Progetto e narrazione: tre racconti sul graphic design

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Progetto e narrazione Tre racconti sul graphic design

Antonio Altomare Giulia Ciliberto Roberto Picerno



Sommario

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Prefazione

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Il racconto fotografico Mimmo Castellano

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Moods

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Paese Lucano

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Noi Vivi

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Il montaggio Mauro Bubbico

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La coppia

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Carte per agrumi

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San Rocco

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L’archivio Centro Studi Torre di Nebbia

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Alta Murgia Bianco Nero

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Oggetti ritrovati La cultura agropastorale dell’Alta Murgia

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Guida al Parco Nazionale dell’Alta Murgia Natura e storia del primo Parco rurale d’Italia

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La Murgia nella Guerra Fredda Dai missili atomici agli itinerari della pace

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Diario di Jupiter

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Biografie

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Bibliografia

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Sitografia


«Questo testo è una galassia di significanti; […] vi si accede da più entrate di cui nessuna può essere decretata con certezza la principale; […] di questo testo assolutamente plurale, i sistemi di senso possono sì impadronirsi, ma il loro numero non è mai chiuso, misurandosi sull’infinità del linguaggio.» Roland Barthes, 1964


Prefazione

La narrazione è uno dei principali strumenti attraverso cui l’uomo conferisce senso e significato alla proprie esperienza del mondo, rielaborando i fatti e gli accadimenti del proprio vissuto e organizzandoli secondo modelli e repertori socio-culturalmente condivisi e quindi fruibili da parte della collettività. 1 Talvolta capita che il lavoro del progettista grafico, appropriandosi dei modelli e degli strumenti del narrare e applicandoli alla dimensione delle immagini, si configuri come un vero e proprio tentativo di narrazione visuale: al pari di ogni altra fonte di informazione, infatti, anche le immagini possono rappresentare la materia prima per l’elaborazione e la costruzione di un racconto. Progetto e narrazione - Tre racconti sul graphic design scaturisce proprio dalla volontà di indagare commistioni, contaminazioni e sovrapposizioni tra gli ambiti, entrambi multiformi e difficilmente codificabili, del progetto grafico e del racconto. Avvalendosi di un eterogeneo ventaglio di supporti (principalmente video-interviste, testi e repertori iconografici), la ricerca documenta il lavoro di alcuni attuali protagonisti del graphic design italiano nei termini di una loro peculiare e spiccata attitudine all’attività narrativa, che di volta in volta si concretizza secondo strumenti e finalità differenti. Trattandosi di un ambito di indagine estremamente vasto, si è deciso di contestualizzare la ricerca ad una regione geografica ben precisa, spesso svalutata e trascurata dal punto di vista della cultura progettuale seppure, come vedremo, sia degna di interesse e approfondimento al pari di molte altre regioni italiane: Mauro Bubbico, uno dei protagonisti della nostra ricerca, è lucano; tutti gli altri, ossia Mimmo Castellano e i fondatori del Centro Studi Torre di Nebbia, sono invece pugliesi. Durante gli anni Sessanta, Mimmo Castellano si cimentò con la dimensione narrativa servendosi di un medium particolarmente caro agli esponenti della corrente neorealista, il racconto fotografico, in cui il discorso narrativo generale scaturisce dall’accostamento visivo e semantico tra le singole immagini che lo compongono; le composizioni visive di Mauro Bubbico, invece, sono spesso il risultato di una complessa opera di montaggio tra segni, linguaggi, contenuti e racconti preesistenti che, rielaborati e mescolati secondo configurazioni inedite e inusuali, si caricano ogni volta di nuovi sensi e significati; il lavoro del Centro Studi Torre di Nebbia, infine, rappresenta un esemplare tentativo volto alla ricostruzione di un’identità territoriale profondamente compromessa, quella dell’Alta Murgia, attraverso il

1 Cfr. Maura Striano, “La narrazione come dispositivo conoscitivo ed ermeneutico”, Academic Journal Database, http://www.journaldatabase.org/articles/narrazione_come_dispositivo.html, ultimo accesso: settembre 2011.

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recupero e l’archiviazione del suo patrimonio storico, culturale e iconografico e una conseguente opera di divulgazione rivolta in prima istanza alle stesse popolazioni locali. Le tre sezioni in cui questo volume è diviso analizzano in dettaglio il lavoro di questi professionisti, evidenziando caso per caso un particolare modo di dare forma al testo visivo e di articolarlo secondo una narrazione; al volume è inoltre allegato un DVD contenente le video-interviste realizzate in occasione dei nostri incontri con i designer, in cui essi illustrano in prima persona alcuni particolari aspetti del proprio lavoro come narratori. Il volume e le video-interviste lavorano in modo imprescindibile l’uno rispetto alle altre, dialogando e integrandosi vicendevolmente e favorendo una fruizione non lineare dei contenuti. Infatti, a monte di una suddivisione necessariamente rigorosa e schematica, ciò che emerge è un compendio estremamente variegato ed eterogeneo di narrazioni stratificate secondo più livelli, che attingono in egual misura dal percorso professionale dei designer così come dal loro vissuto personale e, più in generale, dalle immagini, le storie, i linguaggi e i segni che animano il territorio in cui essi operano. Frammenti di esperienza individuale si amalgamano così a narrazioni visive preesistenti, appartenenti alla memoria collettiva e collettivamente fruibili. In tal senso, il lavoro di questi designer rappresenta un fondamentale contributo al patrimonio iconografico del territorio poiché, come scrisse Bruno Munari nel 1972, «conoscere le immagini che ci circondano vuol dire anche allargare le possibilità di contatti con la realtà; vuol dire vedere di più e capire di più». 2

2 Bruno Munari, Design e comunicazione visiva, Economica Laterza, Editori Laterza, Bari, 2002, p. 16.

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Il racconto fotografico Mimmo Castellano

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All’interno della vasta e poliedrica produzione di Mimmo Castellano l’esperienza del racconto fotografico si configura come un approccio concreto e consapevole alla dimensione narrativa. Fra il 1960 e il 1968 Castellano realizzò Moods, Paese Lucano e Noi Vivi, tre libri fotografici destinati nel loro insieme a testimoniare il valore di Castellano come designer, come fotografo e, in ultima istanza, come narratore. Il ricorso al mezzo fotografico è espressione di una dialettica costante e volutamente non risolta, quella fra la grafica e la fotografia, intrinseca a tutta l’attività di Castellano, in cui le due discipline sconfinano frequentemente l’una nel dominio dell’altra sovrapponendosi e integrandosi senza mai la necessità di netta prevaricazione. All’epoca della pubblicazione dei tre libri il racconto fotografico era già stato oggetto di riflessione e sperimentazione da parte di numerosi designer e teorici dell’immagine. Per Castellano, il suggerimento a cimentarsi con questa dimensione narrativa provenne da un illustre teorico della cultura fotografica italiana, Luigi Crocenzi, di cui fu peraltro profondamente amico. Crocenzi credeva profondamente nel ruolo culturale e sociale della fotografia, e nel 1956 aveva fondato il “Centro per la Cultura nella Fotografia” a Fermo, nelle Marche, che per diversi anni svolse il ruolo di propulsore della cultura fotografica italiana attraverso l’organizzazione di un gran numero di eventi, mostre, convegni e collaborazioni con riviste e case editrici. La ricerca di Crocenzi sul fotoracconto era iniziata già molti anni prima, nel 1946, con la pubblicazione di alcuni brevi racconti per immagini sulla rivista di politica e cultura Il Politecnico, diretta da Elio Vittorini. La collaborazione con Vittorini proseguì negli anni seguenti, che furono dedicati alla realizzazione del reportage fotografico da integrare all’edizione illustrata del romanzo Conversazione in Sicilia, pubblicata da Bompiani nel 1953. Crocenzi fu probabilmente il più convinto e appassionato sostenitore italiano del racconto fotografico, di cui teorizzò il ruolo sociale, esplorò le specificità linguistiche e rivendicò il potenziale narrativo, troppo spesso svalutato rispetto all’istantaneità del racconto cinematografico. Per Crocenzi il fotoracconto assomiglia a “un film immobile sulla pagina stampata” 1, da cui il fatto narrato emerge attraverso l’accostamento di immagini e didascalie organizzate secondo una sequenza in cui il linguaggio fotografico si fonde con quello letterario. Il senso di ogni immagine, di ogni unità di racconto, è intrinseco all’immagine stessa ma al contempo viene modificato da quello dalle immagini contigue, secondo il complesso gioco di riverberi che costituisce il ritmo stesso del racconto. Ed è proprio ciò che accade sfogliando i racconti di Castellano: le immagini si succedono, alludono l’una all’altra, si articolano in una sequenza che scandisce il percorso narrativo. Anche la parola scritta partecipa al gioco degli accostamenti, sotto forma di brevi

1 Luigi Crocenzi, cit. in “Luigi Crocenzi”, Comune di Montegranaro, http://www.comune. montegranaro.fm.it/index.php?action=index&p=251, ultimo accesso: agosto 2011.

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didascalie o componimenti poetici. La struttura narrativa dei racconti non si esaurisce nella sequenza di testi e immagini, ma si articola secondo diversi livelli di significato: in Moods e Noi Vivi le immagini sono ordinate per capitoli o gruppi tematici (“Personaggi, trofei e fortezze”, “La città dei vivi, la città dei morti”); in Paese Lucano, invece, ad ogni immagine è assegnato un titolo specifico (“Campagna di Ferrandina: la trebbia”, oppure “Cesti di giunco”). Con Moods (1960) Castellano rievoca i propri ricordi d’infanzia: la luce accecante e le ombre nette - ottenute grazie alla pellicola ad alto contrasto Kodalith - fanno da sfondo al dialogo con personaggi immaginari, all’apparizione di mostri ed emblemi, alle sensazioni ancestrali che rimangono vivide nel ricordo. Il titolo Moods è a sua volta legato a un ricordo d’infanzia, la canzone In The Mood di Glen Miller, diffusasi a macchia d’olio per l’Italia nei giorni successivi alla caduta del nazi-fascismo, vero e proprio inno alla liberazione italiana dall’oppressione del regime. Paese Lucano (1964), frutto della collaborazione di Castellano con l’amico poeta e pubblicitario Leonardo Sinisgalli, è un importante reportage fotografico commissionato dall’ENI in occasione dell’apertura di nuovi giacimenti petroliferi in Lucania e rappresenta un’opera di inestimabile valore culturale e iconografico. In questo caso il racconto è espediente documentario: ci si immagina di viaggiare per la Lucania attraverso lo sguardo di un pellegrino, che via via entra in contatto con le molteplici entità che popolano il territorio: dapprima le montagne, i campi, gli animali e poi i paesi, le persone, gli artefatti, i rituali. Alle immagini si alternano brevi componimenti poetici, di Sinisgalli o di altri autori lucani. In Noi Vivi (1968), liberamente ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, Castellano indaga l’immaginario collettivo della morte e della commemorazione dei defunti attraverso una serie di immagini scattate principalmente nei piccoli cimiteri di Puglia e Lucania (ma anche in grandi città come Roma, Firenze, Londra). Umberto Eco scrisse una breve prefazione al libro, ricordando che «rito e monumento funebre servono a ricordare ai vivi che la morte non deve dare terrore e può essere integrata alla vita. In questo senso […] non riguardano il defunto, ma i dolenti. Se volete cogliere l’immagine della morte aggiratevi nel mondo dei vivi». 2 Le seguenti pagine contengono una rassegna di pagine tratte dai libri di Castellano, piccola collezione di vere e proprie “unità narrative” dei suoi racconti. I libri sono presentati in ordine cronologico, e la disposizione delle immagini segue la successione che esse hanno nel libro. Per ogni racconto si è tentato di evocare almeno una sfumatura dell’originale ritmo narrativo, determinato sia dalla forza evocativa delle singole immagini che dai vicendevoli richiami e riferimenti che, attraverso la sequenza, vengono a crearsi tra un’immagine e l’altra. A questo proposito, alcune di esse sono presentate

2 Umberto Eco (prefazione a), Mimmo Castellano, Noi Vivi, Dedalo Edizioni, Bari, 1968, p. 5.

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a pagina intera, altre invece sono accostate alle immagini che realmente le precedono o le succedono nel corso del racconto. Inoltre, per sottolineare il ruolo e il significato di ogni immagine all’interno della racconto, sono stati evidenziati il capitolo di riferimento, nel caso di Moods e Noi Vivi 3 , oppure il titolo di ciascuna fotografia, nel caso di Paese Lucano.

3 La versione di Noi Vivi qui riportata, mai stata pubblicata, presenta diverse variazioni rispetto all’edizione del 1968, tra cui l’aggiunta di alcune fotografie scattate a Londra presso l’abbazia di Westminster, in occasione di una cerimonia commemorativa dei caduti britannici durante la Seconda Guerra Mondiale.

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Moods

Anno: 1960 Casa editrice: Leonardo Da Vinci Editrice, Bari Formato: cm 24 x 27 Pagine: 110

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Personaggi, trofei e fortezze

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Il trabucco

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Porte e chiavistelli

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Il cerchio

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Superfici

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Paese Lucano

Anno: 1964 Casa editrice: Amilcare Pizzi Edizioni, Milano Formato: cm 28 x 32 Pagine: 238

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Campagna di Ferrandina: la trebbia

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Lagonegro

Pastore del Serino / Greggi del Serino

Castel Saraceno / Legnaia a Montemurro

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Policoro

Ferrandina

Ferrandina

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Muro Lucano

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Grande cucchiaio con gallina

Rocchetti

Cesti di giunco

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Ex voto

Ex voto

Trofeo di San Rocco a Montemurro

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Noi Vivi

Anno: 1968 Casa editrice: Dedalo Edizioni, Bari Formato: cm 24 x 27 Pagine: 120

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La cittĂ dei vivi, la cittĂ dei morti

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Memorial Day a Westminster

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Divagazioni

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I fiori secchi

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Il montaggio Mauro Bubbico

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La fase del montaggio è connaturata all’attività di progetto, e più in generale ad ogni processo di creazione artistica o letteraria: il montaggio entra in gioco al momento di assemblare fra loro gli elementi costitutivi del progetto determinando il senso generale attraverso una composizione scandita da proprie logiche narrative, ritmiche ed espressive. Il ricorso a tecniche di montaggio e manipolazione delle immagini ha una storia lunga e articolata, che affonda le proprie radici nella diffusione capillare della fotografia e della ritrattistica avvenuta a partire dagli anni Quaranta del XIX secolo. Come spesso accade, i primi esperimenti in questa direzione furono intrapresi quasi per gioco, da alcune nobildonne vittoriane il cui bizzarro passatempo consisteva nel ritagliare fotografie di familiari, amici e conoscenti e integrarle con raffigurazioni di paesaggi immaginari o parti del corpo di animali, con un effetto onirico e non di rado conturbante. Perché un discorso teorico sul montaggio giunga a piena maturazione bisogna aspettare i primi decenni del XX secolo; le avanguardie moderniste, in particolar modo quelle russe e tedesche, indagarono e portarono alle estreme conseguenze il discorso sul montaggio, sia sul piano tecnico che su quello sematico, facendovi confluire tutto il fermento e le contraddizioni di un’epoca segnata da forti tensioni politiche e sociali, le stesse che negli anni a venire avrebbero portato all’ascesa del nazismo e allo scoppio della seconda guerra mondiale. Il regista Sergej Ejzenstejn, padre del cinema russo e autore della Teoria generale del montaggio (1937), sosteneva la necessità e l’imprescindibilità del montaggio a tutti i livelli della creazione artistica: esso (“scontro degli opposti, comparazione, compenetrazione, sinestesia”1) è metafora dei continui cambi di condizione, stato emotivo e personalità che caratterizzano la vita dell’uomo contemporaneo. Negli stessi anni, sempre in Russia, il formalista Viktor Sklovskij lavorava sul processo dello straniamento a partire da metodologie proprie del linguaggio letterario ma estendibili a qualunque altro tipo di discorso narrativo. Per straniamento si intende la presentazione di fatti ordinari attraverso punti di vista inconsueti, in modo tale da generare cortocircuiti di senso fra la realtà narrata e quella oggettiva. Sklovskij riteneva che «se ci mettiamo a riflettere sulle leggi generali della percezione vediamo che, diventando abituali, le azioni diventano meccaniche» 2 : lo straniamento, evidenziando gli aspetti meno ovvi e scontati della realtà quotidiana, consente di riappropriarsene e di percepirla in modo libero e non condizionato. Le sperimentazioni sul fotomontaggio e sul collage, portate all’apice espressivo nelle arti visive e nel graphic design, si contraddistinsero per l’estrema deliberatezza e irriverenza negli accostamenti fra immagini dotate di una profonda carica simbolica. I dadaisti berlinesi Raoul Hausmann e John Heartfield iniziarono a lavorare sul montaggio delle immagini nel clima

1 Enrico Piferi, “Heartfield-Ejzenstejn: il montaggio come “forma simbolica” dell’arte proletaria e rivoluzionaria”, Luxflux, http://www.luxflux.net/n12/drills1.htm, ultimo accesso: agosto 2011. 2 Viktor Sklovskij, L’arte come straniamento, Mosca, 1917.

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di sconfitta e miseria che si respirava in Germania dopo la fine della Grande Guerra. Heartfield, nell’urgenza di smascherare le ipocrisie borghesi, traduce il fotomontaggio dadaista in strumento di graffiante satira politica. «Le foto venivano ritagliate, incollate insieme in modo provocante, collegate tra loro con disegni i quali pure venivano tagliati e intramezzati con pezzi di giornale o di vecchie lettere o di quel che capitava, pur di cacciare nelle fauci di un mondo impazzito la sua stessa immagine» 3 . Quasi contemporaneamente i russi El Lissitzky e Alexander Rodchenko iniziavano a impiegare il fotomontaggio nel progetto di manifesti pubblicitari o di propaganda politica, ritenendo la narrazione per immagini uno strumento adeguato per comunicare con un popolo estremamente numeroso e poco alfabetizzato, quale era quello della Russia leninista. Nessuna di queste teorie e applicazioni del montaggio presuppone l’originalità dei materiale impiegato e l’omogeneità delle fonti; al contrario, tutte insistono sull’assunzione del reale come materia costruttiva e sulla legittimazione del metodo del collage a tutti i livelli della creazione artistica. Già con le prime avanguardie iniziarono a fiorire quelle pratiche di appropriazione, citazione e accostamento fra le immagini più disparate che poi, radicalizzandosi, sarebbero divenute appannaggio irrinunciabile degli autori postmoderni. Il Quaderno Aiap Grafica: la cultura del progetto, del 1989, è dedicato interamente ai tema del riciclo, del prestito dichiarato e della manipolazione di materiale preesistente. «L’opera svolta dal grafico è […] di riciclaggio. Si recuperano materiali ed energie e, dopo opportuno trattamento, si riutilizzano». 4 La massima libertà di appropriazione e di accostamento fra le immagini determina la possibilità di rivelare gli aspetti insoliti del quotidiano, produrre il nuovo, aumentare la conoscenza. Ad oggi c’è anche chi, come Giovanni Baule, si interroga sulle sorti del montaggio nell’era digitale, notando come al “continuo arricchimento delle tecnologie del montaggio” corrisponda un relativo “impoverimento della trama dei riferimenti”. Lo studioso invita i designer di oggi a relazionarsi consapevolmente con la dimensione del montaggio, senza lasciarsi sopraffare dalle facilitazioni tecniche e gli automatismi delle nuove tecnologie, ma anzi con un costante riferimento all’opera dei grandi autori del passato, capaci di «costruire con materiali e suggestioni diverse, rubare a mondi “altri” e disporre di una tecnica e di linguaggi capaci di legare tutto questo». 5 Il lavoro del graphic designer Mauro Bubbico rappresenta in questo senso un caso emblematico; le immagini riportate nelle pagine seguenti mostrano come Bubbico applichi con frequenza, consapevolezza e maestria le tecniche e i metodi del montaggio alla dimensione del progetto grafico.

3 Hans Richter, Dada - Arte e Anti Arte, Passim, Milano, 1966. 4 Enrico Camplani, Gianluigi Pescolderung in Gianfranco Torri (a cura di), Grafica: la cultura del progetto, Quaderno Aiap n° 13 - 14, Aiap Edizioni, Milano, 1989, p. 52. 5 Giovanni Baule, Lessico, in Valeria Bucchetti (a cura di), Culture visive. Contributi per il design della comunicazione, Edizioni Polidesign, Milano, 2007.

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Un primo caso consiste nel ricorso al medesimo tema visivo nell’affrontare contesti e discorsi narrativi di volta in volta differenti: alcuni anni fa, in occasione del matrimonio di due amici, Bubbico realizzò un’illustrazione raffigurante un uomo, una donna e un bambino circondati da una composizione di elementi visuali evocativi del vivere quotidiano, come animali, piante, utensili domestici, caratteri tipografici disposti a comporre il messaggio di buon augurio “proteggi la mia casa”. La stessa illustrazione fu utilizzata, con altri colori e circondata da elementi visivi differenti, nel progetto Proteggi la mia tipografia, realizzato per la tipografia milanese Bianca e Volta. Il tema della coppia ricorre anche in altri lavori di Bubbico, come nel manifesto per la promozione del Carnevale di Valsinni in cui sono rappresentati, travestiti da scheletri, la poetessa Isabella Morra e il barone spagnolo Diego Sandoval De Castro, protagonisti di una sfortunata storia d’amore svoltasi proprio nella città di Valsinni all’inizio del XVI secolo. Infine, nel progetto Vero Lucano, commissionato da uno dei più antichi panifici artigianali della città di Matera, una coppia di panettieri in abito tradizionale fornisce le istruzioni per cucinare alcuni piatti tipici della civiltà contadina, con attorno le illustrazioni degli ingredienti necessari per la preparazione delle ricette. Nel 2010 Bubbico realizzò il progetto di dodici differenti carte per avvolgere le arance, con l’intento di farle realmente circolare per i mercati nazionali. Ogni carta riporta sinteticamente la storia di uno degli omicidi perpetrati della mafia in Italia, dalla strage di Portella della Ginestra del 1947 fino alla vicenda di Giuseppe di Matteo, figlio di un collaboratore di giustizia, ucciso nel 1996 all’età di soli quindici anni. In questo caso la tecnica del montaggio si concretizza attraverso il riferimento ad una fonte iconografica preesistente - il linguaggio visivo peculiare delle carte per agrumi - e la sua declinazione ai fini di un discorso narrativo altrimenti estraneo: proprio come teorizzava Sklovskij agli inizi del Novecento, l’accostamento inusuale fra due distinti universi semantici fa sì che essi si rafforzino e vivifichino a vicenda, sviluppando nuovi percorsi di senso e significato. Un’ulteriore declinazione del metodo del montaggio è applicata al progetto per la promozione degli eventi organizzati dal comune di Montescaglioso in occasione della festa patronale del 2011. Con un riferimento alle Città Invisibili di Italo Calvino, eterne e cangianti al tempo stesso, Bubbico recupera elementi appartenenti all’iconografia del territorio e della festa (gli stemmi della città, le decorazioni sugli edifici, l’effigie del patrono San Rocco, i carri, i cavalli...) e dà vita ad un alfabeto visuale in grado di generare configurazioni, sovrapposizioni ed effetti percettivi sempre diversi e riflettere le molteplici sfaccettature dell’ambiente urbano nei giorni della festa.

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La coppia

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Carte per agrumi

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San Rocco

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L’archivio Centro Studi Torre di Nebbia

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La memoria storica di un territorio dà forma al territorio stesso, e costituisce la base per la considerazione che di esso hanno i suoi abitanti; Eugenio Turri scrive che «nel paesaggio possiamo trovare il riflesso della nostra azione, la misura del nostro vivere ed operare nel territorio (inteso questo come lo spazio nel quale operiamo, ci identifichiamo, nel quale abbiamo i nostri legami sociali, i nostri morti, le nostre memorie, i nostri interessi vitali, punto di partenza della nostra conoscenza del mondo)» 1 . Talvolta accade che la memoria collettiva di un territorio venga compromessa, o addirittura del tutto rimossa, a causa della disinformazione e l’indifferenza delle popolazioni che la abitano, oppure in seguito all’occorrenza di eventi particolarmente spiacevoli e drammatici che ne pregiudicano l’identità. L’Alta Murgia, ad esempio, territorio di quasi settantamila ettari situato nell’entroterra barese, da poco istituito Parco Nazionale e riconosciuto come il primo parco rurale italiano, possiede un’identità territoriale estremamente debole pur rappresentando un luogo di grande interesse storico, antropologico e culturale. Ciò dipende in parte da una forte e diffusa presenza militare che, a partire dagli anni del secondo dopoguerra, è fonte di continui disagi e tensioni; negli anni Sessanta, durante la Guerra Fredda, su Alta Murgia e zone limitrofe furono installate dieci basi missilistiche americane Jupiter a testata atomica a totale insaputa delle popolazioni locali. I missili furono smantellati pochi anni dopo, ma cedettero il posto a un gran numero di basi e poligoni di tiro militari. In aggiunta a ciò, l’Alta Murgia è considerata dai suoi stessi abitanti come un territorio duro, impervio, difficilmente coltivabile, addirittura malaugurato, da cui il più delle volte è meglio affrancarsi. Il Centro Studi Torre di Nebbia, con sede ad Altamura, a pochi passi dal Parco dell’Alta Murgia, si confronta da anni con la percezione negativa che gli abitanti hanno del territorio e rappresenta uno dei più riusciti tentativi in termini di recupero, documentazione e riconfigurazione dell’identità locale e della memoria collettiva. Il Centro Studi Torre di Nebbia nacque nel 1988 in qualità di osservatorio culturale permanente sull’area geografica dell’Alta Murgia, «al fine di approfondirne la conoscenza e di individuare le linee guida di una politica di tutela e di valorizzazione della sua storia e del suo ambiente». 2 Il nome stesso “Torre di Nebbia” deriva da quello dal più grande dei poligoni militari presenti sull’Alta Murgia: ciò è emblematico degli sforzi del Centro nel veicolare una percezione del territorio diversa da quella comunemente condivisa. Il Centro fu fondato da un gruppo di giovani di formazione piuttosto eterogenea (un graphic designer, un filosofo, un ingegnere elettronico, un architetto, un avvocato), attivi già da qualche anno nell’organizzazione di marce e manifestazioni di protesta contro il ricorrente sfruttamento del territorio 1 Eugenio Turri, Il paesaggio come teatro - Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio, Venezia, 2001, p. 12. 2 “Il Centro Studi Torre di Nebbia”, Altramurgia.it - Il portale di informazioni dell’Alta Murgia, http://www.altramurgia.it/index.php?option=com_content&task=view&id=69&Itemid=243, ultimo accesso: settembre 2011.

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a fini militari. I membri fondatori si impegnarono ad organizzare le “marce della pace” anche durante gli anni successivi, sollecitando in prima linea il riconoscimento dell’Alta Murgia come Parco Nazionale, avvenuto infine nel 2004 dopo un iter istitutivo lungo e cavilloso. Parallelamente all’organizzazione di marce e iniziative di protesta, il Centro diede il via da subito a una vasta serie di progetti paralleli, alcuni dei quali ancora oggi in piena attività. Nell’anno stesso della fondazione, i soci del Centro acquistarono per pochi soldi una vecchia masseria situata lungo la strada fra Corato e Altamura, un edificio cadente e disastrato che negli anni successivi si impegnarono faticosamente a restaurare, improvvisandosi muratori e imparando letteralmente a impastare il cemento. Attualmente la masseria Martucci è la sede ufficiale del Centro e ospita numerose attività di promozione culturale, come mostre, simposi, conferenze e workshop oltre che un cospicuo archivio di materiale sia fotografico, circa 30000 diapositive del territorio murgiano, e documentario, comprendente la rassegna stampa del Centro e tutti i documenti relativi alle attività da esso svolte fin dagli anni della sua fondazione. Torre di Nebbia è anche una casa editrice che, nel corso degli anni, ha prodotto una serie pubblicazioni eterogenee ma accomunate dall’impegno verso la valorizzazione del territorio e dalla ricerca di una commistione fra attivismo politico, ambientalismo e cultura. Libri fotografici come Alta Murgia Bianco Nero o antologie come Oggetti ritrovati - La cultura agropastorale dell’Alta Murgia contribuiscono a ricostruire l’alfabeto visuale del luogo attraverso le immagini e i segni che lo popolano, mentre la meticolosa Guida al Parco Nazionale dell’Alta Murgia rappresenta il primo tentativo di compendiare e rendere fruibili da parte della collettività un gran numero di informazioni di carattere naturalistico, storico e culturale su un territorio che altrimenti non verrebbe neanche percepito e riconosciuto come tale. Altri progetti editoriali hanno ampio respiro e non si esauriscono nella singola pubblicazione: la ricostruzione storica e documentaria della vicenda dei missili Jupiter ha già dato vita, per il momento, a due piccoli volumi (La Murgia nella guerra fredda - Dai missili atomici agli itinerari della pace e il recentissimo Diario di Jupiter, testimonianza originale di un militare che all’epoca partecipò alla costruzione di una delle basi missilistiche), ispirando ex novo una trasposizione teatrale dei fatti a cura della compagnia Teatro Minimo di Andria e un documentario di carattere storico realizzato per History Channel nei primi mesi del 2011. Nel suo insieme, il lavoro di ricerca portato avanti dal Centro Studi Torre di Nebbia mira a riconnettere l’uomo con l’ambiente attraverso un’opera di rieducazione percettiva che non prevede l’uso di stereotipi o nostalgiche edulcorazioni del passato: al contrario,

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si tende ad infondere nel pubblico un senso critico tale da favorire una fruizione consapevole del territorio e nuovi modi per viverne e sperimentarne gli spazi, e soprattutto lo sviluppo di una coscienza locale, ma non localistica, aperta al confronto con altre aree del mondo che vivono analoghe tensioni e volontĂ di riscatto.

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Alta Murgia Bianco Nero

Anno: 2002 Formato: cm 28,5 x 28,0 Pagine: 199

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Oggetti ritrovati La cultura agropastorale dell’Alta Murgia

Anno: 2005 Formato: cm 17,0 x 23,2 Pagine: 143

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Guida al Parco Nazionale dell’Alta Murgia Natura e storia del primo Parco Rurale d’Italia

Anno: 2005 Formato: cm 15,5 x 27,5 Pagine: 251

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La Murgia nella Guerra Fredda Dai missili atomici agli itinerari della pace

Anno: 2008 Formato: cm 17,0 x 24,0 Pagine: 144

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Diario di Jupiter

Anno: 2010 Formato: cm 11,5 x 16,8 Pagine: 80

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Biografie

Mimmo Castellano è nato a Gioia del Colle (BA) nel 1932. Dopo il conseguimento della maturità classica ha iniziato a lavorare a Bari come graphic designer, progettando i padiglioni RAI, Italsider, INA, Alitalia e SME presso la Fiera del Levante e curando per quasi un quarto di secolo l’immagine della casa editrice Laterza. Nel 1967 si è trasferito a Milano, dove ha vissuto per anni esercitando la libera professione. Autore di diversi libri di fotografia, grafica ed etnologia, è membro AGI e socio onorario AIAP. Ha insegnato presso l’Accademia di Belle Arti di Bari dal 1970 al 1971, presso l’ISIA di Urbino nel 1981 e presso l’Istituto Europeo di Design dal 1985 al 2004. Attualmente risiede a Trezzano sul Naviglio (MI) e dedica la maggior parte del proprio tempo alla ricerca nel campo dell’informatica applicata al design, alla grafica e alla fotografia.

Mauro Vincenzo Bubbico è nato a Montescaglioso (MT) nel 1957. Si è diplomato al corso di scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, città dove ha in seguito lavorato come illustratore e progettista free lance presso varie agenzie e studi grafici. In seguito ha collaborato con Mario Cresci a Matera. Nel 1986 ha fatto ritorno nella sua città natale, dove attualmente risiede e lavora come grafico professionista. È stato consigliere AIAP dal 1999 al 2006, e docente presso il Politecnico di Bari dal 2004 al 2007. Dal 2007 insegna design della comunicazione visiva presso l’ISIA di Urbino.

Il Centro Studi Torre di Nebbia è stato fondato ad Altamura (BA) nel 1988 da Nino Perrone, Piero Castoro e Aldo Creanza in qualità di Osservatorio Permanente sul territorio dell’Alta Murgia al fine di valorizzarne e tutelarne il patrimonio storico, antropico e ambientale. Da anni l’attività del Centro si concretizza in una serie di iniziative di carattere politico e culturale, fra cui l’organizzazione di manifestazioni per la liberazione del territorio dai numerosi presidi militari che lo occupano, l’impegno per il riconoscimento istituzionale di un Parco Nazionale dell’Alta Murgia, la costituzione di un archivio iconografico e documentario relativo a quest’area geografica, la pubblicazione di libri tematici. Il Centro ha sede nella storica Masseria Martucci, collocata tra Castel del Monte e il Castello del Garagnone, in prossimità del Parco Nazionale.

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Bibliografia

AA.VV., Guida al Parco Naturale dell’Alta Murgia - Natura e storia del primo Parco rurale d’Italia, Torre di Nebbia, Altamura, 2005. AA.VV., Oggetti ritrovati - La cultura agropastorale dell’Alta Murgia, Torre di Nebbia, Altamura, 2005. AA.VV., La Murgia nella Guerra Fredda - Dai missili atomici agli itinerari della pace, Centro Studi Torre di Nebbia, Altamura, 2008. Barthes Roland, S/Z, Einaudi, Torino, 1970. Bucchetti Valeria (a cura di) Culture visive. Contributi per il design della comunicazione, Edizioni Polidesign, Milano, 2007. Castellano Mimmo, Moods, Leonardo Da Vinci Editrice, Bari, 1960. Castellano Mimmo, Paese Lucano, Amilcare Pizzi Edizioni, Milano, 1964. Castellano Mimmo, Noi Vivi, Dedalo Edizioni, Bari, 1968. Centro Studi Torre di Nebbia (a cura di), Diario di Jupiter, Torre di Nebbia, Altamura, 2010. Centro Studi Torre di Nebbia (a cura di), Alta Murgia Bianco Nero, Torre di Nebbia, Altamura, 2002. Munari Bruno, Design e comunicazione visiva, Economica Laterza, Editori Laterza, Bari, 2002. Richter Hans, Dada - Arte e Anti Arte, Passim, Milano, 1966. Torri Gianfranco (a cura di), Grafica: la cultura del progetto, Quaderno Aiap n° 13 - 14, Aiap Edizioni, Milano, 1989. Turri Eugenio, Il paesaggio come teatro - Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio, Venezia, 2001.

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Sitografia

Academic Journal Database, http://www.journaldatabase.org Altramurgia.it - Il portale di informazioni dell’Alta Murgia, http://www.altramurgia.it Comune di Montegranaro, http://www.comune.montegranaro.fm.it Luxflux, http://www.luxflux.net

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UniversitĂ IUAV di Venezia A.A. 2010 / 2011 Laboratorio di Design della Comunicazione 1 Prof. Leonardo Sonnoli Antonio Altomare Giulia Ciliberto Roberto Picerno Progetto e narrazione Tre racconti sul graphic design Testi composti in: Akzidenz Grotesk BQ Regular Akzidenz Grotesk BQ Bold Stampato nel mese di settembre 2011

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