I.S.S.A.M. ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZA DELL’AUTOMOBILE MODENA
CORSO DI DIPLOMA IN
SCIENZA STILISTICA
PROGETTO “F-ZERO” (FORMULA 1 – ANNO ZERO) PROPOSTA DI MODIFICA DEL REGOLAMENTO DI PROGETTAZIONE PER LE VETTURE DESTINATE AL CAMPIONATO MONDIALE DI FORMULA 1 E REALIZZAZIONE DI PROTOTIPO DIMOSTRATIVO
RELATORE: des. Lorenzo Preti
AUTORE DELLA TESI: Giovanni Volpi
ANNO ACCADEMICO 2000/2001
La tesi “PROGETTO F-ZERO” rappresentò la conclusione del mio percorso di studi in design dell’autoveicolo presso l’I.S.S.A.M. (Istituto Superiore di Scienza dell’Automobile di Modena), dove conseguii il diploma di “Stylist Engineer”. Per ragioni di riservatezza, ho mantenuto riservato il documento fino ad oggi, salvo divulgarne alcuni piccoli frammenti. Il lavoro fu eseguito tra l’estate 2001 e Marzo 2002, quando fu presentata. Lo studio partì dall’analisi della regolamentazione vigente in Formula 1, concentrandomi sui capitoli inerenti a telaio e scocca. Obiettivi dell’opera: incentivare i progettisti di Formula 1 a escogitare forme dall’aerodinamica sempre più raffinata, ma senza complicarle con l’aggiunta di superfici che correggano i flussi d’aria. Parliamo, in sostanza, di forme più semplici e parametri di sicurezza più severi, sempre conservando i limiti di proibizione dell’effetto suolo introdotti nel 1983 ed evoluti nel corso degli anni. Fra le modifiche proposte, troviamo: 1) livellamento dell’ala anteriore, senza più possibilità di progettarla con forme concave; 2) design delle scocche più essenziale; 3) eliminazione delle scanalature dai battistrada. A riprova della validità di questi argomenti, ritroviamo un contenuto analogo nella riforma entrata in vigore nel 2008, quindi posso affermare di aver precorso i tempi con un anticipo di 7 stagioni agonistiche. Lo studio si completa con la proposta di un dispositivo che migliori la sicurezza passiva in caso di collisione fra vetture. Come aiuto alla comprensione delle “mie” nuove regole, ho progettato una monoposto dimostrativa, utile per un raffronto con la normativa allora vigente, realizzandone i figurini preliminari e i disegni tecnici costruttivi, fino alla creazione del modello statico, in scala 1:8. Concludo con una importante nota: sto scrivendo questa introduzione nel 2013 e posso affermare che, nonostante gli 11 anni trascorsi, LA TESI NON È OBSOLETA E RISULTA ANCORA APPLICABILE come sviluppo alla normativa attuale.
SOMMARIO
1 - Cosa significa “F-ZERO”?…..….……….pag. 5 2 - Progettisti e regolamenti…….……...…..pag. 5 3 - Nascita di un’idea………….…………….pag. 10 4 - La “F-ZERO” nei dettagli…………….…pag. 12 5 - Il nuovo regolamento………..………….pag. 29 Appendice A Calcolo della sezione frontale…….………pag. 56 Appendice B Le immagini…………………………………..pag. 59
1 - Cosa significa “F-ZERO”? Il nome scelto per denominare quest’opera è un po’ elaborato, ma importante per chiarire il valore dei contenuti proposti. Considerato l’argomento, cioè le corse di Formula 1, e la mia città natale, Modena, il richiamo alle vetture Ferrari è immediato. Dalla stagione 2000, a Maranello, usano battezzare la vettura iscritta al campionato componendo la lettera “F”, iniziale dell’azienda, col numero dell’anno in corso. Allo stesso modo ho voluto procedere io, intendendo con “F” la categoria Formula 1, e indicando con “Zero” l’inizio di una nuova epoca, ricca, mi auguro, delle inedite frontiere progettuali che si potrebbero delineare con le riforme da me suggerite. “F-Zero” può, così, essere letto come “Formula 1 – Anno Zero”.
2 - Progettisti e regolamenti Il mondo della Formula 1 è terribilmente complicato, sconvolto dall’ossessiva ricerca dell’apice tecnologico e dagli enormi interessi che gravitano attorno alle competizioni. Anno dopo anno, infatti, le norme che vincolano i progettisti sono diventate sempre più restrittive, così che la lotta per il dominio della categoria è diventato esclusivo appannaggio dei costruttori più importanti al Mondo. È finita l’era dei pionieri o degli avventurosi temerari che, con un paio di idee coraggiose e un motore convenzionale riuscivano a schierare vetture dignitose. Oggi, le auto da Gran Premio sono concepite con criteri affini a quelli dell’industria aerospaziale, dove i materiali costano cifre impressionanti, le componenti elettroniche sono costantemente aggiornate, mentre il tempo e le risorse (umane e finanziarie) per la ricerca non bastano mai. L’essenza delle prestazioni di una vettura si trova in un difficile compromesso fra innumerevoli fattori, ognuno portato allo sfruttamento estremo: l’intuito dell’uomo è ancora determinante, e lo sarà per sempre, ma ogni più elementare invenzione deve superare un tormentato processo di calcolo, simulazione e sperimentazione affinché possa esprimersi al meglio e, soprattutto, in armonia con l’insieme. Il margine di errore concesso è davvero esiguo, tutto viaggia sul filo del rasoio. Basti pensare che un solo decimo di millimetro di variazione dell’altezza da terra della vettura può trasformare il suo comportamento dinamico. Ma questo è soltanto il più banale degli
esempi: tutte le soluzioni e i materiali utilizzati, per validi che siano, non bastano, perché bisogna pensare immediatamente fino a quale limite possano essere impiegati. Solo così diventano legittime le ambizioni di schierare vetture competitive. Motore, trasmissione, sterzo, aerodinamica, freni, sospensioni, gomme… tutto deve funzionare alla perfezione, pena la sconfitta o, peggio, conseguenze terribili per il pilota. Quando si esplorano frontiere nuove e ci si spinge alle frontiere della fisica, l’errore o il guasto, seppur lievi, possono comportare un prezzo davvero salato da pagare. I progettisti hanno sempre spremuto la propria creatività per arrivare dove nessuno era giunto prima, ma non sempre le loro trovate si sono conciliate con la sicurezza. Le prestazioni aumentano, e con esse lo spettacolo di una tecnologia vincente; se non capitano episodi gravi per lungo tempo, i timori si attenuano e ci si convince di aver imboccato una strada buona; a rendere più stabile la situazione interviene il Potere Sportivo, condizionato dagli introiti derivanti dalle sponsorizzazioni e dal consenso del pubblico. Si vive in una sorta di torpore, assuefatti dalla fortuna e cullati dai guadagni, fino a quando non capita la doccia fredda, e di questi avvenimenti la storia delle corse ne è costellata, anche quella più recente. I vincoli imposti ai progettisti nel concepire le vetture sono, dunque, conseguenza di numerosi eventi e di strategie per condizionare la dinamica delle corse agli occhi degli spettatori. Le stagioni sportive degli anni 1983, 1989 e 1994 saranno ricordate per importanti svolte epocali che hanno determinato nell’evoluzione dei regolamenti sportivi. La prima fu l’abolizione dell’effetto suolo, una pericolosa esasperazione aerodinamica ottenuta profilando le scocche delle monoposto come vere e proprie superfici alari, e avvalendosi di sottili bandelle laterali (le famose “minigonne”) per far scorrere senza dispersioni l’aria sotto le monoposto, in modo da creare una forza verticale che comprimeva l’auto sulla pista con efficacia proporzionale alla velocità. Era persino divenuto superfluo l’alettone anteriore, abbattendo le dispersioni di potenza dovute agli attriti delle sue superfici. Una trovata geniale e indubbiamente produttiva, ma assai critica da gestire, perché rendeva l’assetto alquanto sensibile alle sollecitazioni esterne, fino al pericolo estremo in caso di “aggancio” fra le vetture. Mi riferisco a quando una delle due ruote anteriori urta, o sfiora appena, una posteriore dell’auto che precede: la monoposto che tampona viene trascinata verso l’alto. Ma quando ciò succede ad alta velocità, assieme alla piena azione aerodinamica, aumenta improvvisamente lo spessore d’aria tra asfalto e macchina, provocando il decollo di questa. Ricordiamo la 6
dinamica del fatale incidente di Gilles Villeneuve a Zolder, oppure un altro episodio, accaduto al vecchio Nürburgring, di cui ricordo solo la dinamica, fortunatamente conclusosi con pilota miracolosamente incolume. In quel caso, le sospensioni della vettura erano state impostate per adattarsi alle numerose sconnessioni ed al terribile alternarsi di dossi e avvallamenti del lunghissimo tracciato. Ebbene, bastò un sobbalzo più accentuato per far alzare in volo l’auto: uno spettacolo sconcertante, che strozza il fiato e lascia senza parole. Scorrendo l’attuale testo del regolamento sportivo, troviamo l’articolo che più rappresenta lo spirito della riforma del 1983. Esso sarà ribadito anche più avanti, proprio a causa della sua importanza, ma iniziamo ora a leggerlo con più profondità. Ecco il comma 1 del paragrafo 12 del terzo articolo e lo riporto testualmente: «Tutte le parti sospese, poste a più di 330 mm dietro l’asse anteriore e a più di 330 mm davanti l’asse posteriore, visibili da sotto, devono formare superfici che stanno su uno di due piani paralleli, o quello di riferimento, o quello scalinato. Ciò non vale per la porzione visibile degli specchietti retrovisori, a condizione che ciascuna di queste due aree non superi i 9.000 mm2 quando proiettata a terra.» Lo ripeto in altri termini. Il fondo della vettura non è uniformemente piano, ma percorso da uno scalino longitudinale, alto 5 centimetri e largo da un minimo di 30 a un massimo di 50, simmetrico rispetto all’asse centrale della scocca. Si tratta di un importante ostacolo alla ricerca dell’effetto suolo ed è rivestito da un pattino di legno altrettanto lungo e largo 30 cm, necessario a impedire l’avvicinamento a terra della macchina oltre un certo limite: infatti, se l’attrito con l’asfalto consuma il legno più di quanto consentito, il concorrente viene squalificato! Il fondo dell’auto si chiama “piano di riferimento”, perché serve come base per verificare la conformità in altezza di ogni profilo. Tutte le componenti aerodinamiche della macchina non possono avvicinarsi a terra oltre questo livello. La proiezione a terra di qualsiasi elemento del corpo vettura deve essere coperta o dalla superficie inferiore del fondo scalinato, o da quella del piano di riferimento. In sé, la regola può apparire abbastanza goffa e burocratica, ma rappresenta il miglior ostacolo finora ideato per arginare il più possibile l’inventiva dei tecnici in materia di aerodinamica. Non essendo possibile prevedere ogni loro mossa, si è ideata una norma che determina alcuni inevitabili paradossi: ad esempio, se l’ombra a terra di un retrovisore supera i 9.000 mm2, il piano di riferimento dovrà sporgere quanto basta per coprire tutta questa proiezione. È fin troppo evidente che uno specchietto non potrà mai convogliare aria sotto al fondo della vettura per incrementarne la deportanza, ma si tratta di un caso limite dovuto a un provvedimento che argina al meglio ogni 7
acrobazia creativa volta ad accelerare la velocità dell’aria tra la zona inferiore della monoposto e il terreno. Non è vero che oggi le auto di Formula 1 siano prive di effetto suolo, ma è chiaro che più di tanto non è possibile fare, quindi il regolamento è, dopo quasi vent’anni, ancora efficace. Non tutti sono convinti della validità di questa norma, però abolirla o riscriverla in una forma più permissiva potrebbe determinare la costruzione di macchine difficili da gestire, dunque molto pericolose, proprio perché dominate da un’aerodinamica sostanzialmente indefinita e solo occasionalmente davvero produttiva. Il 1989 è noto per essere l’anno dell’abolizione dei turbocompressori, un passo importante nella sicurezza e nel contenimento delle prestazioni dei motori, dopo gli incredibili valori di potenza specifica raggiunti, nell’ordine di 1 CV/cm3! Considerate le cilindrate, di 1.5 litri, ancora non si riesce a immaginare la difficoltà del pilota a gestire una così dirompente forza motrice… Fu decretato, così, il passaggio ad alimentazione atmosferica, con aumento della cilindrata fino a 3.5 litri. Il 1994 rimarrà impresso nella storia come uno degli anni più drammatici, dominato da profonde emozioni, capaci di soffocare ogni lucida razionalità. Esso fu preceduto da lunghi dibattiti sulla dinamica che avrebbero preso le corse, in seguito al ritorno dei rifornimenti e ad una politica più repressiva nei confronti degli automatismi elettronici, dalle sospensioni attive ai controlli della trazione. Si diffuse la paura per nuovi pericoli, dagli incendi per fughe di benzina alle conseguenze di errori umani, dovuti a piloti chiamati a guidare vetture sempre più potenti e veloci, ma anche più povere di quei meccanismi che sopperiscono alla difficoltà dell’uomo di sincronizzarsi con sollecitazioni così rapide e violente. In un solo fine settimana, ad Imola, ne capitarono di tutti i colori: mancò soltanto il fuoco. Barrichello uscì alla variante prima del traguardo, perdendo il controllo della propria Jordan; fu impressionante la facilità con cui la macchina trasformò il cordolo in un trampolino da cui di alzò a un metro da terra per schiantarsi rovinosamente contro le protezioni di gomma. Il pilota ne uscì con un braccio fratturato e tanta paura. Sabato e Domenica, due incidenti mortali coinvolsero gli estremi della Formula 1, pareggiando ogni disuguaglianza. Dapprima, lo sconosciuto pilota Roland Ratzenberger, in forza alla piccola e povera scuderia Simtek, perse il controllo dell’auto alla frenata della curva Villeneuve, perché si ruppe l’ala anteriore, causando un improvviso alleggerimento sull’avantreno di quasi 300 Kg. La macchina uscì ad oltre 310 Km/h e lo schianto contro il muro di cemento, dopo una breve via di fuga, uccise quasi sul colpo il povero pilota. Il giorno dopo toccò alla blasonata Williams-Renault, guidata dal super 8
campione brasiliano Ayrton Senna. Alla velocissima curva del Tamburello, cedette improvvisamente il piantone di collegamento fra il volante e la scatola dello sterzo; il pilota frenò disperatamente, ma colpì il muro quando viaggiava ancora a più di 180 Km/h e le concitate operazioni di soccorso si dimostrarono una drammatica, quanto inutile, formalità. Poco prima, una collisione alla partenza aveva sparato in tribuna micidiali detriti delle automobili coinvolte. Numerosi spettatori rimasero feriti, uno dei quali molto gravemente. Quando la corsa riprese, mentre si sperava che il grande Senna vincesse, all’ospedale, la sua battaglia più importante, la Minardi di Michele Alboreto perse la ruota posteriore destra mentre lasciava i box, in piena accelerazione. Il pneumatico falciò parte della squadra Ferrari e il più grave dei meccanici fu proprio mio cugino Daniele, colpito in pieno petto e ricoverato d’urgenza per accertamenti radiografici. Per fortuna, si trattò solo di una misura cautelativa. A Montecarlo, due settimane dopo, durante le qualificazioni, Karl Wendlinger distrusse la propria Sauber all’uscita del tunnel e ne fu estratto in condizioni disperate. Rimase in regime di coma artificiale per oltre un mese, a causa di un edema cerebrale; la convalescenza fu lunga e riprese a correre, ma in altre categorie. Durante una sessione di prove private, a Barcellona, Andrea Montermini, ingaggiato dalla Simtek, uscì in piena velocità lungo il rettilineo. L’incidente fu davvero spaventoso, ma le conseguenze sul pilota furono, tutto sommato, lievi. Da quella stagione iniziò una profonda revisione della Formula 1, rendendo, ad esempio, più severe le prove di resistenza strutturale delle vetture, introducendo il limite di velocità nella corsia dei box e riducendo la cilindrata a 3 litri. Una spronata decisiva alla ricerca di maggior sicurezza giunse, però, solo al termine del 1995, quando la McLaren di Hakkinen si schiantò ad Adelaide e anche in quel caso seguì un periodo di coma artificiale per il pilota. Un quadro clinico simile a quello di Wendlinger, ma meno grave, tant’è vero che il finlandese si ripresentò al volante già nel 1996. Gli abitacoli sono, da allora, divenuti più avvolgenti e robusti, ma ancora subentrano cambiamenti di anno di anno, perché si comprende come la ricerca della sicurezza possa sempre migliorare. È innegabile che tanti precedenti abbiano imposto riflessioni ai detentori del potere sportivo, chiamati, assieme ai costruttori, a deliberare vincoli progettuali volti a restituire dignità a un mondo delle corse che stava ormai naufragando, ma che ancora oggi non ha fugato tutte le perplessità.
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3 - Nascita di un’idea Sto scrivendo queste righe nella tarda serata di Lunedì 11 Febbraio 2002. Ebbene, sono trascorsi ormai più di nove mesi da quel 3 Maggio dello scorso anno, quando importai dal sito Internet della Federazione Internazionale dell’Automobile il regolamento di costruzione delle vetture di Formula 1. La mia attenzione si focalizzò principalmente sulle norme relative a forme e dimensioni del corpo vettura, così cercai di elaborare una proposta di riforma di quel testo, in grado di restituire maggior libertà d’azione per i progettisti, possibilmente migliorando il livello generale di sicurezza conseguito fino ad oggi. È piuttosto evidente l’incredibile mole di restrizioni che ostacolano il cammino di progettazione di una vettura; anche un occhio profano può rendersene conto, date le innumerevoli similitudini che accomunano le varie auto. Trattandosi di carrozzerie esasperate, ogni minima differenza pesa sensibilmente, per cui non vi è dettaglio che non nasca da approfondite ricerche e scelte importanti. Gestire il moto dell’aria intorno alla monoposto comporta la costante attenzione su tutto l’insieme, perché la qualità di ogni particolare si misura da come esso valorizzi tutti gli altri. Indubbiamente, esistono trovate che valgono anche in senso assoluto, ma sono una minoranza. Esiste l’auto aerodinamicamente migliore di tutte le altre, ma il divario che la separa dalla peggiore non è così abissale. Il distacco in qualificazione e in gara dipende da un insieme di tanti fattori, comprendenti anche telaio, elettronica, motore, freni, trasmissione e soprattutto gomme. Non trascurerei il contributo del pilota, più decisivo di quanto si possa credere. Affinché un costruttore possa distaccare tutti gli altri in almeno una di queste categorie, occorre un incredibile spiegamento di risorse tecniche, umane e finanziarie e la certezza di raggiungere lo scopo non sarebbe tanto scontata. Questo perché i regolamenti sono divenuti molto severi: sono quasi scomparse le “scuole di pensiero”, perché i veri motivi di ispirazione sono gli spunti che emergono durante l’opera di simulazione. Le grandi idee e le trovate risolutive sono ristrette a particolari, senza interessare sistemi troppo complessi di variabili. Il mio lavoro serve alla compilazione di una tesi, fra l’altro per un indirizzo di specializzazione che solo in parte tiene conto di fattori tecnici, essendo in prevalenza rivolto alla stilistica dell’autoveicolo. Avendo alle spalle i trascorsi universitari presso il corso di Ingegneria Meccanica, oltre a un interesse personale verso gli 10
aspetti matematici di un progetto, ho voluto cimentarmi in una prova di forza che richiedesse una sintesi di tutto quanto ho appreso in questi anni. L’ideale sarebbe, però, affrontare il problema di riforma del regolamento assieme a un gruppo di collaboratori, così da confrontare i vari punti di vista di ognuno per scegliere le proposte più convincenti. La difficoltà principale nel simulare, da soli, il lavoro di squadra deriva dal provare ad osservare le proprie idee dall’esterno per rimetterle in discussione. Queste nascono già da un travaglio critico, quindi per rovesciarle occorre uno sforzo immane o un’improvvisa illuminazione. Sono partito dalle regole in vigore per la stagione 2001 e, dalle mie valutazioni, è emerso che intervenire in pochi, ma determinanti punti può essere sufficiente ad allargare le frontiere della sperimentazione ed incrementare la sicurezza. L’iter per approdare a tali conclusioni è nato da una serie di bozzetti. Premetto di avere un debole per alcuni aspetti delle attuali monoposto, che portano ad un’estetica in linea con i miei personali gusti e ciò potrebbe aver influenzato le mie riflessioni. Ritenendo le vetture odierne molto belle, ho provato a disegnarne una loro evoluzione esteticamente più armoniosa. Ne è scaturita, in sostanza, la Formula 1 dei miei sogni, già ben definita sin dai primi, rapidi bozzetti, di cui riproduco il più importante.
In seguito, ho trascorso quasi tre settimane al tecnigrafo per rendere rigorose le forme approssimative del bozzetto attraverso le proiezioni ortogonali, restando aderente, dove lo ritenevo opportuno, alle norme in vigore. Ogni linea tracciata nasce dalla scelta fra la conservazione di una determinata regola e la sua riforma: il lavoro ha richiesto molta pazienza e le difficoltà non sono mancate. Subito dopo, ho preparato una seconda tavola per visualizzare il piano di forma della scocca: tutte le sezioni risultanti sono servite da 11
supporto indispensabile per costruire un modello statico, in scala 1:8. La mia idea di vettura di Formula 1 è nata con lo spirito dello stilista: ogni particolare, concepito secondo le nuove regole, si presenta in armonia con l’insieme e serve a rendere un preciso effetto estetico. In pratica, ho ritenuto che una linea pensata per infondere personalità alla vettura, anche se non ottiene il meglio della resa aerodinamica, riesce a “pubblicizzare” i contenuti della mia proposta.
4 - La “F-ZERO” nei dettagli La mia vettura offre diversi spunti di discussione, a cominciare dal nuovo alettone anteriore, più largo e caratterizzato dai due inediti fianchi. Questi determinano una parte significativa della personalità tecnica del progetto, oltre a ridisegnare sensibilmente la fisionomia dello sbalzo. Le ruote scoperte sono la parte più insidiosa di una monoposto, innanzitutto per via dell’enorme penalizzazione aerodinamica che provocano. Fra attrito e turbolenze, viene dispersa una percentuale importante della potenza sviluppata dal motore: fortunatamente, il problema interessa tutti i partecipanti alla competizione. Il lavoro di ricerca condotto in galleria del vento, quantificabile in migliaia di ore, serve a individuare la forma migliore del corpo vettura. Le ruote ostacolano l’opera e devono essere tenute in grande considerazione: è una filosofia costruttiva che si evolve dai primordi dell’era automobilistica. C’è un problema più importante di quelli progettuali, e si presenta un’infinità di volte durante la gara: è il rischio, in caso di contatto fra due vetture, che l’attrito generato dalla frizione di una ruota sull’altra superi un preciso limite critico. Il fenomeno avviene in una brevissima frazione di secondo: la ruota dell’auto che entra in collisione con l’altra viene trascinata verso l’alto; a seconda della direzione e dell’intensità delle forze in gioco, la sospensione potrebbe non reggere e sarebbe strappata via; in caso contrario, tutto il corpo vettura si solleverebbe da terra, anche a causa della spinta esercitata sul fondo dal muro d’aria. Per fronteggiare la prima eventualità, il regolamento prevede l’adozione di due cavi d’acciaio per impedire il distacco del blocco formato dalla ruota e dal traliccio della sospensione. La soluzione è valida solo in parte dei casi: per dimostrarlo, basta ricordare quanto accadde durante il primo giro del Gran Premio di Monza del 2000. Alla variante della Roggia, il gruppo delle vetture 12
giunse compatto; in quei pochi, frenetici istanti, Heinz-Harald Frentzen, pilota della Jordan, si infilò nello strettissimo varco tra la Ferrari di Barrichello, spostata al limite sinistro della pista, e l’auto del proprio compagno di squadra, Jarno Trulli. Fu un disastro: entrambe le vetture davanti furono tamponate, la ruota sinistra della Jordan decollò verso l’alto e non colpì nessuno, ma quella destra si strappò in modo anomalo. Per assurdo, forse fu proprio il doppio cavo d’acciaio a causare la spaventosa dinamica, perché la ruota fu sollevata e, trattenuta, ruotò attorno al muso della macchina in senso antiorario, dopodiché si staccò. Come un terribile bolide, in un batter d’occhio attraversò la pista, volando oltre il guard-rail dove si trovava un giovane addetto al servizio di soccorso, Paolo Gislimberti, colpendolo a morte. Pedro De La Rosa, al volante di una Arrows, non riuscì a evitare la mischia, centrò la McLaren di Coulthard, e la sua macchina, dopo essersi impennata, si schiantò a terra sul fianco, a brevissima distanza da Barrichello. Proprio l’Arrows dimostrò l’efficacia dei cavi d’acciaio, perché, durante la spaventosa carambola, essa ruotava in direzione della piccola tribuna. La sospensione destra era ormai strappata, ma i cavi impedirono all’auto di lanciare, come una fionda, il traliccio con la ruota agganciata. È evidente che i sistemi di sicurezza funzionano quando devono sopportare forze concentrate in un istante non troppo breve, oppure distribuite secondo direttrici favorevoli. Il problema si può affrontare da due punti di vista: migliorando le qualità strutturali, per esempio aggiungendo uno o due cavi, altrimenti configurando la vettura in modo da ridurre la pericolosità di un tamponamento. Ricordiamo che l’urto, fra due auto che viaggiano con rilevante differenza di velocità relativa, sviluppa forze così intense da sollecitare anche le architetture più resistenti, quindi ogni irrobustimento potrebbe richiedere di essere coadiuvato da un’impostazione diversa della monoposto. Quest’ultima strada rappresenta una sfida che ha stimolato, nel corso degli anni, la creatività di tanti progettisti, portando a soluzioni mai applicate alla realtà delle gare. Nessun problema, allora, se getto anche la mia idea nella mischia. È possibile definire il corpo vettura in modo da limitare le conseguenze di un tamponamento, senza rinunciare alle ruote scoperte? Nel mio piccolo, mi sono sforzato di trovare una risposta affermativa. Ho pensato, innanzi tutto, di aumentare sensibilmente la larghezza dello sbalzo anteriore, per ridurre ai minimi termini la superficie di battistrada esposta al rischio di collisione diretta. 13
Osservando i disegni delle figure 4.2 e 4.3, l’alettone appare allargato di ben 21 cm, con inevitabili benefici aerodinamici, perché un carico analogo a quello raggiungibile con le attuali norme sarebbe possibile riducendo l’incidenza, quindi la forza resistente. Lo spirito del regolamento, volto a limitare le prestazioni, potrebbe subire un duro colpo, ma ciò non è così scontato, perché l’alettone non riuscirebbe a evitare l’impatto dell’atmosfera contro il battistrada, ma sposterebbe l’evento solo qualche centimetro più in alto, con l’aggravante di condensare in una zona ristretta un’energica vena d’aria. Ora viene la parte più discutibile della mia proposta: alle estremità dell’ala anteriore, renderei obbligatorio il montaggio di due strutture, fornite dalla Federazione e dunque uguali per tutti (fig. 4.1, 4.2 e 4.3). Circa dettagli più approfonditi sulla loro costruzione, rimando al prossimo capitolo. Per il momento, anticipo che la loro larghezza, pari a 5 cm, lascerebbe scoperta solo l’estremità arrotondata della spalla dei pneumatici. Il profilo affacciato sulla ruota è concavo e tale da avere l’estremo superiore più alto del centro della ruota. Lo scopo è di avere una forma avvolgente rispetto al profilo esterno del battistrada, indipendentemente dalle regolazioni d’assetto. Come potrebbero funzionare durante un tamponamento? La dinamica dell’incidente si svolge in un brevissimo arco di tempo, misurabile in centesimi di secondo, ma per analizzarla occorre suddividerla in varie fasi, come se l’evento fosse più duraturo. Per supportare la descrizione che seguirà, si osservi l’illustrazione 4.5. Il contatto con una delle due ruote posteriori della vettura che precede può interessare il muso, l’alettone, oppure una delle due sponde laterali qui introdotte. Le ultime due tendono inizialmente a incunearsi sotto la ruota (a dire il vero, un muso particolarmente basso potrebbe fare altrettanto), ma il notevole attrito col battistrada le trascina verso l’alto. Oltre alla spinta orizzontale, dovuta al moto relativo delle due vetture, si somma, così, una forza verticale ascendente. La prima determina buona parte del cedimento dell’aggancio fra alettone e muso, che si manifesta con una rotazione dell’ala verso una delle due ruote anteriori. Nel breve percorso, di alcuni centimetri, prima che la sponda dell’alettone raggiunga la ruota anteriore, si manifesta anche l’effetto del trascinamento verso l’alto, ma qui entra in gioco il profilo concavo del retro della sponda stessa. Sulla sua superficie sono alloggiati, equidistanti, quattro piccoli rulli metallici, due dei quali, rispettivamente, alle estremità superiore e inferiore. Essi sono disposti paralleli all’asse anteriore e possono ruotare liberamente: servono a ridurre drasticamente l’attrito fra la sponda e la ruota 14
anteriore. Il profilo concavo, avvolgendo il battistrada anche al di sopra del livello dell’asse, ostacola il volo in alto dell’alettone, funge da “alloggiamento” per la ruota anteriore e permane in questo ruolo, perché il sistema di rulli produce uno scorrimento relativo del battistrada sulla superficie, riducendo il trascinamento. Dovrebbe essere molto remota la probabilità di un evento che riesca a recidere la sponda e portare a contatto le ruote delle due vetture. Insomma, nel brevissimo tempo in cui si compie l’incidente, tutto il mio congegno offrirebbe maggior protezione e aumenterebbe la resistenza, disperdendo parte dell’energia cinetica; infine, prevarrebbe la sollecitazione orizzontale. Sarebbe, in definitiva, un vero successo se, in caso di strappo della sospensione anteriore, questa fosse “pilotata” in orizzontale, verso la fiancata della vettura e non lungo altre direzioni, pericolose per chi si trova in prossimità del circuito. Un dato è certo: se, in quella drammatica giornata di Monza, le auto di Frentzen e De La Rosa fossero state equipaggiate con l’ala anteriore da me proposta, le ruote anteriori, protagoniste degli eventi, sarebbero state comunque coinvolte, ma in modo diverso e, con buona probabilità, meno pericoloso. La mia idea non promette miracoli, perché la sua prova del fuoco sarebbe una gamma di fenomeni incredibilmente intensi e non così facilmente controllabili come nella descrizione di poco fa. Naturalmente, il nuovo fianco dell’alettone sarebbe costruito in modo da offrire notevoli prestazioni meccaniche, limitando l’aggravio in peso: i materiali compositi potrebbero dimostrarsi ideali. L’argomento è fondamentale, perché si tratta di un corpo fissato all’estremità più lontana rispetto al punto di attacco dell’alettone, quindi un oggetto potenzialmente pericoloso nella malaugurata ipotesi che dovesse sfuggire alla “trappola” della mia architettura di sicurezza. Si tenga presente, però, che in tal caso l’energia cinetica risulterebbe in buona parte dissipata, quindi il distacco del pezzo avverrebbe a velocità sensibilmente ridotta. Se si raffronta un alettone conforme alle attuali normative con quello da me proposto, si intuisce la crescita del momento d’inerzia di ognuna delle due parti comprese fra l’attacco e la sponda laterale. Con un test più severo sul carico sopportabile da tutto l’insieme, il problema potrebbe risolversi. Valutiamo l’impatto aerodinamico che la sponda, relativamente alta, eserciterebbe sull’anteriore. In caso di vento laterale, oppure di vettura lanciata lungo una curva veloce di raggio medio-alto, non si trascurerebbe l’interferenza fra la sponda e il flusso d’aria, obliquo rispetto alla direzione di marcia. Sarebbe schermata una parte dell’aria diretta verso le superfici alari a ridosso della sponda, così da diminuire la loro efficienza. Contemporaneamente, l’impatto 15
dell’aria sulla sponda potrebbe ripercuotersi sulla sensibilità di manovra dello sterzo. Per queste ragioni, la sua superficie non è continua, ma interrotta da una luce. Ho tentato di progettarla in modo da renderla nociva il meno possibile alla struttura della sponda, nonché all’aerodinamica su rettilineo e in curva. Nessuna pretesa di aver indovinato il compromesso migliore: la mia idea è un semplice spunto di discussione, che trarrebbe giovamento dal confronto con punti di vista eterogenei. Proseguendo oltre la ruota anteriore, la “F-Zero” presenta una fiancata molto più lunga rispetto alle attuali limitazioni regolamentari, caratteristica che rafforza l’aspetto della sicurezza appena trattato (fig. 4.1 e 4.2). Sempre tornando all’istante in cui la sospensione si strappa e, aggravata dalla ruota, punta orizzontalmente verso la fiancata, tornerebbe più opportuno un tragitto breve, affinché incontri al più presto un’architettura capace di assorbire gli urti. La cornice interna della presa d’aria, infatti, sarebbe parte integrante della scocca e dissiperebbe ulteriore energia cinetica del blocco formato da pneumatico e sospensione. Esso, dunque, superata questa ennesima sollecitazione di attrito, potrebbe continuare la corsa, ma senza buona parte della spinta iniziale.
Fig. 4.1
Fig. 4.2 16
Fig. 4.3
Fig. 4.4
Fig. 4.5 Dimensioni vettura: - passo 3010 mm (Ferrari F-2001); - lunghezza totale 4440 mm; - sbalzo anteriore 935 mm; - sbalzo posteriore 495 mm; - altezza dal piano di riferimento 960 mm; - larghezza massima del corpo vettura fra l’asse anteriore e quello posteriore 1400 mm; - larghezza totale dello sbalzo anteriore 1710 mm; - larghezza massima della superficie alare anteriore 1610 mm; - larghezza totale della vettura 1800 mm.
La fiancata più estesa comporta una radicale modifica sui limiti dimensionali della proiezione a terra del corpo vettura. Oggigiorno, infatti, i costruttori realizzano dei deflettori verticali dalle forme più disparate, che cominciano fra le ruote anteriori e seguono, a distanza costante di alcuni millimetri dal fianco della scocca, il suo andamento fino al bordo d’entrata della presa d’aria. Lo scopo per il quale essi sono realizzati è, ufficialmente, di correggere il moto dell’aria reso turbolento dalle ruote anteriori. In realtà, la loro finalità è molto più complessa, perché incidono sul bilancio aerodinamico globale dell’intero corpo della monoposto. I deflettori lavorano come una sorta di seconda fiancata, più affusolata, e migliorano la 17
penetrazione del muro d’aria. Nello stesso tempo, sottraggono al raffreddamento la minor quantità d’aria possibile, grazie al profilo superiore discendente. Volendo minimizzare il comportamento portante del corpo macchina alle alte velocità, si cerca di ottenere una sorta di effetto suolo, nonostante le drastiche proibizioni implicate dalla norma 3.12.1. La sua applicazione si rafforza col capitolo 3.13 del regolamento, che elimina il fondo piatto, introducendo uno “scalino” centrale a tutta lunghezza. Ne deriva un assetto relativamente alto da terra, così come l’impossibilità di adottare “minigonne” ed ogni convenzione progettuale seguita fino al 1982. La chiave per ottenere l’effetto suolo parte sempre dall’idea di impedire alla maggior quantità possibile di aria di infilarsi sotto la vettura. L’effetto inizia grazie al muso rialzato, che comprime l’aria sotto di sé e la divide in due flussi, verso le fiancate. All’azione si aggiungono proprio i deflettori in esame, che lavorano come una sorta di “spazzaneve”, spalancando con forza il muro d’aria e disturbando, così, proprio quella vena che scorre attorno al bordo del fondo. Questi schermi, sempre in virtù della norma 3.12.1, non possono abbassarsi al di sotto del piano di riferimento e devono presentare, sul bordo inferiore, un’eventuale superficie, parallela al suddetto piano, che copra la proiezione a terra di qualsiasi loro sporgenza. L’aria che riesce ad affluire sotto la monoposto esercita una pressione sul fondo, diretta verso l’alto, quindi genera una dannosa portanza. I principali rimedi per limitare il problema consistono in due punti: 1) regolare l’assetto accentuando l’altezza del retrotreno, dando all’auto una posizione in leggera “discesa”. In questo modo, si riduce l’esposizione diretta del fondo al contatto con l’aria; 2) creare dei profili “estrattori” in coda, incurvando verso l’alto la superficie del fondo. Dal punto di vista del flusso d’aria sotto l’auto, tale forma appare come un improvviso aumento di capienza dello spazio compreso tra il fondo e l’asfalto; la tendenza a riempire questo vano richiama nuova aria, causando un’accelerazione del suo scorrimento. Secondo la legge di Bernoulli, la velocità di un fluido in un condotto è inversamente proporzionale alla pressione generata sulle pareti, che significa minor effetto portante esercitato sul fondo. Tradotto in termini più “colloquiali”, l’estrattore di coda “pompa” fuori l’aria, “risucchiando” l’auto verso terra. Tornando ai deflettori, osserviamo che, mediamente, hanno superficie molto ampia, e potrebbero dividersi in pericolosi frammenti durante le collisioni. Le figure 4.6 e 4.7 mostrano due differenti interpretazioni dell’argomento. Invito i costruttori ad affusolare le scocche prolungandole in avanti, ottimizzando l’aerodinamica lavorando sulla superficie stessa della macchina e senza ricorrere a troppe correzioni aggiuntive. La 18
“F-Zero”, addirittura, propone forme pulite e raccordate, senza alcuno schermo, per sottolineare in modo provocatorio lo spirito del discorso; non nascondo la speranza che un domani si scopra nel raggiungimento di forme essenziali la strada migliore di ricerca. Naturalmente, una fiancata più voluminosa offre maggior robustezza agli urti laterali e coadiuva la funzione della cella di sopravvivenza. Il muso della “F-Zero” ha una sezione media più rilevante rispetto alle attuali concessioni regolamentari. Ritengo, infatti, mai sufficiente la ricerca di forme che, anche senza esasperare la rigidità, offrano un comportamento generalmente ottimale nel caso degli urti più differenti. Un abitacolo infrangibile agli urti non è il rimedio ad ogni emergenza, perché l’energia cinetica che esso non assorbe, per inerzia si trasmette sul pilota e anche se il casco è protetto per salvaguardare la salute cervicale, gli organi interni potrebbero riportare lesioni gravissime. La scocca della mia macchina ha un muso più voluminoso, il che permette di distribuire uniformemente più strutture ad assorbimento d’urto e imbottiture interne. L’incremento della sezione frontale interessa la sola larghezza, di cui tratterò più approfonditamente nel prossimo capitolo, al paragrafo 15.4.4, mentre, a questo punto, considero non più altrettanto prioritaria anche l’altezza. In tal modo, i tecnici conservano un discreto margine di libertà nel sagomare la parte inferiore del muso, a vantaggio della stabilità aerodinamica che, non dimentichiamolo, vuol dire prestazioni e sicurezza insieme. Si osservi il disegno 4.8, che riproduce la parte inferiore del muso della Ferrari F-2002, e si noti il rigonfiamento, destinato al tallone del piede destro. L’esasperazione formale c’è, inutile negarlo, ma tutto il piede, in realtà, è immerso nella cella di sopravvivenza, quindi meno esposto di quanto appare. Se la parte strutturale che lo copre fosse, secondo le mie indicazioni, più larga, l’impressione visiva ne uscirebbe più rassicurante…
L’impostazione del profilo aerodinamico del muso è il risultato di alcune valutazioni puramente teoriche. La parte superiore flette verso il basso (fig.4.9), ed è appena convessa per ridurre la sezione frontale nei limiti concessi. La flessione non è troppo pronunciata, per contenere la riduzione di pressione aerodinamica che, al crescere della velocità, raggiunge il massimo intorno al suo punto più alto. D’altra parte, ho preferito non imprimere un andamento quasi orizzontale al muso per evitare di esagerare la quantità di massa d’aria convogliata verso il fondo. 19
Sempre secondo un approccio teorico, più questa massa è consistente, più accelera e quindi crea una depressione che spinge a terra la vettura. All’atto pratico, però, subentrerebbero dannose pressioni sulle superfici, non facili da smaltire, perciò ho preferito una soluzione di compromesso.
Fig. 4.6 – Deflettore anteriore sinistro, utilizzato sulla McLaren MP4-14 nel 1999.
Fig. 4.7 – Deflettore anteriore sinistro, montato su Ferrari F-2002. Fig. 4.8 – Ferrari F-2002: dettaglio della parte inferiore del fianco destro del muso. Sulla sinistra, si osserva il rigonfiamento necessario a ospitare il tallone destro del pilota. In basso a destra, si intravedono i tiranti più avanzati dei triangoli inferiori delle sospensioni.
La parte inferiore, inizialmente si solleva con moderata pendenza, perché si conforma in modo da ricevere aria dall’alettone senza causare interferenze. In seguito, gradualmente, la superficie inverte la tendenza e punta verso il fondo, creando subito una leggera compressione della vena fluida; l’effetto aumenta sempre più con l’avvicinarsi della superficie al suolo, anche grazie alla sua particolare forma. Decisivo, infatti, è il contributo del rigonfiamento centrale, a cui sono agganciati i triangoli inferiori delle sospensioni (figure 4.9 e 4.10). La sua parte affacciata a terra, ovviamente, scende fin quasi al livello del piano di riferimento, mentre le sue facce laterali si aprono progressivamente, convogliando aria dolcemente dentro le grandi aperture. Più precisamente, non tutta l’aria affluisce ai radiatori, ma una parte viene dirottata verso l’esterno, compiendo la medesima azione di “pseudo effetto-suolo” dei deflettori. Abbiamo tre zone di depressione aerodinamica: la prima, fondamentale, determinata dall’aria compressa verso terra; le 20
altre, molto meno influenti, dal moto d’aria verso le pance, mediante due canali divergenti e gradualmente schiacciati verso il piano di riferimento. La spinta verso l’alto, già debole, che questi ricevono, è diminuita dall’accelerazione che si imprime alla vena fluida. In corrispondenza del raccordo fra il muso e il piano di riferimento, l’aria raggiunge fin qui la massima compressione,determinando un effetto deportante, che prosegue, forse un po’ attenuato, fra fondo piatto e asfalto, perché parte della vena d’aria compressa è andata in direzione dei radiatori. La parte anteriore del fondo scalinato divide il fluido con la stessa divergenza dei canali diretti ai radiatori. Ai lati dello scalino, dove esso raggiunge la massima larghezza di 50 cm, in tal modo, l’aria aumenta la propria velocità e ancora si verifica una riduzione della spinta verso l’alto, questa volta sulla parte anteriore del fondo piatto. Ritornando all’inconveniente dovuto a pressioni e interferenze, una zona critica potrebbe diventare la transizione fra il muso e lo scalino, ma la forma sfuggente delle superfici dovrebbe ripartire agevolmente la corrente d’aria in tutte le direzioni programmate, a qualsiasi velocità. Fra gli ultimi 10 cm circa del muso e i primi 40 cm del fondo piatto, accanto allo scalino, si concentra il punto focale dell’effetto suolo della “F-Zero”, ma questo risultato non avrebbe luogo senza tener conto di quanto avviene sul resto dell’intero corpo vettura. Accelerare l’aria per diminuire la sua pressione su una determinata superficie è l’essenza dell’effetto Venturi, ma è importante considerare, per la sua efficacia, come viene accompagnata l’aria oltre il punto di massima velocità, ossia come si passa dal tratto “convergente” al “divergente”, che ripristina le caratteristiche del flusso. In coda al profilo scalinato, come dimostra l’illustrazione 4.11, la vettura lascia l’aria alle proprie spalle attraverso un grande condotto centrale e quattro laterali. Tutti questi, in particolare il primo, nella “F-Zero” sono raffigurati limitatamente ai tratti essenziali; il disegno rappresenta, mediante linee tratteggiate, la filosofia concettuale perseguita dai progettisti, con le relative frecce che dimostrano il percorso dell’aria. Per rendere davvero efficace il condotto centrale occorre farlo lavorare come “divergente”: l’azione comincia prima del suo raccordo col fondo scalinato, in prossimità della riduzione della larghezza di quest’ultimo da 50 cm ai 30 cm del canale centrale. Le pareti laterali di quest’ultimo sono aperte, anche oltre la metà della lunghezza totale, così da richiamare aria all’interno. All’interno del condotto, dove termina lo scalino, è inserito un profilo a V rovesciata, che accompagna l’aria proveniente dalle due parti fino a riunirla, così da ridurre al minimo le turbolenze nocive all’efficacia aerodinamica del fondo. Se le superfici sono sagomate correttamente, il che risulta da un complesso iter di ricerca, l’aria che lambisce i lati dello scalino 21
conserverà l’effetto dell’accelerazione acquisita in partenza, trasformando l’intero fondo piatto in un’area di depressione. I condotti laterali sono, nella “F-Zero”, rettilinei, sempre per dare loro una definizione generale. Nella realtà, la sperimentazione dimostra che, rendendoli leggermente convergenti verso l’asse longitudinale, essi trasformerebbero in un grande “divergente” tutto il bordo d’uscita del fondo. Risulterebbero nuovamente abbattute le turbolenze e favorito il generale effetto depressivo. Trasferiamo la nostra attenzione sulla parte alta della scocca. Le fiancate hanno un’impronta molto rastremata sul piano di riferimento (figure 4.12 e 4.13) , perché ho voluto definire una forma che accompagnasse la maggior quantità d’aria possibile fra le ruote posteriori. Per questo, la parte anteriore è logicamente affusolata per ridurre l’attrito aerodinamico, ma, subito dopo il punto di massima larghezza, la superficie della fiancata inizia a restringersi. Questa è piana e verticale, senza deformazioni: il dubbio è di riuscire ad alloggiare un motore con angolo fra le bancate abbastanza ampio (nell’ordine di 90° e oltre), con sistema di scarico diretto verso l’alto. Teoricamente, basandomi sulle dimensioni del motore Ferrari impiegato nel 1999, la scocca della “F-Zero” non dovrebbe incontrare problemi, offrendo spazio abbondante. All’epoca, l’angolo fra i cilindri era di 80°, ma confermo di aver offerto spazio sufficiente. D’altra parte, non trascuriamo l’aumento di passo a cui sono soggette le vetture da una stagione all’altra, per coadiuvare le evoluzioni dei pneumatici. Ciò potrebbe sensibilmente modificare la conformazione della scocca, guadagnando, in larghezza, preziosi millimetri, o persino centimetri. La considerevole rastremazione delle fiancate serve a creare il massimo spessore di massa d’aria fra la loro superficie e le ruote. L’obiettivo è di ridurre il più possibile la trasmissione di turbolenze dal battistrada alla vena fluida a contatto con la scocca. Fra le ruote posteriori avvengono fenomeni decisivi per l’equilibrio aerodinamico della “F-Zero”. Oltre all’aria esterna, giunge anche quella riscaldata dal passaggio attraverso i radiatori: la corrente risultante si unisce a quella uscente dal fondo e non si devono creare interferenze; inoltre, aumenta l’efficacia del profilo alare più basso, posto fra le ruote motrici, perché viene lambita la sua superficie inferiore. L’aria calda, smaltita dai radiatori, attraversa sezioni di fiancata progressivamente più piccole, quindi è compressa e accelerata; ma questo fenomeno può causare pressioni e attriti interni dannosi, perciò ho pensato di ridurne l’intensità sfogando parzialmente la portata d’aria di ogni fiancata attraverso sfiati opportuni, visibili accanto al poggiatesta (fig. 4.12). La vena fluida residua sottrae calore al motore e, in special modo, al sistema di scarico e fuoriesce dall’apertura in corrispondenza 22
dell’asse posteriore (si vedano anche le viste alle figure 4.2 e 4.4). L’aria uscente è carica di energia cinetica, che si arricchisce della forza ascendente dovuta all’elevata temperatura; in più, essa investe la faccia superiore del canale centrale posteriore, generando deportanza. Durante tale azione, la corrente calda viene energicamente diretta verso l’alto; parte dell’aria esterna, proveniente dai due lati, è trascinata e migliora la resa dell’ala più vicina a terra, oltre a unirsi al massiccio flusso superiore. La tendenza comune ai progettisti è di accentuare la curvatura verso l’alto dei canali laterali e di svilupparli maggiormente in altezza, per ottenere il massimo dei benefici fin qui descritti, oltre a ridurre le varie turbolenze causate dal groviglio di semiassi e bracci delle sospensioni. Per la “F-Zero” ho preferito una soluzione meno azzardata, consapevole del rischio di aumentare le turbolenze alle spalle della vettura, ma ho voluto aumentare lo sfogo d’aria, per ridurre le forze resistenti che si concentrano fra le numerose superfici. I due sostegni laterali delle ali posteriori sono raccordati al corpo vettura e il loro profilo inferiore è abbastanza vicino al piano di riferimento: sono caratteristiche proibite dalle attuali normative, ma saranno affrontate nel prossimo capitolo, a proposito dei paragrafi 3.9.1, 3.9.2 e 3.10.4 del regolamento. Ritengo il colpo d’occhio valido, perché, grazie anche alle prese d’aria, la forma della “F-Zero” ricorda gli aerei da combattimento dotati del doppio stabilizzatore di coda. In seguito a questa riforma, subentra un margine di libertà più ampio per rifinire l’aerodinamica posteriore. Si potranno riesumare, per esempio, profili alari più avanzati e sfruttare la maggior superficie dei sostegni per isolare le turbolenze generate dalle ruote. Ho disegnato una scocca con superfici raccordate anche a fini puramente estetici, ma c’è sempre una volontà di fondo volta ad evitare pericolose degenerazioni progettuali. Mi riferisco al modo con cui gli ingegneri tentano di aggirare il divieto di montare ali mobili. Il regolamento prevede di costruire la scocca con materiali “rigidi”, cioè a ridottissima deformabilità. La loro conformità si certifica mediante prove di deformazione, svolte sottoponendo un campione del materiale, o addirittura il pezzo assemblato, a un carico stabilito. La severità delle verifiche effettuate dai delegati federali non è ancora sufficiente, specie quelle relative alla trazione applicata all’ala posteriore. Il carico utilizzato, infatti, non è adeguato a scongiurare la progettazione di sostegni che, sotto la spinta di crescenti carichi aerodinamici, ruotino leggermente attorno al punto d’appoggio, così da ridurre la sezione frontale delle superfici alari e, con essa, la dispersione di potenza a vantaggio della velocità. Spesso, dietro ad incidenti causati dalla perdita dell’alettone 23
posteriore, si cela proprio l’adozione di sostegni flessibili. Troppa rigidità strutturale potrebbe portare a indebolimenti causati dalle violentissime vibrazioni trasmesse dal motore, ma è una scusante che non basta a impedire un appesantimento del carico statico utilizzato nelle verifiche. Con la “F-Zero” ho risolto il problema, perché l’alettone forma un corpo unico con la scocca. Il progettista che osservasse il frutto del mio lavoro si troverebbe di fronte ad un bivio: da una parte, la possibilità di cercare “pulizia” aerodinamica mediante l’interruzione di fessure di passaggio per l’aria, con l’irrobustimento della vettura; dall’altra parte, seguire, come oggi, differenti filosofie concettuali, rischiando il problema strutturale. Se, con la mia riforma regolamentare, le prestazioni traessero maggior giovamento dalla prima alternativa rispetto alla seconda, ne sarei ben lieto. Il bordo inferiore dei sostegni è più vicino al piano di riferimento di ben 12 cm rispetto alle norme in vigore, grazie al paragrafo 3.10.4, completamente nuovo. Abbiamo un nuovo compromesso fra sicurezza e aerodinamica: infatti, abbassare i sostegni riduce drasticamente il pericolo di incunearvi sotto un pneumatico durante un tamponamento, nella malaugurata eventualità che il mio tanto studiato sbalzo anteriore non funzionasse. Il bordo posteriore dei sostegni è già obbligatoriamente privo di spigoli vivi, per tutelare i pneumatici delle altre vetture, ma sulla “F-Zero”, nel tratto che scende al di sotto dei 30 cm dal piano di riferimento, esso abbandona l’andamento verticale per incurvarsi leggermente verso l’interno, seguendo un raggio molto ampio, di ben 800 mm. Il pneumatico di un’altra macchina, che riuscisse a colpire l’alettone della “F-Zero”, sarebbe ulteriormente tutelato. Veniamo ai dettagli aerodinamici. Come già detto, la maggior estensione dei supporti laterali serve ad eliminare qualsiasi interferenza dei pneumatici col flusso d’aria diretto verso il posteriore, ma temo che possano ostacolare troppo facilmente la vena fluida destinata agli alettoni, quando questa cambia direzione. Si ripresenta il tema, già discusso a proposito della nuova ala anteriore, della percorrenza di curve a velocità sostenuta, quando, cioè, la resa deportante deve esprimersi al meglio. Ipotizzando una condizione atmosferica assimilabile a uno stato di quiete, nel percorrere le curve, il corpo vettura è investito da un flusso d’aria incidente rispetto l’asse longitudinale. Siccome i sostegni di coda si estendono ben oltre il bordo anteriore delle ali, potrebbero creare delle zone piuttosto ampie in cui il volume d’aria non è tale da produrre il carico voluto: in altri termini, una sorta di “effetto scia” in miniatura. Inoltre, maggior superficie esposta al contatto con l’aria comporta una più energica spinta laterale, che accentuerebbe ancor più il sovrasterzo a causa della minore deportanza. Più in generale, 24
la macchina avrebbe maggior sensibilità al vento laterale. Insomma, ho appena descritto un quadro disarmante, che potrebbe smontare l’intero disegno posteriore della “F-Zero”, ma ci sono due fattori da valutare, non secondari. Entrambi hanno carattere puramente sperimentale: il primo è una verifica empirica, magari al volante, del possibile aumento di sovrasterzo; il secondo riguarda l’enorme contributo aerodinamico fornito dai gas di scarico. Per la “F-Zero” ho seguito la tendenza, seguita ormai da tutti i costruttori, di far uscire i tubi di scarico dalla superficie alta delle fiancate. Si tratta di una scelta tecnica pensata a Maranello nel corso della stagione 1998. All’epoca, il regolamento voleva impedire ai tecnici di prolungare i tubi di scarico fino al bordo d’uscita del canale centrale, perché si sarebbe trattato di violazione al divieto di effetto suolo. Le autorità sportive, allora, scrissero un controverso articolo, che limitava l’estensione dei tubi fino a circa una decina di centimetri prima dell’asse posteriore. Sfruttare la portata di energia, termica e cinetica, dei gas di scarico sull’estrattore centrale comporta un notevole guadagno di carico, ma anche un carattere più scorbutico della vettura, perché il beneficio aerodinamico precipita nell’istante in cui si alza il pedale del gas per frenare. Il calo di deportanza ricade anche sulla stessa azione frenante, quindi la monoposto diventa globalmente più critica da controllare. Giusto, allora, proibire ricerche progettuali in tal senso? Sì, ma non mediante una regola così rischiosa, perché, impedire al tubo di scarico di superare almeno l’asse posteriore, espone le sospensioni, costruite in fibra di carbonio, al rischio di cedimenti strutturali per surriscaldamento. Alla Ferrari, progettarono un’aerodinamica posteriore molto coraggiosa, con lo scarico appoggiato al fondo piatto e i gas forzati a passare sotto i triangoli inferiori delle sospensioni. Fu un vero gioco d’azzardo, che compromise la robustezza dell’insieme già dai primi giri di collaudo e fu rimpiazzato dirottando i condotti di scarico sotto i canali laterali. La scelta rimase provvisoria, perché rendeva la F-300 non facile da guidare, nonostante la bella vittoria al Gran Premio di Buenos Aires. L’unica via di scampo fu rappresentata dallo spostamento in alto dei condotti, sempre rigorosamente entro i limiti del regolamento. Da allora, i tubi non si sono più mossi da lì e non escludo che i tecnici di Maranello abbiano accumulato un’esperienza in materia nettamente superiore rispetto a qualsiasi concorrente. Poco alla volta, tutti i costruttori principali hanno valutato l’aerodinamica delle Ferrari e oggi, persino in casa McLaren hanno seguito la corrente. Aver persuaso anche quest’ultima scuderia non è cosa da poco, perché i loro tecnici, guidati da Adrian Newey, idearono un brillante stratagemma per aggirare il regolamento. Essi avevano, infatti, interrotto i tubi di scarico prima dell’asse posteriore, ma pilotarono i gas con un raffinato sistema di 25
schermi isolanti, convergenti in un piccolo foro posto all’interno del canale centrale. Le sospensioni erano salve e fu messo a punto, così, un accenno di effetto suolo. Attraverso meticolosi collaudi, fu possibile limitare gli effetti collaterali sulla facilità di guida, anche se non completamente, come risultò a Montecarlo. Sul tracciato, le McLaren-Mercedes furono sempre molto veloci, ma i più attenti osservatori tecnici notarono un rendimento dinamico non al 100% delle potenzialità teoriche della vettura. Infatti, su una pista così lenta, l’altissima velocità dei gas di scarico creava condizioni di aderenza molto preziose, ma i piloti, Mika Hakkinen e David Coulthard, erano chiamati a un impegno supplementare quando questo ausilio calava istantaneamente. L’auto si innervosiva e, più che nel giro di qualificazione, lo si notava nel bilancio dei tempi di gara, in buona parte percorsi con alto carico di carburante e battistrada usurati. Evidentemente, nel corso della stagione 2001, alla McLaren si resero conto che il loro sistema di scarico era giunto capolinea delle prospettive di sviluppo tecnico. Dirigere i gas combusti verso l’alettone comporta una certa attenzione, perché permangono le problematiche relative alla robustezza strutturale. Nonostante la miscela con l’atmosfera, la pur considerevole perdita di calore non porta la temperatura al di sotto della soglia di emergenza, anche perché, in uscita dai tubi, i gas superano gli 800 °C. Per tale ragione, le ali a rischio sono rivestite di sottili pellicole di isolante termico, lisce e dunque non nocive alle esigenze aerodinamiche. Anche i triangoli superiori delle sospensioni, se necessario, ricevono lo stesso trattamento. Sulla “F-Zero”, i tubi soffiano in direzioni convergenti, subito all’interno dei raccordi fra i sostegni laterali e la scocca (fig. 4.13). Nessuna parte è investita direttamente dall’onda termica, che viene smaltita rapidamente dal moto dell’aria. I tubi non sono disposti paralleli all’asse della vettura, per ricercare la massima azione coadiuvante della resa aerodinamica. Soffiando entrambi verso un solo punto, posto idealmente oltre l’asse posteriore, essi contribuiscono a richiudere il flusso d’aria alle spalle del periscopio d’aspirazione, così da contenere le turbolenze e valorizzare la scorrevolezza aerodinamica di tutta la metà superiore della scocca. Per evitare indebolimenti strutturali, si può applicare l’isolante termico sulle pareti interne dei sostegni alari. Focalizziamo l’attenzione sulle superfici orizzontali, che percorrono la fiancata a partire dal punto di massima larghezza, per incurvarsi verso l’alto seguendo il profilo superiore del raccordo dell’alettone. Queste hanno il compito di separare l’aria in due vene fluide ben distinte, lungo la fiancata. La vena inferiore è “richiamata” verso l’asse longitudinale dall’andamento rastremato della fiancata. Su entrambi i lati, dove inizia il raccordo dell’alettone, il profilo 26
inferiore del sostegno dapprima forma col piano di riferimento una luce di ampiezza tale da accogliere la massima portata d’aria (fig. 4.9); gradualmente, suddetto profilo scende ed esclude poco alla volta parte delle interferenze aerodinamiche causate dalla ruota posteriore. Ho preferito un bordo discendente, anziché costantemente alla minima distanza da terra, per far sì che il flusso diretto all’estrattore centrale richiami più aria possibile, mentre tento di ridurre l’effetto degli attriti nocivi attorno al battistrada. In altri termini, un difficile compromesso di ricerca aerodinamica, anch’esso puramente teorico. La vena fluida superiore è pilotata verso l’alto dalle superfici laterali, così produce una leggera forza deportante in prossimità della ruota posteriore, ma soprattutto evita di investire il battistrada, riducendo la resistenza che esso comporta. La lunghezza e la curvatura verso l’alto della superficie stessa dovrebbero essere sviluppate mediante sperimentazione, perché l’insieme delle turbolenze e degli attriti attorno ai pneumatici è assai complicato e caotico. Subito dopo aver iniziato il percorso verso l’alto, la vena d’aria perde il contatto col bordo superiore della fiancata, e comincia, per principio fisico, ad espandersi. La vicinanza del tubo di scarico produce un energico risucchio d’aria verso l’alettone posteriore, così la vena fluida, almeno in parte, alimenta questo effetto. Non è escluso il coinvolgimento di un volume d’aria ancora maggiore proveniente dai lati, il che comporterebbe ulteriore riduzione del flusso diretto verso le ruote motrici. Per concludere, illustrerò le proprietà della parte superiore delle fiancate. Osservando dal davanti il bordo d’entrata (fig. 4.3), esso appare leggermente incurvato verso il basso, secondo un andamento discendente dal punto più prossimo all’asse longitudinale a quello più lontano. Tale linea definisce la posizione della faccia superiore della fiancata, che si presenta obliqua e leggermente convessa verso l’alto. La conformazione risultante produce l’effetto di comprimere leggermente tutto il volume d’aria circostante, per produrre uno strato limite che sfiori la superficie e tenda a seguirla in ogni sua variazione formale. Particolarmente importante è la minima compressione verso l’alto, affinché la spinta aerodinamica discendente diminuisca il meno possibile, quindi si limita il comportamento portante di entrambe le fiancate all’aumentare della velocità. In corrispondenza della sommità di ogni fiancata, si apre uno sfiato, di cui ho parlato più sopra, a cui arriva l’aria uscente dai radiatori senza l’ausilio di particolari forzature, perché essi sono situati in posizione piuttosto avanzata, quindi l’aria calda viaggia per un tragitto abbastanza lungo da riuscire a salire spontaneamente: sarebbero, così, ridotti le pressioni e gli attriti interni della fiancata. 27
Quest’aria si unisce allo strato limite proveniente dalla sommità della fiancata, e il fenomeno dovrebbe svolgersi con moto fluido, senza perturbazioni. La superficie superiore si abbassa progressivamente, per guidare la massa d’aria fino all’altezza del profilo alare inferiore, fra le ruote posteriori. Qui si unirebbe al flusso proveniente dai lati della vettura e, in particolare, dal fondo. Tutte queste correnti, riunite alle spalle del veicolo nel modo meno turbolento possibile, concorrerebbero ognuna a migliorare l’influsso dell’altra nell’equilibrio aerodinamico generale. Il moto verso la zona posteriore è fortemente corroborato dalla spinta dei gas di scarico. Per rendere l’azione efficace al massimo, la loro posizione è in armonia con l’insieme di linee che definiscono la scocca e gli sfoghi d’aria. L’enorme calore, di cui i gas sono carichi, rende l’aria più rarefatta e fortemente ascendente, ma questo effetto è notevolmente attenuato dalla massa d’aria fresca, attraversata dalla vettura, mediamente molto veloce, che sottrae calore ed esercita una pressione sufficiente ad orientare il flusso parallelamente a terra, riducendo i danni all’efficienza aerodinamica complessiva.
Fig. 4.9
Fig. 4.10
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Fig. 4.11 – I tratteggi neri definiscono le aperture generalmente eseguite dai progettisti; le frecce tratteggiate descrivono il moto dell’aria da esse prodotto.
Fig. 4.12
Fig. 4.13
5 - Il nuovo regolamento Affrontiamo la parte burocratica della trattazione, facendoci strada fra i vincoli di progettazione, non sempre intuitivi. Riporto gli articoli del testo ufficiale, da me tradotto, assieme a quelli modificati o aggiunti per completare la mia idea di futura monoposto.
ARTICOLO 3 – Corpo vettura e dimensioni 3.1 Linea mediana delle ruote La linea mediana di ogni ruota va pensata giacente su un piano perpendicolare al suolo e all’asse longitudinale della vettura, passante per il centro della ruota. Questa linea è verticale. Aggiungiamo che, quando si parlerà di asse longitudinale, o asse mediano, ovviamente servirà per misurare la posizione, in larghezza, di una certa componente. Siccome tutto il corpo vettura è simmetrico rispetto a un piano perpendicolare a terra, l’asse 29
longitudinale andrà inteso come una parallela a terra all’altezza della sezione che staremo considerando in quel momento. 3.2 Misura dell’altezza Tutte le misure in altezza vanno effettuate rispetto al piano di riferimento e perpendicolarmente ad esso. 3.3 Larghezza fuori tutto La larghezza complessiva dell’auto, comprese le ruote, non deve superare i 1.800 mm, con le ruote sterzanti allineate longitudinalmente. 3.4 Larghezza davanti la mediana delle ruote posteriori Il paragrafo che seguirà è il primo da me modificato. Per confrontare la precedente stesura con la nuova, le riporto entrambe. 3.4.1 (vecchio) La larghezza del corpo vettura davanti la mediana delle ruote posteriori non deve superare i 1.400 mm. 3.4.1 (nuovo) La larghezza del corpo vettura compreso fra la mediana delle ruote anteriori e quella posteriore non deve superare i 1.400 mm. Qualsiasi punto del corpo vettura, distante anteriormente più di 330 mm rispetto la mediana anteriore, non deve trovarsi a più di 805 mm dall’asse longitudinale. L’enunciato finale del nuovo articolo è chiaramente riferito al massimo sviluppo in larghezza permesso per le ali anteriori. Alle estremità di queste, infatti, viene fissato lo speciale dispositivo, uguale per tutte le scuderie, che dovrebbe impedire l’attrito fra le ruote di due vetture durante un tamponamento. 3.4.3 Per evitare danni a pneumatici delle altre vetture, gli spigoli anteriori e superiori delle componenti periferiche della carrozzeria davanti alle ruote anteriori, devono essere spessi almeno 10 mm con raggi di raccordo di almeno 5 mm.
3.5 Larghezza dietro la mediana delle ruote posteriori Il corpo vettura oltre l’asse posteriore non deve eccedere i 1.000 mm in larghezza. 30
3.6 Altezza totale Nessuna parte della carrozzeria deve distare più di 950 mm dal piano di riferimento. 3.7 Altezza della sezione anteriore Tutta la carrozzeria davanti a un punto posto a 330 mm dietro la mediana anteriore, e a più di 250 mm dall’asse longitudinale della vettura, non deve trovarsi a meno di 100 mm e a più di 300 mm dal piano di riferimento. Il testo di questa regola è entrato in vigore nella stagione 2001 e pone un nuovo limite minimo di altezza dell’ala anteriore rispetto al piano di riferimento. Le nuove sponde laterali dell’ala anteriore, ovviamente, violerebbero la regola, ma si tratta di oggetti forniti dalla Federazione e quindi da considerarsi estranei alla costruzione della vettura. Questo limite è stato alzato di 50 mm, ma trascura la zona centrale, entro i 250 mm dall’asse longitudinale dell’auto, altrimenti non sarebbe possibile costruire il musetto! Sfruttando questo lacuna, molti progettisti hanno studiato, per raggiungere una determinata efficienza aerodinamica anteriore, alettoni concavi nella zona di attacco, in grado di scendere fino al livello del piano di riferimento. La “F-Zero”, avendo una cella di sopravvivenza molto massiccia, presenta un muso largo 500 mm a 330 mm di distanza dietro la mediana anteriore, quindi il massimo ingombro consentito! Non ritengo necessario modificare la regola. 3.8
Altezza di fronte alle ruote posteriori
3.8.1
A parte gli specchietti retrovisori, ciascuno con massima proiezione a terra di 9.000 mm2, nessuna componente posta a più di 330 mm dietro la mediana anteriore e più di 330 mm davanti la mediana posteriore, situata oltre i 600 mm di altezza dal piano di riferimento, deve distare più di 300 mm dall’asse longitudinale.
3.8.2
Nessuna componente fra la mediana posteriore e una linea distante 800 mm davanti la mediana stessa, a più di 500 mm dall’asse longitudinale, deve distare più di 500 mm dal piano di riferimento.
3.8.3
Nessuna componente fra la mediana posteriore, distante più di 500 mm dalla mezzeria della vettura, deve trovarsi a più di 300 mm sopra il piano di riferimento. 31
3.9
Corpo vettura fra le ruote posteriori
3.9.1
(vecchio) Nessuna componente situata fra la mediana posteriore e un punto anteriore di 330 mm deve distare più di 600 mm dal piano di riferimento. (nuovo) Nessuna componente situata fra una parallela alla mediana posteriore, davanti ad essa di 100 mm, e un punto anteriore di 330 mm rispetto la mediana stessa, deve trovarsi a più di 600 mm dal piano di riferimento.
3.9.1
3.9.2
3.9.2
(vecchio) Nessuna parte posta fra la mediana posteriore e un punto dietro ad essa di 150 mm deve distare oltre i 450 mm dal piano di riferimento. (nuovo) Ogni parte fra la mediana posteriore e un punto dietro ad essa di 150 mm dev’essere compreso all’interno di una linea congiungente due punti: uno, sulla mediana posteriore, a 750 mm dal piano di riferimento e l’altro, su una parallela posteriore di 150 mm, a 800 mm dal medesimo piano.
I due nuovi paragrafi consentono di raccordare alla scocca i sostegni laterali dell’ala posteriore, oltre ad una maggior libertà di ricerca della deportanza, mediante l’adozione di profili aggiuntivi più avanzati.
3.10
Altezza dietro la mediana delle ruote posteriori
3.10.1
Nessuna parte della vettura, a più di 150 mm oltre la mediana posteriore, deve distare più di 800 mm dal piano di riferimento. Nessuna componente dietro la mediana posteriore, a più di 150 mm dall’asse longitudinale, si deve trovare a meno di 300 mm dal piano di riferimento.
3.10.2
Osserviamo come questo paragrafo, molto semplicemente, spieghi la configurazione aerodinamica posteriore delle monoposto. Esse presentano, infatti, un canale centrale molto pronunciato in altezza e lunghezza, affiancato da due profili, simmetrici, più bassi e corti. Tutte e tre le strutture ricevono aria dal fondo e la canalizzano in modo da accoppiarsi col flusso proveniente da sopra la scocca. Lo scopo è di ridurre il più possibile le turbolenze e di valorizzare l’efficacia complessiva dei due strati d’aria. 32
Dunque, se i tecnici non accentuano ulteriormente le dimensioni dei due profili minori, ai lati dell’estrattore centrale, è proprio perché quest’ultimo, a condizione di essere largo non più di 300 mm, può estendersi dal livello del piano di riferimento fino a 300 mm di altezza da esso; i canali laterali, invece, si interrompono all’altezza della mediana posteriore, perché da qui in poi è permesso disporre superfici solo al di sopra dei 30 cm dal piano di riferimento, il che contraddice la costruzione degli estrattori, che cominciano proprio dal piano medesimo. Per la “F-Zero” ho proposto di spostare a 150 mm dietro la mediana posteriore il limite di estensione dei canali laterali: un buon margine di libertà in più, indubbiamente, per i progettisti, a vantaggio di maggior deportanza del corpo vettura, e di un comportamento dinamico più intuitivo. La mia speranza è di contribuire a incrementare la sicurezza, perché l’aerodinamica dovrebbe risultare più fluida e meno ostile al pilota. Infine, per non ostacolare il paragrafo 3.10.4, poniamo la porzione di vettura considerata fra i 150 e i 480 mm dall’asse longitudinale. Il nuovo testo potrebbe essere il seguente: «Nessuna componente dietro la mediana posteriore, fra i 150 mm e i 480 mm dall’asse longitudinale, e più di 150 mm dalla mediana posteriore, si deve trovare a meno di 300 mm dal piano di riferimento.» 3.10.3
Ciascuna componente, a più di 150 mm dietro la mediana posteriore, posta a più di 300 mm sopra il piano di riferimento, e tra i 75 mm e i 480 mm dalla mezzeria dell’auto, deve trovarsi in una di due aree quando vista di fianco. Queste aree sono poste una fra i 300 mm e i 375 mm, l’altra fra 600 mm e 800 mm dal piano di riferimento. Quando queste aree sono viste di fianco, nessuna sezione trasversale può contare più di tre sezioni chiuse nell’area superiore o più di una in quella inferiore.
Aggiungiamo un nuovo paragrafo: 3.10.4
Nessuna parte del corpo vettura, a più di 480 mm dall’asse longitudinale, deve trovarsi al di sotto di una linea congiungente un punto, anteriore di 800 mm la mediana posteriore e alto 300 mm dal piano di riferimento, e un secondo punto, 500 mm dietro la mediana posteriore e a 180 mm dallo stesso piano. 33
Questo articolo non dovrebbe creare problemi a quei progettisti che preferissero una forma della scocca meno rastremata rispetto a quella della “F-Zero”; in più, esso permette di far scendere dolcemente il profilo inferiore dei sostegni alari posteriori, fino a 180 mm dal piano di riferimento. Si tratta di una scelta progettuale di ricerca aerodinamica e incremento della sicurezza, di cui ho parlato a fondo nel capitolo precedente. 3.11 Corpo vettura intorno alle ruote anteriori (vecchio) Fatta eccezione per le prese d’aria di raffreddamento dei freni, nella vista in pianta non ci deve essere componente nell’area formata da due linee parallele all’asse longitudinale, distanti da esso rispettivamente a 400 mm e 900 mm, e due linee ad esse perpendicolari, una 350 mm davanti e l’altra 800 mm dietro la mediana anteriore. (nuovo) Fatta eccezione per le prese d’aria di raffreddamento dei freni, nella vista in pianta non ci deve essere componente nell’area formata da due linee parallele all’asse longitudinale, distanti da esso 400 mm e 500 mm rispettivamente, e due linee ad esse perpendicolari, una 350 mm davanti e l’altra 500 mm dietro la mediana anteriore. 3.12 Corpo vettura affacciato sul terreno 3.12.1 Tutte le parti sospese, poste a più di 330 mm dietro l’asse anteriore, e a più di 330 mm davanti l’asse posteriore, visibili da sotto, devono formare superfici che stanno su uno di due piani paralleli, o quello di riferimento, o quello scalinato. Ciò non vale per la porzione visibile degli specchietti retrovisori, a condizione che ciascuna di queste due aree non superi i 9.000 mm2 quando proiettata a terra. Il piano scalinato deve trovarsi a 50 mm sotto il piano di riferimento. 3.12.2 La superficie formata da tutte le parti giacenti sul piano di riferimento deve: - estendersi da un punto 330 mm dietro la mediana anteriore fino alla linea mediana delle ruote posteriori; - avere larghezza minima e massima, rispettivamente di 300 mm e 500 mm; - essere simmetrica rispetto all’asse longitudinale della vettura; - avere un raggio di 50 mm (tolleranza ±2 mm) su ciascun angolo frontale quando vista direttamente da sotto, 34
essendo questa norma verificata dopo che la superficie è stata definita. Con questo paragrafo è stato descritto lo scalino che percorre tutto il fondo della vettura. 3.12.3 La superficie del piano di riferimento deve essere assicurata alle estremità della superficie del piano scalinato tramite raccordo verticale. Se, in corrispondenza di queste estremità, non è visibile da sotto alcuna parte di proiezione verticale del piano di riferimento, questa transizione non è necessaria. In altri termini, siccome i fianchi dello scalino sono verticali, qualsiasi apertura che li interrompa non sarebbe visibile da sotto, quindi perfettamente legale. Abbiamo già intravisto, a grandi linee, un’applicazione di questa libertà permessa in fase di progettazione. Ritornando, infatti, alla figura 4.11, il disegno accenna, mediante tratteggi, le interruzioni alla continuità superficiale dello scalino e del condotto centrale posteriore. Le frecce tratteggiate dimostrano che l’aria sarebbe richiamata verso il centro con relativo anticipo, migliorando sia il beneficio che la “V” rovesciata, posta all’interno del condotto, porterebbe all’effetto Venturi generato sul fondo, sia il perfezionamento complessivo di tutte le azioni aerodinamiche. Il tema si completerà al paragrafo 3.12.5. 3.12.4 Le periferie delle superfici dei piani di riferimento e scalinato possono essere curvate verso l’alto con raggio minimo, rispettivamente, di 25 e 50 mm. Dove il raccordo verticale incontra la superficie del piano scalinato, è consentito un raggio non maggiore di 25 mm. Il raggio, in questo contesto, sarà considerato come un arco applicato perpendicolarmente al contorno e tangenziale ad entrambe le superfici. Lo scalino, il piano di riferimento e i raccordi verticali devono dapprima essere completamente definiti prima di applicare qualsiasi raggio e di fissare il pattino. Ogni raggio applicato viene considerato parte delle superfici in esame. 3.12.5 Il piano di riferimento e lo scalino, raccordati, devono formare un unico corpo rigido. Su queste superfici sono consentiti dei fori, completamente circoscritti, a patto che attraverso di essi non si intraveda il corpo vettura quando guardati da sotto. 35
3.12.6 Per superare eventuali problemi di costruzione, e per ostacolare qualsiasi disegno che possa violare le suddette regole, sono permesse tolleranze dimensionali sul corpo vettura posto fra un punto 330 mm dietro la linea mediana anteriore e quella posteriore. Una tolleranza verticale pari a ± 5 mm è permessa sulle superfici poste sul piano di riferimento e sullo scalino, mentre una tolleranza orizzontale di 5 mm è permessa quando si vuole che una determinata superficie sia visibile da sotto oppure no. 3.12.7 Tutte le masse sospese, poste dietro un punto 330 mm davanti la mediana posteriore, visibili da sotto e distanti più di 250 mm dall’asse longitudinale, devono trovarsi a non meno di 50 mm dal piano di riferimento. 3.13 Pattino 3.13.1
Sotto la superficie composta da tutte le parti a contatto col piano di riferimento deve essere assicurato un pattino rettangolare, con un raggio di 50 mm (tolleranza ±2 mm) su ciascuno dei due spigoli frontali. Questo elemento potrebbe essere composto da più pezzi e deve: - estendersi longitudinalmente da un punto 330 mm dietro la mediana anteriore fino all’asse posteriore; - avere una larghezza di 300 mm (±2 mm); - presentare uno spessore di 10 mm (±1 mm); - avere spessore uniforme, se nuovo; - essere fissato simmetricamente rispetto l’asse longitudinale in modo perfettamente solidale, senza che passi aria fra sé e il corpo vettura.
3.13.2
36
Lo spigolo inferiore di contorno del pattino può essere smussato di un angolo di 30° per una profondità di 8 mm; il bordo d’uscita, tuttavia, può essere smussato lungo un tratto di 200 mm fino a una profondità di 8 mm.
Sono state trascurate le parti relative alla descrizione del materiale del pattino e degli elementi di fissaggio, per non aggiungere inutili argomenti alla trattazione puramente dimensionale, peraltro alquanto complessa.
Fig. 5.1
3.14 Sbalzi Nessuna parte dell’auto deve trovarsi oltre 500 mm dietro la mediana delle ruote posteriori o più di 1.200 davanti la mediana anteriore. Nessuna parte della scocca, a più di 200 mm dall’asse longitudinale, può trovarsi oltre i 900 mm dalla mediana anteriore. Tutte le misure degli sbalzi vanno effettuate parallelamente al piano di riferimento. Al capitolo 4 ho riportato le dimensioni della “F-Zero”, da cui risulta uno sbalzo anteriore di 935 mm. Una lettura affrettata del paragrafo potrebbe lasciar intendere una violazione da parte mia; in realtà, va tenuto presente che il limite si applica alla parte di vettura distante più di 200 mm dall’asse longitudinale, quindi alle superfici alari. I 935 mm sono raggiunti dalla punta del muso.
Influenza sull’aerodinamica Tutte le singole parti dell’auto che influenzano le prestazioni aerodinamiche: - devono essere conformi alle regole relative al corpo vettura; - devono essere rigidamente collegate alle masse sospese dell’auto (il collegamento rigido esclude qualsiasi grado di libertà); - devono restare immobili relativamente alla parte sospesa del veicolo. 37
Per potersi sincerare che tutte queste richieste siano soddisfatte, la Federazione si riserva il diritto di introdurre prove di carico/flessione ad ogni parte della scocca che sembri (o è sospettata di) muoversi quando la vettura è in moto. È vietato qualsiasi accorgimento che colmi la distanza fra il corpo sospeso e il terreno. Nessuna parte in grado di influenzare l’aerodinamica e nessuna componente della scocca, fatta eccezione per il pattino descritto all’articolo 3.13, possono trovarsi al di sotto del piano di riferimento. 3.16
Parte superiore del corpo vettura
3.16.1 Fatta eccezione per l’apertura descritta in seguito, al punto 3.16.3, vista di fianco, la vettura deve avere la carrozzeria compresa nel triangolo formato da tre linee, una verticale, distante 1.330 mm davanti la mediana posteriore, una orizzontale, 550 mm sopra il piano di riferimento ed una diagonale, che intersechi la verticale in un punto a 940 mm sopra il piano di riferimento e l’orizzontale 330 mm davanti la mediana posteriore. Il corpo vettura, su tutta quest’area, deve essere disposto simmetricamente rispetto l’asse longitudinale e dev’essere largo almeno 200 mm quando misurata in un punto qualsiasi lungo una seconda diagonale parallela alla prima e posta 200 mm sotto. Inoltre, su tutta l’area delimitata dalle due diagonali, il corpo vettura deve risultare più ampio di un triangolo isoscele verticale, con base di 200 mm sulla seconda diagonale, orientato col vertice verso l’alto e base perpendicolare all’asse longitudinale. 3.16.2 Vista di lato, la vettura non deve presentare elementi di scocca nel triangolo formato da tre linee, una verticale, 300 mm davanti la mediana posteriore, una orizzontale, 950 mm sopra il piano di riferimento ed una diagonale che intersechi la verticale in un punto 600 mm sopra il piano di riferimento, e l’orizzontale 1.030 mm davanti la mediana posteriore. 3.16.3 Affinché l’auto possa essere sollevata agevolmente in caso di fermata lungo la pista, la principale struttura antiribaltamento deve incorporare un’apertura visibile, non ostruita, concepita in modo da permettere il passaggio di un nastro la cui sezione misura mm 60x30. A questo punto, sono doverose alcune osservazioni. 38
Le regole sin qui elencate contengono uno spirito di fondo rivolto al tema della sicurezza. Concentriamoci sulle 3.16.1 e 3.16.2. Credo sia fondamentale, per conferire alla vettura la massima solidità, che certe sue zone siano pensate senza troppa libertà dai progettisti. Mi riferisco alla base della presa d’aria d’aspirazione del motore, ricavata attorno alla struttura di protezione del pilota dallo schiacciamento cervicale, in caso di ribaltamento della vettura. Questo dettaglio è, in genere, molto affusolato, per migliorarne la penetrazione aerodinamica. Ovviamente, l’obbligo di riempire quel triangolo isoscele, di cui al termine del punto 3.16.1, viene ampiamente violato. La scocca rientra nei limiti dimensionali grazie a due piccole ali, sagomate a piacimento dai vari esperti dell’aerodinamica (fig. 5.2). A costo di aumentare l’attrito con l’aria, questo stratagemma va abolito per rendere più solida la scocca: ne deriverebbe la possibilità di aumentare la minima sezione della struttura di sicurezza, grazie all’inasprimento delle prove di rottura. Inoltre, il raccordo fra le sponde imbottite, ai lati del casco, e la superficie di sostegno del poggiatesta, oggi appare ormai inesistente. Il regolamento, infatti, non vieta l’eliminazione di questi due piccoli “muri” aerodinamici, determinando, dal mio punto di vista, un’inutile lacuna strutturale (fig. 5.3). Gradirei, infatti, che almeno attorno al corpo del pilota non si immolassero elementi utili alla sicurezza sull’altare delle prestazioni, quindi occorre un controllo più severo sulle forme dell’abitacolo, per tutelare maggiormente la vita dell’uomo. Sempre osservando le sponde imbottite, queste dovrebbero, teoricamente, essere alte svariati millimetri in più rispetto a come sono posizionate sulle attuali monoposto. Anche in questo caso, il regolamento, pur profanato nello spirito, è osservato minuziosamente nella forma, sempre ricorrendo all’ennesimo accorgimento aerodinamicamente meno dannoso. Infatti, in cima alle imbottiture, sui profili esterni, i progettisti posizionano due mini alette che rispondono con precisione minuziosa alle verifiche dimensionali (figure 5.2 e 5.3). Per scongiurare tutte queste interpretazioni delle regole, introdurrei un nuovo paragrafo, il cui scopo è di garantire continuità alle forme della scocca, affinché i progettisti sfuggano alla tentazione di profanare il territorio sacro delle strutture di sopravvivenza. 3.16.4 (nuovo)
Si consideri un piano rettangolare, simmetrico rispetto all’asse longitudinale e parallelo al piano di riferimento, esteso fino alla mediana posteriore e largo 600 mm. Con questo, si attraversi il corpo vettura da una quota di 550 mm sul piano di 39
riferimento fino all’estremo più alto; il risultato deve essere sempre una sola sezione chiusa, fatta eccezione per il foro passante descritto al paragrafo 3.16.3.
Fig. 5.2
Fig. 5.3
A sinistra, particolare della Ferrari F-2001; a destra, lo stesso dettaglio, colto alla presentazione della F-2002. Si osservano le due ali ricurve, messe per rispettare i limiti di larghezza della zona al di sotto della presa d’aria (sulla F-2002 mancano, perché la vettura, all’epoca, non era ancora definitiva); sopra le imbottiture laterali, alle estremità, due linguette permettono di raggiungere la larghezza imposta dal regolamento; infine, in entrambe le immagini si vede come il collegamento fra le sponde imbottite e la parte centrale della scocca sia vistosamente scavato per ridurre la resistenza aerodinamica.
ARTICOLO 12 – Ruote e pneumatici 12.1 Posizione Le ruote devono essere esterne al corpo vettura nella vista in pianta, con il sistema aerodinamico posteriore rimosso. 12.2 Numero delle ruote Il numero delle ruote è fissato a quattro. 12.3 Materiale dei cerchioni Tutti cerchioni devono essere realizzati con materiale metallico omogeneo.
40
12.4
Dimensioni
12.4.1 La larghezza complessiva della ruota dev’essere compresa fra i 305 mm e i 355 mm, se montata all’avantreno, e fra i 365 mm e i 380 mm al retrotreno. 12.4.2 Il diametro complessivo della ruota non deve superare i 660 mm quando è installato il pneumatico per asfalto asciutto, mentre il limite cresce a 670 mm in caso di gomma da bagnato. 12.4.3 Il diametro complessivo e la larghezza vanno misurati orizzontalmente lungo l’asse quando i pneumatici sono nuovi e gonfiati a 1.4 bar. 12.4.4 Il diametro del cerchione dev’essere compreso fra 328 mm e 332 mm. Anche se questo articolo non interessa le dimensioni del corpo vettura, diventano obbligatorie alcune riflessioni. Lo spirito con cui questo trattato propone evoluzioni regolamentari è sempre rivolto a incrementare la sicurezza, quindi l’argomento dei pneumatici non può risultare indenne. Le ruote, fra gli anni ’70 e ’80, furono costruite in modo che quelle posteriori avessero, rispetto a quelle anteriori, maggiori diametro e larghezza dell’impronta a terra, fino a raggiungere un divario evidentemente esasperato. Come risulta dai paragrafi 12.4.1-2, le differenze fra avantreno e retrotreno delle odierne vetture di Formula 1 sono molto più contenute: è una conseguenza delle limitazioni imposte per contenere l’esasperazione delle prestazioni e rendere più neutro il comportamento dinamico. Inoltre, sono divenute più dure le mescole, sebbene classificate su differenti livelli di resistenza all’abrasione, e sono state proibite le coperture specifiche per i giri di qualificazione. Le attuali competizioni, infatti, prevedono la scelta del tipo di pneumatici all’inizio del fine settimana, in occasione della prima giornata di prove libere. Tra queste sessioni e quella di qualificazione si effettua il rodaggio di tutti, o parte, dei tre treni di gomme disponibili, destinati all’impiego in gara. Il paragrafo 12.4.4, in sostanza, fissa a 13 pollici il diametro massimo dei quattro i cerchioni. La regola impone, indirettamente, un limite alla superficie dei dischi dei freni, la cui energia sviluppata, grazie alle sempre più sofisticate tecnologie al carbonio, è tuttavia in grado di fermare una monoposto, lanciata a 300 Km/h, in meno di 4 41
secondi! Il pilota dispone, al pedale dell’acceleratore, di una potenza superiore a 800 CV, ma il pedale del freno ne comanda una oltre i 2000 CV! Con i moderni sistemi di ripartizione della frenata, molto sofisticati, si potrebbe riuscire a gestire uno sforzo anche maggiore, evitando che l’errore umano comporti pericolosi trasferimenti di carico. Il problema è tenere conto della sopportazione fisiologica alle incredibili decelerazioni longitudinali, ormai superiori ai 4 g, della mole di lavoro svolta dal battistrada e di come l’azione frenante si modifichi in funzione della velocità, cioè del carico aerodinamico che preme la vettura al suolo. Forse, sempre riferendomi agli automatismi di poco fa, questo è il problema meglio superabile, ma la taratura degli strumenti esige prove su pista, quindi il pericolo si potrebbe ripresentare. Un’altra importante caratteristica degli attuali pneumatici è la spalla molto alta. Le proprietà strutturali delle ruote svolgono una fondamentale azione coadiuvante delle sospensioni, potendo radicalmente stravolgere, in bene o in male, la qualità dell’autotelaio. Con vetture così basse e schiacciate a terra (nonostante una penalizzazione di almeno 6 cm imposta dal pattino e dal fondo scalinato), diventa indispensabile un pneumatico che aiuti molle e ammortizzatori: per questa ragione, non mi sento di criticare il rapporto fra i diametri esterni dell’intera ruota e del cerchione. Esiste un aspetto, invece, per nulla convincente, della superficie dei battistrada: l’obbligo delle quattro scanalature. Per contenere la crescita delle prestazioni, dal 1998 la Federazione impose il restringimento delle carreggiate di 20 cm, oltre alla comparsa di solchi equidistanti, lungo l’intera circonferenza dei battistrada. Il fatto è che, in contemporanea, non esistono particolari restrizioni circa l’ispezione superficiale delle gomme durante il loro utilizzo, così si arriva a veri paradossi. I fornitori dei pneumatici studiano battistrada dall’autonomia sempre maggiore, al punto di poter superare, talvolta, l’80% dell’intero arco di un Gran Premio. L’eccezionalità di tale traguardo aumenta se si considera che lo spessore del battistrada si usura, ma la consistenza del polimero mantiene sempre alto il potere di attrito: ciò significa che, ad ogni giro, progressivamente scompaiono le scanalature e aumenta l’impronta a terra. Alcune squadre portano il rodaggio dei pneumatici al punto da renderli quasi lisci, per poi montarli in gara durante una delle soste ai box. Allo stesso tempo, da un anno all’altro le vetture diventano sempre più veloci, specialmente grazie alle coperture. Si pensi, a titolo d’esempio, che il Gran Premio di Budapest, disputato nel 2000 e nel 2001 in analoghe condizioni ambientali, si è velocizzato di oltre 2 minuti: è come se Michael Schumacher, vincitore dell’ultima edizione su Ferrari, avesse abbondantemente doppiato la McLaren42
Mercedes di Hakkinen, dominatrice l’anno prima! Un progresso tanto enorme è dovuto, in parte, all’evoluzione tecnica globale delle vetture, ma il contributo preponderante deriva dalle gomme. È indiscutibile che le scanalature pongano un freno alle vetture, ma la crescita percentuale delle prestazioni, anno dopo anno, resta impressionante. Più che il limite raggiunto, è proprio quest’ultimo aspetto ad essere, solo in teoria, controllato dal regolamento. La ricerca estrema rende il settore delle gomme sempre più oneroso e complicato da gestire, perché sono tanti i fattori da considerare e non è affatto semplice stabilire una scala delle priorità. Aggiungiamo, poi, la necessità, dettata da varie ragioni, di sviluppare le gomme concentrandosi in prevalenza su una o due squadre al massimo, con i peculiari aspetti tecnici dei rispettivi progetti. Le altre vetture, così, potrebbero trovarsi costrette ad utilizzare un prodotto non esattamente conforme alle proprie esigenze. Il limite odierno di tenuta laterale è impressionante, perché, nonostante le mescole più dure, le carreggiate strette e le penalizzazioni aerodinamiche, le monoposto raggiungono il limite dei 4 g, fino a dieci anni fa pensabile solo ricorrendo alle micidiali aerodinamiche ad effetto suolo. Per avere un’idea più chiara dei progressi compiuti negli anni, si pensi che nel 1997, sul circuito di Magny-Cours, la Ferrari F310 B, guidata da Schumacher, percorse l’ampio tornante Estoril con un picco di accelerazione laterale pari a 4.2 g! Penso si tratti del record assoluto, per quella stagione, e di certo si dimostrarono fondamentali le eccellenti condizioni di preparazione fisica del pilota, ma per quanto riguarda la vettura, era progettata secondo un regolamento al capolinea di una filosofia che permetteva larghezza totale di 2 metri e gomme lisce. Oggi, con 1,8 metri di larghezza e gomme scanalate, quel primato non è più un miraggio… La deportanza del corpo vettura è ottenuta accelerando il moto dell’aria in zone strategiche sul fondo e coordinando il più possibile l’azione degli strati superiore e inferiore, tra il fondo e l’asfalto. Si tratta di un lavoro indispensabile per ridurre l’effetto portante, assai più accentuato sulle auto di produzione, direttamente proporzionale all’aumento della velocità. L’aderenza ottimale si raggiunge, però, grazie agli alettoni, sempre assai indispensabili, anche se il miglioramento delle gomme ne ha ridotto la necessaria superficie utile. È aumentata l’aderenza “meccanica”, a vantaggio di una maggiore sensibilità da parte del pilota, e di una minore suscettibilità della monoposto alle turbolenze. L’effetto “scia” consiste nel beneficio incontrato da una monoposto in coda a un’altra, perché quest’ultima rompe il muro d’aria, aprendo una sorta di varco aerodinamico. I vantaggi sono enormi, perché si risparmia tanta 43
potenza a vantaggio della velocità, e il pilota inseguitore può approfittarne per un sorpasso che, altrimenti, non gli sarebbe possibile compiere. Subentra il problema delle turbolenze, perché l’auto che apre il muro d’aria, quando se lo richiude alle spalle, crea uno stato turbolento dovuto alle superfici della scocca e degli alettoni, oltre alle ruote scoperte. L’effetto è dannoso al moto della stessa macchina, per cui i progettisti cercano di ridurlo al minimo, ma fanno quello che possono. Una vettura in coda riceve le turbolenze, che investono gli alettoni e compromettono l’efficienza globale. Il risultato è una pericolosa perdita di guidabilità, per cui l’effetto scia diventa sfruttabile solo entro una certa distanza. Per esempio, a velocità medie, il pilota che insegue può stare a distanza quasi nulla dalla vettura davanti, per non ricevere turbolenze sulla parte anteriore della scocca: anche se l’alettone non risulta sfruttato al meglio, il corpo vettura funziona bene e l’aderenza raggiunta garantisce buona stabilità. Quando la velocità cresce, occorre più pressione aerodinamica, quindi l’inseguitore deve o cambiare traiettoria, se la pista lo permette, o allontanarsi quanto basta per far investire le ali da un flusso d’aria pieno, ma anche per trovarsi in una zona in cui le turbolenze siano più deboli. Insomma, più la stabilità della vettura diminuisce la propria dipendenza dalle forze aerodinamiche, maggiori diventano la competitività del pilota, lo spettacolo offerto dalla gara, e soprattutto la sicurezza di guida, perché l’uomo aumenta la percezione del limite critico di aderenza. Al termine di tutte queste considerazioni, ribadisco la mia completa avversione nei confronti delle scanalature.
ARTICOLO 13 – Abitacolo 13.1
Apertura
13.1.1 Per far sì che l’apertura di accesso all’abitacolo sia di misura adeguata, la sagoma illustrata nel disegno 5.4 sarà inserita nella scocca e nella cella di sopravvivenza. Nel corso di questa verifica, volante, piantone, sedile e tutta l’imbottitura richiesta dai paragrafi 14.6.1-6 (inclusi i sistemi di fissaggio), possono essere rimossi e: - la sagoma dev’essere mantenuta orizzontale e calata dall’alto fino a che il suo margine inferiore si trovi a non meno di 525 mm sopra il piano di riferimento; - osservando il disegno 5.4, il bordo della sagoma indicato dalle linee d–e non si deve trovare a meno di 1.800 mm dietro la linea A-A, riportata nel disegno 5.7. 44
Mentre si compiono le misure dalla sagoma di ingresso (riferita agli articoli 13.1.3, 15.2.2, 15.4.5, 15.4.6, 15.5.4, 16.3 e 18.4), quest’ultima va mantenuta sempre nella posizione di cui sopra. Il tema delle imbottiture laterali fu introdotto solo nel 1996, ma ha già subito importanti svolte regolamentari. Inizialmente, infatti, il profilo laterale delle protezioni era stabilito in base alla posizione del casco, per cui più si riusciva ad avvicinare a terra la posizione di guida, più l’aerodinamica ne traeva vantaggio. Nel volgere di due stagioni, alcuni progettisti, in particolare quelli della Jordan, riuscirono ad eliminare qualsiasi sporgenza imbottita, ma non fu solo grazie a sedili e abitacoli esasperati. Esisteva, infatti, un limite massimo di sporgenza del casco, al di sopra delle protezioni, onestamente discutibile, quindi i tecnici non esitarono a violare lo spirito delle regole, pur osservandole nella forma. Oggi, come si nota, le imbottiture rispondono a limiti costruttivi universali e non possono essere avvicinate al piano di riferimento oltre i 525 mm. In precedenza, ho parlato delle linguette che tutti i progettisti sistemano sopra le sponde dell’abitacolo e ho proposto l’articolo 3.16.4 per evitarle. È chiaro che il problema si potrebbe affrontare anche aumentando il limite dei 525 mm, oppure modificando alcune quote costruttive del disegno 5.4. 13.1.2 L’estremità anteriore dell’apertura, anche se strutturale e appartenente alla cella di sopravvivenza, dev’essere almeno 50 mm davanti al volante. 13.1.3 Il pilota dev’essere in grado di salire e scendere dall’auto senza l’ausilio di alcuna portiera e senza rimuovere parte alcuna della monoposto, ad eccezione del volante. Quando si trova seduto normalmente, il pilota deve trovarsi rivolto in avanti ed il retro del suo casco non deve distare più di 125 mm davanti lo spigolo posteriore della sagoma d’ingresso. 13.1.4 Dalla normale posizione di guida, con le cinture assicurate e con addosso il consueto equipaggiamento, il guidatore deve poter rimuovere il volante e uscire dalla vettura in 5 secondi, quindi riposizionarlo entro altri 5 secondi al massimo. Per svolgere la prova, la sistemazione del volante sarà stabilita dagli ispettori federali e, al termine delle operazioni, il funzionamento dello sterzo non deve risultare modificato.
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13.2
Volante Il volante dev’essere equipaggiato con un meccanismo di sganciamento rapido, azionabile tirando una flangia concentrica col piantone, posta dietro la corona.
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13.3
Sezione trasversale interna
13.3.1
Una sezione verticale qualsiasi, che permetta al profilo esterno del disegno 5.5 di scorrere, in posizione verticale, lungo l’abitacolo fino a un punto posto 100 mm dietro la superficie del pedale più arretrato (in posizione di rilascio), dev’essere mantenuta lungo l’intera lunghezza. Gli unici ostacoli, ai quali è permesso interferire con lo scorrimento di questa sagoma, sono il volante e le imbottiture di cui all’articolo 14.6.7.
13.3.2
Una sezione verticale qualsiasi, che permetta al profilo interno del disegno 5.5 di scorrere, in posizione verticale, lungo l’abitacolo fino a un punto posto 100 mm dietro la superficie del pedale più arretrato (in posizione di rilascio), dev’essere mantenuta lungo l’intera lunghezza. L’unico ostacolo al quale è permesso interferire con lo scorrimento di questa sagoma è il volante.
13.3.3
Il guidatore, seduto normalmente a cinture allacciate, quando il volante è rimosso, deve poter alzare tutte e due le gambe in modo che le sue ginocchia si trovino oltre il piano del volante e rivolte all’indietro. Questo movimento non deve incontrare ostacoli.
13.4
Posizione dei piedi del pilota
13.4.1
La cella di sopravvivenza deve estendersi da dietro il serbatoio fino ad un punto posto almeno 300 mm davanti ai piedi del pilota, quando questi sono appoggiati sui pedali in posizione di riposo.
13.4.2
Quando il pilota è seduto normalmente, le piante dei piedi, appoggiate sui pedali a riposo, non debbono trovarsi davanti la mediana anteriore.
È evidente che molte delle richieste regolamentari inerenti l’interno dell’abitacolo non rientrano pienamente nella nostra trattazione, perché orientata in prevalenza sull’aspetto esterno della vettura, anche se ho pensato un suggerimento relativo alle dimensioni della cella di sopravvivenza, di cui si tratterà all’art. 15. Ho ritenuto utile trascrivere queste norme, ed altre che seguiranno, per aiutare a comprendere lo spirito col quale si sono evolute le vetture di Formula 1, facendo emergere tutta la pericolosità degli schemi tecnici seguiti in passato. Da notare, in special modo, la posizione dei piedi del pilota rispetto all’asse anteriore. Nei primi anni ’80, le macchine avevano musi molto corti e la postazione di guida era “immersa” fra le ruote direzionali. Se consideriamo anche i materiali, meno resistenti rispetto a quelli odierni, è facile pensare come anche un urto frontale non particolarmente forte potesse procurare gravi lesioni alle gambe.
Fig. 5.4 – Sagoma di accesso all’abitacolo. Dettagli di costruzione e montaggio delle imbottiture laterali.
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Fig. 5.5 – Sezione trasversale interna dell’abitacolo
Fig. 5.6 – Imbottitura interna dell’abitacolo
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Fig. 5.7 – Dimensioni della cella di sopravvivenza
ARTICOLO 14 – Equipaggiamento di sicurezza 14.3 Specchietti retrovisori Tutte le auto devono essere munite di almeno due specchietti, montati in modo da garantire visibilità posteriore al pilota su entrambi i lati dell’auto. La superficie riflettente di ogni retrovisore dev’essere larga almeno 120 mm, con altezza non al di sotto dei 50 mm. In più, ogni spigolo deve avere raggio non superiore a 10 mm. Un delegato della Federazione deve accertare che il pilota, seduto normalmente a bordo, possa individuare, senza difficoltà, veicoli alle sue spalle. Affinché ciò sia possibile, il pilota deve riuscire a leggere lettere e numeri, alti 150 mm e larghi 100 mm, posizionate liberamente, nei limiti che seguono: - altezza da 400 mm a 1.000 mm da terra; 49
- distanza laterale 2.000 mm dal livello dell’asse mediano della vettura; - distanza 10 m dietro l’asse posteriore. 14.6
Poggiatesta e protezione del capo
14.6.1
Tutte le vetture devono essere munite di tre superfici imbottite, per proteggere la testa del pilota, le quali: - sono assemblate in modo da poter essere rimosse come se costituissero un unico pezzo; - sono fissate mediante due spinotti orizzontali dietro la testa e altri due fermi posti agli angoli frontali, i quali devono essere chiaramente contrassegnati e asportabili con facilità, senza l’ausilio di utensili; - sono realizzate con materiale specificato dalla Federazione; - sono munite di una copertura, di materiale termoplastico, del peso specifico compreso fra i 60 e i 240 g/m2; - sono disposte in modo da essere il primo corpo con cui il casco viene a contatto in caso di incidente che lo proietti nella loro direzione.
14.6.2 La prima area di imbottitura per la testa deve trovarsi alle spalle del pilota, avere spessore compreso fra i 75 mm e i 90 mm e sviluppo superficiale di almeno 40.000 mm2. 14.6.3 Le altre due imbottiture devono essere poste longitudinalmente ai lati del casco. La parte alta di queste superfici dev’essere almeno pari al bordo superiore della cella di sopravvivenza lungo tutta la loro lunghezza. Ognuna deve essere spessa fra i 75 mm e i 90 mm su un’estensione di almeno 25.000 mm2 ed avere un raggio di almeno 10 mm lungo lo spigolo superiore interno. Per calcolare la loro area, si terrà in considerazione ogni componente più spessa di 75 mm e situata tra la faccia frontale dell’imbottitura dietro il casco e la parte anteriore del medesimo, a pilota normalmente seduto (si veda l’area B nel disegno 5.6). Lo spessore sarà misurato perpendicolarmente all’asse longitudinale. 14.6.4 Davanti alle superfici imbottite laterali, dev’essere sistemata un’ulteriore imbottitura dell’abitacolo su ogni lato del bordo. Lo scopo di questa aggiunta è di garantire protezione al capo in caso di impatto frontale obliquo e dev’essere 50
realizzata nel medesimo materiale delle altre tre aree imbottite. Dette protezioni devono: - essere collocate simmetricamente rispetto all’asse longitudinale e contigue alle imbottiture laterali; - avere un raggio non superiore a 10 mm sul bordo interno; - essere disposte in modo che la distanza fra esse non sia inferiore a 360 mm; - essere alte abbastanza da garantire comodità al pilota. 14.6.5 Tutte le imbottiture descritte devono essere installate in modo che il movimento della testa, lungo qualsiasi traiettoria in caso d’incidente, comprimendole completamente in ogni punto, non porti il casco a contatto con alcun elemento strutturale della vettura. Inoltre, a vantaggio degli uomini di soccorso, tutte le imbottiture devono essere fissate con dispositivi approvati dalla Federazione. Il procedimento di rimozione dev’essere chiaramente specificato. 14.6.6 Nessun lembo di protezione deve coprire alcuna porzione del casco quando il pilota si trova seduto normalmente e lo si osserva verticalmente dall’alto. 14.6.7 Per ridurre al minimo il rischio di infortunio alle gambe in caso d’incidente, porzioni aggiuntive di imbottitura devono essere poste ai lati e sopra le gambe del pilota. Questi elementi devono: - essere realizzati con materiale specificato dalla Federazione; - essere sottili non più di 25 mm lungo l’intera loro estensione; - coprire l’area posta fra due riferimenti, uno a 50 mm dietro il centro del livello in cui è posizionata la seconda struttura anti-ribaltamento, e l’altro 100 mm dietro la superficie del pedale più arretrato in posizione di rilascio, come mostrato nel disegno 5.6; - coprire l’area sopra la linea A-A, visibile nel disegno 5.5.
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ARTICOLO 15 – Strutture di sicurezza 15.2
Strutture anti-ribaltamento
15.2.1
Tutte le auto devono essere munite di strutture concepite per prevenire infortuni al pilota in caso di rovesciamento della vettura. La struttura principale dev’essere alta almeno 940 mm sopra il piano di riferimento e trovarsi 30 mm dietro la sagoma di ingresso nell’abitacolo. La seconda struttura dev’essere di fronte al volante, a non più di 250 mm di distanza rispetto alla sommità della corona, in qualsiasi posizione essa si trovi. Entrambe devono avere altezza sufficiente da far sì che, tracciando una linea congiungente i loro rispettivi punti più alti, il casco e il volante si trovino l’uno 70 mm e l’altro 50 mm al di sotto della suddetta linea.
15.2.4
Entrambe le strutture devono avere sezione trasversale minima di 10.000 mm2, in proiezione verticale, su un piano orizzontale 50 mm sotto al loro punto più alto.
15.3
Struttura alle spalle del guidatore Le parti della cella di sopravvivenza subito dietro il guidatore, che separino l’abitacolo dal serbatoio, e che si trovino a meno di 150 mm dall’asse longitudinale, si devono trovare non anteriormente rispetto alle linee a,b,c,d,e mostrate nel disegno 5.4.
15.4
Caratteristiche della cella di sopravvivenza
15.4.2 La cella deve avere un’apertura per il pilota, della quale il paragrafo 13.1 specifica le dimensioni minime. Qualsiasi altra apertura praticata nella cella deve avere le minime dimensioni necessarie all’eventuale accesso a parti meccaniche. 15.4.3 Una struttura ad assorbimento d’urto dev’essere montata davanti alla cella di sopravvivenza. Questo elemento non deve necessariamente costituire parte integrante della cella, ma essere solidamente assicurato ad essa; inoltre, deve presentare una minima sezione trasversale esterna, in proiezione orizzontale, di 9.000 mm2 quando tale misurazione viene effettuata 50 mm dietro il suo margine più avanzato. 52
15.4.4 Facendo riferimento al disegno 5.7: La larghezza esterna della cella di sopravvivenza, fra le linee B-B e C-C, non deve misurare meno di 450 mm e deve essere, su ogni lato, più larga di almeno 70 mm rispetto all’apertura di accesso all’abitacolo: questo riscontro si effettua lungo il profilo interno della medesima apertura, perpendicolarmente ad esso. Tale caratteristica deve mantenersi per un’altezza di almeno 350 mm. La cella di sopravvivenza può restringersi in avanti rispetto alla linea B-B ma, in tal caso, ciò deve avvenire linearmente fino ad una larghezza minima di 400 mm in corrispondenza della linea A-A. Fra le linee A-A e B-B, la larghezza della cella di sopravvivenza deve superare quella determinata dalle linee a-b. Tale minima larghezza, simmetrica rispetto l’asse longitudinale, deve mantenersi per un’altezza di almeno 400 mm sulla linea B-B, misura che può restringersi linearmente fino a 275 mm sulla linea A-A. Per la minima sezione trasversale esterna della cella sulla linea B-B sono consentiti raggi di raccordo, ai vertici, di 50 mm, e questi possono diminuire linearmente fino a 25 mm per la sezione riscontrata su A-A. L’altezza minima della cella di sopravvivenza, fra le linee A-A e B-B, non deve per forza essere simmetrica rispetto la mediana orizzontale del tratto in questione, ma dev’essere mantenuta per tutta la larghezza complessiva. La minima altezza della cella fra le linee B-B e C-C è di 550 mm. L’articolo appena riportato è l’ultimo di quelli modificati; il suo obiettivo è di incrementare la resistenza dell’abitacolo agli urti, in tutte le direzioni. La mia proposta riguarda la minima larghezza della sezione sulla linea A-A, portata da 300 mm a 400 mm, e la minima differenza di larghezza, su ogni lato, tra il bordo interno della luce d’accesso e il profilo esterno della cella, valore incrementato da 60 mm a 70 mm. Le due modifiche sono sensibilmente rilevanti, e potrebbero determinare numerose ripercussioni sugli articoli 13 e 14. Infatti, l’aumentata larghezza esterna della cella di sopravvivenza, estesa a tutta la sua lunghezza, comporterebbe sicuri guadagni in termini di prestazioni strutturali. Considerate, però, le caratteristiche meccaniche degli attuali materiali compositi, non diventerebbe indispensabile riempire con essi tutto il volume in più 53
occupato dalla scocca, per moltiplicare le già notevoli proprietà di resistenza: credo sarebbe sufficiente un minimo incremento dello spessore delle pareti laterali, potendo aumentare il volume delle imbottiture o lo spazio interno, a vantaggio della comodità del pilota. Da notare che non è stato modificato il limite minimo di altezza delle varie sezioni trasversali della cella, perché, consapevole dei benefici apportati dalle altre variazioni, ho preferito non penalizzare troppo la ricerca aerodinamica. Non scordiamo, infatti, quanto quest’ultimo aspetto, pur appartenendo all’esasperazione progettuale delle monoposto, possa contribuire alla sicurezza, in quanto un’aerodinamica efficiente garantisce un controllo della vettura più immediato e intuitivo. 15.4.5 Quando viene effettuato il test descritto nel paragrafo 13.1.1, e la sagoma è posizionata col bordo inferiore 525 mm sopra il piano di riferimento, la sagoma della cella di sopravvivenza dev’essere tale da non vedersi alcuna sua parte quando vista da entrambi i fianchi dell’auto. Le parti della cella ai lati del casco devono trovarsi a non più di 550 mm l’una dall’altra e, al fine di garantire buona visibilità laterale al pilota, quando questi è normalmente seduto a bordo, guardando avanti e a cinture allacciate, i suoi occhi devono stare sopra i fianchi della cella. 15.4.6 Per fornire più protezione al pilota in caso di impatto laterale, un pannello di prova piatto, di materiale uniforme, concepito in modo da riprodurre una porzione dei fianchi della cella, deve superare un test di resistenza. Le componenti interessate alla prova devono coprire un’area che: - sia alta almeno 250 mm in corrispondenza della linea A-A; - si accresca linearmente fino ad un’altezza di 400 mm in corrispondenza della linea B-B e rimanga tale fino all’estremità posteriore della cella di sopravvivenza; - non sia distante meno di 100 mm sopra il piano di riferimento fra la linea B-B e l’estremità posteriore della cella di sopravvivenza.
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Per concludere la sezione relativa alle riforme regolamentari, mancano solo i dettagli costruttivi delle due sponde laterali dell’ala anteriore. Di queste componenti, fondamentali nella logica di tutto il progetto, si è già parlato approfonditamente: non mi resta che ribadire la mia totale disponibilità a mettere in discussione ogni dettaglio della “F-Zero”. Il disegno che seguirà è molto particolareggiato, ma occorre tener presente che non dispongo del supporto sperimentale per dimostrare che sia il concetto di base, sia le quote, non necessitino di modifiche.
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Appendice A – Calcolo della sezione frontale Ho parlato dettagliatamente delle caratteristiche aerodinamiche della “F-Zero”. Cimentarsi nel calcolo della sezione frontale è assai delicato, anche considerando l’esasperazione con cui si progetta una vettura da competizione. Senza scendere troppo nei dettagli, che avrebbero comportato un procedimento di misurazione e calcolo matematico davvero lungo, ho preferito compiere una valutazione qualitativa, riducendo il margine d’errore il più possibile. D’altra parte, vi sono elementi di cui non conosco le specifiche reali, come lo spessore dei pannelli di sostegno degli alettoni posteriori, oltre a componenti di cui non ho realizzato il disegno esatto, come le varie superfici alari. Non trascurerei anche la curvatura della spalla dei pneumatici, fattore assai importante. È intuibile come risulti facile giocarsi, in eccesso o in difetto, svariati centimetri quadrati, preziosi per la ricerca aerodinamica. Il metodo di calcolo adottato si suddivide nei passi seguenti: 1) scegliere una vista, indifferentemente anteriore o posteriore; sul perimetro esterno del disegno (gomme comprese), individuare tutti i punti in cui avviene una variazione di curvatura (in altre parole, dove si nota un cambiamento di raggio o di orientamento della curva). In corrispondenza di ognuno, tracciare una linea orizzontale e una verticale, parallelamente agli assi di riferimento:
2) Congiungendo i punti (A, B, C…), si ottiene una linea spezzata che approssima la sagoma di contorno. La maggior parte 56
3)
4)
5)
6)
dell’area si calcola semplicemente sommando le varie aree dei rettangoli all’interno della figura e dei triangoli che si formano sul profilo esterno; Per i tratti di curvatura non trascurabile, che sarebbe errato approssimare con linee rette (si veda il tratto AB), considero uno dei suoi estremi e lo pongo all’origine di un riferimento cartesiano; determino, facendo attenzione, nel possibile, alle frazioni di millimetro, le coordinate dell’altro estremo e trovo l’equazione della retta che li congiunge. Integrando la funzione una volta, si ottiene l’equazione di una parabola; integrando ancora, si giunge ad una cubica e così via, cioè curve sempre più ampie. È sufficiente arrestarsi entro i primi due passaggi di integrazione per individuare una traiettoria che riproduca quasi fedelmente l’arco di disegno considerato. Calcolo l’integrale della funzione fra i due estremi e ottengo l’area di un triangolo rettangolo mistilineo (due lati sono segmenti, ma uno è curvo). Nell’esempio di figura, abbiamo la sezione BCD in cui si applica la formula dell’area del triangolo; nella porzione ABE si deve ricorrere all’integrale. Sommo tutti i valori di area trovati (nel mio procedimento sono 25 in tutto) e lo raddoppio per ragioni di simmetria.
I profili alari rappresentati nei disegni hanno una sezione frontale da massimo carico, quindi la peggiore possibile. Il valore a cui sono pervenuto è, esattamente, di 1.2573 m2. Una reale vettura di Formula 1, in configurazione da minimo carico, presenta una sezione frontale variabile tra i valori di circa 1.17 e 1.19 m2, il che dovrebbe lasciar intendere una discreta precisione del mio calcolo, oltre a un disegno della scocca dettato da concetti non penalizzanti. Nella pagina seguente, il Lettore potrà vedere riprodotti i fogli su cui ho scritto i miei ragionamenti.
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Appendice B – Le immagini (bozzetti di studio, disegni costruttivi, modello finale in scala 1:8)
PROGETTO “F-ZERO” (FORMULA 1 – ANNO ZERO)