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Essere associazione significa anche e forse essenzialmente, non fermarsi a se stessi. Essere associazione diocesana e nazionale, quindi, deve significare che non ci si può chiudere nel particolare della propria parrocchia e/o del proprio paese. Scrivo queste cose perché credo sia giusto e doveroso ridirle. Infatti spesso le diamo tanto per scontate da dimenticarle. Da dimenticare il fatto che mantenere il contatto con il livello diocesano e nazionale è semplicemente essenziale per non atrofizzarci in una vita di gruppo e di
associazione parrocchiale dove, se va tutto bene si diventa autoreferenziali, se qualcosa va male si abbandona la barca perché non si trovano soluzioni in quanto si guarda solo a se stessi. Erano alcuni anni che mi mancavano pienamente questi livelli, ma negli ultimi quattro mesi ho fatto tre diverse esperienze che mi hanno confermato l’importanza di non essere soli nel nostro cammino associativo. Alla fine di agosto ho partecipato a Chiusi della Verna (AR) alla due giorni sociale dell’Azione Cattolica
su “Il Bene Comune”. Erano circa dieci anni che mancavo da una esperienza nazionale, quindi ho accettato volentieri l’invito del nostro presidente parrocchiale, Marco, e del responsabile diocesano degli adulti, Francesco Porcelli. Respirare aria nuova, non solo perché eravamo in montagna, e potersi confrontare con altri soci dell’AC provenienti da tutta Italia, mi ha ridato consapevolezza dell’importanza del fare Azione Cattolica a santa Lucia in Gioia del Colle. Fare un’esperienza forte, anche di continua a pagina 2
“…e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro Dio sceglie di farsi uomo, di vivere in mezzo a noi, sue creature, eppure, paradossalmente, non trova posto nell’albergo. Non c’è posto per lui nelle nostre abitazioni, nelle nostre vite troppo spesso impegnate ad inseguire i facili miraggi del successo, della ricchezza. Non c’è posto per lui nei nostri cuori. Troppo scomodo un Dio che sceglie di nascere povero, in un luogo appartato, lontano dai clamori, onorato soltanto da umili pastori , che forse neanche si rendevano conto della grandezza dell’evento di cui erano testimoni. Non so se in quella notte santa sia stata davvero allietata dai cori degli angeli o ci siano statoi i tanti personaggi che spesso popolano i nostri presepi. O se piuttosto Gesù abbia preferito il silenzio della notte per entrare umilmente nelle nostre vite, nei nostri
cuori, per indicarci da che parte stare. Non con i grandi della terra, con coloro che credono di governare le nazioni, ma con gli ultimi, con quelli che non contano niente, con quelli per cui non c’è mai posto. Ora come allora. Non c’era posto per loro. È una frase che ancora oggi ripetiamo spesso, ogni volta che vogliamo escludere qualcuno dalla nostra vita, da miti del nostro falso benessere. Non c’è posto. Andate via, andate altrove. Non venite a bussare alle nostre porte, a darci fastidio. A ricordarci che l’unico frutto delle nostre ricchezze è la povertà degli
nell’albergo.” (Lc 2,7) altri, che non potrà mai esserci una pace duratura se non vengono sanate prima le ingiustizie. Pensiamoci questo Natale, quando sentiremo ripetere il racconto della Natività e magari ci commuoveremo per la Sacra Famiglia sballottata da una parte all’altra in cerca di un giaciglio per la notte, ignorando quelli che soffrono attorno a noi. Pensiamo a quante volte anche noi abbiamo detto “non c’è posto”, ai tanti che in qualche modo abbiamo contribuito ad allontanare, magari senza neanche rendercene conto. Gianni