La porta celeste - giugno 2001

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Anno 1 - n. 1

Giugno 2001

Non chiudiamo la porta Il Grande Giubileo del 2000 è finito. La Porta Santa è stata chiusa e a noi è rimasto solo il ricordo dei pellegrinaggi compiuti o il rimpianto di un'altra occasione perduta. Dopo un anno "speciale" siamo chiamati a tornare alla "ordinarietà", a vivere nel mondo, a trasmettere nella vita di ogni giorno le gioie e le speranze che Dio ha acceso in noi. Una sfida impegnativa, che ci porterà a verificare quel che abbiamo seminato, a rimettere in gioco quanto ricevuto, sia come singoli che come associazione. E mentre i nostri occhi fissano sgomenti la porta chiusa, il nostro cuore gioisce perché sa che la Porta di

Dio è sempre aperta e che Lui è sempre pronto ad accoglierci, a perdonarci, ad ascoltarci. Ma spesso noi lo dimentichiamo; fermi sulla soglia ci lamentiamo che Dio ci ha abbandonati. Abbiamo paura di andare oltre, di scoprire qualcuno che ci ama davvero, di aprire la porta del nostro cuore. Il nostro impegno dovrà essere quello di renderci conto della sua presenza in mezzo a noi, di ritrovarlo nella vita di ogni giorno, molto più vicino di quanto pensiamo. E l'augurio che anche noi, come i discepoli di Emmaus, sappiamo riconoscerlo "nello spezzare il pane".

B e nv e n u t i a lla P o r t a C e le s t e La Porta Celeste è nata come foglio goliardico nel 1988 durante un camposcuola ed ha accompagnato il cammino della nostra associazione fino al 1995. Tornare adesso, in un periodo non facile per l'Azione Cattolica vuole essere uno stimolo a ritrovare le nostre radici, quell'entusiasmo che a volte abbiamo lasciato per strada. Ripartiamo umilmente, sperando che il Signore possa trasformare questo ramo secco ed inaridito in un segno di speranza. Gianni

Dove sono ora le tue opere di misericordia ? L'Azione Cattolica ci suggerisce di riflettere in questo nuovo anno associativo sul libro di Tobia, un testo biblico forse poco conosciuto, ma che credo possa offrire interessanti spunti di riflessione. Cercherò di svilupparne alcuni, senza troppe pretese, lasciando ad altri più competenti il compito di guidarci ad una lettura corretta del testo anche dal punto di vista storico ed esegetico. Lasciare tutto per gli altri Tobi è appena tornato dall'esilio. La sua colpa: aver seppellito di nascosto alcuni connazionali uccisi che il re aveva lasciato come monito. Per questa sua pietosa opera, vista dai conquistatori come un affronto al loro potere, ha perso tutto e solo la morte del re gli permette di tornare a casa. Si appresta a partecipare al banchetto rituale per la festa delle Settimane, ma subito il suo pensiero va ai poveri. Manda suo figlio Tobia per invitarli alla sua mensa per festeggiare insieme, per condividere la sua gioia per il ritorno a casa. Ma il ragazzo torna sconvolto: qualcuno ha ucciso un uomo, abbandonandone il cadavere nella piazza. Ancora una volta Tobi si alza da

tavola per andare a seppellire uno sconosciuto, nonostante la derisione dei benpensanti. Ha rischiato la vita, è appena tornato dall'esilio, ma è pronto a rimettere tutto in gioco senza preoccuparsi delle conseguenze. Quanti di noi farebbero altrettanto, sarebbero pronti a lasciare tutto per aiutare qualcuno? Forse per un amico, ma per uno sconosciuto? La sua vita, le sue paure non contano. La legge di Dio viene prima di ogni

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considerazione umana, di ogni calcolo, di ogni legittima prudenza. Tobi è pronto a rischiare di nuovo tutto per compiere la volontà di Dio. Dove sono ora le tue opere… Nel seguito della storia Tobi diventa cieco. Un evento imprevisto, che sorprende noi quanto i suoi contemporanei. E ci fa chiedere, come sua moglie Anna: "Dove sono ora le tue opere di misericordia, dov'è andato a finire il bene che hai fatto?" Considerazioni umane, che ci tormentano ogni qual volta vediamo un giusto soffrire e ci fanno chiedere amaramente: "Perché?" Perché Dio lo ha abbandonato? Perché Dio permette che il giusto soffra e il malvagio viva? Quante volte sulle nostre labbra, nei


nostri cuori, sono risuonati questi interrogativi, parole dure, quasi di condanna per l'operato di Dio? Interrogativi legittimi, che spesso rimangono senza risposta, lasciandoci a volte nel dubbio di aver sbagliato tutto a seguirlo. Come i discepoli di Emmaus, ci ritroviamo a volte soli sulla strada senza comprendere il cammino che Dio sta compiendo accanto a noi, con noi. Ma il Signore non pensa secondo la nostra logica umana e spesso ci sorprende, proponendoci sentieri inesplorati. Le parole di Anna scuotono a fondo l'animo di Tobi, lo feriscono più di tutte le sofferenze patite. Egli sa di essersi sempre comportato bene, di aver seguito fedelmente Dio e non chiede spiegazioni. Non chiede di essere guarito, non rinfaccia a Dio il bene compiuto in suo nome. Accetta il suo destino, quella condanna che gli appare incomprensibile, che in fondo sa di non meritare. Ma quello che lo fa soffrire di più,

quel che brucia nel suo cuore, è probabilmente la consapevolezza che a causa della sua sofferenza molti dubiteranno di Dio. Si chiederanno che senso ha essere giusti, comportarsi secondo la Legge, se poi questo è il premio per la fedeltà. Due preghiere disperate Tobi intuisce i commenti della gente, sa che tanti altri ripetono quelle parole che sua moglie gli riserva nei momenti più bui. Non per cattiveria, ma perché anche lei comincia a dubitare, a chiedersi in cuor suo se è davvero giusto rimanere fedeli a Dio. Pensieri terribili, che a volte toccano anche noi, riempiendo il nostro cuore di dubbi e di incertezze. Un'angoscia che persino Gesù ha provato sul Getsemani prima di affidarsi totalmente al Padre. In questo momento di disperazione estrema, Tobi arriva a pregare Dio di farlo morire. Non per alleviare le sue sofferenze, ma per liberarlo dall'angoscia di sentirsi insultato,

deriso per la sua fedeltà al Signore. Perché finché lui vivrà tutti potranno dire: che ne è stato di Tobi il giusto, cosa ha fatto Dio per ricompensarlo per la sua fedeltà? In quello stesso giorno anche Sara, figlia di Raguele, parente di Tobi che vive a Rage nella Media, prega nello stesso modo dopo essere stata insultata da una serva per la morte dei suoi sette mariti, uccisi dal demonio Asmodeo prima che potessero unirsi a lei. La ragazza sente di aver fallito come donna, come moglie e pensa di uccidersi, ma l'amore per il padre le impedisce di compiere quel gesto estremo, che getterebbe ulteriore fango sulla sua famiglia. Perciò anche Sara prega Dio di farla morire. Due preghiere simili, dettate non tanto dall'angoscia per la propria sorte, ma dal pensiero delle sofferenze arrecate agli altri. E accomunate da una estrema fiducia in Dio, al quale viene affidato totalmente il proprio destino.

Dio si fa compagno di viaggio Dio ascolta le preghiere di Tobi e manda il suo angelo Raffaele, che assume le sembianze del giovane israelita Azaria per accompagnare Tobia nel suo viaggio verso la Media per recuperare del denaro che Tobi ha depositato dal suo amico Gabael. Prima della partenza Tobi esorta suo figlio a rimanere sempre fedele a Dio, impartendogli un lungo elenco di precetti, un vero e proprio compendio della Legge. Attraverso l'angelo Raffaele è Dio stesso che si fa compagno di viaggio del giovane manifestandosi attraverso un segno: da un pesce catturato per caso da Tobia, su consiglio di Azaria vengono estratti il fiele, che restituirà la vista a Tobi, il cuore ed il fegato, che saranno bruciati per tenere lontano il demonio dalla stanza nuziale di Tobia e Sara. È lo stesso Azaria a spingere Tobia a sposare Sara, ricordandogli di averne il diritto come parente più stretto e facendo da intermediario con Raguele. E vincendo le paure del giovane, che conosce la triste storia di

Sara e dei suoi sette mariti. Tobia torna a casa sano e salvo con sua moglie Sara, dopo aver recuperato il denaro di Gabael e aver ricevuto da Raguele la metà dei suoi beni. Su indicazione di Azaria spalma il fiele sugli occhi di suo padre, restituendogli la vista. Da notare che tutti i gesti vengono compiuti da Tobia e apparentemente Raffaele non ha alcun merito in questi prodigi, se non l'aver consigliato come utilizzare le parti del pesce. È Dio che opera di nascosto, servendosi degli uomini, aiutandoli a superare le loro paure, le loro incertezze. Dio che suggerisce, che guida senza mai imporre la propria

volontà. Un Dio che cammina insieme all'uomo, che si fa discretamente suo compagno di viaggio. Solo alla fine, quando Tobia vuole ricompensare Azaria per i suoi servigi offrendogli la metà dei suoi beni, l'angelo Raffaele si rivela dicendo che "è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio". Un epilogo felice che ci insegna a continuare ad aver fiducia in Dio anche nelle difficoltà, certi che Lui non ci abbandonerà, che ci sarà sempre vicino, ci aiuterà, anche se non riusciamo a capire come, se non riusciamo a scorgere, a capire i segni che ci vengono offerti.

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