Tesi Re Marzia

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INDICE

Introduzione.................................................................................................................................1

Capitolo 1: Verso il ben-essere....................................................................................................5 1.1. Diventare genitori: la progettualità.......................................................................................5 1.2. Il passaggio da casa all’asilo nido: un nuovo inizio............................................................10 1.3. La continuità relazionale tra nido e famiglia........................................................................16 Capitolo 2: Una collaborazione sottobanco.................................................................................22 2.1. Le nuove figure d’attaccamento: inserimento scolastico......................................................22 2.2. Il percorso educativo: dal primo al terzo anno......................................................................27 2.3. Il cambiamento: dall’asilo nido alla scuola dell’infanzia.................................................... 33 Capitolo 3: Festa del papà...........................................................................................................39 3.1. Progettare l’attività...............................................................................................................39 3.2. 19 Marzo 2014: dipingiamo insieme....................................................................................45 3.3. Dietro le quinte.....................................................................................................................52

Conclusione.................................................................................................................................57

Bibliografia..................................................................................................................................58

Sitografia.....................................................................................................................................60

Ringraziamenti........................................................................................................................61

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INTRODUZIONE

"Tutti i grandi sono stati bambini una volta, ma pochi se lo ricordano." De Saint – Exupéry Il Piccolo Principe arrossisce, è un bambino che non risponde alle domande, ma a qualcuna arrossisce. Durante tutta la sua vita Saint – Exupéry conservò questa particolarità, di arrossire invece di rispondere quando gli si presentavano situazioni di leggero imbarazzo. Fatto così raro in un adulto, che in più è un uomo, tenace residuo dell'infanzia1. Attraverso questo capolavoro francese vorrei dare motivazione della mia tesi. Ho iniziato il mio lavoro dalla concezione dell'uomo come “essere in relazione”, ed è quello che succede all'autore: << Ho incontrato molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino. Ma l'opinione che avevo di loro non è molto migliorata. Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l'esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di capire così se era veramente una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: - è un cappello - . E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile.2>> La difficoltà nell'entrare in relazione con gli uomini sta proprio nel cercare di mantenere viva la propria identità. L'uomo è inserito in una rete di relazioni costruita da sé stesso e insieme all'altro ma, per poterla creare, ha bisogno di qualcuno con cui poter intraprendere un percorso dettato dalla progettualità. Progettare la propria vita non significa creare delle regole da seguire, ma realizzare ciò che si è pensato per la propria vita. L'autore si ritrova sperduto in un deserto, e trova la speranza di continuare a vivere e a lottare per tornare a casa nel momento in cui viene svegliato dalla voce di un bambino: << La prima notte, dormii sulla sabbia, a mille miglia da qualsiasi abitazione umana. Ero più 1

A. DE SAINT – EXUPÉRY, Il Piccolo Principe, Milano, Tascabili Bompiani, 2007, p. V

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Idem, p.10.

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isolato che un marinaio abbandonato in mezzo all'oceano su una zattera, dopo un naufragio. Potete immaginare il mio stupore di essere svegliato all'alba da una strana vocetta: -Mi disegni, per favore, una pecora? -. 3>> Questo risveglio lo si può associare al risveglio che ogni famiglia ha al momento della nascita di un figlio. Nel momento in cui la famiglia si allarga cambia la progettualità che si aveva in mente, da adesso in poi i genitori si dovranno muovere anche secondo gli interessi del bambino, svolgendo la funzione di “contenitore”, dovranno inoltre iniziare a creare la rete di relazione del proprio figlio, la rete che crescendo continuerà a tessersi da solo. Un primo passo è dato dalla scelta di inserire il bambino al nido. Tutta la famiglia va incontro ad un nuovo mondo. Anche De Saint – Exupèry, una volta tornato, ha comprato matite per colorare, per non cadere nella tentazione di interessarsi solamente alle cifre, come capita a molti adulti: << Mi sarebbe piaciuto dire: - C'era una volta un piccolo principe che viveva su di un pianeta poco più grande di lui e aveva bisogno di un amico.. - Per coloro che comprendono la vita, sarebbe stato molto più vero. Perché non mi piace che si legga il mio libro alla leggera. […] E posso diventare anche io come i grandi che non s'interessano più che di cifre. Ed è anche per questo che ho comprato una scatola coi colori e con le matite. […] Mi studierò di fare ritratti somigliantissimi. Ma non sono affatto sicuro di riuscirvi.4>> La preoccupazione di non riuscire a compiere il proprio lavoro è la stessa che i genitori vivono al momento dell'inserimento al nido. Si ha paura che si sta facendo uno sbaglio, che è troppo presto, che non sia giusto per il bambino. In questi momenti di difficoltà risulta fondamentale la figura delle educatrici, semplici persone che si prenderanno cura dei propri figli, mirando ad un unico obiettivo insieme alle famiglie: la crescita del bambino. Ed è quello che l'autore ha fatto con il Piccolo Principe preoccupato per il suo fiore, ha disegnato così tutto ciò che potesse servire per metterlo in salvo. << Era caduta la notte. Avevo abbandonato i miei utensili. Me ne infischiavo del mio martello, del mio bullone, della sete e della morte. Su di una stella, un pianeta, il mio, la Terra, c'era un piccolo principe da consolare! Lo presi in braccio. Lo cullai. Gli dicevo: - il fiore che tu ami non è in pericolo.. disegnerò una museruola per la tua pecora.. e una corazza per il tuo fiore.. io..-.5>> Le educatrici non operano attraverso i disegni, ma attraverso il dialogo. Sono infatti

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Idem, p.11.

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Idem, p.24.

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Idem, p.38.

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indispensabili i momenti di confronto tra l'asilo e le famiglie, per poter poi raggiungere l'obiettivo prefissato precedentemente. Raggiungere questo scopo è possibile nel momento in cui ci si muove parallelamente e contemporaneamente su due direzioni: la prima è considerare il bambino come essere unico, irripetibile, la seconda di inserirlo in un gruppo e, quindi, tener conto dell'insieme di bambini con cui si lavora. Ogni bambino è portatore di abilità, abilità che sono indispensabili al gruppo per poter crescere. Durante le visite nei vari pianeti, l'autore e il piccolo principe incontrano diversi personaggi. Il re è quello che meglio sottolinea l'unicità, e l'importanza che questa ha, di ogni persona. Pur avendo il potere su ogni cosa, era infatti un monarca universale, il re rispettava ogni persona, chiedendo loro solo ciò che erano in grado di dare: << E sentendosi un po' triste al pensiero del suo piccolo pianeta abbandonato, si azzardò a sollecitare una grazia dal re: -vorrei tanto vedere un tramonto.. fatemi questo piacere.. ordinate al sole di tramontare-. -Se ordinassi a un generale di volare da un fiore all'altro come una farfalla, o di scrivere una tragedia, o di trasformarsi in un uccello marino; e se il generale non eseguisse l'ordine ricevuto, chi avrebbe torto, lui o io?- -L'avreste voi- disse con fermezza il piccolo principe. -Esatto. Bisogna esigere da ciascuno quello che ciascuno può dare.-6 >> Il bambino è al centro dell'attenzione sia della famiglia che delle educatrici. Si arriva però ad un punto in cui le educatrici lasciano le redini, ad un punto in cui il bambino deve vivere un cambiamento e chi ne “soffre” sono soprattutto gli adulti. Si hanno mille pensieri sulla novità, sul cambiamento ma ciò che resta è la consapevolezza che il bambino può fare di più ed è pronto. Anche l'autore ha vissuto questo distacco, ha dovuto lasciare il piccolo principe e ogni volta si è chiesto se lo ha aiutato o se è successo qualcosa: << Per voi che pure volete bene al piccolo principe, come per me, tutto cambia nell'universo se in qualche luogo, non si sa dove, una pecora che non conosciamo ha, sì o no, mangiato una rosa. Guardate il cielo e domandatevi: -la pecora ha mangiato o non ha mangiato il fiore? E vedrete che tutto cambia..-7>> È il modo in cui si affronta questo momento che permette al bambino di poter vivere serenamente il cambiamento. È la capacità che ha avuto De Saint – Exupery a lasciare il piccolo principe, a donarci questo grande capolavoro. Nell'ultimo capitolo, mi riferisco ad un'esperienza che ho potuto vivere direttamente con dei bambini e delle famiglie al nido durante il tirocinio. La festa del papà è stata infatti una grande 6

Idem, p.51.

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Idem, p.122.

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occasione in cui i papà si son dilettati nel dipingere delle maglie insieme ai propri figli. Han preso i pennelli e si son dilettati nella pittura proprio come è successo all'autore all'età di sei anni, ma con esito diverso. << Il fallimento del mio disegno numero uno e del mio disegno numero due mi aveva disanimato. I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta.8>> Mentre per l'autore si è dimostrato un fallimento, i papà durante questo giorno di festa si son fatti guidare dalla creatività e dalla fantasia dei bambini, semplicemente ascoltandoli. La realizzazione di questo momento è stata possibile grazie alla collaborazione segreta delle mamme, c'è stato dunque un totale coinvolgimento della famiglia. È stato questo il momento in cui ho potuto mettere in pratica ciò che più mi interessava, la relazione indispensabile che esiste tra genitori e famiglie e che mira solamente allo sviluppo ed alla crescita del bambino.

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Idem, p.8.

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CAPITOLO 1: VERSO IL BEN-ESSERE

1.1. Diventare genitori: la progettualità. “Marito e moglie, così come padre e madre, non si nasce ma si diventa.” Pati In questo modo Pati sottolinea la natura relazionale dell’uomo. L’uomo sin dalla nascita è inserito in una rete di relazioni, una rete inizialmente costruita dai genitori, che con il passare del tempo lasceranno che lui stesso possa continuare a crearsela da se. Questa rete sarà costruita da parentele, amicizie strette e conoscenze, relazioni di passione e relazioni d’amore. C’è, infatti, una grande differenza tra la passione e l’amore. Con la prima si possono fare nuove esperienze e vivere nuove emozioni, ma solamente con la seconda ci si può proiettare verso un futuro da costruire insieme alla persona che si ama. Ci si può, dunque, proiettare in una progettazione. Progettare significa attendere alla realizzazione di ciò che si è pensato per la propria vita, essendo la progettualità la capacità squisitamente umana di elaborare un’immagine di sé e di perseguirla, proiettandola nel tempo e nello spazio. 9 Questa progettazione non si può pensare individualmente, in quanto l’uomo ha bisogno dell’altro per conoscere, affrontare e vivere il mondo delle cose, delle persone, dei significati. La progettualità è data dal voler raggiungere il proprio scopo, in relazione alle energie utilizzate affinché questo si possa realizzare e sia poi duraturo nel tempo. Il tempo diviene infatti un fattore principale, ma allo stesso tempo critico ai giorni nostri. In una società dettata dalla velocità l’espressione “per sempre” incute timore. Oggi è più comune parlare di “amore a tempo”, basandosi dunque su una relazione il cui esito è basato al caso. Manca un’educazione alla progettualità. Considerando l’educazione stessa come lo strumento attraverso il quale l’uomo è sollecitato a vivere la propria vita con responsabilità 10. Una responsabilità che non interessa solo lui ma anche la 9

L. PATI, Progettare la vita: itinerari di educazione al matrimonio e alla famiglia, Brescia, La Scuola, 2004, p. 13. 10

Idem, p. 26.

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persona che lo accompagna a tessere la rete di relazioni che per tutta la vita lo accompagnerà. Da questo momento in poi però questa rete verrà costruita a due mani in quanto due persone, appartenenti a due reti relazionali distinte, decidono di muoversi verso un’unica rete, unendo quelle personali e facendole muovere verso un’unica direzione. L’unione totale delle due reti avviene nel momento in cui due persone decidono di unirsi in matrimonio, unendo così le proprie vite. Una fusione che darà vita poi ad una terza rete di relazioni nel momento in cui si decide di dare vita a un nuovo essere, di passare da marito e moglie a padre e madre. Questo passaggio non ha un momento d’inizio preciso, alcuni lo fanno coincidere con il concepimento, altri con la nascita fisica del bambino stesso. In entrambi i casi però, è impossibile da evitare, tutti i genitori attribuiscono, a livello conscio e non, un carattere ai loro bambini non ancora nati, partendo dai bisogni, esperienze passate, percezioni di sé, condizioni sociali e ambizioni di entrambi 11. In questo modo si cerca di proiettare la vita che sta avendo inizio in un futuro sicuro, in un futuro che possa avere le credenziali necessarie per il successo del bambino stesso. In un futuro limpido e sereno in cui il bambino possa costruire la sua nuova rete di relazioni. Si intende così per maternità e paternità non la semplice capacità di procreare ma una condizione di responsabilità del benessere di un’altra persona che inizierà nel momento del concepimento e durerà tutta la vita. Tutta la vita implica un impegno senza fine. I due genitori verranno così proiettati in una nuova dimensione. Una dimensione costituita dal passato, attraverso delle basi sicure, dal presente, tenendo conto di chi si è in quel preciso momento, e dal futuro, mirando sempre al meglio. Una dimensione che viene costruita non dal singolo ma dal confronto dei due “nuovi” genitori. Non si può più pensare individualmente ma sempre tenendo conto dell’altro e della nuova vita che sta per nascere. Una volta nata, il confronto sarà tra tutti e tre i membri della famiglia. Bisogna saper tenere conto dei bisogni e delle esigenze del nuovo arrivato. Un nuovo essere che non sa muoversi da solo nel mondo ma deve essere contenuto dalla famiglia in cui si trova. Se il bambino sarà contenuto in un ambiente favorevole, sia a livello fisico che psichico, da presenze in grado di farlo, acquisirà a mano a mano la sensazione di avere una capacità contenitiva interna sua propria, un’esperienza di integrazione che è un presupposto necessario per continuare a crescere.12

11

M. WADDELL, Mondi interni: psicoanalisi e sviluppo della personalità, Milano, Bruno Mondadori, 2000, p. 18.

12

Idem, p. 33.

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Bion parla di –rêverie- nei primi momenti di vita del bambino, la cui traduzione letteraria indica la –fantasticheria-, ma l’autore francese intende l’ atteggiamento molto più ampio che le madri hanno nei confronti dei propri figli neonati. Si intende dunque quell’atteggiamento di contenimento necessario per poter permettere il giusto e funzionale sviluppo non solo fisico del bambino. La madre deve essere in grado di saper andare oltre il semplice pianto, unica forma di espressione del bambino, riuscendo così a rispondere ad ogni suo bisogno. È questo un atteggiamento di totale dipendenza l’uno dall’altro. Ciò che avviene è un’elaborazione inconscia delle comunicazioni del bambino, che possono essere intese come una sorta di caos di impulsi, sofferenze e desideri che Bion definiva come dati sensoriali o impressioni sensoriali. E affinché questi vengano tradotti in esperienza propria è necessaria l’esperienza di contenimento attivo da parte della mente della madre13. Solitamente ci si sofferma sulla figura materna in quanto vero e proprio contenitore, anche a livello fisico, ma la figura del padre non è esclusa da quest’esperienza. Anche se per molti anni la figura paterna è stata considerata “di sfondo”, da parecchi anni la psicologia sta rivalutando questa figura sottolineando il fatto fisiologico che emerge: mentre la madre ha un rapporto viscerale con il bambino, il padre intraprende un rapporto con il figlio solamente in seguito a sue elaborazioni mentali sul proprio ruolo14. È necessario dunque anche in questo momento la collaborazione continua tra entrambi i genitori per poter vivere insieme questo momento di iniziazione ad una nuova esperienza ma soprattutto vita. Infatti se la qualità dei rapporti che si instaurano nella primissima infanzia è buona e genuina, non solo si costituirà un prototipo per i successivi rapporti e modalità di apprendimento dell’esperienza ma verrà anche a crearsi la capacità di essere sinceri e di instaurare un rapporto di fiducia con l’altro 15. Un tipo di rapporto indispensabile con l’altro per poter iniziare a creare una propria rete di relazioni che continuerà a crescere insieme a sé nel corso del tempo. La tesi proposta da Brazelton, noto pediatra ed autore negli Stati Uniti, è infatti che le relazioni permettono al bambino di imparare a pensare e che le emozioni sono gli artefici, le guide e gli

13

Idem, pp. 34-35.

14

A. CADAMURO, A. FARNETI, Insegnanti e bambini: idee e strumenti per favorire la relazione, Roma, Carocci, 2008, p. 38.

15

M. WADDELL, Mondi interni: psicoanalisi e sviluppo della personalità, op. cit., p. 39.

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organizzatori interni delle nostre menti16. Intende dunque il bambino in relazione con l’altro, una relazione che dipende prima da una propria coscienza di sé ed in seguito da un’apertura alle menti altrui. E la famiglia è il primo luogo in cui avviene questo scambio, è il luogo per eccellenza di mediazione e incontro tra bisogni e relazioni sociali 17. Gli studi sulla famiglia, essendo questa un’entità che caratterizza tutti gli esseri umani, partono infatti da approcci differenti. Tra questi, i principali sono:  psicoanalitico: considera la famiglia come sfondo dello sviluppo intrapsichico, i diversi autori hanno dato maggiore importanza alla figura materna e lo sviluppo del bambino viene analizzato solamente a livello biologico;  sistemico: la famiglia è considerata come un sistema dinamico e aperto, si analizza soprattutto la comunicazione e l’interazione reciproca;  transazionale: la famiglia è il luogo di transizioni in cui il bambino sviluppa le potenzialità di intimità, consapevolezza e spontaneità;  evolutivo: la famiglia viene vista come entità dinamica sia a livello temporale, sia psicologico che sociale, si evolve nel tempo e passa attraverso diverse fasi;  relazionale simbolico: qui si definisce la famiglia come un’organizzazione specifica e unica che lega e tiene insieme le differenze originarie e fondamentali dell’umano18. Questi sono studi a livello macro della famiglia, altri studi sono stati poi eseguiti a livello micro, analizzando le relazioni interne alla famiglia e lo stile educativo che i genitori han deciso di utilizzare nella costruzione delle reti relazionali indispensabili all’interno della famiglia stessa. Questa analisi successiva non va però a ingabbiare gli stili educativi, ma semplicemente cerca di dare una linea guida sulle possibili condizioni familiari che si verificano, essendo la famiglia un’entità costituita da uomini e dunque da esseri dinamici nel tempo e nello spazio. Risulta dunque difficile poter classificare degli stili familiari, è più opportuno parlare di modelli. Si verifica così 16

A. CADAMURO, A. FARNETI, Insegnanti e bambini: idee e strumenti per favorire la relazione, op. cit., p. 24.

17

Idem, p. 28.

18

Idem, p. 29.

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una distinzione tra famiglia rigida, parcellizzata e duttile19. La famiglia rigida è contraddistinta da legami interpersonali gerarchici, che sottolineano il dislivello di competenze tra genitori e figli. Al suo interno si vive in maniera distinta l’uno dall’altro e il dialogo è unidirezionale. Nella famiglia parcellizzata ciascuno dei membri è autosufficiente. Si vive in un clima dettato dall'orizzontalismo, i figli non possono far riferimento a modelli positiva di crescita, rendendo così la comunicazione frammentaria. Mediante invece l’attenta valutazione del livello di responsabilità conseguito dai singoli membri, nella famiglia duttile, si vive in un clima democratico. Padre e madre fanno rispettare le loro idee ma al tempo stesso prestano attenzione ai suggerimenti provenienti dai figli, creando un ambiente armonioso che giovi all’incremento delle capacità personali20. L’individuo al momento della nascita fa ingresso nell’istituzione familiare 21, nella famiglia che ha iniziato già per lui a tessere la rete di relazioni, una rete che lui stesso dovrà continuare a costruire nel corso del tempo e in spazi diversi da quello in cui tutto ha avuto inizio, poiché a mano a mano che il bambino cresce, il contenimento che aveva avuto dalla madre si estenderà ad entrambi i genitori, per poi interessare la famiglia, la scuola, il rapporto con i pari, coinvolgendo la comunità in senso più ampio e poi finire nei contesti professionali e di lavoro22.

19

R. Viganò, Ricerca educativa e pedagogia della famiglia in L. PATI, Progettare la vita: itinerari di educazione al matrimonio e alla famiglia, Brescia, La scuola, 2004, p. 69.

20

L. PATI, Progettare la vita: itinerari di educazione al matrimonio e alla famiglia, op. cit., pp. 70-71.

21

M. WADDELL, Mondi interni: psicoanalisi e sviluppo della personalità, op. cit., p. 113.

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Idem, p. 112.

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1.2. Il passaggio da casa all’asilo nido: un nuovo inizio. “Nonostante pareri contrari, occuparsi di neonati e di bambini non è un lavoro per una persona singola.” Bowlby Il 6 Dicembre 1971 in Italia viene emessa la legge 1044, la legge che segnò l’inizio di un nuovo servizio pubblico per la società: l’asilo nido. Lo stato varò un piano quinquennale per la realizzazione di 3800 asili nido comunali dislocati sul territorio nazionale 23, descrivendo nell’ articolo 1 della legge stessa lo scopo e la modalità di realizzazione del progetto: <<L'assistenza negli asili-nido ai bambini di età fino a tre anni nel quadro di una politica per la famiglia, costituisce un servizio sociale di interesse pubblico. Gli asili-nido hanno lo scopo di provvedere alla temporanea custodia dei bambini, per assicurare una adeguata assistenza alla famiglia e anche per facilitare l'accesso della donna al lavoro nel quadro di un completo sistema di sicurezza sociale. Al fine di realizzare, nel quinquennio 1972-76, la costruzione e la gestione di almeno 3.800 asili-nido, lo Stato assegna alle regioni fondi speciali per la concessione di contributi in denaro ai comuni24.>> In poco più di un trentennio questo servizio è entrato a far parte della quotidianità di ogni famiglia, avendo le famiglie compreso che la nascita e la promozione di questo servizio mirava solamente al benessere della famiglia stessa. Il nido risponde, infatti, ai bisogni di cura e di educazione dei bambini di quelle famiglie che hanno la necessità di usufruire di questa opportunità offerta dallo Stato stesso. Bisogna dunque pensare al nido non come ad una struttura che sostituisce. l’impegno e la responsabilità educativa della famiglia, ma come una possibilità di collaborazione e cooperazione per lo sviluppo del bambino. Collaborazione quasi inesistente negli anni precedenti. La struttura del nido ha avuto origine alla fine dell’ Ottocento, con la richiesta sempre maggiore da parte delle fabbriche della manodopera femminile. Le donne, intraprendendo una propria vita lavorativa non potevano più accudire a tempo pieno i propri figli e così si appoggiavano a questi luoghi dedicati ai 23

Cosma C., Asilo nido: ieri, oggi e domani; la legge 1044/1971, www.psicopedagogika.it/view.asp?id=627, 2012, 23/04/14

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http://www.edscuola.it/archivio/norme/leggi/l1044_71.html, 23/04/14

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bambini secondo i concetti di assistenza e custodia, soprattutto dal punto di vista igienico e sanitario25. Verso la stessa direzione si muoveva l’ ONMI (Opera Nazionale per la protezione della Maternità e dell’ Infanzia) nel periodo fascista, creando degli spazi adiacenti alle fabbriche per garantire un’assistenza prevalentemente sanitaria alle donne che vi lavoravano dando così all’istituzione un carattere più ospedaliero che educativo26. Il carattere educativo degli asilo nido infatti appare con la legge del 1971, da questo momento in poi cambia il rapporto con i genitori. Da questo momento si può parlare di una collaborazione tra educatrici e genitori, ed è stato possibile solamente grazie alla nuova concezione che si andava sempre più diffondendo del bambino. Il bambino non viene più visto come un “uomo in miniatura” ma come un soggetto che sta vivendo un periodo della sua vita, proprio come tutti gli altri esseri umani. Una nuova concezione che ha dovuto aspettare un po’ di tempo per poter essere accettata e condivisa da tutti. Sono serviti gli anni Novanta per poter considerare il nido un vero e proprio luogo di relazioni. E questa conquista è dovuta principalmente alla nuova organizzazione e composizione della famiglia, tenendo conto anche del nuovo modo di intendere e vivere la genitorialità27. Nelle famiglie odierne, che rispecchiano nella maggioranza l’aspetto complesso e le difficoltà delle società attuali, essere genitori diviene un compito sempre più arduo28. La difficoltà più grande si verifica in relazione al tempo. In una società, come quella che gli anni Novanta hanno generato, dettata dalla velocità, il tempo sembra essere diventato un lusso 29. Entrambi i genitori si vedono proiettati nel mondo del lavoro, trascurando così il loro lavoro più grande: educare i propri figli. Proprio per questo motivo entra in aiuto l’asilo nido. Struttura che non consiste solamente nella cura e attenzione verso i bambini, ma ha un margine molto più ampio di dominio. Il nido, letto in chiave di cooperazione e collaborazione, serve anche a dare un aiuto alle 25

G. CAVALLI, E. DI TERLIZZI, A. VALLE, I grandi nel mondo dei piccoli. La relazione tra educatori e genitori nei servizi per la prima infanzia, Brescia, La scuola, 2011, p. 13.

26

Idem, pp. 13-14.

27

Idem, p. 1

28

G. ALEANDRI, Giovani senza paura. Analisi socio-pedagogica del fenomeno bullismo, Roma, Armando, 2011, p. 26.

29

Idem, p. 29.

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famiglie. Un aiuto non solamente pratico, in quanto si interessa della crescita del bambino nel momento in cui entrambi i genitori lavorano, ma anche di sostentamento ai genitori stessi. A questo scopo il nido diviene anche un luogo di socializzazione per i genitori stessi, un luogo in cui si propongono contesti di educazione familiare volti a valorizzare le competenze educative dei genitori, a rassicurarli, aiutandoli a trovare strumenti efficaci. Questa buona collaborazione è possibile solamente nel momento in cui i genitori si dimostrano interlocutori attivi nella relazione, permettendo così il benessere del bambino, soprattutto all’interno della struttura. Si può dunque dire che il nido diventa una vera e propria scelta culturale30. Una scelta responsabile che deve rispondere a dei requisiti quali la disponibilità, l’interesse e la fiducia nell’instaurare una nuova relazione per l’interesse e la crescita del bambino stesso. Questa scelta ha inizio nel momento in cui i genitori entrano in relazione con le educatrici. Una relazione dettata da uno scambio continuo e reciproco di informazioni ed esperienze che mirano verso un unico obiettivo: una collaborazione continua e reciproca. Infatti sin dall’inizio si stabilisce una collaborazione fondata su un consapevole reciproco impegno nell’educazione del bambino, della quale devono essere condivisi principi e metodologie per poter facilitare il piccolo nella sua crescita31. Questa collaborazione inizia ad esistere nel momento in cui le educatrici incontrano la famiglia. Da questo momento in poi le due figure dovranno imparare a conoscersi e a farsi conoscere, mirando entrambi verso la stessa meta: la crescita del bambino. Le educatrici preparano così un ambiente in cui rendere il più naturale possibile la conoscenza: un tavolino basso, sedie o poltrone da adulto, acqua o caffè in circolo32. La durata di questo incontro non è prestabilita, bisogna sempre ricordarsi che si tratta di persone e nulla può essere organizzato nei minimi dettagli. Si cerca comunque sia di permettere ad entrambi i genitori di partecipare all’incontro, rispettando i tempi di entrambi. Una volta definita la cornice in cui avviene il primo colloquio, si passa al vero e proprio contenuto del colloquio stesso. Riferendoci allo psicologo statunitense Rogers, fondatore della terapia non direttiva e noto in tutto il mondo per i suoi studi sul counseling e la psicoterapia

30

G. CAVALLI, E. DI TERLIZZI, A. VALLE, I grandi nel mondo dei piccoli. La relazione tra educatori e genitori nei servizi per la prima infanzia, op. cit., pp. 17-18.

31

Idem, p. 68.

32

F. MONTI, F. CRUDELI, Il nido: lo spazio e il tempo delle emozioni, op. cit., p. 67.

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all'interno della corrente umanistica della psicologia33, parliamo del colloquio non direttivo, tenendo conto di quattro fondamentali dimensioni che facilitano le relazioni umane:  Empatia: mettersi nei panni dell’altro, senza giudicare, per poter accogliere il diverso.  Rispetto: credere nella persona e nelle sue capacità, mostrandosi sempre flessibili nei confronti dell’altro.  Cordialità: comunicare in modo non verbale per sottolineare il desiderio di impegnarsi significativamente nella relazione.  Concretezza: essere efficaci, pratici ed autentici. Questa modalità facilita le educatrici a porsi in un atteggiamento di ascolto, permettendo poi alle famiglie di sentirsi accolte e comprese in questo momento 34. Il benessere dei genitori dovrebbe essere infatti l’intento guida delle educatrici per poter creare un sistema educativo volto a sviluppare un approccio più orientato alla collaborazione35. Grazie a questo ambiente infatti si possono cogliere emozioni ed affetti che si celano dietro semplici espressioni e che non possono essere ignorati36. Le educatrici focalizzandosi su alcune informazioni possono iniziare a conoscere la vita del bambino, iniziando così a creare un piano di lavoro che si interessa non solo del gruppo, ma tiene conto della singolarità di ogni membro. Tra queste informazioni che possono essere chieste ai genitori possiamo elencarne alcune:  Le tappe significative per il bambino: allattamento/svezzamento, dentizione, deambulazione, linguaggio.  Le esperienze di separazione già vissute. 33

http://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Rogers, 25/04/14

34

F. MONTI, F. CRUDELI, Il nido: lo spazio e il tempo delle emozioni, Bergamo, Junior, 2004., p. 60.

35

Idem, p. 66.

36

G. CAVALLI, E. DI TERLIZZI, A. VALLE, I grandi nel mondo dei piccoli. La relazione tra educatori e genitori nei servizi per la prima infanzia, op. cit., pp. 17-18.

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 Le esperienze di cambiamenti importanti: traslochi, nascita di fratelli/sorelle, lutti.  Lo stato di salute del bambino: allergie, malattie, ospedalizzazioni.  La routine: pappa, sonno, cure igieniche.  Le attività che al bambino piace fare.  Il modo in cui il bambino si consola.  Gli oggetti per il bambino importanti, oggetti transizionali.  Le motivazioni che hanno portato alla scelta del nido.  Gli orari in cui il bambino frequenterà il nido.  La persona che lo accompagnerà durante il periodo dell’inserimento.  Etc. 37 Queste non sono domande prestabilite che devono essere fatte ad ogni coppia di genitori che si presenta al nido per poter inserire il proprio figlio, sono semplicemente linee guida che possono aiutare le educatrici nella conoscenza del bambino e della famiglia in cui vive. Allo stesso tempo è necessario che anche le educatrici si facciano conoscere e questo è possibile dando alla famiglia delle informazioni sul proprio lavoro e ambiente di lavoro:  Il personale del nido: coordinatore, figura e/o sistema di riferimento.  Il progetto pedagogico rispetto ai bisogni del bambino.  L’organizzazione della giornata: tempi ed attività.  Le caratteristiche della routine: menù, cambio, nanna.  Le dinamiche dell’ambientamento: come avviene e le difficoltà che il bambino potrebbe riscontrare in questo periodo.  Il calendario dei prossimi appuntamenti38.

37

Idem, p. 114.

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Durante questo primo colloquio da una parte le educatrici non devono dare troppe informazioni, avendo a disposizione un arco di tempo relativamente breve, per non disorientare la famiglia e dare l’impressione di un ambiente eccessivamente strutturato, e dall’altro devono fare in modo di non insistere su determinate informazioni chieste se la famiglia non si dimostra disposta a parlarne, potranno invece annotarsi le difficoltà riscontrate su questo primo incontro per poter poi approfondire le questioni quando il rapporto sarà più consolidato e si sarà instaurata maggiore fiducia39.

38

Ibidem

39

G. CAVALLI, E. DI TERLIZZI, A. VALLE, I grandi nel mondo dei piccoli. La relazione tra educatori e genitori nei servizi per la prima infanzia, op. cit., p. 86.

16


1.3. La continuità relazionale tra nido e famiglia. “La più alta espressione dell'empatia è nell'accettare e non giudicare.” Carl Rogers Il rapporto empatico facilita le comunicazioni, promuove le confidenze rendendo più costruttive le relazioni tra gli uomini.40 Il compito più importante è, infatti, per le educatrici quello di creare rapporti empatici, rapporti che si creano nel tempo. Da un iniziale rapporto di cordialità reciproca, si passerà man mano ad un rapporto di totale coinvolgimento in cui la somma delle risposte del sistema supera la somma delle risposte delle parti.41 La psicologia della Gestalt, dal tedesco Gestaltpsychologie – psicologia della forma o rappresentazione - è una corrente psicologica incentrata sui temi della percezione e dell'esperienza che nacque e si sviluppò agli inizi del XX secolo in Germania, la cui massima è “il tutto è più della somma delle singole parti”, allo stesso modo in cui le caratteristiche di una società non corrispondono a quelle degli individui che la costituiscono.42 Lo stesso si verifica all'interno delle relazione in quanto il singolo si dovrà modificare per inserirsi in un gruppo. Una modifica che tiene sia conto dell'unicità del singolo che della complessità del gruppo. Affinché il gruppo sia ben equilibrato e coeso è necessario che questo non sia semplicemente la somma delle parti che lo compongono ma sia di più, e questo più consiste nella relazione che si crea tra le singole parti. Nel caso del nido parliamo di una relazione che si muove verso degli obiettivi comuni, obiettivi educativi generali quali: 1. promuovere lo sviluppo psicofisico, mentale e sociale del bambino; 2. offrire consigli e appoggio emozionale ai genitori; 3. cooperare alla creazione del progetto educativo.43 40

S. CORBO (a cura di P. CRISPIANI), Dossier nido: manuale per la formazione dell'operatore, Roma, Armando, 1996., p. 117.

41

Idem, p. 112.

42

http://it.wikipedia.org/wiki/Psicologia_della_Gestalt, 26/04/14

43

Idem, p. 114.

17


Il primo obiettivo risulta possibile nel momento in cui si creano sia un ambiente favorevole e propenso allo scambio reciproco di emozioni ed esperienze, sia una relazione positiva tra genitori ed educatrici. Il bambino, nei suoi primissimi anni di vita, fa riferimento ai propri genitori. Nel momento il cui il genitore intraprende una relazione positiva e di fiducia con le educatrici, il bambino si inizierà a fidare delle educatrici stesse. Quando viene meno questa “dimostrazione” di collaborazione e cooperazione, il bambino non riuscirà a fidarsi delle educatrici ed i genitori non attribuiranno un valore positivo al lavoro delle educatrici stesse. I genitori devono capire che lo scopo del nido non è quello di “sottrarre” loro il bambino, ma integrare i compiti assistenziali ed educativi di chi lavora e non può dedicarsi completamente ai propri figli.44 Solo capendo ciò si può passare al secondo obiettivo. Perché ci sia condivisione è necessaria la disponibilità, da parte di ciascuno, a conoscere l'altro, ad aprirsi senza giudicare i pensieri e le emozioni altrui, avendo fiducia nelle reciproche capacità educative. Il primo passo che le educatrici devono compiere è quello di accettare la famiglia del bambino per quella che è. 45 Accettando le famiglie nella loro unicità le educatrici organizzano il proprio lavoro a seconda dei bisogni e delle caratteristiche delle singole famiglie. Pur essendoci una programmazione scolastica a livello macro, bisogna sempre considerare le modifiche a livello micro, in quanto spesso e volentieri sono le famiglie e/o i bambini a decidere le attività a seconda delle loro esigenze ed esperienze di vita. Questa caratteristica del rapporto scuola – famiglia ci porta direttamente al terzo obiettivo. Per poter vivere in maniera diretta e unica questo rapporto è fondamentale la collaborazione. Genitori, educatrici e bambini devono essere componenti attivi del progetto educativo, non si può creare e parlare di progettazione senza tener conto del vissuto dei membri che ne fanno parte. La messa in atto del sistema relazionale del nido risulta effettivamente essere una sfida sia per le educatrici che per le famiglie.46 Una sfida che viene affrontata sia nella quotidianità del nido, sia in un' organizzazione a lungo termine.

44

Idem, p. 109.

45

G. CAVALLI, E. DI TERLIZZI, A. VALLE, I grandi nel mondo dei piccoli. La relazione tra educatori e genitori nei servizi per la prima infanzia, op. cit., p. 19.

46

S. CORBO (a cura di P. CRISPIANI), Dossier nido: manuale per la formazione dell'operatore, op. cit., p. 113.

18


Per sfida quotidiana si intende la relazione che educatrici e genitori vivono ogni giorno. Con un semplice “buongiorno”, al momento dell'accoglienza, si possono trasmettere messaggi ben diversi dal semplice saluto mattutino o dall'augurio per una buona giornata: un tono scocciato e uno sguardo basso in seguito ad un ritardo d'orario potrebbero indicare il fastidio provato nel non rispetto delle regole, oppure un tono gioioso e una postura rilassata comunicano la felicità nel rincontrare il bambino.47 Ogni momento di incontro tra genitori ed educatrici deve essere pieno di scambi di informazioni ed emozioni, solo in questo modo la relazione cresce nel tempo arrivando poi ad un vero e proprio atteggiamento di empatia reciproca. Questi scambi non devono essere visti dai genitori come un impicciarsi da parte delle educatrici sulla vita della famiglia e del bambino 48, poiché le domande che vengono fatte mirano sempre verso lo stesso obiettivo quale lo sviluppo del bambino stesso, e contemporaneamente le educatrici non devono pensare che i genitori stanno togliendo loro del tempo alla didattica, in quanto questi sono momenti indispensabili per la crescita di ogni figura coinvolta nella relazione. Ci deve essere un apertura, da parte di entrambi, al confronto continuo. Anche il momento in cui il genitore va a riprendere il proprio figlio può essere vissuto in maniera positiva o negativa semplicemente osservando il modo di porsi sia delle educatrici che dei genitori. Le reazioni possono essere di diverso tipo: alcune sono vissute in maniera maggiormente positiva dalle educatrici, come quello di genitori che chiedono al figlio come è andata la giornata e/o si è divertito, o di altri che hanno cura di non tardare nel ritiro del bambino. Altre reazioni vengono invece vissute in maniera negativa, come ad esempio un genitore che sfugge, che non rispetta le regole o non ascolta i consigli, generando così nelle educatrici delle complessità circa il proprio operato. Bisogna però ricordarsi che spesso queste reazioni sono mosse da vissuti personali e hanno poco a che fare con la persona reale dell'educatrice.49 Gli incontri con i genitori, sia durante l'accoglienza che il ricongiungimento, sono momenti imprevedibili. Ogni giorno è diverso e non si sa mai che direzione prenderà. Ogni relazione è costruita sul momento e ogni persona coinvolta porta nella relazione le sue caratteristiche. Dei genitori devono essere calmati e si devono creare delle frasi ad hoc per la situazione senza creare nessun tipo di allarmismo, altri lanciano delle “frecciatine” alle educatrici che devono avere la 47

G. CAVALLI, E. DI TERLIZZI, A. VALLE, I grandi nel mondo dei piccoli. La relazione tra educatori e genitori nei servizi per la prima infanzia, op. cit., p. 22.

48

Idem, p. 20.

49

Idem, pp. 23-24-25.

19


capacità di abbassare immediatamente le tensioni e mostrarsi sempre disponibili alle esigenze dei genitori, altri ancora affidano totalmente il bambino al nido ma in queste situazioni le educatrici devono mantenere sempre attivo il compito educativo dei genitori facendo loro delle domande riportandoli così sulla loro dimensione attiva.. Bisogna dunque ricordarsi che una frase può andare bene per un genitore e non per un altro, una soluzione può essere efficacie in un caso ma non nell'altro. Tuttavia, in ogni situazione e caso, sono presenti almeno tre modalità di base che facilitano la relazione: 1. non giudicare; 2. coinvolgere il genitore, in quanto è portatore di competenze e conoscenze sul bambino; 3. aggiornarsi, nido-famiglia, quotidianamente sulle conquiste che il bambino fa o sui suoi comportamenti positivi.50 Per quanto riguarda la costruzione di una relazione a lungo termine si fa riferimento alle riunioni, alle occasioni/festività, a tutti quei momenti da vivere insieme. Le riunioni hanno senso e riscontri positivi nel momento in cui vengono organizzate per il confronto e la condivisione di esperienze non solo tra i genitori e le educatrici ma tra i diversi genitori che stanno vivendo la stessa avventura. Nella preparazione della riunione le educatrici devono far in modo di: • in primissimo luogo, ricordarsi che nessuno conosce il bambino meglio dei genitori; • creare un ambiente che metta a proprio agio, permettendo così ai genitori di esporsi liberamente e senza avere l'impressione di essere interrogati (evitando la disposizione cattedra – sedie); • preparare il materiale di cui si deve trattare, sia per la riunione stessa sia per poi poterlo consegnare ad i genitori, permettendogli così di approfondire i temi trattati; Nello svolgimento della riunione stessa, per assicurarne il successo le educatrici dovrebbero: • mantenere un clima di serenità e di accoglienza; • concentrarsi sulle competenze che il bambino ha acquisito nel corso del tempo, evitando discussioni sui livelli di sviluppo che non sono ancora stati dimostrati dal bambino stesso;

50

Idem, pp. 36-37-38.

20


• usare parole e formule positive quando si parla ai genitori dei propri figli; • essere specifici, attraverso esempi concreti ed oggettivi, quando si parla di difficoltà del bambino; • coinvolgere entrambi i genitori; • ascoltare attivamente tutto e rispondere in maniera empatica, mettendo ancora a più agio i genitori e incoraggiandoli a porre domande. A conclusione della riunione, le educatrici dovrebbero: • mantenere un tono speranzoso, soprattutto se sono stati trattati temi critici; • riassumere brevemente i punti trattati, le decisioni prese e gli eventuali punti da trattare nelle riunioni successive (ricordando, se già è stata fissata, la data); • ringraziare i genitori dimostrando il proprio apprezzamento per il supporto, la cooperazione e ogni approccio positivo che hanno apportato nella riunione.51 Altri momenti di costruzione della relazione a lungo termine sono i momenti di festività. La festa dei nonni, la recita di Natale, la festa del papà, la festa della mamma e la festa di fine anno sono eventi che permettono di condividere tutti insieme un giorno di festa. Le educatrici in questo modo permettono sia ai bambini di festeggiare insieme alle proprie famiglie, sia alle famiglie di essere coinvolte in questi momenti. In base all'evento le educatrici addobbano l'ambiente destinato ai festeggiamenti con cartelloni, oggetti e alimenti adeguati alla giornata52. Per ogni occasione le educatrici organizzano delle attività strutturate per creare le decorazioni per il momento, rendendo i bambini protagonisti attivi della festa, cosicché i genitori, i nonni e qualsiasi altro familiare coinvolto hanno la possibilità di conoscere gli “ambienti” in cui vive il bambino e relazionarsi con altre famiglie riguardo i propri figli e il nido stesso. In questo modo le famiglie potranno realmente permettersi di conoscere il nido, di confrontarsi, di fidarsi e collaborare

51

www.progettoasilonido.org/index.php/teoria-e-pratica-al-nido/vita-al-nido/famiglie-al-nido/93-riunionicon-i-genitori-consigli-per-le-educatrici#aspetti_organizzativi_delle_riunioni, 26/04/14

52http://www.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/7%252Fb%252Fd

%252FD.dc06a3230c0e38d7d9de/P/BLOB%3AID%3D33779, 26/04/14

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per la crescita del proprio figlio. Tutto questo non è facile, ma non è nemmeno troppo difficile 53, l'importante è sapersi concentrare sullo sviluppo non solo del bambino ma del nucleo familiare per intero raggiungendo così il ben-essere, condizione prospera di fortuna.

53

G. CAVALLI, E. DI TERLIZZI, A. VALLE, I grandi nel mondo dei piccoli. La relazione tra educatori e genitori nei servizi per la prima infanzia,op. cit., pp. 25-26.

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SECONDO CAPITOLO: UNA COLLABORAZIONE SOTTOBANCO

2.1. Le nuove figure d'attaccamento: l'inserimento scolastico. "Non c'è alcun modo di educare un bambino che possa impedirgli di provare ansietà. Ogni stadio dello sviluppo umano ha i suoi rischi, i suoi pericoli.." Fraiberg La buona riuscita di un' esperienza scolastica deve molto al primo periodo, solitamente definito "inserimento". Entrare in un nuovo ambiente, accettare e conoscere nuovi adulti e confrontarsi con altri bambini risulta essere una situazione non molto facile da affrontare non solo per il bambino ma anche per i genitori. Disagio, ansia, frustrazioni appartengono all'universo delle reazioni espresse dai genitori nei modi più diversi. Le reazioni dei bambini infatti, nella maggioranza dei casi, sono solamente lo specchio delle emozioni che i genitori provano e vivono durante questo periodo. Aiutare le famiglie a superare questo momento è il compito che le educatrici si assumono ed è possibile raggiungere un buon livello di cooperazione e una relazione di fiducia sia attraverso una conoscenza teorica del momento, sia attraverso delle progettazioni operative dirette alle singole famiglie. In pratica, le educatrici dovranno: • avere una buona conoscenza sulle principali teorie sull'attaccamento, tenendo conto dei comportamenti e delle caratteristiche del rapporto tra adulto e bambino; • osservare attentamente la relazione iniziale e quella che si crea durante questo momento; • avere la capacità di saper negoziare, comunicare, raccontare, informare e descrivere tutto ciò che avviene; • saper favorire il distacco dalla figura primaria di attaccamento e il sostegno alla costruzione di altre relazioni di attaccamento; • costruire rapporti di familiarità54.

54

M. C. STRADI, Dialogo insegnanti genitori nido-scuola dell'infanzia, Bergamo, Edizioni Junior, 2002, p. 10.

23


Per poter affrontare questo percorso le educatrici dovranno, in primo luogo, cogliere l'ambiente materno per poi poterlo riprodurre e personalizzare all'interno del nido. Ambiente che Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese55, chiama “holding” riferendosi alla costruzione di un rapporto sicuro in grado di facilitare i processi di crescita ed esplorazione del mondo possibile attraverso la funzione di contenitore che la madre assume nei confronti del figlio56. In base al modo in cui il bambino viene contenuto nei suoi primissimi anni di vita sono state rilevate diverse modalità di attaccamento, e queste possono essere ricondotte essenzialmente in tre atteggiamenti probabilistici rilevati come i più frequenti: 1. attaccamento sicuro: le emozioni vengono espresse in libertà e con reciproca fiducia, con sicurezza e in modo chiaro e intenso. La relazione non si configura come perfetta ma le imperfezioni che si possono verificare vengono recuperate perché è presente un'attenzione alla comunicazione interattiva. Nell'attaccamento sicuro il bambino dinnanzi agli avvenimenti nuovi quale sopratutto l'assenza improvvisa della madre, pur manifestando disagio e stupore spesso anche con il pianto, riesce ad organizzarsi ed a non perdere il controllo della situazione. Questi momenti inconvenienti terminano rapidamente e solitamente il bambino riprende il gioco. Nel momento in cui la madre ricompare il bambino tende a recuperare il contatto senza nessun tipo di rancore; 2. attaccamento insicuro evitante: le emozioni circolano poco almeno nei comportamenti espressi. L'esplorazione del bambino verso il nuovo ambiente si manifesta senza nessuna angoscia anche nel momento il cui la madre si allontana, così come nel momento in cui ritorna, il bambino evita e ignora gli sforzi della madre nell'attirare la sua attenzione. Questi comportamenti indicano un attaccamento in cui gli scambi comunicativi non avvengono con il corpo (quando il bambino è in braccio alla madre tende ad allontanarsi dal corpo materno indicando i giochi e in generale l'ambiente dal quale sembra più attratto) sottolineando una fisicità ridotta nella relazione madrebambino; 3. attaccamento insicuro ambivalente: le emozioni agiscono producendo comportamenti contrapposti. Il caos relazionale fa ritenere che le emozioni non producono un comportamento coerente. In questo tipo di attaccamento i bambini tendono ad alternare resistenze sottili a persistenti espressioni di disagio e di ricerca di vicinanza, questi momenti di disagio durano a lungo permanendo anche in situazioni di sicurezza, come ad esempio la presenza della mamma stessa, che 55

http://it.wikipedia.org/wiki/Donald_Winnicott, 05/05/14

56

S. BENEDETTI, (a cura di AA. VV.), Entrare al nido a piccoli passi. Strategie per l'ambientamento, Bergamo, Edizioni Junior, 2001, p. 18.

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vogliono sempre vicina. Dal canto loro le madri si rivelano imprevedibili nei loro atteggiamenti scoraggiando la sicurezza del bambino57. La sicurezza, la fiducia e di conseguenza l'autostima, trovano le loro radici nella modalità in cui il legame di attaccamento viene vissuto e risalgono dunque a questi primissimi anni di vita del bambino stesso58. Anche se gli obiettivi finali di questo momento sono del tutto positivi spesso questo periodo viene associato a termini negativi quali distacco, separazione e abbandono. Schaffer, uno degli psicologi evolutivi più importanti della Gran Bretagna59, assegna però al termine “distacco” un'accezione positiva, affermando che esso consiste in una delle principali mete del legame di attaccamento, sostenendo che, paradossalmente, una delle principali funzioni delle cure materne è proprio quella di liberare il bambino dalla madre stessa. E questo si verifica attraverso due importanti sistemi comportamentali quali l'esplorazione e la relazione con i pari60. Per sentirsi sicuro il bambino ha bisogno di spazi contenuti, con punti di riferimento che restino stabili e favoriscano il suo adattamento al nuovo ambiente. Un ambiente che deve favorire una crescita esplorativa, deve garantire la possibilità di collocarsi in una posizione attiva, sperimentando, costruendo e inventando, in modo tale da poter trasformare i comportamenti iniziali del bambino in schemi formali61. Il senso di accoglienza proposto in primo luogo dalle educatrici e di conseguenza dal nido in cui nascerà questa nuova relazione deve manifestarsi già al primo impatto con la cura degli oggetti e dell'arredo62. Il bambino deve potersi mettere in gioco in un ambiente nuovo e il modo più efficacie per permettere ciò è la creazione di un ambiente a misura di bambino. Lavandini bassi, water della misura adatta, culle e lettini, sedie e tavolini sono 57

Idem, pp. 20-21.

58

R. BIAGIOLI (a cura di E. MACINAI), Il nido dei bambini e delle bambine. Formazione e professionalità per l'infanzia, Pisa, Edizioni Ets, 2011, p. 43.

59

http://www.thepsychologist.org.uk/legacyforum/legacyforum_home.cfm? &ForumID=1&fuseAction=displayMessage&messageID=6032, 07/05/14

60

R. GAY (a cura di P. CRISPIANI), Dossier nido: manuale per la formazione dell'operatore, op. cit., p. 97.

61

R. BIAGIOLI (a cura di E. MACINAI), Il nido dei bambini e delle bambine. Formazione e professionalità per l'infanzia, op. cit., p. 52.

62

Idem, p. 53.

25


indispensabili all'interno di un nido ma ciò che lo rende esplorabile e attraente agli occhi del bambino è la personalizzazione degli arredi stessi63. L'armadietto con la propria foto, un cartellone con il proprio nome che indica il posto letto sono degli esempi pratici che permettono al bambino di sentirsi situato in un ambiente familiare. Uno spazio “buono”, come sostiene Winnicott, deve accogliere il bambino e corrispondere al suo bisogno di sicurezza e affettività, ma al tempo stesso deve sostenere e incoraggiare il suo desiderio di conoscere ed esplorare64. In questo modo il bambino attribuirà al nido un valore emotivo, non solo perché contiene oggetti che gli appartengono (utile può dimostrarsi, soprattutto nei primi giorni, l'utilizzo di un oggetto transizionale, oggetto che aiuta il bambino a sviluppare la capacità di restare solo, senza sentirsi solo o deprivato, consiste questo nel primo passo verso l'accettazione della separazione fisica dalla figura di attaccamento principale65) e parlano di lui, ma anche perché trova calore affettivo nelle relazioni con gli adulti66. Soprattutto nei primi momenti del nido la relazione di base è quella che si instaura tra genitori ed educatrici che agiscono nella complessa e delicata fase dell'ambientamento mirando al benessere e allo sviluppo del bambino. Solamente in un secondo momento i bambini entrano in relazione con altri bambini, inizialmente attraverso attività organizzate dalle educatrici ma progressivamente giocando in piccoli gruppi e in spazi raccolti, vivendo così le prime esperienze tra pari67. Ritornando al periodo dell'inserimento possiamo affermare che i protagonisti di questo momento sono: • i bambini e le bambine che per la prima volta vengono inseriti in un contesto sociale diverso da quello familiare; 63

E. BECCHI, A. BONDIOLI, M. FERRARI, A. GARIBOLDI, Idee guida del nido d'infanzia, Bergamo, Edizioni Junior, 2003, pp. 28-29.

64

R. BIAGIOLI (a cura di E. MACINAI), Il nido dei bambini e delle bambine. Formazione e professionalità per l'infanzia, op. cit., p. 51.

65

F. MONTI, F. CRUDELI, Il nido: lo spazio e il tempo delle emozioni, op. cit., p. 81.

66

R. BIAGIOLI (a cura di E. MACINAI), Il nido dei bambini e delle bambine. Formazione e professionalità per l'infanzia, op. cit., p. 53.

67

E. BECCHI, A. BONDIOLI, M. FERRARI, A. GARIBOLDI, Idee guida del nido d'infanzia, op. cit., p. 34.

26


• i genitori (madri e padri) che fino a questo momento hanno rappresentato una figura di riferimento da cui il bambino inizia ora a separarsi; • le educatrici che si propongono come nuove figure di riferimento e mirano verso la nascita di un nuovo legame di fiducia. Ogni protagonista è coinvolto attivamente in ogni fase dell'ambientamento e interpreta un ruolo diverso a seconda della situazione che si crea e si vive. Ogni fase prevede tempi e gesti che permetteranno ai protagonisti di avvicinarsi, conoscersi, separarsi e ricongiungersi da iniziali approcci che nel tempo assumeranno significati più formali. Per fasi dell'ambientamento si intendono: 1. l'avvicinamento: in questo momento i protagonisti della relazione entrano in contatto e iniziano a conoscersi, confrontarsi, comprendersi, comunicare e scambiarsi informazioni ed emozioni; 2. l'affidamento: questa fase corrisponde al periodo in cui inizia la separazione della coppia madre-bambino. Il genitore si sente pronto di affidare il figlio a nuove figure e le educatrici si assumono la responsabilità di dare continuità all'esperienza familiare senza dividerla ma condividendola; 3. l'appartenenza: da questo momento in poi si costituisce e si va consolidando il rapporto di fiducia tra il nido e la famiglia68. Tutte queste fasi confluiranno nell'esperienza generale dell'inserimento e il modo in cui sarà condotto influirà sulla capacità di adattamento del bambino al nido per l'intero periodo di frequenza del servizio69, permettendogli così di vivere a pieno questa nuova esperienza di vita.

68

M. MOTTA, (a cura di AA. VV.), Entrare al nido a piccoli passi. Strategie per l'ambientamento, Bergamo, Edizioni Junior, 2001, pp. 75-83.

69

F. MONTI, F. CRUDELI, Il nido: lo spazio e il tempo delle emozioni,op. cit., p. 83.

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2.2. Il percorso educativo: dal primo al terzo anno. “Dite: è faticoso frequentare i bambini. Avete ragione. Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inchinarsi, curvarsi, farsi piccoli. Ora avete torto. Non è questo che più stanca. È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all'altezza dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi. Per non ferirli.” Korczack70

Il nido, in seguito all'iniziale periodo di conoscenza dell'ambiente e di chi vi lavora, diviene il luogo in cui il bambino inizierà a conoscere sé stesso, i suoi pari e altri adulti che diventeranno i propri punti di riferimento. Diviene dunque il palco in cui il bambino si può esprimere liberamente, rispettando però il progetto delineato dalle educatrici. Ogni giorno, all'interno del nido, è organizzato per permettere lo sviluppo del bambino rispettando i tempi e la personalità di ciascun bambino che vi vive. La qualità delle attività che quotidianamente impegnano i bambini nel nido è strettamente collegata alla ricchezza e alla disponibilità degli ambienti, riferendosi ai materiali, agli arredi, alle strutture ed ai giochi disponibili, al ritmo con cui esse si succedono non solo nel corso dei giorni ma anche a livello più ampio proiettandosi nei mesi e negli anni a seguire. Occorre dunque un disegno complessivo entro il quale ogni singola esperienza infantile (dai 0 ai 3 anni) possa trovare collocazione e significato. Alcune attività possono avere carattere occasionale, altre invece costituiscono tappe di percorsi mirati presentando un carattere di irrinunciabilità, tra queste vi sono: • le routine: quelle situazioni quotidianamente allestite nei nidi aventi come scopo principale la cura fisica del bambino. I pasti, i cambi, la pulizia personale, il sonno si contraddistinguono da altre 70

K. JANUSZ, Quando ridiventerò bambino, Milano, Luni Editrice, 2005

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attività per il loro ciclico ripetersi nel corso della giornata e per la presenza di rituali che le rendono facilmente riconoscibili e prevedibili. Esse consentono l'acquisizione di abitudini regolari e assicurano a ciascun bambino condizioni di benessere di base. Va tenuto presente che lo sviluppo infantile sotto ai tre anni gioca principalmente in rapporto a queste attività, pertanto la ripetitività delle routine deve ricordare che si tratta di momenti in un percorso di crescita che va osservato, modulato e ri-progettato in itinere, tenendo conto sia dei progressi del bambino sia della sua esperienza fuori dal nido. La ritualità deve dunque prevedere un ampio margine di flessibilità in quanto bisogna sempre mantenere l'attenzione sul bambino e non sulle attività in sé per sé. Pur non essendo finalizzati alla cura del corpo infantile, si parla di routine anche per i momenti di accoglienza e rilascio, per il loro carattere ciclico e rituale. Questi momenti permettono al bambino di iniziare a percepire il tempo, realtà ancora precaria per il bambino stesso. La vicenda della separazione e del ricongiungimento permettono di approcciarsi, infatti, al senso del tempo e della stabilità; • il gioco: la possibilità di crescere a livello sociale, cognitivo e affettivo è strettamente connessa alla qualità delle esperienza ludiche. Il gioco, pur avendo un carattere di spontaneità, è fortemente influenzato soprattutto dall'ambiente in cui ha luogo. Pertanto una notevole cura va data nell'allestire situazioni che favoriscano comportamenti e interazioni ludiche. Il piacere ludico, soprattutto nei primi anni di vita è connesso all'autoaffermazione che si manifesta nella manipolazione di oggetti di diversa natura, nelle attività di aggregazione e decostruzione, di carico e scarico, nella libera attività motoria, nelle sperimentazioni vocali e sonore. Ma il piacere ludico è molto spesso connesso anche all'attività simbolica, alla simulazione e alla creazione di situazioni immaginarie71. Lette in chiave pedagogica queste sono tutte attività che mirano alla crescita del bambino assumendo però la forma del gioco. Nel periodo della prima infanzia i bambini occupano gran parte del loro tempo a giocare ed esplorare oggetti. L'educatrice assume in questi momenti la figura di osservatore, di tipo non intrusivo durante il gioco libero e di esplorazione, fondata su tecniche di “modellamento” per stimolare il bambino nella produzione del livello massimo di gioco di cui è capace72; • le attività linguistiche: imparare a parlare, a comunicare verbalmente, a comprendere i significati condivisi dalla società è una delle maggiori acquisizioni dell'età infantile. Ogni attività che si svolge nel nido è potenzialmente un tramite di sviluppo linguistico, e risulta 71

E. BECCHI, A. BONDIOLI, M. FERRARI, A. GARIBOLDI, Idee guida del nido d'infanzia, op. cit., pp. 19-22.

72

L. D'ODORICO, R. CASSIBBA, Osservare per educare, Roma, Carocci Editore, 2005, p. 75.

29


ovvio che il nido debba prestare particolare attenzione a queste esperienze, sia passive che attive, esperienze che sono per lo più mediate da figure adulte73. Lo sviluppo del linguaggio e della comunicazione avviene in diverse fasi: 1. la fase prelinguistica: da un lato tratta dell'evoluzione del sistema fonologico, che inizia subito dopo la nascita e raggiunge un periodo critico verso i 9-10 mesi d'età, quando i suoni che il bambino produce diventano quelli caratteristici della lingua materna che di lì a poco sarà in grado di parlare; 2. le prime parole: l'età della comparsa delle prime parole varia considerevolmente ma in generale si colloca tra gli 11 e i 13 mesi d'età. Inizialmente le parole si riferiscono ad oggetti e persone e vengono usate in contesti specifici e spesso ritualizzati. Nella fase iniziale (12-16 mesi circa) l'ampiezza del vocabolario si attesta in media sulle 50 parole, nella fase successiva (17-24 mesi) si parla di una esplosione di vocabolario. Gli studiosi sottolineano il fatto che non avviene in tutti i bambini allo stesso modo e con gli stessi tempi ma bisogna sempre tener conto del bagaglio d'esperienza del singolo bambino: 3. lo sviluppo della grammatica: qui si possono individuare due componenti, la morfologia e la sintassi. Con il termine morfologia ci riferiamo all'acquisizione di particelle che svolgono una funzione esclusivamente grammaticale, per sintassi invece si intende la capacità che il bambino acquista nella costruzione di parole che rispettano le regole della propria lingua materna; 4. la consapevolezza metalinguistica: il bambino utilizza il linguaggio anche in assenza di stimoli comunicativi, riuscendo a coniugare ciò che dice a ciò che vuole dire, difficoltà presente nei bambini fino ai 5-6 anni di età, causando spesso anche delle incomprensioni; Il bambino impara a parlare con incredibile rapidità, di solito nei primi anni di vita. Tuttavia, lo sviluppo completo del linguaggio si verifica in un arco di tempo assai più lungo74; • le attività di apprendimento: si intendono quelle attività in cui vi è un'intenzionalità precisa da parte dell'adulto all'arricchimento del patrimonio conoscitivo dei bambini e a far loro acquisire abilità e competenze che non si consolidano liberamente ma richiedono una qualche forma di insegnamento. Con questo non si vuol dire che le altre attività sopra citate non abbiano lo stesso fine ma si vuole sottolineare l'importanza di una linea guida nella promozione allo sviluppo del bambino. Tra queste attività strutturate si parla precisamente della capacità senso-motoria come tracciare dei segni su un foglio, capacità prettamente motorie per una maggiore consapevolezza, 73

E. BECCHI, A. BONDIOLI, M. FERRARI, A. GARIBOLDI, Idee guida del nido d'infanzia, op. cit., pp. 23-24.

74

L. CAMAIONI, P. DI BLASIO, Psicologia dello sviluppo, Bologna, Il mulino, 2007, pp. 119-149.

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controllo e coordinazione del proprio corpo, condividere con gli adulti un patrimonio tradizionale attraverso racconti, fiabe e filastrocche, acquisire conoscenze circa l'ambiente sociale e naturale circostante. Sono abilità e conoscenze che i bambini possono acquisire solamente attraverso gli adulti che, in maniera più o meno formale e più o meno consapevole, ne sono i depositari; • gite, uscite e feste: hanno carattere di maggiore occasionalità, proprio per questo sono progettate con largo anticipo, si parla prima di svolgerle con i bambini e spesso anche dopo averle realizzate, talora coinvolgendo anche i genitori. In questo modo il nido si presenta come ambiente sociale, sottolineando la sua realtà di condivisione e cooperazione con gli adulti, in primis con i genitori dei bambini stessi75. In questo spettro così complesso e vario che è quello del nido, le educatrici per essere davvero pronte ai bisogni mutevoli, ai ritmi in perenne evoluzione e alle sottili e differenziate comunicazioni dei bambini dovrebbero seguirli uno ad uno per poterli conoscere intimamente. I bambini più piccoli hanno bisogno di condurre una vita varia e interessante tanto quanto quelli più grandi e una cura particolare meritano anche gli ambienti in cui vivono e gli oggetti che hanno a disposizione. Le educatrici devono essere consapevoli delle ragioni per le quali i genitori decidono di affidare il bambino al nido76 per poter vivere in maniera del tutto sincera e limpida la relazione che ha come fine ultimo la crescita del bambino stesso. Crescita che avviene in singoli e diversi stadi, è per questo opportuno parlare delle caratteristiche delle singole età presenti all'interno del nido e della fusione che avviene tra queste generando così un sistema complesso come quello che caratterizza il nido stesso. Nel primo anno i bambini si esprimono principalmente attraverso il pianto, le educatrici, infatti, vivendo in stretto contatto con il bambino, impareranno a distinguere ed ad interpretare i messaggi che vi si celano dietro. Il pianto dipende più spesso dalla fame piuttosto che da altri motivi. Il cibo risulta essere per il bambino l'esperienza fondamentale. Non significa solo ingerire del nutrimento, ma risulta essere un'interazione prolungata con l'adulto a lui molto vicino, quindi un'opportunità di comunicare che contribuisce a tutti gli aspetti della sua crescita. Quando si inizia lo svezzamento compaiono nuovi gusti e nuove considerazioni. Se prima il bambino era la parte attiva in quanto richiedeva attenzioni da parte dell'adulto (il bambino, mentre mangia, cerca infatti un contatto 75

E. BECCHI, A. BONDIOLI, M. FERRARI, A. GARIBOLDI, Idee guida del nido d'infanzia, op. cit., 2003, pp. 25-26.

76

E. GOLDSCHIMIED, S. JACKSON, Persone da zero a tre anni, Bergamo, Edizioni Junior, 2002, p. 105.

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intenso con gli occhi), adesso sarà l'adulto ad essere attivo, rispondendo però delicatamente ai ritmi del bambino stesso. Lasciando spazi, libertà e soprattutto lasciando manipolare il cibo e gli strumenti utili durante il pasto le educatrici permettono al bambino di avere un rapporto diretto con il cibo, acquisendo così un'autonomia in questo preciso momento della giornata. Durante il resto della giornata il bambino entra in contatto con la realtà che lo circonda attraverso il suo corpo. Il senso del movimento del proprio corpo è un elemento vitale per lo sviluppo dell'immagine di se stessi. Dal momento in cui il bambino inizia ad acquisire la padronanza di andare a carponi, godendo di questa libertà di esplorare si sentirà molto più libero di scrutare l'ambiente in cui vive. I bambini piccoli sembrano sapere quando è il momento di mettersi in piedi dunque non bisogna accelerare i tempi o forzare il bambino a camminare, verrà da sé. Molti sono gli oggetti che facilitano il bambino in questa fase, numerose sono le attrezzature che servono per l'accudimento dei bambini, alcune molto utili altre criticabili. Queste ultime spesso sono studiate più per facilitare il compito degli adulti che per portare beneficio al bambino. Oltre a questo corredo, all'interno del nido è presente il materiale da gioco che per questa età dovrebbe essere vario in modo tale da dare ai bambini la possibilità di sperimentare il più possibile, di esplorare con la bocca e le mani una vasta gamma di forme e materiali. I bambini che possono stare seduti da soli, ma che non sanno camminare, hanno bisogno di una grande varietà di oggetti per impegnare il loro interesse e stimolare lo sviluppo dei sensi e la consapevolezza di quello che stanno facendo77. Il secondo anno risulta essere un anno di crescita e sviluppo straordinariamente rapido. Il bambino, in questa fase, vuole soprattutto esercitare le sue nuove capacità di movimento, manipolazione e parola. Spesso questo può essere scomodo per gli adulti, da questo momento in poi l'adulto deve fare una scelta: muoversi secondo i propri ritmi sostenendo le proprie decisioni oppure negoziare una soluzione che tenga conto del punto di vista del bambino. Ogni sottile interscambio nel quale gli interessi dell'adulto e del bambino sono diversi può essere significativo nel creare nel bambino fiducia e autonomia. Erik Erikson, nel suo classico “Infanzia e società” scrive che l' acquisizione della fiducia di base identifica la prima tappa dello sviluppo, che dà al bambino la libertà di esplorare ed imparare. In questo periodo ci sono talmente tante conquiste che è utile elencarle per ricordare quanti cambiamenti hanno interessato il bambino dai 10 ai 20 mesi d'età. Anna Freud parla di “linee di sviluppo”, approccio che permette di tener conto dei diversi aspetti dello sviluppo che nel loro insieme determinano la personalità del bambino. Egli si avvia all'indipendenza dei suoi movimenti, diventa abile nella manipolazione, impara a mangiare, a prendersi cura del proprio corpo da solo e acquisisce la capacità di comunicare con le 77

Idem, pp. 94-122

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parole. Gioca un ruolo rilevante la persona adulta di riferimento in quanto gli permette di raggiungere questi obiettivi gradualmente. Infatti, anche se le crescenti competenze del bambino lo spingono ad allontanarsi dagli adulti che si occupano di lui, egli contemporaneamente sente il bisogno opposto di ricercarli. Tuttavia si verifica la crescente consapevolezza di sé, soprattutto nell'utilizzo quotidiano di parole come “me” e “mio”. Attraverso tutto ciò aumenta anche l'intenso bisogno di esplorare e sperimentare tutto ciò che lo circonda78. Il terzo anno di vita del bambino si può descrivere come “un'esplosione di consapevolezza”. Basandoci sempre sulle teorie della Freud, possiamo vedere come la mobilità e l'abilità di manipolazione, l'autonomia sia nel mangiare che nelle richieste di cibo durante i pasti e non solo, il controllo degli sfinteri, il linguaggio e la vasta gamma di giochi e di apprendimenti sostengono ed integrano tutti gli aspetti della consapevolezza di sé. In questo periodo il bambino si muove con un certo grado di autonomia verso un periodo di consolidamento, cercando molte informazioni sul mondo che lo circonda, prendendo coscienza anche della diversità. Gli eventi che non possono essere spiegati assumono una caratteristica di magia e mistero per il bambino e l'adulto deve rispettare i tentativi di comprensione del mondo, senza deriderlo79. Il rispetto per il bambino deve essere infatti il motore della relazione che si instaura tra il nido e la famiglia, soprattutto in questo periodo di crescita. Al di là della specifica idea che nella pratica educativa in ogni fase si prevede di realizzare, ciò che comunque va tenuto fermo è che al bambino deve essere garantita la crescita, vale a dire la possibilità di arricchimento di competenze, di incremento di informazioni, di capacità di riflessione e di incontro, di esercizio della propria vita affettiva. Questo significa che il traguardo della sua formazione risulta essere intrinseco alla sua formazione stessa, rendendo partecipi attivi non solo i genitori ma anche le educatrici del nido che in questo periodo diventano figure di riferimento per il bambino per un progetto a lungo termine. Lo scopo del nido, infatti, non è collocato in modo definito ed esaustivo nella fascia formativa che segue – la scuola dell'infanzia – ma ha come fine un'ulteriore e sempre più complessa formazione totale della propria personalità80.

78

Idem, pp. 123-141

79

Idem, pp. 157-175.

80

E. BECCHI, A. BONDIOLI, M. FERRARI, A. GARIBOLDI, Idee guida del nido d'infanzia, op. cit., p. 9.

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2.3. Il cambiamento: dall’asilo nido alla scuola dell’infanzia. “Queste parole rivelano l’intimo bisogno del bambino: ‘Aiutami a fare da solo’.” Maria Montessori Durante l'ultimo anno dell'asilo nido i bambini cercano in tutti i modi di affermare la loro crescente autonomia e di dare un senso al mondo che li circonda81. Sia per il nido che per la scuola dell'infanzia una delle finalità fondamentali, infatti, risulta essere quella di educare all'autonomia. Per poter raggiungere, in modo professionale, questo scopo alla base vi devono essere cinque macro competenze: 1. culturali: nella prospettiva antropologica delineano le educatrici e le insegnanti come persone colte. Essere colti non significa solo aver letto i classici ma anche essere aggiornati e conoscere la realtà dei nostri giorni, la quotidianità in cui si vive e si lavora; 2. tecnico-professionali: oltre alla conoscenza sia educatrici che insegnanti devono possedere delle competenze pratiche. Soprattutto per le educatrici risultano essere molte, per esempio leggere ad alta voce albi illustrati, manipolare acqua e farina, favorire la costruzione dell'identità del bambino con l'uso dello specchio. Per le insegnanti per competenza tecnica si intende la conoscenza della materia stessa, ma questa non basta, bisogna muoversi verso la terza macro competenza; 3. metodologiche: consistono, sia nel nido sia nella scuola dell'infanzia, nella programmazione, valutazione, documentazione e soprattutto nell'osservazione, nella consapevolezza che valutare non significa giudicare bensì conoscere. Lo sforzo delle insegnanti deve essere quello di conoscere il bambino nella sua individualità e nella loro specificità, ricordandosi che ogni bambino è diverso dall'altro e ha tempi di sviluppo differenti. Il lavoro educativo non può essere un lavoro episodico, frutto dell'intuizione del momento, poiché ogni intervento educativo è espressione di intenzionalità; 4. relazionali: insieme alla quinta macro competenza ricoprono un ruolo significativo, l'apprendimento non è il frutto di una sedimentazione di nozioni, al contrario è il risultato di un processo complesso che ha anche ritorni, momenti di difficoltà nel cui ambito le emozioni e le relazioni rivestono un grande significato. Per apprendere bisogna avere la consapevolezza di poterlo fare, cioè di credere in sé stessi e dunque la questione sull'autostima si pone come centrale. Le relazioni a scuola rappresentano il tema principale, e per relazioni non si intendono solamente quelle tra i bambini, ma anche quelle con i genitori e tra insegnanti; 81

E. GOLDSCHIMIED, S. JACKSON, Persone da zero a tre anni, Bergamo, Edizioni Junior, 2002, p. 175.

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5. riflessiva: caratterizza l'esperienza professionale in campo educativo. È la capacità di riflettere sulla propria esperienza professionale: deve mettere in condizione di capire che la società si evolve e bisogna trasformarsi con la stessa velocità. La riflessività mette in condizione di imparare dalla propria esperienza, di imparare dagli errori, di costruire saperi professionali, di confrontarsi con altri colleghi82. Il confronto sia tra educatrici ed insegnanti che tra genitori ed educatrici e genitori e nuove insegnanti, risulta essere il motore di questa continuità, soprattutto dal momento in cui la continuità appartiene agli adulti. I bambini sembrano esser già pronti a questo passaggio, parlando già della “scuola dei grandi”, sono spesso i genitori che devono essere accompagnati in questo salto. Già all'inizio dell'ultimo anno di frequenza le educatrici dovrebbero impostare il percorso progettuale sulla continuità, pensando anche ai modi e alle occasioni secondo le quali la famiglia stessa verrà coinvolta. Per i genitori sarebbe indispensabile avere: • conferma dell'esistenza di un raccordo tra la scuola che il bambino frequenta e quella successiva; • documenti e materiali informativi che illustrino le caratteristiche della scuola dell'infanzia; • informazioni e riscontri circa eventuali progetti ponte concordati ed in via di svolgimento; • la disponibilità degli insegnanti della sezione da cui escono i loro figli a farsi da tramite con gli insegnanti futuri, soprattutto attraverso colloqui, passaggio di materiali e incontri; • conoscenza delle iniziative che coinvolgeranno i bambini in prima persona: progetti, merende, giochi insieme, visite; • l'opportunità di incontrare direttamente gli insegnanti per chiarimenti sulle procedure di ingresso e di formazione delle classi, sulle metodologie educative e didattiche.

Congedarsi positivamente da un ambiente e proporsi con disponibilità e fiducia verso il nuovo è una buona operazione che richiede sostegno e buoni consigli, ma allo stesso tempo produce quasi sempre ottimi risultati riscontrabili anche dopo un certo tempo83. In questo consiste la continuità.

82

E. CATARSI (a cura di M. C. STRADI), Accogliere con cura, riflessioni ed esperienze, Bergamo, Edizioni Junior, 2009, pp. 18-19.

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Parlare di continuità implica la consapevolezza di doverla coniugare con la dimensione della discontinuità. Milena Manini ha scritto giustamente che a continuità non significa né anticipare al nido le modalità di vita, di relazione, di apprendimento della scuola dell'infanzia, né perpetuare nella scuola dell'infanzia l'identità del nido, i suoi stili educativi, la sua organizzazione, bensì vuol dire, all'interno di una concezione unitaria delle istituzioni che interessano i bambini dai 0 ai 6 anni, individuare i momenti di analogia e di differenziazione che permettano di comprendere la natura e la storia di tutti gli eventi educativi e di attribuire loro significati comuni e contemporaneamente diversi che segnano la specificità delle due istituzioni84. Continuità e discontinuità rappresentano, dunque, due funzioni essenziali di stimolo alla crescita. Pensare alla continuità in un'ottica educativa non significa ipotizzare un'omogeneità a tutti i costi, ma riconoscere e rispettare le reciproche autonomie e differenze educative in una prospettiva di coordinamento strutturale. Scoprire e studiare congiuntamente i momenti di analogia e di differenziazione può offrire sia alle educatrici sia alle insegnanti la possibilità di comprendere la natura e la storia degli eventi educativi che interessano singolarmente i due servizi. La continuità non va intesa come subordinazione tra istituzioni, bensì come articolazione del diverso, valorizzazione e riconoscimento della specificità che ognuno porta con sé. Dialetticamente possiamo definire la continuità come: • coerenza: intendendo la stretta connessione tra i diversi aspetti del contesto; • ricomposizione: delle esperienze spesso frammentante dei piccoli; • integrazione: in funzione della continuità dell'esperienza infantile; • articolazione ed espansione: occasione per far crescere le occasioni formative proposte al bambino nel tempo in funzione al suo ritmo e alle sue capacità dimostrate. Ogni soggetto ha bisogno del nuovo, dell'inatteso per crescere85. Carugati scrive giustamente che il cambiare è una dinamica importante dello sviluppo, perché crea una discrepanza tra lo schema come è adesso e la realtà, una realtà che fosse completamente routinaria e asfissiante, è paralizzante, è deprimente sia nel senso cognitivo che emozionale. Si ha bisogno del nuovo, dell’inatteso, ma il 83

M. C. STRADI, Dialogo insegnanti genitori nido-scuola dell'infanzia, op. cit., p. 33.

84

E. CATARSI, Educazione alla lettura e continuità educativa, Bergamo, Edizioni Junior, 2011, p.22.

85

M. T. BASSA POROPAT, L. CHICCO, Il nido come sistema complesso. Percorsi formativi e di intervento nell'ottica della qualità totale, Bergamo, Edizioni Junior, 2004, pp. 88-89

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rapporto tra nuovo ed inatteso deve essere governato, non deve essere casuale, arbitrario, imprevedibile o comunque ingiustificabile. Per questo si deve dare particolare attenzione al passaggio dal nido alla scuola dell’infanzia, che può verificarsi per il bambino anche come occasione di disorientamento. Il momento del passaggio si presenta come un momento particolare in quanto il bambino si ritrova davanti ad un “rovesciamento di prospettive”. In precedenza era abituato ad essere considerato il più grande dei piccoli, mentre adesso viene considerato il più piccolo dei grandi e il più bisognoso di protezione. Questo fatto, oltre al cambiamento degli ambienti e delle abitudini, può talvolta produrre dei comportamenti meno organizzati e maturi di quelli che erano stati dimostrati negli ultimi mesi al nido. Ciò non deve portare le insegnanti della scuola dell’infanzia al rischio di un’eccessiva “nidizzazione”. In altri termini, si tratta di avere chiaro che l’acquisizione della prospettiva della continuità non deve portare alla omogeneizzazione del nido e della scuola dell’infanzia che debbono mantenere, al contrario, la specificità dei loro diversi progetti educativi. Oltre alla conoscenza tra le due istituzioni occorre anche avere chiaro che il rapporto tra l’asilo nido e la scuola dell’infanzia potrà realizzarsi solo nella prospettiva di una continuità “minima” che si sostanzia in una serie di attività ed iniziative comuni86. In questa prospettiva il risultato sembra essere stato la costruzione di “strumenti di continuità”, primo fra tutti l’adozione di un “protocollo delle azioni di continuità tra nidi e scuole dell’infanzia” come risposta concreta e coerente nei momenti di passaggio tra i due servizi. Pensare alla continuità in un’ottica educativa significa affatto ipotizzare una omogeneità a tutti i costi, bensì scoprire e studiare congiuntamente i momenti di analogia e di differenziazione per poter comprendere la natura e la storia degli eventi educativi promosse dalle figure educative, attribuendo loro significati comuni e contemporaneamente diversi, che segnano la specificità delle due istituzioni, all’interno però di una concezione unitaria delle istituzioni da 0 a 6 anni. Da ciò è possibile evidenziare come un contesto educativo 0-6 anni risulti più idoneo degli abituali contesti “spezzati” nido/scuola dell’infanzia a promuovere la crescita dei bambini e ciò per una serie di motivi ad alta valenza pedagogica, soprattutto perché: 

consente una prospettiva a lungo termine in cui si ha modo di prestare meglio attenzione

al processo di sviluppo, senza brusche interruzioni imposte; 

offre una visione longitudinale della crescita di ciascun bambino, consentendo di attuare

un’azione educativa individualizzata mirata a ciascun bambino concreto;  86E.

offre il tempo e l’agio per seguire il bambino al suo ritmo;

CATARSI, Educazione alla lettura e continuità educativa, op. cit., p.21-23

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offre l’opportunità alla famiglia di confrontare, in maniera continuativa e stabile,

l’immagine che essi hanno del proprio bambino nel tempo con quella delle educatrici; 

consente al bambino di costruire legami duraturi con adulti e altri bambini fuori della

famiglia, fornendogli così occasioni preziose per lo sviluppo sociale ed affettivo. Emerge, da questo modo di intendere la continuità, l’esigenza di considerarlo come lavoro di rete. Se la continuità è apertura al servizio, risulta necessaria anche la capacità di saper favorire e promuovere lo scambio delle esperienze87. Durante lo svolgimento del tirocinio, nei mesi di marzo e aprile di quest’anno, ho potuto assistere ad una riunione organizzata per i genitori dei “bambini grandi” del nido. Questa riunione è nata come prova, essendo la prima di questo tipo, ed aveva come scopo proprio la promozione di uno scambio di esperienze. Le educatrici del nido hanno preparato un ambiente favorevole all’interazione libera, cercando di mettere il più possibile a proprio agio i membri della riunione, e hanno coinvolto un’insegnante di una scuola dell’infanzia. Da ponte tra le due figure, le educatrici e l’insegnante “nuova”, c’era la coordinatrice comunale di Macerata. È stata questa figura a intraprendere e tenere il discorso sulla continuità. Una continuità a favore dei genitori, ha sottolineato, infatti, come la vera continuità in questo passaggio siano i genitori, dovendo le educatrici lasciare i bambini e le insegnanti della scuola dell’infanzia accogliergli. Ruolo centrale di questo momento hanno i genitori e fondamentale è il modo in cui si pongono, poiché i bambini rispecchiano le loro emozioni. La coordinatrice ha infatti definito questo momento come il frutto di una “collaborazione sottobanco”, essendo gli adulti i protagonisti principali di questo processo. Fatta un’introduzione generale, poi il discorso tenuto si è articolato principalmente su tre punti: 1. linguaggio: non deve essere questo il motore del passaggio. Un bambino che ancora non ha un vocabolario ampio non sarà emancipato o allontanato dal gruppo. Spesso è proprio l’eterogeneità del gruppo a favorire lo sviluppo linguistico: i bambini più grandi vengono visti da modello, tanto da spronare i più piccoli ad essere come loro; 2. autonomia: vista come conquista. Il genitore non si deve sentire in colpa a lasciar fare diverse azioni da solo al bambino, ma deve vivere questo momento secondo l’ottica “fai da solo perché sei bravo”. In questo modo il bambino si sentirà apprezzato nelle sue nuove 87M.

T. BASSA POROPAT, L. CHICCO, Il nido come sistema complesso. Percorsi formativi e di

intervento nell'ottica della qualità totale, op. cit., pp. 88-90

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conquiste e sicuro di poterle fare poiché assistito dall’adulto che non obbliga ma osserva dall' esterno l’azione stessa; 3. ambiente: spesso la scuola dell’infanzia viene vista come la scuola delle “regole” e questo spaventa. Bisogna però interpretare queste regole come contenimento. L’ambiente resta sempre caratterizzato dalla scansione dei tempi, dall’organizzazione degli spazi e soprattutto dalla libertà lasciata ai bambini di esprimersi per poter raggiungere e conquistare una propria personalità. Successivamente è intervenuta l’insegnante della scuola dell’infanzia presentando a grandi linee l’organizzazione della scuola, lasciando poi spazio ai genitori per qualsiasi tipo di informazione. La riunione si è conclusa con un confronto generale di emozioni, paure, aspettative e realtà che si stava vivendo in quel preciso momento, proiettando tutto ciò in un futuro molto vicino. In questo modo si può verificare come la continuità coincida con l’accoglienza. E per accoglienza si intende il rispetto che si deve avere nei confronti della storia e dell’esperienza precedente, facilitando l’approccio ad una dimensione nuova. <<La continuità nasce dall’esigenza primaria di garantire il diritto all’alunno ad un percorso formativo organico e completo, che mira a promuovere uno sviluppo articolato e multidimensionale del soggetto, il quale, pur nei suoi cambiamenti evolutivi e nelle diverse istituzioni scolastiche, costruisce così la sua particolare identità.88>>

88E.

CATARSI (a cura di M. C. STRADI), Accogliere con cura, riflessioni ed esperienze, op. cit., p. 106.

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TERZO CAPITOLO: LA FESTA DEL PAPÀ

3.1. Progettare l'attività. “Dove non ci sono bambini non ci sono né feste né vita familiare.” Rosa Luxemburg All'asilo nido nessuna festa o evento dell'anno passerà inosservato: ogni momento verrà allegramente evidenziato, stimolando la fantasia dei bambini e coinvolgendo tutte le famiglie, e per di più, ognuno di questi avvenimenti sarà trasformato in un ricordo89. Il valore educativo che questa iniziativa ha avuto all'interno del percorso educativo del nido e della relazione con le singole famiglie: si ricollega al fatto che vengono proposti momenti collettivi in una dimensione sociale fortemente ludica. C'è un filo conduttore che lega infatti le feste alle esperienze ludiche proprie dei bambini. Entrambe si presentano come attività utili alla soddisfazione di un bisogno psicologico e culturale che richiede ampio spazio alla creatività. Inoltre, rappresentano un'opportunità di conoscenza durante la quale educatrici e genitori imparano a vedersi in modo diverso, c'è maggiore spontaneità e disponibilità: atteggiamenti che senza dubbio favoriscono un clima reciprocamente positivo. La nostra facoltà ci offre una grande opportunità, che spesso, noi studenti dimentichiamo: il tirocinio. Per motivi burocratici, quest'anno ho svolto l'attività di tirocinio tra i mesi di Marzo e Aprile presso l'asilo nido Gian Burrasca di Macerata. Già nell'ottica di preparazione della tesi, ho fatto tesoro dell'opportunità di poter incentrare la parte pratica della tesi su un'attività che potevo vivere direttamente. Durante il tirocinio si svolgeva la festa del papà. Inizialmente ho parlato con le educatrici per poter organizzare al meglio un'attività per la tesi e loro si sono dimostrate disponibili nell'aiutarmi a trovare un modo che potesse spiegare, direttamente con i fatti, la relazione indispensabile che esiste tra genitori ed educatrici per la crescita del bambino.

89

http://www.nidofamigliapeterpan.it/1/le_attivita_del_nido_2167447.html. 09/05/14

40


La festa del papà si avvicinava e con le educatrici abbiamo cercato un’attività che potesse coinvolgere entrambi i genitori. Dopo varie proposte e idee, sia da parte di giornalini del nido, sia da esperienze passate in diversi ambiti dell'educazione, sia dalle proposte dei bambini, si è arrivate alla conclusione della creazione di un momento di coinvolgimento diretto dei papà. Quest'anno veniva stravolto il classico lavoretto per la festa. Non erano più i bambini, aiutati dalle educatrici, a creare il ricordo della festa, ma adesso erano i bambini aiutati dai papà a creare insieme il lavoretto. Le feste, per come sono organizzate, mettono in evidenzia la piacevolezza di incontrare e incontrarsi, ma anche di imparare a fare, recuperando dimensioni ludiche ed emotive di grande ricchezza. Sono dunque occasioni di: •

divertirsi ed incontrarsi tra bambini ed adulti;

condividere esperienze particolari;

sperimentare comportamenti ed emozioni;

valorizzare i rapporti interpersonali.

La riuscita di una festa dipende, in fine, dalla felice fusione di un complesso sistema di situazioni e dalla collaborazione al progetto di più persone (in questo caso mamme per permettere la realizzazione del lavoro, papà come protagonisti e le educatrici come ponte di unione tra le due figure) con competenze diverse, ma tutte desiderose di portare a termine il loro lavoro. La regia così composta necessita di linee guida che le educatrici devono rendere note sin dall'inizio, quali: •

individuazione degli scopi e delle caratteristiche dell'iniziativa (la festa offre ai bambini la

possibilità di condividere alcuni momenti della vita al nido con i propri genitori e ai genitori un momento di aggregazione e partecipazione alle attività del nido. Permette inoltre a tutti un’opportunità di scambio e conoscenza reciproca90); •

programmazione degli aspetti organizzativi:

- destinatari: papà dei bambini; - tempi: prima parte della mattina del 19 Marzo 2014; - modalità: creazione del lavoretto insieme;

90

file:///C:/Users/Marzia/Desktop/Downloads/Momenti_di_festa_al_Nido_ok_x_sito%20(3).pdf, 09/05/14

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- luoghi: salone dell'asilo nido; - materiali: maglietta bianca e colori a tempera per stoffa; •

realizzazione concreata di manufatti (in questo caso le magliette) e allestimento ambienti91.

Nonostante il coordinamento dell'iniziativa appartenga alle educatrici, la partecipazione delle famiglie è parte integrante del percorso educativo del nido. Si ritene dunque importante creare una rete di relazioni intense che promuovano il coinvolgimento attivo dei genitori nella vita del nido, che deve diventare un luogo di benessere per tutti i soggetti coinvolti. Anche le famiglie, quindi, sono invitate a contribuire attivamente al raggiungimento di questo obiettivo92. Le educatrici, una volta scelta la modalità di svolgimento della festa, hanno iniziato a chiamare le madri dei singoli bambini. Ogni mamma, infatti, aveva i\l compito di portare ciò che sarebbe divenuto l'oggetto di lavoro per i piccoli ed i grandi. Costruire, allestire, preparare: un fare insieme che è reale e concreto coinvolgimento nei progetti e nelle attività del nido, per saperne qualcosa in più e lasciare il proprio segno93. La decisione presa è stata: la decorazione di una maglia bianca con i colori a tempera apposta per i tessuti. Le mamme avevano dunque il compito di portare una maglia bianca da poter colorare poi il giorno stesso della festa. Portare segretamente però, in modo tale da creare un effetto a sorpresa e di stupore all'ingresso al nido della mattina stessa. Durante la settimana, dalle chiamate alla festa, le madri o all'ingresso o all'uscita, indifferentemente, facendo sempre attenzione alla presenza di papà all'interno del nido, lasciavano le maglie alle educatrici che andavano a sistemarle senza far vedere nulla neanche ai bambini. I bambini sono stati coinvolti nel momento della preparazione dell'invito. Anche per questo momento sono state scelte le modalità, in quanto questo è da considerarsi come biglietto da visita per il momento da festeggiare insieme. Per quest'anno, infatti la difficoltà della preparazione di questi momenti sta anche nel trovare sempre nuove idee e avere tanta creatività per non rendere monotona ogni festa con il classico invito. Le educatrici hanno deciso di creare una carta d'identità del papà, il cui timbro non viene rilasciato dal Comune di residenza, ma dall'impronta digitale del bambini, appositamente dipinti con un pennello dalle educatrici con la tempera color rosa. 91

M. C. STRADI, Dialogo insegnanti genitori nido-scuola dell'infanzia, op. cit., pp. 31-32.

92

http://www.letateinfesta.it/doc/Progetto_pedagogico_Montello_2011.pdf, 12/05/14

93

http://memoesperienze.comune.modena.it/nidi/pdf/aprirsi.pdf, 12/05/14

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A pochi giorni dalla festa il tavolo dell'asilo era cosĂŹ:

A turno le educatrici, una volta compilato l'invito, chiamavano ogni bambino per poter mettere la loro impronta, intingevano il pennello nella tempera, “sporcavano� il dito del bambino e poi insieme pressavano il dito nel posto apposito.

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Alcuni bambini erano impauriti dal colore a tempera, non percependo il momento come un'attivitĂ strutturata od organizzata dalle educatrici, ma come un'occasione. Infatti era un momento particolare, non tutti erano con i grembiulini per potersi approcciare al colore, ma durante il gioco libero venivano chiamati, veniva messo il grembiulino, si lasciava l'impronta e poi si tornava a giocare. Il risultato finale era una divertente carta d'identitĂ , un documento necessario per poter accedere alla festa che si stava preparando:

I bambini si sono occupati anche della decorazione degli ambienti in cui nei giorni a seguire si sarebbe svolta la festa. Ritagliare striscioline di cartapesta, crearne poi delle palline, incollarle, colorare le lettere con spugnette piene di colore, sono queste le attivitĂ che hanno occupato i bambini durante una mattinata per poter creare, insieme alle educatrici i cartelloni. Piccoli e grandi erano alle prese con cartoncini da incollare, e questi non lasciavano indifferenti nessuno.

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Queste attivitĂ , anche se come fine ultimo hanno la decorazione della stanza, sono per i bambini delle occasioni che permettono di sviluppare la propria manualitĂ e di imparare divertendosi. Inoltre, durante la festa potranno far vedere direttamente ai propri papĂ il lavoro svolto per loro e l'impegno che hanno messo per poter rendere quel giorno un giorno speciale per tutti. Consegnati gli inviti e terminati i cartelloni, tutto era pronto per la festa.

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3.2. 19 Marzo 2014: dipingiamo insieme. “Papà, se tu sentissi come mi batte il cuore, se premo con la mano, mi batte più forte ancora: sai tu dirmi perchè batte così? Perchè il mio amore per te sta tutto qui!” Papà, se tu sentissi

“Buongiorno papà, con la collaborazione segreta delle mamme ci siamo fatti portare una maglia bianca che adesso potrete decorare con i vostri figli: buon divertimento!” Le educatrici accolgono così i papà all’ingresso del nido, addobbato per la festa con un tavolo per la colazione (come da tradizione al nido in questi giorni di festa), cartelloni fatti dai bambini stessi e le maglie appese nella sala, in modo tale che poi ognuno di loro prendesse la propria per poterla decorare. A disposizione ogni coppia di genitore a bambino aveva un tavolino, da condividere con un'altra coppia, già opportunamente preparato per poter dar sfogo alla fantasia di grandi e piccini. Colori, pennelli e giornali per non limitare la creatività di nessuno erano il motore per intraprendere questa nuova avventura.

Così inizia la giornata, tra lo stupore dei papà e la gioia dei bambini. Piano piano si inizia a prendere confidenza con i colori e con i pennelli, cercando sempre nuove idee per il proprio lavoro.

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Collaborazione e intesa erano gli ingredienti necessari per poter procedere verso il proprio capolavoro. Le educatrici nel frattempo osservavano e fotografavano ogni momento per poterlo poi mostrare alle mamme, complici della mattinata di colore che hanno vissuto i bambini con i loro padri. Alcuni iniziano scrivendo il nome dei propri figli e alternando i propri disegni alle loro fantasie, personalizzando il più possibile le proprie magliette.

Questo è quello che succede, ad esempio, a V.. Una delle più grandi e mattiniere del nido, amica inseparabile di E.. Anche questa mattina di festa arrivano insieme e scelgono un unico tavolo per dare inizio al lavoro. E. chiede al padre di disegnargli Topolino, lo stesso fa V.. I genitori rispondono alle richieste dei propri figli, anche se intimoriti e non artisti affermati. Tra le rassicurazioni dei figli e la volontà di voler creare insieme qualcosa che potesse piacere ad entrambi iniziano a dipingere. La paura passa e iniziano a divertirti, vengono fuori Topolini del tutto personali e decorati a modo proprio. Infatti, nonostante la richiesta fosse uguale, ognuno di loro ha personalizzato la propria maglia, rendendola del tutto personale. I genitori, una volta presa manualità e confidenza con i pennelli ed i colori si son soffermati sulla possibilità di poter stare insieme nell'ambiente prettamente del bambino e soprattutto di potersi “sporcarsi tutti e due le mani” per qualcosa che sarebbe rimasto. Soprattutto per quanto riguarda la prima possibilità, essendo arrivati presto al nido, una volta terminato il lavoro, i piccoli han potuto giocare con i

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propri papà nel salone dei giochi. Nei loro occhi si vedeva la felicità. Non sempre i genitori, soprattutto i papà, possono permettersi di restare al nido, o quanto meno visitarlo. Era questa un'occasione di totale condivisione, non solo nel momento di festa ma anche nella quotidianità stessa che il bambino vive ogni giorno al nido. Qualche papà si è divertito sporcandosi molto più dei figli, sfruttando al massimo quel momento offerto dal nido da condividere insieme ai propri piccoli.

Il papà di F. era più contento del figlio di potersi sporcare e riempire le mani piene di colore. Una volta entrati al nido, e vista la specialità dell'arredo di quel giorno, F. era rimasto spiazzato. Sembrava non essere nel suo nido. È così entrata subito in gioco la creatività e la voglia di fare del padre. Ha preso i colori, altri materiali dal tavolo centrale, spingendo sempre più Federico a prendere confidenza con il “nuovo nido”. Questo modo di essere espansivo, aperto alla novità da parte del padre ha permesso al piccolo di poter godere a pieno di questo giorno. A mano a mano che i colori aumentavano si creavano sempre nuove tecniche: dalle dita si passavo poi ai tappi di sughero, per poi schizzare la maglia e fare strisce di aeroplani con i spazzolini, tutti strumenti rigorosamente immersi in tazze di colori. Di certo in questo tavolo non mancava la creatività. Non soddisfatti del poco colore utilizzato nella parte davanti della maglia, l'han fatta respirare un po' per poi girarla e riprendere a dipingere. Altre pennellate, manate a riempire il resto della maglia per poi arrivare ad una scritta: “Ciao Mamma”. Il padre aveva ben pensato di decorare la maglia 48


per le situazioni quotidiane, come ad esempio quando si mette F. sulle spalle durante le passeggiate e cammina davanti alla madre. In questo modo la mamma poteva ben riconoscerli. Interessante è stata questa scelta, poiché si nota come questa non sia stata un'occasione del momento, ma un'occasione da poter sfruttare nella propria quotidianità. Un pennellata qua, una manina in quella maglia han fatto sì che il lavoretto del papà sia stato realizzato direttamente dai papà, soprattutto per quanto riguarda i bambini più piccoli.

Queste sono le manine di M., il più piccolo del nido. Non potendo decidere come decorare la maglia, il padre ha cercato di renderlo il più possibile partecipe alla creazione del lavoro. L'impronta della mano è stato il momento più bello, prima ha lui fatto pressione sulle mani del piccolino, ma dopo è stato il piccolo ad aiutare il papà. Sono questi i momenti di condivisione e di rispetto del piccolo. Nonostante non abbia le capacità e le possibilità di poter fare da solo è sempre l'adulto che lo guida, mantenendo così la propria attenzione sulla volontà e sui bisogni del bambino stesso. In questo modo le educatrici han potuto notare come questa non sia stata un'attività volta solamente ai più grandi che ormai hanno dimestichezza con i colori, ma anche per i più piccoli è risultata una possibilità di conoscenza e familiarizzazione con pennelli e mani immerse nelle tempere.

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Una volta terminati i lavori i papà andavano nella sala d'accoglienza per poter fare colazione con i propri figli. Dopo di ché i papà sono tornati al proprio lavoro, lasciando i bambini a vivere la quotidianità del nido. Le attività si sono svolte normalmente, tra gioco libero nel salone, racconto della mattinata mentre si aspettava il pranzo, pranzo e infine la preparazione alla nanna per chi restava e il cambio per chi tornava a casa. Terminato il pranzo, prima dell'uscita, le educatrici si son divise tra il cambio e l' arredo della sala d' accoglienza, facendo una mostra dei capolavori che erano stati creati durante la mattina. Riempiendo le varie pareti:

Appendendole nei lampadari, facendole scendere giù attraverso le grucce:

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Facendo da cornice ai cartelloni preparati dai bambini e dalle educatrici nei giorni precedenti:

Occupando tutti i spazi, non a caso, per non lasciare vuoto nessun posto:

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Finita la preparazione della sala le educatrici hanno chiesto a ogni bambino di riconoscere la propria maglia, dando importanza ad ogni singolo lavoro. Tutti i bambini si sono dilettati nel cercare la propria maglia per poi descriverla ai propri amici. Un'attività mirata alla conoscenza di sé e all'importanza della propria unicità. Le educatrici erano lì ad ascoltare chi voleva parlare e a rispettare chi non se la sentiva, senza imporre loro l'obbligo dell'attività.

Terminava così la giornata, tra la felicità dei bambini e dei genitori al momento della riconsegna, non solo dei bambini ma anche dei lavori fatti. Quest'attività ha avuto poi seguito in una progettazione a larga veduta. Le educatrici hanno organizzato lo stesso lavoro per la festa della mamma, mirando ad un obiettivo: indossare tutti una maglia personalizzata al nido il giorno della festa finale. Non solo papà e mamma ma anche educatrici e bambini che si sono divertiti tra colori e maglie da riempire di colori e fantasia.

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3.3. Dietro le quinte. "Una prova della correttezza della procedura educativa è la felicità del bambino." Maria Montessori Stare bene al nido è un obiettivo che può essere raggiunto, sia per le educatrici, sia per i genitori, anche grazie alla disponibilità di uno spazio, di una zona espressamente dedicata agli adulti che ritrovano in questa “sistemazione” il segnale di un ambiente a loro sempre più favorevole. La logica di questa iniziativa sta nell'evidenziare nel modo dovuto l'accoglienza e l'accettazione che la scuola desidera testimoniare ed esprimere verso le famiglie. Saranno così valorizzati contributi e collaborazioni94, tali da rendere speciali queste opportunità, come infatti è avvenuto il giorno della festa del papà. A partire da una proposta da parte delle educatrici, allestendo il nido non solo per i bambini ma anche per gli adulti, si è arrivati alla condivisione di un momento importante che è poi sfociato nell'arricchimento della relazione che nel corso del tempo si va creando. Il lavoro delle educatrici per questi momenti non è solo di tipo organizzativo, ma risulta essere molto più complesso e difficile. Per poter ricavare dall'esperienza un insegnamento per le occasioni successive è necessario che venga svolto il compito dell'osservazione. L'osservazione va dunque interpretata non come strumento di indagine, ma come strumento, continuamente migliorabile e ampliabile, della propria competenza professionale95. L'osservazione sistematica, tuttavia, è qualcosa di diverso dal semplice “guardare” ciò che fa un bambino nei vari momenti e nelle varie situazioni in cui è strutturata la giornata in un contesto educativo. È necessaria, cioè, una formalizzazione e una sistematizzazione delle osservazioni. Il primo passo che deve essere effettuato in questo processo di sistematizzazione è la definizione degli scopi per cui l'osservazione viene effettuata. Lo scopo principale è più generale è sicuramente la valutazione del livello di sviluppo raggiunto dal singolo bambino. Risulta evidente come l'osservazione dei bambini nel normale contesto educativo sia un compito non solo complesso ma richiede anche un certo dispendio di tempo96. Occorre tempo e spazio per osservare, senza codificare, gli elementi vivi del

94

M. C. STRADI, Dialogo insegnanti genitori nido-scuola dell'infanzia, op. cit., p. 32.

95

F. MONTI, F. CRUDELI, Il nido: lo spazio e il tempo delle emozioni,op. cit., p. 16.

96

L. D'ODORICO, R. CASSIBBA, Osservare per educare, Roma, Carocci Editore, 2005, p. 10-15.

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contesto: uno spazio dove sentire i pensieri, pensare i sentimenti, un tempo, dove le esperienze mentali ed emotive possano prendere forma ed essere contenute. Il modello dell'osservazione che stiamo trattando è quello dell'Infant Observation, messo a punto nel 1960 da Esther Bick, all'Istituto di Psicoanalisi di Londra, e già facente parte, sotto la sua direzione, dal 1948, del training di psicoterapia infantile presso la Tavisock Clinic di Londra. Il modello è stato poi strutturato e diffuso a livello internazionale da Martha Harris, in Nord America, in Sud America, Australia, Europa. In Italia è stato fondamentale il contributo scientifico e operativo di Marcella Balconi, che ha sostenuto l'importanza e la rigorosità dell'osservazione nell'organizzazione dei servizi di neuropsichiatria infantile e degli asili nidi. La Balconi scriveva: << osservare vuol dire acquisire la capacità di vedere un insieme, un tutto unitario. Un tipo di osservazione che devitalizza, che si riferisce a una parte o a un settore, non serve al nostro lavoro. Tu devi avere la capacità di osservare, di sintetizzare; devi avere sempre la carica umana che ti fa ricercare l'intero e non la parte: l'interesse per una persona viva, non per i pezzi di persona.>>97 L'obiettivo dell'apprendimento all'osservazione psicoanalitica è conoscere il bambino nella sua totalità, è conoscere lo sviluppo emotivo del bambino inserito in un contesto specifico, reale, e trarre insegnamento dalla propria risposta, mentale ed emotiva, alle osservazioni. Questa metodologia è una modalità di comprendere le esperienze e i bisogni emotivi del bambino, la qualità dell'ambiente in cui egli si trova a vivere e le capacità degli adulti di entrare in contatto con i propri stati mentali interni. Questa metodologia fa a sua volta riferimento a un modello di funzionamento mentale interattivo, cioè a un vertice osservativo che sottolinea la naturale qualità relazionale, prima che intrapsichica, della mente. L'educatrice lavora su tre livelli spazio-tempo: 1.

in primo luogo osserva il bambino;

2.

successivamente scrive le sue osservazioni, seguendo il movimento delle scene mnestiche;

3.

infine legge e discute insieme ad altre educatrici ed ad un supervisore le osservazioni.

C'è dunque una lettura e una comprensione dei dati osservati sempre più complessa all'interno di un gruppo di lavoro. La lettura “microscopica” dei segnali emessi dal bambino al nido, accolti dall'educatrice e restituiti attraverso la scrittura, si trasforma, infatti, nel lavoro di gruppo in una lettura “macroscopica”, che tende a descrivere le coordinate spazio-temporali dello sviluppo infantile. L'osservazione, quindi, tende non ad accumulare dati, ma a favorire la qualità del pensare, 97

F. MONTI, F. CRUDELI, Il nido: lo spazio e il tempo delle emozioni,op. cit., p. 22.

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l'essere all'ascolto degli elementi che si muovono nel campo interattivo; si struttura quindi come un movimento mentale alla ricerca sia di una giusta distanza per vedere l'oggetto nella sua interezza, sia di una giusta vicinanza per risuonare empaticamente nell'incontro con il bambino reale. Nella mente dell'osservatore, attraverso una lunga e continua formazione, si crea così uno spazio dove è possibile un movimento ondulatorio, che permette una comprensione del rapporto tra primo piano (l'unicità del bambino) e sfondo dei molteplici fattori del campo osservativo (il contesto in cui il bambino è inserito). Per questo però si ha bisogno di tempo, di pazienza e di cura competente. La rigorosità dell'osservazione sta nella continuità del processo di contatto con la realtà: è un'osservazione in “presenza”, perché l'osservatore è dentro il osservato98. Si possono, infatti, verificare dei rischi sulla situazione, in quanto l'osservatore deve mostrarsi del tutto oggettivo alla situazione ma non è una cosa semplice in quanto entra in gioco il grande impatto emotivo che si ha, soprattutto con i più piccoli. È necessario, dunque, conoscere in quali effetti si può cadere per poterli evitare: •

pigmalione: deriva dagli studi classici sulla “profezia che si auto-realizza” il cui assunto di

base può essere così sintetizzato: se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri; il bambino interiorizzerà il giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaura così un circolo vizioso per cui il bambino tenderà a divenire nel tempo proprio come l’insegnante lo aveva immaginato99; •

alone: è un bias (un giudizio o un pregiudizio sviluppato sulla base dell'interpretazione delle

informazioni in possesso che porta ad un errore di valutazione o mancanza di oggettività di giudizio) cognitivo per il quale la percezione di un tratto è influenzata dalla percezione di uno o più altri tratti dell'individuo o dell'oggetto. Un esempio è giudicare intelligente, a prima vista, un individuo di bell'aspetto100; •

stereotipia: condizionamento che porta a giudicare un soggetto in base ad un'opinione

generalizzata originaria101; 98

Idem, pp. 17-23.

99

http://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Pigmalione, 15/05/14

100

http://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_alone, 15/05/14

101

http://ospitiweb.indire.it/adi/CoopLearn/valutogg.htm, 15/05/14

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contrasto: condizionamento prodotto dalla proiezione del soggetto a standard ideali di

prestazione, senza tener conto dell'unicità di ogni singolo individuo102. L'oggettività in senso vero non è realizzabile ed è perciò necessario imparare ad accettare questo dato senza sentirsi troppo in colpa.. Nonostante questo bisogna raggiungere la massima obiettività possibile, ossia il più alto grado di imparzialità ed equità, lavorando con la soggettività, e non nonostante questa. Solo così si può avere una buona conoscenza della situazione che si sta analizzando103. Possiamo dunque delineare una formazione all'osservazione, che comprende: •

finalità:

- acquisizione di una metodologia di osservazione rigorosa e finalizzata al rapporto educativo; - crescita nella capacità di lettura e analisi delle osservazioni; - affinamento della sensibilità nel rapporto quotidiano con il bambino; - aumento della capacità di tollerare le proiezioni dei sentimenti ostili dei bambini attraverso il riconoscimento e la discussione di gruppo; •

direzioni:

- verso l'esterno per guardare il bambino; - verso l'interno per riconsiderare sé stessi nel modo di stare con il bambino; •

strumento: la mente dell'osservatore (presenza, attenzione, concentrazione, memoria),

sintonia con ciò che si guarda e si prova; •

risultati:

- aumento dello spazio mentale di osservazione; - aumento della capacità negativa, saper attendere; - aumento della disponibilità e dell'attenzione; - aumento della capacità di recepire le reazioni dei bambini come informazioni importanti; - aumento della solidarietà del gruppo.

102

Idem

103

Idem

56


Possiamo concludere sottolineando la difficoltà che presentano non solo l'osservazione ma anche la documentazione, in quanto entrambe richiedono impegno e professionalità. Coinvolgere le famiglie è possibile se a loro viene “restituita” l'esperienza e se, poco alla volta, acquisiscono la consapevolezza di poterla indagare meglio per renderla qualitativamente migliore104. Il modo migliore di indagare è vivere in prima persona. La festa del papà è stata una delle tante occasioni che il nido ha offerto alle famiglie di poter entrare in contatto con il mondo dei loro figli. È stata questa un'occasione in cui il nido familiare è potuto entrare all'interno del nido istituzionale, e questo, è stata un'occasione di vera felicità.

104

M. C. STRADI, Dialogo insegnanti genitori nido-scuola dell'infanzia, op. cit., p. 34.

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CONCLUSIONI

"Un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere un occhio nuovo.” Proust La mia famiglia ha creato per me una rete di relazioni che ho poi dovuto continuare a tessere attraverso le mie esperienze, i miei bisogni e con le persone che ho incontrato lungo questo viaggio. Mi ritrovo adesso a dover creare un ponte tra quello che sono stata e quello che vorrò essere, essendo al momento contemporaneamente sia studentessa, sia futura educatrice. Questa tesi mi è servita per capire ciò che voglio nel mio lavoro, e ciò che c'è da migliorare, partendo dall'idea che questo non è possibile solamente con il lavoro delle educatrici ma è indispensabile la figura e la presenza dei genitori. I genitori hanno il compito, infatti, di dimostrarsi disponibili nella relazione con le educatrici, perché è proprio attraverso questa che il bambino si può sentire sicuro e libero di provare ed avere nuove esperienze all'interno del nido. Avere una progettualità, essere disponibili al confronto con l'altro, affrontare il cambiamento, sono questi i requisiti che una famiglia deve avere per poter raggiungere, insieme alle educatrici, l'obiettivo che si è prefissato insieme: la crescita del bambino stesso. Educare i bambini è un compito molto difficile e complesso. Non si può decidere cosa insegnare loro, si può scegliere solamente chi essere. Dopo aver vissuto diversi anni all'interno del sistema scolastico, seguendo il proprio curricolo, attraverso poi i tirocini, l'ambiente di lavoro risulta essere noto. Ma pur essendolo, bisogna sempre ricordarsi che si lavora con persone, che sono tutte diverse le une dalle altre grazie alla loro unicità e, dunque, bisogna avere la capacità di essere flessibili in qualsiasi situazione. Questa qualità si può ottenere imparando a conoscere sé stessi, per poter dare poi il buon esempio a chi ci troviamo davanti. Non bisogna dunque cercare nuove terre in cui andare a lavorare, ma avere occhi nuovi di fronte ad ogni situazione che si presenta, imparando da quelle passate e mirando sempre a migliorare. Solo conoscendo sé stessi e rispettando l'unicità dell'altro si possono ottenere risultati di qualità. Solo in questo modo è possibile creare la relazione che risulta essere indispensabile all'interno del nido per poter raggiungere il ben-essere del bambino.

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RINGRAZIAMENTI

“Vietato dire: NON CE LA FACCIO” Ogni volta che pensavo “devo scrivere la tesi”, pensavo subito a queste ultime pagine. E adesso che ci sono, sembra che non trovo più le parole. Inizio col dire che ce l'ho fatta, sto raggiungendo questo grande e primo traguardo della mia vita. Ho scelto questa frase per iniziare perché, una volta uscita dalle superiori, non pensavo minimamente di avere le capacità di poter fare così tanto. E invece, sono solamente fiera dei miei risultati. Perciò per prima ringrazio me stessa per non aver creduto alle parole delle persone al momento della mia scelta universitaria. Ma questo è stato possibile solamente grazie agli insegnamenti che ho ricevuto durante la vita dalla mia famiglia. “Un bacio in fronte a mia madre perché a lei devo tutto” Ringrazio l'amore di mia madre che in ogni momento e in ogni occasione c'è. In questo percorso universitario è stata capace di lodarmi quando doveva e consolarmi nei momenti più difficili, senza farmi pesare niente ma semplicemente aprendomi gli occhi in quei momenti che non riuscivano a vedere bene la realtà. La ringrazio per avermi insegnato tanto nel lavoro più difficile, il suo: gestire la casa e creare un clima favorevole con le persone che ci vivono. Ho potuto notare, in questi anni, quanti “segreti della mamma” conoscevo, e quante cose mi ha insegnato senza spiegazioni ma solamente vivendo. “Se c'è soluzione perché ti preoccupi? Se non c'è soluzione perché ti preoccupi?” Ringrazio mio padre, il primo lettore della mia tesi. Colui che mi ha insegnato a buttarmi, a credere sempre in quello che faccio ma soprattutto a fare quello in cui credo. Poche volte gli dimostro quanto sono importanti le sue parole, ed è proprio in queste righe che sento il bisogno di dirgli quanto è stato fondamentale nella stesura della mia tesi. Ma non solo. Quando le mie amiche mi ripetono che servirebbe un po' del mio ottimismo in tutto, questo ottimismo è tutto merito suo. Ma più che ottimismo, io credo sia la traduzione del verbo “crederci” nella vita, in ogni momento ed in ogni situazione.

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Ringrazio mamma e papà che hanno creduto in me, che mi dimostrano ogni giorno che la vita non è fatta solo di cose belle ma quelle brutte sono solamente ostacoli da superare, che basta volere ed aspettare per arrivare a dei traguardi e che ogni traguardo è importante e da festeggiare, sempre.

“Non so cosa pensavi quelle notti con papà ma grazie mamma ne hai fatti due su due” Modifico il testo della canzone: “ne hai fatti tre su tre”. Ringrazio le mie sorelle, la Sicilia che non si vede in me. Selene, la sorella maggiore che non finirò mai di scoprire. Come una grotta, si mia sorella è una grotta. Fuori dura, appuntita, scura ma dentro c'è solamente tanto spazio in cui poter stare. Ed è uno dei pochi luoghi in cui ti puoi riparare durante un temporale, e rinfrescare sotto il sole cocente, nel bene e nel male ti aiuta sempre, proprio come lei. E poi c'è Matilde, la sorella minore di cui dovrei prendermi cura, ma è lei che lo fa con me. Con lei ho scoperto il senso di protezione verso gli altri, il senso di responsabilità e il divertimento incondizionato a casa. Il “coccolone” che ci accompagna da quando siamo piccole e in ogni momento è il modo più bello che abbiamo per sfogare la nostra ansia, i nostri butti pensieri e per scaricare l'adrenalina nel corpo nei momenti di gioia. È il nostro modo di dirci che ci siamo l'una con l'altra, è il modo di ringraziarla quando manca carta e penna. “Ridere è una cosa seria. Non puoi farlo con chiunque.” Ringrazio chi ride insieme a me. I miei amici. Ilaria, la mia compagna di stanza, l'amica che ho sempre cercato e adesso ho trovato. Siamo la prova vivente che gli opposti si attraggono: l'ottimismo e la realtà, l'affetto e la freddezza, il sentimento e la ragione. E mostrandomi sé stessa mi sta rendendo una persona migliore, mi sta facendo scoprire quello che non sapevo di poter essere. È grazie a lei se adesso credo un po' di più nell'amicizia e meno nelle belle parole che solo gli uomini sanno dire. Sofia, il raziocino della comitiva. È la persona a cui puoi confidare qualsiasi cosa senza sentirti giudicato, ma ascoltato e compreso. Non è da tutti saper ascoltare, e questo è sicuramente il suo dono più grande e io la ringrazio per il semplice fatto di avermi fatto scoprire quanto una persona può dare anche restando in silenzio e guardandoti negli occhi.

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Martina, l'enigma del gruppo. Può sembrarti indifferente verso qualsiasi cosa ma quello che può darti è al di sopra del pensabile. Grazie a lei ho scoperto quanto una persona può nascondere quello che ha e quanto poco basti per poterla scoprire. Basta semplicemente esserci. Michela, si dice che se un'amicizia supera gli otto anni, dura per sempre. E noi ci stiamo lavorando. Non è mai facile soprattutto quando si prendono strade diverse, ma sono spesso le strade diverse che riuniscono, come è successo a noi. Ringrazio i nostri caffè, che non sono semplici caffè ma sono racconti di vita, di quei momenti che non possiamo condividere direttamente e insieme ma che abbiamo voglia e necessità di raccontarci. Ringrazio Matteo, che insieme a lei mi fa credere nel vero amore. E soprattutto ringrazio tutti e due per aver creduto in me in questa esperienza di studio. Marisa, la mia madrina non ufficiale. Nei momenti di dubbio, di difficoltà so che c'è qualcuno che mi può aiutare a riprendere a ridere, e nei momenti di gioia ride insieme a me. Grazie a lei ho scoperto quanto posso dare e quanto i dubbi facciano parte della propria vita. Lei e Lorenzo hanno fatto sì che io restassi nella vita della parrocchia, senza discorsi o obblighi ma semplicemente testimoniandomi che c'è qualcosa che ci ha portato a vivere insieme questi momenti e non ne vale la pena lasciarli perdere. Le mie coinquiline. Quando si intraprende la vita universitaria ciò che più affascina è la vita fuori casa, e come dare torto. Iniziare a cucinare, a dividersi i compiti, a convivere con persone che non avevi mai visto prima è la parte più divertente e interessante del percorso universitario. Ringrazio Sarah per aver iniziato insieme questo cammino, per averci illuminato a casa con i suoi nuovi piatti e i suoi piani di lavoro impeccabili, schemi che quest'anno, senza di lei, mi sono mancati molto. Silvia, per aver portato un po' di pazzia, l'olio nelle padelle e tanta musica degli anni '90 a casa, per non stancarci mai con le sue cotolette, le sue battute e i suoi modi di fare. Fabrizia, la nuova arrivata, per averci trasmesso l'accento pescarese e la moda di chiamare tutti “compà”. Il mio passato, tutte le persone che ne hanno fatto perché è grazie a loro se adesso sono felice. Anche se ci sono stati molti cambiamenti, ci sono quelle persone che restano nonostante tutto. Un grazie va anche a lei, Ena. Se penso al passato penso direttamente a lei, e capisco che niente finisce per sempre. La ringrazio per aver capito che nonostante abbiamo preso strade diverse, niente può cambiare quello che abbiamo costruito insieme nel corso del tempo e che le camminate al lungo mare al tramonto non saranno mai abbastanza per raccontarci e per continuare a conoscerci. Le mie “colleghe”, non amo questo termine ma è così che si dice. Ringrazio tutte coloro che hanno reso speciali i miei esami semplicemente condividendo l'ansia insieme, che hanno spezzato le lezioni del pomeriggio insostenibili con due chiacchiere e una risata alle pause, che hanno cercato di

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rendere il meno ansiosa possibile la stesura della tesi, la consegna dei documenti e tutto ciò che c'era di collegato per arrivare a questo grande traguardo. In particolare Simona per avermi sostenuta ogni momento tra esami e tesi e Federica per le paure condivise su facebook che sembravano non avere fine. E poi ringrazio tutti coloro che ho incontrato durante la mia vita, che mi hanno insegnato qualcosa pur non sapendolo, e che mi hanno reso la persona che sono adesso, che hanno riso insieme a me per qualsiasi cosa, perché ridere alla fine è la cosa più bella che possa legare due o più persone. “Chi va al Sud piange due volte: una quando arriva e una quando va via.” Non smetterò mai di ringraziare i miei per aver avuto il coraggio di andare via, di spostarsi per cercare un po' di fortuna. Non smetterò perché è grazie a loro che oggi posso godere della Sicilia ogni volta che scendo, sempre come fosse la prima volta. Ringrazio i miei nonni per la gioia di viverci ogni volta che vado da loro, per la voglia di stare insieme e di vivere come se non ci fosse mai la distanza a dividerci. I miei zii per l'interesse verso ciò che sto facendo. I miei cugini per la capacità di stare insieme come se ci fossimo sempre anche se non abbiamo mai molto tempo per poterlo fare. La mia comitiva d'infanzia, perché grazie alle persone con cui sono cresciuta ho imparato a capire cosa vuol dire “distanza” e a conviverci, capendo che non è importante la distanza fisica tra due o più persone ma ben altro. Gabriella mi ha insegnato a essere sempre me stessa, e a credere che nonostante le difficoltà, i momenti in cui ci si puo' perdere, c'è qualcosa di più forte che sta alla base del rapporto. Tiziano mi ha fatto capire ciò che voglio al mio fianco e chi posso essere, anche se non lo sa. Maria Luisa mi ha insegnato a lottare per quello che si vuole, ed ad andare avanti “nonostante tutto”. E tutti gli altri che ho incontrato e conosciuto in Sicilia mi hanno dimostrato come basta poco per poter vivere insieme dei momenti di gioia, basta semplicemente prendere dei momenti e renderli piacevoli e da ricordare, insieme. Concludo la mia tesi, ringraziando tutti coloro (vicini e lontani) che stanno leggendo questa tesi e festeggeranno insieme a me questo grande e importante giorno e ricordandovi (e ricordandomi) che l'unica cosa da fare è seguire i propri sogni, desiderarli e soprattutto crederci, perché: “C'è un solo tipo di successo: quello di fare della propria vita ciò che si desidera.” 65


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