Per “stigmatizzazione” intendiamo: ”Un processo che conduce a contrassegnare pubblicamente delle persone come moralmente inferiori, mediante etichette negative, marchi, bollature o informazioni pubblicamente diffuse” (da Ribolzi L., Sociologia e processi formativi, La Scuola, Brescia 1993, p. 117. 6 Floris F., “Quando si può parlare di animazione?”, in L’animazione socioculturale, Quaderni di Animazione e Formazione, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2000, pp. 145ss.
logiche mercantili, il suo essere un prodotto collettivo costruito dai partecipanti, che in questa situazione si trovano a essere attori e non fruitori, giocatori e non consumatori. La dimensione ludica negli scambi si sostanzia a due livelli: il primo è quello delle attività, che normalmente sono gratificanti e libere: ossia contengono le due caratteristiche – la capacità di gratificare chi lo pratica e l’assoluta gratuità – che M. Pollo7 individua come qualificanti il gioco. Questa è forse la dimensione più immediatamente “prendibile”. Il secondo livello è invece più “meta”: se è vero che la dimensione ludica rimanda al “come se…”, cioè alla concreta strutturazione di uno spazio di regole che costruisce la possibilità di sperimentare ruoli e situazioni diverse da quelle che normalmente si vivono, allora tutto il processo è propriamente ludico. Infatti la dimensione imprenditiva che lo scambio costruisce permette la sperimentazione in modo protetto di una modalità adulta di organizzare un progetto di azione. Si dice che siamo davanti a un “business plan” verosimile, ma non così complesso, siamo davanti all’organizzazione di un evento come protagonisti e registi, ma con la possibilità di essere sostenuti e sostituiti (se la situazione diventa non sostenibile dal gruppo) dall’animatore. L’anima culturale L’animazione da sempre si pone come intercapedine nel processo di socializzazione8 per cui i contenuti di una cultura, le sue norme, i suoi valori vengono passati al vaglio della presa di coscienza e della critica. Da sempre cerca di pensare in grande, ipotizzando nuovi modi di convivenza, nuovi significati condivisi, nuovi contenuti culturali. Non si chiude nel ludico inteso come dimensione banalmente evasiva, perché lavora per un disegno di società. A contatto con le nuove generazioni, l’animazione non rinuncia “ad aiutare a pensare, rielaborare, tracciare disegni piccoli e grandi, mettere a nudo le contraddizioni della società, denunciare i soprusi e, allo stesso tempo, individuare attorno a quali principi rigenerare la società”9. In questo percorso essa “fa una scelta di campo: lavorare sulle intuizioni generatrici delle nuove generazioni”10. Non parte cioè da un astratto dover essere, ma dalle sfide e dalle intuizioni dei loro mondi vitali che, se fatte interagire, sono produttrici di nuova cultura. Negli scambi il lavoro sulla cultura avviene sui seguenti piani: ° il piano dell’incontro tra culture: quella dei soggetti del gruppo e dell’animatore, quella dei due o più gruppi internazionali che si incontrano, quella degli Enti che promuovono e finanziano gli scambi e il gruppo o associazione che lo scambio lo fanno. In questo caso, il lavoro di emersione dei contenuti culturali “nascosti” avviene per differenza: ciò che noto negli altri mi sollecita a interrogarmi sulla mia cultura, sui miei modi di vedere il mondo; ° il piano della possibile emancipazione da alcuni contenuti culturali e la creazione di nuovi: nel momento in cui prendo coscienza di alcuni contenuti culturali, posso decidere in maniera critica se questi siano ancora funzionali all’idea di società che mi piace, all’idea di convivenza civile da me sognata. Il passaggio successivo può essere l’avvio di un processo di cambiamento personale e sociale, per mezzo del gruppo. L’anima educativa È l’anima che aiuta a pensare all’uomo come “educabile”, ossia come soggetto mai concluso, mai definitivamente determinato né dalla propria storia, né dal proprio ambiente sociale. Partendo dall’affermazione di Paulo Freire, secondo cui “nessuno educa nessuno, nessuno educa se stesso, ma ci si educa insieme”, l’animazione vede l’educare “come un evento collettivo in cui più attori interagiscono con scambi affettivi e culturali che avvengono in modo circolare e con una continua metacomunicazione su come gli stessi scambi stanno avvenendo, in modo che le persone in gioco 7
Pollo M., “Il gioco come luogo di animazione”, in AA. VV., L’animazione socioculturale, cit., pp. 163ss. Inteso come processo per mezzo del quale una società trasferisce i contenuti culturali ai nuovi nati, fatti di norme, valori, miti, riti, costumi, modi di vedere il mondo, significati condivisi… 9 Floris F., “Quando si può parlare di animazione?”, in AA.VV., L’animazione socioculturale, cit., p. 148. 10 Ibidem. 8
prendano continuamente posizione su quel che succede, rielaborino in proprio, prendano le distanze, se necessario, e apprendano progressivamente a fare scelte personali confrontandosi con quei luoghi di riferimento in cui si riconosceranno attraverso l’animazione, sentendosi protagonisti – capaci di andare anche controcorrente – nell’ambiente in cui vivono”11. Gli scambi giovanili internazionali nel programma GpE prendono l’avvio dall’idea che questa sia una forma di educazione non formale, per la possibilità forte di apprendimento sociale e interculturale che questa offre. Come questo avvenga lo si è spiegato precedentemente, raccontando le fasi dello scambio. L’anima politica Quando parliamo di anima politica nell’animazione, parliamo della dimensione di cambiamento sociale cosciente che desideriamo provocare nel tessuto sociale, ma anche della dimensione della partecipazione sociale che vogliamo promuovere, dove con partecipazione desideriamo indicare il processo che spinge le persone a sentirsi implicate e protagoniste in prima persona nelle scelte collettive di cambiamento. Lo scambio permette l’azione su questo livello nel momento in cui: ° promuove un nuovo modo di rapportarsi alle istituzioni, non più in un’ottica di sudditanza o di clientelismo, ma di soggetto collettivo con cui negoziare in modo adulto; ° promuove l’aggregazione attorno a un tema importante per il gruppo al fine di progettare un’azione condivisa (lo scambio). Mediante il programma GpE possiamo lavorare con i gruppi informali, cioè con gruppi naturali che sono interessati a sviluppare alcuni temi ritenuti importanti dal gruppo stesso (ricordiamo che lo scambio avviene sempre su un tema: ad es., le tematiche ambientali, la gestione dei conflitti in campo interculturale, la musica, altre attività artistiche…). La dimensione politica in questo caso si sprigiona dal dare importanza al “mondo vitale” del gruppo, ai suoi interessi, alla possibilità di essere protagonisti del proprio progetto; ° promuove l’aggregazione organizzata. Mai come ora nel nostro contesto territoriale notiamo la mancanza dell’associazionismo giovanile, sia come luogo di sperimentazione di modalità di partecipazione tra pari sia come luogo di elaborazione di cultura. 4. Ricapitolando 4.1. A cosa servono gli scambi giovanili internazionali? Alla luce di queste considerazioni, si può apprezzare il significato dello scambio giovanile internazionale, che diventa uno dei mezzi con cui è possibile: ° riflettere sulla propria identità sociale, sessuale, nazionale, ecc., confrontandosi con l’altro; ° esplorare le proprie “abilità relazionali”, ossia la propria capacità di mettersi in relazione con l’altro, con il diverso; ° prendere coscienza dei propri schemi mentali, delle proprie pre-comprensioni, dei propri stereotipi e pregiudizi, e iniziare a lavorare per modificarli; ° ampliare il proprio modo di vedere la realtà e il mondo, grazie all’aiuto degli “occhi” di altri, che vedono altre cose e me le comunicano, ma anche vedere in che modo ci si adatta in ambienti simili; ° sperimentare lo “spiazzamento cognitivo ed emotivo” che porta l’abbandonare, anche se solo per poco, il proprio territorio per entrare in un altro, sconosciuto; ° è chiaro che non siamo di fronte ad una semplice vacanza turistica, anche se un po’ “avventurosa” o “alternativa”, poiché la vacanza classica cerca di ricostruire all’estero le “scenografie” entro le quali ci muoviamo abitualmente (pensiamo alle catene di hotel che sono 11
Ibidem, pp. 147-8.
sempre uguali in ogni parte del mondo, proprio per evitare al viaggiatore lo choc dell’imprevisto, del nuovo). L’animazione si colloca in questo processo su vari livelli. Un primo livello è dato dal fatto che il metodo animativo usa il gruppo come luogo e come strumento per l’apprendimento. Il gruppo consacra al suo interno la possibilità di una pluralità di visioni, una molteplicità di punti di vista sulla stessa realtà, che è uno dei passi verso la costruzione di nicchie comuni di significati. Un secondo livello riguarda invece la modalità dell’apprendimento: l’interculturalità viene sperimentata, agita e poi rielaborata, e non semplicemente “studiata” a tavolino. Ciò è coerente con l’assunto animativo della circolarità “prassi-teoria-prassi”. Un terzo livello ha a che fare invece con l’aspetto sociale dell’interculturalità: l’animazione lavora nelle dimensioni dell’individuo-gruppo-comunità e quindi con tutti i fenomeni legati alla cultura che questi gruppi sociali sviluppano. Per ultimo, l’animazione prevede che i gruppi di giovani assumano via via maggior potere e responsabilità all’interno delle attività che li riguardano: ciò ci pare che sia uno degli elementi costitutivi del “laboratorio d’imprenditorialità” che questo progetto suggerisce nella progettazione e realizzazione dello scambio. In questi anni, anche grazie alla riflessione fatta all’interno dei vari corsi per animatori di scambi giovanili, abbiamo sviluppato – sperimentalmente, tanto che è ancora in corso di validazione – una modalità di pensare lo scambio giovanile (vedi schema) in maniera particolare che comprende diverse “parti”: ° il processo di gruppo; ° il processo di apprendimento interculturale; ° il processo d’imprenditività.
Percorso del gruppo: dall’interazione all’integrazione
Percorso di creatività e imprenditività: dalla dipendenza all’autonomia
Percorso interculturale: dalla diversità/minaccia alla diversità/risorsa
4.2. A chi servono? Ma il programma Gioventù per l’Europa, che Vedogiovane ha scelto nel corso della propria esperienza negli scambi, benché abbia come protagonisti i ragazzi riuniti in gruppo vede implicati anche altri attori. È interessante esplorare anche il loro punto di vista, per poter dare una valutazione quanto più completa del raggiungimento (o meno) degli obiettivi del GpE. Questi attori sono: la Commissione europea, l’organizzazione Vedogiovane e il territorio. La Commissione europea, per mezzo di questo programma, mira a raggiungere i seguenti obiettivi: ° permettere ai giovani di percepire la nozione di Unione europea come parte integrante del loro ambiente storico, sociale, culturale e politico; ° rendere consapevoli i giovani del fatto che essi sono cittadini attivi partecipanti alla costruzione dell’Unione europea; ° suscitare nei giovani una migliore comprensione della varietà della società europea e fare in modo che prendano coscienza del valore intrinseco di questa varietà; ° permettere ai giovani d’identificare in ciascuno Stato membro la possibilità che siano fornite risposte diverse a problemi analoghi e di capire le ripercussioni che ne risultano; ° sviluppare la capacità degli animatori giovanili e dei responsabili delle strutture governative e non governative attive nel settore della gioventù ad agire e cooperare a livello europeo. Questi obiettivi sono strutturalmente presenti ogniqualvolta si decida di lavorare con GpE. Per Vedogiovane si tratta invece di: ° trovare uno strumento di “aggancio” alla realtà giovanile che sia al tempo stesso motivante e di apprendimento serio e concreto; ° promuovere una dimensione transnazionale nell’animazione sociale e culturale, al fine di “sprovincializzarsi” sempre più; ° promuovere processi di autoimprenditorialità, ma in un’ottica non commerciale, come è quella destinata a uno scambio giovanile internazionale; ° creare un network di partner con cui si possa ragionare sull’animazione (es. l’Università Complutense di Madrid, il network giovanile Efyso – European federation of youth service organizations, ecc.); ° promuovere una modalità d’approccio al tema dell’interculturalità in chiave preventiva, prima che i flussi d’immigrazione pongano lo straniero nell’ottica svantaggiata dell’immigrato, al fine di sviluppare competenze di accoglienza e comunicazione in campo multiculturale12. Per la comunità nella quale si opera: ° offrire l’opportunità di vivere un’esperienza interculturale protetta a giovani che non hanno abitualmente queste possibilità; ° offrire la possibilità al territorio di sviluppare una dimensione di accoglienza nei confronti dell’“estraneo”; ° permettere l’incontro tra giovani e tra giovani e membri della comunità al fine di preparare, realizzare e valutare il progetto di scambio. Di fatto, rispetto agli obiettivi di Vedogiovane e dell’Unione europea, possiamo affermare che ci sia stato un loro progressivo costruirsi e aggiustarsi e che essi sono stati raggiunti. Più problematico invece il rapporto con la comunità: all’inizio era un rapporto assente, significato addirittura dal fatto che si andava a fare lo scambio in Italia non nel luogo di residenza, ma in strutture montane nuove per tutti (italiani e non). In seguito, il collegamento si è fatto più stretto, anche se raramente è riuscito a trasformarsi in una “celebrazione” comunitaria.
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Quando parliamo di multiculturalità, intendiamo la presenza su uno stesso territorio di gruppi culturali diversi. Le nostre città stanno diventano sempre più multiculturali, non necessariamente interculturali (il che richiede un processo intenzionale).
FORMAZIONE, IL CATALOGO È QUESTO Michele Marmo 1. Dagli esordi a oggi: la formazione secondo Vedogiovane Vedogiovane nasce dalla volontà di quattordici giovani animatori che operavano negli oratori salesiani del Piemonte orientale (Alessandria, Asti, Biella, Borgomanero, Verbania, Vercelli). Alla base della scelta di costituire una “cooperativa di animazione” vi era un forte slancio ideale e valoriale. I fondatori volevano dotarsi di un’organizzazione idonea a trasformare il loro interesse personale per l’animazione e per la formazione degli animatori in un lavoro continuativo, viste le molte richieste di percorsi formativi da parte degli Oratori piemontesi. Di qui l’intuizione di dar vita a una cooperativa sociale. Se le prime richieste furono relative alla formazione di animatori di centri estivi e di gruppi giovanili, progressivamente si è andato strutturando un modo di fare formazione che, arricchendosi delle esperienze vissute dai singoli in varie realtà formative, si è esteso ad altri ambiti dell’azione sociale. Tanto che oggi le aree coperte dai percorsi di formazione e consulenza sono ben sei: oltre quella relativa alla metodologia e alle tecniche d’animazione, figurano l’area psicosociale, l’area pedagogica e di psicologia dello sviluppo, l’area delle politiche giovanili, l’area non profit e l’area progettazione e valutazione servizi1. L’esperienza di questi anni e l’apprendimento maturato grazie ai corsi (circa 120) tenuti sui temi legati all’animazione e al no profit, commissionati da Enti pubblici e del privato sociale, fanno della formazione un campo di attività strategico per Vedogiovane, che al suo interno ha strutturato dapprima un settore dedicato, quindi (dal 1997) un vero e proprio Centro di formazione con due aule e una biblioteca. Sempre nel 1997, dopo aver partecipato ai lavori della Commissione regionale per la definizione del profilo professionale dell’animatore e la sua formazione, Vedogiovane ha dato il via nel territorio biellese e novarese ai “Corsi triennali per animatori professionali”, che nel 2000 hanno diplomato i primi studenti. Fin qui, in rapida sintesi, il percorso storico di Vedogiovane nel campo della formazione. Lo riprenderemo nella parte finale, ora soffermiamoci sul modello formativo proposto. 2. Una proposta centrata sull’apprendere dall’esperienza Il modello formativo proposto da Vedogiovane vuole abilitare le persone a riflettere sull’esperienza, sia esterna che interna all’aula, facendone il primo, decisivo materiale di apprendimento. A tal fine predispone diversi setting formativi che vanno: dalle lezioni frontali al lavoro di gruppo, dagli stage residenziali ai laboratori, dall’aula al tirocinio sul campo. Solo dentro questa globalità di situazioni la formazione risulta davvero efficace, e da successione di interventi si fa esperienza evolutiva. Questa proposta formativa ha trovato applicazione non solo nelle numerose esperienze di formazione al metodo dell’animazione vissute con associazioni, gruppi giovanili e di adulti, diocesi, parrocchie, aziende, scuole, ma anche nei corsi per animatori professionali. 2.1. Il concetto di formatività Il nostro intervento formativo si struttura a partire dalla definizione di alcuni concetti e modalità d’intervento, con l’obiettivo esplicito di avviare processi di cambiamento. 1
Si veda oltre il paragrafo dedicato ai "corsi per catalogo".
La prima definizione riguarda il concetto di formatività, che si configura come una duplice capacità: “Quella di rappresentare se stesso, di pensare le condizioni, interne ed esterne a sé, della propria esistenza e su queste, attraverso il linguaggio, tenere un discorso; in secondo luogo l’uomo parimenti ha la capacità di intervenire sulle condizioni della sua esistenza. Egli può, attraverso l’attività immaginativa della mente, anticipare le sue azioni e le può organizzare, formulare e riformulare in un progetto”2. La prima parte della definizione specifica le condizioni essenziali che permettono l’apprendimento dall’esperienza. La riflessione psicologica sulla costruzione dell’identità afferma che l’esperienza del Sé deve necessariamente passare attraverso la relazione del Sé con l’oggetto esterno. La conoscenza avviene quindi tramite tale relazione, per cui diventa di fondamentale importanza la possibilità di rappresentarsi (rappresentare se stesso) nell’esperienza. Questa attività di verifica incrociata delle condizioni esterne e di quelle interne - e, soprattutto, la disposizione a vederle correlate - crea lo spazio mentale necessario per fare della propria esperienza l’oggetto su cui apprendere. Il tentativo di condivisione dei propri vissuti nel gruppo, di socializzazione della propria esperienza, e anche la creazione di un linguaggio, di simboli e metafore comuni, pone il problema del confronto con la verbalizzazione. Con questo non si devono dimenticare tutte quelle potenzialità comunicative ed espressive che si servono di canali non direttamente verbali e che pure costituiscono una parte fondamentale del patrimonio relazionale che ogni individuo può giocare nella relazione. La seconda parte della definizione rimanda alle difficoltà di esprimere un progetto al cui interno trovino contemporaneamente dimora la dimensione razionale strutturante e la dimensione “onirica” del desiderio, dell’idealità, espressa come “tensione verso”. In questo senso, progettare vuol dire farsi carico della difficoltà insita nel passaggio dal mondo delle immagini interne, che si piegano alle nostre richieste e di cui siamo unici padroni, al mondo degli oggetti esterni, che pongono fieramente le loro precondizioni, che rispondono a leggi che non possiamo controllare e ci costringono al confronto con una complessità che non possiamo semplificare: le dimensioni del progetto sono quindi in intima vicinanza con le dimensioni dell’adultità perché si collegano all’idea di impegno, di scelta, di responsabilità. Il momento della progettualità non apre solo le porte alla possibilità di pensare il proprio futuro come luogo della novità, ma è il punto di contatto tra cambiamento individuale e progetto di cambiamento sociale e politico. 2.2. La centralità del gruppo 2.2.1. Il gruppo come strumento di formazione La nostra scelta è quella di strutturare un percorso formativo che parte dal considerare come “oggetto centrale” il gruppo di formazione, nella sua accezione di “strumento”, oltre che di luogo, all’interno del quale la formazione viene a svolgersi. Intendiamo con ciò privilegiare una concezione che veda il gruppo come struttura avente (almeno a livello potenziale) delle peculiarità che possano essere messe, di volta in volta, al servizio degli obiettivi della formazione. Il gruppo è pensato non come uno strumento-oggetto, che possiede caratteristiche stabili, che non variano con il variare dell’uso che se ne vuole fare, ma come strumento-relazione. Esso appartiene a una categoria di strumenti, i quali non possono essere pensati come esistenti indipendentemente dal loro uso. Le caratteristiche del gruppo variano in funzione del suo operare. Nei suoi aspetti dinamici ed evolutivi può essere ulteriormente concepito come palestra di situazioni, emozioni e relazioni pronte a diventare, qualora s’intenda accettare la sfida della scoperta, occasioni d’apprendimento dall’esperienza. 2
Kaneklin C., Olivetti Manoukian F., Conoscere l’organizzazione, La Nuova Italia, Firenze 1990, p. ???.
2.2.2. Il gruppo come luogo di formazione Possiamo vedere il gruppo come l’elemento di naturale saldatura tra soggetto e società e come il luogo dove è possibile sperimentare e realizzare alcuni processi fondamentali per la strutturazione di apprendimenti per l’individuo. L’accezione di “gruppo come luogo concreto del processo reciprocamente costituente tra il mentale e il sociale”, con cui ci sentiamo in sintonia, è frutto della riflessione cognitiva psicosociale espressa da Piero Amerio in un suo contributo all’interno de Il cerchio magico3. Questo punto di vista evidenzia, tra l’altro, come la progressiva presa di distanza delle persone dalla dimensione macrosociale, su cui si fonda la nostra società, permetta di considerare la dimensione gruppale come luogo di mediazione, dove fare un’esperienza di costruzione sociale da protagonisti, ma in maniera protetta rispetto alle condizioni di straniamento e impotenza del contesto allargato. Il gruppo è un luogo privilegiato di contatto con la dimensione della complessità, in quanto: ° nella sua accezione inter-individuale, favorisce la presa di coscienza della diversità dell’altro e della sua non-riducibilità alle nostre personali categorie di pensiero; ° nella sua accezione di oggetto sociale, sta in continuo rapporto con un contesto istituzionale più o meno strutturato. Quindi il gruppo può essere considerato come la drammatizzazione in uno spazio sociale e interindividuale di una dimensione complessa che trova le sue origini nella molteplicità delle dimensioni del Sé, che vanno da quelle legate ai differenti ruoli sociali che continuamente giochiamo nella relazione, fino a quelle maggiormente latenti e destrutturate che, a volte, neghiamo e non riusciamo a integrare. 2.2.3. Il lavoro di gruppo Un gruppo è un insieme di individui che condivide uno scopo comune e che è caratterizzato da un rapporto d’interdipendenza tra i suoi membri, in quanto tale gruppo può produrre lavoro. Il “lavoro di gruppo” può, quindi, essere definito come l’insieme dei “movimenti”, delle “azioni”, dei “processi” e dei “prodotti” del gruppo4. Per rendere costruttivo e qualitativo un lavoro di gruppo, si può ricorrere ad alcuni indicatori quali: ° chiarezza, delimitazione, definizione dello “scopo” che determinano la struttura del gruppo, intesa negli aspetti organizzativi interni e nella differenziazione dei ruoli; ° congruenza tra occupazione-organizzazione e dinamica del gruppo, dove l’occupazione si riferisce allo scopo dichiarato del gruppo, l’organizzazione interessa la dimensione del gruppo, i suoi componenti e le regole generali di funzionamento, la dinamica attiene all’attivazione del gruppo come strumento, alla qualità dei livelli comunicativi, alla socializzazione, ai rapporti interpersonali e quindi al clima di gruppo; ° gli individui e il gruppo come soggetti consapevoli. Il livello e la qualità del funzionamento di un gruppo vengono valutati e misurati in riferimento a una variabile specifica: la sua capacità di costituirsi come “gruppo di lavoro”. Se un gruppo è un insieme dinamico, ossia qualcosa di diverso, quantitativamente e qualitativamente, dalla somma dei singoli individui e se l’azione del gruppo esprime un’intenzionalità rivolta a un fine, sulla base di un accordo/decisione comune, allora si ha lavoro di gruppo e il gruppo può funzionare come soggetto di costruzione/trasformazione delle conoscenze e dell’identità individuale (e di gruppo). Tutto questo sia in riferimento al piano cognitivo, sia a quello emotivo e delle competenze sociali.
3 Amerio P., "Individui e gruppi nell'ottica cognitiva psicosociale", in Trentini G. (a cura di), Il cerchio magico, Angeli, Milano 1987. 4 Cfr. Dozza L., Il lavoro di gruppo tra relazione e conoscenza, La Nuova Italia, Firenze 1993.
2.3. Il valore dell’esperienzialità Per “esperienzialità” intendiamo l’accostamento con la propria realtà personale, in modo che ci sia un riconoscimento della propria dignità e potenzialità e una presa di coscienza critica (e dunque capace di mettere in discussione pregiudizi e stereotipi) della relazione che si vive con la realtà. Accettando di coinvolgersi attivamente, di confrontarsi con gli altri, si permette alla formazione di diventare un percorso di cambiamento dinamico che – mentre aiuta a controllare le forze oscure di sé – consente di sprigionare le proprie energie positive. Nell’esperienzialità quotidiana, come in quella che viene ad aversi nei luoghi della formazione, si percepiscono sfide e intuizioni progettuali. Da questo punto di vista, la formazione intende far (ri)nascere la curiosità culturale, il bisogno di aprirsi a reti concettuali elaborate da studiosi di diverse discipline e di collegarle alle proprie. Intende cioè sollecitare i partecipanti a una continua rielaborazione delle informazioni ricevute, che permetta di maturare mappe concettuali salde perché fondate sull’esperienza umana riflessa. Quella dell’operatore educativo/sociale non può essere infatti una cultura accademica, un accumulo nozionistico d’informazioni provenienti da diverse discipline, bensì un conoscere-per-fare e dunque un conoscere guidato dal bisogno di fronteggiare con intelligenza i problemi. È un conoscere che, ponendo al centro i problemi con tutto il carico del desiderio e del limite, cerca di capire come entrarci, di coglierne i nodi cruciali e le potenzialità inespresse attraverso un ascolto meditato delle intuizioni che le diverse discipline sono in grado di mettere in gioco. La struttura di lavoro prevede l’intervento su contenuti specifici da parte di docenti e il lavoro di rielaborazione sugli accadimenti sia contenutistici che relazionali (realizzato, come vedremo, in integrazione fra il responsabile di una specifica area formativa e il tutor). La logica del percorso prevede infatti che la strutturazione di conoscenze specifiche, avvenuta attraverso il contributo dei docenti esterni, possa tramutarsi in apprendimento una volta avvenuta la rielaborazione da parte del gruppo attraverso un processo di confronto con la propria esperienza, sia d’aula come gruppo in formazione, sia esterna come singole/i persone/animatori. Per questo motivo la proposta cerca di rimanere fedele al percorso stesso dell’esperienza di animazione e lavoro sociale, mantenendone la logica contrattuale e di progettazione ermeneutica a partire dall’esplicitazione dei bisogni dei vari soggetti coinvolti nel processo formativo. Trattare il gruppo in formazione come gruppo in costruzione sia dal punto di vista della definizione della propria identità che da quello della chiarificazione progressiva dell’oggetto condiviso in un progetto, significa permettere ai partecipanti di condividere un’esperienza su cui elaborare apprendimenti significativi e attorno alla quale risignificare in maniera durevole i saperi tecnici e metodologici. In questo senso ciascuno dei partecipanti viene stimolato a vivere e poi ad apprendere: ° la fase iniziale di un percorso caratterizzato dall’incontro con l’altro e dal fascino dell’interazione; ° il successivo misurarsi con la differenza e la diversità (fosse essa rappresentata dal collega, dal docente, dal formatore o dal mondo che essi mettono in scena attraverso il loro sapere); ° lo sperimentarsi nel fare insieme, nel confrontarsi con il limite e anche con il successo del proprio agire; ° il misurare l’efficacia del pensare insieme il fare insieme; ° e infine tutta la fatica della condivisione di un progetto e della sua durata nel tempo, con le inevitabili prese di distanza, riavvicinamenti, illusioni e disillusioni. È esattamente questo il percorso d’apprendimento che si vuole proporre al gruppo e ai singoli che vengono portati a lavorare in primo luogo sul cambiamento delle proprie prefigurazioni rispetto all’oggetto specifico di lavoro e in un secondo momento sulla ridefinizione delle proprie conoscenze remote e recenti in rapporto a questa nuova prefigurazione.
2.4. Il tirocinio pratico Come si diceva prima, i setting formativi sono intenzionalmente plurali. Tra questi potrebbe mancare il tirocinio pratico, modalità formativa fondamentale nelle scuole di servizio sociale, prevista fin dalle origini? Si tratta di una preparazione non soltanto teorica ma anche costruita “sul campo”. È un’occasione privilegiata di formazione professionale, dove sono in gioco tutti i diversi tipi di apprendimento necessari a sostenere un’attività di lavoro sociale: allargamento e differenziazione della struttura cognitiva, padronanza di comportamenti complessi, modifiche della costellazione motivazionale. È anche un’esperienza soggettiva sulla quale l’individuo investe energie per ottenere risultati soddisfacenti nel suo percorso di costruzione dell’identità professionale. Sottolineiamo due aspetti, che mettono in crisi il modello accademico “puro” di formazione del nostro Paese: ° è un’esperienza d’apprendimento protetta e guidata: non è solo un provare a lavorare, ma è un’opportunità che è parte integrante del curriculum formativo, programmato-supportatocontrollato adeguatamente; ° è un’esperienza guidata che non avviene in laboratori, ovvero in ambiti simulati, ma nei contesti lavorativi reali, in cui gli studenti sono chiamati ad anticipare in parte la propria futura attività professionale. 2.4.1. Un processo di apprendimento originale Duplice e intrecciato è anche il livello di apprendimento: ° imparare ad applicare (trasferire-trasformare-metabolizzare) le conoscenze ricevute nel percorso teorico; ° imparare ad apprendere dall’esperienza (learning by doing). Ovvero, il tirocinio non è un mero consolidamento delle conoscenze teoriche ricevute, né un semplice trasferimento della teoria nella pratica: provando a cimentarsi con compiti reali, lo studente apprende materiale nuovo. È dunque un processo di apprendimento originale, con una sua identità distinta, un processo complementare e integrativo rispetto all’apprendimento teorico. Il processo, attraverso il quale le conoscenze (acquisite per via teorica ed esperienziale) vengono utilizzate nelle concrete situazioni del lavoro sociale per prendere decisioni e risolvere problemi, è sempre almeno in parte un processo creativo. Infatti non è possibile incanalarlo del tutto in procedure standardizzate, essendo ciascuna situazione sempre diversa rispetto alle altre. In questo senso la creatività è, come l’intuizione, un processo psicologico incondizionato: qualcosa che non si può pretendere d’insegnare del tutto né si può certificare con certezza che qualcuno l’abbia appresa. Il tirocinio dovrebbe tuttavia formare il corsista proprio in questa straordinaria competenza: dovrebbe, paradossalmente, far apprendere la creatività nel lavoro sociale. Il tirocinio, infatti, favorisce il corsista nella sua maturazione personale e professionale, è funzionale ad introdurlo al contatto diretto con le realtà del territorio ed i servizi in cui si andrà ad operare, a sperimentare la relazione con i diversi soggetti sociali possibili (comunità, gruppi formali ed informali in particolare), gli animatori già in servizio, le diverse figure professionali presenti nei servizi di territorio. 2.4.2. Gli obiettivi del tirocinio Obiettivi principali del tirocinio sono: ° la conoscenza, che dovrebbe svilupparsi sia nei confronti della realtà esterna (con particolare riferimento al futuro ambiente di lavoro) sia nei confronti di se stessi in relazione con gli altri; ° la sperimentazione, che dovrebbe consentire al formando di verificare direttamente le proprie abilità e i propri limiti, attraverso l’attuazione pratica delle tecniche apprese, orientando
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professionalmente le proprie capacità. La sperimentazione è significativa anche sul piano dell’esperienza di rapporti interpersonali a vari livelli e di collocazione all’interno di organizzazioni di servizi e di progetti di intervento; la presa di coscienza circa la propria attitudine alla professione e le proprie capacità operative. Dovrebbe inoltre stimolarlo a una progressiva maturazione personale e a una progressiva ricerca di un proprio stile professionale (personalizzato e interiorizzato attraverso la riflessione critica della propria esperienza); l’assimilazione e la sintesi dei contenuti proposti nella formazione teorica; la costruzione di un chiarimento delle proprie motivazioni alla professione, mettendo alla prova le conoscenze e le capacità, esercitandole e sviluppandole.5
2.5. La valutazione 2.5.1. I soggetti e i luoghi della valutazione: chi valuta e dove si valuta? Riteniamo che i soggetti coinvolti nella valutazione siano tutti quelli che in qualche maniera e a qualche titolo partecipano a questo processo: l’équipe dei formatori e di progettazione, l’organizzazione, i partecipanti al corso e quelle realtà che ricevono i corsisti per il tirocinio o per piccole esperienze di lavoro. Ciascuno di questi soggetti, avendo dichiarato i risultati attesi e le strategie per ottenerli, struttura le modalità per verificarne il raggiungimento. Per ciascuno possiamo individuare luoghi e momenti specifici di valutazione, dove per luoghi intendiamo spazi fisici, mentali, affettivi adeguati alla realizzazione di questo processo. L’intreccio dei punti di vista consente di circoscrivere quale possa essere il campo di risultati attesi dai vari soggetti e le diverse percezioni rispetto al loro raggiungimento e suggerisce l’ipotesi di spazi negoziali possibili nella definizione dei criteri condivisi. In questo senso, l’esperienza della valutazione diventa ulteriore luogo d’apprendimento e momento di esercizio di potere. Lo spazio privilegiato resta quello del gruppo in formazione, proprio per la sua caratteristica di spazio protetto in cui diventa possibile sperimentare le acquisizioni del percorso formativo attraverso il “come se”. Ci sembrano possibili altri spazi, legati maggiormente alla dimensione individuale e di rapporto con l’organizzazione. 2.5.2. I contenuti della valutazione: cosa si valuta? Rileviamo che tradizionalmente ci si indirizza a valutare il raggiungimento degli obiettivi dichiarati prendendo in considerazione: ° le reazioni dei partecipanti al percorso formativo; ° le conoscenze raggiunte; ° gli atteggiamenti attraverso i comportamenti; ° il cambiamento nell’organizzazione. 2.5.3. I metodi e gli strumenti: come si valuta? 5 Per favorire il raggiungimento degli obiettivi l'esperienza pratica è integrata, nell'ambito del monte ore previsto in un corso, dalla predisposizione di uno spazio privilegiato per la sua rielaborazione. All'ambito della rielaborazione dell'esperienza pratica possono ricondursi alcuni elementi: 1) analisi della situazione di tirocinio, del contesto istituzionale e organizzativo, degli obiettivi e delle metodologie del servizio; 2) formulazione di ipotesi rispetto al proprio inserimento e successivo intervento; 3) verifica costante degli obiettivi del tirocinio attraverso il confronto e la discussione in gruppo delle metodologie utilizzate nell'esperienza; 4) analisi delle componenti della propria professionalità; 5) comprensione del significato dell'esperienza che si sta conducendo; 6) maturazione dello stile di presenza di ogni tirocinante e presa di coscienza del proprio ruolo all'interno di ogni realtà specifica; 7) sviluppo di capacità di osservazione e reazione; 8) sviluppo di capacità di facilitazione in processi di partecipazione e promozione; 9) sviluppo della consapevolezza delle proprie motivazioni e aspettative e del proprio modo di operare concretamente.
Per dirla con Quaglino, si può sostenere che la validità dell’azione di valutazione dei risultati dipenda anche dalla possibilità di confrontare i dati raccolti con altrettanti e analoghi dati raccolti prima e più o meno indipendentemente dall’intervento formativo effettuato. È chiaro che, nel caso della valutazione delle reazioni, ci si riferirà anche alle aspettative monitorate all’inizio dell’attività formativa (non essendo possibile raccogliere dati di reazione prima dell’azione...). Da qui, allora, la necessità di monitoraggio durante il percorso. Ma si pone il problema della congruenza tra metodi di formazione e metodi di valutazione. Sappiamo bene come le diverse “teorie” sull’apprendimento e sull’uomo stesso determinino diversi obiettivi, diversi metodi, diversi strumenti. Come fare a valutare coerentemente gli apprendimenti dei partecipanti rispetto alla “filosofia della formazione” che stiamo adottando? Abbiamo individuato per il nostro percorso alcuni strumenti pensati come adeguati ad obiettivi diversi: ° le reazioni. Ci pare che per valutare le reazioni dei partecipanti e il cambiamento degli atteggiamenti possa essere interessante l’utilizzo di una ricerca di evaluation. Abbiamo elaborato un questionario base specifico, che, dopo gli opportuni adattamenti, viene somministrato all’inizio, a metà e alla fine di ogni intervento formativo, al fine di verificarne l’andamento. I questionari vengono strutturati per poter offrire la possibilità di confrontare le risposte a domande ricorrenti, da parte del gruppo e dei singoli nello svolgersi del cammino formativo, e di dare al gruppo-classe alcuni spazi di auto-verifica e auto-gestione del momento valutativo stesso. I tutor, inoltre, hanno periodicamente alcune ore a disposizione per rielaborare le esperienze nel setting formativo; ° le conoscenze. Fatta eccezione per i corsi che consideriamo finalizzati a una formazione di base (corso per animatori triennale), che prevedono un proprio impianto di valutazione e dei contenuti precisi da apprendere, è raro che i nostri percorsi formativi si preoccupino della verifica delle conoscenze apprese in maniera strutturata. Questo non significa che i percorsi formativi non forniscano un sapere dal punto di vista specificamente cognitivo. Ma questo sapere è funzionale alla facilitazione dell’individuazione e soluzione dei problemi che il lavoro sociale presenta e al rafforzamento della percezione di potenza da parte del singolo corsista o del gruppo in formazione. ° gli atteggiamenti. Più arduo risulta indicare strumenti per quello che riguarda la valutazione degli atteggiamenti. In prima istanza, pensiamo all’utilizzo di materiale d’osservazione raccolto prevalentemente dai tutor durante il lavoro in aula per quello che riguarda gli atteggiamenti relazionali e comunicativi (si pone il problema d’indicare quali atteggiamenti relazionali e comunicativi, quali gli strumenti, quante le “somministrazioni”). L’esperienza del tirocinio si presenta oggetto di valutazione e spazio che permette la verifica del percorso formativo di aula, in riferimento all’acquisizione da parte dei corsisti degli altri atteggiamenti individuati come adeguati agli obiettivi di ambito. 3. Le attività nell’area della formazione Descritta per sommi capi la proposta formativa di Vedogiovane, abbandoniamo la teoria per rituffarci nel campo delle attività. 3.1. La scuola per animatori professionali Nata come cooperativa sociale di animazione socio-culturale, fin dall’inizio Vedogiovane si è posta come obiettivo quello di misurarsi con l’elaborazione di una proposta formativa adeguata al lavoro d’animazione e con la gestione stabile di un corso per animatori professionali. Dal 1997, come detto, questo obiettivo sembra raggiunto attraverso l’istituzione della Scuola (triennale) regionale
per animatori professionali. A Borgomanero il corso è stato gestito da Vedogiovane in collaborazione con Cnos Fap di Vigliano Biellese6. Dalla fine del 1998, Vedogiovane contribuisce alla gestione del corso triennale per animatore professionale di Nizza Monferrato, garantendo la progettazione e i formatori; inoltre offre la consulenza e alcuni formatori al corso per animatore professionale gestito dal CIOFS di Vercelli. Dal 2001 Vedogiovane ha attivato nuovi corsi per animatori professionali a Biella, Vercelli e Borgomanero (anno formativo 2000/2001) e ad Asti (anno formativo 2001/2002). La riprogettazione dei corsi è stata caratterizzata da due aspetti: 1) l’innalzamento dell’età media dei partecipanti (la direttiva che finanzia i corsi non pone più limiti d’età) con tutto il carico delle loro storie professionali; 2) la riflessione avviata in Vedogiovane sul lavoro sociale: più che da una definizione a priori dei contenuti si è partiti dai problemi che possono presentarsi nel lavoro. 3.2. Il Centro di formazione Nel 1997, sulla spinta di una richiesta formativa che sul territorio andava crescendo (da parte del privato sociale come degli Enti pubblici), Vedogiovane ha adeguato la sua offerta formativa istituendo un Centro di formazione. Il Centro è organizzato nel seguente modo: vi sono cinque aree di lavoro (operatori sociali, interculturale, scuola, formazione interna, consulenze miste). Ciascuna area ha al proprio interno una serie di progetti, con a capo un coordinatore. La conduzione del Centro è affidata a un consigliere d’amministrazione che ha la funzione di responsabile del Centro. La dimensione gestionale viene concretata dall’incrocio tra le responsabilità del coordinatore, quelle del responsabile del Centro e le funzioni dei consiglieri di amministrazione, passando da un’ottica divisionale ad una a matrice. Di fatto la maggior parte delle funzioni di gestione rimangono a livello di équipe che segue il progetto, eccezion fatta per quelle funzioni che richiedono un raccordo con le altre parti dell’organizzazione. Al nucleo interno di formatori, che si occupano anche della progettazione dei singoli percorsi formativi, si aggiungono consulenti esterni provenienti da varie realtà formative, come l’Università della Strada di Torino, lo Studio Aps di Milano, l’Asscom Professional di Milano, le Università statali di Torino e Milano. Il Centro di formazione Vedogiovane fa parte del Gruppo Conedis di Torino. Attualmente il Centro opera prevalentemente nella consulenza, progettazione, realizzazione e valutazione di percorsi formativi rivolti ad animatori socioculturali e, in genere, a operatori del sociale (Adest e Educatori di prima infanzia). L’ipotesi di lavoro per il prossimo triennio è di espandere la capacità progettuale e di proposta sui progetti legati all’apprendimento, all’intercultura, all’ambiente e allo sviluppo sostenibile. 3.3. La formazione interna Lo sforzo formativo degli ultimi anni è andato nella direzione di potenziare l’opportunità, per i soci lavoratori, di prendere parte a corsi di formazione interna finanziati dal Fondo sociale europeo (FSE)7. Questo impegno formativo comporta un notevole incremento delle competenze e genera un
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Il corso, giunto alla fine del triennio nel 2000, aveva un monte ore così ripartito: 1500 ore d'aula e 900 di tirocinio, per un totale di 2400 ore. I diplomati, tra i 20 e i 26 anni, sono stati 17 e hanno quasi tutti trovato lavoro negli ambiti del socio-educativo e del socio-culturale. Alcuni sono stati assunti da Vedogiovane. 7 Un corso nel 1995/96, tre corsi nel 1996/97, cinque corsi per il 1997/98, quattro corsi per il 1998/99, sette corsi nel 1999/2000, alcuni condotti con gruppi interaziendali (Vedogiovane e Don Bosco, Vedogiovane e Coop. Maria Cecilia, Vedogiovane e Casa Don Guanella).
innalzamento del livello di qualità di Vedogiovane: infatti molti gruppi di lavoro possono usufruire dei corsi di formazione finanziati dal FSE, per periodi che durano mediamente sei-sette mesi. Quest’opportunità non è senza benefiche conseguenze per la vita della cooperativa sociale. La contrattualità con i soci lavoratori si intensifica ulteriormente: per lavorare in Vedogiovane occorre “passare” attraverso l’esperienza formativa, che diviene luogo naturale di incontro, confronto, apprendimento. Di fatto, accanto a questi corsi, condotti sempre in convenzione con un Consorzio di formazione, il Centro è riuscito ad attivare un percorso formativo proprio, attingendo direttamente ai fondi sociali europei “per occupati”. Questo corso, dal titolo “Percorsi formativi per responsabili di processi di analisi e diagnosi delle competenze”, di 120 ore complessive (di cui 80 di teoria e 40 di pratica), è stato condotto a favore degli operatori degli Informagiovani di Vedogiovane, degli operatori del Centro di formazione che si occupano di orientamento e dei responsabili del personale, in collaborazione con gli esperti della Cooperativa Orso di Torino. Nel 2001 si sono inoltre svolti due percorsi di formazione interna (da 600 ore ognuno) per disoccupati che entreranno a lavorare in Vedogiovane nel prossimo futuro. Il percorso è stato pensato in modo da fornire tutti gli strumenti di base per entrare nell’organizzazione con un bagaglio di conoscenze/competenze acquisite così da essere già operativi. In questo modo si ha la reciproca possibilità di capire se e come sia possibile collaborare e quali possono essere i livelli di partecipazione al progetto Vedogiovane. 3.4. I corsi a catalogo Identificate le proposte forti della formazione in Vedogiovane è necessario segnalare l’importanza di tutte quelle occasioni di sperimentazione del modello formativo descritto che vengono offerte dalle molteplici richieste di enti pubblici, soggetti privati ecclesiali o imprese, associazioni, cooperative e gruppi che si rivolgono al Centro di formazione per trovare risposte ai bisogni formativi più diversi. Per chiarire quali sono i contenuti formativi su cui il Centro è in grado di avviare un percorso di apprendimento e cambiamento si è prodotto un catalogo di corsi che, per quanto suscettibili di miglioramenti, costituiscono una buona mappa per orientarsi nel mondo della formazione Vedogiovane. Si tratta di 19 corsi suddivisi in sei aree che corrispondono al susseguirsi di esperienze maturate in anni di lavoro e rielaborate nel corso del tempo fino ad oggi: infatti è costante impegno di Vedogiovane collegare azione e pensiero, fare e pensare. I corsi a catalogo: le sei aree 1. Area 2. Area psicosociale (corsi: Il gruppo e i suoi processi, La conduzione del gruppo di lavoro, Identità professionale, progettualità individuale e ruolo organizzativo, Gruppo e comunicazione). 3. Area pedagogica e di psicologia dello sviluppo (Raccontare l’esperienza, autobiografia e conoscenza di sè). 4. Area politiche giovanili (Politiche giovanili oggi, La gestione del servizio Informagiovani, I PROGRAMMI EUROPEI DI MOBILITA’ GIOVANILE). 5. Area no profit (La gestione economica e il marketing delle Organizzazioni no profit, La cultura organizzativa e il prodotto sociale nel settore no profit, BILANCIO CONDIVISO. 6. Area della metodologia e tecniche dell’animazione (Il metodo in animazione, Animazione: metodo, linguaggi e strumenti, Animazione e interculturalità, Laboratorio teatrale, Laboratorio ludico, Animatori di Centri estivi).
I corsi sono rivolti principalmente a operatori sociali, animatori, educatori responsabili di servizi pubblici, coordinatori, amministratori e responsabili di organizzazioni senza scopo di lucro,
insegnanti, operatori di servizi Informagiovani, funzionari e dirigenti della pubblica amministrazione, assessori con delega alle politiche giovanili8. 4. La figura del tutor nei percorsi formativi lunghi Se probabilmente è superfluo parlare di formatore, docente, consulente, figure molto note nella loro specificità, qualche cenno merita invece la figura del tutor. Essa è comparsa precocemente nell’esperienza di formazione Vedogiovane, segno dell’attenzione da sempre prestata alla cura del gruppo considerato come soggetto e oggetto di apprendimento. Il tutor ha rappresentato, a volte, la garanzia del metodo di lavoro Vedogiovane in contesti in cui il susseguirsi dei formatori o docenti, portatori di metodologie e impostazioni formative altre, avrebbe potuto compromettere la sensatezza del percorso nel suo complesso. Analizzare l’esperienza dei tutor nel corso per animatori professionali, proprio per la complessità e continuità del percorso, ci sembra particolarmente significativo per astrarre alcune riflessioni teoriche rispetto al ruolo e alle funzioni di questa figura professionale. L’esperienza del corso ha infatti permesso di precisare maggiormente le competenze che il tutor deve mettere in gioco nel monitoraggio di un’esperienza continuativa come una scuola triennale. Anzitutto, il tutor partecipa continuativamente alla vita d’aula del corso, divenendo parte della quotidianità e del clima che caratterizza il corso stesso. In più è membro del gruppo di progettazione che si ritrova settimanalmente. In questo ambito ha la funzione di aggiornare tutti coloro che sono coinvolti nella progettazione del percorso formativo sugli aspetti relativi alla sfera emotiva, dinamica, di apprendimento, di rapporto con l’organizzazione, che caratterizzano il momento della vita del gruppo in formazione. Questa duplice appartenenza colloca il tutor in una posizione particolare, sospesa tra la condivisione con il gruppo in formazione e la possibilità di astrarsi da questo livello per razionalizzare gli elementi sostanziali dell’esperienza d’aula. Lo stare dentro e fuori dal gruppo avvicina molto il tutor all’animatore che conduce continuativamente un gruppo. Ma un elemento lo differenzia sostanzialmente: il fatto che deve occuparsi anche dello sviluppo del percorso formativo, lavorando costantemente anche sull’apprendimento. In questa prospettiva, il ruolo del tutor ha uno stretto legame con la formazione e implica necessariamente lo sviluppo di una competenza relativa alla progettazione e alla gestione dei processi formativi. Cosa deve saper fare il tutor? Le funzioni fondamentali del tutor possono essere così definite: ° area relazionale: costituzione e manutenzione del gruppo; ° area contenutistica: monitoraggio dell’apprendimento; significazione del percorso; contributi teorici specifici; ° area organizzativa: gestione ordinaria; rapporto con la committenza.
Per quanto riguarda l’area relazionale, il tutor entra integralmente nel percorso del gruppo fin dalla sua costituzione. Egli è responsabile dell’accoglienza iniziale dei corsisti, assumendosi la responsabilità di strutturare un setting adeguato alla conoscenza dei partecipanti e alla nascita del gruppo. La scelta d’investire molte risorse nella promozione di un buon clima relazionale tra i partecipanti del corso manifesta la scelta di fondo del percorso formativo: il gruppo non è solo un dato di fatto implicato nella comunanza dell’esperienza dei partecipanti al corso, ma è una scelta 8
La proposta di questa prima serie di “corsi a catalogo” non è comunque sostitutiva della progettazione e realizzazione di interventi specifici presso istituzioni e organizzazioni che richiedono percorsi formativi o interventi di consulenza e formazione ad hoc sulle tematiche raccolte nel catalogo. Infatti, da sempre, i formatori di Vedogiovane si sono caratterizzati per interventi “sul posto”, lavorando anche a chilometri di distanza in molte realtà italiane e in alcune straniere (Svizzera, Francia e Spagna). È semplicemente una proposta di formazione su ciò che facciamo (sui nostri oggetti di lavoro), che abbina elementi teorici a casi concreti, principi a operatività.
progettuale di fondo che vede nel gruppo un luogo fondamentale di apprendimento. Il tutor si fa garante dello stato del gruppo, ne legge le dinamiche che lo caratterizzano nelle diverse fasi di vita, lavora sulla creazione di spazi continuativi di riflessione sull’andamento del gruppo. Il tutor è fisicamente dentro al gruppo, ma deve presidiare il suo livello di coinvolgimento per evitare processi collusivi. Questo implica un supporto costante per rileggere e rielaborare continuativamente la propria esperienza stabilendone via via i confini. Per quanto riguarda l’area dei contenuti, il tutor è incaricato di monitorare costantemente l’effettivo apprendimento dei corsisti. Nell’esperienza del corso per animatori è emersa fortemente la necessità di verificare la comprensione effettiva dei contributi dei diversi formatori in quanto, soprattutto in sede di esame, è emersa la difficoltà dei corsisti a rielaborare i diversi contributi teorici. Il tutor, al riguardo, funziona un po’ da cartina di tornasole sulla reale condizione della classe e deve necessariamente dare rimandi sia agli allievi che ai formatori. Il tutor non è responsabile della valutazione dell’effettiva comprensione dei singoli contributi teorici, funzione che spetta ai formatori. Egli ha la funzione di significare i singoli contributi rispetto al percorso complessivo, così da promuovere la costruzione di relazioni tra i diversi ambiti. In un certo senso, spetta ai formatori chiarificare gli apprendimenti relativi ai loro contributi, mentre al tutor compete la collocazione del sapere maturato e la sua integrazione nel processo formativo legato alla figura dell’animatore professionale. Per garantire questo ruolo egli ha a disposizione momenti di verifica e rielaborazione periodici con il gruppo e inoltre introduce e conclude i contenuti dei diversi formatori. Questa funzione viene svolta anche nella progettazione e verifica con i formatori dei diversi moduli (prima e dopo aula). Prima dell’ingresso in aula tutor e formatore si incontrano per la progettazione del contributo, tarandolo il più possibile sul momento attuale della vita del gruppo e sull’andamento del percorso formativo. Si è pensato anche di dare al tutor la gestione di alcuni momenti formativi, così da manifestare visibilmente la sua vicinanza con le funzioni formative (in base alle competenze dei diversi tutor). Un’ultima area di intervento del tutor è quella organizzativa. Rientrano qui la costruzione e la ridefinizione in itinere del calendario, la sistematizzazione della bibliografia indicata dai formatori, il contatto continuativo con la committenza per gli aspetti gestionali del corso. Queste funzioni sono parallelamente presidiate dalla segreteria del Centro di formazione. Concludendo, ci sembra importante sottolineare la costante necessità di ridefinire il ruolo del tutor in quanto strettamente vincolato allo sviluppo del contesto nel quale opera. Queste riflessioni si sono precisate proprio nell’esperienza costante di questo corso per animatori professionali. Ci sembra importante puntualizzarle come risorsa per definizioni di questa professionalità sempre più presente nei percorsi formativi lunghi. 5. Luci e ombre sulla formazione degli animatori professionali La Regione Piemonte finanzia i corsi per animatori professionali mediante il FSE, che è uno strumento usato dall’UE al fine di combattere la disoccupazione mediante lo sviluppo di nuove competenze lavorative. È evidente che l’uso di questi fondi per la formazione ha permesso a molti giovani di accedere a corsi che altrimenti avrebbero avuto costi troppo alti o di sviluppare particolari figure professionali innovative nel mercato del lavoro. Se questa possibilità ha permesso quindi lo sviluppo di una molteplicità di opportunità formative, ha in sé però alcuni rischi: anzitutto, la nascita di un mercato di figure “professionali” assolutamente slegate dal mondo del lavoro, la nascita e il proliferare di enti formativi che “vivono” sul mercato della disoccupazione, e – non ultima – l’apparente disaffezione che la Regione ha nei confronti dei corsi stessi, che usano fondi dell’UE e non regionali.
Se poi si va nello specifico dei corsi per animatori, scopriamo che questi sono soggetti non solo ai vincoli sanciti dalla delibera istitutiva dell’animatore professionale, ma anche a tutta una serie di vincoli normativi riguardo: l’accesso; il numero; le formalità burocratiche proprie del FSE. Per ciò che riguarda l’accesso, il FSE prevede diversi assi e sub-assi in cui i progetti possono essere inseriti per trovare finanziamento. A fine esemplificativo, il corso fatto a Borgomanero nell’anno 1997-98 è stato finanziato per giovani diplomati disoccupati di età compresa tra 18 e 25 anni. Questo comporta una limitazione evidente per tutti coloro che, o per l’età o per la condizione lavorativa, non hanno la possibilità di accedere al corso. È possibile far partecipare anche studenti al di fuori delle condizioni suddette, ma solo in veste di uditori (che al fine del diploma è lo stesso, ma non è “contabilizzabile” per l’ente che eroga formazione). Questa situazione si è finalmente risolta con l’avvio del nuovo Fondo sociale europeo 2000-2006, poiché l’animatore professionale è collocabile all’interno di un asse che riguarda la “Formazione superiore”, non più legato solo ai giovani. Un’altra norma riguarda il “valore atteso”: trattandosi di un corso per disoccupati, il FSE chiede che si definiscano a priori quanti studenti dovranno concludere in maniera positiva il corso. In base a questo parametro, viene tarato l’ammontare del finanziamento. Il rischio rispetto a questo punto è quello di dover a tutti i costi portare fino al diploma tutti gli allievi necessari, pena la decurtazione del finanziamento, senza poter fare una valutazione serena sulle competenze acquisite e le reali capacità dei singoli. Il terzo livello di onere riguarda la burocrazia: per esempio, le lezioni non possono essere fatte nei giorni festivi, devono svolgersi nella sede prevista, non è contemplata la possibilità di pagare le compresenze di formatori (che sono molto utili per il lavoro interdisciplinare), i controlli di merito del monitoraggio della Regione sono centrati più sulla compilazione del registro allievi e delle questioni formali che su come si faccia formazione... Ci rendiamo conto della difficoltà di trovare una modalità di valutazione dell’erogazione di formazione uscendo da parametri quantitativi, ma forse rimane uno sforzo che merita compiere, pena la trasformazione degli enti di formazione in burocrazie. Ma i problemi non riguardano soltanto la formula di finanziamento scelta dalla Regione. Se ne possono scorgere altri di natura diversa, la cui matrice è il mancato effettivo riconoscimento da parte della Regione della figura dell’animatore professionale. Per essa la Regione non ha ancora previsto una collocazione specifica nei servizi e sul territorio. Cimentarsi nella formazione professionale di una figura che ha un mercato opaco può perciò generare qualche frustrazione. 6. Una formazione in stile animativo Al termine di questo capitolo dedicato alla formazione, alcune conclusive annotazioni così da fissare sulla pagina le principali acquisizioni maturate in questi anni. La nostra formazione, abbiamo detto, se nasce rivolta agli animatori, col tempo ha allargato gli orizzonti del suo intervento. Tuttavia dell’animazione non ha mai perduto l’imprinting: vale a dire la caratteristica di processo che pone al centro non tanto le tecniche o gli strumenti quanto il gruppo. Un gruppo capace di coevolvere nel tempo, “elaborando dentro un clima interno caratterizzato da fiducia e attraversamento di momenti conflittuali spesso dolorosi un’autonoma progettualità e capacità d’azione”9. La formazione, se non vuol ridursi a pacchetto preconfezionato di nozioni e azioni che si ripetono a prescindere, ma intende porsi come esperienza realmente formativa perché capace di ascolto (di problemi, intuizioni, difficoltà) e di inneschi (di processi conoscitivi e nuovi atteggiamenti), non può non guardare con interesse allo stile animativo. Quello stile che Aldo G. Ellena, fondatore della rivista Animazione Sociale e maestro di schiere di animatori, sintetizzava così: “Il vivere in 9
Floris F., “Dove va l’animazione socioculturale?”, in AA. VV., L’animazione socioculturale, Quaderni di Animazione e Formazione, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2000, p. 9.
situazione e in prospettiva, l’animare la situazione per fare maturare la prospettiva”. Per essere tale la formazione deve saper stare in situazione: il che vuol dire, ad esempio, sintonizzarsi sulla cultura dell’organizzazione che richiede un percorso formativo, declinarsi in un modo che si avvicina alla ricerca: dove ciò che si può definire sono i ruoli, il setting formativo e un punto di partenza che funga da innesco, mentre tutto il resto è frutto di un lavoro che richiama la fatica della costruzione insieme utilizzando il materiale offerto da tutti in funzione di un obiettivo condiviso che in qualche maniera riesca a raccogliere i bisogni dei singoli, del gruppo e dell’organizzazione. Questo elemento di “indecidibilità”, che sta a significare che il risultato finale della conduzione di un gruppo non può essere stabilito a priori, in virtù degli scambi tra i membri, delle differenti comprensioni, degli interessi dei diversi attori, è il “pane quotidiano” degli animatori”. Per citare una bella espressione J.-C. Gillet, fa parte della loro “arte combinatoria”. «L’anim/attore (neologismo che mette in luce il carattere attivo dell’animatore) è uno stratega nella misura in cui è capace di combinare, di stabilire una combinatoria. (…) La combinazione è, in chimica, “la formazione di un composto a partire da più elementi che si uniscono in proporzioni stabilite”, così come “le misure e i calcoli effettuati per riuscirvi”. (…) Essere stratega significa quindi avere la capacità di organizzare un progetto, di gestire una situazione, di mettere in relazione. Per raggiungere un obiettivo, l’animatore deve elaborare una strategia, come una leva che utilizzerà per non agire in modo sconsiderato, per canalizzare la spontaneità, l’affettività o l’ideologia, tenendo conto dei vincoli, procedendo ad analisi continue delle situazioni, modificando in corso d’opera i disegni iniziali, se necessario»10. Se questo è il profilo dell’animatore (o anim/attore), la formazione che a lui si rivolge non può certo esaurirsi in apprendimenti a livello cognitivo. Per quanto possibile, essa deve contenere in sé, a livello metodologico, lo stesso stile animativo (combinatorio e indecidibile, che è cosa ben diversa dall’indecisione) che caratterizzerà l’agire professionale di questa figura. Questa accentuazione dell’elemento imprevedibile11 della formazione non significa svalorizzazione dell’elemento programmatorio o del rigore formativo e didattico. Riconoscere l’imprevedibilità come fattore tipico dei processi di lavoro con le persone non vuol dire gettare a mare il modello formativo classico ereditato dalla scuola. Tant’è vero che nei percorsi formativi di Vedogiovane molte energie sono rivolte a trovare un equilibrio tra la rielaborazione dell’esperienza e l’offerta di contenuti, tra la costruzione di spazi di pensiero e il confronto con le mappe concettuali offerte dalle varie discipline scientifiche, per evitare di concentrarsi unicamente su uno dei due modelli di apprendimento o esasperare alcune logiche di rottura con il modello formativo scolastico. Resta il fatto che troppe volte a scuola i ragazzi imparano e non apprendono. Una differenza sostanziale, la stessa che segna il confine tra istruzione e formazione, se si pensa che imparare è “entrare in possesso di conoscenze”, mentre apprendere è “comprendere a contato con l’esperienza e le conoscenze”. Il primo è un gesto passivo, il secondo un movimento di rielaborazione. Oltretutto l’imparare rimanda a una modalità individuale, mentre si sperimenta l’apprendere dentro l’esperienza di contatto con gli altri. Ma queste sono cose che il lettore saprà bene.
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Gillet J.-C., “L’animatore strategico ovvero l’arte combinatoria dell’animazione”, ibidem, pp. 211-212. Sull’aspetto imprevedibile cfr. Pollo M., “Il percorso ovvero il metodo dell’animazione”, ibidem, pp. 186ss.
UNA CITTA’ IN MUSICA Racconti di quattro anni di musica giovanile in città: i gruppi, le storie, i suoni Giovanni Campagnoli 1. I giovani e la musica Parlare di musica oggi rischia di rimandare al grande business, ai grandi artisti, ai grandi eventi mediatici, che a ben pensarci hanno più a che fare con il marketing che con l’espressività. Ma musica significa più di tutto protagonismo di giovani che salgono sul palco, che provano, suonano, realizzano demo, cercano spazi e occasioni per esibirsi. Riconoscere queste attività sotto la duplice valenza della creatività giovanile e della partecipazione alla vita della città (come aggregazione e come espressione) sono i requisiti per pensare alla musica in modo progettuale. 1.1. Una ricerca, più che un consumo La musica è componente fondamentale del mondo giovanile, per la valenza attribuita a questa potente forma d’espressione. La musica permette ai giovani di esprimere la propria creatività sia suonando che fruendo. Per di più ciò avviene in un contesto aggregativo (concerto, discoteca, pub) che si frequenta in un tempo della giornata scelto e autogestito dai giovani: la notte. Se nel tempo diurno “si funziona” (il giorno è il tempo delle prestazioni e dei compiti assegnati) e tutto avviene secondo orari rigorosamente scanditi da apparati perlopiù percepiti come estranei rispetto al vero sé (scuola, lavoro, ecc.), la notte è il tempo in cui si ritrova una dimensione più autenticamente personale, dove si riprende contatto con la propria interiorità, e lontani dal controllo del mondo adulto ci si organizza più liberamente. A commento di una ricerca condotta in Italia sui testi di gruppi musicali (composti da giovani tra i 16 e i 22 anni), un’équipe di psicologi ha affermato: “La musica costituisce uno dei maggiori catalizzatori di emozioni; in particolare negli adolescenti riesce a stimolare con facilità sogni, sentimenti, fantasie, riesce a far volare alto l’immaginario individuale e collettivo”1. E poi: “Molti giovani — a volte più di quanti possiamo immaginare — non solo “consumano” la musica, ma la utilizzano come strumento espressivo: suonare e cantare non è solo un modo per sfogarsi e scaricare le tensioni, ma diventa anche un’occasione per comunicare e trasmettere le proprie sensazioni”2. La musica è il campo di una grande ricerca. Fare musica richiede infatti impegno e rigore, esercizio assiduo, la sperimentazione di nuovi linguaggi, nuovi suoni, nuovi ritmi attraverso cui comunicare qualcosa di sé. Fare musica è soprattutto la ricerca di una misura e di un accordo di sé con sé, e di sé con gli altri. Ignorare questa generatività del fatto musicale, è una carenza di molti intellettuali, professori e amministratori locali. Perché la musica, come anche l’esperienza descritta in queste pagine dimostra, attiva e non disattiva, i giovani. Li impegna, non li disimpegna. Ed è cultura, non subcultura. 1.2. Promuovere la creatività musicale Certo nella società dove tutto è merce la musica è anche prodotto di consumo commerciale; ma questa dimensione sembra più evidente nelle discoteche che sulle piccole ribalte giovanili, dove si configura più come luogo dell’innovazione comunicativa e linguistica. Per questo la musica va salvaguardata e su di essa occorre investire in termini progettuali. Perché tra tutti i media (si pensi alla TV ma anche a Internet, utilizzato più per navigare che per una libera condivisione del sapere) è forse l’unico che tende ad accendere l’espressività e la creatività. Garantire ai giovani spazi di protagonismo legati alla creatività e alla sperimentazione musicale è una finalità che una città non può non porsi. Dare ai ragazzi la possibilità di avvicinarsi a uno strumento, imparare a suonarlo, far parte di un gruppo, frequentare una sala prove, ascoltarsi su un demo per migliorarsi ed esibirsi su un palco, sono poi le azioni necessarie che traducono operativamente in risultati quella finalità.
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AA. VV., Giovani dentro la musica, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2000, p. 5. Ibidem.
Oggi per i gruppi che vogliono fare musica le difficoltà non mancano: infatti se la carenza di spazi per i giovani è cronica, essa è ancora maggiore per spazi in cui fare musica. In Italia, nonostante le varie promesse e proposte, non c’è ancora una legge sulla musica che favorisca l’ascolto dal vivo in spazi di dimensioni contenuti (i “club”, realtà esistenti invece in tutti gli altri paesi europei). Non solo: i CD costano molto (anche perché si paga l’IVA del 20% e non del 4%, come per i libri, in quanto considerati prodotti culturali) e la commercializzazione riguarda quelli a più alta rotazione di vendita, lasciando poco spazio agli altri. Dall’entrata in vigore della normativa che impone i versamenti contributivi all’ENPALS a tutti i musicisti per ogni loro esibizione, le difficoltà sembrano — se possibile — ancora più gravi. E la SIAE poi, quanto a semplicità, non eccelle di certo. 2. L’esperienza di Musicaviva a Borgomanero 2.1. Gli inizi a suonar di pace e solidarietà (1989/1994) La musica è uno degli interessi presenti fin dall’inizio in Vedogiovane, insieme al cinema3. Davvero tante sono state le iniziative realizzate: rassegne di jazz e fusion, concerti di gruppi di base locali, serate di ascolto collettivo. Addirittura si era costituita una formazione di musicisti professionisti (la Vedogiovane band4) che si esibiva in serate aventi a tema la pace (era l’inverno del 1991, il periodo dell’invasione degli Usa in Iraq) nelle piazze e nei palasport con interventi d’animazione del pubblico (striscioni, palloncini, ecc.). Tuttavia non si riuscì mai, in quei primi anni, a trovare uno spazio ad hoc in cui organizzare stabilmente concerti e concorsi o realizzare sale prove. La prima rassegna-concorso avente come protagoniste le band locali (oltre ai tradizionali e occasionali concerti - dal 1989 al 1994 - in occasione del Natale, poi spostati a fine gennaio per la giornata di San Giovanni Bosco e infine al termine dell’anno scolastico in occasione della Festa salesiana della famiglia) si svolse nell’autunno ’91 presso il pub “La Brasserie”, in un comune vicino a Borgomanero (si trattava di un nuovo locale a Fontaneto d’Agogna il cui titolare aveva chiesto a Vedogiovane di curarne il lancio promuovendo un’iniziativa giovanile). La risposta di pubblico fu straordinaria. Diciotto band locali si esibirono in nove sabati sera e un giudice (il direttore della rivista Rockerilla) ascoltò le registrazioni delle loro performance, individuando i finalisti e intervenendo di persona nella serata finale5, in cui decretò il gruppo vincitore che ebbe la possibilità di incidere un demo in uno studio di registrazione a Gravellona Toce (Fling Studio). Ma fu proprio la serata finale che rese tutti consapevoli della mancanza di uno spazio per suonare. Infatti, per aver organizzato il concerto nella palestra del don Bosco senza essere in possesso della licenza di pubblica sicurezza6, l’allora presidente di Vedogiovane venne denunciato e quindi condannato al pagamento di 100.000 lie di ammenda e delle spese processuali (di 52.000 lire). L’attività, comunque occasionale, della promozione di concerti giovanili di band giovanili proseguì, finché una serie di incontri con gruppi giovanili fece emergere con più forza l’esigenza di spazi per suonare e per provare. Vedogiovane promosse un’indagine dal titolo Dentro la band. In pratica, andò a intervistare 30 gruppi borgomaneresi — nei luoghi dove si ritrovavano a provare: cantine, magazzini, garage… — sulle loro esigenze, ma anche su ciò che già facevano. Questo lavoro permise il costituirsi di un gruppo stabile di giovani che si dettero disponibili a impegnarsi per promuovere la musica giovanile organizzando alcune iniziative. 3 La seconda iniziativa pubblica promossa a Borgomanero (nove giorni dopo il primo evento pubblico, ossia la serata inaugurale del 1º ciclo di cineforum, avvenuta il 14 dicembre 1989 presso il Cinema Nuovo con la proiezione del film Arrivederci ragazzi di L. Malle) fu un concerto finalizzato alla raccolta fondi a favore di un ragazzo vittima di un incidente in auto che doveva subire un intervento chirurgico particolarmente costoso. Presso l’Auditorium del liceo scientifico, il 23 dicembre si svolse ”Concerto per un amico”, in cui cinque band locali ((King’s Year, Ways Out, Calabuig, S.O.S.O., Tequila Sunrise Band) cantarono per Gian Luca Spano. Il volantino dell’iniziativa diceva: “Il Rock giovane del Borgomanerese offre la sua musica come occasione di solidarietà e di presa di coscienza. Molti giovani per un giovane, un giovane per altri giovani. Sognando che una qualità di vita migliore passi per le nostre mani e i nostri cuori”. 4 La Vedogiovane band era formata da Daniele Patumi (contrabbasso e basso elettrico), Alan Peter Paolini (voce e tastiere), Lorenzo Fontana (sax, tenore, flauto traverso, voce), Gioacchino Fabi (batteria) e Carlo Tondinelli (chitarra). 5 Era sabato 21 dicembre ’91 e la sede fu la palestra del Don Bosco. 6 Come previsto dall’art. 68 del Regio Decreto n° 773 del 18.6.1931!
2.2. La svolta, tra fortuna e abilità (1995-96). Quella giornata con Paolo Belli… Poi, un caso fortuito (la partecipazione alla Festa del 18º compleanno di Smemoranda) ha fatto sì che si arrivasse a conoscere Paolo Belli (ex cantante dei Ladri di biciclette), il quale si rese disponibile a venire gratuitamente a Borgomanero. Il lavoro per l’organizzazione della giornata con Paolo Belli fu tanto e faticoso: era un’occasione da non perdere e si voleva fare bella figura. L’idea, contenuta nel titolo della giornata, era: “Paolo Belli dà voce alle band locali - 9 Maggio ’96”. Sottotitolo: “Per alcuni la musica è solo rumore, per noi è cultura, è aggregazione; ed è proprio quando viene “perseguitata” che più si diffonde...”. L’obiettivo non era organizzare il concerto di Paolo Belli, ma una giornata in cui il cantante si potesse esibire con le band di Borgomanero “per dare loro una voce più forte”, per la richiesta di maggior attenzione e spazio per la musica. Si pensò di cominciare la “non stop musicale” con un concerto di una band locale (i “Ways Out”) alle 13 in punto sul terrazzo di Vedogiovane, situato proprio di fronte a tre scuole superiori. Così l’uscita dei ragazzi coincise con il concerto (ma già dal mattino, grazie al risalto che la stampa locale aveva dato all’avvenimento, gli studenti erano in fermento e si affacciavano spesso alla finestra7). Nel pomeriggio poi, sempre nella sede di Vedogiovane, furono presentati e commentati insieme a Paolo Belli i risultati dell’indagine “Dentro la band”. Questo è stato il momento in cui si sono affrontati i temi legati alla musica (spazi, progetti, confronti con altre realtà), alla presenza di alcuni amministratori locali, della stampa (che ha fatto seguire molti articoli sulla giornata). La giornata è proseguita con la cena a Ghemme8 e “facendo” altra musica alla sera, presso l’Auditorium del Don Bosco. Non si può non ricordare quel che successe per l’organizzazione del concerto serale. Infatti i ragazzi avevano ottenuto uno spazio nei locali dell’ex Cinema sociale (chiuso da 20 anni) che grazie al loro lavoro fu ben ripulito. Insieme ai loro genitori riuscirono ad allestire un palco e ad arredare la sala, trasformandola completamente da quel magazzino polveroso che era. Ma a poche ore dall’inizio del concerto, alla sede di Vedogiovane cominciarono a fioccare diffide, avvertimenti, comunicazioni da parte delle Autorità, con l’ingiunzione di non suonare in quei locali, pena (di nuovo) denunce e condanne. Così il concerto fu spostato al Don Bosco (come sempre) e i fortunati che vi assistettero (oltre 300 giovani) furono entusiasti dello spettacolo, in cui Paolo Belli cantò con la band borgomanerese dei “64 Mokambo Street”. L’iniziativa raggiunse comunque l’obiettivo prefissato: porre alla città la questione degli spazi musicali. La facilità con cui un gruppo di ragazzi impegnati su un progetto musicale divennero un problema di ordine pubblico, da “diffidare”, in una città dove vigeva una totale assenza di progettualità per i giovani fece breccia nell’animo della città. Amministratori e opinione pubblica (che seguì molto da vicino il caso) cominciarono a rendersi conto che il “problema” della musica, ma più in generale quello dei giovani, non si poteva continuare a delegarlo a oratorio, salesiani e Vedogiovane9. Bisognava porlo a tema delle politiche cittadine. 2.3. Un gruppetto motivato, un crescendo di iniziative Come detto, la giornata fu pensata, organizzata e gestita da un gruppo composto da una ventina di ragazzi dai 16 ai 19 anni, molti dei quali provenienti dal Don Bosco e quasi tutti non soci di Vedogiovane. Un nucleo di loro (i più interessati alla musica, alcuni dei quali già anche musicisti in “gruppi di base”), visto il bisogno di spazi giovanili e la difficoltà di “fare musica”, decise d’impegnarsi più seriamente sul discorso musicale, elaborando il progetto “MusicaViva” e promuovendolo con il concorso musicale “Una Città per Cantare”, realizzato nell’estate ’96 con gli Assessorati alla cultura e alle politiche giovanili del Comune di Borgomanero (ma già a giugno, in occasione della fine della scuola, il gruppo aveva organizzato un concerto di giovani band locali presso il Don Bosco).
7 Questo evento è stato anche l’inaugurazione ufficiale della nuova sede di Vedogiovane, passata da un locale con vetrina su uno dei corsi cittadini a uno spazio molto più grande con cinque punti di lavoro e un’aula formazione, nella zona della scuole superiori della città. 8 La cena fu offerta dalla Pro Loco di Ghemme in occasione della Festa del Vino, negli spazi dell’antico castello del Paese; per l’ospite fu organizzata una visita guidata alle sale appositamente aperte per l’occasione. 9 Il comunicato elaborato da Vedogiovane per la stampa locale si concludeva con questa frase: “Una società che non vuole investire sulle nuove generazioni è una società che sceglie la sterilità: Vedogiovane però non sarà mai complice di questa scelta e continuerà a lavorare per e con i giovani”.
Al concorso, che si svolse nella piazza principale del paese, parteciparono 15 band locali divise nelle categorie big ed esordienti. Giudici erano Marco Marcuccio (Ira) e Fabrizio Rioda (Ritmo Tribale). In contemporanea al concerto, i ragazzi organizzarono un’esibizione di “teatro di strada” inscenata da giovani animatori belgi, italiani e spagnoli impegnati presso Vedogiovane in uno scambio trilaterale di formazione per animatori, nell’ambito del programma “Gioventù per l’Europa”. Nell’autunno il gruppo lavorò poi per la preparazione della richiesta di finanziamento all’Unione europea – sempre nell’ambito del programma “Gioventù per l’Europa” – per la realizzazione di uno spazio per suonare, presentando questo progetto sia ad amministratori locali, sia a “operatori del settore” presenti sul territorio e di livello nazionale10. L’anno seguente, a marzo 1997, il progetto Musicaviva fu trasformato in Associazione11. E in aprile ci fu la “prima uscita” con l’organizzazione di “Musica in strada”: esibizione di gruppi acustici lungo i corsi di Borgomanero (al sabato pomeriggio nelle ore di isola pedonale) con l’obiettivo di rivalutare la cultura folkloristica della nostra zona. In estate si allestì la 2ª edizione del concorso musicale “Una Città per Cantare”. Una serata (28 luglio) fu dedicata alla presentazione del Cd degli In The Kitchen (gruppo folk rock valsesiano), un’altra al video dei Bonimores (gruppo rock del Verbano). E la serata finale si organizzò un dibattito tra Mauro Giovanardi, cantante dei La Crus, e le band partecipanti a “Una Città per Cantare”. Nell’autunno si diede avvio a una collaborazione con Aldo Zaffino, direttore artistico del Babylonia di Ponderano (Bi) che era stato giudice del concorso12, e il 7 dicembre ci fu l’inaugurazione ufficiale delle Sale prove a Varallo Pombia, in uno spazio ricavato in una ex-scuola elementare che il Comune aveva destinato a Musicaviva13. Questi locali furono riconvertiti in un piccolo centro di servizi sulla musica con specifiche funzioni di consulenza, orientamento e sostegno alle produzioni musicali giovanili, riuscendo a offrire e creare reali opportunità informative e formative a musicisti e operatori del settore e, infine, a creare anche occasioni di lavoro14. Nei primi sei mesi del 1998 la sala prove è diventata un vero e proprio ritrovo per gli appassionati di musica, che trovavano lì anche una serie d’informazioni su concerti, concorsi, studi di registrazione, discografie, testi, riviste. Le continue richieste hanno permesso un ampliamento dell’orario d’apertura a 30 ore settimanali, sei giorni su sette. Il successo della sala prove era dovuto al fatto che il locale era ben insonorizzato e aveva una strumentazione professionale idonea per permettere ai gruppi di suonare senza dover portare amplificatori, batteria, ecc. L’accesso era consentito ai soci (la tessera annuale costava 10.000 lire), il prezzo orario (“politico”) era di 15.000 lire. Il 1998 è stato l’anno della “notorietà” per Musicaviva: infatti la Provincia di Novara ha richiesto la progettazione di corsi di musica per le scuole superiori e di far parte della giuria del progetto “Parole in musica”. C’è stata la 3ª edizione di “Una Città per Cantare”, con il passaggio da concorso a rassegna, l’organizzazione di un concerto di band locali per la fine dell’anno scolastico in collaborazione con gli studenti dell’Itis di Borgomanero (oltre a quello al Don Bosco). Infine l’organizzazione, in collaborazione con Vedogiovane, di una visita di studio sulla musica (nell’ambito del Programma “Gioventù per l’Europa”) come mezzo di aggregazione europea per giovani di varie nazionalità (Romania, Polonia, Inghilterra, Islanda, Grecia, Cipro, Bulgaria, Olanda, ecc.), approvata e finanziata dalla Comunità europea. Nel 1999, poi, le sale prove sono state finalmente trasferite a Borgomanero e utilizzate nell’ambito del progetto per adolescenti “Ai confini della casa” finanziato dalla legge 285/97. È stata organizzata la 4ª edizione della rassegna “Una Città per Cantare” e, insieme all’Informagiovani, è stata costituita una banca 10 Es. Claudio Maioli (al concerto di Ligabue a Vercelli, il 3 settembre ’96, e al Salone della Musica il 13 ottobre), a Saturnino (dopo il concerto al Black Man di Oleggio, il 7 novembre ’96), a Roberto Vecchioni (al convegno “Parole e Musica” promosso dall’Assessorato all’istruzione della Provincia di Novara, il 26 novembre ’96, dove un rappresentante del gruppo di Musicaviva era presente in qualità di relatore); Jovanotti, Marlene Kunz (21 marzo ’97 presso il Raimbow di Milano), Afterhours (durante la Festa dell’Unità di Milano) e altri ancora. 11 Musicaviva si è costituita con atto pubblico il 14 marzo 1997. Ha soci di età compresa tra i 16 e i 40 anni e ha ottenuto un contributo di 9.900 ! dall’Unione europea (programma Gioventù per l’Europa) per realizzare uno spazio in cui sia possibile fare musica. 12 Insieme a Mario Ceratti, insegnante e titolare della libreria Palomar di Brogomanero, attento alle produzioni letterarie giovanili, e a un dj di Radio Lupo Solitario. 13 Per l’elaborazione di questo progetto c’è stato anche un lavoro d’interviste a responsabili di locali musicali già avviati che potevano costituire una “buona prassi”: ad esempio, il Tunnel di Milano, oltre al citato Babylonia. 14 La scelta di rivolgersi al Comune di Varallo Pombia fu dettata dal fatto che il Comune di Borgomanero non si dimostrò in grado di assegnare uno spazio idoneo alla realizzazione di sale prove. A quel punto, pur di realizzare il progetto finanziato dalla Comunità europea, Musicaviva aveva interpellato il Comune di Varallo Pombia riuscendo ad allestire un Centro musica negli spazi della ex scuola elementare della frazione Cascinetta.
dati sulle band della zona, che viene inviata ai locali che promuovono musica dal vivo e sono alla ricerca di gruppi. 3. Una “Città per Cantare”: rassegna di band emergenti Come si è detto, in questi anni Musicaviva (dal ’97 associazione con lo scopo di favorire la diffusione della cultura musicale giovanile) ha curato a Borgomanero l’organizzazione di quattro edizioni di “Una Città per Cantare” e gestito una sala prove, in uno spazio assegnato dall’Ente locale. In questo paragrafo ci soffermeremo su “Una Città per Cantare”, l’evento estivo (dapprima concorso, poi rassegna rivolta alle band emergenti della zona) organizzato per sostenere le produzioni musicali giovanili. Si è trattato di un progetto che per quattro estati ha fatto salire sul palco 340 giovani, esibire 58 band in 23 concerti organizzati in otto diversi punti della città, offrendo 60 ore di musica dal vivo e coinvolgendo complessivamente un pubblico di migliaia di giovani. Dopo l’edizione del 1999 si è avuta una fase di stallo, conseguente a una rottura dell’intesa con l’Amministrazione comunale, unita a una mancanza di persone disposte a investire in questa direzione nonostante le difficoltà locali. “Una Città per Cantare” è stata un’iniziativa finanziata dall’Assessorato alle politiche giovanili del Comune di Borgomanero, promossa, pensata e organizzata dall’Associazione Musicaviva, e che ha beneficiato anche di un contributo da parte della Regione Piemonte in base alla cosiddetta “legge giovani” (L.R. 16/95). Le quattro edizioni che si sono succedute con continuità nelle estati dal ’96 al ’99 hanno evidenziato la forza di un progetto promosso da un gruppo di giovani che crede nella musica come vettore di cultura e aggregazione, che vuole dialogare con l’istituzione più vicina (il Comune) e lo fa attraverso il servizio offerto dall’Ufficio Informagiovani15, nato anche per sostenere iniziative di questo tipo. Da un anno all’altro l’edizione si è modificata, ma ha mantenuto il carattere itinerante toccando tutte le frazioni della città, coinvolgendo comitati di festeggiamento e associazioni giovanili, producendo musica, suoni e rumori, facendo arrabbiare, gioire, discutere, deludendo, emozionando, ma anche facendo lavorare e sudare, festeggiare e non dormire (a ogni concerto, infatti, seguiva inevitabile il dopo concerto…). “Una Città per Cantare” è stata l’unica iniziativa di questo genere nelle province di Novara, Verbania, Biella, Vercelli e Alessandria. 3.1. Elementi di un successo fortemente voluto “Una Città per Cantare” è consistita in una serie di concerti organizzati in un circuito di spazi e luoghi inventati nella città (il palco in piazza o nel parco) o allestiti nelle frazioni durante le tradizionali feste rionali. Si è svolta quindi in contesti di festa, dove vi erano sempre almeno 400 persone e gli stand di una decina di associazioni che, oltre a distribuire il loro materiale promozionale, esponevano i loro “prodotti” e le loro fanzine. Era poi possibile assistere “in diretta” alle esibizioni degli skaters e vedere la realizzazione di graffiti, quadri e dipinti. Le band partecipanti si presentavano tutte con una formazione essenziale - due chitarre, basso, batteria - a cui si aggiungevano, a seconda dei generi, strumenti tradizionalmente legati a determinate aree artistiche (es.la fisarmonica e il violino per il folk, il clarinetto, la tromba e il sax per la canzone d’autore e il jazz, i campionatori per la musica elettronica). Nella preparazione dell’evento molta attenzione è stata posta alla tecnologia del suono e della luce. Il service audio e luci è sempre stato di tipo professionale, di qualità come se ne vedono pochi in manifestazioni di questo genere. La potenza era di ben 6.000 Watt ed è stato curato, fin dalla prima edizione, dalle stesse persone che ben hanno compreso finalità e obiettivi di questa iniziativa. Inoltre, per agevolare l’esibizione dei gruppi, i musicisti sul palco trovavano già una batteria fornita di tutti gli elementi e un amplificatore per il basso. Ogni gruppo si esibiva per circa 40 minuti, dopo un sound check accurato, in modo che a ogni formazione venisse garantita una buona cura nella preparazione della performance live. Per questo in ogni serata non si esibivano più di tre gruppi. I comitati di festeggiamento mettevano a disposizione le loro strutture e infrastrutture durante o nei giorni precedenti l’inizio del loro tradizionale programma di attività. La rassegna assumeva quindi un carattere itinerante con un ritmo serrato di appuntamenti settimanali. 15 Operatore dell’Informagiovani era allora Giovanni Campagnoli, di Vedogiovane, che svolgeva anche un’azione di animazione con associazioni e gruppi giovanili della città.
Ogni edizione di “Una Città per Cantare” ha avuto alcune sostanziali differenze rispetto alle precedenti. La principale, come detto, è stato nella terza edizione il passaggio da concorso16 a rassegna, a cui partecipavano solo gruppi invitati o selezionati dopo aver ascoltato un loro demo, ai quali veniva anche riconosciuto un rimborso spese. La scelta di privilegiare la formula della rassegna rispetto a quella del concorso, già ben collaudata e consolidata da due anni, è derivata da una serie di riflessioni. Infatti, se era vero che il concorso poteva suscitare maggiori entusiasmi e partecipazione, per il gusto della competizione e di aggiudicarsi il primo premio17, è anche vero che esisteva il rischio di trasformare un concerto in una finale di Coppa campioni, con atteggiamenti di rivalità non sempre sana tra i gruppi in concorso. Comportamenti, questi, probabilmente proprio insiti nella natura di qualsiasi concorso piuttosto che nei singoli gruppi. D’altro canto, rispetto a una rassegna potrebbe esserci qualche riserva sulla qualità della musica proposta mancando l’incentivo offerto dall’incombenza di un giudizio. Per ovviare a ciò, nell’edizione del ’98 Musicaviva ha selezionato i 18 gruppi partecipanti tra una quantità maggiore di proposte (23 band) attraverso l’ascolto dei loro demotape. Le incisioni dei gruppi sono arrivate così numerose in sede di Musicaviva grazie a una campagna di promozione della rassegna particolarmente efficace e sono stati preferiti i gruppi dotati di una certa originalità, sia nel sound che nei testi. Si è comunque istituito il premio della critica (assegnato da Umberto Palazzo, cantante dei Santo Niente, gruppo emergente prodotto dal Cpi). L’anno successivo invece, mantenendo gli stessi criteri, sono state invitate a suonare le band finaliste delle tre precedenti edizioni, ancora costituite nelle formazioni originali. Se la formula della rassegna rischia d’allontanare l’interesse del pubblico, piace comunque credere che chi ama la musica sia in grado d’apprezzare (o disprezzare) i valori espressi sul palco a prescindere dalla situazione in cui emergono. E infatti questa scelta si è dimostrata vincente, soprattutto nella quarta edizione. Il fatto che la rassegna sia stata riservata a gruppi che proponevano musica propria era dovuta a due tipi di considerazioni: 1) che chi esegue cover trova comunque già spazio nelle birrerie e nei locali; 2) che è preferibile investire su chi è in grado di proporre cose di creazione personale. Ulteriore obiettivo di “Una Città per Cantare” era quello di mettere in luce il lavoro di elaborazione, svolto secondo la propria sensibilità d’artista e la propria cultura, che ogni musicista compie nel rileggere e fare propri con originalità gli elementi già presenti in ogni genere, dal rock al pop, al noise, al metal, dal folk alla canzone d’autore, dal jazz al funk e all’hip hop. Fin dalle prime serate il successo della manifestazione è stato evidente: pubblico giovane che sempre numeroso e con costanza seguiva i concerti, la continuità data in città alla proposta musicale nel periodo estivo, l’attenzione con cui la stampa ha seguito la manifestazione, la soddisfazione delle band e dei comitati festeggiamenti coinvolti, la visibilità dell’iniziativa in città, nessun concerto annullato o rimandato, nessun incidente verificatosi durante le serate. È interessante sottolineare come un suono spesso potente ed energico come quello del punk rock sia stato accolto, in luoghi tradizionalmente dedicati al liscio, dal pubblico delle balere estive dei tendoni: smorfie di dolore causate dall’eccessivo rumore, ma anche curiosità per quell’energia proveniente da quattro ragazzi sul palco; reclami degli abitanti vicini ai tendoni dei vari comitati di festeggiamenti, ma anche la scoperta “che in fondo il pubblico giovane si comporta bene...”. 3.2. Un’organizzazione dietro le quinte, per permettere alle band di essere protagoniste Organizzare una rassegna per gruppi rock come questa, anche se può apparire abbastanza semplice, è in realtà un lavoro complesso che dura mesi.
16 Ogni serata tre giurati compilavano (con un voto che andava da 1 a 10) una griglia di valutazione che teneva conto delle seguenti voci: tecnica individuale, affiatamento musicale, originalità nella scelta dei pezzi, fantasia nella interpretazione e nell’arrangiamento, adeguatezza tra difficoltà delle canzoni e capacità esecutive (queste ultime tre voci per i gruppi che proponevano delle cover), originalità dei testi e fantasia nell’arrangiamento (queste ultime due voci solo per i gruppi che proponevano pezzi propri), espressività e giudizio globale. Nell’edizione del 1997 tre giurati sono stati presenti a tutte le serate, mentre nella prima edizione del 1996 sono state inviate le registrazioni dal vivo a un giudice esterno dell’etichetta Ira. 17 Ogni concorso prevedeva dei premi (il primo anno l’incisione di un mini cd), il secondo premi in denaro destinati ai vincitori sia della categoria ”pezzi propri” (due milioni ai primi classificati, mezzo milione ai secondi), sia della categoria ”cover” (un milione e mezzo ai vincitori e mezzo ai secondi classificati). Inoltre una targa ricordo è stata consegnata a questi quattro gruppi e a quello vincitore del premio della critica.
Si partiva a marzo per progettare la formula dell’edizione, ripensando a quelle degli anni precedenti e ai relativi bilanci. Si cominciava poi a contattare l’Assessorato alle politiche giovanili ed i comitati di festeggiamento. Seguiva la fase di promozione che, anche per tale tipo di eventi, deve ormai essere gestita professionalmente: infatti non solo vanno preparate le cartelle stampa per i periodici locali e specialistici, ma bisogna inventare strategie per arrivare dove la musica è già presente, quindi nei luoghi e spazi frequentati abitualmente da chi suona. Proprio per questo, si era deciso di chiedere al direttore del Babylonia 18 uno spazio sul pieghevole (stampato in 9000 copie) che riporta la programmazione dei concerti. La fase successiva, quella di programmazione del calendario delle serate, richiedeva l’attenzione di non accavallare le date a quelle di altre iniziative simili in programma nei paesi limitrofi: era quindi necessario conoscere gli avvenimenti estivi in città e nel circondario, considerando anche eventuali concomitanze con eventi quali Olimpiadi o Mondiali. Individuate le serate, si proponevano le date ai comitati di festeggiamenti, effettuando anche dei sopralluoghi per verificare che le dimensioni del palco fossero adeguate alle esigenze della manifestazione. Completato il calendario, si delegava ad una persona di Musicaviva (il direttore artistico) la selezione dei gruppi (attraverso l’ascolto dei demo nell’edizione del ’98, con inviti mirati nel ’99). Così, una volta individuate le band, si stabiliva il programma definitivo della rassegna. Poi si dava incarico ad un grafico di disegnare locandine e volantini riportanti il calendario della manifestazione, i nomi dei gruppi partecipanti, luoghi, orari, recuperi in caso di cattivo tempo. Nella settimana che precedeva l’inizio della rassegna, c’era la conferenza stampa per la presentazione ufficiale presso l’Informagiovani di Borgomanero. A questo punto iniziava la fase di distribuzione di locandine e volantini nei pub, negozi di dischi, biblioteche, altre rassegne di musica e negli spazi di affissione pubblica in città. Risulta chiaro, quindi, che l’organizzazione di una rassegna richiede un lavoro che necessita di una fase preparatoria piuttosto lunga e complessa, che spesso risulta poco visibile e comunque rimane sempre dietro le quinte, per permettere alle band di essere protagoniste. 3.3. Le professionalità entrate in gioco: dal direttore artistico all’operatore Informagiovani Per l’organizzazione di una rassegna di questo tipo, è stato indispensabile per Musicaviva individuare al proprio interno una figura professionale specifica, quella del direttore artistico. È chiaro che una persona, per svolgere questo ruolo, deve avere una preparazione musicale-culturale piuttosto ampia e una conoscenza non indifferente del panorama musicale italiano, europeo e mondiale. Infatti i suoi compiti sono quelli di ascoltare i demo per selezionare i gruppi, gestire i rapporti con loro e con le agenzie musicali, curare la promozione, le pubbliche relazioni, la rassegna stampa e, nelle giornate della manifestazione, essere sempre presente, curare le relazioni tra le band, il fonico e gli operatori di palco del service audio-luci, e quelle con i responsabili dei vari comitati di festeggiamenti. In un certo senso il direttore artistico è, durante il giorno dei concerti, l’ottimizzatore, cioè la persona che direttamente svolge una serie di compiti e che si preoccupa del modo in cui il resto dello staff di Musicaviva si ripartisce gli altri. Solitamente avviene che le persone si suddividano il lavoro in questo modo: due addetti alla redazione e distribuzione della fanzine informativa di Musicaviva e sull’attività dell’associazione; un addetto ai contatti con la giuria per l’assegnazione del premio della critica; un addetto ai contatti con l’Amministrazione comunale (Informagiovani). Per organizzare e, soprattutto, gestire eventi di questo tipo sono necessarie quindi professionalità e competenze specifiche (che per la maggior parte si acquisiscono con l’esperienza diretta), cercando di mediare tra la spontaneità e la creatività tipicamente legate a una forma espressiva come quella musicale e i vincoli (anche di tipo giuridico-economico) presenti comunque all’interno dell’organizzazione di eventi di questo tipo. E’ chiaro che anche queste persone avevano, di base, un interesse specifico per la musica, suonavano da anni e avevano già accumulato precedenti esperienze nell’ambito di manifestazione simili. Altra professionalità entrata in gioco è quella dell’operatore dell’Informagiovani che ha svolto la funzione di animatore culturale, cioè la persona che, favorendo il dialogo tra Comune e Associazione, ha reso evidente che il suo ruolo è di essere a metà tra l’istituzione e l’universo giovanile, con il compito specifico di cura del lavoro con gruppi e associazioni. Si tratta di una persona il cui ruolo diventa quindi quello di “agente comunale per lo sviluppo delle politiche giovanili”, che deve avere due tipi di conoscenze e competenze:
18 Un locale in cui si fa musica dal vivo a Ponderano (Biella), probabilmente tra i migliori in Italia.
essere sia un esperto di relazioni con i giovani (un animatore) sia un esperto di gestione di rapporti con la macchina amministrativa comunale. 3.4. I problemi affrontati: “Siete giovani, sarete pasticcioni…” Nell’organizzazione delle varie edizioni della rassegna ci si è scontrati principalmente con una serie di problemi legati ai rapporti con gli altri enti, in particolare con i comitati di festeggiamenti, il Comune, la Siae. Il fatto di essere visti come dei giovani (e quindi, solo per questo, inesperti, sprovveduti e pasticcioni) ha reso da subito difficoltoso l’incontro con gli interlocutori (quasi esclusivamente adulti). Nel caso dei comitati di festeggiamenti, ad esempio, si è dovuto ricorrere a relazioni amicali e parentali (ah, sei il figlio di…) per arrivare al primo appuntamento (in genere sempre un po’ freddino), dove la presentazione dell’iniziativa avveniva in un clima spesso di incredulità ed era seguita da un interrogatorio per verificare se si era pensato davvero a tutto. Per superare queste difficoltà, si è cercato di dimostrarsi seri e affidabili, scrivendo la proposta, incontrando anche singolarmente i vari responsabili dei Comitati, telefonando senza essere invadenti, ma solo un po’ insistenti. In questo modo, ottenuta la fiducia il primo anno, per quelli successivi i rapporti erano già “impostati” e molto più semplici da gestire, visto che la collaborazione tra Musicaviva e i vari Comitati è vantaggiosa per entrambi. Infatti, questi ultimi potevano inserire nel loro programma di festeggiamenti una serata già organizzata e pagata da altri, potevano contare su un pubblico numeroso di ragazzi (che quindi consumavano al bar e al ristorante del Comitato), potevano dimostrare di avere anche un’attenzione per i giovani, offrendo loro una proposta musicale. Per Musicaviva, invece, i vantaggi erano quelli di poter contare su strutture e infrastrutture già costruite e collaudate, un risparmio di costi (es. Enel, Siae e catering per i gruppi), una cena offerta… Lo stesso genere di difficoltà di rapporto si sono incontrate all’inizio con l’Assessorato, ma sono state superate più facilmente perché c’era l’operatore dell’Informagiovani a fungere da mediatore e “garante” per l’Amministrazione19. La difficoltà è stata semmai quella di riuscire a fare sì che l’Amministrazione stanziasse i fondi il primo anno, mentre per gli anni successivi si era puntato all’attivazione di un capitolo di bilancio in modo da garantire una certezza di risorse e quindi la continuità dell’iniziativa. Per l’Assessorato si trattava di una iniziativa vantaggiosa, essendo molto “visibile”, innovativa, e quindi considerata con attenzione dalla città, dalla stampa e dalle TV locali. A prova di questo, c’è il fatto che le prime due edizioni di “Una Città per Cantare” sono state promosse da un’Amministrazione di centro-destra, le altre due da una di centro-sinistra. Con l’Ufficio Siae le difficoltà sono note: cauzioni, lunghe ore di attese in coda, costi elevati, richiesta di precisione su una modulistica primitiva, questioni per ogni sbaglio, ecc. E’ la parte più buia dell’organizzazione della rassegna: mai nessuno che voglia occuparsene… 4. Un bilancio, in vista di un rilancio 4.1. La musica, un bene comune Il dialogo tra il Comune di Borgomanero (Assessorato alle politiche giovanili, Servizio Informagiovani) e l’Associazione Musicaviva, che ha portato a organizzare con continuità per quattro anni in estate le edizioni della rassegna “Una Città per Cantare”, ha avuto come più grande risultato quello di attirare l’attenzione dell’Assessorato sulla musica. Infatti l’istituzione ha preso coscienza che in città esistono una serie di attività giovanili meno evidenti, poco mondane e non certo soggette a entusiasmi momentanei, che vivono e si alimentano da anni con impegno, costanza e puntualità. Si tratta di gruppi musicali in continua crescita (circa una trentina nella zona) che richiedono momenti e luoghi per esibirsi, in una città di 20.000 abitanti che ancora non ha uno spazio adeguato per suonare, ma dove è sempre più presente la dimensione legata al fenomeno musicale: una “scuola” di musica, un grosso negozio di strumenti musicali, molti ragazzi che
19 L’operatore dell’Informagiovani (servizio pubblico dato in appalto), come detto, lavorava con Vedogiovane. L’Associazione Musicaviva è una ”costola” di Vedogiovane. Si capisce perché con l’Amministrazione comunale la facilità di rapporti sia stata maggiore rispetto ai Comitati.
suonano “privatamente”, studenti-musicisti che hanno a disposizione attrezzature nelle scuole superiori e un’associazione (Musicaviva). In questo “fermento musicale” si è spinto affinché l’Assessorato alle politiche giovanili giocasse il proprio ruolo, attraverso l’Informagiovani, istituzionalmente creato per rispondere ai bisogni dei giovani del territorio. I criteri d’intervento suggeriti all’Assessorato sono stati quelli di sostenere le produzioni musicali giovanili, perché anche così si riesce a creare “cultura” attraverso tutto ciò che la musica può significare: aggregazione, idee, luoghi d’incontro, comunicazione ed espressione, ma anche partecipazione alla vita della città. Rispetto all’obiettivo di favorire la partecipazione dei giovani alla vita della città, attraverso la rassegna e la forte visibilità che le viene data (anche con la realizzazione di locandine, volantini e tessere) si è cercato di ampliare gli spazi di espressione e manifestazione di sé e della propria creatività. A tale proposito, un risultato importante è stato il coinvolgere nelle serate dei concerti anche altre associazioni giovanili, invitate ad essere presenti allestendo degli stand. La finalità generale della rassegna è stata quella di portare alla luce tutti quei gruppi che in zona producevano musica (preferibilmente loro) e che da sempre avevano meno possibilità di esprimersi delle cover band locali. Obiettivi più specifici sono stati quelli di dare ai gruppi la possibilità di confrontarsi, di conoscersi, di migliorarsi e suonare davanti a un pubblico accorso sempre numeroso, composto da musicisti, appassionati di musica incuriositi dalla proposta e giovani della zona attirati dall’elemento aggregativo che contraddistingue questo tipo d’iniziative. Importante è stato anche dare alle band l’occasione di far ascoltare le loro produzioni a etichette musicali nazionali o a musicisti affermati, coinvolgendoli (gratuitamente) in qualità di giurati per l’assegnazione del premio della critica. Altro obiettivo è stato quello di far salire sul palco, nei pomeriggi precedenti le serate musicali, il maggior numero possibile di giovanissime band, per far sperimentare loro il fatto di esibirsi con un impianto professionale e di elevata potenza, costruendo così una vera e propria giornata di musica, una festa che comincia fin dal primo pomeriggio della giornata. Nell’ambito specifico della rassegna “Una Città per Cantare”, ci si è preoccupati anche di promuovere incontri per parlare di musica con alcuni personaggi del panorama musicale italiano, in modo da cominciare a far nascere alcune riflessioni originali su questo fenomeno culturale prevalentemente giovanile. Per questo si sono promossi gli incontri con Marco Marcuccio dell’Ira (l’agenzia musicale di Firenze che produce diversi gruppi tra cui i Litfiba), con Mauro Ermanno Giovanardi (dei La Crus), con il gruppo dei Santa Sangre e con i Lou Dalfin. Si è parlato finalmente della musica come forma d’arte, del contesto musicale generale, della legislazione, delle infrastrutture, delle qualità espressive, delle nuove tendenze, dei generi musicali, delle problematiche della situazione musicale e artistica italiana e delle opportunità che l’associazionismo e l’aggregazione artistica possono fornire a chi fa musica. Un obiettivo per il futuro è quello di riuscire a rendere la rassegna estiva un appuntamento annuale costante nel tempo, cominciando con le selezioni già nei mesi invernali (in locali diversi) permettendo così a un numero elevato di band di esibirsi. Per questo si reputa necessario uno spazio adeguato in città dove sia possibile suonare, ipotizzando che a questo possano essere legati alcuni servizi (in particolare un servizio con specifiche funzioni di consulenza sulla musica, orientamento e sostegno alle produzioni musicali giovanili), riuscendo così a offrire reali opportunità informative e formative a musicisti e operatori del settore e, infine, a creare anche maggiori occasioni di lavoro legate a questo progetto. Risultato non trascurabile è stato anche che una delle band partecipanti alla rassegna e formata da alcuni ragazzi di Musicaviva (i “Margot”) ha oggi prodotto un CD con una etichetta indipendente. 4.2. La musica, colonna sonora di un territorio La musica, è stato detto, rappresenta la “colonna sonora” della vita delle giovani generazioni. Ma perché non vedere la musica anche come colonna sonora di un territorio? Forse non è azzardato dire che è stata questa la scommessa alla base del percorso di questi anni. Lontana da logiche celebrative o da grande evento, la rassegna “Una Città per Cantare” ha inteso incrementare la varietà e la qualità della musica che circola e si diffonde su un territorio, pur essendo “underground”, fuori dagli standard commerciali, proposta da band che hanno in comune la ricerca di un suono “non interamente pacificato”, affinato dalle linee melodiche della forma-canzone (intesa come espressione d’arte) e dai testi. In questo senso le band partecipanti danno vita a un work in progress, inteso come momento di produzione artistica del quale non si può fare a meno. A guardar bene, il senso ultimo di
questo progetto sta nel lasciare un “documento” di questo continuo lavoro sul palco. Ed è per questo che si è imparato che la valutazione della rassegna va fatta sulla validità e sul senso complessivo dei risultati raggiunti, piuttosto che sulla constatazione che si tratta dell’ennesima serie di concerti live, a cui assiste un pubblico più o meno numeroso. Più in generale, si è visto come sia davvero importante riuscire a creare questi circuiti musicali estivi se però sono considerati non come iniziative stagionali o slegate dal territorio, ma come momento per far emergere e dare visibilità al lavoro invernale di mesi e mesi di sala prove di molti gruppi. Inoltre “Una Città per Cantare” è stato il mezzo che ha permesso di entrare in rete con altre risorse quali scuole di musica (dove si impara a suonare), sale prove (spazi in cui le band possono migliorarsi), home studio (con la possibilità di ascoltarsi), altri palchi di manifestazioni live (anche più prestigiose), locali, fino alla possibilità di raggiungere importanti etichette musicali alle quali far ascoltare le “produzioni” di queste band. Quest’esperienza ha anche mostrato come il rapporto tra giovani e istituzioni, segnato troppe volte da diffidenze reciproche, possa trovare proprio nella musica un riduttore potente della distanza che separa i die attori. Il dialogo, favorito in questo caso da un mediatore/facilitatore (l’Informagiovani), ha portato i giovani ad avvicinarsi alle sorti della vita civile, cercando di collocare in questo spazio pubblico la loro attività musicale, mentre l’amministrazione comunale da parte sua si è rivelata abile a scommettere sui giovani intesi come risorsa portatrice di una nuova idea e di una nuova sensibilità. Forse occorre davvero smettere di guardare alle istituzioni come a Enti estranei, opprimenti, se non quasi nemici, da raggirare appena possibile, ma bisogna considerare le istituzioni come beni comuni. Ai cittadini, prima ancora che ai governanti, spetta il compito di procurarsi le istituzioni migliori. Ciò è possibile solo cercando interlocuzioni serie e riconoscendo il doppio legame che lega la loro intelligenza alla qualità della nostra vita20. 4.3. Ma adesso? Il 1999 è stato l’anno dell’ultima edizione della rassegna “Una Città per Cantare”. È seguito un momento di stallo. Tuttavia si è deciso di non sciogliere legalmente Musicaviva, ma di “parcheggiarla” nella speranza che qualcuno ritrovasse un interesse sia per l’associazione, sia per lo sviluppo della scena musicale della provincia, come di fatto sta avvenendo. Dalla primavera del 2001, spinta dalla richiesta di alcuni musicisti della zona, Musicaviva svolge nuovi servizi legati alla legge n° 182 del 30 aprile 1997, secondo la quale soltanto tramite società di persone e di capitali e associazioni si può avere accesso alle prestazioni pensionistiche ENPALS (Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i lavoratori dello spettacolo). È facile intuire che ogni lavoratore dello spettacolo, che abbia una posizione singola, non possa più esibirsi in pubblico se non rischiando in prima persona. Per questo motivo Musicaviva ha deciso di aiutare, sia a livello informativo che gestionale, tutti quei musicisti/DJ che svolgono occasionalmente serate musicali o sono professionisti del settore. Il problema di questa legge è che equipara allo stesso trattamento grandi professionisti dello spettacolo (che percepiscono elevati compensi a serata) e ragazzi che suonano unicamente per passione e vengono pagati poco o nulla per le loro esibizioni. La legge obbliga infatti una fatturazione non inferiore a 70.333 lire a concerto: ciò significa che un gruppo composto da una formazione di base (basso, chitarra, batteria, voce) non potrà far altro che richiedere un cachet di 400.000 lire. Ma non tutti i “localari” sono disposti a pagare questo prezzo per una band alle prime esperienze, soprattutto perché non è così famosa da portare alti profitti alle serate. L’idea che Musicaviva ha cercato di sviluppare è molto semplice: essendo l’unico ente nelle Province di Novara, Verbano Cusio Ossola, Vercelli e Biella che fornisce un servizio di gestione dei rapporti con l’ENPALS, perché non unificare sotto un’unica entità i gruppi locali? Si tratta di un’opportunità per le band ma anche per Musicaviva: in fondo, più sono i gruppi meno sono i costi di gestione; si crea così una banca dati delle band presenti sul territorio; la presenza di tante band sviluppa un circuito di collaborazione che incrementa il livello qualitativo dei musicisti; si coinvolgono enti esterni quali Amministrazioni comunali, Pro Loco che garantiscono spazi di esibizione; si stringono collaborazioni con studi di registrazione/sale prove di privati che forniscono una produzione basilare di demo per pubblicizzare e diffondere la musica locale. Ecco il nuovo senso che ha oggi l’impegno di Musicaviva…
20 Donolo C., L’intelligenza delle istituzioni, Feltrinelli, Milano 1997.
ANIMAZIONE ED EVOLUZIONE Pietro Coerezza, Michele Marmo, Lara Ponti. Immagini, pensieri, passioni, azioni, idee, obiettivi, concetti, professioni, relazioni, leggi, persino sogni, valori, scelte. Tutto questo contiene la parola “animazione” per un’organizzazione che nel proprio nome ha questo termine. Vedogiovane cooperativa d’animazione sociale e culturale. A tutto questo e ad altro ancora si lega questa parola. Soprattutto ad una storia. Cosa significa animazione per Vedogiovane forse sarebbe possibile dirlo con una storia, raccontarlo. Quale “modello”, quale “idea” d’animazione ha “in testa” e agisce (nel doppio senso transitivo di questa parola) questa organizzazione? Rispondere vorrebbe forse dire, raccontare ciò che si fa, e non solo, quello che si pensa mentre si fa, e non solo, i termini che si usano e i segni a cui ci si riferisce per rappresentarsi il reale, e non solo, le domande che ci si pone di fronte alla complessità dei problemi (dei problemi?, dei bisogni?, dei poteri?, delle richieste?, degli utenti?, delle comunità?, del territorio?, delle rappresentazioni mentali? Il termine dal quale si comincia non denuncia forse un modo di intendere l’animazione?). Non solo. Non abbiamo ancora finito. Azioni, pensieri, rappresentazioni, domande a meno di non reificare un costrutto mentale che si chiama organizzazione appartengono alle persone. Mille azioni, mille pensieri, mille rappresentazioni, mille domande, persino mille emozioni, mille “modelli” di animazione dunque, almeno quante sono le persone che di quest’organizzazione fanno parte. … Almeno, sì perché nessuno è un mostro di coerenza, grazie a dio, non siamo dei monoliti, non giochiamo mai quella parte, non abbiamo il physique du role, noi siamo più adatti a stare sotto ai monoliti e picchiare su legni e pietre. In fondo ci piace. ... Mille per mille… dunque, senza che tutto collassi nella vertigine di una perfetta coerenza. Una piccola parte di tutto questo si potrebbe forse raccontare attraverso una storia. Ma una storia è già stata scritta, vi è un capitolo apposito, anzi, è tutto il libro che narra di questa storia. Raccontare come sono state fatte le cose, quali sono state le cose fatte, quali gli obiettivi raggiunti, quali le domande e i problemi affrontati nei vari ambiti di lavoro della cooperativa non vuol dire forse raccontare la storia di questa cooperativa e l’idea di animazione che ha? È per questo che questo capitolo non può avere quella struttura, ad ogni paragrafo corrisponderebbe infatti l’insieme di tutti i paragrafi del libro che compaiono con lo stesso titolo. Ed è per questo che il punto di vista sarà molto parziale, sarà il punto di vista di una persona che prova a riflettere sul tema rileggendo le esperienze vissute in cooperativa.1
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Una piccola precisazione: questo se non in parte non sarà il punto di vista di chi scrive sull’animazione. Sarà sempre e inevitabilmente il punto di vista di una persona ma con l’intento di riflettere anche su come gli sembra sia vissuta l’animazione nella cooperativa, su quali gli sembra siano i riferimenti culturali e le azioni messe in atto.
Partiamo allora da due storie che non c’entrano nulla con la cooperativa, da due improvvisate immagini sarebbe meglio dire, due fotogrammi di possibile storie che ci possono aiutare. Immagini che nulla hanno a che fare con Vedogiovane, ma che molto hanno a che fare con l’animazione. Frammenti diversi che danno vita a due idee che sembrano in parte opposte, e che di fatto stanno lontane tra di loro, ma che forse possono rappresentare due esperienze di animazione o per lo meno due metafore di queste. Così si può avanzare per contrapposizioni, per elementi, cercando di evidenziare l’idea che Vedogiovane ha e mette in atto dell’animazione. Questo non vuole essere un percorso dialettico; non si vogliono evidenziare due estremi che poi saranno ricomposti e superati dalla terza soluzione, la migliore, quella che risolve le contraddizione e le parzialità delle prime due, e nemmeno si vuole individuare un terzo modello inteso come mediazione dei due precedenti. Semplicemente si può provare a riflettere sull’idea di animazione in cooperativa segnalando le differenze, le comunanze, le peculiarità e dunque anche le eventuali carenze rispetto a delle immagini. Un suono. Un fischio. Per concludere la sfida, per chiamare a cerchio. Per ripararsi dalla calura. Hai arbitrato male! Ma se non volevo neppure farlo l’arbitro. Colpi, pacche amichevoli. Certo che abbiamo perso, prova tu a giocare col mentecatto. Non è un mentecatto! Ehi qui si gioca tutti lo sai. Ivan si alza, prende un lenzuolo bianco e lo pone in mezzo al cerchio. Questa è la vostra estate, ragazzi, ne abbiamo parlato tante volte, bianco pallida come avete descritto quella dello scorso anno. Adesso la parola a voi. Immagini, forme, oggetti, racconti per dirci cosa non ha funzionato dell’estate scorsa e cosa facciamo, e costruiamo quest’estate… Luca si alza. Luca dove vai? Sto andando a cambiarmi. Puoi farlo anche qui. Devo andare a casa intendo, se ci vado con questa faccia il vecchio non capisce più niente. È vero, Luca sta cambiando, ne ho parlato anche con suo padre. Un suono. Una sirena. Per cancellare la sfida, per sparecchiare la folla, per far tacere i canti delle donne .L’abbiamo cantato Fernandes, molta gente ci ha visto e ora sanno. L’abbiamo cantato alto che tuo figlio è sparito, che i criminali sono loro, che il comunismo non c’entra, è solo una questione di giustizia. C’erano anche le tv americane ed europee ora cambierà, non possono stare a guardare. A domani allora, alla solita casa, ciao. Ciao Blanca... Blanca, ho avuto paura oggi. Anch’io. Blanca…, grazie a te e a tutte le altre.
Non so se da queste due piccole immagini è possibile immaginarsi una storia di animazione alle spalle e davanti. Gruppi, incontri, relazioni, decisioni, pianti, risa, comunicazioni, conflitti tra i partecipanti, fili di parole e di “cultura” che si diffondono, persino sensi trovati o ritrovati, o quantomeno esibiti. Sgomberiamo subito il campo da differenze che non ci interessano (almeno in questa sede): non si tratta di differenze ideologiche,2 non si tratta dell’assenza dell’animatore,3 non si tratta del fatto che si ha a che fare nell’un caso con ragazzi, nell’altro con donne adulte. 2
In effetti le differenze ideologiche ci interessano e probabilmente le differenze che si evidenziano tra due modelli del genere hanno origini “ideologiche”. Quello che voglio dire è semplicemente che non dobbiamo pensare ad una delle due esperienze come un’esperienza politica e l’altra come un’esperienza privata. Oppure ad un modello cattolico e ad uno comunista d’intendere l’animazione. Il rischio è poi quello di vedere la differenza nella posta in palio che c’è. Come dire una cosa è trovarsi per divertirsi, l’altra per salvare vite umane. Non è questo il punto. 3 Possiamo anche immaginarci, con una buona dose di finzione, che l’animatore sia presente in tutti e due i gruppi.
La differenza su cui vogliamo ragionare è l’idea di cambiamento che guida i due ipotetici animatori ed il rapporto tra cambiamento e comunità sociale. Parlare di cambiamento in animazione non credo aiuti molto a dipanare la matassa, ma quantomeno a dividerla in due. Molte attività dell’uomo possono dirsi azioni che mirano al cambiamento. La realtà stessa può forse descriversi come momenti di permanenza, d’invarianza e momenti di cambiamento. Nel fluire del tempo umano è dunque possibile agire per cambiare e agire per conservare, per mantenere.4 L’animazione mira dunque al cambiamento. Non vi è animazione se non vi è cambiamento.5 In termini di efficacia, poi, il cambiamento deve essere un cambiamento duraturo. 1. La persona attiva Prima di parlare di cambiamento, è necessario sottolineare un carattere distintivo che guida qualsiasi azione che sia animazione. Al centro del processo animativo sta la persona con la sua capacità attiva di relazionarsi al reale, agli accadimenti che gli succedono. Dire che al centro del processo animativo sta il soggetto, non vuol dire progettare delle azioni, significare delle esperienze avendo come punto di riferimento il soggetto animato. Significa che il soggetto è sempre pensato come il protagonista attivo del suo cambiamento. I bisogni, le aspettative, i progetti, le attività, le direzioni sono sempre espresse e scelte dai soggetti e con i soggetti. Una cosa è progettare una casa tenendo conto delle esigenze di un disabile, altra cosa è progettarla insieme a lui, anzi fare in modo che sia lui a costruirla. L’animazione dunque “assegna al soggetto la responsabilità di decidere quale cambiamento, di quale entità ed in quale tempo effettuarlo. Il soggetto è il sovrano dell’azione animativa e del cambiamento ad essa correlato”6. Riprendiamo una vecchia definizione d’animazione di don Aldo Ellena, personaggio molto caro alla cooperativa, di cui ha condiviso un pezzo di storia: l’animazione è una pratica sociale che mira al cambiamento attraverso la partecipazione. In questo caso la partecipazione non è intesa solo come la partecipazione alla vita di gruppo, o della comunità, ma come la partecipazione del soggetto al suo cambiamento. Per questo motivo l’animazione non vuole essere una pratica sociale ed educativa esaustiva. Non sempre è possibile condividere le scelte con i soggetti a cui è dedicata un’attenzione educativa. Non sempre è possibile pensare al cambiamento della comunità lavorando esclusivamente sui processi consci dei soggetti.
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Probabilmente, indagando a fondo, i due concetti finirebbero per coincidere. Agire per mantenere forse vuole dire agire per contrastare processi di cambiamento esterni. Vorrei però rimanere più in superficie. Semplicemente constatare che per lo meno a livello empirico è possibile pensare ad azioni che mirano a cambiare alcune “cose” e azioni che mirano a conservarle. 5 Lo stesso può dirsi dell’educazione. Duccio Demetrio anzi propone di individuare nel cambiamento e nella disciplina ad esso correlata, la metabletica, lo specifico dell’educazione. Non vorremmo qui entrare nella polemica sul rapporto tra animazione ed educazione. Per questo rimandiamo tra altri ai testi di M. Pollo, Educazione come animazione. Elledici, Torino 1991, in particolare alle pp. 17-18; G. Contessa, L’animatore, Città Studi, Milano 1996, p. 177; R. Massa in AA.VV, Animazione in città, Clup, Milano 1989, p. 59. 6 Contessa, op.cit.; p. 49.
2. Le persone che cambiano In primo luogo, dunque, i soggetti e i protagonisti del cambiamento cercato attraverso l’azione animativa sono le persone.7 Che tipo di cambiamento? Far sì che le persone siano i protagonisti del proprio cambiamento significa prima di tutto partire dalle risorse personali, dalle potenzialità della persona. Lo sviluppo e il potenziamento (già la parola lo sottolinea) andranno dunque nella direzioni delle risorse e delle capacità già in qualche modo presenti nel soggetto. L’animazione, allora, non tende se non indirettamente alla cura o alla riabilitazione, ma allo sviluppo delle potenzialità della persona. Sviluppare le potenzialità significa almeno due cose: primo, avere degli spazi di espressione di queste, un luogo e un tempo in cui sia possibile esprimerle e quindi incrementarle, in secondo luogo, prenderne coscienza. L’espressione. Lo spazio privilegiato che l’animazione riserva alla creatività ed espressività trovano, a nostro parere, in questo legame la loro ragion d’essere. L’animazione accentua gli aspetti ludici ed espressivi cercando di recuperare la dimensione creativa, corporea e manuale perché queste consentono spazi di espressione e di scoperta e sviluppo delle proprie potenzialità. Una riflessione legata a questo argomento ci porta a dire che se le persone vivessero in una meravigliosa società dove questi spazi di espressione della propria corporeità e ludicità fossero socialmente garantiti sarebbe necessario pensare all’animazione come ad un luogo che garantisce spazi espressivi diversi e non presenti in quella società. Proviamo ad esplicitare tutto questo con un ulteriore esempio. Proviamo ad immaginare un’attività di animazione a scuola. Da tempo si parla ormai di intelligenze multiple. I bambini (come gli uomini) possiedono diverse forme d’intelligenza (meglio sarebbe dire che la loro “unica” intelligenza si manifesta in più forme tra di loro integrate, oppure che è possibile dire e pensare l’intelligenza partendo da punti di vista diversi); la scuola privilegia l’intelligenza logicomatematica rispetto ad altre forme espressive dell’intelligenza. L’animatore a scuola (tra le mille altre attenzioni e azioni che farà) costruirà dunque una situazione in cui i bambini avranno la possibilità di esprimere le proprie capacità intellettive senza pensare come unica forma possibile l’intelligenza logicomatematica. Ecco allora nascere spazi di espressione corporea, di racconti, di gioco, di teatro ecc. I bambini dotati di un’espressione intellettiva di tipo più narrativo o cinestestico troveranno uno spazio per riconoscerla e potenziarla. Questi spazi espressivi “alternativi” non sono la caratteristica peculiare dell’animazione. In una scuola di una cultura diversa, dove l’intelligenza privilegiata fosse di tipo “narrativo” e non “logico”, i bambini molto dotati dal punto di vista logico e poco dal punto di vista narrativo non avrebbero possibilità di esprimere le proprie potenzialità. L’animatore dunque dovrebbe costruire uno spazio di espressione anche per questi ultimi.
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Preferiamo utilizzare il termine “persona” e non il termine “soggetto” per sottolineare l’unicità dell’“animato”. L’unicità non è infatti considerata come una caratteristica dei soggetti, ma come unica possibilità di dire di “qualc-uno”.
La presa di coscienza. Essere i responsabili primi dello sviluppo delle proprie potenzialità significa in primo luogo prenderne coscienza, essere consapevoli di queste e dei cambiamenti vissuti. Il vero cambiamento riguarderà dunque l’immagine che la persona ha di se stessa e del mondo circostante percepito con tutte le sue possibilità. La presa di coscienza dunque riguarda più livelli in cui solo formalmente è possibile distinguere i momenti stessi dalla presa di coscienza che di essi si ha. Il cambiamento infatti è allo stesso tempo causato, riconosciuto e in qualche modo “esibito” dalla presa di coscienza che di esso si ha. Coscienti delle proprie potenzialità (non vuol forse dire già potenziarle?), coscienti del fatto che si sta cambiando e di volere ed essere responsabili del proprio cambiamento, coscienti del cambiamento avvenuto, coscienti di poter cambiare nuovamente e del fatto che questo dipende in primo luogo da me. Questo periodo è possibile anche riformularlo in altro modo, che sposta leggermente i termini della questione. Coscienti delle proprie possibilità di scelta (non vuol forse dire già ampliarle?), coscienti del fatto che si sta scegliendo e di volere ed essere responsabili delle proprie scelte, coscienti delle scelte fatte, coscienti di poter scegliere nuovamente e del fatto che questo in primo luogo dipende da me. Riprendendo un’immagine di Franco Floris, Katia Faletto8 ama dire che l’animatore si pone sul confine tra il soggetto e il ventaglio di scelte che al soggetto si prospettano. In questo senso, obiettivo dell’animazione potrebbe essere “aprire un ventaglio di scelte e accompagnare la persona nei processi decisionali”. Rielaborando l’esperienza. Il cambiamento è un processo, non è uno stato; è per questo che è difficile distinguerne i momenti e fotografare stati successivi, ragionare in termini di cause ed effetti. Un dato di fatto è che un cambiamento è, in ottica animativa, un cambiamento che la persona è in grado di raccontarsi; questo come già detto è nello stesso tempo segno e causa del cambiamento (la struttura è dunque in parte paradossale). Raccontarsi il cambiamento è il cambiamento stesso? Raccontare il cambiamento o cambiare il racconto? Ci viene in aiuto il termine stesso di “esperienza”. L’esperienza non è mai un evento cui segue un racconto. L’esperienza è un evento e il racconto stesso che io ne faccio. È la modalità con cui percepisco l’evento, con cui l’evento si rivela a me. Non ci è dato di vivere eventi, ma solo esperienze. Tuttavia su questo racconto immediato, su questo evento che è sempre anche segno, è possibile ritornare. È possibile dirsi e ridirsi il significato attribuito alle esperienze e cambiarlo. Per far questo c’è bisogno dell’altro. L’animazione è sempre rielaborazione e co-costruzione di significati. La cosa è alquanto complessa. Proviamo rigidamente a dividere, come per convenzione. In animazione prima vivo un’esperienza (ciò che abbiamo provato a chiamare un evento più un racconto, o la percezione che io ho di quell’evento, che se non è percepito non è neppure vissuto) poi con il gruppo ritorno su quell’evento e ne condivido l’esperienza che ciascuno 8
Una delle “mille” persone che compongono quest’organizzazione con cui ogni tanto ho occasione di discutere.
ne ha fatto, il significato che ha attribuito e riraccontandola, mettendola in comune e ascoltando gli altri è possibile che il racconto cambi e che i significati ad essa attribuiti si rinnovino e si esplicitino. Tuttavia non è solo così. L’animazione cerca di far si che le esperienze vissute siano significative, cioè significhino allo stesso tempo le esperienze precedenti, quelle non vissute durante il processo animativo. Quasi a dire che il racconto immediato dell’esperienza “significativa” che vivo in animazione permette allo stesso tempo di raccontarsi in maniera diversa le esperienze precedenti. Quell’esperienza mi ha cambiato, cioè è stata un’esperienza significativa. Ha significato, cioè ha permesso di attribuire un significato diverso ai segni, agli eventi precedenti. Per questo le esperienze sono significative, cioè significano, attribuiscono significati alle esperienze precedenti e si dice che cambino. Un’esperienza non significativa sarà dunque un’esperienza che non mi permette di riraccontare in maniera diversa le esperienze precedenti. Il racconto è sempre lo stesso, non sono cambiato. Come far sì che un’esperienza sia significativa? Ogni evento può essere significativo? Questa domanda permette di ritornare su di una premessa fatta all’inizio. Nessuno è in grado di decidere che di per sé un’esperienza è un’esperienza significativa. Ciò che per me è stato un incontro importante, un momento di cambiamento, un qualcosa che mi ha reso totalmente diverso da prima, per altri può non essere niente. Le esperienze sono sempre esperienze, cioè vissuti di qualcuno; non ci è dato di vivere per qualcun altro. Non ci è dato quindi di stabilire a priori che un’esperienza sarà significativa. Al centro dell’azione animativa la persona è sovrana, perché in un certo senso non potrebbe che essere così. Talvolta ci basta un momento, un accadimento, un colore, una voce, una giornata per capire che la nostra vita non sarà più la stessa. Da quel giorno il nostro modo di raccontarci è cambiato totalmente. Cappuccetto rosso solo dopo un’altra esperienza è stata in grado di riraccontarsi che il lupo l’aveva ingannata; fino a quel momento il lupo era stato un gentile personaggio incontrato nel bosco. Al di là delle fiabe la letteratura è piena di questi eventi, anzi narra appunto di eventi straordinari che hanno cambiato i protagonisti e ne va in cerca. Una storia sempre uguale non è una storia. Non credo che ci sia dato di stabilire a priori che quel momento sarà un momento del genere. Nessun animatore potrà mai essere certo che l’animazione vissuta insieme sarà un’esperienza di cambiamento. Tuttavia è possibile aiutarsi, rielaborando l’esperienza, cioè tornandoci sopra riraccontandosela ed esplicitandone i significati vissuti da ciascuno è possibile lasciarsi colpire di nuovo, scoprire che la storia che mi racconto è possibile raccontarla in modi diversi, i significati che attribuisco possono anche essere altri, l’evento può essere visto e vissuto da un altro punto di vista, magari ascoltando il racconto che ciascuno del gruppo ne fa. In conclusione vorrei riprendere una definizione un po’ più estesa data sempre don Aldo Ellena in uno dei suoi libri. Questo peraltro ci permette d’introdurre un altro tema fondamentale che riguarda l’animazione, o meglio il medesimo tema con l’aggiunta di nuovi elementi.
Per noi l’animazione è sempre stata, ed è ancora, una pratica sociale finalizzata alla presa di coscienza ed allo sviluppo del potenziale. Il suo fine ultimo è dunque l’aumento della libertà e del potere degli individui, dei gruppi, e delle comunità.9
3. La dimensione culturale Fino ad adesso abbiamo descritto la persona come una sorta di monade sospesa tra gli eventi di cui fa esperienza, una monade viva. Ovviamente non è così, ogni persona10 vive tra le altre e questo non è indifferente per le esperienze che vive. Non solo perché vivere un’esperienza con qualcuno è diverso rispetto al viverla da soli, ma perché il significato che io attribuisco ad un evento, l’esperienza che di esso faccio sono fortemente influenzati dal significato che le persone che mi circondano ne danno. Un bambino cade e vive quest’evento come un’esperienza traumatica, di enorme dolore e piange disperato, poi guarda chi gli sta vicino che ride o minimizza e spesso smette di piangere. Crescendo, apprendo e condivido tutta una serie di significati socialmente attribuiti ad alcuni eventi ed in base a questi mi rappresento il reale, in base a questo vivo la realtà. Attraverso i significati condivisi ed elaborati dal e con il gruppo di appartenenza ogni individuo si orienta nel mondo, conosce se stesso e gli altri, dà valore a tutto ciò che lo circonda. È possibile dunque definire con Bruner la cultura come “un insieme di significati condivisi”. Del medesimo evento, a seconda della cultura in cui sono inserito, faccio esperienza diversa. La realtà in cui viviamo non è mai esattamente la medesima ma dipende dalla percezione che di essa ho, di come la vivo e di come mi vivo. Il bellissimo film di Benigni La vita è bella dimostra come persino eventi dal significato per noi così evidente e sconvolgente è possibile esperirli in maniera diversa. Per il bambino vissuto nel lager si è trattato di un enorme gioco grazie all’attribuzione di significati diversa che il padre comunicava al figlio. I significati condivisi attribuiti a determinati eventi rappresentano in qualche modo un filtro per eventi simili. La realtà che vivo è fortemente influenzata dall’esperienza che ho vissuto. La realtà che gli altri vivono, dal momento che comunico con loro, influenza fortemente la realtà vissuta da me.11 Questo permette di concepire la cultura come un qualcosa di estremamente fluido pur mantenendo la definizione che ne abbiamo dato. Possiamo immaginarci la cultura come un insieme di bolle in parte sovrapposte ad altre. Ci sarà la cultura di un intera società, rappresentata dall’insieme di tutti i significati condivisi, la cultura di una comunità che in parte si sovrappone a quella dell’intera società in parte è esterna ad essa, con la peculiarità di significati attribuiti e condivisi solo in quella comunità; a sua volta, questa parte potrà essere condivisa con un pezzo di altre comunità e così via, in un disegno tridimensionale di difficile realizzazione. Al confine di ogni bolla sta comunque la bolla dell’individuo con una parte di vissuto 9
G. A. Ellena a cura di, “Manuale di Animazione Socioculturale”, ed. Gruppo Abele, Torino, 1989, p. 11. Il termine stesso di persona lo sottende. 11 Su questo tema sono stati scritti molti libri. Nello specifico riguardo all’animazione ci limitiamo a rimandare ai testi scritti da Mario Pollo editi da Elledici. 10
assolutamente personale, con una parte di attribuzioni di significati non condivisa con nessuno. Possiamo anche cambiare disegno immaginandoci che una stessa esperienza è solo in parte condivisa. Per me e te il significato è simile ma non proprio identico, per l’altro lontano è assolutamente diverso. Proviamo a riflettere in modo molto semplice sul termine “socializzazione”. In coerenza con quanto descritto sopra, non lo descriviamo a partire dai comportamenti e non solo a partire dal concetto di ruolo. Se definiamo la cultura come un insieme di significati condivisi possiamo pensare l’inculturazione come un processo che porta l’individuo a introiettare i significati condivisi nella cultura di appartenenza. Il deviante sarà allora non tanto e non solo chi si comporta in maniera diversa dalle aspettative ma chi attribuisce ai comportamenti propri e di altri significati diversi12, chi attribuisce significati diversi ad un evento, chi esperisce la realtà in maniera diversa, non condivisa con la comunità di cui fa parte; il comportamento è solo un segno di tutto questo. 4.La comunità’ che cambia Pensare all’animazione come ad una pratica di liberazione e di presa di coscienza significa credere che i “devianti”, gli aspetti “devianti” di ogni persona, di ogni gruppo, di ogni comunità debbano essere riconosciuti ed esplicitati dalla persona, dal gruppo, dalla comunità, meritino uno spazio di esibizione e legittimazione da parte della società e debbano poter concorrere alla costruzione dei significati condivisi collettivamente. L’animazione dunque non è mai una pratica che ha tra i suoi obiettivi la socializzazione così come l’abbiamo sopra intesa, non mira cioè a far introiettare ad una persona un insieme di significati condivisi dalla società in cui vive e non da questa. Questo è un processo utile, in parte inevitabile, fondamentale quando pensiamo ad un singolo che vive in una comunità, ma non è e non può essere un obiettivo diretto dell’animazione. L’animazione cerca di ribaltare la prospettiva, non mira a cambiare il deviante considerandolo tale.13. Cerca di costruire spazi di legittimazione e riconoscimento tra la cultura di cui il gruppo ed il singolo sono portatori e la cultura della comunità in cui sono inseriti. Prendere coscienza di cosa, dunque e ancora? Dei significati peculiari di cui io (o il mio gruppo o la mia comunità) sono portatore. Ma non solo. E’ importante prendere coscienza dei significati condivisi di cui la società (o gruppo, o comunità) in cui vivo (o il mio gruppo vive) è portatrice, rappresentarmeli e rapportarmi ad essi con un ruolo attivo, “critico”. 12
È chiaro che nella prospettiva qui proposta i comportamenti che metto in atto sono sempre pensati e connessi con i significati che attribuisco a questi comportamenti e con i “significati” con cui mi raffiguro il contesto. Se io vivo solo esperienze e mai eventi puri, ciò che sono in grado di “agire” , di esporre da parte mia sono esperienze; nel caso in cui io sono l’agente il comportamento, l’evento potrà sempre e solo essere “associato” ad un significato. I comportamenti diventano allora il segno, una traccia che mi può aiutare per risalire ad un possibile significato. Non stiamo pensando ad un essere totalmente razionale che individua in anticipo le sue azioni in base ad uno scopo, ma ad un soggetto che percepisce il suo comportamento come un’esperienza. 13 In realtà, c’è un caso in cui l’animazione ritiene deviante una visione della realtà, ed è quella che impedisce il processo stesso animativo. Nel caso di un gruppo che è portatore di valori che impediscono il processo di legittimazione e confronto di più culture l’animatore non può che confliggere senza tentare integrazioni o andarsene.
I significati, i valori, la visione della realtà di cui io ed il mio gruppo siamo portatori deve avere uno spazio di esibizione e di legittimazione. L’animatore, quindi, non si limita a lavorare in un gruppo avendo come obiettivo il cambiamento dei singoli, ma anche in una comunità per costruire spazi di legittimazione al gruppo e alla sua cultura, ai suoi valori, ai suoi progetti. Non c’è animazione se non c’è cambiamento, non solo. Non c’è animazione se non c’è cambiamento delle persone e non c’è animazione se non c’è cambiamento della comunità per le persone (nel duplice significato di: in favore delle, e attraverso le). Il lavoro dell’animatore non si conclude nella presa di coscienza, nello sviluppo dello spirito critico, ma è lavoro attivo di cambiamento della comunità perché due culture si incontrino e si riconoscano. Anzi è lavoro perché il gruppo prenda coscienza e pretenda il riconoscimento e agisca per ottenerlo. A questo punto, possiamo riprendere il riferimento fatto alla dimensione espressiva dell’animazione, che in un primo tempo abbiamo pensato come spazio e luogo di sviluppo e riconoscimento delle potenzialità della persona. In realtà, la dimensione, espressiva dell’animazione svolge la sua funzione anche nei confronti della comunità. Uno spettacolo teatrale, un concerto, un cineforum, un evento pubblico diventano l’occasione per esprimere la cultura di cui un gruppo è portatore e un’occasione di riconoscimento. Senza esibizione, senza politica, senza azione nella polis non vi è ne riconoscimento di sé da parte del gruppo nè legittimazione della comunità. 5. Verso quali rapporti? L’animazione avviene quindi quando c’è presa di coscienza e sviluppo del potenziale delle persone all’interno di un gruppo. Quando un insieme di persone, un gruppo o una comunità prendono coscienza dei valori di cui sono portatori, dei significati che condividono e dei significati della cultura più ampia in cui sono inseriti rapportandosi ad essa. Quando cercano uno spazio di legittimazione ed esibizione della propria cultura. E’ per questo che l’animazione non può che dirsi inter-culturale. Cioè una prassi che mira all’emersione, all’esplicitazione della cultura di un gruppo e alla creazione di spazi di confronto tra culture. Sia nel primo come nel secondo momento è quindi evidente che il gruppo è lo strumento ed il luogo perché questo avvenga (rispetto a questo tema rimandiamo ad un’altra parte del presente volume). Le due storie presentate all’inizio volevano rappresentare modi di intendere l’animazione più concentrati al cambiamento all’interno del gruppo il primo, e al cambiamento all’esterno il secondo. Quelli fino ad ora esposti possono essere elementi in parte (solo in parte) condivisi nel mondo dell’animazione. Quello che tuttavia crea maggiori motivi di conflitto, l’elemento più connotato ideologicamente, è relativo al modo in cui viene concepito il rapporto tra cultura di gruppo e cultura più allargata. Come è possibile che l’individuo partecipi in modo attivo alla costruzione di significati condivisi
collettivamente, cioè alla costruzione e al cambiamento della cultura in cui vive? Come è possibile che un gruppo eserciti il proprio potere all’interno della società? È possibile fare, comunque, un’affermazione preliminare: il possesso continuativo del potere è assicurato solamente dall’esercizio ricorrente anche se discontinuo di esso. Senza esercizio, il potere e la presa di coscienza di questo scompare. Le possibilità sono molte, possono variare da un gruppo che resta ai margini per progettarsi i suoi piccoli spazi di vita sociale ad un gruppo di persone che intende sovvertire il sistema di potere in un conflitto aperto, senza che siano possibili mediazioni.14 Possiamo immaginarci allora processi di disgregazione, di integrazione, di esibizione, di evoluzione, di rivoluzione. L’animazione in Vedogiovane Vedogiovane crede nel creare spazi di confronto, di mediazione; alcune volte il processo si ferma qui, con la fiducia che questo in seguito alla riflessione porti comunque un cambiamento. Emblematici di questa situazione sono gli scambi giovanili che, per loro stessa struttura, non permettono di pensare ad una convivenza tra i due gruppi di giovani molto prolungata e che quindi fanno del confronto l’occasione prima di apprendimento e cambiamento. Là dove sia possibile, il processo tende ad avanzare, il confronto porta ad un’evoluzione dei sistemi di significati condivisi ed arricchiti. La convinzione che guida quest’idea è che il confronto, il dialogo, permettano sempre di “scoprire” nuovi significati in grado di ri-significare il quotidiano. L’animazione in Vedogiovane è molto centrata sul lavoro con il gruppo, nella convinzione che questo permetta di ridare senso alla vita di tutti i giorni. Lo spazio più politico è gestito con una modalità che anche qui fa del confronto e della mediazione, della ricerca di nuovi significati, il suo cavallo di battaglia. Riportiamo un testo molto significativo, nato dalla riflessione di un gruppo di persone riunitosi in cooperativa alcuni anni fa. Il gruppo era composto da Michele Marmo, Lara Ponti, Michele Belletti, Valentina Rinaldin, Barbara Tamborini, Patrizia Valloggia. Sono necessarie due precisazioni. Il termine “significato” viene inteso dagli autori in maniera leggermente diversa da chi scrive; mentre si utilizza il termine “senso” per indicare la funzione connotativa, più ampia e generale di un’esperienza, si usa il termine “significato” come un movimento riflessivo della coscienza, il ritorno a posteriori su di un’esperienza. In secondo luogo, se obiettivo dell’animazione è il ridare senso, lo scoprire nuovi orizzonti di senso nella vita quotidiana attraverso un processo riflessivo, attraverso l’attribuzione di nuovi significati, è chiaro che lo strumento distintivo di questo modo d’intendere l’animazione è la rielaborazione in gruppo dell’esperienza. Questo spiega anche perché nella cooperativa sia così importante l’ambito formativo concepito come un luogo simile. Pur non venendo a sovrapporsi, 14
L’opinione personale di chi scrive è che questo in alcuni contesti sia inevitabile ed auspicabile.
formazione e animazione in questa organizzazione sono considerate pratiche molto vicine tra loro. 6.1 Animando la quotidianità15 Uno dei primi elementi che si incontrano lungo un percorso di analisi della categoria di quotidiano sembra essere la difficoltà dei soggetti di attribuire un significato pieno e coerente alla propria azione nel quotidiano. Quando ci si imbatte nella domanda sul significato di quelle azioni spesso automatiche, i doveri e le necessità sempre uguali, con le stesse persone, esplode più facilmente la dimensione depressiva, di resa impotente, che non quella costruttiva e gratificante. Ciascun individuo si trova a essere “gettato nel mondo”, inserito, cioè, in un reale che già possiede un senso, o meglio, molteplici sensi. Il senso appartiene alle cose, ma è ambiguo, polisemantico. Il senso anticipa l’uomo, lo precede e lo interpella a intervenire sulla realtà per poter, in qualche modo, dire una parola, appropriarsene, per non sentirsi spettatore. Dare significato alla realtà è quindi un’operazione alla quale non ci si può sottrarre ed è l’azione che qualifica l’esistenza. Questa azione intenzionale che imprime una direzione alla molteplicità dei sensi del reale, che orienta il senso del nostro vivere, che può animare il percorso esistenziale di ciascuno è il processo di attribuzione di significato. La costruzione del significato è un’operazione riflessiva, a differenza della percezione del senso delle cose, che invece rimanda alla dimensione dell’esperienza diretta del soggetto, spesso assunta come sensata in sé e per sé, in quanto esistente, già data. Paradossalmente proprio questa scontatezza, questa assunzione-senza-scelta di un contesto, sono all'origine del sentimento d’inautenticità e di difficoltà a riconoscere il significato dell'agire quotidiano. La riflessività della costruzione di significato richiede una epochè nei confronti di questa assunzione senza scelta per avviare un processo di visione lenta delle cose, di una sorta di moviola, che mi permette di cogliere quei frammenti che scorrerebbero visti e non osservati. Il processo di attribuzione (costruzione?) di significato all’azione nel mondo si sostanzia nella dimensione del progetto: a partire da esso è possibile comprendere (prendere insieme) la propria situazione attuale, la storia passata e futura; collocare, cioè, l’agire quotidiano in un orizzonte temporale ricco di significato. Il progetto come uno sporgersi rispetto al fluire confuso che l’essere gettato mi fa vivere. Un di più che rende autentico/originale il mio stare nel mondo. La definizione del progetto di ciascun soggetto è un atto relazionale, in un duplice senso: in primo luogo, perché il soggetto è immediatamente inserito in un contesto, costituito dall’incontro con gli altri; in secondo luogo, perché con l’altro costruisce un progetto comune, di appartenenza e convivenza, riconosciuto e condiviso. L’essere-con-l’altro di ogni uomo attesta la sua appartenenza a una storia, una cultura, una tradizione, una lingua. L’uomo, producendo se stesso, (ri)produce i 15
Il testo qui riportato è di Michele Marmo e Lara Ponti
sistemi materiali e simbolici che mediano il suo rapporto con il reale e che gli permettono la costruzione di un significato comunicabile e, dunque, condivisibile. La traduzione che ciascun soggetto compie del sistema simbolico di cui è generatore-generato è, tuttavia, sempre origine di scarti di significato, differenze, aperture rispetto all’originale: è in questo spazio che l’animazione radica la possibilità della trasgressione, dell’innovazione, del cambiamento, della costruzione di sistemi simbolici e relazionali nuovi, in grado di risignificare il quotidiano. Da questa considerazione si traggono due importanti corollari: la centralità dell’esperienza del gruppo, punto cardine del metodo dell’animazione, e la significatività di esperienze animative che non mirino espressamente a un cambiamento e destinate all’esaurimento. Il gruppo, infatti, si configura come lo spazio ideale per la costruzionesperimentazione di nuovi linguaggi e, soprattutto, della consapevolezza della legittimità di ogni linguaggio che non prescinda dal riconoscimento dell’altro. L’esperienza di gruppo che non si traduce in azione politica è parimenti significativa e importante, nella misura in cui consente ai soggetti di riconoscersi portatori di un progetto e li abilita a un processo di attribuzione di significato al reale. Il passaggio alla dimensione etica e politica dell’animazione e della sua opera di risignificazione del quotidiano si realizza attraverso il riconoscimento dell’autenticità dell’altro (cioè del suo essere portatore di un progetto). Nel momento in cui non vivo più l’altro come strumentale alla costruzione della mia identità progettuale, ma mi lascio interpellare dalla sua domanda/ricerca di significato, viene a fondarsi la possibilità della convivenza. 6.2. Il nostro punto di vista16 Quotidianità ed animazione si mostrano come termini alternativi: o l’uno o l’altro. Perché il quotidiano richiama la noia, la fatica e la ripetizione. L’animazione, invece, fa pensare al cambiamento, alla novità, alla bellezza. Addirittura l’uno parrebbe reso accettabile dall’altra. In una logica di impotenza e potere, di vuoto e pieno, di cupo e solare. Come se l’animazione fosse, nella logica pascaliana del divertissement, il luogo, il tempo e lo spazio mentale che rendono vivibile la quotidianità. In effetti c’è poca bellezza e novità da cogliere nelle giornate sempre uguali e logoranti di uomini e donne, di vecchi e bambini, nella fatica di vivere di chi abita alcune parti del mondo, in particolare del Sud del mondo, nelle conquiste sofferte di motivi per affacciarsi al giorno dopo, per scendere dal letto, per guardarsi allo specchio e incamminarsi nelle pieghe del giorno da affrontare. E allora ecco che l’animazione promuove il festivo, momenti di incantamento, di gioco, di incontro… magari anche momenti di fatica, ma di una fatica sensata, vittoriosa perché posseduta, come quelle delle avventure che ci piace raccontare e di cui siamo stati protagonisti. Ho chiesto ad un’amica, ricca di anni e di vita, di suggerirmi un’idea per cominciare a ragionare su quotidianità ed animazione. 16
Il testo qui riportato è di Michele Marmo
Lei ci ha pensato e poi mi ha dettato questa frase: “La sfida dell’animazione è l’arte di trasformare, a qualunque età, il quotidiano in un tempo che vale la pena di vivere” In questa concezione c’è indubbiamente un’intuizione di verità che è quella di constatare il bisogno di confrontarsi con la fatica a cui prima facevo riferimento e di immaginarsi spazi di tempo in cui sia possibile superare quella fatica trasformandola. E’ così la nostra vita: un alternarsi di tempi feriali e di tempi festivi, di spazi sacri e spazi profani in cui rincorriamo un filo di significato che possa traghettarci ad una condizione che valga la pena di essere vissuta. Ma questa affermazione risente ancora di una logica dualista. Vorrei che grazie ad un ripensamento sull’animazione fossimo in grado di andare oltre… Oltre la separazione. Ben dentro un progetto di vita dove sia valorizzato tutto ciò che è portato da ogni singolo uomo e da ogni groviglio di uomini, in cui il tempo feriale sia tempo della manifestazione del sacro, dove fatica e leggerezza danzino insieme perché avvinghiate ad uno straccio di senso a cui ciascun uomo contribuisce con il suo apparire sulla terra. E’ questa la prima testimonianza che vuole dare l’animazione: il senso è, in frammento, in custodia nell’esistenza di ogni uomo; l’incontro permette una progressiva costruzione/disvelamento di un progetto di senso collettivo. L’incontro come luogo di percezione di un più di senso… La relazione quindi da costruire… La difficoltà di costruire relazioni di qualità…17 Eppure questo è il bisogno! Non solo un bisogno individuale, ma un bisogno collettivo legato alla costruzione di senso che, pur abbarbicato alla vicenda individuale, si mostra in maniera maggiormente trasparente nella comunità. In questo contesto il percorso di animazione appare non tanto quindi una via ulteriore all’alienazione dal senso, quanto, piuttosto, un processo che valorizzando l’esistente cerca di svelarne la qualità intrinseca e progressivamente produrre un senso condiviso. Il compito dell’uomo nel tempo sarebbe, in quest’ottica, quello di co-costruirne lo sviluppo e la realizzazione. Non in contrapposizione con un Senso dato, ma come as-senso nella ricerca e nel tempo attraverso la costruzione della comunità di uomini. Questo permette a credenti e non credenti di incontrarsi nella ricerca, nella costruzione di un progetto di svelamento della verità nel tempo, che dia dignità di autonomia all’uomo e che non lo contrapponga necessariamente ad un Progetto ed a una Verità Altra. La dignità di questa ricerca passa allora anche tramite la dimensione della vocazione alla trasgressione rispetto al già acquisito, nella direzione di un progressivo non ancora raggiunto. Provo una citazione da Goethe (Faust,317): “Erra l’uomo finché cerca”. 17
Mi piace a questo proposito ricordare la riflessione filosofica di Levinas che pone la responsabilità in risposta all’appello dell’Altro come a priori dell’esistenza dell’io e quindi come condizione per poter definire l’umano.
A volte questo potrà avvenire tramite una logica di accumulo e a volte nella direzione della rottura. Mi vengono in aiuto l’immagine del mosaico e quella del caleidoscopio, per definire queste due modalità trasgressive rispetto al già dato: da una parte, l’approdo ad una visione che le tessere singole non possono dare e che risulta abbagliante nel fornire bellezza al frammento più apparentemente inutile. Dall’altra la scintillante visione di sempre sorprendenti e mutanti nuovi approdi, che pur all’interno di un contesto sempre uguale non possono essere predefinite. Mi rendo conto che queste immagini non dicono ancora bene la dirompente novità, quanto esiti insperati, inattesi o carichi di stupore all’interno di un paradigma già dato. Ma ci aiutano lavorare sulle idee. Pensiamo all’animazione come processo che vede coinvolti soggetti alle prese con l’assunzione di responsabilità nei confronti del proprio contributo alla costruzione di un senso comunitario. Esiste certamente, da parte di chi scrive, una visione ottimistica relativa alla costruzione collettiva, mentre, in realtà, è più facile constatare la difficoltà di comunicazione fra mondi anche vicini. Figurarsi fra quelli lontani. Ma è proprio qui che l’animazione può rivendicare un proprio ruolo propositivo, narrando di tutte quelle esperienze che hanno visto distanti somiglianze e vicine diversità farsi intreccio e trama di un racconto nuovo. Ci si incammina così in un cammino ulteriore: un cammino di ricerca rispetto allo specifico del proprio apporto, un cammino di ricerca rispetto a come incontrare il diverso apporto dell’altro, un cammino di ricerca rispetto a come integrare gli apporti dei compagni di viaggio.
COME VEDOGIOVANE VEDE I GIOVANI di Giovanni Campagnoli e Michele Marmo
“Non nutro più alcuna speranza per il futuro del nostro popolo, se deve dipendere dalla gioventù superficiale di oggi, perché questa gioventù è senza dubbio insopportabile, irriguardosa e saputa. Quando ero ancora giovane mi sono state insegnate le buone maniere ed il rispetto per i genitori: la gioventù di oggi invece vuole sempre dire la sua ed è sfacciata” Esiodo, 700 a.c.1 E chiaro che invece Vedogiovane la speranza per il futuro ce l’ha... Vedogiovane è una cooperativa sociale di animazione socio-culturale, che contiene già nel suo nome la propria mission..., e che ha la convinzione che le nuove generazioni siano già i cittadini dell’oggi che si preparano per il futuro e che grazie a loro la società andrà avanti anche stavolta. Quella di oggi è infatti una società “adultocentrica” che tende ad escludere categorie non ancora e non più adulte e quindi non ancora o non più produttive, in un contesto dove non vale più il precedente patto tra generazioni tipico della “società fordista”, ma sembra non essere ancora periodo di stipularne uno nuovo. Società che sembra cerchi di ritardare sempre più i momenti di ingresso nei giovani nella vita adulta e quelli del prendersi carico delle prime responsabilità, che sembra abbia abdicato al ruolo normativo ed educativo, e che se, e quando, si preoccupa dei giovani, lo fa in vista di ciò che potranno divenire in futuro (si pensi alla formazione scolastica) e non rispetto a ciò che già oggi sono, cioè da una parte dei sensori privilegiati rispetto ai problemi dei vari contesti sociali e dall’altra anche dei possibili “indicatori” di soluzione degli stessi. Per questo Vedogiovane ha scelto di occuparsi - invece di preoccuparsi - di giovani, agendo nella prevenzione, che vuol dire promozione (di socialità, di opportunità, di diritti), condividendo ogni giorno insieme a loro la ricerca di senso e significato, ascoltandoli ed accompagnandoli sul cammino del diventare adulti, infondendo coraggio, anziché paure, garantendo loro il diritto di sbagliare insieme alla pretesa dell’impegno, per raggiungere l’autonomia diventando cittadini responsabili. La scommessa di Vedogiovane è dunque di puntare sul protagonismo giovanile e sul binomio giovane-risorsa invece che giovane-problema. Di conseguenza la metodologia di intervento è quella dell’animazione socio-culturale2, 1
Citato in A. Ferrari Pozzato, G. Gallino, “Ascoltare gli adolescenti”, Edizioni Sonda, Torino 2000. Uno degli obiettivi dell’animazione (si rimanda, per approfondimenti, al Capitolo specifico) è la risignificazione del quotidiano, cioè un percorso di attribuzione di senso a giornate ed azioni che appaiono ripetitive, faticose, schiacciate sulla dimensione della pura esistenza. La relazione è lo strumento che consente di accompagnare adolescenti, giovani, adulti, anziani in questa faticosa presa di coscienza. Quindi vivere la relazione nella quotidianità è essenziale, passaggio necessario. Tuttavia l’animazione, deve
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caratterizzata da un agire progettuale che parte dai bisogni della persona e non dai problemi, fondato sulla relazione. Si tratta di bisogni fondamentali quali quelli dell'affettività e dell'amicizia, del dialogo, della comunicazione e dell'ascolto, del confronto, il bisogno di poter esprimere le proprie risorse e capacità, il bisogno di significati profondi. I destinatari sono prevalentemente giovani appartenenti all’area del “disagio della normalità”, anche se oggi alcuni progetti riguardano giovani privi di autonomia (handicap mentali), giovani delle periferie (o con la “periferia in testa”) e giovani privi di diritti (stranieri). 1. Tra storie e leggende Tra le tante leggende metropolitane che riguardano Vedogiovane, ne esiste una particolarmente interessante per capire quale l’approccio di Vedogiovane ai soggetti in questione. Sono le ore 20 di un giorno qualsiasi di una settimana qualsiasi di un anno qualsiasi della preadolescenza di Vedogiovane. Suonano il campanello del citofono e spingono contemporaneamente la porta di ingresso della sede più volte senza riuscire a superare il meccanismo infernale dell’apertura automatica (?). Significa che si tratta di persona non avvezza a frequentare questi ambienti. Infatti, dopo le opportune indicazioni per accedere al piano degli uffici compare un adolescente sui 18-20 anni che con aria decisa afferma di avere un’idea bellissima e che essendosi rivolto a comuni conoscenti si era sentito rispondere “ se hai una idea e la vuoi realizzare, vai in Vedogiovane!”. Sembra uno slogan pubblicitario, ma corrisponde a verità e dice molto sia del modo con cui Vedogiovane si è presentata sul territorio sia della concezione che Vedogiovane tende a promuovere nella relazione tra adulti e adolescenti e giovani. 2. Vedogiovane: per i giovani, con i giovani "Per i giovani, con i giovani" è un vecchio slogan che girava in Vedogiovane, a sancire quale fosse lo spirito sottostante il suo lavoro. L'impressione è che, ben lungi dall'essere passato di moda, quello slogan ancora sottolinea l'approccio al lavoro, il metodo, lo stile di Vedogiovane. Uno stile che permette di identificare Vedogiovane come un soggetto che dal giovane ha preso non la voglia di sballo o di idee incontrollabili, ma il desiderio e lo slancio verso obiettivi grandi, forti, rischiosi, supportati da una professionalità acquisita in più di dieci anni sul campo. Essere giovani come modo di fare: per andare a guardare dove altri si sono fermati, per ricercare bisogni ed esigenze delle quali mi importa sapere, per sperimentare nuove ipotesi di soluzione, per partecipare, per farsi sorprendere. Un soggetto che
promuove il festivo, il gioco, l’incantamento, l’evento eccezionale, perché è proprio nello scarto tra quotidianità e festa, tra normalità ed eccezionalità che si colloca la possibilità di attribuire nuovi significati all’esistenza. L’evento eccezionale ci pone in uno spazio in cui è possibile trasgredire, sperimentare nuove identità, nuove relazioni o modalità relazionali.
è giovane perché sempre in viaggio: un viaggiare ideale, permanente, che spinge a conoscersi. Quest'ultimo aspetto rimanda ad un'analisi del nome: “Vedo” è una prima persona singolare, non un infinito riferito a tutti e nessuno. Io mi assumo una responsabilità in prima persona: “Io vedo” e ciò che vedo mi dà una prospettiva, che in quanto prospettiva è limitata e mi rimanda ad altre cose. Sto dove sono oppure sempre io in prima persona vado a vedere altri luoghi: “vedo giovane” non per abitudine, ma perché io ci sono sempre, pronto a cambiare con il cambiamento. 3. La relazione adulti-non adulti Quali sono dunque i punti cardine del pensiero/azione Vedogiovane proprio in riferimento alla relazione adulti-non adulti? 3.1 L’accoglienza incondizionata di ogni giovane e dei saperi di cui egli è portatore È il racconto che è stato narrato: un atteggiamento di ascolto non giudicante dell’esperienza portata dal soggetto, convinti che il senso è, in frammento, in custodia nell’esistenza di ogni uomo. L’incontro tra persone permette una progressiva costruzione/disvelamento di un progetto di senso collettivo a cui ciascuno contribuisce con un suo pezzo e in cui ciascuno è riconosciuto come risorsa, qualunque sia la sua età e la sua condizione. Tradizionalmente la cultura occidentale tende, nel definire i periodi della vita, a sottolineare la centralità e superiorità gerarchica della fase adulta, quella dell’autonomia e della produttività sociale, rispetto alla quale vengono valutate le altre fasi: pre- e post-adultità diventano infatti le altre fasi dell’essere non ancora o non più adulto. In questa maniera si configura il binomio adulto-condizione di stabilità, di approdo in cui rimanervi il più a lungo possibile. Verrebbero valorizzati gli aspetti della razionalità e dell’efficienza a discapito di quelli affettivi ed espressivi, quelli dell’autonomia e autosufficienza contro quelli della dipendenza e appartenenza. Esiste un mutamento di prospettiva, in quanto si sta riformulando l’idea d’identità come compito e nodo critico di fronte a cui si trovano soggetti di ogni età, per cui l’età adulta non viene più percepita come stato, ma come movimento e trasformazione, cambiamento. A questa idea fa riscontro un’idea dell’adolescenza non più come un pedaggio da pagare, ma come modo d’essere tipico di chi si interroga sull’identità. Quindi come una dimensione dell’essere psicologico che è portatrice di saperi specifici. Per questo, da una parte, si potrebbe benissimo evitare di parlare di politiche giovanili, sostituendo tranquillamente questo termine con quello di politiche del cittadino. Dall’altra, risulta importante riconoscere quei valori, saperi, sensibilità, che sono nei giovani, come modalità tipiche di un approccio “omeopatico” alla complessità che costituisce una risorsa per la comunità, tutta. In quest’ottica ci sembra che evolva anche il concetto di comunità, non più vista come una costruzione a cui si deve accedere (il cittadino che acquisisce la cultura della comunità), ma a cui ciascuno porta il suo contributo.
Si tende così, per l’universo giovanile, a parlare non più di politiche per i giovani, ma dei giovani: intendendo con questo l’impegno a garantire e tutelare degli spazi fisici e culturali aperti ai giovani perché questi facciano “politiche” contribuendo alla costruzione della “cosa pubblica”. In un contesto di complessità, modernità, cambiamento, sono i giovani i più esposti, ma anche quelli che si adattano più velocemente (pensiamo all’utilizzo dei mezzi informatici che mette i giovani in condizioni di potere rispetto ai loro stessi genitori, ricchi di altro genere di risorse...) e che sono più pronti ad adeguarsi al nuovo con un sistema immunitario omeopatico, perché totalmente immersi nella comunità. Permettere l’incontro tra saperi diversi, dove i termini “adulto” e “non adulto”, più che fasce d’età raccolgono stadi di sviluppo diversi con sensibilità diverse, sembra essere la sfida per l’impegno degli anni a venire. Occorre un lavoro con le istituzioni per rimuovere quegli ostacoli che non permettono alle giovani generazioni di essere protagoniste della costruzione del proprio e altrui futuro, appropriandosi di quegli spazi di potere che spesso sono invece negati o non riconosciuti. Ciò riconoscendo ai giovani quella capacità contrattuale che comporta il rischio che questo possa avvenire in maniera conflittuale. La comunità intera è invitata a ragionare sui temi dell’interazione e integrazione della comunità giovanile al suo interno, quasi fosse una etnia tra le etnie che non è chiamata solo ad adeguarsi, ma a partecipare e determinare la costruzione della comunità. Spesso si è detto che bisogna investire sui giovani perché “saranno i cittadini del futuro”. Questa frase però ha in sé un elemento di ambiguità, cioè l’uso del futuro (saranno): infatti spesso non si riconosce che i giovani sono, già da ora, cittadini con sensibilità, bisogni, istanze ben precise delle quali le Amministrazioni pubbliche dovrebbero farsi carico, senza rinviare ad un domani o comunque investire sui giovani in vista di quel che diventeranno e non di quello che sono. Infatti anche questa seconda logica potrebbe essere fuorviante: si pensi ad esempio al sistema formativo progettato con logiche di questo tipo senza tenere conto di aspirazioni e desideri degli interessati, ma in vista esclusivamente di quel che dovranno diventare… Mentre il grado di civiltà e di "profezia" di un Paese si misura comunque sulla voglia di futuro e sulle responsabilità verso le nuove generazioni. 3.2 Il diritto al sogno e alla prova del sogno nella realtà L’esperienza di Vedogiovane e il suo tradizionale amore per l’animazione invitano tutte le parti dell’organizzazione a dare credito alle dimensioni creative e utopiche nel lavoro sociale ed educativo e al contempo ad esigere percorsi di concretizzazione di queste stesse dimensioni. Tutta la storia di Vedogiovane è metafora di questa convinzione: si può essere impegnati senza perdere la capacità della leggerezza, si può coltivare grandi sogni e impegnarsi in grandi realizzazioni, si può vedere giovane anche diventando adulti e diventare adulti non vuol necessariamente dire diventare cinici e poco generosi con sé e con gli altri.
Per questo molti sono passati di qui nella speranza di poter trovare uno spazio che rendesse pensabili i propri sogni e molti ci hanno provato. Questo diritto Vedogiovane vorrebbe non negarlo a nessuno. 3.3 Il diritto a progettare il proprio essere adulto e la necessità di esserlo in altro modo Proprio il rapporto giovani-adulti è uno dei temi portanti nel modo di vedere i giovani che ha Vedogiovane. Infatti se i giovani sembrano più egoisti, razzisti, non partecipi della vita delle istituzioni e con una scarsa fiducia in esse,3 non bisogna dimenticare che questi ragazzi sono il “prodotto storico-culturale” della società in cui vivono, di cui rispecchiano il modo di pensare. Figli di quei padri e di quelle madri, insicuri ed incerti nella gestione dei loro ruoli educativi, con una identità debole e in continua ridefinizione. Questo elemento certo non facilita le giovani generazioni nel processo di confronto/scontro con i genitori finalizzato ad elaborare una propria identità. Se è vero che in generale nel Nord dell’Italia,4 i giovani trovano più facilmente lavoro (con tempi più o meno lunghi), è altrettanto vero che rinviano l’assunzione di ruoli adulti con le relative responsabilità, ad esempio, rimanendo più a lungo a casa con i genitori. Si origina così un fenomeno particolare e tipicamente italiano: giovani con un’identità professionale formata, ma raramente giocata all’interno di un progetto complessivo d’autonomia. Terreno di complicità giovani/adulti in famiglia: i figli rimangono più a lungo a casa perché trovano più comodo restare al “caldo”, mentre le famiglie temono di perdere qualcosa, sia che si trovino nel pieno benessere (al Nord), sia che ricoprano una funzione di ammortizzatore sociale (al Sud). Per quanto riguarda la qualità del rapporto genitori/figli emerge che, pur se i giovani intervistati a prima vista dichiarano di avere un buon rapporto in famiglia, soprattutto dal punto di vista affettivo, non arrivano poi a confidarsi con i genitori. Quindi ci si trova di fronte a giovani che vogliono bene ai propri genitori, ma a casa non discutono, non fanno emergere problemi, attuano la pratica del silenzio proprio per prevenire possibili contrasti e vivere bene, in pace. Resta dunque solo l’affetto dato, poi l’evidente notevole gap culturale che esiste tra giovani ed adulti, unito alla mancanza di un confronto reale genitori/figli a cui si accennava. Con un rinvio, per i giovani, di assunzione di responsabilità. E’ abbastanza abituale in Vedogiovane,5 nel ragionare sui giovani, l’interrogarsi sul dove sono stati gli adulti, responsabili di questa generazione, quando questi giovani crescevano e affrontavano i loro normali compiti evolutivi. Siamo di fronte ad una abdicazione del ruolo educativo, con tutto quello che esso comporta d’impegno di costruzione di regole, di relazioni, di idee, di scenari per il futuro o ad un diverso modo di intendere questo ruolo? Si tratta della prima generazione di adulti che ha rinunciato ad occuparsi di educare la generazione successiva. Le strategie d’intervento mirano ad evitare che le istituzioni, in una società così complessa, lascino le famiglie sole nel difficile compito di educare questa generazione, e a fare in modo che gli adulti abbiamo qualche strumento per aiutare ed aiutarsi a crescere. 3
Come emerge anche dalle ricerche condotte da Vedogiovane, in particolare quella sul “Rapporto giovani ed istituzioni”, condotta nel 1997 in Provincia di Novara. 4 Ed anche nel Novarese. 5 Ci si riferisce in particolare anche ad alcune situazioni che emergono in progetti specifici, in particolare nella scuola.
E’ importante allora parlare di spazi di “formazione/incontro con i genitori”, intesi come occasione per stare con i giovani, apprendere e comunicare con loro, per provare ad agire la costruzione del vivere sociale fra generazioni, per provare a dare nuovamente senso al concetto e all’esperienza di comunità. Le difficoltà dichiarate dai giovani di avere fiducia nei loro coetanei, implicano per gli adulti la sollecitazione a ripensare il proprio ruolo assumendosi compiti forse inediti e faticosi, ma certamente generativi: colui che provoca, che pone domande, più che offrire risposte, che genera curiosità, inquietudine, stupore, spazi per ragionare per litigare, anche. Se essere adolescenti è quindi un po’ più complicato che in passato, anche i genitori dei ragazzi si scontrano con difficoltà sconosciute. Oggi il problema non pare più essere, almeno in apparenza, quello dello scontro generazionale esasperato; al contrario la famiglia, che tende a delegare ad altre strutture educative gli aspetti normativi del rapporto con i giovani, riserva per sé un compito di protezione che, se da un lato consente ai beneficiari di rimandare il più possibile lo scontro con gli aspetti più impegnativi della vita, d’altro canto rende arduo sia crescere sia giungere ad una separazione che sia vissuta serenamente da entrambe le parti.6 4. Come Vedogiovane vede il rapporto tra istituzioni e giovani Vedogiovane, nell’agire in modo coerente alla sua “mission”, si trova ad operare in una posizione di mediazione tra giovani ed istituzioni, in particolare Enti locali, sempre più tenuti ad intervenire per cercare risposte ad istanze portate dalle nuove generazioni. Rispetto a questo tema vengono in aiuto, nel fornire una chiave di lettura, i risultati della ricerca svolta nel 1997 in provincia di Novara “Giovani ed istituzioni”. Se infatti i ragazzi dichiarano di non partecipare alla vita delle istituzioni, percepiscono una certa distanza da loro ed hanno una scarsa fiducia in esse, probabilmente ciò è dovuto al fatto che i giovani non hanno un immagine positiva delle istituzioni. Quindi questa distanza non può essere più spiegata solamente in relazione alle sole vicende nazionali o di Tangentopoli: si tratta infatti di una distanza e d’una insoddisfazione vissuta anche a livello locale, di città o di piccolo Comune che sia. Dai risultati di questa ricerca emerge infatti che nei confronti della politica locale vi è un disinteresse da parte di quasi i tre quarti degli intervistati, che indicano l’impegno politico, con solo il 3,8% delle preferenze, all’ultimo posto tra le cose più importanti della vita. Ciò che risulta in maniera forte è il bisogno di sane relazioni con gli amici, la famiglia, la scuola, le istituzioni, gli “altri”. La bassa partecipazione a gruppi politici o di volontariato (peraltro coerente con la particolare fascia di età) è sintomo di un’evidente non-tensione verso un impegno “civile”. Questi dati fanno ancor più riflettere perché gli stessi intervistati sono giovani ben inseriti nella vita della città o del paese: infatti studiano, vanno al cinema (85,8%), praticano sport (66,4%), frequentano librerie (665), stadi (59,7%), 6
A. Ferrari Pozzato, G. Gallino: “Ascoltare gli adolescenti”, Edizioni Sonda, Torino 2000.
discoteche (59,4%), biblioteche (57,8%), musei (47,9%), convegni (30,1%), concerti (27,5%), teatri (24,2%). Inoltre il 79% degli intervistati esce almeno una volta a settimana ed il 36,5% sostiene che nel proprio Comune vi siano buone opportunità di stare insieme, di svago (31,5%), di cultura (26,5%) e di lavoro (10,4%). Si tratta dunque di giovani ben inseriti, ma non interessati alla vita politica - e quindi ad entrare in rapporto con le istituzioni più vicine - proprio perché insoddisfatti della scarsa attenzione che le istituzioni riservano nei loro confronti e delle iniziative loro rivolte (69% degli intervistati). E’ proprio questo indicatore che deve far riflettere ed aprire una via di lavoro: infatti sono ancora pochi i Comuni che investono sui giovani (33%) o in cui vi è una delega assegnata ad un amministratore per occuparsi di giovani. Inoltre, la percentuale destinata ad iniziative per i giovani sul totale delle entrate del Comune è troppo bassa (0,25%), se comparata con quella europea (2,25%, quindi ben nove volte meno). Ciò, più che per la mancanza di fondi, per la mentalità non progettuale che caratterizza l’agire delle Amministrazioni, piuttosto tardive a riconoscere le giovani generazioni come risorsa indispensabile allo sviluppo del paese, portatrici di nuove culture, di elementi di modernità indispensabili al progresso generale. Infatti il modo con cui si fanno (se si fanno) politiche giovanili indica la capacità del paese di occuparsi di se stesso, perché investe per il suo futuro (sul “Progetto” in senso lato). Un grosso ruolo devono giocare a questo proposito i Comuni, che hanno una funzione di centralità rispetto al ricostituirsi del senso di comunità, ma che ancora non sembra abbiano acquisito questa consapevolezza. Quadro dei principali risultati della ricerca “Giovani ed istituzioni” realizzata da Vedogiovane per l’Assessorato alle Politiche giovanili della Provincia di Novara, nell’autunno ‘97. I dati più rilevanti sulla condizione giovanile sono risultati: 1. Per quel che riguarda le cose importanti nella vita sono stati indicati alcuni valori: al primo posto l’amore (81%, contro il 77% a livello nazionale) vengono poi famiglia, amicizia, democrazia, lavoro (59% nel Novarese, contro il 50% a livello nazionale). 2. I motivi d’insoddisfazione: note dolenti sono gli insegnanti (30%, rispetto al 34% del dato nazionale); poi non soddisfa il modo di trascorrere il tempo libero, il luogo in cui si vive, mentre le soddisfazioni arrivano dalla casa, dal tenore di vita, da amicizie e dai rapporti in famiglia. 3. Fiducia nelle istituzioni: promossi scienziati e banche (con un dato eclatante: il 65% dei giovani novaresi, rispetto al 57% del dato nazionale, ha fiducia negli istituti di credito). Recuperano qui gli insegnanti, stimati sono i funzionari pubblici, poi polizia e carabinieri. I giornali sono apprezzati dal 46% rispetto al 55% in Italia. Non va meglio per le tv private: 43% nel Novarese, contro il 49 in Italia. 4. Politica e dintorni: Fanalini di coda nella classifica della stima: sindacalisti, governo, partiti e politici. Il 56% dei giovani novaresi è abbastanza orgoglioso di vivere nel proprio Comune, il 37% sostiene che le opinioni dei cittadini siano tenute abbastanza in considerazione dalle amministrazioni. Ma attività e strutture per giovani per giovani predisposte dai Comuni sono giudicate “mediocri” dal 44% ed “insufficienti” dal 25%, che sommati danno un preoccupante 69%. I ragazzi novaresi si sentono più italiani (28% nella prima risposta, 17% nella seconda), europei (25% nella seconda risposta) che affezionati al proprio Comune. I ragazzi ritengono comunque che il Comune in cui vivono dia buone possibilità di stare insieme, di svago e di cultura, ma molte meno di trovare lavoro (10%).
5. Partecipazione: è basso il livello di partecipazione ad iniziative che non siano legate a problemi della scuola e dello studio (68%) o dell’ambiente (21%). Solo il 5% si considera politicamente impegnato a livello nazionale ed il 2% a livello locale. 6. Droga, alcol, razzismo: mentre si allinea il dato provinciale confrontato con quello nazionale per quel che riguarda il contatto con gli alcolici (il 9% dei giovani si ubriaca abbastanza spesso ed il 28% qualche volta), preoccupano gli indicatori di contatto con la droga: infatti il 30% degli intervistati l’ha già presa in mano ed ha sentito il desiderio di provarla, il 40% si è già sentito offrire droga, il 55% ha visto qualcuno che la stava usando, il 70% conosce qualcuno che la usa ed il 62% ha già anche parlato con alcuni di loro. Altro dato preoccupante tra i giovani novaresi è il razzismo: infatti al 60% degli intervistati disturba il fatto che nel nostro Paese ci siano così tanti immigrati e circa la stessa percentuale dichiara che non è giusto che gli immigrati portino via posti di lavoro ai disoccupati del nostro paese. Inoltre, il 47% è convinto che gli immigrati tornino a casa loro. Solo il 33% è convinto che la loro presenza costituisce un arricchimento culturale.
Tutte le politiche che anche con “fantasia” hanno come obiettivo quello di inventare soluzioni ai problemi del lavoro, della formazione, della mobilità, della partecipazione, della socialità, delle “produzioni” culturali devono essere incoraggiate, perché si rivolgono al futuro e non più perché guardano ai giovani per “accattivarseli” ricercando solo il loro consenso. Un cambiamento di questo tipo è già in atto nei Comuni che - dopo la riforma della legge elettorale che ora prevede l’elezione diretta del sindaco, dal 1993 - sono percepite dalla gente come un’istituzione più partecipativa e senz’altro il più vicino “pezzo di Stato”. Questi cambiamenti in atto evidenziano (o devono evidenziare) capacità di governo, che vuol dire “elaborare progetti”. Nelle città quindi devono costituirsi senso di appartenenza e garanzia dei diritti di cittadinanza, devono essere dei luoghi di confronto e scambio (anche con il diverso), di relazioni: questa è la sfida che attende le nuove generazioni. Ma in realtà cosa hanno prodotto le politiche giovanili in questi anni? Senz’altro un dizionario comune, alcune metodologie di intervento (lavoro per progetti, di rete, sperimentazioni ecc.); hanno stimolato investimenti economici ed alcune ricerche sulla condizione giovanile. Cosa invece non hanno prodotto ancora prodotto le politiche giovanili? Una legge nazionale, un Ministero ed un organismo di rappresentanza nazionale. Probabilmente la carenza di questi strumenti è stata interpretata dagli Enti locali come una mancanza di volontà politica di investire sui giovani e ciò non ha permesso che nei Comuni vi fosse quell’autorevolezza per elaborare politiche giovanili, data dal dover applicare una legge. Sono mancati anche raccordi istituzionali, l’uguaglianza geografica degli investimenti, le soluzioni di alcuni problemi, la capacità di gestione della complessità (della società in generale e non solo dei giovani). I punti critici attuali sono invece quelli relativi al definire un ambito specifico delle politiche giovanili, evidenziando le priorità degli interventi “politici” che devono essere tarati rispetto agli obiettivi reali. Inoltre va assunto il “linguaggio” giovanile (perché espressione di una cultura che deve essere riconosciuta) nella progettazione, rimanendo l’istituzione, altro. Va tenuto conto dei bisogni di sicurezza e della necessità di una mediazione tra gli attori sociali, delle capacità necessarie per la gestione della complessità (senza evitarla o semplificandola)
inerente le politiche sociali, lavorare sui “non-luoghi” cittadini. Infine gli altri punti critici da affrontare sono: il riuscire a garantire la continuità degli investimenti, a fronte di una autorevolezza che manca, imparare a confrontarsi con la ricchezza di altre esperienze verificando la “trasferibilità” di alcune sperimentazioni, assumere responsabilità in termini di efficace gestione delle risorse, di capacità di ascolto del mondo giovanile e di adozione della complessità proprio come paradigma di lavoro. Un’ulteriore caratteristica di un percorso di lavoro con i giovani può essere il riconoscimento della necessità di gestire bene le risorse che si hanno, vista la riduzione progressiva dei bilanci pubblici e conseguentemente delle quote di bilancio destinate alle questioni di carattere sociale, tanto che in questo momento Progetti Giovani, politiche giovanili sono "optional" nell'ambito delle Amministrazioni pubbliche, nel senso che non sono spese obbligatorie o consolidate. Ci sono opinioni diverse all'interno delle amministrazioni sul fatto di aprire un capitolo di bilancio con questo fine, in modo che diventi una spesa consolidata e più difficile da rimuovere. Laddove le spese e gli investimenti per i giovani sono saltuari diventa più difficile intravedere una prospettiva di garanzia e sicurezza su questo ambito. Carenza di fondi ha significato anche carenza di risorse professionali e in condizioni di questo tipo è difficile realizzare politiche giovanili. Buona parte dei Comuni individua proprio, per l'impostazione di politiche giovanili, una corresponsabilità con altri enti territoriali, non solo di tipo finanziario, ma anche politica, istituzionale, culturale, cioè corresponsabilità con la Regione e la Provincia da un lato (si pensi alle ricadute della legge Bassanini), ma anche con i Comuni limitrofi dall'altro ed il privato sociale (le logiche consorzuali e di concertazione richieste dalla legge 285). E questo è senz'altro un dato nuovo rispetto ad una prima generazione di politiche giovanili in cui dominava l'unicità dell'esperienza. Oggi c'è la consapevolezza che certe sfide si vincono solo mettendo insieme in modo reale, concreto, risorse di diverse istituzioni pubbliche. Questo è un segnale di cui si deve tenere conto: visto che da solo non può fare molto, si deve ritagliare uno spazio non dell'erogatore di servizi, ma dell'attivatore-promotore-coordinatoreintegratore di risorse diverse tra cui le proprie e di altre istituzioni pubbliche e quelle altre realtà del territorio non pubbliche (Chiesa, associazionismo, gruppi, realtà di base). Questo elemento di caratterizzazione ne porta con sé un altro, che consiste nella necessità di riconoscere che forse è finita l'epoca dei progetti giovani visti come l'investimento a tutto campo nei diversi settori del lavoro, della cultura, dell'educazione e dello sport, cosa questa che ha caratterizzato parecchie esperienze di progetti-giovani nel decennio Settanta-Ottanta. Oggi la richiesta è probabilmente quella di un maggiore realismo, di un pragmatismo che emerge dai dati di alcune ricerche relative ai giovani e che oggi sembra essere sempre più richiesto anche alle amministrazioni pubbliche, e quindi questo porta con sé due aspetti: uno che consiste in un investimento intorno ad una maggiore capacità di scegliere obiettivi realistici e praticabili e quindi anche un senso di responsabilità nel promettere alcune cose sulle quali si possa ricostruire quella credibilità delle istituzioni che sembra, oggi come oggi, essere compromessa; l'altro che riguarda l'investimento per la riuscita di quelle poche, e non troppe cose, che si potranno fare, quindi lavorare per sviluppare appieno quel poco che si riesce a mettere in piedi piuttosto che sognare molto e poi non dedicare attenzione a quelle scarse attività che si riescono a sviluppare.
Per quello che riguarda le prospettive d’impegno concreto, di ambiti e interventi, sembra emergere una linea abbastanza sicura, un orientamento piuttosto consolidato e cioè quello d’investimenti in ambito culturale, quindi potenziamento delle capacità delle e abilità dei giovani nell'ambito della musica, dello sport e del tempo libero inteso in senso anche produttivo, cioè fare delle cose e poterle rendere visibili, sia rispetto alla specifica attività, sia nella possibilità d’incentivare occasioni di auto-organizzazione e autogestione di spazi: ad esempio un centro polivalente potrebbe essere gestito da adulti-operatori oppure cogestito in collaborazione con le realtà locali già organizzate. Sempre in questo ambito emerge l'esigenza di servizi a basso profilo e di servizi di orientamento (ad esempio fornire indicazioni in vari campi: dalla scelta degli itinerari per le vacanze, alla strutturazione dei propri percorsi formativi e d’inserimento lavorativo) ma senza grandi investimenti. L'altra prospettiva che i dati indicano come necessaria è quella di un recupero delle opportunità di crescita di tipo educativo, progetto questo che sarà attuabile per le generazioni immediatamente future, ossia che sarà rivolto a quei ragazzini che stanno ora frequentando la scuola media o la scuola elementare e che crescono in questo tipo di cultura negativa da un lato e positiva dall'altro. Forse un recupero della dimensione educativa della comunità può essere la migliore proposta di lavoro e questo vuol dire lavorare soprattutto intorno, da un lato, alla qualificazione della relazioni adulto-adolescente e, dall'altro, al sostegno, nei diversi modi in cui ciò è possibile, delle relazioni tra giovani, all'interno delle aggregazioni sia formali che informali. Questa seconda prospettiva operativa non si può vedere tradotta in cose strutturalmente precise e definite ma soprattutto come occasione di scambio, di sviluppo di occasioni di confronto e crescita anche del mondo adulto intorno alle questioni e ai problemi che invece attraversa il mondo giovanile. 5. Da che parte sta Vedogiovane Vedogiovane in questi anni ha partecipato attivamente alla vita del territorio in cui era inserita, puntando sempre a collocarsi a fianco di quelle esperienze che avevano sapore di sperimentazione e che accettavano di confrontarsi con un modello d’intervento animativo. Si è cercato di prescindere dalle pregiudiziali ideologiche di volta in volta messe in campo, a patto che si avesse di mira una migliore qualità della vita soprattutto per i giovani. In questi anni Vedogiovane si è andata caratterizzando per la funzione di mediazione svolta sia in singole situazioni d’intervento che in ambito di confronto culturale e sociale. Ha scelto di collocarsi in situazioni che promuovevano processi d’integrazione tra soggetti diversi e l’attivazione di risorse in termini di sinergia. Possiamo dire che Vedogiovane sta certamente dalla parte dei giovani e dalla parte di chi vede giovane e costruisce progetti di futuro.
RICERCA SUI NUOVI BISOGNI DI INFANZIA E ADOLESCENZA7 7
Il testo qui riportato è di Nadia Trabucchi (marzo 1998).
In occasione della attuazione della “legge Turco”8, in Vedogiovane è nato un gruppo di lavoro che ha promosso una ricerca, con il contributo del consulente Roberto Maurizio, sui minori, sui loro nuovi bisogni e sugli spazi che la legge offre per pensare, progettare ed avviare servizi ed interventi per infanzia, adolescenza e giovani. PREMESSA La legge 285/97, per essere adeguatamente usata, richiede una progettazione che nasce dallo studio dei bisogni, dall’individuazione di priorità al suo interno, da un esteso lavoro di rete attuato da parte degli enti locali. Sulla base di questa indicazione si è iniziato a lavorare indagando le rappresentazioni dei bisogni dei minori che hanno gli operatori di Vedogiovane: l’idea sottostante era che lavorare quotidianamente accanto ai minori permette di avere un punto di vista privilegiato sui loro bisogni; ciascuno è dunque portatore di una sua lettura delle loro necessità e, di riflesso, dei loro genitori, lettura che può anche non corrispondere necessariamente al vero, ma che contribuisce comunque ad una riflessione. Ciascuno è stato intervistato da un persona esterna a Vedogiovane, su domande e bisogni di minori e dei genitori, e sulla loro soddisfazione. Sono state condotte 18 interviste, dalle quali è stato estratto un report. I servizi di provenienza degli operatori Doposcuola di servizio di sostegno scolastico e supporto all’apprendimento per bambini dai Gozzano 6 agli 11 anni, da lunedì a venerdì, con pre-orario e mensa, 52 iscritti, 6 operatori Progetto Peep servizio di animazione volontario, ora si tiene il sabato o la domenica, nel quartiere popolare di Borgomanero, per ragazzi dai 4 ai 16 anni Progetto ricerca intervento finalizzata ad individuare i bisogni degli adolescenti fra i 14 adolescenti Suno e i 16 anni di età; ha coinvolto circa 250 persone; due operatori Progetto Ricerca-intervento finalizzata ad individuare i bisogni degli adolescenti fra i 14 giovani/adolescenti e i 18 anni; ha coinvolto circa 120 persone; una operatrice Pombia
METODOLOGIA DELLA RICERCA All’interno del gruppo di lavoro sono state concordate le domande che sarebbero poi state rivolte durante l’intervista. Gli intervistati sono stati contattati tramite una lettera alla quale era allegato il questionario. Ciascuno ha dunque avuto la possibilità di riflettere sulle risposte che avrebbe dato.
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Si tratta della Legge 285 del 28 agosto 1997, G.U. del 5 settembre 1997: “Disposizioni per la promozione di diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”.
Ogni intervista è durata 30 minuti, è stata registrata e sbobinata, dando origine ad un primo corposo report. Da questo primo prodotto sono stati estratti i bisogni che sono qui elencati. Sono stati raggruppati in semplici categorie per facilitarne la lettura e l’utilizzo, pur essendo in molti casi, una divisione arbitraria; sono stati raggruppati i bisogni dei genitori e dei ragazzi, a loro volta suddivisi nelle due fasce di età (4-14 e 14-18) ed è poi stata aggiunta una parte dedicata ai bisogni degli operatori in merito alla funzionalità delle cosiddette reti fra operatori, servizi e scuola. Griglia dell’intervista Il tuo ruolo è quello di testimone sociale privilegiato rispetto al tuo territorio (luoghi e persone): - definisci i confini del territorio cui ti riferirai; - prova a definire anche i confini dell’oggetto di cui ti consideri testimone. Una cosa sono le domande, altro i bisogni. Le domande sono quelle che vengono espresse esplicitamente (che cosa si chiede), i bisogni sono la fonte sommersa da cui scaturiscono le domande (che cosa ci spinge): Quali sono le domande che senti ripetere più spesso? E quali quelle più insolite? Quali bisogni ti sembra di individuare decodificando le domande? Bisogni di chi rispetto a chi? Dare nomi ai bisogni: cerca di utilizzare le parole che ti sembrano li definiscano meglio... Ti sembra che questi bisogni si possano aggregare fra loro in famiglie? Ti sembra che ci sia sensibilità a questi bisogni? Come valuti i servizi già attivati? Sono interventi efficaci? Domande e bisogni sono una risposta qualitativa. Che può essere corredata da una quantitativa: Rispetto a queste domande e bisogni individuati, hai dei dati da illustrarci? Tratti da quali fonti? Rispetto alle domande si può rispondere, rispetto ai bisogni si può intervenire... ma intanto il tempo passa e le cose cambiano: Quali domande/bisogni pensi di poter prevedere/anticipare? Su quali interverresti subito? E i soggetti interessati su cosa interverrebbero subito?
In generale, per ciascun intervistato è stato complesso scegliere delle priorità, mentre le domande sulla soddisfazione dei bisogni hanno fatto emergere le difficoltà che gli operatori vivono rispetto alla rete e hanno dato vita all’ultima parte del report.9
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Gli intervistati: Bernardi Marco, responsabile dei servizi; Campagnoli Giovanni, responsabile del Centro Documentazione; Cerutti Francesco, obiettore di coscienza ha lavorato al progetto Peep; Cerutti Manuel, obiettore di coscienza a Gozzano; Ferrero Ilaria, volontaria per il Progetto Peep; Giromini Debora, volontaria per il progetto Peep; Giromini Mara, operatrice al doposcuola di Pombia, volontaria per il progetto Peep; Marmo Miki, presidente di Vedogiovane; Martinetti Alessandro, volontario per il progetto Peep; Martinetti Marco, operatore per la ricerca-intervento di Suno; Omati Silvana, volontaria per il progetto Peep; Platini Maria Antonia, coordinatrice del doposcuola di Gozzano; Primo Ilaria, psicologa, operatrice doposcuola di Gozzano; Rinaldin Valentina, operatrice presso il doposcuola di Gozzano; Simonetti Isabella, pedagogista, operatrice presso il doposcuola di Gozzano; Tamborini Barbara, operatrice nella ricerca intervento di Suno e Pombia e all’Informagiovani di Varallo Pombia; Valazza Paola, operatrice presso il doposcuola di Gozzano.
I BISOGNI INDIVIDUATI 1. RAGAZZI dai 4 ai 14: Hanno bisogno che i loro bisogni vengano riconosciuti e che gli si dia visibilità sociale. Accade spesso che non si sappiano leggere, che gli adulti colgano solo quanto può fare comodo. queste stesse esigenze devono poi essere riconosciute socialmente, per una collettività veramente attenta ai piccoli. BISOGNI RELAZIONALI CON L’ADULTO: I ragazzi hanno bisogno di relazioni con l’adulto (insegnante, genitore, operatore) di tipo nuovo, che evidentemente non hanno, nelle quali vi sia: - possibilità di parlare e di essere ascoltati; - riconoscimento come soggetto che contratta, con il quale si stabiliscono insieme le norme; - contenimento e confini che di solito non ricevono dall’adulto (quindi anche norme); - fedeltà reciproca e presenza costante, nonostante le messe alla prova; - equilibrio fra invadenza e controllo (che vivono ad esempio con gli assistenti sociali) e abbandono; - rispetto dei propri bisogni, che sono individuali e non di gruppo; - accoglienza, essere accettati per quello che sono; - essere riconosciuti come bambini e non piccoli adulti; - vicinanza fisica; - rapporto privilegiato con l’adulto (uno ad uno); - essere riconosciuti come gruppo; - essere protetti da quello che può capitare di brutto; - chiarezza, non fare confusione fra le figure parentali; - avere intorno un ambiente di persone interessate, avere adulti importanti che fra di loro stabiliscono un buon clima (es. sono contenti se gli animatori parlano con i genitori). Questo bisogno è più manifesto nelle bambine. “... hanno bisogno di entrare a far parte della tua vita in modo stabile... e se manchi una volta ti chiedono insistentemente perché ...” “... hanno bisogno di continuare ad essere piccoli, di godersi il fatto di essere comunque ancora piccoli ...” BISOGNI ALTRI -
I ragazzi hanno bisogno di un luogo diverso dal solito dove giocare; giocare; attività e interventi che vengano organizzate ad hoc per età e bisogni dei singoli; imparare norme della convivenza civile;
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sostegno scolastico; imparare a organizzarsi; avere un gruppo di pari; imparare il rispetto degli orari; ridimensionare l’aggressività; esprimersi, (si possono usare canali comunicativi diversi); nutrirsi in maniera adeguata; fare cose diverse da quelle che si fanno a scuola; avere un luogo aperto non connotato religiosamente, per integrare le diversità.
“... chi non finisce la scuola dell’obbligo, finisce per lavorare in nero; e quello che viene allontanato come un problema privato, solo della famiglia, diventa poi un problema pubblico ...” BISOGNI LEGATI ALL’APPARTENENZA CULTURALE -
Non essere visti come diversi, integrarsi; bloccare l’isolamento che è progressivo; non avere un futuro predeterminato (come dalla cultura del Sud), poter fare delle scelte individuali; non restare obbligatoriamente analfabeta; uscire dalle ristrettezze date dalle attribuzioni del genere; rinforzare l’identità culturale; fare esperienze dell’altra cultura.
“... difficile dire le domande; anche perché non ci si aspetta risposte quando non ci si riconosce il diritto di fare domande ...” “... il bisogno fondamentale è la possibilità di avere scelte individuali fuori da quelle che sono stabilite dal clan; tutto è pianificato ...” “... il resto è un altro mondo e tu sei visto come uno che pur appartenendo al mondo che sta fuori, entra in comunicazione con te ...”
I BISOGNI INDIVIDUATI (dai 14 ai 18 anni) Hanno bisogno di persone che sappiano esplorare i loro luoghi, che con un contatto efficace leggano i bisogni quotidiani che difficilmente vengono esplicitati (sono “guardinghi”). Chiedono poi, espressamente, che l’intera comunità si faccia carico dei bisogni, che ci si attivi. BISOGNI RELAZIONALI - chiacchierare, stare insieme; - divertirsi;
- scoprire l’aggregazione per fare qualcosa di nuovo insieme, e non solo per andare in luoghi già strutturati; - riscoprire le relazione con l’adulto: quella con i genitori e gli insegnanti é per lo più fallimentare; - un adulto che possa dare un senso alle strutture costruite; - avere un gruppo di pari nel quale vedersi come sono: né adulti né bambini. BISOGNI ALTRI - Hanno bisogno d’opportunità, luogo per esprimersi, tutelati; - imparare a organizzarsi; - essere informati; - fare attività concrete; - autorealizzazione; - riscoprire l’impegno civile; - essere liberi quindi non assumersi responsabilità; - finire la scuola dell’obbligo, altrimenti saranno fuori per sempre; - luoghi strutturati dove già sanno cosa fare (es. al bowling giocano a bowling). - avere il “tempo libero” veramente libero; - le ragazze vorrebbero la libertà che hanno i maschi; - non c’è bisogno far interagire animatori e famiglia, anzi, la provenienza familiare viene nascosta (diversamente dai ragazzi più piccoli). “... La domanda è quella di essere rapiti, sedotti, conquistati al di là della loro volontà... senza assunzione di responsabilità...” “... si forma nei giovani una identità professionale, lavorano, ma non una completa autonomia, per cui restano a lungo in casa...” “... c’è stata un abdicazione del ruolo educativo quando questi giovani avevano 4, 5, 8 anni...”
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LA STORIA Silvana Omati Anghinelli Basta che siate giovani, perché io vi ami assai (Don Bosco) 1. Introduzione Ho accettato1 con entusiasmo e con una certa curiosità di prestare il mio aiuto per dipanare il gomitolo, talvolta un po’ aggrovigliato, di varie autobiografie dei principali protagonisti di "Vedogiovane": biografie che, s’intrecciano, si sovrappongono, talvolta si confondono, entrano nei dettagli 2. Non tutti gli intervistati erano già presenti un decennio fa; alcuni c’erano e attualmente si occupano di altro, altri sono arrivati qualche anno dopo, ma il “progetto” che ha, senza dubbio, coinvolto tutti, magari solo per qualche stagione, continua a evolversi, ad aggiornarsi, a ricevere contributi che lo diversificano, lasciando però viva, vitale, animativa (e come potrebbe essere diversa?) l’originalità e il desiderio di non perdere mai il contatto col mondo giovanile per il quale è nato. 2. Il rapporto con i salesiani Vedogiovane è nata in ambito salesiano, da animatori salesiani degli oratori di Asti e Novara, fondata dal responsabile della Pastorale giovanile del Piemonte Est attraverso l’esperienza del Movimento giovanile salesiano (M.G.S.). Per questo l’idea di aprire il capitolo citando un pensiero di don Bosco: sta scritto nella Bibbia un ammonimento che vale per ogni figlio responsabile: lo si invita a non vergognarsi di suo padre, anche se avesse ormai perso il senno! A maggior ragione, dunque, va onorata la memoria di un padre che, con criteri educativi più che validi ed urgenti per la sua epoca, ha speso la vita per i giovani: chissà che, partendo da lui e necessariamente, forse, diversificandosi, non gli si renda omaggio e si continui una strada che meglio risponda ad esigenze per il terzo millennio che ha più che mai bisogno di reciprocità e di proposte da offrire perché la vita continui ad avere un senso. 3. Le origini 1
Silvana Omati Anghinelli è l’autrice di questa parte di lavoro. Silvana è socia di Vedogiovane dal 1995. Condivide con Michele Marmo l’impegno a mantenere viva la dimensione del volontariato in Vedogiovane sia occupandosi di alcuni progetti specifici quali il lavoro di formazione dei volontari e il sostegno ad interventi con adulti e anziani, sia richiamando l’urgenza di continuare la riflessione sui temi tipici del Progetto Vedogiovane 2 Per questo lavoro ho intervistato Michele Marmo (fondatore e presidente di Vedogiovane dal '94) e Giovanni Campagnoli (vicepresidente, dal '95 al '98, oggi responsabile amministrativo), affinché ricostruissero i primi anni di vita di Vedogiovane e poi tutta la storia. Per il resto ho consultato i verbali delle varie assemblee dei soci e del Consiglio di Amministrazione. Nel secondo paragrafo invece ho intervistato una serie di persone che, avendo conosciuto Vedogiovane in periodi diversi, se sono fatta un'idea particolare e l'hanno raccontata.
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C’era, alle origini, un gruppo di una decina di persone: don Giuliano Palizzi3, Michele Marmo4, Marco Bernardi5, Lucia6 e Patrizia Bandiera7, Alberto Amisano8, Anna9 e Chiara Bazzano10, Massimo Favaretto11 e poi altre persone che facevano parte del Movimento Giovanile Salesiano... Quindi erano salesiani e laici quelli che animavano l’attività per i giovani dell’Ispettoria salesiana novarese: questi cominciarono a confrontarsi sull’ipotesi di costituire dapprima un centro culturale, poi una qualche realtà che permettesse di lavorare insieme e di dare più risalto all’esperienza animativa già vissuta insieme nei centri estivi.12 Si chiamò “Vedogiovane” un giornalino che faceva da collegamento tra coloro che gestivano i Campi animatori13: erano tutte persone, infatti, che vivevano questa esperienza prima dell’estate e poi lavoravano nei centri nella stagione calda. Questo desiderio, che era oggetto di confronto fin dai primi anni ‘80, diventa urgenza nella seconda metà degli stessi anni, finché facendosi pressanti le richieste di formazione di animatori anche al di fuori dell’ambito salesiano, l’ipotesi di costruire un soggetto che inizialmente poteva essere un’associazione o una cooperativa (ci fu all’inizio una grossa discussione sulla forma giuridica!) divenne un progetto concreto. Nell’inverno dell’anno 1987 si decide di andare in montagna, ad Etroubles, ai piedi del Gran S. Bernardo, per due giorni, a stendere la prima bozza dello Statuto. Precedentemente le riunioni erano state molte, con scadenze ravvicinate, e si intrecciavano le proposte: l’idea predominante era quella di concentrarsi sulla formazione all’animazione, ma era accompagnata da un interesse vivo per il tema delle comunicazioni di massa; già si lavorava sul cinema, sulla musica e sul teatro... Sede di queste riunioni era Novara, ma le persone venivano da Asti, Biella, Milano, Borgomanero. Il riferimento primario per la formazione sull'animazione era il modello proposto da “Note di pastorale giovanile”, anche perché don Giuliano era amico e aveva lavorato con Franco Floris, don Riccardo Tonelli e Mario 2
Nel 1988 responsabile della Pastorale giovanile dell’Ispettoria salesiana di Novara e quindi del Movimento giovanile salesiano di quel territorio; dal 1991 al 2000 è stato Direttore della Comunità del Collegio Don Bosco di Borgomanero. 4 Nel 1988 responsabile dell’animazione al Liceo Don Bosco di Borgomanero e già incaricato dell’oratorio di Asti 3 Nel 1988 responsabile dell’animazione del Liceo scientifico salesiano San Lorenzo di Novara. 6 Assistente sociale e animatrice di gruppi giovanili all’oratorio di Asti. 7 Maestra di scuola materna e animatrice di gruppi giovanili all’oratorio di Asti. 8 Diplomato Isef, è oggi insegnante di educazione fisica al Liceo Europeo Don Bosco di Borgomanero ed responsabile della Scuola Calcio di Asti. 9 Animatrice di gruppi giovanili all’oratorio di Novara. 10 Animatrice di gruppi giovanili all’oratorio di Novara. 11 Architetto, animatore di gruppi giovanili all’oratorio di Novara, insegnante presso la scuola media Don Bosco di Borgomanero. 12 Per una spiegazione dettagliata di questa esperienza animativa si rinvia allo specifico capitolo di questo testo. In sintesi, intendiamo una esperienza di attività giornaliere con fanciulli e ragazzi dai 6 ai 16 anni, durante il periodo estivo, con una forte connotazione animativa. 13 Si trattava di settimane residenziale proposte a giovani dai 17 anni in su che, mettendo a disposizione volontariamente il loro tempo per l’animazione dei centri estivi, venivano invitati a sviluppare le competenze necessarie per assumersi adeguatamente questa responsabilità.
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Pollo14. Inizialmente, infatti, si condividevano e si trascrivevano quasi integralmente nei materiali ad uso dell’esperienza di formazione articoli presi da quella rivista. La scelta definitiva del gruppo per la forma cooperativa è dovuta all'intuizione che questo strumento avrebbe permesso di gestire con maggior flessibilità eventuali futuri sbocchi lavorativi e rapporti professionali. Ormai i tempi erano maturi e, a Vigevano, fu redatto l'atto costitutivo. L’atto di nascita di “Vedogiovane” porta la data del 16 maggio 1988. Oltre ai nomi già citati, furono nomitati consiglieri anche Francesco Peronace15, Antonella Scanavino16 e Michela Bianco.17 4. Una storia d’animazione Il 1988 è un anno speciale per la Famiglia salesiana: si festeggia il centenario della morte di don Bosco. Michele Marmo, che era passato da Asti al Don Bosco di Borgomanero, avvia con i liceali dell’istituto un progetto di animazione e condivide il desiderio espresso da un gruppo dei più interessati di tentare un’esperienza che diventasse significativa fuori dalle mura della scuola stessa. S’individua così la possibilità di aprire una sede di Vedogiovane a Borgomanero e le proposte più forti diventano presto realtà. Infatti la prima sede della cooperativa era a Novara18 e l’apertura di una nuova sede a Borgomanero19 avviene l’8 dicembre ‘89, con l’obiettivo dichiarato di ricercare uno stimolante e impegnativo contatto diretto col territorio, che il Collegio Don Bosco certo non aveva.20 Infatti la connotazione iniziale di Vedogiovane a Borgomanero è fortemente culturale, tanto che come proposta caratterizzante partì subito il cineforum21 (la prima serata fu il 15 dicembre ‘89 con il film “Arrivederci ragazzi”, di Luis Malle), le cui edizioni si sono susseguite fine ad oggi. Ci furono serate musicali, una serie di concerti di musica jazz e la prima esperienza di concerto 14
F. Floris attuale direttore responsabile della rivista Animazione Sociale era redattore della Rivista Note di Pastorale Giovanile di cui don Tonelli era direttore e Mario Pollo, ricercatore al Labos, collaboratore di primo piano, che ha elaborato un pensiero organico che si è tradotto nella proposta dell’animazione culturale. 15 Francesco Cece Peronace era stato obiettore di coscienza all’oratorio di Asti durante la permanenza di Miki in quell’oratorio e da sempre animatore dei gruppi giovanili. Il 9 Aprile ’89 diventa vicepresidente. 16 Animatrici di gruppi giovanili dell’oratorio di Asti. 17 Michela Bianco era invece dell’oratorio di Novara e per i primi anni diede la disponibilità per permettere di collocare la sede sociale a casa propria, quindi non in una casa salesiana. 18 Sede di lavoro del presidente don Giuliano Palazzi, in carica ufficialmente fino al 9 aprile del 1989 e sostituito poi da una donna: Lucia Bandiera. 19 Si tratta di una sede su uno dei quattro corsi principali della città, con due vetrine ed accesso diretto dalla strada (tipo negozio), che diventa un punto di aggregazione per gruppi di giovani, la maggior parte provenienti dall’ambiente del Don Bosco. 20 In città infatti appariva come un luogo chiuso e autonomo, anche per il fatto che era finita la collaborazione con la Parrocchia nella gestione dell’Oratorio e le scuole salesiane (media, ma soprattutto Liceo classico) essendo non statali mantenevano una forte immagine elitaria e poco popolare. 21 Il gruppo di giovani è composta, tra gli altri, da Federica Mora, Patrizia Valloggia, Gaudenzio Godi, Emanuele e Francesco Cerutti ed Alberto Infelice (tutti studenti del Liceo Classico don Bosco); quest’ultimo sarà il futuro presidente dell’Associazione culturale “Vincent Vega” che nel ’95 si stacca da Vedogiovane per occuparsi esclusivamente di cinema.
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di band giovanili che si ispirarono ad una proposta già in atto in città (22 dicembre ’89: vedi la parte su “Musicaviva”). Infatti insieme all'oratorio di Borgomanero si promosse il "Concerto per un amico", in cui si esibirono alcune band giovanili per raccogliere fondi necessari ad un intervento chirurgico a cui doveva essere sottoposto un ragazzo che aveva avuto un incidente in auto. A questo concerto ne seguirono altri, ma la proposta musicale fece un salto di qualità quando si verificano due incontri. Il primo è quello tra Michele Marmo e Daniele Patumi (contrabbassista jazz di fama europea, ora residente a Pechino) che invita a Borgomanero musicisti e complessi di fama nazionale ed internazionale che si esibiscono nella rassegna organizzata da Vedogiovane nel '90 presso l'Auditorium Don Bosco. Poi Patumi ed alcuni di questi musicisti costituiscono la "Vedogiovane band" che esordisce a Borgo San Martino alla "Festa dei Giovani" (primavera '90), e poi a Saluzzo, sempre per una “Festa dei Giovani”, e partecipa a molte manifestazioni in diocesi ed in città come Piacenza, Borgo San Martino, Ferno, Verbania. Musica come ascolto e partecipazione, tanto che i concerti, che avevano come dominante il tema della pace22 (era l’inizio del '91, periodo della guerra in Iraq) riescono a coinvolgere il pubblico, il quale assiste allo spettacolo dotato di semplici strumenti a percussione, palloni per la ola, bandierona da stadio, palloncini…. E le piazze ed i palasport si riempiono… Così Vedogiovane si fa conoscere anche attraverso la musica. La proposta musicale (oltre a quella di cineforum) aggrega il gruppo di giovani che in quegli anni ruota intorno alla sede di Borgomanero, gruppo che cresceva sull’onda di un entusiasmo che contagiava altri giovani, specialmente quelli che già avevano vissuto o stavano vivendo esperienze di animazione al Liceo Don Bosco al giovedì pomeriggio. La musica però avvicinava già anche altri giovani di diversa estrazione: ad esempio, dopo aver chiesto la collaborazione di Vedogiovane, per organizzare con un gruppo di amici una spedizione in mountain bike in Islanda con altre sette persone, Giovanni Campagnoli si appassiona alle attività proposte dalla Vedogiovane. Poi chiede di poter svolgere il servizio di obiettore di coscienza presso Vedogiovane diventando poi uno dei soci sui quali si potrà contare e per impegno e competenza. E la prima attività di cui si occupa, insieme all'allora obiettore Massimo Rosa23, è nell'autunno del '91 quando (ed è il secondo incontro importante per l'esperienza musicale di Vedogiovane) il titolare di un nuovo locale di Fontaneto d'Agogna chiede a Vedogiovane24 di curarne il lancio, promuovendo un'iniziativa giovanile. Ecco allora che nasce il primo concorso 22
Il concerto divenne occasione per una riflessione sul tema dell’interculturaltà e della convivenza pacifica. Il villaggio di Nevè Shalom divenne simbolo di una proposta: cattolici, ebrei e mussulmani, europei, israeliani e arabi convivono con un progetto di educazione alla pace e alla convivenza che sta formando generazioni di israeliani. 23 Massimo è stato il primo obiettore assegnato a Vedogiovane, condividendo la gestione del suo impegno con il Collegio Don Bosco di Borgomanero. Esiste infatti una convenzione per gli obbiettori di coscienza tra il Ministero della Difesa e la Circoscrizione speciale Piemonte, che a sua volta coordina il servizio dei giovani obiettori destinandoli nelle varie comunità salesiane. Massimo viene destinato alla comunità di Borgomanero e di qui a Vedogiovane. Questa modalità, ormai divenuta prassi che non prevede più la suddivisione della disponibilità fra i due enti, è stata facilitata dalla presenza di don Giuliano Palizzi come direttore della comunità di Borgomanero. 24 Che nel frattempo si era strutturata con anche una funzione di segreteria.
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di band giovanili che si esibiscono al sabato sera per tutto l'inverno. La risposta di pubblico è davvero interessante: il locale si riempie ad ogni serata, si esibiscono diciotto band le cui performance vengono registrate ed il direttore della rivista Rockerilla seleziona le tre migliori band che partecipano alla finale. In questa serata il giudice stabilisce la band vincitrice che avrà la possibilità di incidere un demo in uno studio di registrazione a Gravellona Toce. Una formula analoga verrà individuata per l'organizzazione del primo concorso di band locali promosso nell'estate del '96 da Vedogiovane e dal Comune di Borgomanero (“Una città per cantare”: vedi la parte su “Musicaviva”). E’ caratterizzante di tutta l’esperienza di Vedogiovane l’aprirsi, ad esempio in campo musicale, al protagonismo dei giovani e, per quanto riguarda il cineforum, l’affidare ai giovani la programmazione rendendoli sensori attenti alle novità e alle possibilità d’imparare una professionalità sperimentandola. Nel frattempo la sede di Borgomanero registra altri "nuovi ingressi" che, come Giovanni, non provengono dal mondo salesiano: si tratta di Giulia Innocenti Malini,25 esperta di animazione teatrale e teatro sociale, coinvolta tramite Floriana Gavazzi26 che invece partecipa all’esperienza del Movimento giovanile salesiano, avendo conosciuto Marmo e condividendo l’interesse per l’animazione vissuta nell’Azione cattolica ragazzi di Brescia e per le comunicazioni sociali, interesse questo approfondito con la preparazione universitaria presso la Scuola superiore di comunicazioni sociali dell’Università Cattolica di Milano. Da questo ambiente provengono anche Rita De Giuli27 e Riccardo Laurelli28 che collaborano ad un progetto di educazione all’immagine per i Circoli culturali della Lombardia con Marco Bernardi. Si veniva creando questa immagine di struttura: la sede di Borgomanero con questi giovani scalpitanti e il Consiglio di Amministrazione che era formato da tutti gli “storici”, i più adulti, che di fatto non avevano una attività territorialmente collocata, ma si rendevano disponibili per le esperienze formazione per animatori, dedicando ad essa tutto il tempo libero da impegni di lavoro. 5. Il Consiglio di Amministrazione ed i cambiamenti di Vedogiovane nella prima fase 25
Giulia Innocenti Malini, ricercatrice e formatrice, collabora con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e con Crt (Centro di ricerca teatrale) di Milano per quello che riguarda i temi e l’esperienza del Teatro sociale. Socia della seconda ora e amministratrice per un triennio ha offerto un contributo fondamentale per la costruzione di un modello coerente d’intervento sia in animazione che in formazione Oggi continua la collaborazione su progetti specifici di formazione. 26 Floriana Gavazzi, oggi giornalista di Rai Tre presso la sede Rai di Bolzano, ricercatrice in Università Cattolica presso la cattedra di Drammaturgia Teorica, ha partecipato agli inizi di Vedogiovane per il suo interesse per le Comunicazioni sociali e per l’animazione di gruppi di adolescenti maturata nell’Azione cattolica. 27 Rita De Giuli, oggi è insegnante di Lettere presso il Liceo Don Bosco di Borgomanero. E’ lo stesso interesse per le comunicazione di massa che favorì l’incontro con Vedogiovane all’interno di un progetto di educazione ai mass media, collaborazione che è al momento conclusa. 28 L’occasione di incontro con Riccardo Laurelli è in parte la medesima, essendo Riccardo laureato in Giurisprudenza e diplomato presso la Scuola superiore di comunicazioni sociali dell’Università Cattolica e in parte si differenzia perché sarà l’esperienza da animatore di Centro estivo a Cossato nel ‘92 che aprirà una collaborazione che si traduce in un impegno lavorativo da animatore. Oggi, con il sostegno di Vedogiovane, lavora in un progetto di una Ong in Nicaragua.
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Come detto, il CdA era formato dai più adulti, dai trentenni, che già dall’aprile del 1989, lavoravano su un progetto di "Scuola animatori”29. La storia iniziale del CdA è fatta di cambiamenti e mutamenti rapidi, di nuovi ingressi che coinvolgono le persone che lavorano nelle zone dove l’attività di Vedogiovane è presente territorialmente. Per questo il primo CdA è territorialmente molto eterogeneo (con persone provenienti appunto da Novara, Borgomanero ed Asti), ma è anche molto omogeneo rispetto a ciò di cui si occupa, che è quasi esclusivamente la formazione. Sono infatti gli amministratori stessi a soddisfare le prime richieste d’incontri di formazione per i salesiani di Biella, per quelli di Asti, per il Centro di pastorale giovanile salesiano di Novara e per la Diocesi di Novara (a Pallanza e ad Arona). Gli introiti ottenuti da questi corsi per animatori vengono destinati alla copertura delle spese dell’onerosa attività iniziata a Borgomanero (cineforum, concerti, sede e quindi affitto). Si parla comunque di cifre minime, tanto che il bilancio del primo anno (1989) chiude in pareggio con ricavi e costi pari a L. 3.150.000. L’anno successivo la composizione del CdA varia territorialmente: infatti nel maggio del ’91, mentre ad Asti non si lavora più di tanto ed il baricentro è più spostato su Novara e Borgomanero, nel nuovo CdA non ci sono più persone di Asti, ma di Novara e Borgomanero. Si tratta di Lucia Bandiera, ancora confermata presidente, Michele Marmo vicepresidente, poi Patrizia Bandiera, Marco Bernardi, Giulia Innocenti, Floriana Gavazzi, Gianpaolo Saffirio,30 Anna Bazzano e Francesco Cerutti.31 I nuovi componenti portano senza dubbio un contributo di notevoli competenze e nuove modalità di lavoro: infatti le riunioni del CdA divengono mensili, ad ogni consigliere viene assegnato un settore di lavoro specifico; si sente la necessità di investire sull'autoformazione32 e sull'informazione dei soci, sulla sede di Borgomanero e sui Centri estivi (vedi la parte specifica), il cui numero infatti, nell’estate del ’91, cresce considerevolmente e sono commissionati da Enti locali, oltre che da Parrocchie ed Oratori salesiani33. Inoltre i Centri Estivi vengono preceduti da brevi corsi di formazione per animatori, che comprendono anche attività di programmazione delle attività quotidiane.
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Il cui avvio ufficiale, con tanto di qualifica professionale riconosciuta dalla Regione Piemonte, sarà solo nell’autunno ’97, in collaborazione con il Cnos (Centro nazionale opere salesiane), l’agenzia formativa regionale dei salesiani. 30 Gianpaolo Saffirio, presidente di Andromedia e Consortium, due imprese milanesi che si occupano di consulenza e formazione per aziende, si è avvicinato a Vedogiovane con Giulia di cui è marito. E’ stato presidente entusiasta e appassionato che ha portato una mentalità da impresa in cerca di professionalità in quell’organizzazione di amici che era Vedogiovane in quel momento. 31 Francesco Cerutti, fisico (laureato a Milano e ricercatore a Torino), il socio volontario da sempre, l’animatore di Centri estivi prima e il coordinatore poi, l’obiettore di coscienza, ecc. Insomma dalle origini ai giorni nostri una appartenenza sempre critica, a volte fisicamente distante, ma certa. 32 Di particolare importanza sono i corsi di formazione, a cui partecipano diversi soci, all’Arips (’89), quelli al Gruppo Abele di Torino, (dal ’92 al ’94), quelli all’Aps di Milano (dal ’94 al 2001), 33 In particolare, per anni l’Ispettoria Piemonte e Valle d’Aosta dei salesiana commissiona a Vedogiovane parte della gestione dei campi animatori: si tratta di corsi residenziali per animatori che saranno impiegati nei Centri estivi c/o i loro Oratori di provenienza. I corsi durano una settimana e costituiscono un percorso (campo 1, 2, 3, 4, 5) progettato tenendo conto dell’età progressiva dei partecipanti, dell’esperienza e delle competenze via via accumulate in questa alternanza di esperienza sul campo e formazione residenziale.
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Altra grossa novità è l’aver intuito la necessità di una segreteria (che permette l’apertura quotidiana della sede di Borgomanero),34che viene affidata a Giulia Innocenti. Sono le persone di questo CdA che si relazionano con formatori esterni (ad es. Guido Contessa) per aggiornarsi e progettare nuovi corsi di formazione da proporre sia all’interno che all’esterno. Tra questi,35 un percorso di educazione ai media sollecitato dai Circoli Culturali Lombardi in seguito alla lettera pastorale del Cardinale Martini sul tema della comunicazione. Infine, sempre il CdA, si occupa della progettazione dei “Sussidi di animazione per i Centri estivi”,36 che per il ’92, in occasione del Cinquecentenario, avrà come tema quello della scoperta dell’America, dal punto di vista degli Indiani, e tratterà il tema dell’interculturalità, delle differenze e della mondialità. Un anno dopo, nuoci cambiamenti all’interno del CdA:37 il 21 aprile 1992 infatti, eletto dall’Assemblea, prende forma un nuovo consiglio di amministrazione così composto: Gianpaolo Saffirio, presidente,38 Michele Marmo, vicepresidente, Marco Bernardi e Giulia Innocenti consiglieri. In questo primo periodo si registra un turnover molto elevato determinato dal fatto che Vedogiovane è costantemente in fase di espansione (vedi tabella). Il fatturato dei primi anni (in Milioni di £) Anni Fatturato Incremento 1989 3 1990 15 + 400% 1991 45 + 200% 1992 92 +104% Il nuovo CdA deve fronteggiare una fase di crescita e diversificazione delle attività dovuta dall’ingresso di nuove forze e competenze che permettono di 34
Grazie anche al fatto che si alternano dei volontari e l'obiettore Massimo Rosa. Negli anni ’91/92 ‘92/’93, curati in particolare da Rita De Giuli, da Riccardo Laurelli e alcuni loro colleghi milanesi. 36 La scelta di lavorare con i ragazzi all’interno di una cornice narrativa ha spinto alcuni soci, prima in collaborazione con la Pastorale giovanile salesiana, poi autonomamente, ad editare alcuni sussidi che, a partire da un romanzo per ragazzi famoso o dalla costruzione di un impianto narrativo originale, permettessero di elaborare una serie di proposte per sostenere il lavoro degli animatori. Così sono stati prodotti e commercializzati (tramite la casa editrice salesiana Elledici) i seguenti sussidi: • Non di sole carote (La Collina dei conigli); • Cari Hobbit, siamo in un bel pasticcio (Il Signore degli Anelli); • Ovverosia, la terra è rotonda (1992 - Cinquecentenario della scoperta dell’America); • Eur & Opà (1993 - Europa ); • Usa e getta (1994 - Campionati Mondiali di Calcio); • Destinazione Capolinea (1996). I sussidi, oltre a riprendere in sintesi la struttura delle narrazioni, proponevano itinerari educativi, una serie di strumenti per il lavoro a piccoli gruppi, giochi, canti e laboratori ed in alcuni casi, un itinerario di spiritualità. In sostanza tracciavano la proposta di lavoro per Centri estivi, campeggi, campi scuola o addirittura per l’attività di un gruppo per un anno intero. Insieme al sussidio venivano pensati alcuni gadget che caratterizzassero l’operazione estiva. L’oggetto classico e di culto era la maglietta di cui esistono esemplari sparsi per il mondo. 37 Anche se, da Statuto, gli amministratori durano in carica tre anni. 38 Si opta per una persona che non è del territorio (è infatti di Rho, nel Milanese), ma ha competenze e capacità gestionali e soprattutto conosce maggiormente il mondo delle imprese. 35
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ampliare gli orizzonti e ridefinire gli obiettivi di Vedogiovane. Inoltre necessita una maggiore attenzione la funzione relativa all’amministrazione39 e all’organizzazione del lavoro.40 Il CdA non smette comunque certo d’investire nell’ambito tradizionalmente a lui più congeniale, cioè quello della formazione per animatori: infatti Bernardi incomincia a prendere contatti con la Regione e altri Enti che si occupano dello stesso tema, mentre si costituisce una Commissione regionale per la definizione del profilo dell’animatore professionale e degli standard formativi.41 Visto il grande movimento di animatori che ormai ruota intorno a Vedogiovane (soprattutto nell’ambito dei centri estivi),42 il CdA incomincia a studiare strategie per evitare di disperdere il patrimonio umano e d’idee che questo movimento porta con sé. Così si propongono incontri e convegni sull’animazione,43 su temi socio-politici,44 fogli informativi ai soci, la possibilità per alcuni di partecipare, spesati da Vedogiovane, a corsi per operatori sociali all’esterno.45 Inoltre nel '93, insieme alla Cooperativa Tages di Novara ed alla Provincia di Novara si promuove un corso di formazione per coordinatori di Centri estivi, alla fine del quale ci sarà un convegno sull'animazione.46 Il CdA è consapevole che all’interno di Vedogiovane vi sono due anime (quella legata alla formazione e quella legata al territorio di Borgomanero che promuove concerti, cinema, incontri) che, pur tra molte difficoltà, si dilatano. E' sempre trainante l’entusiasmo che caratterizza ogni intervento, ma insieme cresce la consapevolezza che qualcosa sta cambiando: si stanno affilando le armi per verificare se Vedogiovane può essere un luogo di lavoro vero e proprio (per chi lo desidera) insieme ad un’esperienza giovanile di impegno volontario o di lavoro occasionale. Questo cercando di offrire a ciascuno la possibilità di esprimersi al meglio, tenendo conto dell’importanza di retribuire equamente l’impegno di ciascuno, preoccupati di evitare errori che potrebbero offuscare l’immagine di Vedogiovane, rendendo meno credibili i suoi obiettivi, 39
Si pensi che fino ad allora Vedogiovane aveva solo un libretto al portatore e non un conto corrente, che verrà aperto solo nel luglio del ’92, visto l’intensificarsi dei rapporti con gli Enti pubblici. 40 In particolare per quel che riguarda modalità di pagamento e relative tariffe. 41 Infatti nel ’92 si costituisce la Commissione (di cui Bernardi fa parte) e lavora nel ’93, passando il tutto al Consiglio regionale che la approva nella seduta del luglio del 1995. Dopo qualche anno l’Assessorato alla Formazione professionale pubblica i bandi relativi al finanziamento dei corsi all’interno del Fondo sociale europeo. 42 Nell’estate ’92 sono stati 15 i centri estivi gestiti da Vedogiovane (4 dei quali per conto dei Comuni di Ferno, Vedano Olona, Cossato, Quaregna e gli altri per conto delle parrocchie o dei salesiani), impegnando quasi un centinaio di animatori che hanno lavorato “in modo molto vicino alla professionalità”. 43 Il primo di questi incontri plenari (che coincidevano con l’Assemblea dei soci), condotto da Franco Floris, è stato il 20 settembre ’92, dedicato a favorire l’avvio di un lavoro di costruzione di un linguaggio comune tra quelli che lavorano in animazione. Il secondo incontro è stato l’anno successivo (19 settembre), sempre dopo la fine dei Centri estivi, ed è stato condotto da Pier Giulio Branca, con l’obiettivo di permettere una rielaborazione collettiva rispetto al modello di Centro estivo proposto. 44 In particolare con una serie di personaggi incontrati alla Cittadella di Assisi, dove alcuni animatori insieme a Michele Marmo trascorrevano alcuni giorni a dicembre e ad agosto in occasione del Convegno giovanile e delle Settimane di spiritualità della Cittadella In queste occasioni è stato possibile contattare LeoLuca Orlando, Bartolomeo Sorge, Ernesto Balducci, l’ecologista Enrico Tiezzi, don Aldo Ellena e altri ancora. Questi personaggi sono stati invitati negli anni a Borgomanero, in incontri organizzati insieme al Collegio don Bosco, presso l’Auditorium. 45 In particolare, il corso sul metodo in animazione e sulla funzione di coordinamento presso il Gruppo Abele di Torino. 46 Nell’aprile del ’94, a Novara, avente il titolo: “Animazione tutto l’anno: dai Centri estivi, a servizi di animazione continuativi”)
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recepiti a secondo della sensibilità personale e della capacità di investire in un progetto che non può essere che dinamico. Ma tutto questo lo si può perseguire, ed è giusto ricordarlo, solo grazie alla generosità di alcuni tra i soci che, anche a scapito personale, non rinunciano a sognare, a lavorare anche gratuitamente o non tenendo conto di ore ed ore dedicate alla stesura di progetti, a contatti importanti con altre realtà.47 Tutto questo lavoro dei soci, per quel che riguarda in particolare la formazione,48 fa sì che all'interno di Vedogiovane nasca, nel luglio del ’92, la "Commissione formazione" proprio per consolidare tutto il patrimonio di esperienza già concluse e per poter progettare e realizzare interventi formativi, riuscendo ad elaborare un pensiero intorno al tema dell'animazione. La fine del ‘92 e l’inizio del ’93, poi vedono due grosse novità: la prima è che Marco Bernardi49 e Giovanni Campagnoli50 cominciano a lavorare per Vedogiovane stabilmente presso la sede di Borgomanero; la seconda che Vedogiovane aderisce alla Confcooperative, prendendo progressivamente consapevolezza della cooperazione e dei movimenti cooperativi, consapevolezza che porterà alla trasformazione in cooperativa sociale, il 29 novembre 1993, così come previsto dalle legge 381/93. La formazione di un’identità personale è forse la chiave d’interpretazione di una maggiore ricerca di autonomia, anche dall’ambiente originario salesiano, (che vorrebbe sentire Vedogiovane sempre di più una sua emanazione, forse anche più controllabile), con il quale si avvia un percorso di chiarificazione, non sempre facile. Sembra arrivato infatti il momento di tagliare un cordone ombelicale che rischia di frenare alcuni obiettivi e la ricerca di una sana laicità aperta e responsabilizzante. Essere autonomi vuole però dire anche essere indipendenti economicamente ed il rischio è quello di perdere importanti (e prestigiose) commesse dal mondo salesiano. Si decide d’affrontare il rischio crescendo in professionalità per arrivare ad essere riconosciuti come soggetto autorevole nel campo dell’animazione. Così, da una parte si struttura meglio l’organizzazione51 e dall’altra continuano i momenti formativi e di elaborazione interna del pensiero,
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Non si tratta tanto di altre cooperative, e non per presunzione, ma ad esempio del Gruppo Abele, della Cittadella di Assisi, della Rivista Animazione Sociale e Note di Pastorale Giovanile, perché assorbiti totalmente da un progetto che richiama un po’ il logo che verrà poi scelto: un cielo azzurro, attraversato da nubi bianche che, però non riescono ad offuscarlo, ma fanno risaltare meglio lo sfondo! Un progetto che, ispirato anche da una costante partecipazione di alcuni soci insieme a Michele Marmo, agli incontri annuali di Taizè, cerca di saldare la dimensione verticale della trascendenza, con quella orizzontale della relazione aperta all’altro, partendo da una accoglienza incondizionata alle persone. 48 Sollecitata da una serie di commesse provenienti da soggetti diversi (corsi per insegnanti dell’Ucim, per l’area pastorale di Mosso S. Maria, due progetti pilota di formazione per l’Ispettoria salesiana su Novara, Vigliano e Biella, un corso d’aggiornamento per insegnanti dell’Itis di Borgomanero, un corso per le Suore Salesiane F.M.A di Torino). 49 Al termine della sua esperienza di vita nella Congregazione di S. Francesco di Sales (salesiani). 50 Infatti aveva cominciato il servizio civile e, dopo una parentesi di tre mesi presso il Convitto salesiano di Novara, poteva essere impiegato stabilmente ed esclusivamente presso la sede di Vedogiovane, a Borgomanero. 51 Organizzativamente si passa dai gruppi alle Commissioni, che affiancano quella già esistente della formazione; si costituiscono così la Commissione economica, quella del cineforum, della musica. Sovrintende il loro lavoro il Consiglio di Amministrazione e quindi, di fatto, si elabora un piccolo organigramma.
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confrontandosi con validi professionisti esterni.52 Questa disponibilità è un elemento che caratterizza il modo di lavorare e la forma d’apprendimento di Vedogiovane. Inoltre inizia un lavoro costante di promozione dell’animazione e delle politiche giovanili, che parte con l’autocommissionarsi una ricerca sui giovani del Borgomanerese. Si è trattato di un lavoro enorme53 avente l’obiettivo di verificare bisogni, aspettative, esigenze dei ragazzi, il rapporto con le famiglie, amici, istituzioni, la partecipazione alla vita della città. Il risultato di questo lavoro è stato l’essere riusciti a porre per la prima volta l’attenzione dell'Amministrazione comunale sui giovani54. Questa modalità di lavoro abbastanza originale, è caratterizzante l’intervento di Vedogiovane che agisce per “elaborare progetti e realizzare interventi finalizzati a fornire risposte alle esigenze del territorio, con particolare attenzione al mondo giovanile in conformità agli obiettivi dell’animazione socio-culturale”.55 La fine del ’93 registra oltre, come già detto, al passaggio a cooperativa sociale (29 novembre), la ripresa di una nuova strategia di rapporti con il territorio. Infatti, nel Biellese, i rapporti sviluppati con alcuni animatori56 impegnati nel lavoro con i Centri estivi nelle estati del ’92 e del ’93, portano il CdA a valutare progetti di collaborazione stabile con questi gruppi di giovani, lontani da Borgomanero.57 Infatti, nel marzo ’94, a Biella incomincia il corso per animatori di 500 ore58 commissionato dal Comune e si avviano i Centri d'incontro.59 Inoltre ad Asti, alcuni animatori salesiani60 chiedono di poter aprire una sede periferica di Vedogiovane, che verrà inaugurata ad inizio ‘94. Anche questa sede ha le stesse caratteristiche di quella di Borgomanero: è vicina al centro, 52
Si tratta, oltre che di Franco Floris (direttore della rivista Animazione sociale, di Pier Giulio Branca (formatore e consulente), di Roberto Maurizio (allora direttore dell’Università della Strada del Gruppo Abele), di don Riccardo Tonelli (direttore della rivista Note di pastorale giovanile), di Mario Pollo (docente Università Pontificia Salesiana – Animazione culturale) e Duccio Demetrio (Università Statale di Milano – Educazione degli adulti) 53 Il questionario (simile a quello delle ricerche Iard, ma elaborato in proprio, con 70 domande) è stato rivolto ad un campione di 700 giovani degli ultimi tre anni delle scuole superiori della città. I dati sono stati elaborati all'interno di Vedogiovane, con un software informatico realizzato in proprio. 54 Infatti la ricerca si è conclusa con un convegno (il 29 maggio 1993, promosso insieme al Comune di Borgomanero, che aveva successivamente finanziato in parte l’indagine), i cui risultati sono stati presentati da Roberto Maurizio e dal sociologo Franco Garelli, docente dell’Università di Torino. 55 Statuto, art. 4. 56 Si tratta in particolare di Katia Faletto e Gabriele Fracassi. 57 Nel frattempo infatti, con il trasferimento di Bernardi, la sede di Novara non era più operativa e l’unico animatore novarese che ancora collaborava con Vedogiovane era Michele Belletti che già frequentava la sede borgomanerese. 58 Non essendo ancora deliberato dal Consiglio della Regione Piemonte il profilo della figura professionale, il tentativo è stato quello di promuovere iniziative che ne evidenziassero le peculiarità attraverso l’avvio di alcune sperimentazioni di percorsi formativi. Il Comune di Biella avendo deliberato l’avvio un servizio di Centri d’incontro finanziato dalla legge 216 di prevenzione alle attività criminose dei minori, decentrato nei quartieri periferici della città, avverte l’esigenza di operatori qualificati a fornire questo servizio e chiede a Vedogiovane di progettare un percorso formativo. 59 Al termine del percorso formativo il Comune affida l’incarico a Vedogiovane anche della gestione dei Centri di incontri. Alcuni fra i partecipanti vengono selezionati come animatori, e l’esperienza dei Centri di Incontri si avvierà a costituire un banco di prova molto arduo per i pensieri e le azioni animative di Vedogiovane che gestirà l’appalto per molti anni da sola e poi in Associazione temporanea d’impresa con la cooperativa Maria Cecilia. Anche questa collaborazione faticosa e piena di problemi è stata una forte occasione di apprendimento. 60 Si tratta di Fabrizio Crescio, Viviana Canale, Simona Catalano, Massimo Gianoglio, Roberto Gallesio, Raffaella Giberti, Andrea Piano, Valeria Piantadosi. A questi si aggiunge il gruppo di animatori della parrocchia di Moncalvo che, al termine di un percorso formativo di più anni con Michele Marmo, decidono di associarsi a Vedogiovane.
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ha accesso diretto dalla strada, una vetrina e funge da centro di incontro per i ragazzi che ad Asti hanno Vedogiovane come riferimento.61 Sempre per quel che riguarda la territorialità, a Borgomanero la sede si struttura maggiormente: infatti si forma un gruppo di operatori che lavora in città a progetti diversi (cinema, musica, animazione ecc.) e ad inizio ’94 viene assunta a part-time Maria Antonia Platini62, con funzioni di segreteria. Gruppi e sedi periferiche fanno sì che si debbano stabilire i criteri di funzionamento, le modalità di rapporto con Borgomanero, i rapporti economici, in quanto non si tratta di soggetti diversi (nemmeno fiscalmente), ma di un’unica cooperativa che agisce su territori diversi. Per saldare questi rapporti, avviene un cambiamento all’interno del CdA: viene nominato vicepresidente un astigiano63 (Fabrizio Crescio) e Michele Marmo, a seguito delle dimissioni di Gianpaolo Saffirio, diviene presidente.64 6. La seconda fase: la gestione di una cooperativa sociale Se l’anno del ’93 si chiude con un aumento del 108% del fatturato rispetto al ’92 (che passa da 92 a 191 milioni, grazie all’incremento dei Centri estivi), il ’94 si apre con qualche preoccupazione. Infatti, nonostante un previsto aumento dei ricavi (legato, come già detto, alla commessa del corso animatori del Comune di Biella, dei Centri d’incontro, del doposcuola di Gozzano65 ed al fatto che l’editrice salesiana Elledici pubblicherà il sussidio “Eur e Opà”66), ci saranno molti più costi generali da sostenere, relativi alla gestione di due sedi67 ed alla scelta di internalizzare la funzione di contabilità e bilancio, assumendo una contabile part time.68 Si tratta della classica crisi di sviluppo che spaventa, soprattutto per quel che riguarda appunto l’aumento di costi,69 fino al punto di accettare sia l’incarico di distribuzione delle guide telefoniche per la città di Borgomanero, sia (per cercare di ridurre i costi) la richiesta di uno stage nell’ambito di un corso Enaip di formazione professionale d’informatica per tecnico di sistemi informatici.70 61
Le proposte principali della sede astigiana sono legate all’animazione di minori attraverso la gestione di doposcuola (a Canelli viene vinto il primo appalto per un tale servizio) e la proposta dei Centri estivi. A queste si aggiunge come specifico la gestione di iniziative sportive rivolte ai giovani della città di Asti. 62 Oggi psicomotricista. 63 Interessante notare che da questo momento, gli incontri del CdA avvengono sia a Borgomanero che ad Asti. 64 Le dimissioni di Gianpaolo sono legate, da una parte alla necessità di nuovi progetti professionali che coincidono con l’avvio di una nuova esperienza aziendale nel Milanese (Andromedia e Consortium) e dall’altra al disaccordo rispetto allo sviluppo organizzativo che Vedogiovane assume su scelta dell’assemblea (due sedi territorialmente distanti e con un dispendio di risorse molto forte) 65 Si tratta di un servizio per il quale la Curia ha richiesto l’intervento di Vedogiovane affinché venga garantita la continuità nell’offerta di un servizio alle famiglie e che Maria Antonia Platini ha coordinato. 66 Si tratta di un sussidio edito per l’animazione dei Centri estivi incentrato sull’educazione interculturale in occasione del processo di unificazione europea. 67 Oltre che a quelli legati all’indispensabile acquisto di un pulmino Wolkswagen blu nove posti per la sede di Asti, che poi è stato trasferito a Borgomanero. 68 Si tratta di Roberta Fantini., neodiplomata presso l‘Itc di Borgomanero. 69 Anche se a fine anno apparirà ingiustificata, in quanto i ricavi aumenteranno del 64%, arrivando a 314 milioni, superando, oltre che i costi, anche la soglia di piccola impresa. 70 Questo primo esperimento abbastanza improvvisato ha permesso di comprendere le potenzialità nell’offrire un’esperienza di stage in Vedogiovane, promossi in particolare dalla Facoltà di Scienze dell’educazione di Torino e
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Il fatturato di Vedogiovane nell’anno ha un notevole incremento, ma crescono i problemi economici e finanziari, dovuti al ritardo dei pagamenti da parte degli Enti per i quali si lavora71 e alle spese di gestione della sede, del personale amministrativo e di quello impiegato nei servizi. Il passaggio dalla prima alla seconda fase di sviluppo di Vedogiovane non è indolore: infatti alcuni soci si dimettono (generalmente per impegni professionali, di studio o per la preoccupazione che la maggior attenzione alla dimensione economica possa intaccare la “purezza” di Vedogiovane), ma altri entrano a farne parte ed il numero di questi è decisamente superiore rispetto ai quello dei dimissionari. La continuità dello sviluppo è dovuta alla progressiva presa di coscienza (legata anche alla crescita personale e professionale) di un nucleo di soci fondatori. Lo sviluppo di Vedogiovane nella seconda fase Anni Fatturato Incremento 1994 314 + 64% 1995 580 + 85% 1996 709 + 22% Questa crescita rilancia anche nuovi interrogativi legati alla dimensione valoriale: infatti, se i principi ispiratori di Vedogiovane sono già espressi ufficialmente nello Statuto, i significati sono interpretati in contesti diversi,72 e deve essere esplicitata chiaramente e condivisa la direzione in cui si vuole andare, che traduca nel quotidiano il complesso sistema valoriale. Infatti dai valori “storici”, maturati attraverso l’esperienza vissuta dal 1988, si passa ai “valori emergenti”, arrivati attraverso il processo di cambiamento innescato in questi ultimi tempi. Si approda così ad un confronto con i “valori della cooperazione sociale” e della solidarietà. Altrettanto complessa è la cultura dell’organizzazione in quanto coinvolge soggetti diversi (CdA, sedi, commissioni, gruppi di lavoro ecc.) e si vorrebbe verificare in questi ambiti73 il significato che assume il termine “animazione”. dell’Università Cattolica, dall’Università Bocconi, dall’Istud (Master Non profit) dell’Università Cattolica: infatti sono molti i tirocinanti che nel tempo si sono succeduti in Vedogiovane e che spesso sono stati poi assunti in Vedogiovane: Margherita Mora, Lucia De Zuani, Monica Barison e Chiara Valsesia, Katia Gasparetto, Nadia Trabucchi, Wilma Franceschina, Alessandra Piccioni, Gabriele Gavinelli ecc. Forse non consciamente, Vedogiovane aveva adottato questa modalità per reperire e selezionare risorse umane. Il fatto di poter condividere gli oggetti di lavoro tipici per un periodo relativamente lungo ha permesso un processo di reciproca scelta: da una parte Vedogiovane poteva conoscere e verificare le competenze delle persone sul campo, dall’altro le persone in questione potevano conoscere l’organizzazione nella sua prassi lavorativa. 71 I rapporti con le banche infatti sono difficili da gestire, in quanto Vedogiovane (ed i suoi giovani amministratori, al primo impiego) non aveva garanzie reali da offrire come controparte di anticipi consistenti, che permettessero il versamento puntuale dei contributi previdenziali ed assistenziali ed il regolare pagamento di stipendi ai soci lavoratori. 72 Significa sia persone, ma anche settori di intervento, territori, oggetti di lavoro. 73 Qual era in fin dei conti l’idea Vedogiovane. Il primo pezzo di idea ha a che fare con l’animazione, il secondo con i giovani e il terzo con un modo di vedere la realtà. I primi due mi sembrano chiari, o meglio: per il primo c’è un maestro riconosciuto, don Guglielmo Aldo Ellena, da cui possiamo attingere. Riprenderei le sue frasi e tutta la rielaborazione di esperienza di chi lo ha seguito. L’animazione è una pratica sociale che mira al cambiamento attraverso la partecipazione…Per noi l’animazione è sempre stata, ed è ancora, una pratica sociale finalizzata alla presa di coscienza ed allo sviluppo del potenziale. Il suo fine ultimo è dunque l’aumento della libertà e del potere degli individui, dei gruppi, e delle comunità. All’inizio di Vedogiovane l’attenzione e gli sforzi del gruppo dei soci era concentrata su due obiettivi.
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Con questo passaggio a cooperativa sociale comincia dunque la seconda fase di sviluppo di Vedogiovane. Oltre a quanto già detto, dal punto di vista organizzativo, si cerca una maggior “professionalizzazione” dell’attività, pur volendo mantenere ben evidenti e di pari dignità le dimensioni lavorative e di volontariato. Si allarga la cerchia d’esperti e consulenti coinvolti, ricercando una maggior qualità di competenze per i problemi trattati e si avvia un percorso di consulenza interna (curato dalla dott.ssa Brunner, dello studio APS di Milano) il cui esito finale è la necessità di una maggiore strutturazione organizzativa74 e quello di una scelta definitiva da parte di chi75 vuole realmente affrontare la sfida di costituire una vera e propria “impresa sociale”.76 Per quel che riguarda la formazione, la novità è l’aver avuto accesso ai programmi di formazione interni finanziati dal Fondo sociale europeo,77 rivolti agli operatori dei servizi socio educativi di Vedogiovane (Centri d’incontro di Biella, doposcuola di Gozzano e di Asti). Inoltre, come da tradizione, si prepara il sussidio per l’estate del 1995 inerente al cinema, nel centenario della sua invenzione. Altra novità di rilievo, a Borgomanero, è l’esperienza del laboratorio politico di “Vivere la città” e la distinzione chiara tra attività lavorativa e progetti di volontariato. Infatti, proprio su questo tema, è importante ricordare il prezioso apporto recato a Vedogiovane dai volontari, che si è trasformato (o meglio consapevolizzatato o esplicitato) nel tempo. Infatti inizialmente non c’erano volontari (o lo erano tutti), perché anche gli eventuali giovanissimi animatori impiegati nei primi (ma sempre più numerosi) Centri estivi ricevevano un rimborso spese. Nello stesso tempo, Il primo: diffondere il metodo dell’animazione, vivendolo come gruppo e quindi con elementi di maggior chiarezza. Il secondo: far riconoscere il ruolo dell’animatore professionale puntando alla sua formazione. Ora che è cresciuta, diventando un’ organizzazione di per sé complessa, la scommessa e l’intenzione sono quelle di gestire tale organizzazione con quel metodo e di offrire alla comunità la professionalità dei suoi animatori”. “Un socio animato e animatore, che agisce l’animazione e in questo modo la promuove”. Il tema che si apre è “come può un’impresa promuovere l’animazione: ovvero, al di là dello scambio (risorse economiche per risorse umane), che spazio può avere il dono?”. E altri temi si affacciano: …il desiderio di costruire uno spazio in cui i giovani fanno un’esperienza di lavoro non rinunciando ad una dimensione ideale, valoriale… ... un po’ di young pride? Ragionare se i giovani cittadini sono portatori di saperi e cultura propri… ... il desiderio di costruire progetti con la partecipazione di tutti: questo rivolto ai giovani stessi (gli adulti sono tormentati dalla presunta mancanza di partecipazione), ma rivolto anche all’organizzazione… il sogno di un progetto costruito con il contributo di punti di vista diversi… Un cruccio iniziale era se la scelta cooperativa fosse stata la forma organizzativa più adatta a rendere visibili le intenzioni di promuovere l’animazione lavorando (si poteva scegliere anche di farlo come volontari). Qui i fondatori soci prendono posizione: Vedogiovane rappresenta un progetto, i cui elementi costitutivi sono quelli raccontati in precedenza, ma che non può essere esaurito da questa formula organizzativa; resta per ora quella che è servita a permetterci di realizzarne una parte. 74 Avvenuto, anche simbolicamente nel marzo del ’96, con il cambio di sede, trasferita in un luogo più decentrato, al primo piano, senza più accesso diretto dalla strada, ma con maggiori spazi di lavoro (cinque) ed un’aula formazione. 75 Si tratta, in particolare, delle quattro persone che nell’aprile del ’95, faranno parte del nuovo CdA: Giovanni Campagnoli (che ha finito il servizio civile e si è laureato), Marco Bernardi e Maria Antonia Platini (che già lavorano a tempo pieno in Vedogiovane) e Michele Marmo, che decide di concludere la propria esperienza di vita all’interno della Congregazione salesiana per dedicarsi a tempo pieno al progetto Vedogiovane. Sarà questo il primo CdA della storia di Vedogiovane che rimarrà in carica tre anni, fino all’aprile ’98. 76 La partecipazione ai percorsi formativi organizzati dallo Studio Aps sollecita Vedogiovane verso una riflessione sul tema dell’organizzazione che prende forma attraverso una consulenza di Louisa Brunner sulla cultura organizzativa di Vedogiovane. Il lavoro è strutturato a partire dalla somministrazione del Symlog elaborato da Consulting Group. 77 Grazie al fatto di aver aderito al Consorzio di formazione Conedis di Torino.
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però, non è esatto affermare che il volontariato non era presente alle origini. All’inizio tutti lavorarono volontariamente ed alcuni altri hanno continuato a farlo, almeno in parte. Riuscirebbe davvero difficile quantificare il lavoro svolto gratuitamente da diversi soci! La prima esperienza di volontariato “esplicitata” potrebbe situarsi in occasione dell’arrivo dei ragazzi di Mostar; ma se ne capì l’esigenza in Borgomanero, quando si conobbe più da vicino la difficile quotidianità sia familiare che scolastica vissuta dai bambini e dagli adolescenti delle case popolari provenienti dal Meridione e poco inseriti nella comunità locale. Si può affermare che, anche se con forze limitate, ma costanti nell’impegno, un gruppetto di volontari ha anticipato alcune delle proposte presenti nella legge Turco, a partire dall’autunno del ’94. 7. La terza fase: la gestione di una “impresa sociale” Nel ‘96 incomincia un’altra nuova fase, quella della gestione di una “impresa sociale”: si consolidano le conoscenze ed i contatti di anni di lavoro,78 coinvolgendo persone esterne a Vedogiovane ed altri Enti, in accordi di sviluppo comune. Si risolvono i primi problemi legati al finanziamento, al “sostegno” delle attività e del “progetto” in sé, all’organizzazione interna e alla formulazione di efficaci strategie esterne.79 Si promuove, all’interno, la nascita di soggetti diversi, autonomi, uniti in formule organizzative che sperimentino nuove ed efficienti modalità di lavoro (es. affiliazione a Vedogiovane sia dell’Associazione nata per la gestione dell’appalto di un impianto sportivo di Asti vinto da Vedogiovane, sia dell’Associazione Musicaviva, nata a Borgomanero da un gruppo di giovani soci, vedi parte relativa). Verso l’esterno invece Vedogiovane, come detto, aderisce al Consorzio Conedis di Torino (soprattutto per la gestione dei rapporti con il Fondo sociale europeo), frequenta il Cergas Bocconi, l’Istud dell’Università Cattolica e lo Studio d’analisi psicosociologica Aps di Milano (per essere formati ed informati sul settore in cui si agisce) e si dà vita ad “associazioni temporanee d’impresa” per la gestione di appalti particolarmente complessi e di valore piuttosto elevato.80 Per quel che riguarda la formazione, il grosso risultato è l’avvio a Borgomanero del corso triennale per animatore professionale.81 La mole di lavoro richiede lo 78
In particolare Monica Colombo, docente di psicologia sociale all’Università di Torino e formatrice, collabora alla progettazione e gestione di percorsi di formazione interna e non, condividendo con molti in Vedogiovane l’esperienza formativa vissuta presso lo studio Aps di Milano, offre un contributo prezioso per la qualità dei percorsi formativi. Andrea Gaggianese, amministratore con indiscusse competenze economiche (è uno dei bocconiani della Vedogiovane), offre da volontario il suo contributo alla gestione dell’impresa, Patrizia Valloggia, socia fondatrice dell’esperienza borgomanerese, è stata amministratrice ed ora offre il suo contributo qualificato di insegnante di lettere all’interno del progetto Liceo Europeo del Don Bosco di Borgomanero; Luca Ortolan , psicologo e formatore, conosciuto da Michele Marmo all’interno di un seminario presso lo studio Aps, dopo aver partecipato da obiettore di coscienza ai Campi animatori dell’Ispettoria salesiana piemontese, ha contribuito all’avvio del Centro di formazione e ha continuato a collaborare all’interno dei percorsi di formazione per animatori professionali. 79 Ad esempio si pubblica Vedogiovane News, un notiziario che promuove i vari progetti ed attività di Vedogiovane. Il primo numero riguarda la Rete Informativa in internet sulle politiche giovanili ed è realizzato in occasione della partecipazione al Salone del Libro del ’96; il secondo numero viene pubblicato per promuovere il corso triennale per animatore professionale, il terzo i corsi di formazione “a catalogo” di Vedogiovane. 80 Ad esempio con la cooperativa Polis di Verbania, per la gestione di un progetto della Provincia del Verbano Cusio Ossola, avente l’obiettivo di sostenere l’imprenditoria giovanile. 81 Con qualifica regionale. Ad oggi sono quattro i corsi per animatori professionali gestiti da Vedogiovane.
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strutturarsi in un Centro, l’individuazione degli ambiti di lavoro in cui specializzarsi82 (ed i relativi responsabili): aumentano poi anche i corsi di formazione interna legati al Fondo sociale europeo e proprio uno di questi (“Formazione formatori”) permette sia la progettazione di un modello formativo condiviso sia la progettazione del Centro. Per evitare il rischio di dipendere fortemente dal Fse, il Centro elabora un catalogo di proposte formative che promuove attraverso il terzo numero di Vedogiovane News, che viene allegato alla rivista Animazione Sociale. Il problema legato al finanziamento dell’impresa, vista la costante crescita e sottocapitalizzazione, è stato affrontato rinegoziando gli accordi iniziali con banche,83 ora diventate due, messe in concorrenza, e disponibili nel concedere fiducia ad un’impresa che si è sviluppata nel tempo84 e che fattura, nel 2000, oltre due miliardi di lire. Inoltre, per affrontare questo problema,85 oggi si è introdotto lo strumento del prestito sociale. Altre difficoltà di questa terza fase si sono manifestate anche nella gestione dei rapporti con la Pubblica amministrazione, che hanno avuto un momento di svolta quando in città si è animato un laboratorio politico di “Vivere la città” il cui esito è stato la costituzione di una lista che ha partecipato alle competizione elettorale locale, in quanto si è individuata e resa visibile una forte rappresentanza formata da un insieme di persone provenienti dalla società civile. Inoltre la giovane età, sia dell’organizzazione che dei suoi responsabili, non ha giocato a favore del concedere grosse opportunità a Vedogiovane, da parte degli Enti locali, per i primi anni del suo sviluppo. Poi l’affidamento del servizio Informagiovani di Borgomanero (avviato il 1 giugno 1996) ha fatto sì che nel giro di pochi anni ben altri sette Enti Locali abbiano affidato analoghi servizi a Vedogiovane. Oggi l’esperienza ha insegnato anche che nei rapporti con la Pubblica amministrazione spesso insieme al problema è necessario portare in dote la soluzione, nel senso che va individuato anche l’atto amministrativo, redatto un budget, prevista una organizzazione, ecc. A maggio ’96 (esattamente il 10, il giorno dopo l’incontro con Paolo Belli, vedi la parte su Musicaviva) Giovanni Campagnoli e Michele Marmo86 partono per Sevilla per organizzare il primo scambio internazionale avente come tema quello dell’animazione, con la scuola salesiana spagnola e quella belga. E’ la nascita di un nuovo ambito di lavoro (quello dell’interculturalità), curato oggi da Michele Belletti e Giulio Mac Maistrelli87, che indica come Vedogiovane88 sia stata da sempre aperta
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Si tratta degli ambiti di esperienza di Vedogiovane, quindi: no profit, politiche giovanili, la progettazione del lavoro sociale ed educativo, il gruppo e il gruppo di lavoro, il metodo in animazione, i laboratori di tecniche ludiche teatrali ed espressive, l’interculturalità, il cooperative learning e in generale il lavoro di animazione a scuola, ecc. 83 dopo una consulenza gratuita fornita a Vedogiovane dalla Fondazione Cariplo 84 Infatti nel ’94 la banca concedeva prestiti per 50 Milioni, mentre oggi per 290 Milioni. 85 nelle fasi di crescita così grave che si è dovuto ricorrere ad un fidejussore esterno gradito alla banca, la cui firma ha permesso la concessione di anticipi bancari fino a 50 milioni, su presentazione di fatture emesse nei confronti di Enti Locali, per un importo massimo dell’80%. 86 Insieme a Lucia De Zuani e a Chiara Giraudo, del gruppo torinese di formatori, che ha partecipato al progetto Animatore professionale ed ad alcuni campi animatori. 87 Maistrelli è l’attuale responsabile dell’area interculturale. Altra nuova area di lavoro in questi anni è quella dell’animazione ambientale, curata da Paolo Campagnoli. 88 Oggi gli scambi vengono curati anche per il Liceo Europeo don Bosco, per le classi seconde, terze e quarte, il primo dei quali è avvenuto nel maggio del ’99 a Gatchina (San Pietroburgo) in Russia con la scuola salesiana il cui direttore (Don Rino Pistellato), aveva preceduto don Giuliano a Borgomanero.
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verso i segni dei tempi, per confrontarsi e per sviluppare il senso critico dei soci, senza timore di esporsi e nello stesso tempo senza rinnegare le origini. Nel ’97 venne interpellata Vedogiovane quando la Comunità della frazione S. Stefano di Borgomanero aprì la “Casa famiglia” per anziani: poiché l’allora socia (ed attuale vicepresidente) Lara Ponti89 aveva già al suo attivo un’esperienza in questo settore, si accettò l’incarico, se ne curò in modo particolare il clima animativo, coinvolgendo il personale, scelto da Vedogiovane, ed i volontari con riunioni periodiche di sostegno. Altra attività avviata, oltre a Cinegirando90 e al Liceo Europeo Don Bosco,91 è quella delle Rete Informativa in internet sulle politiche giovanili, presentata al salone del Libro di Torino nel maggio ’96 nello stand che Vedogiovane e Palomar avevano allestito.92 L’attività culturale è proseguita sempre in collaborazione con il Don Bosco, prevalentemente sul tema degli scambi generazionali per avviare un coinvolgimento più attivo rivolto anche ai genitori degli studenti. Per questo Vedogiovane ha invitato a Borgomanero Duccio Demetrio, ideatore della rivista Adultità. Sempre dal punto di vista culturale, passi avanti si fanno nella definizione di un modello di animazione: si partecipa anche all’elaborazione di un documento pubblicato su Animazione Sociale93, mentre all’interno di Vedogiovane si attiva un gruppo di confronto94, e Pietro Coerezza95 scrive un documento interno.96 Questa nuova crescita è stata maggiormente progettata rispetto a quelle precedenti: infatti si è attivato, ad inizio ’98, un percorso di consulenza rivolto a persone97 disponibili a riprogettare l’organizzazione e ad impegnarsi come amministratori nel triennio successivo (1998-2001). La crescita di Vedogiovane ed il consolidamento attuale Anni Fatturato Incremento 1997 997 + 40% 1998 1.389 + 28% 1999 2.237 + 61% 2000 2.469 + 10%
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Lara Ponti, laureata in filosofia, vicepresidente e lavora nel centro servizi di animazione, entra in contatto con Vedogiovane per l’interesse a sviluppare e offrire una riflessione sulla propria esperienza di animazione con anziani. 90 Il circuito di cinema itinerante all’aperto, promosso in estate in alcuni Comuni delle province di Novara e Verbania 91 Il cui primo anno comincia nel settembre ’96. 92 L’iniziativa fu ripetuta l’anno seguente quando Vedogiovane organizzò anche un convegno il cui relatore fu Mario Pollo dal titolo “Dimmi che non vuoi morire... investire sulla cultura e sulle nuove generazioni!” 93 L’iniziativa della rivista Animazione Sociale vedeva coinvolti animatori e formatori di animatori di tutt’Italia riuniti ad elaborare un documento che raccogliesse le varie anime dell’animazione e fungesse da documento base per ulteriori sviluppi. Il materiale è stato redatto in forma unitaria da Mario Pollo. 94 Il gruppo di studio raccoglie chi, con interessi specifici sull’animazione, vuole assumersi la responsabilità di offrire materiali ed occasioni di confronto sul tema a tutta l’organizzazione. 95 Pietro Coerezza, laureato in Scienze dell’educazione 96 Il documento costituisce parte sostanziale del capitolo “Animazione e politiche giovanili”. 97 Si tratta ancora di Michele Marmo, Giovanni Campagnoli, Marco Bernardi e dei nuovi Michele Belletti, Andrea Gaggianese, Lara Ponti, Patrizia Valloggia.
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La consulenza è stata curata da Francesco D’Angella98 e gli esiti principali di questo percorso sono stati: un nuovo disegno dell’organizzazione,99 l’individuazione di una funzione di segreteria organizzativa,100 l’introduzione di alcuni strumenti di gestione, quali la “scheda servizi”,101 il controllo di gestione, i budget ed i consuntivi, l’analisi degli scostamenti,102 la valutazione del valore dei servizi e dell’utilità sociale prodotta.103 Questa introduzione di funzioni e strumenti organizzativi è stata progettata ed è avvenuta in una fase di consolidamento della crescita di Vedogiovane, in cui si è cominciato davvero ad interrogarsi sulle prospettive di medio termine per Vedogiovane. Di qui entriamo nel futuro.
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Francesco D’Angella socio dello Studio Aps, conosciuto da Michele Marmo durante la collaborazione con il Gruppo Abele di Torino, soprattutto all’interno del Progetto adolescenti del Ministero dell’Interno, viene interpellato per una consulenza organizzativa in questo momento delicato di insediamento del nuovo CdA. Il senso del lavoro è raccolto all’interno dei capitoli specifici in tutta la pubblicazione. 99 Infatti Vedogiovane oggi è costituita da tre Centri (formazione, servizi, politiche giovanili), ciascuno dei quali ha un responsabile (che è un amministratore), da cui dipendono i responsabili di area, da cui dipendono i coordinatori dei progetti. 100 Oltre ai tre Centri, si è sentita la necessità di strutturare una funzione che fungesse da raccordo al lavoro dei Centri, garantendo, oltre alle tipiche funzione amministrative e gestionali, anche quella informativa, una vera e propria banca dati dell’organizzazione. 101 E’ il documento sintetico che serve per descrivere ogni attività realizzata da Vedogiovane. 102 Infatti i budget ed i consuntivi sono, oltre che relativi ad ogni progetto o servizio, anche all’intera organizzazione e vengono redatti ogni quattro mesi ed utilizzati proprio in ottica di verifica degli scostamenti tra quanto programmato e quanto ottenuto. 103 Questo è un lavoro che parte con l’individuazione e la descrizione del prodotto-servizio (da parte di ciascun gruppo di lavoro) e dei relativi indicatori di qualità, per poi arrivare a stimare il valore del servizio in termini di utilità sociale prodotta.
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8. Conclusioni. Sull’onda dei ricordi, mentre registro per ore in un afoso pomeriggio di agosto quanto raccontano Michele Marmo e Giovanni Campagnoli, rischio di perdermi e il gomitolo mi sfugge spesso di mano. Hanno portato con loro solo un interessante quadernetto,104 ricco di annotazioni a più mani che si riferiscono a centri estivi aperti, appalti vinti, corsi di formazione, sia in Piemonte che fuori regione, urgenza di telefonate o di contatti con diverse personalità nei campi che spaziano dalla musica al teatro, a funzionari di Amministrazioni comunali o provinciali o a decisioni prese di rendere sempre più visibile la presenza di Vedogiovane sul territorio entrando a far parte di comitati o di liste politiche. Diventa difficile richiamarli all’ordine e rischio di lasciarmi contagiare e fuorviare da considerazioni interessanti, vivaci, provocatorie, e vengo così meno al mio compito, che è quello di agevolare una memoria storica fedele ed aderente ai fatti! I “due”, allora, dopo aver preso visione di quant'altro ho sbobinato per una settimana intensa, si rendono conto che sarebbe stato meglio fornirmi una documentazione più precisa e tornano, prima di partire per le meritate vacanze, col “libro di bordo”, alias “quaderno arancione” che raccoglie i verbali dei Consigli di amministrazione dalle origini al 1995. Adesso sono più tranquilla, trascriverò comunque solo parte dei verbali e le novità più significative, almeno a mio avviso contenute in essi, lasciando la possibilità agli interessati e chiamati in causa di arricchire il tutto con qualche commento personale. Potrei continuare così, puntigliosamente fino ai giorni nostri, ma il capitolo ha come fine di tener vivo l’interesse per Vedogiovane e vorrei poter riferire come è stata vissuta, come vive e quali prospettive si augurano per il prossimo decennio almeno da parte dei personaggi di spicco, che hanno offerto o continuano ad offrire un contributo di idee. Rivedo comunque la lunga conversazione tenutasi con Marmo e Campagnoli e mi accorgo che non posso dimenticare altri avvenimenti significativi di Vedogiovane, anche perché ho potuto viverli anch’io in prima persona . Conosco Vedogiovane attraverso la testimonianza significativa che ne fa Marmo presso il Gruppo Abele a Torino, ad un corso dal titolo “Il metodo in animazione”, corso che, tenuto da Roberto Maurizio e Franco Floris, dura alcuni mesi e che, negli anni successivi, vedrà la partecipazione d’altri soci di Vedogiovane, diventando utilissima occasione d’apertura verso un lavoro sociale.105 Si è avvalsa della sua consulenza l’Avulss106 per l’organizzazione di convegni nazionali, 104
Come modalità di funzionamento per la segreteria, fino al ’94, non essendoci un’unica persona incaricata di questo servizio, si utilizzava il quaderno delle comunicazioni che ora risulta materiale prezioso per la memoria storica. 105 Il corso iniziato nel 1992 si conclude nel 1993. Alla seconda edizione parteciperanno Manuel e Francesco Cerutti 106
Di cui facevo parte e che mi ha dato l’occasione di rincontrare Michele Marmo. L’Avulss è una associazione di volontariato socio-sanitario diffusa su tutto il territorio nazionale. La richiesta nasceva dall’esigenza di rendere maggiormente efficaci i gruppi di lavoro all’interno dei convegni regionali e di estendere l’eventuale esperienza positiva anche alla quotidianità della vita dell’associazione. I convegni andarono molto bene e determinando contemporaneamente l’inserimento nel giornale di collegamento l’apertura di un’area sull’animazione coordinata da Marmo. Di lì si aprì una fase di collaborazione che sconfinò in una non intenzionale consulenza organizzativa quando si
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richiedendo inoltre la collaborazione per una pagina sull’animazione da inserire nel proprio periodico nazionale, l'Informatore che raggiunge i propri 12.000 soci, presenti in quasi tutte le regioni d’Italia. Anche il Masci lombardo,107 che aveva curato e cura l’animazione degli adulti offrendo ai suoi aderenti la possibilità di partecipare a moduli animativi formativi, chiese la consulenza della Vedogiovane, quando decise di realizzare una proposta formativa più approfondita. Infine ho collaborato con Vedogiovane in occasione della pubblicazione dell’ultimo sussidio (nel ’96, il volumetto Destinazione Capolinea, a cura di Michele Marmo e di suor Manuela Robazza,108 edito da Elledici). Mi pare importante chiudere con questa osservazione. Dice Claudio Magris all’inizio di un capitolo di Itaca e oltre, dedicato alle “celebrazioni impossibili”: Nessuno viene così frainteso e mal ripagato come chi sente la necessità interiore di celebrare una figura, un evento, un libro, una bandiera - con passione ma senza retorica: fra i gesti votati alla delusione e al malinteso c’è pure la testimonianza di chi dice il suo rispetto e la sua intensa partecipazione a un destino altrui, ch’egli sente come proprio e nel quale egli riconosce un simbolo esemplare della sua vita, senza tuttavia abbandonarsi ad una enfatica e sentimentale esaltazione. La risposta a questa testimonianza è quasi sempre l’incomprensione, forse inevitabile!
Stimo e ammiro Magris, ma in questa occasione desidererei che fosse poco profetico: se così non fosse, almeno non potrò dire che non ero stata avvertita del rischio al quale ho voluto andare incontro. Spero solo che il “destino” di Vedogiovane meriti sempre un’intensa e fattiva partecipazione da parte di chi s’impegna a sentirsi sempre e comunque al servizio di tutti quelli che, come i suoi soci, desiderano dare un senso alla propria vita, animando la quotidianità e la speranza di arrivare ad Itaca.
propose di organizzare un percorso formativo per responsabili e coordinatori di nucleo. A questo punto la collaborazione si chiuse. 107 Masci: Movimento adulti scout cattolici italiani 108 Conosciuta dai tempi dell’università e della sua scelta religiosa, ha collaborato in molti progetti di formazione di animatori, è da sempre sostenitrice di Vedogiovane di cui condivide il metodo di lavoro e il progetto complessivo.
LO SVILUPPO DELLE POLITICHE GIOVANILI Roberto Maurizio* Indice 1. Premessa 2. La diffusione dei progetti giovani 3. I Progetti giovani: un tentativo di descrizione 4. In concreto i Progetti... 5. La questione della rappresentanza giovanile 6. Dai Progetti giovani ai Progetti adolescenti 7. Dai Progetti giovani ai progetti di prevenzione 8. Dai Progetti giovani alle politiche giovanili a livello nazionale 9. Le politiche delle Regioni in materia di giovani 10. La legge n. 285/97 11. Dal Progetto giovani a progettualità rivolte alle comunità locali 12. Alcuni elementi di valutazione 1. Premessa In Italia non sono mai mancate iniziative rivolte ai giovani: il tessuto associativo (sportivo, culturale, ricreativo, educativo) ha costituito e costituisce tuttora, un riferimento significativo. Soprattutto in alcune regioni dell’Italia settentrionale, era ed è rilevante la presenza della Chiesa cattolica con le strutture parrocchiali e le molteplici attività formative e ricreative che mettono a disposizione dei giovani. Quello che è mancato è lo sviluppo organico di un insieme di opportunità di incontro, svago, cultura, partecipazione attivato e realizzato direttamente da istituzioni pubbliche, non vincolato dall’adesione ad associazioni od organizzazioni di qualsivoglia tipo. Le ragioni di tale mancanza sono diverse: la più attendibile si può individuare in una sorta di rigetto nei confronti di “forti” azioni politico - formative rivolte ai giovani. Il passaggio alla vita adulta e professionale, così come l’educazione alla democrazia ed alla partecipazione sociale, in ragione di questa preoccupazione, sono state così affidate alla famiglia ed alla scuola, da un lato e, dall’altro, ai soggetti “associativi” (partiti, associazioni, sindacati ecc.) operanti nella società civile. Le esperienze estere (in particolare francesi, tedesche ed inglesi) hanno, però, permesso alle istituzioni pubbliche, soprattutto quelle locali (comuni, province, regioni), di intravedere la possibilità di “fare qualcosa” con una modo meno ideologica, più concreta e rispettosa della libertà dei giovani di quanto avvenuto in passato. Timidamente, e con mille cautele, soprattutto con l’attenzione a non porsi troppo in antagonismo con l’esperienza di aggregazione dei giovani in ambito ecclesiale, alcuni Comuni hanno provato a sperimentare alcune iniziative dalla metà degli anni
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educatore, formatore, esperto nel campo delle politiche giovanili.
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’70 alla luce anche del quadro di nuove competenze che nel 1977 sono delegate dallo Stato alle Regioni ed ai Comuni. In questi venticinque anni innumerevoli enti pubblici locali si sono attivati, molte iniziative sono state realizzate, molti soggetti sono intervenuti e molti giovani sono stati coinvolti nelle proposte per loro predisposte. Molti cambiamenti sono intervenuti nella filosofia degli interventi, nell’impostazione tecnica – organizzativa ed amministrativa, ma anche nel contenuto specifico degli interventi. Il bilancio complessivo di questi venticinque anni di politiche e progetti per i giovani – su cui si ritornerà nelle conclusioni - è solo parzialmente positivo. Non si è riusciti, infatti, a costruire un impianto complessivo di politiche per i giovani che desse valore alle singole iniziative nonostante la buona volontà e delle notevoli intuizioni delle amministrazioni e la positiva risposta dei giovani in molti casi. Il risultato evidente è che manca una chiara definizione di cosa intendere per politiche giovanili: stando alle situazioni concrete tale appellativo è assegnato a tipologie di interventi molto differenti l’uno dall’altro. Considerazioni analoghe è possibile anticipare anche per quanto riguarda il livello regionale e nazionale: nonostante le intuizioni positive delle esperienze locali, le regioni e lo Stato non sono riuscite complessivamente a costruire quella cornice di riferimento politico-istituzionale assolutamente necessaria per dare garanzie di solidità e continuità alle esperienze locali. In ordine alle singole e specifiche esperienze di contatto tra istituzioni e mondo dei giovani le esperienze che sono andate sviluppandosi e diffondendosi maggiormente nel paese sono: - il “Centro di incontro per giovani”, cioè un luogo finalizzato a promuovere aggregazione ed esperienze di tempo libero “diverso”, con stimoli e proposte culturali, con la possibilità di sviluppare una maggiore conoscenza della città, ecc.; - l’Informagiovani, cioè un servizio di raccolta ed erogazione di informazioni utili per la vita dei giovani, dall’inserimento nel lavoro alla ricerca dei percorsi scolastici, dalle modo di impiego del proprio tempo libero alle proposte culturali alle possibilità di impegno nel volontariato locale o nazionale ed internazionale; - la Consulta o Forum giovanile, cioè uno spazio organizzato di partecipazione e dialogo del mondo giovanile con il mondo delle istituzioni, aperto alle associazioni strutturate operanti nei comuni. In ordine allo sviluppo di progetti organici e complessi il primo Progetto giovani che si conosce è quello del Comune di Torino, attivato nel 1977. Numerosi furono i motivi che contribuirono alla nascita del Progetto: - le pressioni delle agenzie educative e delle realtà associative presenti nella città che chiedevano a gran voce interventi per risanare i quartieri ghetto, degradati, senza servizi e senza opportunità di aggregazione sociale positiva, - le pressioni degli operatori dei servizi sociali, del tribunale, della scuola per avere maggiori strumenti per rispondere alle nuove competenze ed ai nuovi 2
bisogni sociali, in primis il bisogno di prevenire la diffusione delle tossicodipendenze e della devianza minorile e giovanile, - le pressioni dei giovani che chiedevano spazi ed opportunità di incontro, - l’esigenza di procedere ad una ristrutturazione dell’organizzazione comunale per essere più efficaci ed efficienti. Il Progetto giovani del Comune di Torino nasce con l’idea di far sì che la città riuscisse a vincere la sfida lanciata dai giovani e dalla città stessa, cioè occuparsi dei giovani in modo significativo, non episodico, serio e non ideologico. Il Progetto è stato, quindi, pensato come un cartello di opportunità da rivolgere a tutti i giovani ed in particolare a quelli in situazione di maggior difficoltà sociali - per permettere loro nuove forme e modo di integrazione sociale e di identificazione sociale. Dopo l’esperienza del Comune di Torino molti altri Comuni italiani, Province ed USSL hanno seguito l’esempio ed hanno attivato, in modo quasi simile, Progetti giovani. Per diversi anni si è trattato di amministrazioni comunali, collocate prevalentemente nel Nord del paese e di entità medio - grande: Bologna, Forlì, Modena, Reggio Emilia, Livorno, Voghera, Ravenna, Perugia, Terni. Successivamente l’esempio è seguito anche da molte altre città e di dimensioni demografiche medie. 2. La diffusione dei progetti giovani Non esistono tuttora censimenti né ricerche che in modo certo riescano a dare conto della diffusione dei Progetti giovani; solo tre ricerche - realizzate tra l’altro a distanza di anni una dall’altra permettono di ricostruire un quadro attendibile, seppur non statisticamente rappresentativo. Nel 1984 l’ANCI (l’Associazione nazionale Comuni italiani) ha condotto una ricerca su tutti i capoluoghi di provincia e su tutti i Comuni con oltre trentamila abitanti (complessivamente 267). La ricerca ha permesso di ricostruire un primo quadro di sintesi nazionale nel momento in cui si è rilevato che in 111 Comuni (circa il 41 % sul totale degli enti censiti) erano stati attivati, in modo organico, iniziative e progetti rivolti ai giovani.1 La seconda ricerca è stata realizzata nel 1992 dal Centro studi del Gruppo Abele di Torino, su incarico del Ministero dell’Interno.2 Questa volta sono risultate interessate alla ricerca le amministrazioni comunali con popolazione superiore ai 10.000 abitanti (complessivamente 1.038). Hanno risposto al questionario 381 Comuni (pari al 37 %). Il dato complessivo che emerge è di notevole interesse poiché sono 222 (circa il 58 % dei comuni rispondenti) quelli che hanno sviluppato una forma di progetto rivolta verso giovani e/o adolescenti. Si rileva ancora una forte concentrazione nelle regioni del nord.
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ANCI, I comuni e i giovani, ANCI rivista, aprile 1986. Centro Studi del Gruppo Abele, Politiche e progetti per gli adolescenti. L’impegno delle istituzioni pubbliche e delle associazioni giovanili in Italia, Ministero dell’Interno, Roma 1994.
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La terza ricerca è quella condotta da AA.Ster nel 1996 su incarico della Carta di Arezzo, un’aggregazione di Enti locali interessati a svolgere un ruolo promozionale intorno alle politiche giovanili.3 Il 43 % dei 214 Comuni censiti dichiara di aver attivato interventi progettuali rivolti ai giovani che si esprimono principalmente in due aree: quella culturale e dello sport e tempo libero. La loro distribuzione territoriale vede un netto miglioramento per l’Italia meridionale ed una situazione di stabilità per il Centro. Si evidenzia anche un aumento di investimento nei comuni piccoli. I dati permettono di cogliere un’estensione degli interventi soprattutto in aree molto problematiche sotto il profilo sociale. Gli interventi più praticati si muovono nell’ambito delle prevenzione e si concretano nella promozione di attività educative con finalità di recupero sociale di predisposizione di interventi informativi sull'uso e sugli effetti delle droghe e nell’apertura di strutture di animazione e di socializzazione. Tra le conclusioni che la ricerca esprime vi è l’evidenziazione di alcuni limiti che l'intervento dell’ente locale presenta: - la dominanza del locale appare il risultato di molteplici fattori, alcuni dei quali direttamente collegati ad esigenze di consenso politico; - esiste un orientamento delle politiche giovanili ad occuparsi principalmente di problemi visti nella fattispecie di “urgenze”. Da qui un’azione che si attaglia su interventi verificabili brevi, ma che in questo modo sembra pregiudicare, almeno parzialmente, la possibilità di interventi a carattere preventivo e formativo; - permane una scarsa propensione dell'innovazione che determina una sorta di riproduzione inerziale degli interventi; - l’esistenza di limiti nell'implementazione di interventi più che un dato oggettivo, appare l’esito di un processo che vede coinvolti molteplici fattori e la loro diversa combinazione. In questo modo le volontà e le risorse presenti nel territorio si scontrano con scarsità di personale, di risorse finanziarie, eccessiva lentezza delle pratiche burocratiche, limitando così la possibilità per le politiche giovanili di produrre servizi sociali, beni relazionali e di cittadinanza. 3. I Progetti giovani: un tentativo di descrizione Il Progetto giovani è stato essenzialmente un modo di pensare, da parte di amministrazioni pubbliche locali, alle iniziative rivolte ai giovani. In sostanza si è fatta strada l’idea che per rispondere adeguatamente ai bisogni dei giovani fosse necessario superare le strategie tradizionalmente impostate per settori ed aree di intervento (sport, cultura, servizi sociali ecc.) a favore di logiche organizzative ed operative per obiettivi, centrate sul coordinamento e sull’integrazione di tutte le risorse interne ed esterne alla pubblica amministrazione. Il Progetto giovani è stato pensato come strumento, e non fine, per una migliore e più efficace capacità del mondo adulto, delle comunità territoriali, delle istituzioni di far fronte a bisogni “nuovi” che chiedevano di modificare stili di comportamento e prassi organizzative consolidate nel tempo. 3
AA.Ster, La Carta di Arezzo. Politiche dei Comuni, scomposizione sociale e disagio giovanile, Comune di Arezzo, Arezzo 1997.
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L’analisi dei Progetti esistenti evidenzia però grandi differenze in ordine alla filosofia, alla genesi, alla metodologia di lettura dei bisogni giovanili, ai modelli decisionali e gestionali, alle prassi operative e valutative. Sono differenze che rendono difficili operazioni di confronto e generalizzazione. In altri termini i contesti nel cui ambito nascono e si sviluppano i Progetti presentano difformità marcate e rendono ardua l’identificazione di precise tipologie: il Progetto giovani è un’esperienza a forte carattere di localismo. Infatti, laddove i Progetti sono stati attivati scarsi sono i riferimenti ad un’ipotesi teorica specifica e si è assistito allo sviluppo creativo ed originale. A questo proposito può essere utile rileggere cosa l’ANCI dichiarava nella fase iniziale dello sviluppo dei Progetti giovani. Si legge, infatti, nella relazione introduttiva del primo convegno degli amministratori locali che si occupano di giovani: “Noi crediamo che lo strumento “progetto” sia quello che più si addice agli obiettivi, alla politica e alla metodologia che abbiamo delineato per un lavoro sociale verso i giovani. Un progetto è la sintesi politica di una previsione dei bisogni del futuro con gli strumenti e le risorse disponibili oggi. I Progetti permettono meglio di non settorializzare il bisogno, attraverso un determinato problema; i progetti realizzano maggiormente modalità anche diverse di partecipazione lasciando a ciascuno la propria specificità operativa facendo confluire più forze sugli obiettivi prefissati. Il Progetto valorizza anche la nuova figura dell’amministratore. E’ in grado di progettare chi è in possesso degli strumenti; è la cultura della previsione che si avvale della profonda conoscenza degli strumenti che può generare un progetto. Il progetto è l’utopia del presente. I Progetti favoriscono strategie delle connessioni, multipolarità dei livelli di intervento, metodologie strategiche orientate al futuro. Infine, e non bisogna dimenticarlo, il Progetto richiede valutazione e verifica; non esiste un lavoro sociale corretto senza una pausa di riflessione e senza aggiustamenti lungo il percorso. Lavorando con i giovani è molto più facile sbagliare che azzeccare perfettamente un intervento; ma questo non deve né demoralizzare né scoraggiare. Nessuno ha le ricette giuste in tasca! Anche verso i giovani è molto più credibile un modello di intervento elastico che viene plasmato e modificato dall’esperienza e dal rapporto diretto”.4 Per quanto riguarda il senso del Progetto in relazione all’insieme di competenze ed attività degli Enti locali le esperienze hanno dato luogo all’emergere di tre filoni di “pensiero” ed azioni. a) In primo luogo vi sono Comuni che hanno inteso il Progetto come un’occasione per modificare il complessivo assetto dell’organizzazione strutturata per compartimenti rigidi e separati intorno ai quali si coagulano le diverse parti dell’amministrazione. In questi Progetti l’aspetto centrale e nodale dell’esperienza consiste nella capacità di attivare e dare corpo in 4
Atti del convegno, Dalle esperienze degli enti locali le idee di una politica nazionale per i giovani, ANCI Comune di Vicenza, 1985.
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modo significativo alla funzione di coordinamento del progetto e delle risorse che vengono coinvolte: in primo luogo quelle interne all’amministrazione comunale, in secondo luogo quelle delle altre amministrazioni pubbliche e, infine, quelle delle realtà associative e di privato sociale; b) vi sono altri Comuni che hanno pensato il Progetto come un ambito deputato all’innovazione ed alla sperimentazione di nuove modalità di interventi e servizi che, una volta validati sul piano della valutazione, possono essere trasferiti alla normale routine amministrativa, essendo diventati un servizio consolidato. In questo caso l’elemento centrale è costituito dalla capacità degli operatori di saper essere flessibili e dalla capacità di cogliere nuovi bisogni ed inventare nuove forme di intervento. A fronte di questa spinta alla creatività il nodo critico è rappresentato dalla fase di implementazione della sperimentazione nella normale attività amministrativa, in quanto non vi sono garanzie che tale passaggio mantenga e salvaguardi le caratteristiche e le condizioni delineate nella fase della sperimentazione; c) vi sono, infine, Comuni per i quali il Progetto costituisce uno spicchio dell’organizzazione comunale, che si consolida poco alla volta, ritagliandosi competenze, bilancio, risorse e personale ma senza esaurire l’insieme delle iniziative dell’amministrazione comunale verso quegli specifici destinatari. E’ il caso dei Comuni che hanno Progetti centrati sull’area del tempo libero senza collegamenti e sinergie con altre aree. In questo caso lo snodo è costituito dalla capacità degli operatori di saper mantenere viva l’attenzione sulla necessità dei collegamenti tra le parti, al fine di evitare il rischio di costruire isole felici, ma senza collegamenti con le altre parti. Sul versante più strettamente operativo l’ANCI ha individuato quattro ambiti di intervento su cui riteneva opportuno concentrare le energie: formazione - lavoro, prevenzione e recupero del disadattamento e della devianza, sistemi informativi e politiche per il tempo libero e l’associazionismo. Le forti diversità riscontrate nelle esperienze sono dovute senza dubbio alle diverse caratterizzazioni socio - economiche e culturali di ciascuna città, ma trovano ragione d’essere anche in riferimento ai diversi “approcci” ai giovani. In molti casi ha prevalso un pensare ai giovani come soggetti deboli, deprivati, carenti e privi, forse, di capacità. Da quest’approccio sono scaturiti Progetti di carattere essenzialmente assistenzialistico, giocati sulla capacità di mettere a punto servizi ed interventi interessanti ed adeguati per i giovani ma che, sovente, li hanno collocati in ruolo di fruitori - utenti di qualcosa che in loro nome veniva deciso dai “grandi”. In alcuni casi ha prevalso un modo di pensare ai giovani come conflittuali, come contestatori delle manipolazioni degli adulti ed alla ricerca di un’identità. In questo caso i Progetti sono stati, di fatto, pensati come luoghi “protetti” per far esprimere ed agire il conflitto, di cui i giovani sarebbero stati portatori, in forme e modi accettabili: ciò ha portato a centrare l’attenzione sulla promozione di “nuove” forme di autorganizzazione e modalità di confronto tra società e giovani. In altri casi l’attenzione è stata centrata sulle esigenze di integrazione sociale. Le istituzioni, in tali casi, hanno attivato Progetti con l’idea di sopperire al minor peso socializzante della famiglia, della scuola e del lavoro. In concreto ciò ha portato alla creazione di spazi - aree a forte caratterizzazione educativa - formativa, nelle quali i 6
giovani potessero esprimere modelli di comportamento diversi da quelli della società. Un quarto modo di pensare ai giovani li ha visti quali soggetti in cerca di spazi di comunicazione con il mondo degli adulti. In tal caso il Progetto si è tradotto essenzialmente nel ricercare spazi comunicativi che permettessero di vivere esperienze, di sviluppare “nuove” modalità espressive e di sviluppare analisi tra generazioni diverse. 4. In concreto i Progetti... In concreto i Progetti sono tante esperienze diverse. Ogni Progetto costituisce una storia a sé, anche sul versante delle iniziative concrete5. L’informazione Gli interventi che si collocano in quest’area nascono dalla considerazione che nella società odierna i giovani si trovano, per assurdo, a sperimentare due tipi di difficoltà: la mancanza di informazioni per scegliere e l’abbondanza di informazioni. In alcuni casi, infatti, non tutti i giovani si trovano a possedere le informazioni necessarie per effettuare scelte importanti nella propria vita: percorsi scolastici, inserimento lavorativo, interessi e tempo libero, vita sociale ecc. In altri casi proprio la ridondanza e l’abbondanza di informazioni che molti giovani si trovano a fronteggiare genera disorientamento e difficoltà nell’assunzione delle scelte. Alla luce di tali considerazioni aumentare nei giovani il possesso di informazioni adeguate e tarate sulle proprie esigenze è stato riconosciuto come uno dei possibili obiettivi specifici dei Progetti giovani. In concreto in quasi tutti i Progetti sono stati attivati i Centri di informazione per giovani. Si tratta di strutture all’interno delle quali una équipe di operatori svolge un doppio lavoro: raccogliere, catalogare, rendere disponibili (attraverso materiale cartaceo, riviste, strumenti informatici, video, ecc.) il massimo possibile di informazioni relative a tutto ciò che può interessare i giovani; accogliere i giovani e verificare il tipo di bisogni e mettere loro a disposizione le informazioni in modo non asettico ma partecipato. Dal 1982, anno di apertura del primo Centro (a Torino), il numero dei Centri di informazione è progressivamente cresciuto sino a raggiungere attualmente quasi le 500 unità, dislocate in quasi tutte le regioni italiane. Le strutture di informazione attualmente esistenti si differenziano sia rispetto ai contenuti informativi erogati, sia rispetto al pubblico di riferimento, sia in riferimento alla posizione occupata nell’ambito del Progetto giovani ed, in parte, rispetto al tipo di funzioni esercitate. Per quanto riguarda il primo punto, gli sportelli informativi si distinguono in centri generalisti e centri specialistici. I primi cercano di offrire informazioni su più settori di interesse giovanile: vita scolastica, professioni, lavoro, educazione permanente, 5
Per praticità la descrizione delle attività più diffuse segue una divisione in settori che può apparire artificiosa, soprattutto pensando alle possibili interazioni tra di essi: l’informazione, la socializzazione e la cultura, la formazione ed il lavoro, l’emarginazione ed il disagio.
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vita sociale e sanità, cultura e tempo libero, vacanze, estero, sport. I secondi sono invece specializzati e coprono un solo settore informativo, in genere quello relativo all’orientamento scolastico e all’inserimento lavorativo. Per quanto riguarda i destinatari si sta sviluppando, ultimamente, una differenziazione analoga a quella precedentemente descritta: centri generalisti e centri specialisti. I primi considerano come propri destinatari tutti i giovani indistintamente, mentre i secondi scelgono di rivolgersi ad alcuni giovani in specifico, ad esempio, le donne, i disoccupati, gli studenti ecc. Un terzo motivo di differenziazione è riscontrabile rispetto alle funzioni esercitate: in alcuni Centri oltre alla funzione di informazione viene sperimentata anche la funzione di consulenza, esercitata attraverso colloqui, su questioni di natura più complessa e delicata (ad esempio, problemi legali così come difficoltà sociali e personali) o su questioni rispetto alle quali la sola messa a disposizione di informazioni non risulta efficace (la creazione di imprese, la job creation). La socializzazione e la cultura E’ questo uno dei settori maggiormente sviluppati e risponde a due considerazioni: da un lato i giovani oggi dispongono di spazi ridotti per costruire esperienze di socializzazione “orizzontale” al di fuori della scuola e delle esperienze di tipo associativo e, nel contempo, sono scarse e sovente inadeguate le azioni di supporto, valorizzazione e diffusione delle iniziative culturali che vedono i giovani direttamente protagonisti. Per quanto riguarda la prima esigenza, quella degli spazi di socializzazione, in concreto nei Progetti sono stati aperti e messi a disposizione dei giovani svariate forme di Centri di incontro o socializzazione. In essi normalmente si trovano tre tipi di servizi: - i servizi a porta aperta, rivolti alla generalità dei giovani, centrati sull’offerta di specifiche iniziative quali corsi (di vario genere come corsi di espressione corporea, teatro, musica, cinematografia, arte, ceramica, ecc.), incontri dibattiti, opportunità di incontro ecc.; - i servizi a porta chiusa, rivolti a giovani, singoli ma preferenzialmente in gruppo, che si rivolgono al Centro di servizi proponendo richieste particolari sia per interessi che per destinatari. In tal caso il Centro mette a disposizione locali, strumenti (quali ad esempio, il centro stampa, strumenti video e/o musicali, teatrali, sale-prova musicali ecc.) per una gestione dell’iniziativa che assume quasi i caratteri dell’autogestione seppure per tempi limitati; - i servizi a porta semiaperta, rivolti alla generalità dei giovani ma con criteri di accesso maggiormente definiti: ad esempio, al mattino, l’accesso rivolto preferenzialmente a gruppi classe per lo svolgimento di attività integrative scolastiche rispetto all’ambiente, alla conoscenza del territorio, a laboratori di manualità, costruzione ecc.; al pomeriggio, ad accesso libero od ad accesso riservato a gruppi di adolescenti e giovani con i quali sviluppare, ad esempio, attività di tipo formativo educativo integrative di quelle scolastiche o sostitutive delle stesse; la sera, ad accesso regolato al fine di offrire a gruppi informali la possibilità di utilizzare il Centro come “semplice” luogo di incontro e progettazione di attività da svolgere dentro o fuori. 8
Relativamente alla tipologia di intervento una classificazione è stata operata dalla Regione Lombardia, che ha distinto i centri in ragione della loro tipologia ed obiettivi: - i Centri di sostegno, nei quali prevalgono il recupero scolastico e la promozione e sviluppo di capacità; - i Centri di tipo socializzante per i quali prevalgono la promozione di capacità e l’animazione del tempo libero; - i Centri educativi nei quali prevale la formazione religiosa ed etico - religiosa; - i Centri polifunzionali nei quali prevale l’animazione del tempo libero. Un secondo tipo di iniziativa sviluppata nei Progetti è l’organizzazione di scambi giovanili così come di opportunità di turismo giovanile “alternativo”. Nel primo caso di tratta di opportunità di scambio “alla pari” tra gruppi di giovani di città diverse, sia italiane che estere, finalizzati alla conoscenza reciproca ed alla conoscenza di usi, culture, esperienze giovanili di altri contesti culturali. Nel secondo caso si tratta di opportunità di viaggi in Italia e all’estero per lo studio della lingua o per l’apprendimento di particolari pratiche sportive o per la sperimentazione di esperienze professionali. Una terza area di intervento è connessa all’idea di supportare e diffondere la capacità dei giovani di produrre cultura. Sono state sviluppate molteplici iniziative frutto della creatività degli operatori impegnati nei Progetti ma anche del confronto con le realtà giovanili di base. In concreto si tratta di: - organizzazione di concerti, rassegne teatrali, mostre ed esposizioni, atelier, performance culturali di diverso genere, rassegne cinematografiche ecc.; - organizzazione di iniziative a supporto dei giovani artisti attraverso la costruzione di banche-dati specializzate, così come di strumenti informativi quali video, riviste, volumi ecc; l’utilizzazione delle emittenti radiofoniche e televisive locali, la realizzazione di Ufficio stampa in occasione di iniziative di presentazione pubblica; - organizzazione di iniziative di formazione, scambi ed incontri tra giovani artisti (musica, danza, teatro, arte, foto, cinema, letteratura, design, architettura, arti visive, video, moda ecc.), - predisposizione di strumentazione ed attrezzature a disposizione di gruppi e singoli per lo sviluppo delle capacità artistiche e culturali. L’iniziativa delle realtà locali (Comuni, Province, Regioni), è di significativa portata: l’Associazione per il Circuito dei Giovani Artisti Italiani è una realtà viva e propositiva che interviene attraverso un sistema a rete sul territorio nazionale con importanti collaborazioni in ambito europeo. L’Associazione è un organismo che raccoglie 31 Amministrazioni locali allo scopo di sostenere la creatività giovanile attraverso iniziative di formazione, documentazione, promozione e ricerca. E’ così possibile offrire servizi organizzando concrete opportunità a favore dei giovani che operano nei vari settori delle arti e dello spettacolo con obiettivi professionali. Tutto ciò viene messo in atto attraverso iniziative permanenti o temporanee che favoriscano la circolazione di informazioni e di eventi, a livello sia nazionale sia internazionale, incentivando il rapporto tra la produzione artistica giovanile e i possibili circuiti del mercato. 9
Il tema degli spazi per l’aggregazione è uno dei cardini necessari per la formulazione di qualsiasi possibile intervento nel campo delle politiche giovanili. Le azioni rivolte alla promozione dei giovani artisti non possono non prevedere l’ideazione di progetti per realizzare luoghi di produzione, presentazione e confronto artistico. Siamo anche convinti che occorra sostenere un’ampia accessibilità della cultura e dell’arte verso le giovani generazioni che non producono arte ma ne possono diventare, avendone l’opportunità, attivi fruitori. Sempre nell’ambito di questo settore è da sottolineare che molti Progetti hanno espresso tra i propri obiettivi anche la valorizzazione e la promozione delle esperienze di tipo associativo presenti nel territorio e lo sviluppo di nuove forme associative. In concreto ciò ha portato a ricerche finalizzate alla conoscenza delle associazioni di tipo culturale, sociale, ricreativo, formativo, religioso, sportivo, politico; alla costruzione di albi delle associazioni, alla produzione di banche-dati in forma cartacea e video per la presentazione delle associazioni locali; alla messa a disposizione delle associazioni di sedi, strumenti, materiali d’uso, servizi di consulenza, di finanziamenti; al coinvolgimento nei sottoprogetti operativi; alla predisposizione di percorsi formativi rivolti ad operatori delle associazioni ecc. Con le associazioni sportive si sono sviluppate esperienze particolari quali l’affidamento della gestione di impianti sportivi, l’organizzazione di manifestazioni finalizzate alla diffusione della pratica sportiva, lo sviluppo dello sport nell’ambito della scuola e del territorio ecc. La transizione scuola e lavoro Si può riconoscere come il problema dell’inserimento lavorativo delle giovani generazioni, oltre ché degli adulti espulsi dal mercato del lavoro, costituisca, oggi, una questione nodale per la totalità dei paesi del mondo. Considerata la dimensione così ampia della questione è illusorio pensare che un Progetto giovani possa risolvere, anche solo parzialmente, tale problema. Ciononostante molti Progetti considerano questa come una delle aree privilegiate su cui concentrare le proprie energie. In concreto ciò ha determinato lo sviluppo di una miriade di iniziative che riguardano sia il versante dell’orientamento scolastico e professionale che quello dell’inserimento nel mercato del lavoro in senso stretto. Sono iniziative innovative che sono andate ad affiancarsi ad attività di sostegno più tradizionali come l’erogazione di contributi alle imprese per l’assunzione di giovani o la messa a punto di “borse di studio”, “cantieri di lavoro” e l’offerta direttamente come ente pubblico di posti di lavoro seppur per brevi periodi. A partire dalle esperienze messe in atto nei primi anni in questo settore è andata via via crescendo la consapevolezza della necessità di costruire un quadro organico in cui inserirle. Nel 1987, nel convegno promosso dall’ANCI su giovani e lavoro, si sono confrontate diverse esperienze locali di sostegno al mondo giovanile in processi di inserimento nel lavoro e in quella sede è stata ufficializzata la nascita dei CILO (Centri di iniziativa locale per l’occupazione). Si tratta di uno spazio progettuale rivolto alla sperimentazione o all’implementazione di progetti e servizi rientranti
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nell’area delle politiche attive del lavoro, per la cui realizzazione dovrebbero operare in maniera sinergica gli attori sociali, economici, politici del territorio. Per lo sviluppo dei CILO sono stati sottoscritti due accordi tra Ministero del Lavoro ed ANCI, nel 1987, ed uno tra Ministero, Regioni, ANCI, UPI, UNCEM (Unione Comunità montane) nel 1989. Inoltre sono già due le Regioni che hanno emanato specifiche leggi per la promozione e costituzione dei CILO su scala regionale (Lazio e Piemonte entrambe nel 1991). La denominazione CILO costituisce un riferimento non vincolante sul piano delle realizzazioni: si è trattato, infatti, di dare vita nei contesti locali a politiche attive per il lavoro e questo laddove è avvenuto ha dato luogo a realizzazioni e modalità operative estremamente differenziate. Tenendo conto di queste differenziazioni è possibile ugualmente riconoscere le linee di azione principali dei CILO essenzialmente in: - l’orientamento scolastico / universitario / professionale / occupazionale, - la formazione e la riqualificazione professionale, - le attività di Job ed Enterprise creation. Per quanto riguarda l’orientamento sono stati messi a punto svariati progetti e servizi quali, ad esempio, monitoraggio delle potenzialità economiche del territorio, funzioni di sportello informativo, colloqui individuali di sostegno, attività di orientamento per piccoli gruppi, gestione di strumenti informatici e diagnostici (test, percorsi di autovalutazione, ecc.) ed informativi appositamente creati per l’orientamento, giornate di studio, incontri con operatori del mondo economico e docenti universitari, esposizioni, ecc. Per quanto riguarda la formazione e la riqualificazione sono stati attuati corsi per giovani laureati e diplomati, per dipendenti in mobilità, in cassa integrazione, in cerca di nuova occupazione. Per quanto riguarda le attività di Job creation si tratta di attività a supporto di chi ha interesse alla creazione di nuove imprese, per aiutare a comprendere il significato di impresa, gli aspetti amministrativi ed organizzativi, il mercato, l’organizzazione del lavoro ecc. Con l’emanazione del decreto “Montecchi”, 469/97, si è aperta una nuova fase estremamente interessante e nello stesso tempo decisiva che si pone l’ambizioso obiettivo di riforma dei “Servizi all’impiego” nel nostro paese. Si tratta di una riforma attesa da tempo per dare coerenza e organicità a un settore che seppur caratterizzato da notevoli elementi di innovatività si è presentato e si presenta estremamente frammentato e troppo legato al dinamismo di singole istituzioni o attori sociali. La sfida infatti è quella di dare concretezza e stabilità alle linee evolutive prima sottolineate attraverso il concorso delle diverse istituzioni e dei vari attori sociali. La legge, che è stata accompagnata nelle diverse Regioni da conseguenti provvedimenti normativi, è venuta a privilegiare il ruolo regionale e provinciale e solo la relazione di presentazione del decreto evidenzia l’importanza del coinvolgimento degli enti locali e delle iniziative da loro attivate. E’ più che mai necessario in questa fase di transizione al nuovo che le amministrazioni comunali rivendichino uno spazio e si definiscano le modalità di rapporto più opportune al fine di pervenire, con il concorso di tutte le risorse, a un sistema efficace ed
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efficiente e soprattutto più rispondente alle esigenze dei disoccupati e delle imprese. L’emarginazione ed il disagio Le condizioni di emarginazione sociale e di disagio dei giovani sono state sin dall’avvio delle esperienze dei Progetti giovani uno dei punti di riferimento: molti Progetti avevano ed hanno proprio tra gli obiettivi la prevenzione ed il recupero degli stati di emarginazione di disagio. Al di là delle enunciazioni di principio quest’area non ha presentato particolari sviluppi se non nelle città ove il Progetto vedeva coinvolto in modo significativo anche il settore dei servizi sociali. E’ stato possibile dare vita ad attività di tempo libero con finalità di tipo educativo e di recupero sociale, inserimenti di giovani ex detenuti, interventi con singoli o gruppi di adolescenti a rischio di devianza, programmi particolari di orientamento e formazione professionale, strutture residenziali alternative al ricovero di istituto, inserimenti guidati in associazioni sportive e culturali, interventi di supporto all’attuazione della semilibertà, interventi protetti in aziende, attività culturali e di animazione, formazione negli istituti di pena minorili. Queste attività sono orientate principalmente sul versante del recupero sociale mentre per quanto riguarda la prevenzione del disagio e della devianza il discorso è leggermente diverso. Nell’area della prevenzione, infatti, i Progetti giovani hanno espresso orientamenti culturali e dato vita a prassi operative estremamente diversificate in ragione sia dell’assenza di un orientamento condiviso a livello generale sulla prevenzione sia in ragione del fatto che le azioni sono strettamente correlate ai punti di vista (molteplici) relativi al disagio, alla devianza alla tossicodipendenza, alla prevenzione. Sono almeno quattro, infatti, gli approcci alla prevenzione presenti nei Progetti giovani: a) come attivazione di processi di comunicazione: ad esempio la creazione di luoghi / sportelli / centri di informazione (dentro e fuori la scuola) per accrescere il livello di opportunità per i giovani in ordine al loro inserimento sociale; l’attivazione di percorsi informativi sul problema tossicodipendenza; l’attivazione di specifici studi e ricerche, attività di animazione espressiva sui temi della comunicazione verbale e non verbale; b) come attivazione di processi educativi: ad esempio la creazione di una rete di centri di aggregazione, per adolescenti in modo particolare, ove poter far vivere esperienze di relazione significativa tra adolescenti e adulti educatori; le iniziative attivate in collaborazione con la scuola, sia quella dell’obbligo che con le superiori, volte alla realizzazione di percorsi didatticieducativi nel territorio (laboratori, centri, ...); le iniziative finalizzate all’orientamento scolastico e professionale e quelle volte a proporre corsi/momenti di educazione alla salute; l’impegno volto alla promozione dell’associazionismo, inteso come esperienza “positiva”, volta a valorizzare
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c)
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la capacità di collaborazione, partecipazione, adesione ed impegno per un progetto sia esso sportivo, culturale, educativo-formativo o religioso; come attivazione di processi di animazione: ad esempio le “normali” attività di animazione volte a favorire l’espressione e la comunicazione tra giovani e adulti, e tra giovani ed istituzioni intorno ai temi del disagio sociale e giovanile; le attività di “animazione di strada”, terminologia che racchiude esperienze anche molto diverse tra loro, che hanno come comune denominatore l’essere volte direttamente sulla strada prevalentemente con gruppi “informali” di adolescenti piuttosto che con singole persone; le attività globalmente rivolte a favorire la partecipazione dei singoli e dei gruppi (informali e non) alla vita di comunità (quartiere), le situazioni di cambiamento (relazionale, lavorativo ...), lo sviluppo del senso di comunità per far sì che la stessa comunità possa massimizzare l’integrazione fra persone ed ambiente; le attività per un uso del tempo libero più significativo e costruttivo: feste, campeggi, centri estivi, sport; come attivazione di interventi su soggetti/gruppi a rischio e su fattori di rischio: ad esempio l’attivazione di ricerche su giovani e disagio che hanno permesso di fotografare una quota di mondo giovanile già esposto, con comportamenti più o meno devianti (alcool, droghe, delinquenza, fughe, ...), all’attenzione dei servizi sociali. A questi lavori di ricerca sono seguiti percorsi operativi differenti quali l’attivazione di specifiche iniziative educative rivolte globalmente agli adolescenti, considerati in quanto tali soggetti a rischio; la messa in atto di interventi denominati “educativa territoriale” o “di strada” che sull’onda di esperienze estere, permette l’aggancio, da parte di educatori, di soggetti in situazioni di disagio laddove normalmente vivono; interventi - centri di ascolto psicologico (counselling) per adolescenti e giovani in situazione di disagio.
5. La questione della rappresentanza giovanile I due capisaldi dell’ipotesi di Progetti giovani elaborata dall’ANCI vedevano una precisa responsabilità politica nella figura di un assessore ai giovani od al Progetto e nel contempo dall’esistenza di sedi ed occasioni formali di confronto e partecipazione dei giovani. Rispetto a questi particolari aspetti della vita dei Progetti non si può dire che vi sia stata una capacità di creatività simile a quella espressa per i settori descritti in precedenza. In concreto si sono affermate in alcuni casi figure come l’assessore al Progetto giovani od ai problemi della gioventù, ma nella maggior parte dei casi l’assessore a cui è stato affidato il compito di coordinare il Progetto è stato l’assessore ai servizi sociali. Per quanto riguarda invece il tema della rappresentanza giovanile si segnala la presenza di Consulte o Forum delle associazioni, collocate prevalentemente nel nord. Al di là del dato numerico o dell’analisi circa il fallimento o il successo di tali iniziative (più elevato il numero dei fallimenti) occorre sviluppare alcune riflessioni di carattere più generale sul rapporto tra associazioni e Progetti.
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Le associazioni giovanili sono molto presenti nella gestione dei Progetti degli Enti locali rivolti ai giovani ed agli adolescenti: esse sono coinvolte in modo esclusivo o compartecipato con operatori pubblici ed altre agenzie (in particolare cooperative di animatori o educatori) nella quasi totalità delle iniziative previste nei Progetti. L’associazionismo giovanile, proprio per le caratteristiche che oggi lo contraddistinguono rispetto al passato, si trova a percorrere il difficile confine che separa l’autonomia dalla dipendenza dal contesto esterno, in primo luogo dagli Enti locali. Le associazioni operano sul “mercato”, producendo beni e servizi all’interno di segmenti particolari protetti ed assistiti, e ricercano contemporaneamente autonomia, supporti e sostegno per consolidare la propria azione e la propria struttura. In questo modo si spiega la diffusione, ma allo stesso tempo l’intermittenza e la scarsa organicità dei rapporti con l’Ente locale: le motivazioni e le componenti sociali da cui prende avvio la relazione lo rendono in tal senso ostile o quanto meno prudente. Indisponibile e reticente a farsi coinvolgere dalle istituzioni, per timore di venire integrato o istituzionalizzato. La tendenza che prevale è quindi quella di limitare il rapporto allo stretto necessario, cioè all’acquisizione di risorse strutture. Ma questa ricerca di relazioni senza implicazioni rischia di produrre effetti contradditori rispetto alle attese: aumentano i margini di informalità, rischiano di aumentare la discrezionalità delle scelte ed il prevalere dell’affinità culturale e politica. Gioca in negativo sovente anche un atteggiamento delle istituzioni di delega all’associazionismo della gestione di alcuni ambiti di intervento, attraverso sostegni ed agevolazioni non sempre commisurate alla reale coerenza con gli indirizzi di politica sociale né sempre sottoposti a verifiche sulla congruenza e sull’efficacia. Si registra così una logica di investimento pubblico non selettivo rispetto all’associazionismo, che sottende rischi di processi di istituzionalizzazione, di separazione dal tessuto sociale che alimenta culturalmente le associazioni, senza nel contempo determinare crescita della qualificazione organizzativa ed operativa. La seconda questione riguarda i differenti approcci riscontrabili nell’universo associativo in merito ai rapporti con le istituzioni. I ragionamenti sinora espressi considerano - per ovvi motivi - l’associazionismo come un universo omogeneo. In realtà non è questa la situazione. E’ utile allora interrogarsi su quali siano le associazioni giovanili più coinvolte. Una lettura attenta delle esperienze evidenzia una situazione diffusa di rapporti difficili con l’associazionismo storico e tradizionale e più facili, invece, con associazioni giovanili di più recente costituzione e di minore complessità interna. Al di là della partecipazione alle Consulte od ai Forum (laddove esistono) le associazioni storiche (ARCI, AGESCI, Azione cattolica ecc.) sembrano maggiormente refrattarie e mantengono maggiormente le distanze, ricercano rapporti non coinvolgenti, intendono mantenere intatte le loro identità. Questo esito può determinarsi in ragione di diversi fattori; in particolare incidono, da un lato, l’essere associazioni orientate fortemente in senso formativo verso l’interno e l’avere abitualmente verso l’esterno rapporti mai coinvolgenti in modo totale e, dall’altro, l’individuare nel Progetto un temibile “concorrente”, che rompe un regime di monopolio nel settore educativo e del tempo libero, con offerte a basso costo ed
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a alto livello qualitativo (perlomeno a livello di strumentazione), provocando così uno squilibrio nel mercato delle offerte culturali e di tempo libero. Emerge così come sugli esiti dello sviluppo del rapporto tra associazionismo e Progetti possono influire in modo determinante le molteplici tensioni che attraversano in più punti l’azione, oltre ché l’organizzazione e le relazioni con l’esterno, delle associazioni. Tra queste tensioni, oltre a quella già ricordata relativa alla necessità di autonomia e nel contempo di integrazione con l’ambiente, la ricerca ha rilevato: la tensione tra priorità alla dimensione di partecipazione o di servizio, cioè l’essere soggetto promotore di domande ed orientamenti e dall’altro la necessità di rispondervi producendo beni e servizi; la tensione fra l’essere luogo di espressione e comunicazione e luogo di produzione e consumo, in altri termini tra solidarietà ed utilità; far condividere ed interpretare valori ed erogare beni e servizi; la tensione tra il privilegiare la flessibilità o il consolidamento organizzativo, tra crescita della professionalità e mantenimento di un modello aperto e dinamico di gestione. Queste tensioni sono presenti tendenzialmente in tutte le associazioni seppur con pesi e significati diversi ed incidenti in misura differenziata sul modo in cui esse costruiscono le rappresentazioni di se stesse e degli altri. La centratura verso l’una o l’altra delle polarità costringe l’associazionismo ad una perdita della propria identità o nel senso del ridursi a gruppo informale o nel senso di perdere le funzioni di rappresentanza culturale e politica. La difficoltà delle associazioni è proprio quella di mantenere un costante equilibrio tale da garantire la propria identità e nello stesso tempo di garantirsi le condizioni per svolgere un ruolo significativo nel contesto. Le associazioni storiche hanno in proposito lo svantaggio di una storia nella quale scarso spazio hanno avuto queste dinamiche, se non in quanto generate e sviluppate a partire dal rapporto con i soci / utenti più che dal rapporto con le istituzioni. Per contro le associazioni più recenti, in genere circoscritte sia per tema che per area territoriale su cui agiscono, vivono con minori difficoltà questa ricerca di equilibrio in quanto è un problema con il quale si sono dovute confrontare sin dall’inizio della loro storia. 6. Dai Progetti giovani ai Progetti adolescenti Intorno alla metà degli anni ottanta sono andate via via evidenziandosi valutazioni critiche in ordine alla efficacia dei Progetti giovani rispetto alla loro capacità di avvicinare anche gli adolescenti. A fronte di un crescente impegno delle istituzioni verso la categoria “giovani”, si è rilevata a più riprese una notevole difficoltà ad entrare in contatto reale con gli adolescenti, a comprendere i loro bisogni e ad offrire interventi adeguati e specifici. Difficoltà che il CENSIS esprimeva in termini molto precisi di “rimozione culturale ed istituzionale dell’adolescenza”6. Un punto di svolta rispetto a questa situazione è rappresentato dal lavoro svolto dalla Direzione generale servizi civili del Ministero dell’Interno che ha portato alla redazione del volume intitolato Progetto adolescenti. Orientamenti e proposte 6
CENSIS, Adolescenti: condizioni di vita e qualità delle relazioni educative, Ministero dell'Interno, Roma 1985.
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metodologiche, che ha costituito e costituisce tuttora un punto fermo nella riflessione e nell’azione sociale verso gli adolescenti. Gli orientamenti proposti nel volume si muovevano sulla strada tracciata da alcuni Progetti giovani che avevano predisposto servizi specifici per adolescenti o sottoprogetti, che nel tempo hanno assunto una fisionomia autonoma rispetto al Progetto giovani. L’ipotesi di fondo considera che di fronte al delicato ed importante fenomeno evolutivo come l’adolescenza, intesa come percorso di costruzione di un’identità adulta, occorre investire in educazione, attivando progetti rivolti agli adolescenti, con l’obiettivo di supportarli nei loro percorsi di vita e di crescita sostenendo un ruolo “debole” ed “incerto” e non più esclusivo ed esaustivo - come sostiene il Consiglio nazionale dei minori nei suoi rapporti - delle agenzie educative tradizionali (famiglia, scuola, associazionismo) ed a costruire opportunità per azioni dirette con adolescenti attivando iniziative sul territorio. In questo volume, a proposito di cosa dovesse intendersi per Progetto adolescenti, si recitava testualmente: “con Progetto adolescenti si intende: un insieme di idee ed interventi, rivolto a tutti gli adolescenti, finalizzato ad obiettivi di promozione culturale, prevenzione e socializzazione degli adolescenti, organizzati secondo le coordinate di un progetto, realizzato attraverso la mobilitazione dei servizi e delle risorse presenti nel territorio, caratterizzato da una chiara e precisa intenzionalità pedagogica.” Un preciso contributo nella direzione della consapevolezza sullo stato delle politiche per gli adolescenti in Italia viene dalla ricerca effettuata dal Centro Documentazione del Gruppo Abele già citata grazie alla quale è emerso come, nel 1992, il 39 % dei Comuni (prevalentemente nel nord) contattati dichiarava di avere un Progetto adolescenti. Un rapido sguardo alle aree di intervento dei Progetti permette di cogliere come la prevalenza dei Progetti individui in tre settori la centralità del proprio impegno: l’ambito scolastico - formativo, la promozione dell’aggregazione e la prevenzione del disagio. Inferiori le percentuali relative ad altri settori, quali ad esempio: le ricerche, lo sport, l’informazione, il recupero della devianza, la tutela della salute. Nel complesso comunque vi è un numero rilevante di Progetti articolati contemporaneamente su diverse aree d’intervento. 7. Dai Progetti giovani ai progetti di prevenzione Con l’approvazione del DPR 9 ottobre 1990, n. 309, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza vi è la possibilità di istituire un Fondo nazionale per la lotta alle droghe e, di conseguenza, di finanziare interventi di carattere preventivo in tutto il Paese. A distanza di anni è possibile documentare il notevole dibattito che a livello sociale e parlamentare tale legge scatenò, con l’emergere di due schieramenti culturali: da un lato coloro che erano fautori della necessità di ribadire l’illiceità dell’assunzione di droghe e dall’altra chi proponeva una prospettiva di tipo educativo (“educare non punire”). La legge, frutto di pressioni politiche che hanno usato strumentalmente la questione droga, a fianco di parti di dubbia adeguatezza 16
(successivamente modificate dal Parlamento e dai Governi) contiene alcune parti di notevole interesse in confronto alla legge sino a quel momento in vigore, la L. 685 del 1975. Complessivamente attraverso il Fondo nazionale sono state investite molte risorse, solo in parte dedicate in senso stretto alla prevenzione, in quanto su questo Fondo venivano finanziati anche progetti di reinserimento sociale, di recupero strutture a fini terapeutico - sociali (comunità, ecc.). Sulla base dei dati presentati nelle relazioni annuali è possibile ricostruire il quadro complessivo del periodo 1990 – 1995, sino al momento del trasferimento delle competenze e di parte fondi alle Regioni. Circa mille i miliardi distribuiti dei quali circa la metà sono stati erogati ad enti locali, in molti casi per progetti di prevenzione. Nel corso degli anni è possibile cogliere chiaramente due tendenze: - il progressivo aumento delle risorse finanziarie messe a disposizione degli Enti locali, sostanzialmente triplicate nel corso di sei anni, - la centralità del nord Italia, ed in esso, delle grandi aree metropolitane, rispetto alle altre macro-aree territoriali: il nord, progressivamente, è arrivato a impegnare quasi la metà dell’intero Fondo a disposizione degli Enti locali. Uguale considerazione è possibile operare per i dati degli stanziamenti relativi ai progetti presentati dalle Regioni. Nel 1996 prende corpo il trasferimento alle Regioni delle competenze (con il Decreto ministeriale del 11 aprile 96 sulla base del decreto legge n. 130 del 19 marzo 96) connesse al Fondo nazionale per la lotta alla droga. Dal 1997 al 1999 sono stati messi a disposizione delle Regioni altri 500 miliardi che hanno permesso di finanziare progetti ed interventi che nel 41 % dei casi hanno riguardato la prevenzione primaria delle dipendenze.7 Una storia con molte analogie a quella appena descritta è quella della Legge del 19 luglio 1991, n. 216 Primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose. La nascita di questa legge è da ricollegare all’entrata in vigore il Codice di procedura penale minorile nel 1988 che stabiliva un ruolo residuale per l’Istituto Penale minorile, riservato a minori condannati per reati gravissimi e soltanto per gravi esigenze di tutela della collettività: omicidi, sfruttamento della prostituzione, spaccio di stupefacenti pesanti e rapina aggravata. Sulla base del Nuovo Codice tutto il resto doveva essere gestito e trattato con misure di tipo diverso che presuppongo l’esistenza di opportunità per i ragazzi e le ragazze nel territorio in quanto non è possibile prescrivere in sede di giudizio penale senza disporre di strumenti quali opportunità di studio, lavoro, socializzazione, impiego del tempo libero, ecc. La legge n. 216 nasce a seguito di una prima valutazione dell’impatto del nuovo Codice. Molti Uffici Giudiziari reclamarono di poter ritornare alla possibilità di arresto per i minorenni, al punto che nello stesso anno venne modificato il Codice appena entrato in vigore nel senso di consentire l’arresto anche per reati meno
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Tratto dalla Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, del 1999, predisposta dal Dipartimento Affari sociali della Presidenza del Consiglio.
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gravi. Questo è avvenuto perché tutte le possibilità previste dal nuovo Codice esistevano in poche zone d’Italia. E’ stata così rilevante la preoccupazione di molte sedi giudiziarie, soprattutto al sud, che in conclusione si è ritornati al carcere piuttosto che nessuna risposta al reato. Questa legge nasce dalla constatazione che nel concreto, salvo rari casi, non esistevano quelle opportunità alternative che il Codice presupponeva. Molto velocemente è stato predisposto un provvedimento legislativo, successivamente modificato, per consentire non soltanto di utilizzare le risorse del territorio per combattere il coinvolgimento dei minori nella criminalità ma per favorire anche la creazione di nuove risorse. L’art. 2 della legge apre qualche spazio per la prevenzione primaria visto che quanto indicato nell’art. 4 si riferisce certamente a interventi di prevenzione secondaria con minori già implicati in atti criminosi nel mezzogiorno d’Italia. In particolare l’art. 1 dichiara l’obiettivo del dispositivo: fronteggiare il rischio di coinvolgimento dei minori in attività criminose, attraverso il sostegno di iniziative volte a tutelare e favorire la crescita, la maturazione individuale e la socializzazione della persona di età minore, al fine di eliminare le condizioni di disagio mediante: a) l’attività di comunità di accoglienza dei minori per i quali si sia reso necessario l’allontanamento temporaneo dall’ambito familiare; b) l’attuazione di interventi a sostegno delle famiglie anche dopo il reinserimento del minore a seguito della eliminazione della situazione di rischio in particolare per l’assolvimento degli obblighi scolastici; c) l’attività di centri di incontro e di iniziativa di presenza sociale nei quartieri a rischio; l’attuazione di interventi da realizzare, previo accordo con le competenti autorità scolastiche e in base ad indirizzi del Ministro della pubblica istruzione, nell’ambito delle strutture scolastiche in orari non dedicati all’attività istituzionale o nel periodo estivo. L’art. 2 indica nei Comuni, nelle Province, nei loro consorzi, nelle comunità montane, nonché negli enti, organizzazioni di volontariato, associazioni di cooperative di solidarietà sociale i destinatari dei contributi. La Legge n. 216 è stata successivamente integrata dalla legge 465/94 Primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose - Piano contributi anno 1997 che nel prorogare il Fondo declina i nuovi criteri di valutazione dei progetti presentati al finanziamento. Su un piano più generale, questo nuovo provvedimento legislativo richiama la necessità che i progetti siano qualitativamente validi e coerenti con le finalità della legge ed in armonia con il complesso dei principi ed interventi suggeriti nell’atto di intesa tra lo Stato e le Regioni e le Province Autonome. In particolare viene esplicitato che le considerazioni maggiori riguardano considerate iniziative che: - prendano in esame contesti molto degradati nei quali si manifestino situazioni di tensione e di grave disagio, riscontrabili anche sulla base degli indici di criminalità minorile, di abuso e maltrattamento di minori, di dispersione scolastica e di abbandono; - concorrano alla soluzione di problematiche urgenti; - concorrano alla realizzazione di progetti tali da incidere realmente nelle situazioni considerate, chiaramente definiti quanto a contenuti, strumenti, operatori,
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risorse finanziarie e forme efficaci di collaborazione inter-istituzionale con piani regionali socio assistenziali; - attuino interventi polifunzionali anche attraverso il lavoro integrato di professionalità e organismi diversi; - contengano precise indicazioni sui tempi, sulle modalità di realizzazione e sulla fattibilità dei progetti. E’ opportuno al riguardo sottolineare l’importanza del Progetto di Rete, introdotto per la prima volta con il piano degli interventi per l’anno 1996, che hanno dato la possibilità ai Comuni di grande estensione territoriale di operare in modo integrato con gli enti del privato sociale attraverso convenzioni, ovvero facendo proprio il progetto di rete elaborato da enti privati in possesso di specifica e comprovata esperienza in tali tipi di intervento. Tale iniziativa consente di avviare interventi di più ampio respiro in relazione alle esigenze delle grandi città e dei bacini di utenza e di evitare il proliferare di istanze di contributo e la duplicazione di progetti nelle stesse zone con pregiudizio per l’efficacia dei medesimi. Questa evoluzione della L. 216 (pur permanendo le competenze delle Prefetture di istruzione delle pratiche e di assistenza tecnica ai progetti finanziati nonché di verifica amministrativa degli stessi) ha introdotto con estrema chiarezza la prospettiva del lavoro di rete territoriale invitando le amministrazioni delle grandi aree metropolitano a svolgere una funzione di promozione della legge, di raccolta ed sintesi delle singole progettualità, di raccordo e sostegno alle singole progettualità. La legge non è stata più rifinanziata in seguito all’approvazione della legge 285/97 onde permettere di convergere le risorse disponibili in un unico fondo. L’ammontare complessivo dei finanziamenti erogati con la L. n. 216/91 è pari a quasi 250 miliardi in sei anni con un andamento irregolare negli anni sia sotto il profilo della dotazione annua a disposizione, sia sotto quello dei criteri per la ripartizione dei fondi in riferimento alla tipologia degli enti. La parte più consistente dei fondi sono stati stanziati a favore di enti pubblici territoriali, piuttosto che ad associazioni e cooperative. La distribuzione per macro aree regionali presenta dati decisamente differenti da quelli esposti per la legge sulle tossicodipendenze: ad essere maggiormente favorita nella ripartizione dei fondi a disposizione è stata l’area sud – isole. Infatti all’area sud/isole nel 1995 va una dotazione pari al 76 % del totale e, nel 1996 il 79 % del totale a disposizione. Le normative nazionali n. 309/1990 e n. 216/1991 hanno fortemente incentivato negli Enti locali la messa a punto e l’avvio di Progetti di prevenzione rivolti agli adolescenti in una fase storica in cui, proprio negli Enti locali, diminuivano consistentemente le risorse finanziarie per dare continuità od avvio ad esperienze come quelle dei Progetti giovani o/e Progetti adolescenti. La progettualità rivolta agli adolescenti e la centratura sulla prevenzione del disagio in esse si spiegano in modo consistente, seppur non esaustivo, come frutto delle spinte istituzionali di carattere nazionale che sono diventate, per alcuni aspetti, coattive. In altri termini, in molte realtà territoriali, queste due leggi sono state l’unica possibilità, per l’Ente locale, di dare continuità ad esperienze avviate
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autonomamente da tempo o l’unica possibilità di avviare iniziative verso gli adolescenti. Se si analizza la situazione sotto il profilo dell’attenzione verso i giovani e la prevenzione certamente può esservi una valutazione positiva di ciò che l’applicazione delle due leggi ha generato in termini di nuove e maggiori risorse, attenzioni e sensibilità. In questa tendenza si intravede, però, un rischio di una paradossale negazione dei motivi (e delle radici culturali) che hanno dato vita alle politiche giovanili. La prospettiva “crisiologica” è preoccupante per la possibilità di categorizzare ed etichettare i giovani e gli adolescenti come soggetti a rischio e non come i destinatari di investimenti in vista delle prospettive future della nostra società. L’altro aspetto di forte criticità che le leggi hanno espresso è la forte centratura della gestione centralizzata presso i ministeri che ha avuto due effetti: - rendere molto complesse le sinergie tra i progetti approvati sul Fondo nazionale per la lotta alla droga od alla devianza minorile e gli interventi e progetti relativi alle altre legislazioni che nel campo sociale, anche a livello regionale, sono state approvate; - rendere quasi impossibile il compito di raccordo territoriale tra esperienze della stessa regione, stante il fatto che le Regioni erano messe al corrente delle decisioni delle Commissioni nazionali direttamente dalla Gazzetta Ufficiale nello stesso modo e tempo con cui venivano messi a conoscenza gli enti che avanzavano progetti al Fondo. Il passaggio alle Regioni di parte del Fondo è indubbiamente un provvedimento opportuno anche se tardivo. Questo orientamento attivato qualche anno prima avrebbe potuto offrire maggiori possibilità di sviluppo qualitativo per lo stesso Fondo nazionale. 8. Dai Progetti giovani alle politiche giovanili a livello nazionale A fronte dello sviluppo avvenuto a livello locale la questione delle “politiche giovanili” non trova, infatti, ancora riscontro in un quadro di riferimento a livello nazionale; è un dato questo che è in forte contrasto con quanto avviene in quasi tutte le nazioni europee ove è presente, invece, un Ministero od un Dipartimento per le politiche giovanili. Il 14 giugno 1992 la Commissione delle Comunità Europee approvava all’unanimità come risoluzione ad agire e raccomandazione ai vari partners, un vero e proprio rapporto quadro sulle politiche giovanili, che in Italia non ha avuto riscontri ed echi particolari. Alcune speranze di un’assunzione di responsabilità politica ed istituzionale in questa direzione ben tre volte sono andate deluse. In particolare vanno ricordate: a) le conclusioni del Comitato italiano, istituito nel 1985 in occasione dell’Anno internazionale dei giovani, che giunse alla proposta (formulata come proposta di legge) di istituire un Ministero od un Dipartimento per la gioventù ed il Forum nazionale della gioventù. Nonostante le promesse di interessamento espresse dal Governo in carica in quel periodo non seguì nessuna assunzione della proposta; 20
b)
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le conclusioni della Commissione parlamentare d’inchiesta, istituita dal Parlamento nel 1988, che ha concluso i suoi lavori nell’aprile 1991, con un documento conclusivo e con due proposte di legge, redatte con voto unanime dei parlamentari di tutti i partiti componenti la Commissione. Uno di questi progetti di legge riguardava, per l’appunto, l’istituzione dei Consigli per la gioventù e del Dipartimento per le politiche giovanili a livello interministeriale (Proposta n. 5627); la proposta di Legge predisposta dal Ministro Livia Turco nel 1997 ha riproposto l’esigenza ed una prospettiva di legge quadro inerente le politiche giovanili. Lo strumento operativo principale, secondo quanto indicato nella proposta, è l’Agenzia nazionale per i giovani, con compiti di coordinamento e di promozione degli interventi per l’attuazione delle finalità, monitorare la legge, sovrintendere alla realizzazione del sistema informativo nazionale relativo alle politiche giovanili, favorire la diffusione dei dati e qualità degli interventi e servizi. Sempre secondo la proposta di legge il Piano giovani verrebbe predisposto dal Governo ogni tre anni e dovrebbe indicare gli indirizzi e gli obiettivi per la promozione di politiche ed interventi a favore delle giovani generazioni, le modalità di finanziamento degli interventi da esso previsti nonché le forme di potenziamento e coordinamento degli stessi per l’attuazione delle finalità della legge. Dovrebbe essere istituito il Consiglio nazionale dei giovani, con compiti consultivi e propositivi e di rappresentanza dei giovani nelle istituzioni nazionali e negli organismi internazionali. Analogamente le Regioni dovrebbero istituire un Consiglio regionale dei giovani con compiti consultivi, di proposta e di rappresentanza. Il Fondo nazionale per i giovani è destinato al finanziamento dei progetti e degli interventi inseriti nei programmi annuali o pluriennali degli enti locali, delle regioni e dello Stato, per sostenere: • associazioni e gruppi di giovani; • realizzazioni innovative di giovani singoli; • reti informative per i giovani; • protezione sociale e sostegno per l’autonomia economica dei giovani; • servizi ricreativi per il tempo libero; • fruizione dell’ambiente e del patrimonio artistico da parte dei giovani; • scambi culturali e servizi per la mobilità nazionale ed internazionale; • partecipazione dei giovani alle istituzioni nazionali ed internazionali; • prevenzione del disagio giovanile; • formazione professionale per l’acquisizione di specifiche competenze.
Dopo l’elaborazione e presentazione delle diverse proposte di legge nulla è successo e la situazione è sostanzialmente la stessa di venticinque anni fa. Il non supporto delle esperienze locali; i notevoli problemi di sopravvivenza delle stesse per i tagli nei bilanci degli Enti locali; l’assenza di interlocutori con i quali interagire e dai quali ricevere orientamenti, indirizzi e proposte; la contraddittorietà negli orientamenti politici nazionali costituiscono motivo di sfiducia circa la reale possibilità che si possa assistere ad uno sviluppo organico e serio delle politiche giovanili nel nostro paese.
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9. Le politiche delle Regioni in materia di giovani Sull’onda delle esperienze degli Enti locali è via via cresciuto un ruolo specifico delle Regioni che si è tradotto nell’emanazione di leggi regionali inerenti le politiche giovanili e dei successivi adempimenti politico amministrativi per la loro attuazione. Le iniziative regionali colmano, di fatto, una lacuna istituzionale notevole, però il fatto che ad oggi siano solo sette su venti le Regioni che hanno ordinato la materia appare essere un ulteriore motivi di rafforzamento delle disuguaglianze territoriali (nord/sud soprattutto) peraltro già forti sul piano delle disponibilità economiche, del consolidamento di una cultura e di una prassi nel campo dei servizi sociali. Al momento sono in vigore le seguenti leggi regionali: - Veneto: L. n. 29 del 28 giugno 1988, - Campania: L. n. 14 del 25 agosto 1989, - Valle d’Aosta: L. n. 11 del 17 marzo 1992, - Piemonte: L. n. 16 del 13 febbraio 1995, - Umbria: L. n. 27 del 1995, - Emilia – Romagna: L. n. 21 del 1 luglio 1996, - Marche: L. n. 2 del 9 gennaio 1997 a modifica della L. n. 46 del 12 aprile 1995. Ad esse vanno aggiunte la Regione Sardegna che, pur non disponendo di una legge regionale, ha approvato un Piano giovani nell’ambito del Piano socioassistenziale triennale, nel 1997, e la Provincia Autonoma di Bolzano che, già dal 1983, dispone di una legge di riferimento per le politiche giovanili: la L. P. n. 13, 1983. Nell’insieme può essere ricostruito un tentativo di classificazione delle legislazioni regionali: -
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un primo gruppo di regioni (Veneto, Marche, Lombardia) sembra caratterizzare il proprio agire nel campo delle politiche giovanili con un approccio organico e promozionale, con la previsione di sostegno economico e tecnico dei progetti locali ma anche con quote definite di finanziamento del costo dei progetti, in ogni caso elevati, un secondo gruppo di regioni (Valle d’Aosta e Provincia Bolzano) sembra procedere secondo un completo principio di sussidiarietà: l’ente locale indica alcuni indirizzi di fondo e con la legge vengono finanziate le progettualità delle realtà locali, una terza tipologia di approccio è quella della Regione Emilia Romagna, che ha emanato ed applicato una legge di tipo promozionale ma limitata ad alcune sperimentazioni di progetti a valore regionale, infine un quarto approccio è rilevabile in quelle regioni (come il Piemonte) che ha una legge promozionale unitamente ad un piano annuale tematico che condiziona le progettualità che vengono inserite nel piano e che vengono finanziate, sempre in modo parziale. Tra tutte le situazioni è quella che più si avvicina al modello del concorso di progetti.
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Di seguito vengono proposti gli elementi essenziali di alcune delle normative regionali sopra indicate con riferimento, soprattutto, alla loro applicazione. a) La Regione Veneto Nel periodo 1988-1998 l’attenzione della Regione Veneto nei confronti della condizione giovanile si è concretizzata in numerose iniziative di tipo normativo, promozionale e conoscitivo: la legge 20/1/88 n. 8, istituisce il Dipartimento per le politiche giovanili e la prevenzione, a cui segue, qualche mese dopo, il 28/6, la legge n. 29 “Iniziative e coordinamento delle attività a favore dei giovani”, la prima legge di una regione sul tema. Tale legge introduce una nuova prassi culturale ed operativa che richiede un’impostazione programmatica degli interventi, integrata a coordinata e non settoriale, specializzata e parziale. Gli strumenti operativi della legge sono individuati: - nell’Osservatorio permanente sulla condizione giovanile - nella promozione, attraverso il finanziamento di progetti obiettivo - nel coordinamento, attraverso il gruppo di lavoro interdisciplinare, - nella partecipazione attraverso la consulta giovanile. Successive circolari e modifiche hanno delineato sempre più precisamente i confini operativi e i criteri per lo sviluppo dei progetti pilota. Sul piano operativo la legge ha svolto una funzione promozionale che si è tradotta nello sviluppo di svariati progetti pilota nelle aree dell’aggregazione, dell’informazione, del lavoro e della valutazione. Tale finanziamento è risultato strategico nel promuovere la cultura della programmazione dell’ente locale. Lo sforzo progettuale richiesto agli enti locali è stato consistente: di circolare in circolare, i progetti giovani dovevano rispondere a caratteristiche e requisiti sempre più puntuali e precisi: approfondita conoscenza del territorio, puntuale definizione di obiettivi, strumenti e risorse, nonché dei livelli di coordinamento e un adeguato strumento di verifica del progetto stesso. La modalità del progetto pilota ha sempre implicato per gli enti locali un proprio impegno di spesa per dimostrare la volontà di pensare, programmare e realizzare progettualità integrata e coordinata a favore dei giovani, a prescindere dall’eventuale finanziamento regionale. b) La Regione Piemonte La Regione Piemonte è arrivata per gradi alla Legge regionale sulle politiche giovanili. Il primo passo è stato l’istituzione del Consiglio regionale dei minori (L. R. n. 55 del 1989) che ha svolto, da allora, una funzione promozionale nei confronti degli enti locali, della scuola e dell’associazionismo rispetto alle esigenze ed ai bisogni dell’infanzia e dell’adolescenza. In concreto il Consiglio regionale dei minori, non disponendo di un cospicuo fondo economico a disposizione, ha utilizzato la forma del concorso a premi per incentivare, riconoscere e valorizzare alcune esperienze pilota in regione più sotto il profilo culturale che finanziario. Il concorso è stato promosso per quattro anni (1993-98) ed ha permesso la premiazione di molti progetti.
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Il secondo passo è costituito dalla normativa inerente la Consulta giovanile, approvata con D. C. R. n. 308 del 1991, a cui è seguita l’istituzione dell’albo delle associazioni giovanili e l’attivazione della stessa Consulta. Il terzo passaggio è del 1995, con l’approvazione della L. R. n. 16 “Coordinamento e sostegno delle attività a favore dei giovani”. Con questa legge la Regione Piemonte ha adottato la “Carta per la partecipazione dei giovani alla vita comunale e regionale”, approvata il 7 novembre 1990 dalla Sottocommissione della Gioventù del Consiglio d’Europa, armonizzando e coordinando gli interventi con gli obiettivi da essa indicati, promuovendo l’adozione e la relativa attuazione da parte degli Enti locali del Piemonte. La legge impegna la Giunta Regionale entro il 30 novembre di ciascun anno, a presentare al Consiglio Regionale una proposta di Piano annuale degli interventi regionali per i giovani, indicando gli indirizzi e gli obiettivi dell’azione regionale, i progetti obiettivo ed i progetti pilota e definendo i criteri per l’erogazione dei contributi. La legge istituisce anche l’Osservatorio permanente sulla condizione dei giovani e la Consulta regionale dei giovani. c) La Regione Emilia Romagna La Regione Emilia Romagna per riconoscere, garantire e promuovere i diritti di cittadinanza degli adolescenti e dei giovani di entrambi i sessi, mediante la loro autonoma partecipazione alle espressioni della società civile e alle istituzioni della regione con la Legge 21 del 25 giugno 1996 “Promozione e coordinamento delle politiche rivolte ai giovani” promuove e coordina politiche volte a favorire il pieno sviluppo della personalità degli adolescenti e dei giovani sul piano culturale, sociale ed economico, ne promuove e valorizza le forme associative. Per conseguire tali finalità la Regione assume un ruolo attivo di interlocutore degli enti locali, dei soggetti pubblici e privati, del mondo economico, delle imprese e delle organizzazioni sindacali, promuovendo e coordinandone - in un’ottica di sistema - gli interventi rivolti ad adolescenti e giovani. Gli ambiti prioritari di intervento sono stati individuati: ! nella famiglia; ! nell’ambiente esterno inteso quale insieme di reti di relazioni, informali e formali; ! nei contesti scolastici, educativi e lavorativi. La Regione attiva forme di cooperazione nazionale e transnazionale, secondo quanto previsto dalla normativa nazionale in merito. Per il conseguimento delle finalità della legge la Regione coordina i piani poliennali e gli interventi delle leggi di settore che abbiano ricaduta sulla condizione dei giovani, attuando le azioni programmatiche seguenti: ! favorire la costituzione di forme associative fra i soggetti di livello provinciale che operano nel campo dell’orientamento alla formazione e del mercato del lavoro promuovendone il coordinamento a livello nazionale, europeo ed internazionale; ! promuovere con opportune azioni in campo in/formativo e sociale la prosecuzione degli studi per una scolarità piena dopo l’obbligo;
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! garantire l’informazione a favore dei giovani tramite la promozione degli Informagiovani nelle realtà che ne sono sprovviste e il coordinamento, il sostegno e la qualificazione di quelli attivati; ! promuovere progetti e accordi tra istituzioni, soggetti pubblici e privati e associazioni, al fine di ridurre i fattori di rischio e di emarginazione, quali dispersione scolastica e carenze comunicative e relazionali; ! sostenere e promuovere progetti e programmi di servizi socio-assistenziali e sanitari volti alla prevenzione dei fattori di rischio e alla educazione e informazione in campo sessuale; ! sostenere e valorizzare la creatività e le produzioni culturali dei giovani mediante l’organizzazione e la partecipazione ad eventi artistici; ! promuovere e sostenere programmi e iniziative finalizzate alla educazione e alla sicurezza stradale; ! predisporre un progetto regionale di Carta giovani, in raccordo con analoghi strumenti a livello nazionale ed europeo; ! favorire la creazione di centri tematici di livello interprovinciale e regionale; ! promuovere iniziative tendenti a favorire l’accesso dei giovani al mercato del lavoro; ! promuovere iniziative tendenti a facilitare sistemazioni abitative per giovani; ! promuovere, coordinare e sostenere la mobilità giovanile e gli scambi socioculturali internazionali. Per lo sviluppo e coordinamento delle azioni programmatiche viene istituito un Comitato regionale ed un gruppo di lavoro interassessorile con funzioni di supporto al Comitato regionale nella definizione di linee di lavoro e monitoraggio delle strutture, delle tendenze e delle aspettative del mondo giovanile, oltre che delle politiche e degli interventi rivolti ai giovani. E’ istituito il Forum regionale dei giovani di cui fanno parte i rappresentanti dei Forum provinciali e comunali e delle associazioni riconosciute. Costituiscono progetto pilota le iniziative rivolte ai giovani che si caratterizzano prevalentemente per la loro natura di innovazione o di intersettorialità. La Regione compartecipa allo sviluppo di tali progetti a livello finanziario solo parzialmente. d) La Regione Lombardia La Regione Lombardia non dispone di una legge regionale inerente le politiche giovanili, anche se una proposta di legge in tal senso era in discussione nella legislatura da poco conclusa. Gran parte delle attività degli Enti locali rivolte ai giovani ed agli adolescenti, comprese quelle di carattere preventivo, ha avuto ed ha tuttora il suo preciso riferimento nel Piano Socio Assistenziale del triennio 1988/1990 che prevedeva un “Azione programmata minori” del previsto Progetto Obiettivo “Tutela della salute materna infantile” del Piano Sanitario Regionale all’epoca in fase di elaborazione e giunto a termine solo nel 1995. La parte che maggiormente riguarda le attività rivolte ai giovani è quella relativa alla rete dei Centri di Aggregazione Giovanile (CAG), che rappresentano un’opportunità di coinvolgimento di preadolescenti, adolescenti e giovani in attività e iniziative nel campo della socializzazione per contrastare fenomeni di emarginazione e le cause del disagio e della devianza. Il CAG è inserito 25
generalmente nella rete di agenzie educative e sociali pubbliche e private e, in alcune realtà, ha costituito il perno su cui si è sviluppato un più ampio progetto rivolto ai giovani. Particolare rilevanza ha avuto lo sviluppo del collegamento territoriale dei CAG, inteso come messa in rete della unità di offerta, realizzato a partire dal 1992 con l’obiettivo di uscire dall’isolamento che condizionava ogni struttura e lo sviluppo del servizio. Tale coordinamento ha permesso la conoscenza reciproca, l’accompagnamento ed il sostegno per i centri in fase di avvio, il confronto su tematiche comuni, l’accompagnamento di sperimentazioni, il monitoraggio, la comunicazione permanente. All’interno della rete dei servizi organizzati per la prevenzione accanto ai CAG nel tempo è sorta l’offerta di altri servizi di informazione, consulenza e orientamento, gestiti prevalentemente da enti pubblici, all’interno delle più generali politiche giovanili. In considerazione di questi orientamenti particolare attenzione è stata data alla prevenzione del disagio adolescenziale e giovanile, con il lavoro di precisazione di contenuti e di funzioni utili ad individuare criteri di fattibilità, di efficacia degli interventi di prevenzione. e) La Regione Marche La legge 46 del 1995 si presenta come una legge organica, sullo stile della legge regionale del Veneto, con la quale la Regione intende promuovere condizioni colte a favorire lo sviluppo del benessere tra i giovani e gli adolescenti e valorizzare e dare impulso alle forme associative e ai momenti di aggregazione tra i giovani in modo da sviluppare la partecipazione e l’integrazione di questi ultimi nella vita delle comunità locali. Gli obiettivi intermedi sono stati individuati nello: - stimolare gli enti locali a varare interventi a favore di giovani ed adolescenti, - promuovere un coordinamento delle politiche giovanili sia in senso orizzontale che verticale, - favorire lo sviluppo e la diffusione della progettualità nel territorio, soprattutto nei piccoli comuni e nelle zone meno dotate. La legge prevede la concessione di contributi per lo sviluppo dei progetti con un budget che è andato progressivamente aumentando (da 300 milioni a 1 miliardo e 600 milioni). Sono stati istituiti un Coordinamento regionale e coordinamenti provinciali e l’Osservatorio regionale sui giovani. 10. La legge n. 285/97 Il 28 agosto 1997 il Parlamento italiano approva la Legge n. 285, “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”, il primo provvedimento legislativo quadro, nel nostro paese, sulla tutela dell’infanzia e dell’adolescenza. La legge 285 costituisce il punto d’arrivo di un percorso lungo e faticoso, sia dal punto di vista politico che da quello culturale, che ha portato a riconoscere che essere bambini è importante, è faticoso, è bello e che è compito delle istituzioni sintonizzarsi il massimo possibile con bisogni ed esigenze dell’età infantile, con le 26
questioni che riguardano la vita delle famiglie, per occuparsi dei bisogni dei bambini in una prospettiva nuova. La legge 285 è figlia del Piano d’Azione del Governo. Nel 1997, per la prima volta, un Governo ha prodotto e presentato pubblicamente un Piano d’azione relativo all’infanzia e all’adolescenza8, con l’indicazione delle principali problematiche e delle linee prioritarie di investimento, così com’è avvenuto anche per il Secondo Piano, valevole per il periodo 2001-20029. Il nuovo Piano d’Azione propone alcuni elementi molto interessanti proprio in riferimento all’adolescenza: è molto significativo che le linee portanti del Piano, relativamente a questa fascia di età, presentino un’inversione di tendenza rispetto al passato. Il primo capitolo relativo agli adolescenti dice: “Compito dello Stato e delle sue articolazioni è promuovere il protagonismo degli adolescenti” e illustra una serie di ragionamenti intorno a questo tema, cosa s’intende, in modo molto aperto, non vincolante o restrittivo. Il secondo capitolo è: “Tutelare gli adolescenti”. Il terzo: “Sostenere gli adolescenti che fanno fatica”. La legge istituisce il Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell’infanzia e dell’adolescenza. Tale Fondo viene ripartito tra le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano ed una quota pari al 30 per cento delle risorse del Fondo é riservata ad interventi da realizzare nei comuni di Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari. Per il finanziamento del Fondo é autorizzata la spesa di lire 117 miliardi per l’anno 1997 e di lire 312 miliardi a decorrere dall’anno 1998. Alle Regioni viene attribuita la funzione di definizione degli ambiti territoriali di intervento, del riparto economico delle risorse al fine di assicurare l’efficienza e l’efficacia degli interventi e la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti. Agli enti locali, mediante accordi di programma definiti ai sensi della L. 1990, n. 142, cui possono partecipare i provveditorati agli studi, le aziende sanitarie locali e i centri per la giustizia minorile, è assegnato il compito di approvare piani territoriali di intervento della durata massima di un triennio, articolati in progetti immediatamente esecutivi, nonché il relativo piano economico e la prevista copertura finanziaria. Gli enti locali inoltre sono chiamati ad assicurare la partecipazione delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale nella definizione dei piani di intervento. Le finalità dei progetti sono indicate dalla legge: - nella preparazione e sostegno alla famiglia, 8
Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per gli Affari Sociali, Piano d’Azione del Governo per l’infanzia e l’adolescenza 1997-1998, 1997. 9 Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per gli Affari Sociali, Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva 2000-2001, 1999.
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nel contrasto della povertà e della violenza, nel produrre innovazione e sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia; nell’offrire servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero, anche nei periodi di sospensione delle attività didattiche; nella realizzazione di azioni positive per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per l’esercizio dei diritti civili fondamentali, per il miglioramento della fruizione dell’ambiente urbano e naturale da parte dei minori, per lo sviluppo del benessere e della qualità della vita dei minori, per la valorizzazione, nel rispetto di ogni diversità, delle caratteristiche di genere, culturali ed etniche.
La legge 285 è un’occasione irripetibile per sperimentare un nuovo metodo di lavoro per promuovere “un’azione non solo riparativa, ma soprattutto preventiva e promozionale a favore di infanzia e adolescenza nel nostro Paese”10 in quanto la Legge “sceglie gli itinerari della crescita, della formazione e della socializzazione delle persone come luogo di prevenzione del disagio e di rafforzamento dell’identità, di sviluppo del benessere e della cultura, di misura dell’efficacia politica ed amministrativa nella gestione dei tempi e degli spazi che abitiamo”11. Le azioni previste non si configurano con un carattere assistenziale, ma si orientano alla promozione di diritti e opportunità di infanzia e adolescenza; e gli interventi dovrebbero essere più preventivi che erogativi, mirando ad una cultura orientata alla conoscenza ed all’esercizio dei diritti. In alcune città questo ha significato, grazie alla legge 285, attivare il Servizio sociale di base, inesistente fino il giorno prima. Nelle realtà territoriali che avevano già sviluppato un’attenzione significativa (con servizi, interventi, progetti) alle tematiche dell’infanzia e dell’adolescenza, “sviluppare opportunità” ha voluto dire produrre modalità nuove di gestione di servizi e interventi già esistenti od intervenire con nuovi servizi rispetto a bisogni sociali emergenti. I numeri essenziali della legge sono: circa 3.000 progetti presentati e finanziati nel primo triennio; ognuno di questi progetti ha prodotto in media tre interventi, in totale fra i 9.000 e i 10.000 interventi attivati e realizzati nel nostro paese, una stima fra il milione e 200 e il milione e mezzo il numero di bambini e adolescenti direttamente coinvolti in modo rilevante in progetti e servizi attivati attraverso la 285. Un contributo utile a delineare il legame tra la legge 285 e le politiche per i giovani è contenuto nelle due Relazioni al Parlamento sullo stato d’attuazione della legge 28512, che evidenziano aspetti particolarmente importanti: - la classe d’età prevalente, tra gli utilizzatori ed i destinatari coinvolti nei progetti, non è molto precisa perché la maggior parte dei progetti si rivolge, 10
Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza, Infanzia e adolescenza. Diritti e opportunità, 1998, pp. 2. 11 Centro Nazionale…, cit., p.13. 12 Cfr. Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli Affari Sociali, Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge n. 285/97 – Anno 1999. Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli Affari Sociali, Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge n. 285/97 – Anno 2000.
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spesso, a più fasce d’età contemporaneamente. Considerando la prevalenza, però, si coglie come circa il 60% degli ambiti ha indirizzato i progetti verso destinatari in età compresa tra i 12 e i 14 anni (il 18% circa dei progetti complessivi) mentre una delle età più “trascurate” nei progetti è quella dai 14 ai 17 anni che raccoglie valori attorno al 10% dei progetti; l’orizzonte della normalità rappresenti il maggiore spazio di attuazione della L. 285/97 e questo dato è rafforzato dal fatto che questo orizzonte è presente in quasi tutti gli ambiti territoriali, infatti quasi l’82% di essi ha orientato progetti in questa direzione. Solo una quota del 14% dei progetti esecutivi riguarda minori in situazioni particolari (poveri, handicap, devianti...).
Per quanto riguarda le tipologie degli interventi attivati con la legge, le due Relazioni al Parlamento13 evidenzia come alcuni degli interventi già presenti nei progetti giovani hanno avuto un ulteriore spazio di diffusione. Sempre la Seconda Relazione sullo stato d’attuazione della legge 285/97 permette di cogliere alcuni aspetti interessanti l’età adolescenziale. Associazionismo e partecipazione In questo ambito rientrano i progetti che hanno inteso promuovere forme di associazionismo e partecipazione tra gli adolescenti e la cittadinanza in generale, riconducibili agli articoli 6 e 7 della L. 285/97. La partecipazione, oltre che attraverso le forme associative, è stata stimolata dai progetti attraverso: esperienze di “governo” della città o del quartiere da parte di bambini e ragazzi; la conoscenza dei luoghi e il recupero della loro storia e identità, ma anche per mezzo del loro coinvolgimento diretto in esperienze di progettazione urbanistica partecipata. Complessivamente i progetti riconducibili a quest’area sono stati 223, di cui 183 elaborati dagli ambiti territoriali di 16 Regioni e 40 da 9 città riservatarie. Nell’insieme delle tipologie di intervento possono essere individuati 4 raggruppamenti. Nel primo sono conteggiate quelle azioni che hanno declinato la partecipazione di bambini e ragazzi attraverso la promozione di forme associative, iniziative di aggregazione, creazione di forum, gruppi di riflessione sui diritti civili, su tematiche ecologiche. Nel secondo raggruppamento sono compresi interventi che hanno sviluppato la dimensione partecipativa attraverso forme di conoscenza del territorio sia in senso architettonico, paesaggistico, che storico-antropologico; conoscenza che è passata attraverso azioni di mappatura, esplorazione, gioco, avventura, unità didattiche o conferenze. La terza area raccoglie il maggior numero di interventi sia negli ambiti territoriali (37%) che nelle città riservatarie (44%). In quest’insieme sono compresi interventi che hanno dato luogo prevalentemente a forme di progettazione partecipata per il recupero o la riqualificazione di aree urbane, aree verdi, spazi condominiali, cortili scolastici, percorsi sicuri casa-scuola e percorsi ciclo-pedonali. 13
Prima Relazione al Parlamento sullo Stato di attuazione della Legge 285/97.
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Infine al quarto raggruppamento fanno riferimento le esperienze di partecipazione per il governo della città, per la sperimentazione di forme di coinvolgimento dei ragazzi nelle decisioni che riguardano la vita collettiva del loro quartiere e dell’intera comunità. Queste esperienze si sono realizzate principalmente attraverso la creazione dei Consigli comunali dei ragazzi o la costituzione di commissioni consiliari. Lotta al disagio di infanzia e adolescenza L’area d’intervento sul disagio degli adolescenti è abbastanza vasta, infatti, comprende oltre 600 progetti e 847 interventi. Una prima tipologia raccoglie quelle attività di aggregazione, animazione ed educazione dell’infanzia e dell’adolescenza che sono esplicitamente rivolte a soggetti con disagio esplicito, comportamento deviante o che possono essere definiti “a rischio” di devianza. Una seconda tipologia si riferisce ad interventi d’ascolto e sostegno, anche con supporti specialistici, di preadolescenti fragili o in difficoltà; in quest’area rientrano anche gli interventi di prevenzione e cura del disagio psicologico. Un terzo gruppo di progetti e interventi è relativo all’area dell’assistenza domiciliare nei confronti dei minori e del lavoro di strada, dell’educativa territoriale, dell’azione di contrasto della devianza minorile “sul campo”. Un’ultima area include gli interventi “misti”, vale a dire orientati alla lotta al disagio e alla devianza ma trasversali alle macrotipologie identificate. 11. Dal Progetto giovani a progettualità rivolte alle comunità locali La ricognizione delle esperienze progettuali rivolte ai giovani, agli adolescenti ed ai bambini sin qui compiuta spinge a considerare un interrogativo: è legittimo ritenere che vi sia una connessione fra l’esperienza dei Progetti giovani e politiche di comunità? È possibile rintracciare nelle esperienze progettuali, elementi utili a raccordare le politiche giovanili con il più ampio impegno a favore della comunità locale? Le esperienze considerate esprimono, talvolta in forma di traccia e di intuizione, talaltra in modo evidente, una serie di elementi che vanno nella direzione detta. Prima di prenderli in considerazione, va almeno accennato qual è la concezione di comunità locale cui si fa riferimento in tale contesto. È un’idea “pedagogica” di comunità locale, intesa come l’ambito in cui si costruisce la rete di risorse solidali per sostenere adolescenti e giovani, nei loro percorsi di maturazione individuale e di inserimento sociale. È, in altri termini, una comunità: ! che si adopera per ridare centralità alle giovani generazioni, ai loro bisogni ed alla dimensione educativa come fattore costitutivo e fondante il proprio esser comunità competente; ! che lavora per costruire percorsi di solidarietà, intesa come la consapevolezza che vi è un compito comune (cum-munus), quello di accompagnare i percorsi evolutivi dei giovani e, con loro, costruire la comunità locale. 30
Se questo è lo scenario di riferimento, allora molte opzioni dei Progetti giovani (anche quelle che tuttora fanno molta fatica a consolidarsi), vanno nella direzione descritta. Le più significative sono le seguenti. La prima è una sorta di opzione base. Consiste nel fatto che, ad uno sguardo complessivo, i Progetti giovani hanno rappresentato e rappresentano uno strumento di “mobilitazione “ della comunità locale nelle sue diverse espressioni. Il bilancio precedentemente fatto evidenzia con chiarezza che l’impegno per e con i giovani scompiglia – come una ventata d’aria entrata all’improvviso nella stanza – le carte che erano così ben ordinate sul tavolo. Stimola, costringe tutti gli attori del territorio a rivedersi, a ridefinirsi come ruolo, come rapporti, come approcci e modalità organizzative. Il Progetto giovani contiene la potenzialità di un lavoro di comunità. All’interno di questo scenario è opportuno provare a dare un nome e significato agli aspetti dei Progetti giovani che possono legittimare e supportare tale prospettiva culturale e metodologica: - la strategia delle connessioni: i progetti giovani mobilitano le istituzioni del territorio. Le realtà pubbliche e quelle private sono stimolate a superare la logica del lavoro per competenze e per adempimenti, in funzione del lavoro per progetti. Si tratta di una strategia di fondamentale importanza, mirata a costruire reti di raccordo e di coordinamento sia a livello istituzionale che di interazione fra esperienze diverse. La logica settoriale si è rivelata inadeguata a fronteggiare la complessità di domande, di bisogni che esprime sia il mondo giovanile che quello adulto. Occorre adottare una logica improntata all’integrazione degli interventi, supportando tale strategia con un solido disegno politico, che si avvale anche di opportuni strumenti normativi. È in questa direzione, tra l’altro, che va la L. 285, richiedendo l’accordo interistituzionale come condizione per l’ottenimento dei finanziamenti richiesti; - il coinvolgimento degli adulti: il riferimento non è solo alle istituzioni, ma anche agli adulti che abitano le comunità e che svolgono funzioni di carattere sociale. È da tempo acquisito che l’impegno a favore delle giovani generazioni va accompagnato da un equivalente impegno con gli adulti che vanno supportati nello svolgimento delle loro funzioni educative: genitori, volontari, operatori del mondo associativo, operatori sociali, pubblici e privati; - la promozione dell’educazione e della prevenzione: significa riportare al centro dell’attenzione della comunità locale i percorsi educativi e quelli preventivi, visti come promozione delle capacità delle persone (giovani ed adulti) di individuare ed esprimere le proprie competenze, come capacità di produrre idee, progetti, iniziative; - il passaggio dell’ente locale da un ruolo gestionale ed uno di regia, di promozione e di coordinamento delle risorse della comunità locale. La legge 142/90 riconosce al Comune il ruolo di rappresentante della comunità locale, in tutte le sue espressioni; - l’affrontamento della complessità come una dimensione costitutiva del lavoro progettuale e del lavoro di territorio. L’apprendere a muoversi, a dotarsi di 31
chiavi di lettura dei processi culturali e sociali in atto, a negoziare, rappresentano competenze essenziali rispetto ad uno scenario di comunità. Sono queste alcune delle tracce che è possibile individuare nelle esperienze dei Progetti giovani e che vanno nella direzione dello sviluppo non solo delle politiche giovanili, ma anche dell’intera comunità locale. Si tratta di processi di lavoro che richiedono tempo, pazienza, condivisione, affinché si consolidino sia sul piano culturale che metodologico. La direzione individuata sembra tuttavia raccogliere oramai un consenso diffuso. Si è sempre più convinti che il raccordo tra politiche giovanili e sviluppo di comunità è la chiave di volta per il futuro di servizi alle persone, e non solo. Si è sempre più convinti che non è più adeguato un intervento destinato ad adolescenti/giovani, se contemporaneamente non si progetta per i cittadini delle comunità locali. In altre parole la comunità locale, investendo sui giovani, investe sul proprio futuro, consapevole che senza questo investimento l’intera comunità avvizzisce. Lavorare per e con le nuove generazioni non è un hobby, una benevola concessione, ma un investimento economico, sociale, culturale e politico per l’intera comunità, al punto che tale investimento equivale a cartina di tornasole di una comunità che sa guardare al futuro. Nello stesso tempo lavorare con i giovani è sollecitarli ad occuparsi della propria comunità, superando i rischi di chiusura nel proprio futuro individuale, per lo più concentrato alla ricerca di un pur necessario posto di lavoro. Investire con i giovani è per la comunità locale un cercare di attivare le proprie energie giovanili per prendersi cura del futuro della comunità, esprimendo questa cura da una parte come sempre maggiore competenza professionale e dall’altra come “azione di volontariato” per la cura degli anziani e dei ragazzi, come cura per la storia della comunità e per i suoi beni artistici, come cura del patrimonio culturale e di quello naturale. 12. Alcuni elementi di valutazione “Non è tutto oro ciò che luccica”. Questo proverbio ben si addice all’esperienza dei Progetti giovani in quanto nello sviluppo delle diverse esperienze si sono manifestati limiti e problemi, così come non sono stati pochi i “fallimenti” a cui si è andati incontro. In primo luogo la distribuzione territoriale dei Progetti si presenta, infatti, decisamente ineguale: sono molte le amministrazioni comunali del Centro e del Sud che non hanno avuto possibilità di sviluppare tali iniziative sia in ragione della mancata azione promozionale nazionale e regionale. In secondo luogo va sottolineato come uno dei punti critici delle esperienze sia costituito, in genere, dalle consistenti difficoltà di costruire una reale integrazione delle responsabilità a livello di comunità territoriale. In alcune situazioni il Progetto promosso dall’amministrazione comunale ha incontrato resistenze nell’istituzione scolastica, in altri nell’istituzione ecclesiale in altri contesti è stata impraticabile l’integrazione Comune - USSL o Comune - Provincia. Al di là delle specificità territoriali (sociali e culturali) ciò che le esperienze indicano è che l’integrazione non è un dato per scontato nella realizzazione del Progetto ma è, invece, uno degli 32
obiettivi più difficili da raggiungere rispetto al quale occorre investire molte più energie (mentali, organizzative, di tempo, psicologiche ecc.) di quanto si immagini normalmente. Tali difficoltà sono globalmente accresciute dal fatto che ogni esperienza progettuale è costretta, tendenzialmente, a scoprire problemi ed individuare strategie di soluzione degli stessi da sola, senza cioè poter utilizzare l’esperienza sviluppata in altri contesti territoriali. Un terzo elemento di criticità è riscontrabile nel debole supporto messo in atto nei confronti degli operatori coinvolti nella gestione degli interventi. In molti Progetti, infatti, la gestione delle attività è stata affidata ad operatori inventati sul momento o recuperati con i criteri più strani, non ultimo il livello di motivazioni ed interessi personali: in alcuni casi queste due componenti hanno permesso il superamento di alcuni problemi connessi alla carenza di professionalità mentre in altre nonostante queste la presenza di queste componenti il Progetto si è subito rivelato nella sua debolezza professionale. Inoltre non sempre ad un quadro elevato di obiettivi operativi e di attività da realizzare è corrisposto un adeguato e congruente numero di operatori a cui affidarle: sovente, infatti, è venuto meno anche il principio del lavorare in gruppo di operatori in ragione del fatto che, in molti casi, al massimo erano due gli operatori coinvolti nella gestione del Progetto. Nel complesso, salvo rari casi, la debolezza nel sostegno degli operatori ha significato anche lo scarso utilizzo della formazione in servizio come pratica finalizzata alla qualificazione ed al miglioramento delle capacità e competenze professionali. In terzo luogo va considerato che proprio l’esperienza dei Progetti giovani degli Enti locali ha richiamato più volte l’esigenza di un serio coordinamento - cioè di una “politica nazionale” per i giovani - tra le politiche dei Comuni, quelle delle Province, delle Regioni, e dei vari ministeri. Non esistono però solamente annotazioni critiche rispetto all’esperienza dei Progetti giovani. Globalmente essi hanno rappresentato un modo nuovo di intervenire rispetto ai problemi dei giovani e ciò ha determinato: -
l’assunzione di logiche diverse così come di criteri di maggior flessibilità nello sviluppo delle iniziative nelle organizzazioni pubbliche; la possibilità di sperimentare nuove relazioni tra soggetti del territorio quali le associazioni giovanili; lo sviluppo di nuove professionalità, in particolare quelle dell’animatore e dell’educatore; la nascita di nuove forme organizzative così come lo sviluppo di nuove forme organizzate di lavoro sociale (cooperative e gruppi di volontariato).
I Progetti giovani non avranno modificato la vita dei giovani, ma, sicuramente, considerando singolarmente ogni esperienza, hanno messo in atto e determinato modificazioni significative e durature nel sistema dei servizi e nel rapporto tra cittadini, società civile ed istituzioni. Questi certamente costituiscono obiettivi di rilevo tenuto conto, peraltro, della pressoché totale assenza di politiche per i giovani a livello nazionale e d’azioni di supporto da parte delle istituzioni centrali 33
dello Stato nei confronti delle esperienze che andavano costruendosi a livello locale.
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