2021, uno sguardo sul Natale

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le lezioni all’unitrè di alassio

2021. uno sguardo sul

NATALE


NATALE…VISSUTO, GUARDATO..

QUESTO E’ NATALE….

ANCHE QUESTO E’ NATALE..


1) L’ORIGINE DEL NATALE 1.1) Etimo di Natale. Dal latino natus nato, più il suffisso - alem che indica appartenenza. Fin dal significato della parola appare evidente l’importanza che gli esseri umani danno a ciò che evoca questa definizione.

Come spesso accade nella storia dell’umanità, gli esseri umani hanno bisogno di sentirsi parte di un Mistero più grande: associare la propria nascita alla nascita, anzi alla ri/nascita della vita dopo un periodo di morte apparente conforta, è una sorta di testimonianza di immortalità che aiuta a superare le difficoltà della vita e da un senso all’esistenza stessa.

Per inspiegabile che sembri, la data di nascita di Cristo non è nota. I vangeli non ne indicano né il giorno né l’anno […] fu assegnata la data del solstizio d’inverno perché in quel giorno in cui il sole comincia il suo ritorno nei cieli boreali, i pagani che adoravano Mitra celebravano il Dies Natalis Solis Invicti (giorno della nascita del Sole invincibile). - Nuova enciclopedia cattolica dell’Ordine Francescano (1941) Intorno al Solstizio di Inverno ci celebravano riti propiziatori fin dall’antichità più remota.

Il Sole illumina, scalda, fa crescere i germogli, favorisce la caccia..un Sole indebolito significa pericolo di vita, un sole che si rafforza infonde speranza nel futuro. Quando il ciclo della vita coincideva con il ciclo della natura, farsi amica una potenza incredibile come quella sprigionata dal Sole mediante il transfer del rito era evidentemente una cosa naturale, come era naturale “aiutare” il Sole a rinascere con fuochi rituali che infondono luce e calore ( come la tradizione ancora viva di bruciare un ceppo nel camino la sera del 24 dicembre), con abbondanti libagioni propiziatorie di benessere e fertilità ( e anche questa tradizione resiste al tempo che passa)

Il termine solstizio viene dal latino solstitium, che significa letteralmente “sole fermo” (da sol, “sole”, e sistere, “stare fermo”). Infatti tra il 21 e il 24 dicembre il Sole, sopratutto in prossimità dell’Equatore, sembra fermarsi sopraffatto dalla fatica e poi dalle tenebre. Infatti il giorno del Solstizio d’Inverno è il più breve dell’anno e la notte la più lunga. E dal 25 ricomincia a rafforzarsi.

Curiosamente è proprio il 25 dicembre a segnare il momento della ri/nascita in culture distanti tra loro nel tempo e nei luoghi.

“ A Maeshowe ( Orkneys, Scozia) si erge un tumulo datato (con il metodo del carbone radioattivo) 2750 a.C. All’interno del tumulo c’è una struttura di pietra con un lungo ingresso a forma di tunnel. Questa costruzione è allineata in modo che la luce del sole possa scorrere attraverso il passaggio e splendere all’interno del megalite, illuminando in questo modo il retro della struttura. Questo accade al sorgere del sole e al solstizio d’inverno.

La divinità Romana Mitra nasce il 25 dicembre.

l Mitraismo, come il Cristianesimo, offriva la salvezza ai suoi seguaci, perché Mitra era nato nel mondo per salvare l'umanità dal male. Aureliano, originario della Dacia Ripensis e figlio di una sacerdotessa del Sole, fece del Dies Natalis Solis Invictus il centro della liturgia imperiale, complice il diffondersi negli ambienti militari del mithraismo, dove Mithra era considerato il Figlio del dio supremo Sol: Figlio del Sole e Sole lui stesso, nato da una roccia presso un albero sacro e con la torcia in mano, simbolo della Luce e del Fuoco che spandeva sul cosmo.

Mitra nell'atto di sgozzare un toro sacro. Mitra è rappresentato come un giovane energico, indossante un berretto frigio, una corta tunica che s'allarga sull'orlo, brache e mantello che gli sventola alle spalle. Mitra afferra il toro con forza,


portandogli la testa all'indietro mentre lo colpisce al collo con la sua corta spada. La raffigurazione di Mitra è spesso mostrata in un angolo diagonale, col volto girato verso l'alto. Un serpente e un cane sembrano bere dalla ferita del toro (dalla quale a volte sono rappresentate delle gocce di sangue che stillano); uno scorpione, invece, cerca di ferire i testicoli del toro. Questi animali sono proprio quelli che danno nome alle costellazioni che si trovavano sull'equatore celeste, nei pressi della costellazione del Toro, nel lontano passato ("era del Toro"), quando durante l'equinozio di primavera il Sole era nella costellazione del Toro. ( wikipedia) Il mito narra che alcuni pastori presenti all'evento soprannaturale gli avevano offerto primizie dei greggi e dei raccolti. Non poche le analogie con la nascita del Cristo in una "grotta" illuminata da una stella mentre i pastori lo adoravano. Mitra è nato da una vergine in una grotta il 25 dicembre, è adorato la Domenica, il giorno del sole. Era un dio-salvatore, come Gesù, morto e risorto per diventare un Dio messaggero, intermediario tra l'uomo e il Dio della luce, il leader della giustizia contro le forze oscure del male.

Facendo un passo indietro, i mosaici e gli affreschi raffiguranti immagini della divinità egizia Horus in braccio a Iside ricordano l’iconografia cristiana della Madonna col bambino, tanto da indurci a credere che in epoca cristiana, per ovvi motivi, alcune rappresentazioni di Iside e Horus, spesso raffigurato come un bambino con la corona solare sul capo, furono probabilmente “riciclate”.

Nell’antico Egitto, Il 24/25 Dicembre era festa grande: in tale data si festeggiava la nascita di Horus il dio Sole Bambino. Il n Egitto vi era addirittura una città dedicata al dio Sole – la famosa Heliopolis – con una numerosa classe sacerdotale dedicata al suo culto e alla sua diffusione. Ad Heliopolis il 24-25 dicembre, già nel 1400 A. C., si celebrava la festa del dio Sole, Ra, considerato anche lui Figlio del Sole e Sole egli stesso. A sua volta, Horus – il dio Sole bambino – era frequentemente rappresentato con la corona solare in testa. Il Colosso di Rodi (300 a.C.), una delle sette meraviglie dell’antichità, rappresentava proprio il dio Sole Helios e richiese dodici anni di lavoro. gesso di

Nel giorno corrispondente al 25 dicembre odierno, nel 3000 a.C. circa, veniva festeggiato il dio Sole babilonese Shamash. Il dio solare veniva chiamato Utu in sumerico e Shamash in accadico. Era il dio del Sole, della giustizia e della predizione, in quanto il sole vede tutto: passato, presente e futuro.

In Babilonia successivamente comparve il culto della dea Ishtar e di suo figlio Tammuz, che veniva considerato l’incarnazione del Sole. Allo stesso modo di Iside, anche Ishtar veniva rappresentata con il suo bambino tra le braccia. Attorno alla testa di Tammuz si rappresentava un’aureola di 12 stelle che simboleggiavano i dodici segni zodiacali.

È interessante aggiungere che anche in questo culto il dio Tammuz muore per risorgere dopo tre giorni.


Bacab era il dio Sole nello Yucatan; si credeva che fosse stato messo al mondo dalla vergine Chiribirias.

Wiracocha, il dio sole inca veniva celebrato nella festa del solstizio d’inverno Inti Raymi (festeggiata il 24 giugno perché nell’emisfero sud, essendo le stagioni rovesciate, il solstizio d’inverno cade appunto in giugno).

Fonte : Le radici pagane del Natale di Elena Savino, Jubal Editore “


2) QUESTA RICOSTRUZIONE STORICA IMPOVERISCE IL VALORE CHE DIAMO AL NATALE?

Non credo. Rispondiamo al bisogno umano di speranza - e di eternità - con gli stessi strumenti. Cambia il modo in cui interpretiamo la forma simbolica, ma non cambia la sostanza.

Constatiamo ancora una volta l’evidenza archetipica di un linguaggio metaforico fatto di forma, segno, materia, colore, il linguaggio profondo ed universale dell’umanità. Nel caso del Natale forse è più evidente la dimensione sinestetica di tale linguaggio, che coinvolge intensamente ogni senso. Abbiamo tutti esperienza dell’odore del Natale, del gusto del Natale, del tatto del Natale, del suono del Natale, della vista del Natale.

Tutto concorre a ricordaci una Nascita che cambia la vita di ciascuno portando speranza, la potenza quieta di una Madre, la tenacia affidabile e libera da pregiudizi da un Padre, la gioia di un Popolo umile e sincero che comprende le implicazioni positive di un fatto cosi inclusivo, l’accanimento di un potere umano che teme di perdere i privilegi dell’avere davanti alla irruzione quieta e sovversiva dell’ Essere, vera ed autentica dimensione umana in grado di dare un senso all’esperienza della vita.

Il Natale propone una scelta esistenziale, tra avere es essere, e la potenza evocativa delle immagini ne rende ineludibile la consapevolezza

Anche un antico dipinto, anche una narrazione ben conosciuta possono risultare scomodamente potenti grazie al valore di ciò che il Natale smuove nel profondo.

Qui sotto trovate gli auguri di Tribaleglobale in occasione del Natale 2015. In termini di consenso ci costarono cari…..


IL PRESEPE DEGLI SGUARDI

“Sono gli occhi a vedere? No, gli occhi sono strumento, e come diceva Saint-Exupéry, l’essenziale è invisibile agli occhi. Ma gli occhi parlano, sono lo specchio dell’anima e ci dicono chi siamo.” E’ un principio che Tribaleglobale mette in pratica da anni, esponendo insieme opera d’arte del nostro mondo e di quelli degli altri . Il Presepe che potete vedere è su questa lunghezza d’onda. Possiamo definirlo un Presepe degli Sguardi: lo scorso anno, in piena pandemia, lo allestimmo nello spazio della Biblioteca del MAP ( il Museo nomade di Arti Primarie che a Onzo ha cuore e deposito .) In assenza di un possibile contatto fisico, affidammo la nostra testimonianza alla Rete. Gli sguardi che animano il Presepe sono quelli della Madre e di suo Figlio, dipinti nel 1550 da un seguace di Cranach. Dialogano con quelli scolpiti su alcune antiche maschere di popoli africani, nepalesi e indonesiani Tutti evocano la potenza dello sguardo. Uso l’espressione potenza perché lo sguardo profondo - quello alla Saint-Exupéry per intenderci - non prevede necessariamente una rappresentazione diretta della realtà per come si manifesta, ma per come essa agisce in noi evocando uno stato di coscienza.

In realtà la funzione profonda non cambia: anche il realismo dell’arte occidentale funziona solo se evoca stati di coscienza, esattamente come l’alfabeto sintetico usato dai linguaggi artisti extraeuropei.

Ognuna di queste maschere, come sempre accade nelle culture di tutto il mondo, come accade per la Natività cinquecentesca al centro in questo Presepe, è creata per narrare una storia diversa ma organica alla grande narrazione dell’essere umano.

Ci preme oggi rendere evidente il fatto che questi oggetti vengono da lontano ma parlano di sentimenti che ci appartengono, che riconosciamo grazie ad un misterioso linguaggio di forma, colore e materia che dà vita ed emozione al lavoro dei nostri neuroni/specchio, e ci rende in un lampo consapevoli di un Mistero più grande di noi, anche se fatto su misura per noi, per essere compreso da noi, per essere usato da noi ed aiutarci a capire e governare ciò che di sorprendentemente misterioso ci accade.

Sopratutto ora, sopratutto in questi tempi così impegnativi.

1) COSA E’ IL PRESEPE

Il presepe, o presepio[1], è una rappresentazione della nascita di Gesù, che ha origine da tradizioni tardo antiche e medievali; l'usanza, inizialmente italiana, di allestire il presepio in casa nel periodo natalizio è diffusa oggi in tutti i paesi cattolici del mondo. Le fonti per la raffigurazione del presepe sono i 180 versetti dei Vangeli di Matteo e di Luca, cosiddetti "dell'infanzia", che riportano la nascita di Gesù avvenuta al tempo di re Erode, a Betlemme di Giudea, piccola borgata ma sin da allora nobile, perché aveva dato i natali al re Davide. Molti elementi del presepe, però, derivano dai Vangeli apocrifi e da altre tradizioni, come il Protovangelo di Giacomo e leggende successive. Il presepe tradizionale è una complessa composizione plastica della Natività di Gesù Cristo, allestita durante il periodo natalizio; vi sono presenti statue formate di materiali vari e disposte in un ambiente ricostruito in modo realistico. Vi compaiono tutti i personaggi e i luoghi della tradizione: la grotta o la capanna, la mangiatoia dov'è posto Gesù Bambino, i due genitori, Giuseppe e Maria, i Magi, i pastori, le pecore, il bue e l'asinello e gli angeli. La statuina di Gesù Bambino viene collocata nella mangiatoia alla mezzanotte tra il 24 e il 25 dicembre, mentre le figure dei Magi vengono avvicinate ad adorare Gesù nel giorno dell'Epifania. Lo sfondo può raffigurare il cielo stellato oppure può essere uno scenario paesaggistico. A volte le varie tradizioni locali prevedono ulteriori personaggi. Per tradizione, il presepe si mantiene fino al giorno dell'Epifania, quando si mettono le statuine dei Re Magi di fronte alla Sacra Famiglia, o anche sino al giorno della Candelora, sia in Italia che in altri paesi[2]. Esiste anche un altro modo per allestire il presepio: si tratta del presepe vivente, in cui agiscono persone reali; di origine medievale, ha avuto negli ultimi decenni in Italia una notevole diffusione.


2) LE ORIGINI DEL PRESEPE. Il termine deriva dal latino praesaepe, cioè greppia, mangiatoia, ma anche recinto chiuso dove venivano custoditi ovini e caprini; il termine è composto da prae (innanzi) e saepes (recinto), ovvero luogo che ha davanti un recinto. Un'altra ipotesi fa nascere il termine da praesepire cioè recingere. Nel latino tardo delle prime vulgate evangeliche viene chiamato cripia, che divenne poi greppia in italiano, krippe in tedesco, crib in inglese, krubba in svedese e crèche in francese.

«Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell’albergo. » Luca, II , 7 Questa usanza, all'inizio prevalentemente italiana, ebbe origine all'epoca di San Francesco d'Assisi che nel 1223 realizzò a Greccio la prima rappresentazione della Natività, dopo aver ottenuto l'autorizzazione da papa Onorio III. Francesco era tornato da poco (nel 1220) dalla Palestina e, colpito dalla visita a Betlemme, intendeva rievocare la scena della Natività in un luogo, Greccio, che trovava tanto simile alla città palestinese[5]. Tommaso da Celano, cronista della vita di San Francesco descrive così la scena nella prima Vita[6]:

«Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l'asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l'umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme.» Il presepio di Greccio ha come antefatto le "sacre rappresentazioni" delle varie liturgie celebrate nel periodo medievale. Nella rappresentazione preparata da San Francesco, al contrario di quelle successive, non erano presenti la Vergine Maria, San Giuseppe e Gesù Bambino; nella grotta fu celebrata la Messa con un altare portatile[7] posto sopra una mangiatoia presso la quale erano i due animali ricordati dalla tradizione, ossia l'asino e il bue[8]. Nella prima Vita Tommaso da Celano ci dà una descrizione più dettagliata della notte in cui fu allestito il primo presepio a Greccio; il racconto di Tommaso è poi ripreso da Bonaventura da Bagnoregio nella Leggenda maggiore[9]:

«I frati si radunano, la popolazione accorre; il bosco risuona di voci, e quella venerabile notte diventa splendente di luci, solenne e sonora di laudi armoniose. L'uomo di Dio [Francesco] stava davanti alla mangiatoia, pieno di pietà, bagnato di lacrime, traboccante di gioia, Il rito solenne della messa viene celebrato sopra alla mangiatoia e Francesco canta il Santo Vangelo. Poi predica al popolo che lo circonda e parla della nascita del re povero che egli [...] chiama "il bimbo di Betlemme". Un cavaliere virtuoso e sincero, che aveva lasciato la milizia e si era legato di grande familiarità all'uomo di Dio, messer Giovanni di Greccio, affermò di avere veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo bimbo addormentato che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno.» (Bonaventura, Legenda maior, XX.) La descrizione di Bonaventura è la fonte che ha usato Giotto per comporre l'affresco Presepe di Greccio, nella Basilica superiore di Assisi.


SEGUACE DI LUCAS CRANACH IL VECCHIO (Kronach, 1472 - Weimar, 1553)

Madonna con Bambino

Olio su tela, cm. 75,5x61,5

Tra i Mumuye, che vivono nel nord della Nigeria al confine con il Camerun, ci sono - oltre alle loro famose figure di antenati - due tipi di maschere: una grande maschera a cresta o spalla, nota come Sukwava e maschere ad elmo più piccole, ritenuta femminile e nota come "antenata" o "donna anziana". Queste "maschere delle antenate" svolgono un ruolo importante nell'iniziazione dei giovani membri della tribù e ballano anche al momento della semina, ai raccolti, ai rituali funebri e ad altri eventi importanti. L’opera esposta appartiene a questa tipologia


NEPAL, maschera apotropaica in sterco di yak

INDONESIA, maschera Topeng in legno dipinto


La Madre di Chracah avvolge il Figlio in un abbraccio intimo ed avvolgente a testimoniare una intensa fisicità, ma guarda trasognata verso un Nulla tutt’altro che vuoto, la Grande Madre Mumuye evocata nella maschera non ha necessità di avere occhi vistosi per guardare la profondità della vita, sono sufficienti due piccoli punti appena accennati. Gli occhi della maschera Nepalese testimoniano stupore e forse paura davanti al Mistero, mentre le palpebre abbassate della maschera di Bali richiamano concentrazione e riflessione. Le immagini parlano, il nostro Presepe degli Sguardi ripropone lo stupore degli esseri umani davanti al Mistero che si manifesta sotto i nostri occhi. Lo stesso stupore dei Pastori in quella Grotta, a Betlemme, circa duemila anni fa.

Giuliano Arnaldi per UNITRE ALASSIO, 2 dicembre 2021


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