La Porta Celeste
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ovvero verso il 2000 Agosto 1988
Accendiamo la radio al campo “Non ce la faccio! Non mi sento in sintonia con gli altri. Non capisco quello che si dice al campo”. Sono queste le parole che ciascuno di noi ripete o sente ripetere continuamente ad ogni camposcuola. “Sono cose che ho già sentito”, ripetiamo e poi ci accorgiamo che quelle parole, sempre uguali, non le avevamo capite affatto, le riscopriamo nuove. “Cercate di prendere sul serio voi stessi”. È una frase che abbiamo sentito ripetere già tante volte, tanto che a volte ci pare quasi scontato ripeterla. Eppure, in fondo, questa frase è per noi ancora un mistero se non ci rendiamo conto che è qualcosa che vale per noi, per ciascuno di noi, in ogni momento. Il rischio più grosso che noi corriamo è quello di dimenticare - e spesso lo facciamo, anche involontariamente - che il messaggio di Cristo è ancora attuale perché è la Verità. Non serve stare ore a riflettere o a pregare se ciò che diciamo non entra nel nostro cuore, nel nostro sangue, non diviene parte di noi. I momenti di crisi al campo ci sono e guai se non ci fossero, guai se ciò che diciamo non ci mettesse in crisi. L’errore più grave, infatti, è proprio quello di dire “ho capito tutto, non ho più bisogno di cercare”. Per questo se ci sembra di essere a terra, se ci sembra che tutto il mondo ci stia crollando addosso, che non riusciamo ad essere in sintonia con gli altri, dobbiamo continuare a cercare per scoprire la verità che è in noi: Cristo. Non noi, infatti, scegliamo Cristo, ma Cristo sceglie noi. Egli ci chiama continuamente, ma sta a noi imparare ad ascoltarlo, a sentire la sua voce nel silenzio del nostro cuore, a scoprirlo vicino proprio quando lo crediamo irraggiungibile. Non possiamo dire che non ci sentiamo in sintonia, che non sentiamo niente, se l’interruttore della nostra radio (= il nostro cuore) è spento.
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ovvero verso il 2000 Quaresima 1990
Lettera aperta ai giovani di A.C. “Voi siete il sale della terra, ma se il sale perdesse il suo sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt 5, 13) Da più parti negli ultimi tempi sta emergendo la consapevolezza di un certo “malessere” presente nella nostra associazione e che rischia di rendere vani tutti gli sforzi ed il cammino fatto fino ad oggi. È inutile continuare ad illuderci che tutto vada bene o limitarci ad uno sterile scambio di accuse reciproche. È necessario prendere atto del calo di partecipazione alle riunioni di catechesi, ai vespri, agli incontri di settore del sabato, a tutti i momenti di incontro che ci sono offerti dalla comunità ecclesiale cittadina e diocesana. Non si vuole accusare nessuno, né fare stupide distinzioni fra “buoni” e “cattivi”. Siamo persone mature ed è giusto che impariamo ad affrontare i problemi in modo serio, imparando ad accettare le nostre responsabilità, i nostri errori e a saper cogliere quanto di buono c’è in ognuno di noi. Questo significa accettare le differenti posizioni, riscoprire la varietà delle idee e dei modi di vivere la propria fede, evitando di censurare in partenza chi vede le cose in maniera differente. La varietà è la grande ricchezza della nostra associazione. Per troppo tempo abbiamo pensato che i giovani di A.C. dovessero essere tutti uguali, come delle macchine in serie e che gli altri fossero come delle macchine riuscite male, che devono essere riparate o distrutte. Può sembrare strano, ma in fondo questo è ciò che è accaduto nei nostri gruppi. Tante persone che si erano accostate a noi sono state isolate e costrette ad andar via perché non riuscivano ad uniformarsi ad un certo modo di vivere la fede. I nostri gruppi, i nostri incontri, stanno diventando sterili perché ormai ci limitiamo a ripetere, in maniera più o meno conscia, sempre le stesse cose, finendo per rendere banale ciò che invece ha un profondo significato. E così i nostri incontri si trasformano in commedie in cui tutti recitano la stessa parte o addirittura in monologhi, che sicuramente non ci aiutano a crescere perché ci abituano solo a ripetere delle frasi più o meno scontate di cui ormai abbiamo smarrito il significato. Non c’è da stupirsi, quindi, che si continui a ripetere che il nostro stare insieme è un miracolo (ne dubita ancora qualcuno?) e che noi non siamo
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ovvero verso il 2000 un gruppo di amici (ma cosa siamo allora?). Continuiamo a fingere di essere capaci di pregare, di far festa, di crescere insieme e poi in effetti siamo ancora degli estranei, incapaci di fare qualunque cosa, se qualcuno non ce la suggerisce o ce la impone. Per anni l’Azione Cattolica ci ha ripetuto che i laici non devono chiudersi nelle sacrestie e noi, puntualmente, abbiamo fatto della nostra chiesa un luogo di raduno (è troppo dire luogo d’incontro), spesso dimenticando che essa è il luogo privilegiato per il nostro incontro con Cristo. Dovremmo forse riscoprire il vero valore della Chiesa, magari tornando ad utilizzare come luogo d’incontro (e che sia incontro e non raduno) i nostri locali, ormai ridotti ad un semplice deposito per la carta. Concludiamo con un augurio perché il tempo di Quaresima ci aiuti a ritornare un’associazione viva (se mai lo siamo stati), capace di testimoniare Cristo e di aiutarci a crescere. In ultimo chiediamo di non prendere questa lettera come un’accusa, ma come una semplice constatazione di fatti che sono sotto gli occhi di tutti. Noi non pretendiamo di avere la verità, ma ci sembra giusto che finalmente qualcuno metta in luce queste cose, che per troppo tempo abbiamo ignorato. Alla coscienza di ciascuno il compito di interpretare queste parole, di interrogarsi sul loro significato. Ci auguriamo che ciò avvenga con un dialogo costruttivo e non più con inutili polemiche.
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ovvero verso il 2000 31/05/1989
Speciale domani sposi - edizione straordinaria Una incredibile notizia ha recentemente sconvolto le cronache mondane. « I famosi “eterni fidanzati” si sposano.» La notizia ha subito scatenato una affannosa ricerca. Tutti vogliono scoprire chi siano i promessi sposi (non Renzo e Lucia). C’è chi giura che si tratti di Topolino e Minni. Altre fonti fanno il nome di Paperino o addirittura, incredibile a dirsi, di Paperon De Paperoni. Tutti i nostri inviati, richiamati d’urgenza, sono stati a lungo sottoposti ad un serrato terzo grado. Finalmente uno di loro si è deciso a “cantare” uno strano motivo di un ragno che ammazza una mosca. Che sia impazzito? Ma no! È il famoso motivo vincitore del noto festival del campo scuola. Ormai non ci sono più dubbi sull’identità del cantante – pardon – dello sposo. Nicola e Isa, questi i nomi dei promessi sposi, si affannano nei preparativi e tutta la parrocchia, incredula, attende con ansia quello che i maggiori giornali scandalistici già definiscono il matrimonio dell’anno. Il famoso coro “Estonados” cerca di non venir meno alla sua fama e intona – si fa per dire – uno dei suoi famosi cavalli di battaglia: Tu sei la mia vita. In redazione, intanto, sorgono mille interrogativi. Riusciranno i nostri puntualissimi (!) eroi ad arrivare in tempo all’altare? Riuscirà l’emozione a ridurre al silenzio – si fa per dire – il nostro canterino Nicola? Riuscirà l’organizzatissima Isa a trovare gli anelli nuziali nella sua famosa borsa portatutto? Ai posteri l’ardua sentenza. La redazione rge P.S.: Tanti auguri ai promessi sposi ai quali dedichiamo un acrostico.
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ovvero verso il 2000 31/7/1990
Cerchiamo ciò che ci unisce e non ciò che ci divide “Fratelli, in nome di Gesù Cristo, nostro Signore, vi chiedo di mettervi d’accordo. Non vi siano contrasti e divisioni tra voi: abbiate gli stessi pensieri e le stesse convinzioni.” (1 Cor. 1,10.) Quest’ultimo anno è stato caratterizzato da tante (troppe !) polemiche, spesso inutili e forse anche da un nostro silenzio colpevole. Abbiamo preferito tacere o, peggio, scaricare gli uni sugli altri le responsabilità di questa situazione. È stato un modo di fare sbagliato, dobbiamo onestamente riconoscerlo, che ha contribuito solo ad aumentare le polemiche e ad acuire le divisioni. Adesso è bene tornare a costruire, a cercare ciò che ci unisce e non ciò che ci divide. Cristo non si divide e noi che diciamo di appartenergli dovremmo essere testimoni dell’unità della Chiesa, dovremmo avere sui nostri volti e nei nostri cuori la gioia di essere cristiani, la gioia di darsi all’altro, a quello che ci è accanto ogni giorno, senza per questo sentirsi superiori. Ciò che abbiamo ci è stato dato e dobbiamo metterlo al servizio di tutti con umiltà e con la consapevolezza che non si può essere Chiesa se tra noi continuano ad esistere divisioni, incomprensioni, se lasciamo che la superbia, l’orgoglio, l’ira, il rancore abitino nei nostri cuori. È giusto che ciascuno segua la sua vocazione, metta a frutto i suoi talenti, i suoi carismi, ma non possiamo permettere che questo ci divida, che questo ci impedisca di trovare l’unità nella Chiesa. È normale che esistano posizioni divergenti, modi differenti di vedere alcune cose, ma noi dobbiamo utilizzare queste diversità per il bene comune. Possiamo scontrarci sulle idee, sui nostri modi di pensare, ma non dobbiamo permettere che questo possa distruggere i nostri rapporti umani, il rispetto che deve esserci tra noi, il progetto a cui tutti siamo chiamati. Non possiamo ignorare i problemi, se ce ne sono, ma non possiamo neanche lasciare che queste cose possano compromettere il lavoro di anni, la nostra amicizia, possano abbattere in un attimo ciò che mattone dopo mattone si è cercato di costruire insieme. Perciò smettiamola di chiedere chi ha ragione e chi ha torto.
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ovvero verso il 2000 I problemi vanno affrontati, avendo anche il coraggio di scontrarsi su certe posizioni, ma senza dimenticare che l’altro è una persona ed ha una dignità che in nessun caso possiamo offendere, ha il diritto di esprimere la propria opinione e in nessun caso possiamo metterlo a tacere o giudicarlo senza ragione, anche se non condividiamo le sue opinioni. Forse è vero che si è parlato troppo e a sproposito, ma era necessario che qualcosa si muovesse. Adesso abbiamo il dovere di andare oltre, dobbiamo metterci al lavoro per costruire, per salvare e non per distruggere, dobbiamo capire come possiamo andare d’accordo in questa grande famiglia che è la Chiesa.
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ovvero verso il 2000 6 giugno 1990
Mondiali ‘90: comincia la festa dello sport. Ma dov’è lo sport? Parlare oggi di mondiali sembra scontato. Tutti ne parlano e tutti si affannano per approfittare di quello che, al di là delle vere o false passioni sportive, si sta rivelando soprattutto un grosso affare economico. Mondiali 90 significa miliardi spesi per strutture e infrastrutture spesso inutili, miliardi per concorsi, spot pubblicitari, trasmissioni televisive e tutto ciò che può servire a parlare di questo avvenimento. C’è chi dice che tutto questo serve per migliorare (o peggiorare?) l’immagine del nostro paese e per attirare i turisti stranieri (ma dove sono?), questi fantasmi che tutti aspettano e sui quali forse si fa troppo affidamento. C’è da dire che gli organizzatori si sono messi al sicuro da un possibile “fiasco” cominciando a vendere i biglietti già un anno prima delle partite (che migliorino col tempo come il vino d’annata?). Ogni giornale ed ogni emittente televisiva ha il suo “spazio mondiali”, con la classica rievocazione (non ne possiamo proprio più) della vittoria azzurra dell’82 e la presentazione (ormai le conosciamo a memoria) delle squadre partecipanti. Il martellamento pubblicitario è tanto estenuante che molti sognano di essere altrove durante i mondiali e attendono con ansia che tutto sia finito. Tutti sperano che la nostra nazionale non deluda, ma forse troppi dimenticano che una competizione sportiva si gioca in campo e che l’aver organizzato i mondiali non significa automaticamente averli vinti (speriamo che almeno Vicini se ne renda conto). Il nostro paese è stato negli ultimi anni sconvolto dai famosi “cantieri” per i mondiali che hanno sconvolto il paesaggio italiano e che, in molti casi, non sono riusciti a completare i lavori in tempo. Finita la febbre dei mondiali il nostro paese si troverà pieno di cantieri fantasma, di cose cominciate, ma mai portate a termine perché nel frattempo saranno finiti anche gli investimenti, i finanziamenti pro “mondiali ‘90”. Forse fra qualche mese ci accorgeremo di non aver bisogno dei megastadi, di cui oggi andiamo così fieri, e di tante altre strutture
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ovvero verso il 2000 costruite per l’occasione. Ci auguriamo che non si lasci che tutto vada in rovina perché ormai non serve più. È un bilancio amaro, qualcosa di cui forse pochi parleranno e a cui, purtroppo, occorre aggiungere anche tutti coloro che sono rimasti feriti o hanno addirittura perso la vita per questa frenesia del dover finire in tempo a tutti i costi e di dover fare troppe cose in poco tempo. Anche se è accaduto lontano da noi, a gente che magari non conosciamo, non possiamo restare indifferenti, non possiamo dimenticare queste persone. Quando assisteremo alle partite cerchiamo, anche solo per un attimo, di pensare a loro, magari di pregare per loro e perché il tragico bilancio non debba aumentare, perché la violenza resti solo un brutto ricordo. Cerchiamo di non dimenticare che lo sport deve essere a misura d’uomo, deve essere un modo per stare insieme con gioia, senza stupidi rancori. Facciamo che cominci davvero la festa dello sport.
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ovvero verso il 2000 6 giugno 1990 redazione
Lettere alla
Campo scuola ‘90, nulla di mondiale Il campo scuola nasce dall’esigenza di tutti di continuare il camino di fede intrapreso durante l’anno, di chiarire le situazioni che si vengono a creare nel corso dell’anno associativo e che possono allontanarci. Quest’anno, invece, il consiglio parrocchiale ha ordinato-proposto (non sappiamo dove finisce la proposta e comincia l’ordine) un campo scuola separato per i gruppi giovanissimi ed uno per i gruppi giovani. Noi “semplici associati” non abbiamo partecipato a questa scelta, ma semplicemente la subiamo. Nel mio gruppo la discussione si è limitata alla proposta. Una proposta che è stata accettata da 2 persone, una proposta che è stata rifiutata da 2 persone, mentre il resto del gruppo ha voluto lasciare la decisione ad un altro incontro (si sa, la calma è la virtù dei forti). L’incontro nel quale si sarebbe dovuto decidere su come fare il campo c’è stato, ma non si è discusso se fare il campo scuola “uniti” o “divisi”; si è discusso invece sul quando fare il campo giovanissimi. Evidentemente quello non è stato un incontro democratico, ma una FARSA. Sono bastate solo due persone per far decidere al mio gruppo ( e quindi anche al resto dell’associazione) come fare il campo scuola. In altri gruppi la discussione sembra più forte e spero che riescano a bloccare questa iniziativa separatista (non creiamo ulteriori scissioni in una associazione già troppo divisa). Ma, mi chiedo, se sia possibile che ciò avvenga quando ormai già tutto è stato deciso (ma non doveva essere solo una proposta?) senza che nessuno sia stato interpellato. Perché una decisione così importante non può essere presa da tutta l’associazione riunita? Perché non dobbiamo essere interpellati, addirittura nemmeno informati, di iniziative che ci riguardano in prima persona? Forse perché qualcuno è così sicuro di rappresentare in pieno l’Azione Cattolica da non chiedere neanche il consenso, il parere dei soci? Se questo è vero, allora mentiamo quando diciamo che la nostra è un’associazione democratica. Dover accettare (o meglio subire) qualcosa di preconfezionato non è democrazia e, forse, neanche corrisponde pienamente al nostro cammino di fede, ammesso che ce ne sia ancora uno. UN ALBACHIARA
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ovvero verso il 2000 5 settembre 1994
Le nostre lacrime Perdonaci Signore, per i nostri silenzi colpevoli, per la nostra incapacità di opporci al male, di lottare tenacemente per la verità, per la giustizia, per la pace. Donaci la forza di resistere alle tentazioni del peccato e di rigettare ogni complicità con i signori di questo mondo. Perdonaci Signore, per la nostra presunzione, quando ci crediamo infallibili, rifiutando di ammettere i nostri errori, le nostre debolezze. Aiutaci a comprendere i nostri limiti e insegnaci a lavorare umilmente per il Tuo Regno. Perdonaci Signore, per tutte le volte che dimentichiamo la differenza tra servizio e potere, per la nostra arroganza, la nostra superbia, il nostro sentirci superiori solo perché ci è stato affidato un incarico di responsabilità. Insegnaci a servirti umilmente, nella consapevolezza che noi siamo soltanto dei “servi inutili”. Perdonaci per tutte le volte che abbiamo preferito tacere, piuttosto che richiamare i nostri fratelli, i nostri pastori alla fedeltà al Vangelo. Donaci il coraggio della profezia, il coraggio di annunciarti sempre e di opporci a chiunque cerchi di distorcere il Tuo messaggio, sempre nella consapevolezza che Tu non vuoi che “il peccatore muoia, ma che si converta e viva”. Perdonaci Signore, per la Chiesa, specchio infedele del Tuo Regno, spesso facile preda delle tentazioni del denaro, del potere, della superstizione, dell’idolatria. Aiutaci a costruirla giorno per giorno, trasformando tutte le pietre scartate dagli uomini in pietre vive per il Tuo Regno. Perdonaci Signore, per aver ridotto la Tua casa ad un teatro dove il sacrificio
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ovvero verso il 2000 del Tuo Corpo è solo un piccolo accessorio rispetto alle belle coreografie, ai gesti appariscenti, spesso svuotati da ogni significato. Aiutaci a ritrovare le cose essenziali, il cuore della nostra fede, a ritrovare quella porta stretta che porta a Te. Perdonaci Signore, per aver accettato le lusinghe del denaro e aver trasformato la tua casa in un mercato dei Sacramenti, pretendendo in maniera spesso arrogante delle “offerte libere”, ben codificate nei nostri ipocriti tariffari, per ricevere ciò che Tu ci hai donato gratuitamente, sacrificando la Tua vita, il Tuo Sangue per noi. Salvaci dall’ipocrisia di chi finge di non comprendere la differenza tra chiedere e pretendere, tra dono gratuito e tributo imposto. Perdonaci per tutti quelli che abbiamo allontanato perché non riuscivano ad omologarsi alle nostre regole, a ragionare secondo i nostri schemi. Insegnaci a rispettare l’unicità di ogni essere, ad accogliere l’altro, il diverso, a ritrovare in ogni uomo il riflesso del Tuo volto. Perdonaci per tutte le nostre infedeltà, per le nostre indecisioni, i nostri tentennamenti, la nostra paura di seguirti, di essere Tuoi testimoni. Donaci profeti, testimoni autentici, compagni di viaggio che ci aiutino nel cammino, che sappiano guidarci, camminare con noi verso Te. Perdonaci Signore, per queste parole forse troppo dure e per la nostra pretesa di giudicare. Insegnaci ad amare, a vivere, lavorare, pregare insieme come figli dell’unico Padre. Ti offriamo Signore le nostre lacrime, i nostri lamenti, le nostre paure, le nostre debolezze, le nostre parole inutili, nella speranza di poter presto divenire uomini nuovi e poter dire anche noi: “hai mutato il mio lamento in danza”. Guidaci Signore sulla via dell’Amore, aiutaci a percorrere i tortuosi sentieri della profezia, del martirio, piuttosto che le grandi autostrade del conformismo, della complicità, dell’infedeltà, dell’idolatria.
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ovvero verso il 2000 Donaci una fede salda, una speranza grande, una caritĂ operosa che ci aiutino a percorrere senza paura la Tua strada, amando Te e tutti i fratelli che ci hai affidato.
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ovvero verso il 2000 01/03/1995
Sulla via di Emmaus Scusami Signore, se vengo a turbare la tua intimità, se vengo ad infastidirti mentre cerchi la solitudine, il silenzio, la preghiera. Camminavi in silenzio per la strada polverosa e vedevo nei tuoi occhi le lacrime, trattenute a stento. So quel che provi. Vorresti che fosse già passato questo calice amaro, vorresti camminare ancora sulla via di Emmaus, intento a spiegare le Scritture a due discepoli sfiduciati. Da duemila anni continui ad immolarti per noi e so quanto ti costi ogni volta. Non è facile affrontare la morte con coraggio, offrirsi in sacrificio, anche per chi è il creatore della vita. Sì, la vita, quella vita che tu ci hai donato e che a volte ci sembra così pesante, così opprimente, così dura. A volte è così facile cadere nella paura, nella disperazione, non trovare la forza per rialzarsi e l’umiltà di mettersi in ginocchio per chiederti aiuto. Anche tu hai avuto paura, anche tu hai chiesto di allontanare questo calice amaro, ma poi hai avuto fiducia nel Padre. Ti ha dato la forza per andare avanti, per compiere la sua volontà, fino in fondo. Senza quella preghiera disperata, quell’angosciante tentativo di defilarti, come spesso noi siamo soliti fare, forse saresti stato solo un eroe, uno che affronta ogni ostacolo con la consapevolezza del suo essere Dio. Invece tu hai voluto essere anche un uomo, fino in fondo, hai scelto di condividere il dolore, la morte, ma anche, soprattutto, la nostra disperazione. Ci hai indicato che dalle lacrime nasce la speranza, dalla paura il coraggio del martirio, dall’incredulità la fede, se solo abbiamo il coraggio di seguirti, di fidarci di te. “Niente è impossibile a Dio”, lo sappiamo, eppure, a volte, siamo come dei ciechi, timorosi di percorrere un cammino che non riusciamo a vedere, a comprendere. Mi guardi e annuisci, in silenzio. Poi ti volti indietro e indichi quel piccolo campanile che svetta in lontananza. È lì che il tuo sacrificio si compie, è lì che tutto assume un senso ed è lì che, a volte, sembra tutto inutile. La tua Chiesa, quella che tu hai costruito e per la quale ogni anno, ogni momento accetti di immolarti, spesso non riesce a seguirti, a tenere il tuo passo svelto, di chi è abituato a percorrere le strade del mondo. Una chiesa che ha paura di
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ovvero verso il 2000 essere profetica, di denunciare le ingiustizie, le collusioni, gli inganni a cui i poveri, gli emarginati della Terra sono sottoposti. Una chiesa a volte troppo attenta alle apparenze, alle belle coreografie, pronta a cedere alle lusinghe del denaro, alla complicità con i potenti di questo mondo. Una chiesa spesso incapace di annunciare, di vivere pienamente la povertà del Vangelo, l’essenzialità della vera fede. Mi guardi senza parlare ed indichi il sentiero. La strada è ancora tanta, sembri volermi dire. Le mie sono solo le parole, lo sfogo di un uomo di poca fede, che spesso si ferma lungo il cammino, amareggiato e deluso, disperando di raggiungere la meta. Ma tu guardi oltre. Dove io vedo dei cristiani poco motivati, un clero stanco, una Chiesa pigra e complice, tu vedi un popolo di peccatori da riscattare, dei fratelli da aiutare a ritrovare la via. In fondo è per loro, per noi, che il tuo sacrificio deve ripetersi ancora. “Il medico viene per i malati, non per i sani” – dicevi, noi abbiamo ancora bisogno del tuo aiuto. Sorridi e mi indichi che devi andare via. C’è una cena imbandita per te e non vuoi, non puoi tardare. Una cena dove qualcuno ti tradirà, lo sai, ma da cui nascerà la Chiesa, una chiesa piena di difetti, di uomini deboli, timorosi, ma anche di santi, di profeti. Una chiesa capace di sbagliare, ma pronta a riconoscere i propri errori, a pentirsi, a chiedere di essere perdonata, di essere aiutata a crescere, che accetta di finire in croce per poter risorgere con Te. Vai via, sempre in silenzio, forse timoroso che la Tua Parola possa confondersi, perdersi in quel fiume di parole inutili che spesso ci sommerge, ci impedisce di saper ascoltare, comprendere pienamente il tuo messaggio. Ti allontani e sento il vento alzarsi, come a voler accompagnare i tuoi passi. Forse è lo Spirito che vuole ricordarci che non siamo soli, che la sua presenza discreta ci accompagna sempre lungo il nostro cammino, anche quando stentiamo a riconoscerlo, ad accorgerci di lui. Arrivederci, Signore. A presto, sulla strada di Emmaus, dove noi tutti, discepoli senza speranza, sostiamo in attesa di incontrarti, di ascoltarti ancora, di camminare con te per rinnovare, rinvigorire la nostra fede incerta e poter dire anche noi “come ci ardeva il cuore mentre ci spiegava le Scritture”.
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ovvero verso il 2000 09/11/1992
Lettera a don Tonino Bello Caro don Tonino, mi chiamo Gianni Capotorto e sono un obiettore di coscienza, attualmente in servizio civile presso la Caritas Diocesana di BariBitonto. Ho deciso di scriverti perché da tempo desidero ringraziarti per avermi aiutato a crescere, a maturare, per avere in qualche modo dato una svolta alla mia vita. È stato dalla tua bocca, infatti, che ho sentito per la prima volta, qualche anno fa, parole come pace, nonviolenza, obiezione di coscienza, rispetto della dignità di ogni uomo. Era un incontro in una parrocchia del mio paese, Gioia del Colle, e ricordo che ci andai quasi per caso, senza sapere niente di te e di quel che avresti detto. Quelle parole, che forse avevo già sentito tante volte, da quel giorno hanno acquistato un significato, sono diventate una cosa nuova, non più parole vuote, ma segno di speranza. È stato allora che il ragazzino che amava giocare con le pistole, che giocava alla guerra e ammirava le divise ed i gradi militari ha cominciato a crescere, a riflettere, a capire quali sono le cose veramente importanti. Da quel giorno parole come pace e nonviolenza sono diventate dei punti di riferimento, dei traguardi da raggiungere e non più delle utopie irrealizzabili. Ho imparato che i pacifisti non sono dei matti che sognano di poter cambiare il mondo, ma persone che si impegnano ogni giorno per cercare di aggiungere un’altra tessera al grande mosaico della pace, degli amici con i quali camminare, marciare verso un mondo migliore. È stato l’inizio di un cammino che oggi mi ha portato alla tappa dell’obiezione di coscienza e del servizio civile, ma che spero di riuscire a percorrere per tutta la vita, senza lasciarmi scoraggiare dalle tante difficoltà che si incontrano sulla strada. Qualche anno fa non avrei neanche lontanamente immaginato di poter fare questa scelta, convinto com’ero, per ignoranza e cattiva informazione, che gli obiettori fossero dei vili, delle persone totalmente passive. In seguito, conoscendone alcuni, mi sono reso conto che, invece, gli obiettori erano di solito quelli in prima linea nell’affrontare i problemi, spesso pagando di persona. Sono contento di aver maturato questa scelta, che mi auguro di riuscire
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ovvero verso il 2000 a portare avanti in maniera degna, di essere cresciuto, di aver cominciato – so bene che il cammino è ancora lungo – a percorrere le vie della pace. A volte il cammino è faticoso, pieno di ostacoli, di delusioni, di incomprensioni e viene voglia di mollare tutto, di abbandonare, di arrendersi. Spero che le tue parole possano continuare ad essere sempre un faro cui guardare nei momenti di incertezza e che tanti possano trovarvi la forza per andare avanti, per affrontare la difficile via del cambiamento. In ultimo vorrei complimentarmi per le stupende pagine che ci regali su Mosaico. Apprezzo molto le tue lettere, i tuoi approfondimenti di figure bibliche spesso poco note, o magari conosciute solo in maniera superficiale. La Bibbia è un grande tesoro, una fonte inesauribile di personaggi, situazioni, insegnamenti e mi auguro che le tue lettere possano spingerci a riaccostarci ad essa, a cercare di riscoprirla, di conoscerla. A tal riguardo mi permetto di suggerirti, di chiederti un approfondimento di quei profeti minori, io amo chiamarli “i profeti dimenticati”, che solo raramente vengono letti durante le celebrazioni eucaristiche, dei quali molti ignorano persino l’esistenza. Inoltre mi piacerebbe che tu affrontassi un personaggio che mi è molto caro, Giovanni il Battista, forse l’ultimo dei profeti. Un uomo che ha speso la vita per preparare la venuta di Gesù, che ha accettato di essere solo “una voce che grida nel deserto”, che ha osato sgridare i potenti, ponendoli di fronte ai loro errori. Credo che noi possiamo imparare molto dal suo coraggio, dalla sua umiltà. Egli, infatti, non ha insegnato una sua teoria morale, una sua dottrina, ma ha semplicemente predicato la conversione dei cuori, quel “preparate le vie del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” di Isaia che implica un cambiamento radicale, totale del proprio cuore. È stato un uomo umile, che ha accettato di scomparire di fronte alla grandezza di Cristo. Quante volte, invece, noi tendiamo solo ad annunciare noi stessi, le nostre idee, tralasciando o travisando il messaggio di Cristo. Mi auguro che in futuro tu possa offrirci una riflessione anche su questa figura, con la profondità e la semplicità che ti sono proprie. Scusami se mi sono dilungato troppo. Con un augurio di buona salute e di poter presto risentire la tua voce, ti saluto nel nome di Gesù Cristo, Principe della Pace. Tuo Gianni Capotorto
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ovvero verso il 2000 21 aprile 1993
Edizione straordinaria
Editoriale Questo numero speciale della Porta Celeste è dedicato a don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta e Presidente Nazionale di Pax Christi, prematuramente scomparso il 20 aprile 1993 a soli 58 anni per un tumore. Ci sarebbero tante cose da scrivere su di lui, per ricordare il suo impegno instancabile per la pace: i convegni, le fiaccolate, le marce che lo hanno sempre visto protagonista, i suoi articoli su “Mosaico di pace”, i suoi libri sempre indirizzati al cuore dell’uomo più che alla sua ragione. Ci vorrebbero tante parole per ricordare quest’uomo che abbiamo avuto la fortuna di incontrare sul nostro cammino, di avere come umile compagno di viaggio sul sentiero della pace.
L’ultimo profeta L’ultimo profeta se ne è andato. L’anno che abbiamo appena lasciato, in verità senza troppi rimpianti, ci aveva privati di padre David Maria Turoldo e di padre Ernesto Balducci, due figure emblematiche della Chiesa del nostro secolo, spesso incompresi perché il loro sguardo era proiettato troppo in avanti per i nostri occhi così miopi. Oggi ci tocca parlare, con grande dolore, di un altro testimone, un altro profeta in questo tempo così avaro di speranza: don Tonino Bello, come amava farsi chiamare per cercare di annullare la distanza che spesso separa un vescovo dai fedeli. Egli è stato per tutti noi un punto di riferimento nel cammino per la pace, un uomo che sapeva parlare di pace, di nonviolenza, ma senza mai ridurle a pura teoria. Le sue parole raggiungevano il cuore della gente e, ascoltandolo, ti rendevi conto che non erano solo parole, ma era un testimone, un costruttore di pace. In questi ultimi tempi, in cui le sofferenze della malattia lo costringevano all’immobilità, ha continuato a diffondere un messaggio di speranza, accettando con coraggio la sua sofferenza e offrendola alla gente di Molfetta, la sua Diocesi, perché “un vescovo deve soffrire e morire tra i suoi figli dove il Signore lo ha collocato”.
La Porta Celeste
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ovvero verso il 2000 Solo una settimana fa aveva voluto diffondere un appello perché cessi la guerra in Bosnia. Questo paese, tormentato da una guerra civile assurda, senza senso (ma una guerra ha mai un senso?) è stato spesso nei suoi pensieri tanto da convincerlo, benché già gravemente malato, ad essere l’anima di quei cinquecento pacifisti di “Beati i costruttori di pace” che hanno osato recarsi a Sarajevo per portare un messaggio di speranza, per arrivare senz’armi dove sembrava impossibile. In quell’occasione don Tonino ci ha regalato un breve, ma toccante diario di viaggio, racchiudendo le sue impressioni e mostrandoci il vero volto della guerra, la voce della gente di Sarajevo. Un pellegrinaggio difficile, spesso pericoloso, ostacolato da più parti, quasi sempre ignorato dai mass-media ufficiali, da chi oggi pilota l’informazione nel nostro paese. Mentre scrivo mi viene alla mente il suo volto sorridente, il sorriso di chi crede in un domani migliore e, al tempo stesso, il suo volto, quello stesso volto scavato dalla malattia, ormai segnato dalla morte, ma ancora capace di parlare di speranza. Egli ha avuto il coraggio di testimoniare il vangelo della pace, di seguire strade difficili, non sempre incoraggiato dalla Chiesa ufficiale, assumendo spesso il ruolo scomodo del profeta, di colui che mostra la strada, sapendo che altri dovranno percorrerla. Don Tonino ci ha mostrato la via della pace, quel sentiero impervio che sgorga dal Vangelo, ma che spesso noi preferiamo abbandonare per viaggiare sulle comode autostrade del conformismo. Il mio augurio è che il suo messaggio, il suo volto di speranza non vengano dimenticati, che egli possa continuare a vivere nei nostri cuori, che le sue parole ci possano ancora guidare verso il cambiamento. Spero che la Diocesi di Molfetta e colui che sarà chiamato a prendere il suo posto possano rimanere fedeli alla difficile eredità che egli ci ha lasciato, di essere punto di riferimento per il popolo della pace e di continuare a percorrere la strada che lui ci ha indicato, che poi, in fondo, non è altro che la strada di Gesù Cristo, la via della Croce.
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ovvero verso il 2000 16 giugno 1992
L’obiezione non è più una virtù ? Sono passati vent’anni dall’approvazione della legge 772/72 sull’obiezione di coscienza. Oggi il numero degli obiettori è cresciuto notevolmente, l’opinione pubblica mostra meno ostilità rispetto al fenomeno, ma continua ad esserci ignoranza, disinformazione, spesso anche e soprattutto da parte di chi gestisce il servizio civile degli obiettori. Alcuni considerano l’obiettore come una sorta di volontario a tempo pieno, altri lo vedono come un imboscato che si dedica agli altri solo per evitare le fatiche di un servizio militare che fa diventare uomini (se si sopravvive al lavaggio del cervello), che insegna a vivere (e ad ammazzare la gente), che forma lo spirito di corpo e la disciplina (chissà perché tanta gente si ammazza o comincia a drogarsi durante o subito dopo il servizio di leva?). È vero, certo, che possono esserci, e sicuramente ci sono, degli obiettori scarsamente motivati, il cui unico fine è evitare un anno di naja, ma ci sono anche tanti militari a cui non frega niente della sacra patria, che si arruolano solo perché la “vita militare” dà molto e subito (chiaramente solo in termini economici). In fondo capisco più queste persone di chi ancora rispolvera miti e slogan bellicistici, per i quali la Patria è sacra e la vita dell’uomo è solo un accessorio. Queste considerazioni danno un quadro abbastanza vario di come oggi vengano visti gli obiettori. A questo punto c’è da porsi una domanda: ha ancora senso obiettare? questa scelta è ancora profetica, o è stata ormai ingabbiata nel nostro modello di difesa? Fino ad un anno fa sembrava che l’obiezione fosse ormai fuori moda, soppiantata totalmente dal Servizio Civile e vista solo come propedeutica a questo. I cambiamenti nell’Est sembravano aprire gli orizzonti ad un mondo di pace in cui non avesse senso il servizio militare e, di conseguenza, l’obiezione di coscienza. Tutti si scoprivano pacifisti, salvo poi dissotterrare le loro asce di guerra in occasione della guerra del Golfo. Questa guerra, se da un lato ha segnato la ripresa del modello bellicistico, rilanciando il ruolo degli Stati Uniti come gendarmi del mondo, d’altro canto, paradossalmente, ha ridato un senso alla scelta dell’obiezione.
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ovvero verso il 2000 La guerra del Golfo, nonostante l’abile lavoro dei mass media ha riportato agli occhi di tutti la verità che in guerra, al di là della retorica, vige una sola legge: o uccidi o vieni ucciso. La gente è apparsa disorientata, preoccupata, spesso confusa, demotivata, sconfitta, ma nello stesso tempo si è resa conto che se esiste un modello di sviluppo basato sulla violenza, sia militare che economica) ha ancora un senso, è ancora necessario proporre un modello alternativo, avere il coraggio di mostrare il proprio dissenso. Obiettare oggi, non solo ha ancora senso, ma è più che mai urgente. Se lo Stato, spesso con la complicità o il tacito assenso degli Enti Convenzionati, cerca di demotivare gli obiettori, cercando di circoscrivere, di burocratizzare, di controllare un fenomeno che non è riuscito a fermare in passato, occorre ridare la priorità all’obiezione come scelta forte e non solo come premessa al servizio civile. Un tempo la strategia era quella del confronto, della polemica aperta, dello scontro dialettico tra modello violento e modello nonviolento. Oggi, invece, si usa una tattica più subdola. Visto che non si è riusciti a spegnere il fenomeno si cerca di assumerne il controllo, di ingabbiare l’obiezione nel modello militare. In fondo la proposta di abolire il servizio di leva in favore di un esercito professionale è solo un tentativo di minare le basi stesse dell’obiezione. Abolendo il servizio militare di leva si verrebbe ad eliminare il problema dell’obiezione, spina nel fianco (forse oggi poco pungente) dell’istituzione militare. Paradossalmente, anche la proposta di opzione tra servizio militare e servizio civile rischia di svilire l’obiezione se rende tale opzione solo un fatto burocratico, come purtroppo oggi è spesso l’applicazione della 772/72, tralasciando la carica eversiva che tale scelta comporta. La scelta dell’obiezione di coscienza non è, come spesso si cerca di disegnarla semplicisticamente, il rifiuto di un anno di servizio militare, ma è, o almeno dovrebbe essere, rifiuto della logica di potere che sta alla base dell’istituzione militare. Abolire il servizio militare, o gli eserciti, non avrebbe senso, se contemporaneamente non si eliminasse quella logica di rapina, di sfruttamento, sia economico che politico, che è alla base del nostro attuale modello di sviluppo. La scelta dell’obiezione (al servizio militare, alle spese militari o altre forme di obiezione o di disobbedienza civile) è solo un primo passo, ma la strada da percorrere è ancora molta. Bisogna avere il coraggio, l’umiltà e la perseveranza di andare avanti, accontentandosi, ma mai appagandosi delle piccole vittorie raggiunte, ma
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ovvero verso il 2000 consapevoli che il cammino è ancora lungo e difficile. Le difficoltà , le critiche, gli ostacoli non devono fermarci, ma spingerci ad andare avanti con maggiore determinazione. In fondo i profeti hanno sempre fatto cose in cui nessuno credeva, a volte nemmeno loro, e se la nostra è una scelta profetica, dovremo essere pronti ad andare controcorrente, ad indicare strade nuove, che a volte intravediamo solo vagamente, per offrire al mondo la speranza di un domani, magari migliore. Gianni Capotorto