Inhabit tesi

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Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura e realizzazione della mia tesi Professor Siliano Simoncini “Niente resiste tranne la qualità della persona” (W. whitman) Rivolgo un particolare ringraziamento al relatore, il Professor Siliano Simoncini, che nonostante i suoi numerosi impegni, mi ha instancabilmente concesso la sua completa disponibilità professionale e morale, indirizzando gradualmente il progetto e la stesura della tesi. Un uomo, prima che professore, a cui risevo la mia completa stima per il suo modo di relazionarsi con il mondo.

Professoressa Francesca Bianchi Ringrazio la professoressa Bianchi, che con i suoi preziosi consigli mi ha dischiuso le porte al mondo sociologico.

Silvia e Costanza di Clotilde Un caloroso ringraziamento a queste due simpatiche artiste, che con la loro pazienza hanno realizzato i miei pensieri, portandoli sul piano del reale e accontentandomi in tutti i miei capricci.

Federica Gambino Ringrazio Federica che si è prestata ad un bizzarro pomeriggio di folli scatti, oltre che per la sua bellezza, per la sua instancabile pazienza, gentilezza, disinvoltura e la sua capacità di calarsi nel ruolo.

Cristiano Coppi Ringrazio il designer Cristiano Coppi, che mi ha accolto nel suo studio a Pistoia e con certosina pazienza e disponibilità mi ha spiegato che oltre alla teoria esiste anche una realtà lavorativa pratica e reale, che è indirizzata verso un ritorno all’artigianato.

Inoltre vorrei ringraziare Marta Balloni e Linda Bolognesi che mi hanno accompagnato in questo viaggio universitario, nella buona e nella cattiva sorte e alla mamma Beatrice che si laurea insieme a me.



abstract

Si propone una soluzione contemporanea di usare l’abito da donna attraverso concetti alti propri del mondo dell’arte. Il progetto consiste in una collezione di abiti, con un metodo progettuale che appartiene alla sfera del design, che ha come oggetto di partenza una semplice figura geometrica di materiale (sensitive). Questa attraverso diverse soluzioni, prende forma e lascia all’individuo completa espressione individuale dell’abitare, invitando lo stesso a costruirsi la propria identità. La finalità della tesi è una soluzione commerciabile proposta in forma di aforisma: “Ho la casa in borsa”, l’individuo nomade così come dalle sue origini, abita un presente liquido all’insegna della velocità ed è per questo che l’abito, la seconda pelle, deve rispondere a concetti che la contemporaneità richiede quali versatilità, praticità e trasformabilità, che si uniscono alle caratteristiche del materiale (non prende pieghe). Si è strutturata una collezione moda, che partendo da un concetto puramente teorico si lega ad una sfera prettamente pratica in cui forma e funzione si uniscono per dare origine ad un prodotto d’innovazione tipologica, che suggerisce una nuova vestibilità e fruibilità ad un utente consapevole e inconsapevole. Il primo attratto dall’innovazione concettuale e dalla scelta consapevole di acquistare un determinato prodotto che si pone come pratica potenzialmente riformante e il secondo dall’aspetto ludico concesso dalla trasformabilità dell’abito che concerne l’effetto sorpresa e dalla tendenza. Così il prodotto, che è legittimato da concetti alti, diventa fruibile e non confinato in un’élite. Questo concede al fruitore di “abitare il mondo” e adattarsi alla postmodernità.



1.

Analisi 1. Abitare l'abito - introduzione 2. Un unico intreccio per tessere l’abito 3. La trasformabilità dall'io all'abito 4. Dall'artigianato al design autoprodotto 5. Casi studio

2.

Concept

progetto

1. prove pattern 2. disegni

1.

Collezione

2.

Cartella Colori

3.

Cartella Materiali

4.

Comunicazione 1. spiegazione del nome inhabit 2. etichette 3. packaging

metaprogetto

indice


opra le nostre forme nude osmesi universale

Desiderio molle e adatto Abiti degli alberi

reve nei secoli, Trucco infedele

Arredo della mia persona nventore della mia figura

IdentitĂ travestite, desiderio molle e adatto

Abiti della notte naturalmente nomadi


METAPROGETTO

analisi 1

Abito mio Arredo della mia persona Sempre addosso a me Come nulla e nessuno Inventore della mia figura Infiniti abiti Fragili nel mondo Personaggi vuoti da riempire Alla ricerca Di corpi da proteggere Delicati fantasmi travestiti Progetti ornamentali Inesauribili forme Sopra le nostre forme nude Cosmesi universale IdentitĂ travestite Continuo pulviscolo Breve nei secoli Trucco infedele Desiderio molle e adatto Abiti degli alberi Abiti degli animali Abiti della notte Naturalmente nomadi Abiti della guerra (Mendini 1985a,p. 1). Interazione tra design e moda, Mendini, “Domus Modaâ€?, rap ante litteram, atto di resa difronte all'onnipresente pratica di adornarsi



1 Abitare l'abito introduzione


L

e case si somigliano o si distinguono le une dalle altre come i corpi umani: snelle, slanciate, massicce. Gli aggettivi che usiamo per descriverle, conferiscono la loro personalità. La tentazione immediata è quella di leggervi una corrispondenza con i corpi delle persone che le abitano. Se la casa e stata solo scelta e acquistata, il bricoleur, ostenta al visitatore la trasposizione visiva del proprio stato d’animo. La concezione della casa come corpo appartiene a un grande numero di società che usano un lessico analogo per definire sia il corpo umano che la dimora. Il focolare della casa è simbolo vitale della respirazione umana. Il corpo dell’edificio mostra la propria esteriorità, l'intimità racchiusa tra le mura è vulnerabile, poiché l’interno della casa si lascia visitare. Cosa significa abitare? Abitare uno spazio, un abito, una casa, una città per esempio? In tutte le culture del mondo, a tutte le latitudini, gli esseri umani hanno elaborato forme stabili o mobili di dimora. In questo senso, filosofi come Karl Marx e Martin Heidegger hanno considerato l’abitare come l'essenza dell’uomo, vivere, essere. Abitare deriva etimologicamente dal verbo latino abito, frequentativo di habeo, cioè avere. Ha il significato di tenere, abitare, dimostrare avere come dimora, alloggiare. Nella struttura stessa del verbo è insita l’idea dell’abitudine. Il concetto di abitudine ha le sue diramazioni semantiche: da habitus deriva il nostro abito, ovvero aspetto, atteggiamento, abbigliamento. Nel testo “Luoghi e corpi” l’antropologo Francesco Remotti afferma che: Abitare – oltre ad essere di per sé un’abitudine – significa forse assumere certe abitudini, cioè il fatto che l’abitare – inevitabilmente – un certo luogo comporta la produzione e/o l’adozione di abitudini locali, peculiari di quel luogo (Remotti, 1993). L’architettura risponde a necessità primarie quali difendersi dai pericoli esterni e dalle avversità climatiche, il cui corpo, nonchè la materia è composta da materiali semplici e primordiali: legno, paglia,

fango. Questi richiamano una fattura e una qualità artigianale che ricorda l'arte della tessitura. Vitruvio afferma che le pareti erano sostituite da tappeti che delimitavano visivamente gli spazi. Le costruzioni arcaiche, che presentano strutture intrecciate (tende, capanne), sono ibridi tra opere tessili e architettoniche. Semper afferma che l'architettura ha origine dalla pratica della tessitura, in questo senso rappresenta un abito per il corpo. Marc Augè definisce bricoleur l'individuo che si dedica con passione alla costruzione e all'arredamento della propria casa, questo concetto sottende una sottile analogia con l'abbigliamento, infatti l'uomo sceglie gli abiti determinando il proprio stile. In questa occasione è necessario definire il corpo come prima pelle, gli abiti la seconda e infine la casa-architettura la terza pelle. La grammatica dell'abitare come condizione di vita e metafora al centro dell'esperienza dell'uomo, nelle sue stesse asimmetrie diventa, una chiave di volta per comprendere le corrispondenze di coappartenenza che tra abito e architettura, corpo e spazio. L'abitare, nel presente liquido è una pratica sempre meno corredata e sorretta da una tradizione in grado di indicare percorsi certi, che si lega a necessità funzionali, quali il lavoro. Questo coinvolge molteplici piani che riguardano la ridefinizione di un luogo privato di vita quali la casa e l'abito in relazione allo spazio, che nelle multiformi valenze richiamano logiche assimilabili a quelle della personalizzazione del prodotto, dell'individualismo di massa dei consumi contemporanei. Individualizzazione e libertà diventano proprietà dell'individuo, che è immerso in un terreno di possibilità e scelte che in concreto ampliano la libertà dell'abitare intesa come pratica di invenzione del quotidiano, che si estende ben oltre la rincorsa alla mera distinzione sociale del gusto. Henri Lefebvre nell’Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema, ha commentato l’opera di Panofsky sull’architettura, dove viene approfondito il concetto di habitus di vivere, “un modo di essere” per l’umanità, in modo che implica “un potere d’uso e di godimento” (da qui il legame di “habere” con “habitare”). Habitus è inscritto nell’abitare, i due termini hanno un legame semantico (concesso ed esplicitato dalla lingua italiana), ne consegue che abito è un elemento della loro connessione in quando ne condivide la radice latina. Dare riparo al corpo e vestirlo sono collegati da un vincolo semiotico: il termine tedesco wand (conno-


ta parete e schermo) è collegato a gewand (indumento, abito), in italiano “abito” è anche la prima persona singolare dell’indicativo presente del verbo “abitare”, utilizzato per indicare l’indirizzo personale. Questa connessione semantica di reversibilità, si verifica anche nell’inglese addreess (indirizzo) e dress (vestito), come fossero i due lati di un tessuto double face. Habere delinea sia l’architettura che la moda in quanto entrambi sono legati al consumo: una volta acquistati, continuano ad essere consumati, in quanto l’individuo si istalla in essi. Nella moda, come nell’architettura il fruitore si adatta allo spazio, i vestiti così come le case sono vissuti e amati. Gli abiti si usurano e si consumano nel vivere, così i mobili, portano i segni di una storia vissuta. Proseguendo nelle considerazioni: gli abiti, come le abitazioni si consumano, i muri si sgretolano, gli abiti si deteriorano/rovinano. Tale logoramento dato dal tempo e dal vivere è il segno delle tracce che l’individuo lascia nello spazio. Abito, habitus e abitare poggiano sul terreno delle emozioni, design e architettura combinano la storia sociale con quella personale e sono soggetti alle mode. Gli abiti si animano con l’emozione, si mettono fisicamente in movimento, viaggiano insieme a noi. Architettura e abiti possono essere visti come contenitori della storia dell’individuo, costruzioni emozionali, parte del tessuto personale e emotivo. L’abitante, colui che “abita un luogo”, dal momento in cui è, vive, abita. Aggiungendo un piccolo accento sottile all’affermazione “Io abito”, si ottiene “àbito” e una traslazione di significato: ecco che il mio abito è diventato un vestito. Sceglier e un abito da indossare è un'operazione analoga a delimitare lo spazio intimo in cui vivere, un modo di essere e di raccontare la propria storia. Creare un abito è un'esperienza più alta e presuppone, che l'individuo percorra i gradini della rappresentazione, in questo caso la rappresentazione di un piccolo mondo, popolato da forme e particolari tangibili. L'attore continua a scorgere e a mostrare il corredo di maschere pirandelliane, prediligendo quella che gli è più congeniale nel contesto che riesce ad afferrare, senza accorgersi che appartiene ad un universo più vasto e parzialmente esplorabile dall’essere umano stesso

Come sottolinea Eleonora Fiorani nel saggio “Corpi di stoffa e identità di frontiera”: vestirsi è darsi forma, trasformasi, travestirsi, è gioco delle maschere: è abitare il corpo indossando un altro corpo, un corpo di stoffa e con esso abitare il mondo. Struttura l’identità e le appartenenze: dice chi siamo e dove siamo. E’ costruzione di habitus, di tecniche e conoscenze interiorizzate che modulano l’esistenza. E’ la modalità in cui il corpo prende ad essere. È corpo vestito in relazione con l’ambiente, la società, il cosmo, espressione corporea dell’identità sociale. E lo fa in modo tanto più pervasivo perché, mentre tocca quanto di più apotropaico c’è nell’essere umano, lo fa con leggerezza. Gli individui nascono nudi, ma sin dalla nascita vengono vestiti accuratamente dai genitori. Quest'ultimi scelgono gli abiti per la propria prole, a seconda del sesso e del gusto e inconsciamente a seconda di quello che vogliono esprimere. Quando i figli crescono i genitori continuano ad acquistare i capi fino alla conquista della maturità e della libertà di scegliere i capi autonomamente. L’abito è l’unico oggetto terreno che l’individuo non abbandona in nessun momento, dal giorno in cui viene al mondo, a quello in cui lo lascia; l’uso comune e il decoro stabiliscono che, nonostante non abbia una reale funzione, l'abito debba adornare il corpo anche nel momento del contrappasso. Rappresentare gli abiti potrebbe coincidere, quindi, con il tentativo di dar voce a quella forma che accoglie il corpo umano, ed anche alla non-forma, ossia all’anima che sceglierà d’indossare proprio quell’abito (quello e non un altro) per parlare di sé e del proprio rapporto con il tempo, con lo spazio, con la vita e con la morte.



2 Un unico intreccio concettuale per tessere l'abito antropologia, sociologia, semiotica


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La moda, manifest azione dei cambiamenti sociali più eclatanti su diversi piani, politici, economici e culturali, esprime lo zeitgeist. Si riscontra una sottile connessione concettuale tra funzione e significato psicologico sotteso tra la moda sartoriale, l'arredamento e l'architettura come sostiene Flugel: lo slancio verticale delle linee gotiche richiama quelle degli abiti medievali, l'architettura Rococò si riflette nelle forme sinuose degli abiti in voga. Questo rapporto di connessione analogica tra gli abiti, il design, l'architettura si ripete ciclicamente nel tempo. Con l'avvento della rivoluzione industriale il costume subisce un grande cambiamento, ascende un nuovo ceto sociale, la borghesia, che lancia il vestito borghese. Questo avrà ampia diffusione in tutti gli strati sociali. Il benessere diffuso da una spinta propulsiva al consumismo, conseguentemente un vasto assortimento di capi d'abbigliamento irrompe sul mercato. L'abito borghese, per la s u a

Chiara Boni presents the AvantGarde capsule for the SS 2014 collection with the exhibition event “Spazio e Forma, Allusioni Fotografiche” [Space and Form, Photographic Allusions], nine shots by Giovanni Gastel, portraying the encounter between the photographer/artist and the fashion of Chiara Boni.


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natura, figlio della produzione industriale, svilisce e si degrada sino a diventare sinonimo di “divisa da lavoro”. L'estetica legata alla cura individuale, ha favorito la scomparsa delle vistose differenziazioni legate all'aspetto esteriore, seguendo queste orme, il settore moda subisce un mutamento repentino e corale di giudizi e valori; il vecchio e il nuovo sono aggettivi che si dotano di senso associati ad altri concetti quali il brutto e il bello. La moda, come la natura, ha le sue stagioni, celebra il presente, il fugace, l'effimero e come asserisce Barthes, cerca delle equivalenze, delle validità, non delle verità, è priva di contenuto ma non di senso, una specie di meccanismo che trattiene il senso senza mai fissarlo, un senso senza contenuto diventa uno spettacolo che gli uomini danno a se stessi delle loro capacità di far significare l'insignificante. Il sistema vestimentario creato dalla moda attraverso la serialità, rappresenta “la volgarizzazione”, copie prive di significato, contenenti segni, riferimenti allegorici. Lo spirito del tempo muta al mutare della società, è il tripudio del superfluo, anche quando la “signora ricercatezza” affonda le sue radici nell'humus dell'arte. L'essenza dell'arte, trasportata dallo spirito del tempo, potrebbe aleggiare sullo spirito della moda per raggiungere nuove modalità espressive. Il fascino della moda legato alla novità e fragilità, esprime un suo essere- non-essere, rappresenta un ponte tra passato e futuro. Il suo carattere di temporalità, “il suo essere per la morte” per usare una terminologia heideggeriana, le conferisce un fascino indiscreto. La moda è dunque figlia di una complessa costellazione di cause connessa a due convergenti atteggiamenti mentali, l'antico e il moderno: l'amore per il nuovo e la tirannia del presente. Nel sistema moda Barthes afferma che “ogni nuova moda è rifiuto di ereditare”, è sovvertimento dell'oppressione dettata dalla vecchia tendenza. La moda si vive come un diritto, il diritto naturale del presente sul passato, è la sacralizzazione del nuovo, l'apoteosi del rinnovamento ludico, emancipazione dal passato e dal futuro. L'homme à la mode regala al presente il suo rispetto. La moda è culto del presente, pathos per la modernità e legittimazione dei cambiamenti rapidi e febbrili.


1. Moda, stile e fads Definizione

La moda è la produzione, la diffusione, l'adozione e l'utiliz-

Moda è un principio universale, uno degli elementi

zazione rapida ed improvvisa, senza giustificazione utilitaria,

della civiltà e del costume sociale che interes-

di oggetti, usi, atteggiamenti, comportamenti, idee, modi di

sa, non solo il corpo, ma anche tutti i mezzi di

pensare, stili di vita che permangono per un periodo limitato

espressione di cui l'uomo dispone

di tempo all'interno di una collettività

(Devoto, 1995)

(Mariano Bianca, Psicologia della Moda) La moda è l'usanza più o meno mutevole che

Moda è un meccanismo regolativo di scelte compiute in base a

diventando gusto prevalente s'impone nelle abi-

criteri di gusto o a capricci

tudini, nei modi di vivere, nelle forme del vestire

(Enciclopedia Europea Garzanti, 1978, p. 670)

(Grande Dizionario Garzanti, 1993)

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La moda - definita anche storicamente costume – nasce dall'istinto di coprirsi con tessuti, pelli o altri materiali, necessità umana relata alla sopravvivenza e in secondo luogo a specifiche funzioni sociali, quali distinzione di classe, mansioni sacerdotali, amministrative e militari. Nel corso della storia si è cercato più volte di circoscrivere la moda in una definizione univoca e oggettiva, nell'attuale postmodernità liquida, questa a livello concettuale non ha ancora trovato una determinazione universale che riesca a cogliere la sua complessità. A tal proposito è necessario definire il concetto di postmodernità liquida fissato da Bauman, in Modernità liquida. Descrivendo il passaggio dalla modernità alla post-modernità, il filosofo ha paragonato la prima e la seconda rispettivamente allo stato solido e liquido della società. La fluidità, metafora dell’attuale fase dell’epoca moderna, è lo stato dei liquidi e dei gas, che se soggetti a pressione, cambiano continuamente di forma. Il corpo solido è sinonimo di stabilità e di immutabilità, conseguentemente la modernità solida, è definita tale per la sua tendenza a creare istituzioni durevoli e stabili che la porta a privilegiare il legame spaziale e territoriale all'effervescenza temporale. In tale prospettiva la modernità è vista come un lungo processo di liquefazione continua dei corpi solidi che le società avevano precedentemente costruito. Il concetto di leggerezza, mutabilità, trasferibilità si applica ad ogni momento della vita umana e della società. Qualunque aspetto della vita può essere rimodellato artificialmente, non esistono contenuti nitidi, definiti e immutabili. Ogni tipo di legame è debole e precario, si deteriora e si disintegra, di conseguenza l’uomo liquido-postmoderno non può possedere certezze. In tale prospettiva, anche

la moda, artificiale prodotto umano, segue i meccanismi della postmodernità in cui è immersa, e ha difficoltà a trovare dei contorni nitidi e definiti. Vi sono interpretazioni del fenomeno rilevanti che cercano di circoscrivere, delimitare il sistema moda, che può essere definita come un settore multidimensionale integrato con i differenti e molteplici aspetti della vita che caratterizzano il complesso scenario verso cui è proiettata. Questo melange di elementi è il punto di riferimento del settore industria della moda, della cultura, dell'estetica, dell'arte e della musica. Entrare negli anfratti dell'universo moda significa conoscere lo scenario della nostra società che trova uno strumento d'indagine nella sociologia. Questa studia la moda in quanto fenomeno sociologico: è importante cogliere meccanismi e dinamiche sociali che consentono l'affermazione e la diffusione delle varie mode. La psicologia sostiene che la moda contiene dei messaggi basati sulla competizione sessuale. In economia, questo fenomeno è considerato come uno de settori a base fenomenologica più redditizi e soprattutto il più soggetto ai cambiamenti sociali. La dimensione temporale influisce in modo particolare sulla concezione di moda, il cambiamento è dovuto all'intrinseco ciclo stagionale all'emergente necessità di rinnovamento per le stagioni omologhe. Nel linguaggio comune un fenomeno o un prodotto è definito “di moda, se nell'istante in cui se ne parla ha raggiunto un diffuso apprezzamento da parte di un certo pubblico, un determinato contesto” (Testa, Saviolo, 2000). La storia di questo particolare fenomeno offre un punto di osservazione privilegiato per studiare la confluenza di molti elementi: l'intreccio continuo tra l'evolversi della storia delle idee e quella del pensiero economico, le re-


si evince una costante: nonostante l'orientamento individuale, il gusto è costretto a confrontarsi e trovare un corrispettivo in un sistema di regolamentazione sociale che può essere considerato moda. La sovrapposizione etimologica tra moda e moderno sottolinea la dimensione evolutiva e istituzionale del gusto, a conferma di tale matrice esistono l'espressioni francese, inglese e tedesca mode, che derivano dal celtico mod, dal parallelo significato latino di mos: usanza, costume, foggia. La moda è anche abbigliamento e come molti fenomeni sociali segue due direzioni fondamentali: la permanenza, legata a usi e tradizioni, che da luogo al costume e il cambiamento o innovazione da cui nasce la moda. Il costume è un insieme di usi, comportamenti, atteggiamenti, stili di vita e modi di pensare accettati da una collettività per un periodo di tempo molto lungo, dando così luogo ad una tradizione. Ogni variazione all'interno di un costume viene detta moda, un modello accettato all'interno dei caratteri fondamentali del costume stesso. La moda segue un inarrestabile mutamento, incline ad una caducità annuale, per questo appare come fenomeno incatenato all'effimero. Il continuo mutamento rappresenta l'elemento di novità, in contraddizione alla tendenza della conservazione e alla stasi sociale. La moda ha intrinseco il cambiamento e risponde a tutti gli aspetti superficiali della vita, per questo svolge una funzione ludica, erotica, estetica, ecc.

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lazioni tra i cambiamenti del gusto, analizzati in chiave antropologica e l'incidenza del progresso scientifico, il meccanismo di influenza reciproca che caratterizza l'attuale rapporto tra mass media e consumatori. Protezione, pudore, ornamento sono le tre motivazioni principali del vestirsi che si inseriscono in un sistema formale di segni organizzato in funzione normativa. Primo tra tutti quello della differenza fra i generi (maschi e femmine), enfatizzato dalla componente erotica, con la sua carica esibizionista e il desiderio di piacere. Il carattere di trasgressione ostentata, fondamentale nella manifestazione dei fenomeni di moda, trascina una carica di invito sessuale che travalica la semplice caratterizzazione di genere tipica dell'abbigliamento (Grispigni, 2009). Il termine moda trova le sue origini nel termine latino “modus”, che significa maniera, norma, regola, tempo, melodia, ritmo, nel significato più amplio: scelta, cioè criterio o modalità regolativa di scelte. Compare per la prima volta, con il suo significato attuale, nel trattato La carrozza da nolo, ovvero del vestire alla moda, dell'abate Agostino Lampugnani, pubblicato nel 1645. La radice etimologica del termine moda potrebbe derivare dal latino “Aureo mos” tradotto nei diversi significati come: 1 – usanza, costume, abitudine e tradizione 2 – legge, regola, norma 3 – buoni costumi, moralità. Nell'impossibilità d'individuare una definizione universale, dall'insieme dei diversi significati


2. L'aspirazione della moda: lo stile Coco Chanel, un caso peculiare

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I cambiamenti sociali intervenuti negli ultimi decenni hanno lasciato una traccia indelebile nel sistema moda, che non è più in grado di imporre delle oscillazioni omogenee dei gusti. Diversi autori, per descrivere la situazione attuale, parlano di un passaggio dalla moda agli stili: i consumatori non sono più posti di fronte a un globale cambiamento "stagionale", bensì a un dispiegamento in parallelo di stili diversi. Questa "moda come stili" va contro l'idea stessa di moda, strettamente legata alla novità, al cambiamento, all'obsolescenza. Il termine stile pone le sue radici nel latino: [stìlus] penna, derivante dalla radice [stig-] pungere. In antichità indicava la penna con cui s'incideva sulle tavolette cerate. Solo in tempi successivi il termine assume una nuova accezione, transita su nuovi significati approdando in una smisurata eleganza di pensiero: lo stile diventa il modo di scrivere proprio di una persona, sinolo di grafia, ritmo, tono, taglio di pensiero, lessico e ancora ogni altro fattore che nel presente, intuitivamente rientra nel novero dello stile di scrittura. Un passo ulteriore verte verso un ampliamento di significato, dove lo stile diviene la totalità di ciò che caratterizza, disegna, delinea, una persona da un punto di vista estetico in senso amplio: tutto ciò che trovando le sue origini nel mondo delle sensazioni, concerne il sentimento del bello: armonia, avvenenza, grazia, ecc.. Anche se l'accezione di stile nel tempo ha incontrato vari significati con diverse sfumature, il termine trova sempre le sue radici nella parola penna, emblema di un'espressione verbale che è l'indice principe dell'estetica umana. Stile riguarda il modo di fare qualcosa e non il mezzo con cui viene fatto, riguarda la forma e non il contenuto. «Concettualmente, lo stile è ciò che chiameremmo “forma”, intendendo con ciò una forma prodotta intenzionalmente […].» (Ferraris, 2009) “Lo stile è definito da tutto il processo che porta da una certa visione del mondo (quando questa esiste) alla sua espressione sensibile. L'identità è definita dal suo modo di produzione” (Floch, 1995, p.36), secondo l'approccio generativo, inteso come percorso, una serie di connessioni di elementi tra loro inizialmente scollegati, che finiscono per creare il senso, la definizione può essere estesa nell'ambito dell'estetica di un oggetto, ovvero al processo creativo. Lo stile è legato ad un modo caratteristico e riconoscibile di trattare la dimensione sensibile, è un quadro di Monet, un abito di Armani o un orologio Rolex e non è formato unica-

mente da elementi sensoriali facilmente riconoscibili. Un caso peculiare: lo stile Coco chanel, 19 agosto 1883 – Parigi, 10 gennaio 1971 - Agli inizi del ventesimo secolo Coco realizza una silhouette che rifiuta i canoni fino ad allora imperanti nel sistema moda, dichiaratamente ostile agli abiti asfissianti di Poiret, confeziona linee moderne e funzionali, al servizio del movimento per donne emancipate, che lavorano. Veste la donna moderna, confeziona un’identità, è una revan-vestimentaria frutto del gioco di conservazione di elementi mascolini e inversione dei significati. La visione classica della stilista abbraccia le cinque categorie wolffliniane: il bordo profilato del tailleur (gonna e tasche della gonna), silhouette nell'abitino nero, documentano la linearità propria della visione classica il trattamento differente del davanti e del dietro dei tailleurs, il fianco a fianco delle tasche bordate, il contatto della silhouette con il terreno in un punto preciso dello spazio, distinguono nettamente un certo numero di piani nello spazio a favorire una vista frontale del total look l'effetto chiusura della silhouette: punta nera nella nelle scarpe, capelli corti, il fiocco, ciò che Wolfflin chiama “forma chiusa” i contorni, la volontà d'isolare le forme e la collocazione precisa delle rare masse esistenti: braccialetti, collane, spille, corrispondono al principio di molteplicità del classico, opposto a quello di unità del barocco. Preferenza del colore beige, nero, blu, marino, come la scelta ricorrente del jersey, o il tweed, mezzi per creare una “luce assoluta” e non relativa, legata allo stile barocco. Nella silhouette Chanel esistono elementi esplicitamente barocchi: i gioielli, braccialetti, collane, spille, infine la catena della borsa trapuntata. Gli effetti plastici del barocco si riconoscono dai concatenamenti, fusioni, intrecci, bagliori e chiarori effimeri, particolari ben circoscritti che non smentiscono l'ordine classico della silhouette nel suo complesso. Queste componenti rappresentano l'esaltazione per contrasto o contrappunto della visione classica del look Chanel. I gioielli o la bigiotteria più modesta sono l'elemento vitale di una toilette, in quanto emblema di ordine, composizione, in definitiva d'intelligenza. La bigiotteria domina sull'abito non perché preziosa, ma si fa creatrice di significato: il senso di uno stile che è ormai prezioso e che dipende dalla globalità, dall'insieme di ogni singolo elemento, che detie-


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ne in sé l'ultimo potere di significazione: verità che non è meramente analitica, ma anche poetica. Il total look di Coco dipende da una visione classica, ciò non toglie che il look sia semioticamente in grado di coniugare, senza renderle indistinte, la visione classica e quella barocca. Chanel può essere definita una Bricoleuse: utilizza un linguaggio classico, dove è presente un'approfondita ricerca formale al fine di assicurare dettagli, elementi che esaltano il contrappunto barocco. E' importante sottolineare l'estraneità temporale della stilista nella capacità di assemblare alla moda femminile, elementi della moda maschile e quindi opposti (originando di nuovo un bricolage), il risultato di questa operazione è qualcosa di totalmente nuovo: una femminilità accentuata per paradosso. E' una vera self-made woman, come Crusoe la sua capanna, lei si è autocostruita una particolare moda che risponde alle sue necessità individuali. All'inizio della sua attività di modista, acquistava cappelli al “Bon Marché”, da questo punto di partenza, tassello per tassello, è riuscita a costruire intorno a sé un impero di denaro e successo. Gabrielle, la piccola Gabrielle, di fronte agli stenti e alle miserie a cui è costretta, diventa Coco in una delle tante notti trascorse in un caffè a Moulin, mentre delizia il pubblico con la canzone Qui qu'a vu Coco? Fatto di moda vs fatto di stile - Le linee di Coco veicolano un'immagine di donna legata ad un discorso ideologico di liberazione e modernità. Il fenomeno Chanel nasce come un “fatto di moda”, la stilista crea un universo dove i contemporanei scorgono i mondi dello sport, del lavoro, dell'uomo. La sua silhouette è legata ad una significazione culturale che trova la sua applicazione in una determinata classe della società francese agli inizi del secolo. Dagli


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anni venti, per la sua visione classica, rigorosamente accompagnata da contrappunti barocchi la donna chanel diventa un “fatto di stile”. Questo accade perché tocca la dimensione plastica che fornisce il principio della sua invarianza sensibile: utilizza gli elementi barocchi che sono gli elementi significanti, supportati da un linguaggio classico in grado di permanere nel tempo, in pratica: utilizza uno stile classico su cui transitano gli elementi significanti-barocchi. E' importante definire due rilievi: fatto di moda, corrisponde a quel polo dell'identità che è il carattere; è legato al tempo, anche se paradossalmente la moda è legata ad una breve durata fatto di stile, corrisponde alla sua logica di produzione, al polo del mantenimento di sé, cioè alla sfera dell'etica e del “progetto di vita”. Per deduzione si ricavano le seguenti correlazioni: fatto di moda vs fatto di stile, dimensione figurativa vs dimensione plastica, identità-carattere vs identità-mantenimento di sé. Il fatto di stile può essere considerato un sintagma ritmico fisso, in altri termini lo stile potrebbe quindi essere definito come produzione di identità, mantenimento di sé. Se questo è visto in tale prospettiva si comprende e giustifica l'inscrizione dello stile nel tempo e il suo manifestarsi sotto forma di unità visibile. In quest'ottica il total look è un unità sintagmatica che contiene e manifesta una strutturaritmica.


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3. Moda fenomeno sociale Gioco di apparenze

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Il sistema moda come fenomeno sociale è legato alla modernità: con la nascita del capitalismo, in Europa, nel XIII secolo, compaiono nuovi ceti sociali, tra cui la nuova classe dei commercianti che impone in modo determinante il suo dominio nel Rinascimento. Questo cambiamento stravolge i sistemi vestimentari preesistenti appartenenti al lusso delle classi privilegiate e alla pochezza dei ceti inferiori. La borghesia decreta la rottura con il sistema precedente, si avvale dei nuovi metodi di produzione che rispondono alla legge di “lavoro per guadagno”. Nel XIV secolo, gli abiti cambiano velocemente stile, delineando nuovi atteggiamenti nei confronti della moda. Il fenomeno sociale moda, come afferma Boucher, si impone nel XV secolo, quando l'abbigliamento subisce l'impulso della velocità del cambiamento delle fogge, ma questa nasce come fenomeno sociale nel XIX secolo in Francia, dove si ha la piena affermazione dell'individuo e la società è fondata su una visione antropocentrica. L'abito dal Medioevo ad oggi, si è liberato dalle restrizioni del passato assumendo nuovi significati e valori quali status e identità: 1- Status: la moda, secondo alcuni studiosi, era in passato appannaggio di pochi eletti, oggi invece coinvolge nella sua dinamica un numero sempre maggiore di attori sociali. 2- Identità come “identità sociale” che ogni individuo cerca di autocreare e autocostruire facendo riferimento ad altre identità collettive, queste rappresentano una grande radice culturale nel codice delle variazioni dell'abbigliamento al fine di formare i fenomeni di moda, humus fondamentale per il genio degli stilisti. La moda liberata dal suo antico status, ostenta la libera scelta, è comunicazione, vestiti e accessori parlano, sussurrano attraverso la qualità dei loro tessuti, promotori di successo e potere. La società moderna ha sgretolato le barriere tra gli strati sociali, favorendo l'omologazione. L'abito è comunicatore di ruolo e identità, immagine, appartenenza ad un gruppo. I modelli di identificazione non hanno una definizione sul piano sociale, ma su quello gruppale, l'individuo ha un forte bisogno di accettazione e riconoscimento. L'identificazione e l'imitazione sono essenziali per la comprensione del fenomeno moda, gli abiti attraverso l'identificazione esprimono l'adesione ai valori, ai miti di un determinato gruppo sociale, l'imitazione mostra l'apparenza del Sè, diverso, desiderato, volutamente lontano dal reale: moda come processo d'influenza sociale, moda come fenomeno di comunicazione e identità sociale.


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4. L'uomo Blasè vs Flaneur

Individuo: riflesso della metropoli

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Il tema centrale della “teoria sociale” è rappresentato dalla “modernità”, e si è sviluppato con l'arrivo del post-moderno. Autori come Baudelaire, Marx, Simmel, Benjamin, hanno indagato: “il nuovo”, prodotto dalla società moderna. Per Baudelaire la modernità “è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell'arte, di cui l'altra metà è l'eterno e l'immutabile (Baudelaire 1980, p 944). Quindi lo scrittore afferma che la moda non è una caratteristica della modernità, è l'origine dell'estetica, ha in sé un duplice fascino “incarna il poetico nello storico”, l'eterno nel transeunto. La moda per Baudelaire si incarna nella figura del Dandy, la sua unica occupazione è quella di rincorrere la fortuna. Il dandy rappresenta un'artista decadente, ultima resistenza eroica all'ennuì borghese, in questo senso, annuncia la permeabilità dell'attuale vita quotidiana (Francesca Bianchi, 2009). La dialettica del transitorio, presente nell'estetica di Baudelaire, è stata trasferita dai teorici della modernità nella dimensioni della vita sociale (Frisby,1992). Frisby sostiene che Simmel, sia stato il primo sociologo ad occuparsi della modernità. Simmel ha concentrato i suoi studi sulla metropoli, esplica che in questo milieu si concentrano e potenziano tutte le tendenze della modernità, tratta l'argomento nel saggio: “Le metropoli e la vita dello spirito”, Paolo Jedlowski, curatore del libro, nell'introduzione afferma: «si tratta di un piccolo capolavoro della sociologia, le cui indicazioni per la comprensione dell’esperienza moderna sono ancora preziose». In questo breve ma denso saggio, apparso per la prima su una rivista nel 1903, Simmel individua nella vita metropolitana la quinta essenza della modernità. La modernità, per Simmel, è flusso e instabilità di ogni forma, è divenire perpetuo. La metropoli accentua quel senso di perpetua precarietà entro la quale l'esistenza si trova a far costantemente i conti. L'individuo è immerso in flusso continuo e instancabile di stimo-

Blasè

li contro il quale si può proteggere costruendo intorno a sé una sorta di corazza che lo renda insensibile. Il pensiero del sociologo è ambivalente, nella metropoli è presente la libertà di movimento e di espressione del singolo, l'individuo, nella città, è sottoposto anche a dei rischi, a causa del forte scambio di relazioni sociali, la vicinanza trova un suo limite sfociando nell'estraneità, che rende più difficile il relazionare tra gli uomini. Simmel introduce la figura dell'uomo blasé: l'abitante della metropoli disincantato e annoiato, il cui atteggiamento è quello di chi ha già visto tutto. Il blasé è esattamente figlio di questo sistema dell'intelletto e dell'economia monetaria, che penetra nell'intimo dell'uomo blasé e ne annienta la sensibilità qualitativa. Il blasé è indifferente nei confronti delle varietà qualitative delle cose. Tale annoiata indifferenza è contrassegnata da altri tratti tipici come il riserbo, l'anonimità delle relazioni, scudo a difesa della metropoli. L’abitante della metropoli infatti si trova di fronte ad un eccesso di stimoli che caratterizza la vita metropolitana e per questo si difende, rispondendo con indifferenza annoiata verso le varietà qualitative con riserbo, anonimato relazionale. L’abitante metropolitano, il blasé, sente dunque l’esigenza di proteggere la propria psiche da una eccessiva quantità e contraddittorietà di stimoli e di conseguenza sente la necessità di non farsi coinvolgere emotivamente da questi. Non è uno sciocco consumatore di massa, privo di vita spirituale, ma piuttosto un intellettuale che sembra mettere alla prova le sue capacità di resistenza psichica nel caleidoscopio delle impressioni metropolitane (Dal lago 1994). Il mondo concepito dal blasé è rappresentato dal colore grigio, opaco, incapace di suscitare preferenze. Si sposa con la natura del denaro e si trattiene nell'ampio campo del possibile senza abbassarsi mai fino al possesso concreto (Francesca Bianchi, 2009). Il blasé, il dandy o l'individuo qualcuno, che cerca la quiete nell'estetica del distacco sono varianti o possibilità di un soggetto sopratutto filosofico, qualcuno in cui lo stesso Simmel si riconosce. Questo aspetto del pensiero di Simmel ha fatto – ovviamente – molto discutere la critica. A proposito si è parlato di “aristocraticismo”, di “semiritirata estetica della società” (con corollario disimpegno politico nei confronti dei problemi del suo tempo), di individualismo estetico (Dal Lago, 1994). Il filosofo tedesco Benjamin, per queste ragioni, preferisce il genio dissacrante di Baudelaire, al fine


urbano sia come strumento analitico che come stile di vita. Dal suo punto di vista marxista, Benjamin descrive il flâneur come un prodotto della vita moderna e della rivoluzione industriale, senza precedenti nella storia e decisamente appartenente ad un certo tipo di classe sociale, parallelo all'avvento del turista. Il suo flâneur è un borghese dilettante, non coinvolto ma molto perspicace. Benjamin divenne il suo stesso esempio principale, raccogliendo le osservazioni sociali ed estetiche che ricavava da lunghe passeggiate per le vie di Parigi. Simmel e Benjamin hanno in un certo qual modo le stesse vedute della metropoli. Il flâneur di Benjamin può essere paragonato al blasé di Simmel, entrambi figli dello spirito della stessa metropoli dove l'esperienza (erfhrung), è ricostruita e la cultura mostra la dissonanza tra soggettivo e oggettivo. In opposizione Baudelaire mostra una collera irrefrenabile verso la sua città, dipingendola in modo malinconico. La metropoli di Simmel esibisce una sua forma di individualità, estrema e raffinata, per Simmel è sempre possibile “un'esperienza”, realizzata dai vissuti individuali. Il poeta maledetto rifiuta la logica della divisione del lavoro, vive tra i reietti e gli asociali e la sua comunità sessuale è quella delle prostitute. La grande città ignora le figure del dandy/flâneur, del blasé, le spersonalizza, la moda sfoggia la sua natura evanescente, le fresche novità fuggono nel vuoto consumo. Attraverso lo sviluppo della moda, si accentua l'individualismo estetico e la dimensione del presente assume un ruolo assoluto mentre si assiste ad una vetrinizzazione del corpo all'ethos, all'eccitazione del desiderio e alla teatralizzazione della merce (Francesca Bianchi, 2009).

Flâneur

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di rappresentare le contraddizioni della città moderna. Il termine flâneur coniato dal poeta maledetto Baudelaire, adottato dal filosofo Walter Benjamin, figura da lui stesso rappresentata in modo egregio in “I passages di Parigi”, (1926-1940). Il flâneur incorpora in sé differenti modalità percettive del mondo moderno e propone un approccio alternativo nei confronti della società e delle sue molteplici forme. Viene continuamente definito e ri-definito; dietro ad ogni suo aspetto se ne cela un altro, e poi un altro, ed un altro ancora, figura ricorrente nelle descrizioni accademiche sulla modernità, ed è diventato significato anche in architettura e urbanistica. Il flâneur è il poeta o l'intellettuale che passeggia tra la folla di consumatori, non segue la folla: “il percorso del mercato”, il magazzino è il suo ultimo marciapiede; come descrive Benjamin, segue la strada che lo condurrebbe in un tempo scomparso: “Chi cammina lungo le strade senza meta viene colto dall’ebbrezza. Ad ogni passo l’andatura acquista una forza crescente; la seduzione dei negozi, dei bistrot, delle donne sorridenti diminuisce sempre di più e sempre più irresistibile si fa, invece, il magnetismo del prossimo angolo di strada, di un lontano gruppo di foglie, del nome di una strada…”. È attraverso la mediazione della folla che il flâneur percepisce l’essenza della realtà urbana, la quale si presenta al suo cospetto sotto forma di moltitudine, proiettandolo istantaneamente all’interno di un meccanismo di ricezione degli stimoli estremamente sviluppato. Tuttavia, Baudelaire sostiene che la propensione alla flânerie è una qualità da possedere sin dalla nascita e non si può apprendere nel corso della vita: “Godere della folla è un’arte; può concedersi un’orgia di vitalità a spese del genere umano soltanto quello a cui una fata abbia insufflato fin dalla culla il gusto del travestimento e della maschera, l’odio del domicilio e la passione per il viaggio”. La città per eccellenza simbolo dell'evoluzione dell'arte e della tecnologia é Parigi, luogo mitico per lunghe passeggiate, girovagare nei vicoli, scoprire quartieri eccentrici, esotici, entrare in spazi familiari, per scoprire le proprie intimità psicologiche, illuminazioni e perdizioni. Essere flâneur è vivere in sintonia con i paradossi della modernità, scoprire quella poetica legata alla città definita da Baudelaire: “paradiso artificiale” dell'uomo, intesa come opera d'arte, in cui si nasce e si muore, culla di forme astratte, intime e viventi. Walter Benjamin adottò questo concetto dell'osservatore


5. Il tessuto sociale crea l'abito alla moda L’abito una scelta individuale

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Il sistema vestimentario è indice di appartenenza ad una classe sociale, l'avvento della borghesia sull'aristocrazia denota un'aspetto di competitività tra classi, di conseguenza nasce moda come fenomeno sociale. L'abbigliamento borghese esprime: modestia riservatezza, austerità, mostrando una forte rinuncia di tutto ciò che è ostentazione. L'abito subisce un processo di stratificazione all'interno d e l quale

l'uomo cela il proprio io, come un anima nobile da esibire al momento giusto, senza che l'abito ne offuschi il senso. Nel XX secolo, la moda corrispettivo oggettivo della città, assume tutte le tinte grigie, che si dissolveranno con l'avvento della rivoluzione industriale, accompagnata dalla rivoluzione dei consumi. Queste imporranno forti cambiamenti sulla vita sociale e di conseguenza sulla moda. La società moderna era ed è sinonimo di produzioni di massa e progresso nei mezzi di trasporto e distribuzione, che permettevano di diffondere molto rapidamente copie di modelli di alta moda, in gran numero e prezzo relativamente contenuto (Codeluppi, 2002, Wilson 2008). Il cambiare e l'espandersi delle mode avveniva freneticamente attraverso gli strati sociali, a causa della natura transeunta, intrinseca nella moda stessa. Le classi sociali, attraverso la moda si uniformano, l'imitazione sfocia nella competitività tra ceti. L'imitazione emulativa, avverrà con l'abrogazione delle leggi suntuarie (leggi limitative, per le spese voluttuarie e di lusso, emanate dalla Grecia e Roma classica) che si diffonderanno in tutte le classi, nelle forme di espressine più ridicole e di cattivo gusto. L'imitazione dei ceti superiori produce l'espansione dell'individualità sgretolando “l'etichetta” del bon ton. Il sociologo inglese Spencer sottolinea l'aspetto “individualistico” della moda, lega la sua espansione al diffondersi della libertà estrinseca all'individuale. Il sociologo esplica un'atteggiamento negativo nei confronti della moda, connesso ai suoi aspetti eccessivi, all'ostentazione. L'abito è una maschera, un sipario, che mistifica l'io e la vita stessa. T. Veblen (1857- 1929) appartenente alla scuola tedesca di sociologia, insegnante presso l'università di Chigago, ottenne certamente più successo di Spencer, con la sua opera “The Theory of the Leisure Class” (1899) (La Teoria della classe Agiata), detta anche la “teoria del consumo ostentativo”. La “leisure class” rappresenta i nuovi ricchi, una classe agiata, inserita in quella che Veblen definisce: modernità rappresentata da una raffinata forma di barbarie. La leisure classe è formata dalla classe di individui che seguono tre principi: Lo sciupio vistoso (conspicuous waste) Il consumo vistoso (conspicuous consumption) L'agiatezza vistosa (conspicuous leisure)


gno individuale di differenziarsi e l'aspetto economico. Il vestito è un codice di comunicazione trasmesso attraverso il tessuto, le forme, i colori che esprimono stati d'animo, personalità, classe sociale, mestiere, livello culturale e aspirazioni di chi lo indossa (Vergani, Merlo, 2009). Gli studiosi Simmel e Veblen, hanno entrambi trattato il fenomeno moda e la sua diffusione, partendo dalla teoria che questa venga diffusa dall'alto. Simmel è considerato il padre della Trickle down Theory (Teoria del Gocciolamento). L' analisi approfondita sulla moda si attiva, quando questo fenomeno subisce il processo di democratizzazione: la diffusione della moda procede dall'alto verso il basso, dalle classi dominanti a quelle inferiori, attraverso un processo di “imitazione/differenziazione”. L'analisi sociologica della moda rivela che gli effimeri oggetti sociali costituiscono forme di potere e di dominio, dove si possono celare forme di violenza implicita e simbolica nei confronti dei gruppi sociali subalterni. Diana Crane, sociologa contemporanea, sulla diffusione della moda predilige una teoria diametralmente opposta a quella di Simmel; pensa che questa sia un fenomeno risalente dal basso verso l'alto (Bottom-up). Dalla seconda metà del 1900, la moda non presenta più il fenomeno dell'emulazione della classe superiore, l'individuo afferma attraverso l'abbigliamento l'immagine di sé. Gli abiti costruiscono un'identità personale (e perdono la loro funzione di palesare l'appartenenza ad una classe). Oggi i fenomeni di moda derivano da adolescenti e giovani adulti, da “stili tribali”, da comunità artistiche e omosessuali. Le teorie di Simmel e di Veblen sono legate alle radici del conflitto sociale che delineano le società industriali del primo Novecento, riconoscono nella moda un'implicita adesione al sistema del consumismo. Mostrano l'importanza del fenomeno d'imitazione di coloro che sono socialmente superiori e la volontà di questi di distinguersi dai membri della società considerati inferiori; altri studiosi tra cui Bourdieu hanno ereditato queste teorie. Secondo Pierre Bourdieu la scelta individuale, per esempio in materia di arredamento, sarebbe un modo per assicurarsi una posizione nello spazio sociale, in quanto le scelte di consumo definirebbero la collocazione dell'attore sociale rispetto al gruppo immediatamente inferiore, in un rapporto chiaramente antagonistico. Nella sua teoria Bourdieu, accentua la differenziazione sociale fino a individuare sottili forme di segmentazione all'interno di una 29

L'abbigliamento rappresenta un mezzo di comunicazione per ostentare ricchezza e prestigio. Le donne nelle classi agiate rappresentano simboli di status, definite “donne trofeo”, capaci di dar lustro al marito attraverso scelte vestimentarie vistosamente costose. Nella classe agiata le donne impersonano il ruolo di consumatrici cerimoniali, senza nessun impegno lavorativo, costrette in abiti scomodi e costosi, ridotte dai mariti in sterili manichini alla moda. Veblen osserva attentamente il fenomeno moda, sottolinea come l'abito non presenta alcuna funzione protettiva, al contrario gli individui indossano abiti costosi per apparire, senza prestare attenzione ai fattori funzionali quali proteggersi dal freddo. Egli spiega il riemergere dell'abbigliamento anonimo legato a semplici e preziosi dettagli. Il facoltoso apprende, col trascorrere del tempo, le raffinatezze dell'estetica, abbandonando radicalmente le volgarità del lusso. I nuovi ricchi fanno della sobrietà ostentatamente esibita il loro emblema. Un altro illustre filosofo e sociologo tedesco, eccelso interprete dello spirito della moda, che negli stessi anni analizza il fenomeno è Georg Simmel (1858-1918), pensa che la moda possa essere sottoposta ad un analisi psicosociale e costituirsi un oggetto di indagine, quindi esaminata come un “fenomeno sociale” intimamente connesso all'attività inconscia dello spirito. Il lato psicologico corrispondente alla moda è legato all'imitazione, che viene traslata dal gruppo alla vita individuale, in questo modo l'individuo si libera dal tormento della scelta, che diventa un prodotto del gruppo. L'imitazione costituisce una delle forme fondamentali, quella che si esprime fondendo il singolo all'universale (Francesca Bianchi, 2009, pag. 48). Per Simmel la moda non è altro che una forma di vita, dove si identificano l'eguaglianza sociale e la differenziazione individuale. Lo psicologo sociale Marc-Alain Descamps esplicita la sua teoria in linea con l'opinione simmelliana, definendo la moda come fenomeno psicosociale complesso, che detiene in sé diversi aspetti i quali si possono connettere con diversi punti di vista, legati alla funzione, intesa come desiderio di esprimere la propria identità sociale: a cosa serve la moda, quali bisogni sociali dell'individuo soddisfa e come contribuisce all'interazione sociale. Analizza la moda come una struttura formata da elementi sistematici e costanti: bisogno di cambiamento, il gioco d'imitazione, l'appartenenza ad un gruppo, il gusto e le tendenze collettive, il biso-


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stessa classe. La moda è un codice che consente la distinzione sociale, atta a produrre differenziazione in termini di gusto, che appartiene alla sfera personale dell'individuo, è opinione o scelta soggettiva motivata dalle particolari inclinazioni individuali e implica diverse possibilità di scelta. Il gruppo di appartenenza non impone alcuna coercizione sulle scelte dell'individuo. Il gusto è un marcatore sociale che produce e mantiene le divisioni interne alle classi e tra le classi dominanti e quelle dominate. Il gusto è uno dei significanti, degli elementi chiave per lo sviluppo dell'identità sociale (Bourdieu, 2001). Il capitale culturale esplica la classificazione dei gruppi sociali nella società, il modo con cui i gusti, le percezioni estetiche e di come il bello e il brutto si sono diffusi in essa. I ceti superiori usano questo capitale per distanziarsi costantemente dalla massa. Bourdieu, afferma che alcune scelte apparentemente idiosincratiche sono dettate dalla borghesia o classe del “buon gusto”, la quale esalta il valore estetico. Abiti e accessori, rappresentano per i membri della borghesia l'espressione del gusto. Al contrario, le classi lavoratrici preferiscono un abbigliamento pratico-funzionale, di conseguenza investono il proprio denaro in beni che durino. Le opzioni del gusto sono dettate da tre variabili che Bourdieu definisce come: Capitale economico (denaro e mezzi di produzione) Capitale sociale (reti sociali) Capitale culturale (lingua, gusto, cultura eredita dalla famiglia, istruzione, ecc) Il gusto, anticipatore di modi e stili di vita, è definito dall'insieme del capitale economico, culturale e sociale di una classe e è acquisito dalle classi di appartenenza. Bourdieu definisce il gusto “habitus”, ovvero comportamenti, idee, giudizi, l'inconscio collettivo di una classe sociale, che trasmette l'appartenenza sociale dell'individuo. La moda racchiude in se il concetto di distinzione tra classi, ridotto dall'arrivo di una sorta di democrazia vestimentaria, la quale ha accorciato le distanze tra le stesse classi sociali. Il fenomeno del gusto è connesso alla moda. Questa ha una pretesa di normatività, di universalità, ma non può avere la pretesa di imporsi sul gusto. Quest'ultimo conserva una specificità libera e superiore alla moda. E' interessante porre l'attenzione sulla specificità e sulla libertà del buon gusto, che non resta un qualcosa di privato, o senza ragione, ma è riconoscibile a livello sociale.


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6. Una parentesi semiotica Il segno esprime un messaggio

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La comunicazione, parola chiave del mondo contemporaneo, è tema trasversale di discipline diverse: dallo studio dei mass media a quello delle tecniche pubblicitarie, semiotica, sociologia e psicologia, sono discipline presenti lungo l'intero percorso formativo che si configura come una continuità di saperi che entrano in contatto l'uno con l'altro al fine di interpretare, segni, immagini e atteggiamenti. A tal proposito, ritengo opportuno prendere in esame le teorie più rilevanti che trattano il settore moda, iniziando dalla “semiotica come indagine dei processi comunicativi”. Passando successivamente alle “teorie legate alla semiologia”, quelle che consideravano il prodotto della moda come simbolo in grado di rappresentare le caratteristiche sociali e in individuali degli individui. La moda è un linguaggio non verbale, per interpretare le sue espressioni, è necessario porre attenzione sui messaggi che questa trasmette attraverso i segni. La disciplina che si occupa di questa indagine è la semiotica, da cui nasce un'attenta analisi sul concetto dell'abito e della moda nei loro aspetti comunicativi funzionali. Le teorie che analizzano la moda in quanto sistema di segni, evidenziano un codice utilizzato dagli individui per trasmettere messaggi sulla propria persona. La semiotica (dal termine greco semeion, che significa "segno") è la scienza che ha per oggetto lo studio comparato dei segni, della struttura e del funzionamento di tutti i processi in cui i segni sono coinvolti. Seguono due orientamenti soggiacenti l’analisi semiotica, legati da profonda solidarietà.


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Una parentesi semiotica

Indagine dei processi comunicativi Gli oggetti di tale disciplina sono l’individuazione di sistemi, composti di unità (segni) e di relazioni al loro interno, collateralmente la spiegazione dei processi o utilizzazioni concrete (atti di comunicazione) in cui i segni trovano le loro esplicazioni pratiche, (Caprettini, 1997). La semiotica constata l’esistenza di diversi sistemi di segni e s’interroga sul problema del segno come nozione generale rispetto alle classi particolari (Jakobson, 1989). La comunicazione (dal latino cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe), in senso amplio racchiude la totalità dei fenomeni che concernono il trasferimento di informazioni. Il concetto di comunicazione comporta la presenza di un'interazione tra soggetti diversi: si tratta in altri termini di una attività che presuppone un certo grado di cooperazione. Ogni processo comunicativo avviene in entrambe le direzioni e, secondo alcuni, non si può parlare di comunicazione là dove il flusso di segni e di informazioni sia unidirezionale. Se un soggetto può parlare a molti senza la necessità di ascoltare, siamo in presenza di una mera trasmissione di segni o informazioni. Nel processo comunicativo, che vede coinvolti

gli esseri umani, ci sono due polarità: da un lato la comunicazione come atto di pura cooperazione, in cui due o più individui “costruiscono insieme”, una realtà e una verità condivisa; dall’altro la pura e semplice trasmissione, unidirezionale, senza possibilità di replica. Nel mezzo vi sono le mille diverse occasioni comunicative che tutti viviamo ogni giorno, in famiglia, a scuola, in ufficio, in città. Ogni messaggio viene recepito, non solo per quello che trasmette in senso letterale, ma anche per quello che permette di far capire al mittente significati denotativi, che attinge dalle sue conoscenze e dal patrimonio culturale. Il destinatario, nel momento in cui interpreta un messaggio, lo ricostruisce.

I sei fattori minimi della comunicazione nella linguistica e nella moda

I sei fattori minimi della comunicazione linguistica, secondo Jakobson

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codice è l'insieme delle convenzioni

segniche per cui è stabilito che un dato segno (mimico, fonico, linguistico, ecc) ha un dato significato.

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messaggio è ciò che si vuole dire all'altro attraverso i segni, il codice; è il contenuto dell'atto comunicativo.

contesto è il contesto di realtà in cui avviene l'atto

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comunicativo, dato da tutte le circostanze che costituiscono in qualche modo una premessa all'atto comunicativo. Es. nel caso della segnalitica stradale, la premessa (implicita) è che esistano delle strade con delle automobili e dei guidatori. Ad un livello più generale, il contesto di realtà è la situazione in cui avviene la comunicazione.

destinatario è colui al quale è

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contatto è il mezzo attraverso il quale avviene la comunicazione, in senso assolutamente materiale: nel caso della segnaletica stradale, è il metallo dei cartelli e la tinta dei disegni; nel caso, ad es., della comunicazione orale, è l'aria attraverso cui passano i suoni; nel caso della comunicazione scritta, è la carta.

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rivolto il messaggio dell'atto comunicativo. Nel caso della segnaletica stradale, è il guidatore.

destinatore è colui che rivolge il

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messaggio dell'atto comunicativo. Nel caso della segnaletica stradale, è un'istituzione definita dalla società per regolarizzare i traffici stradali.


Jakobson ha distinto per primo le diverse funzioni dei linguaggio

emotiva o espressiva in connessione con il

mittente che riguarda la sua capacità di comunicare i propri stati d'animo, sentimenti ed emozioni

fatica (da Femì in greco parlare) che riguarda le conversazioni di passaggio e convenzionali

conativa in relazione con il desti-

natario che si cerca di convincere ed influenzare

metalinguistica che ne definisce il codice

poetica o estetica che ne sottoli-

nea gli aspetti formali e della bellezza

di un codice non verbale. Nella comunicazione avviene lo scambio di un messaggio tra emittente e il ricevente, questo avviene tramite un canale o mezzo e un codice. Quest'ultimo è il ruolo che assume l'abbigliamento, che esterna messaggi attraverso abiti e accessori. Il codice della moda si esprime nelle collezioni, nella sfilata e nel guardaroba che ha funzioni sintagmatiche. L'abbigliamento si colloca all'interno di una classe di comunicazioni: corporea fortemente autoreferenziale con forti caratteri fatici che esercita un'azione sugl'interlocutori che comunica quest'azione che si rivolge genericamente ad un amplia audience strutture su un'asse paradigmatico e sintagmatico con contenuti prevalentemente connessi agli usi e alle categorie sociali seduttive

Quando si attua tale processo, può accadere che codifica e decodifica corrono su due rette parallele senza mai incontrarsi: stati mentali, sentimenti, rumore psicologico 35

L'abbigliamento può essere considerato una forma di linguaggio, tra individui e gruppi, in questo caso la linguistica si esplicita in due forme: indice del rapporto tra individui, la posizione su scala sociale, obbedienza o comando e la catena dei segni linguistici, sembra essere un mezzo, un campo dell'interazione sociale basata sulla ridondanza o su un punto di vista grammaticale, al fine di ottenere un particolare effetto. Esempio la cravatta come mezzo comunicativo dimostra la competenza e la professionalità, la non-cravatta è simbolo di rilassatezza e uguaglianza. Le frasi scelte di un discorso influenzano gli interlocutori e incidono sul loro comportamento, analogamente accade nell'ambito dell'abbigliamento, che svolge una funzione regolatoria delle relazioni. Nella linguistica i vocaboli vengono associati secondo delle regole sintattiche, nell'abbigliamento questo avviene con l'abbinamento, associazione di capi, colori, marchi, così facendo è possibile comprendere il tipo d'influenza che l'interlocutore vuole esercitare. Gli aspetti formali con i quali un individuo appare, incidono sul processo comunicativo nell'ambito delle abilità relazionali per mezzo


individuale conducono ad un'interpretazione diversa, del segno (abito), di conseguenza si ha un'aberrazione del messaggio causato dalla discrepanza tra mondi simbolici divergenti tra i diversi interlocutori. Il processo

di decodifica consiste nel comprendere il comportamento degli altri individui, per mezzo di vari processi: selezione, organizzazione e interpretazione dei segnali percepiti. Tali fenomeni sono a sua volta influenzati da:

Sensibilità fisica, gli abbinamenti di un colore nel vestirsi sono determinati dalle preferenze personali. Solo l'esperto di moda ha gli atteggiamenti giusti nei confronti della moda.Un'individuo può avere una predisposizione, sensibilità e gusto peculiare verso la moda, fino a respingere o approvare accostamenti cromatici.

Categorizzazione, è un processo mentale, comporta la manipolazione di simboli (concetti, immagini, rappresentazioni astratte) che rappresentano oggetti, avvenimenti o idee nella memoria; in questo modo lo si trova collegato "topograficamente" tra lo stimolo proveniente dall’esterno (percezione) o dall’interno (immagine mentale) e la risposta. Mediante questo processo quindi, vengono organizzati i segnali ai quali l'individuo attribuisce un significato: questo avviene anche nell'ambito della moda.

Attenzione selettiva, consiste nella capacità di selezionare solo alcune tra le numerose informazioni che giungono agli organi di senso. Un esperto di moda coglie il valore simbolico di una borsa vintage o di una baguette di Chanel, mentre un ingegnere pone l'attenzione sui dettagli tecnici dell'oggetto. Personalità, i lati caratteriali di un individuo influenzano la valutazione, la decodifica dell'aspetto esteriore degli altri individui.

Contesto e aspettative, un individuo si aspetta un determinato codice vestimentario in base al luogo, al momento, alla contingenza in cui si trova. Atteggiamenti, che circondano un individuo vengono assimilati attraverso la percezione individuale, se sono conformi ai pensieri personali verranno interpretati positivamente, al contrario creano un atteggiamento repulsivo, nonché note dissonanti.

La comunicazione non verbale: il glossario del corpo

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La comunicazione non verbale non si avvale dell'uso della parola ed è trasmessa da un individuo in modo sia consapevole che inconsapevole. L'emozione e l'intenzione comunicativa si esprimono attraverso: voce, sguardo, sorriso, gesti, postura, silenzio e attenzione. “Il nostro corpo è come un glossario” (Goffman, 1969) contenente informazioni che determinano un comportamento peculiare. L'esteriorità e l'abbigliamento comunicano una serie di segnali associabili a determinate caratteristiche, esempio collare bianco, sacerdote. L'individuo si espone attraverso rappresentazioni quasi teatrali, “da palcoscenico” (Goffman, 1969). Uno dei mezzi della comunicazione non verbale è l'abbigliamento che regola le relazioni interpersonali, gli atteggiamenti nei confronti di altri individui, l'immagine di sé per enunciare agli altri l'identità. Lo spazio personale “indica la zona che circonda imme-

diatamente l'individuo ed è vista come protezione dell'io” (Bitti, Zani, 1983). La postura è veicolo di messaggi comunicativi, abbigliamento e accessori influiscono sul comportamento spaziale e sulla postura. Gli accessori corrispondono ai gesti di adattamento, controllano bisogni, motivazioni ed emozioni relativi ad una determinata situazione e avvengono attraverso la manipolazione: toccarsi i capelli, giocare con un orecchino, ecc. Gli occhiali sono un accessorio importante, s'indossano per l'abbellimento dell'occhio, sono una maschera dietro la quale celarsi, uno specchio con il quale evitare uno sguardo. L'aspetto esteriore è l'insieme del volto, dell'abbigliamento, degli accessori, del trucco, i capelli e della pelle, molti di questi elementi possono essere modificati. L'abbigliamento e l'aspetto esteriore ( Ekman, Friesen, 1969) rappresentano varie funzioni:


– informativa, in quanto provocano interpretazioni condivise negli osservatori, ad esempio sulla professione di chi indossa un abito o un accessorio come un camice, una divisa militare, un sacerdote, una toga – comunicativa, permettono di trasmettere qualcosa di specifico al nostro interlocutore, esempio indossando tuta e scarpe da ginnastica ad una cena romantica, forse ciò che si vuol comunicare è: sono pronto a correre via più velocemente possibile,

se si partecipa ad una gara podistica indossando pantaloni attillati e sandalo con il tacco alto: “il mio stile non è proprio quello di sudare. Vi seguo in taxi”. – interattiva, attraverso la manipolazione dell'aspetto esteriore miriamo a modificare e a influenzare il comportamento degli altri. Vestire sexy e in modo appariscente, serve ad attrarre l'attenzione, si indossano guaine contenitive per apparire più magri e tonici.

abiti proteggono l'uomo dagli elementi atmosferici, nascondono certe parti del corpo e comunicano informazioni sulla personalità, rappresentano un ruolo professionale attraverso divise, uniformi e abiti convenzionali.

accessori rafforzano il significato degli abiti, sono comunicatori sul ruolo professionale, sullo status di un individuo. Scarpe e borse forniscono, attraverso decorazioni e forma, informazioni sugli atteggiamenti interpersonali.

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L'aspetto esteriore è formato da diverse componenti che assumono molteplici significati


Una parentesi semiotica

Classificazione dei segni da Saussure, Gremais, Barths La semiotica si occupa dei segni senza alcuna particolare precisazione, lasciando alla linguistica di trattare i segni delle lingue storico-naturali. Accanto al termine “semiotica” esiste la voce “semiologia”, mutuato dalla tradizione di lingua francese, che ha sottolineato piuttosto la dimensione filologico linguistica che quella filosofica. Langue e parole Saussure in prima istanza si interroga su quale sia l'oggetto della linguistica, dinnanzi ad una parola si può focalizzare l'attenzione sui suoi aspetti acustici, sulla corrispondenza tra il suono e l'idea che esso porta con sé, sugli aspetti individuali o sociali della parola, sugli aspetti più stabili o su quelli che riguardano la sua evoluzione. La linguistica deve sempre costituire il proprio oggetto. Saussure focalizza l'attenzione su una dicotomia su cui si basa la linguistica, che diventa fondamentale per la sua intera teoria: la parole intesa come realizzazione del segno linguistico, atto individuale e la langue, aspetto condiviso, sociale del linguaggio. I sensi hanno modelli astratti e collettivi, i concetti o significati: parole, esecuzione materiale, realizzazione individuale

che collega una fonia a un senso, atti linguistici unici, irripetibili. Materia della linguistica. Le discipline che studiano l'esecuzione sono la fonetica, la psicolinguistica, la sociolinguistica. Dominio della sostanza. Langue, parte sociale, collettiva, condivisa del linguaggio, esterna all'individuo, che da solo non può crearla né modificarla. Oggetto che si può studiare separatamente dalla parole (possiamo ad esempio studiare le lingue morte sebbene non si parlino più). I significanti, in quanto classi di fonazioni, ed i significati, in quanto classi di sensi, costituiscono il suo dominio. E' di natura omogenea, a differenza del linguaggio che complessivamente è eterogeneo. E' un oggetto di natura concreta della lingua, in quanto segni linguistici non sono delle astrazioni.

La semiologia: l'immutabilità e mutabilità del segno

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Per Saussure la lingua è un sistema di segni che esprimono idee e la semiologia è una scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale. La linguistica è solo una parte della semiologia che studia tutti i sistemi, siano essi lingue, riti, costumi, alfabeti. Il segno linguistico unisce un concetto a un'immagine acustica (questa non è il suono materiale in sé, ma la rappresentazione psichica che è data dalla testimonianza dei sensi dell'individuo). Gli individui possono parlare tra loro senza muovere le labbra, ciò rende chiaro il carattere psichico delle nostre immagini acustiche. Il segno linguistico è un'entità psichica a due facce (concetto da un lato, immagine acustica dall'altro) ed è caratterizzato da due principi primordiali: l'arbitrarietà e la linearità. Arbitrario non vuol dire soggettivo e libero, ma piuttosto “immotivato”, cioè non necessario in rapporto al significato che viene espresso. Lineare perché il significante, essendo di natura auditiva, si svolge nel tempo, ne rappresenta un'estensione, misurabile in una sola dimensione: una linea.

C'è arbitrarietà nella scelta dei significanti per veicolare i significati, tuttavia i segni sono un sistema obbligato. Saussure vuole così evidenziare l'immutabilità delle lingue, motivandola così: il carattere arbitrario del segno spiega la libertà di scelta, ma è anche un sistema di sicurezza contro “attacchi” per trasformare le lingue: perché un significante cambi ci deve essere una buona giustificazione; la moltitudine dei segni necessari a costituire qualsiasi lingua: i segni linguistici sono innumerevoli ed è difficile pensare alla sostituzione di un intero sistema linguistico; il carattere troppo complesso del sistema; la resistenza dell'inerzia collettiva a un'innovazione linguistica: la lingua è usata da tutti, è della massa sociale, e questo è un fattore di conservazione. Inoltre il sistema linguistico è eredità dell'epoca precedente. Ma se da un lato il tempo dà continuità e stabilità, dall'altro determina al contempo la mutabilità. I due fatti non sono contraddittori: quando si parla di immutabilità infatti non si parla di inalterabilità, ma di intangibilità.


Sincronia e diacronia La linguistica deve sempre guardare: l'asse della simultaneità, che esclude l'intervento del tempo e quella delle successioni in cui è possibile considerare un elemento alla volta. A questo proposito Saussure parla di una linguistica sincronica, che si occupa degli aspetti statici, e di una linguistica diacronica, che si occupa degli aspetti evolutivi delle lingue. Saussure fa vari esempi, tra cui quello della partita di scacchi: ci poniamo in una dimensione sincronica, nel senso che osserviamo una fase della partita, e diacronica se analizziamo la partita dall'inizio. La diacronia riguarda la parole, in cui si trova il germe del cambiamento. La linguistica sincronica deve stabilire i fattori costitutivi di una lingua. Quella statica è più difficile di quella storica, poiché i fatti evolutivi sono più concreti di quelli statici. Saussure cerca di chiarire il concetto di identità sincronica, affermando che l'identità tra due elementi non è data dalla materialità degli elementi stessi, ma

dalle relazioni che hanno con altri elementi del sistema, dalle posizioni che ricoprono, dalle differenze che li caratterizzano: l'identità è quindi un valore. Se durante una partita a scacchi il cavallo viene smarrito, è possibile sostituirlo con un altro, o anche con un'altra figura alla quale si dia il valore del cavallo, la sua funzione, la capacità di fare certe mosse. L'identità e il valore confermano che l'aspetto materiale degli elementi è marginale, mentre sono importanti gli aspetti relazionali, differenziali, oppositivi degli elementi. Per Saussure la lingua è un sistema di valori, di elementi che hanno relazioni; il contenuto di un significante è dato dal suo significato e dai rapporti positivi e differenziali che l'intero segno ha con un altra serie di altri segni. Il significato di “cane” è delimitato da quello di “gatto”, “cavallo”..., così come se distinguiamo il significante / cane / dal significante / pane / è perché i due elementi fonetici /c/ e /p/ si oppongono e si differenziano.

Rapporti sintagmatici e paradigmatici distinzione lessicale tra foglio e foglia che lo spagnolo non riconosce, perché i due significati hanno lo stesso significante, Hoja). Sui limiti dell'arbitrarietà si sofferma Gensini (1999), in ordine ai criteri di “economia cognitiva” (se è vero che i nomi dei numeri a 0 a 10 sono arbitrari, non lo sono i nomi successivi), e per il fatto che se significanti e significati sono arbitrari dal punto di vista logico, non lo sono dal punto di vista della comunità parlante: per un parlante il legame tra le due facce del segno è impresso nella mente, e quindi naturalizzato. Occorre considerare poi i limiti biologici dei parlanti: l'arbitrarietà viene vincolata da essi. E' necessario precisare, poi, che l'arbitrarietà non deve essere confusa con la convenzionalità, meccanismo in base al quale una comunità attribuisce un certo significante a un certo significato, e viceversa: gli accordi convenzionali sono indipendenti dal fatto che i segni siano arbitrari. 39

asse paradigmatico

Da un lato vi sono rapporti basati sul carattere lineare della lingua, in cui gli elementi si dispongono l'uno dopo l'altro: queste combinazioni sono dette da Saussure sintagmi; possono essere parole, frasi intere, parti di frasi riconducibili nel dominio della langue. Dall'altro gli elementi che hanno qualcosa in comune si associano nella memoria. Ad es. “insegnare” si collega a “insegnante, insegnamento, didattica...”; il rapporto è associativo. Per Saussure un'unità linguistica è paragonabile a una parte di un edificio, ad es. una colonna, che si trova in rapporto sintagmatico con l'architrave che sorregge; se la colonna è dorica, essa evoca un rapporto associativo con altri ordini (ionico, corinzio...). Verticale: non c'è ragione per cui il significato “tavolo” abbia come significante / asse sintagmatico tavolo/. Orizzontale: sono arbitrari i rapporti tra un significante ed altri significanti (ad es. la distinzione tra vocale breve o lunga), così come tra un significato e altri significati (es. l'italiano riconosce una


La semiotica secondo Greimas, Barthes e Saussure

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Greimas, insieme ai suoi collaboratori, conia il termine semiotica, presso l’école de Paris, qui la ricerca conduce ai meccanismi di generazione di senso privilegiando i processi di significazione. Il percorso generativo è la realizzazione di questi processi. Il semiotico propone una distinzione tra il livello semiotico profondo e quello superficiale del discorso. Il livello profondo si può suddividere in strutture logico matematiche e semio-narrative che si articolano in una componente sintattica e una semantica. A livello semio-narrativo le unità semantiche minimali si relazionano in una dimensione oppositiva: da tale relazione si costituisce il quadrato semiotico che costituisce la natura elementare della significazione. Un aspetto importante è costituito dallo schema narrativo. L’atto pragmatico comprende manipolazione, competenza, performanza e sanzione. In questa prospettiva la comunicazione è intesa come atto (non come fare informativo). Nell’analisi dell’atto pragmatico è importante ricordare una delle opposizione fondamentali nel pensiero di Greimas: quella tra assiologia (sistemi di valori) e ideologia (quei valori assunti dai soggetti e divenute finalità da raggiungere). Il discorso per Greimas è ciò che è enunciato. Una delle più grandi innovazioni della semiotica greimasiana è nell’introduzione del testo. Le procedure di testualizzazione producono un unità comunicativa compiuta e manifesta. L’irruzione della nozione di testo ha favorito la nascita del modello semiotico-testuale. Sul piano teorico l’approccio di Greimas sancisce il distacco dalla semiologia di Barthes. Il passaggio da una semiologia della comunicazione a una semiotica della significazione ha condotto alla rielaborazione di concetti inizialmente distanti dalla prospettiva semiotica, come quello di enunciazione. Ritorna il grande tema della ricezione. In tale prospettiva gli abiti costituiscono un vero e proprio linguaggio, che si inserisce in un campo semantico preciso. Roland Barthes può essere definito “il pioniere della semiotica” legata alla classificazione dei segni.

Il Senso della moda esplica, riflessioni e scritti di Ronald Barthes. Il suo assunto di partenza consiste nell'applicazione agli studi sul costume di alcune categorie proprie della linguistica saussuriana (langue/ parole, sincronia/diacronia, significante/significato). Questa analogia gli consente di postulare una prospettiva disciplinare unitaria per lo studio della lingua e del vestito: dato che entrambi rappresentano dei sistemi di significazione, questa prospettiva unitaria non può che essere fornita dalla semiologia. Secondo Barthes l'abito rappresenta il significante, cioè il particolare di un significato generale che sta al di fuori di un contesto: epoca, paese, classe sociale. Il significante (evoluzione delle linee) e il significato (regni e nazioni), non si muovono necessariamente sulla stessa linea temporale, semplicemente la moda ha un proprio ritmo in quanto possiede un numero finito di forme archetipe e i cambiamenti formali sono legati ad un periodo storico e quindi ad un contesto, ciò costringe la moda ad una storia parzialmente ciclica. Il costume è approvato per le sue caratteristiche formali o per un uso sociale, grazie a regole di omologazione. Il costume è un sistema, cioè una struttura i cui singoli elementi sono privi di valore se considerati disgiunti, risultano significanti se legati ad un insieme di norme collettive. Il fenomeno abito non può essere studiato solo attraverso gusti, mode o comodità, ma è necessario considerare rapporti e valori, che sono veicoli di significazione. E' complicato considerare il costume come sistema, è difficile seguire un sistema dove equilibri e elementi si modificano in modo ineguale. Attraverso la scienza della linguistica di natura saussuriana: il linguaggio come il vestito sono nello stesso momento storia e sistema, atto individuale e istituzione collettiva. Linguaggio e vestito sono, in ogni circostanza e contesto storico, strutture complete costituite da una rete funzionale di norme e di forme. La trasformazione o lo spostamento di un particolare, un dettaglio, possono modificare l'insieme, produrre una nuova struttura: equilibri sempre in movimento, con istituzioni in divenire. Saussure afferma che il linguaggio umano è composto da langue e parole, applicando tali principi all'abito è necessario distinguere nell'insieme moda una realtà: il costume corrisponde alla langue di Saussure, l'abbigliamento rappresenta invece la parole. Questi concetti sono messi in luce nello schema che segue.


rappresenta l’aspetto sociale del linguaggio, il sistema che è comune a tutti. Un insieme di significati e significanti condivisi che permettono gli atti di parole (e che si sono formati grazie alla continua esposizione agli atti di parole).

rappresenta l’aspetto individuale del linguaggio, ciò che fa riferimento alla singola esecuzione. Quello della parole, quindi, è il campo delle singole fonazioni (nessuna è mai uguale all’altra) e dei singoli sensi (che, allo stesso modo, variano sempre in qualche aspetto, anche se minimo).

è una realtà istituzionale, sociale, indipendente dall'individuo, una sorta di riserva sistematica normativa, dove il singolo organizza le proprie proprietà formali, nonché il proprio aspetto.

è una realtà individuale, un atto del vestirsi dove l'individuo attualizza su di sé l'istituzione generale del costume.

le possono coincidere in apparenza, in realtà la distinzione tra questi due piani è molto netta, anche se sono conciliati da un forte legame, un movimento incessante, un continuo scambio dialettico definito “prassi” (Greimas, 1956). Il costume può essere l'origine dell'uso di tutti i bottoni di una camicia, poi, in un certo abbigliamento si eviterà di abbottonare i due bottoni superiori, tale gesto si trasforma in un fenomeno di costume, se diventa una norma di un gruppo (dandismo). La moda è un fenomeno di costume, la sua origine può derivare da l'uno o l'atro movimento. La moda come fenomeno di costume è manipolata da alcuni specialisti (stilisti, alta sartoria, ecc), ma accade che questa si propaghi attraverso il fenomeno di abbigliamento riprodotto su scala collettiva, derivante da radici scatenanti divergenti. Il legame tra abbigliamento e costume risiede sul piano semantico: la significazione dell'indumento ha un andamento crescente nel passaggio dall'abbigliamento al costume; l'abbigliamento è significativo ed esplicita più che una dichiarazione, mentre il costume è significante e determina una relazione di tipo intellettuale denunciando il rapporto tra l'individuo-indossatore e il suo gruppo di appartenenza. 41

Costume e abbigliamento sono un insieme generico che possiamo costringere nel termine “vestito”, usando in questo caso il linguaggio di Saussure. L'opposizione funzionale tra vestito e costume approda in una valida metodologia, intravista da Trubeckoj che ha stabilito un parallelo tra i compiti della fonetica, della fonologia e quelli della descrizione vestimentaria. L'opposizione costume-abbigliamento può essere considerata dal punto di vista sociologico, di conseguenza il costume si raffigura come un'istituzione che separata dagli atti concreti e individuali pone in evidenza le componenti sociali del costume: gruppi d'età, sesso, classi, cultura. L'abbigliamento è un fenomeno empirico, dove il grado di disordine di un abito ha valore sociologico solo se intenzionale, es. rappresentazione teatrale. La moda è un fenomeno sociale che ha in sé due componenti: – fenomeno di abbigliamento, è il modo personale con cui un individuo indossa il costume che gli viene proposto dal gruppo di appartenenza. Il suo significato può essere morfologico, psicologico o circostanziale, ma non sociologico. – fenomeno di costume, è l'oggetto della ricerca sociologica o storica. Costume e abbigliamento, nonché langue e paro-

Linguaggio parlato

Parole

Linguaggio vestimentario

Langue


Denotazione/Connotazione Queste nozioni possono essere applicate anche in ambito del linguaggio vestimentario. Si può parlare di denotazione se il rapporto che intercorre tra il significante e il significato è stretto, semplice, ben delimitato. Se il significante viene usato per significati più ampli siamo in presenza della connotazione. Identi-

ficando la merce con un segno, ogni singolo oggetto posto in vendita è portatore di significati di tipo denotativo perché riguardanti i soli aspetti tecnologici e funzionali. I significati di tipo connotativo riguardano gli aspetti più immateriali della merce, quelli che soddisfano i bisogni psicologici e/o sociali dei clienti.

Sincronia/Diacronia Così come nella lingua, anche nel costume s'individuano un piano sincronico (o sistematico) e un piano diacronico (o processuale). Il vestito può essere collocato nel contesto di un sistema sincronico, materiato di relazioni e di opposizioni, ma anche dal punto di vista temporale in quanto posto nel divenire del tempo, quindi in un contesto. In tal proposito è necessario adottare due precauzioni metodologiche: “ammorbidire” (Barthes, 1957) la nozione di sistema, considerando le strutture in termini di tendenze e non in termini di rigorosi equilibri. Inoltre, per comprendere e cercare di prevedere il divenire delle forme vestimentarie è necessario considerare la totalità dei fattori interni al sistema per poi analizzare quelli esterni. La moda nella storia si mostra come un fenomeno ciclico, in particolare si possono individuare tre tempi: lungo, caratterizzato dalle forme archetipe del vestito che identificano un data civiltà: kimono in Giappone, del poncho in Messico; intermedio dove si verificano variazioni regolari (es. lunghezza gonna: ad una estremamente lunga ne corrisponde una estremamente

corta ogni cinquant'anni); breve, delle "micromode", tipico della civiltà occidentale, dove la moda segue un andamento annuale, ed è quindi soggetta alla caducità temporale, un processo “microdiacronico”: ogni anno la moda distrugge ciò che aveva adorato e adora quello che distruggerà. Tale processo pone le radici delle sue motivazioni in ragioni di tipo economico, infatti l'accelerare del rinnovamento del vestire non è dato da motivi di usura, o non solo. Il ritmo di acquisto corre più veloce che quello di usura. Barthes sostiene che, la moda si delinea attraverso due ritmi che si intrecciano e si compenetrano: "un ritmo di usura (u), costituito dal tempo naturale di rinnovamento di un capo o di un corredo, sul piano esclusivo dei bisogni materiali; e un ritmo di acquisto (a), costituito dal tempo che separa due acquisti dello stesso capo e dello stesso corredo. La moda reale è, se si vuole a/u. Se u=a, se l'indumento si acquista in quanto si usa, non c'è moda; se u>a, se l'indumento si consuma più di quanto non si acquisti, c'è pauperizzazione; se a>u, se si compra più che consumare, c'è moda." (Barthes, 1967)

Significante/Significato

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Saussure individua una differenza tra “significato” e “significante”, il primo è ciò che il segno rivela, mentre il secondo rappresenta lo strumento per esplicitare il significato (l’immagine acustica). Il significato e il significante sono inscindibili: sono come le due facce dello stesso foglio. In ogni indumento è possibile distinguere delle forme (il tipo di manica o di tessuto, il colore, la lunghezza della gonna) a cui corrispondono particolari concetti (la giovanilità, il lutto, la classe di provenienza), ossia dei significanti che rinviano a determinati significati. È piuttosto complicato discernere ciò che, all'interno del costume, significa: esso è infatti una sorta di testo senza fine in cui bisogna cercare di delimitare le unità significative (Barthes, 1959). La significazione del costume, in linea di principio, non ha nulla a che vedere con il capo

d'abbigliamento concepito nella sua unicità: solitamente essa viene affidata a un minuscolo dettaglio (lo scollo, l'impuntura), oppure a un insieme sintagmatico più complesso (la tenuta). Dunque la semiologia del vestito non è di ordine lessicale, ma sintattico: l'unità significativa non va cercata negli indumenti finiti, isolati, ma in vere e proprie funzioni, opposizioni, distinzioni o congruenze, del tutto analoghe alle unità della fonologia. Per estrarre dal continuum vestimentario le unità effettivamente significative, occorre quindi sottoporlo a una serie di prove di commutazione (data una struttura, la prova di commutazione consiste nel farne variare artificialmente un termine e nell'osservare se questa variazione provoca un mutamento nella lettura o nell'uso di questa struttura). Per quanto riguarda il significato, un certo costume può


equilibrio la lingua e la moda, in breve senza abbracciare un piano prettamente retorico: “l'abito fa il monaco”. Se si considera ogni singolo elemento vestimentario come tassello di un sistema più amplio (la moda intera) e lo si sottopone ad un'analisi strutturale (le relazioni tra i termini sono più rilevanti dei termini stessi), si possono rintracciare sintagmi e paradigmi del linguaggio dei vestiti, del sistema della moda. Il paradigma è analogo alla scelta, selezione di un qualcosa piuttosto che un qualcos'altro. Ad esempio la mattina, quando un individuo difronte all'armadio sceglie cosa indossare, attua un processo di selezione. Questo accade in relazione ai criteri, contingenze più disparate: sensazioni, condizioni del tempo, mode del momento, stato d'animo. Il sintagma denota la combinazione, l'associazione, la compresenza: giacca e cravatta, giacca e camicia, camicia e pantaloni, borsa e cappotto, cappotto e scarpe, cintura e pantaloni. Si compiono associazioni in base a forme, colori, stereotipi: stile fighetto, stile alternativo, stile estivo o invernale, stile antistereotipo (che a sua volta diviene stereotipo anch'esso) e si effettuato prove di commutazione scegliendo: camicia, pantaloni, scarpe, cravatta o papillon, cosa cambia? In ambito semiotico, siamo dinanzi ad un paradigma, ad una pertinenza? Orologio a destra o a sinistra, o magari sul polsino? I sintagmi variano in un arco temporale molto breve, nella moda in particolare hanno una cadenza annuale: un anno va di moda il viola, per scarpe e camicie, domani andrà di moda il pantalone beige con cravatta nera. La moda è un meccanismo dell'attuale società di massa, che tende ad inoculare il desiderio nella gente, diffondendolo e controllandolo a dismisura, confonde in modo deliberato economia, pulsioni sessuali, obbiettivi commerciali e modelli di erotismo, è un modello linguistico che mette in opera questo complesso meccanismo di costruzione e di fusione. Barthes afferma che la moda è un linguaggio verbale, altri sostengono che sia soprattutto l'immagine a costruire gli assetti dell'attuale società e della cultura e delle comunicazioni di massa. Il linguaggio delle comunicazioni permea di sé gli altri sistemi di senso presenti nella cultura di massa: moda, pubblicità, giornalismo, televisione, una semiologia che intenda esaminarli non abbandonerà mai gli strumenti della linguistica, mettendo in atto una sua estensione strategica, una trans-linguistica come studio dei discorsi che la lingua rende possibile e diffonde. Il suo intento

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rimandare a concetti apparentemente psicologici o socio-psicologici, come la rispettabilità, la giovinezza, l'intellettualità, il lutto. Ma Barthes afferma che, al di là di queste sfumature, sostanzialmente l'indumento veicola un solo significato principale, ovvero "il grado di integrazione dell'individuo nella società in cui vive." (Barthes, 1957) Si può dire dunque che il vestito è una sorta di "modello sociale", uno specchio dei comportamenti collettivi prevedibili, ed è proprio a questo livello che esso diviene significante. In un abito è difficile individuare sempre un significato e un significante in quanto questi sono uniti da un legame inscindibile. La difficoltà maggiore, nella decifrazione analitica dell'indumento è di natura sintattica: il significato si esprime mediante significanti in atto, la significazione è un tutto indissolubile che tende a svanire nel momento in cui la si divide. Esiste un indumento artificiale dove i significati sono a priori separati dai significanti: il vestito di moda, quello rappresentato graficamente nei giornali o nei periodici. In questo caso il significato è esplicito, anteriormente persino al significante; viene nominato (abito d'autunno, abito da sera, ecc), anche se il testo appare molto complesso, in questo caso è possibile decifrarne il messaggio. La moda scritta o grafica porta ad uno stato lessicale dei segni vestimentari. Un sintagma è realizzato attraverso elementi in combinazione nella stessa catena. La sintassi è un complesso di regole che delineano i modi con i quali possono combinarsi i segni quando sono gli uni accanto agli altri, in presenza. Le relazioni paradigmatiche si hanno tra un segno realizzato e ciò che sarebbe potuto essere al suo posto. Presuppone quindi una scelta, e dà l'idea di un sistema al quale si fa riferimento, da cui si sceglie l'elemento desiderato al posto di un altro che virtualmente potrebbe essere lì. L'importanza di questa relazione pone le sue basi nel pensiero strutturale (Strutturalismo) dove le relazioni siano gli elementi fondativi di un sistema, mentre i termini risultano derivati; a qualsiasi livello di analisi. Roland Barthes trasla i principi dello strutturalismo saussuriano nel sistema moda, ambito materiato da un sistema di segni, un linguaggio. L'abito agisce, definisce un'immagine di sé presso gli altri, lega un'entità visibile con dei concetti. In questo spazio che racchiude il piano concettuale e il piano del reale, non si considerano le non pertinenti diatribe sull'essere e l'apparire e quanto i vestiti possono influenzare i giudizi degli individui, bensì l'accento è posto sul filo comune in cui stanno in


L’animalier di Cavalli:

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un segno inconfondibile


di base è quello di rintracciare le differenze tra lingua e moda in quanto sistemi significanti appartenenti a livelli di pertinenza semiotica diversa, la moda usa la lingua come sua materia di espressione per costruire un sistema semiotico di secondo grado, oggi definito come sistema secondario di modellizzazione, dove all'interno si situano forme di vita, valori, organizzazioni plastiche e procedure retoriche. La scienza delle signi-

ficazioni in Barthes non è un rinnovamento filosofico, ma nasce dall'esigenza di un metodo specifico per lo studio di un oggetto specifico. Studiare un vestito per Barthes significa evidenziare al contempo sociologia e storia e occuparsi soprattutto del campo strutturale e significante, per questo il vestito è dotato di caratteristiche analoghe a quelle di un sistema sociale: la lingua. Barthes affronta uno dei problemi centrali della vita contemporanea, il multiforme universo semantico vestimentario, che si forma e si riforma nel momento in cui l'abito incontra il corpo. Le sue assunzioni hanno condotto alla vestemica e alla sociosemiotica:

1 “La vestemica è la scienza che studia la competenza nella moda e nell’uso degli abiti, che opera nei modelli socio-culturali di una comunità. La lingua della moda presenta caratteristiche lessicali tipiche di una lingua settoriale la quale si diffonde principalmente attraverso i mass media”. (G. Corbucci, 2009)

2 "La prospettiva sociosemiotica elabora gli elementi di una semiotica delle situazioni capace di rendere conto, su un piano generale e secondo un'ottica non referenziale, dei principi che costituiscono e trasformano quei regimi di produzione di senso che sono all'opera in uno spazio socio-culturale determinato..." (E. Landowski, 1999)

3 “La moda, scopre Barthes dopo diverse esplorazioni, è una curiosa entità che trae la propria essenza dall'interstizio tra le parole e le cose: non propriamente linguistica, essa non può fare a meno del discorso per affermarsi; non propriamente reale, essa non può al contempo prescindere da un qualche aggancio ontologico. La Moda si produce e si sostiene solo nel processo di trasformazione, o di traduzione, che dal mondo porta alla lingua e da quest'ultima torna al mondo." (G. Ceriani, R. Grandi)

isce le proprie retoriche. I vestiti generano delle interpretazioni, interpretazioni che a loro volta modificano i vestiti stessi (trasformandoli in abiti alla moda), influenzando in questo modo i gusti e le abitudini delle persone. 45

È proprio nel passaggio che dall'insensato porta al sensibile, e da questo al sensato, che la moda affonda le proprie radici e costru-


7. Cucire l'identità Un intreccio di fili

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Il rapporto che sottende la moda e la psicologia è complesso e articolato, per questo ha suscitato la curiosità di illustri studiosi, che hanno indirizzato il loro campo di indagine sul “sistema moda”. La dinamica della moda ha origine da bisogni individuali: rafforzare il proprio ego, ruolo sociale, motivazioni di natura sessuale. La psicologia dell'abito si è basata per molto tempo su quattro teorie, studiate e approfondite in chiave psicanalitica da Flugel:

Teoria della protezione

Teoria dell'immodestia

l'uomo si veste per proteggersi dalle intemperie: la teoria non riesce a spiegare come mai le persone che vivono nei paesi esotici non hanno bisogno di abbigliarsi continuamente.

motivazioni legate all'attrattiva sessuale, mostra di sé, ragioni che hanno spinto l'umanità ad abbigliarsi per attrarre il sesso opposto. Queste motivazioni sono legate sopratutto alle donne, le motivazioni maschili sarebbero diverse (dimostrative) legate al potere e l'autorità.

Teoria delle origini dell'abbigliamento

Teoria della modestia

le origini dell'abbigliamento sono una tendenza universale all'ornamento e alla decorazione (Segre Reinach, 2006).

nata dall'ipotesi che l'abbigliamento umano nasca dal bisogno di nascondere le parti intime, per la vergogna che si prova nell'esibire le nudità

L'essere umano per muoversi ed interagire in un ambiente necessita di scorciatoie mentali: l'abito “giusto” riduce l'ansia, aumenta la padronanza, anche in contesti competitivi come quelli del lavoro o del sesso. I vestiti sono simbolo d'attrazione sessuale, l'erotismo si muove dal corpo all'abito, così quest'ultimo si carica di una molteplicità di significati che rimandano alla sfera sessuale con tutto ciò che questa implica, quindi non solo l'abito diventa simbolo sessuale, ma indossa tutti gli equivalenti culturali del sesso, quali potere, ricchezza e autorità. La sfera del sesso è facilmente riconoscibile nei popoli primitivi, rappresentata da tatuaggi, pittura del corpo situata nella zona genitale, nei popoli civilizzati questo aspetto è mediato dalla moda, anche se si fanno garanti del medesimo scopo. La donna per uno scopo competitivo nutre il proprio narcisismo servendosi dell'abbigliamento

per rivaleggiare sessualmente con le altre donne (Segre Reinach, 2006). L'uomo, tra il passaggio dalla società preindustriale a quella industriale, ha rinunciato all'eccentricità e alla decorazione per assumere la divisa del lavoratore: il tre pezzi sobrio e scuro che simboleggia la dedizione al lavoro e la costruzione della reputazione familiare. Si assiste così ad una sublimazione dello sfarzo precedente (Settecentesco) in forma di (minore) ostentazione professionale (Kawamura, 2006). La psicoanalisi si occupa di studiare l'abito analizzando sistematicamente tre fondamentali motivazioni alla base dell'abbigliamento: decorazione, pudore e protezione. Il conflitto tra decorazione e pudore è il punto saliente della psicologia del vestire. L'abito rappresenta un punto di congiunzione tra desideri e realtà, comunica il nostro io ideale è la forma dei desideri. La moda è mediazione: crea un punto d'incontro tra il principio del piacere e il principio di realtà. L'abbigliamento consente agli individui l'integrazione nei vari contesti, è una chiave di accesso, un codice per ricevere l'assenso degli altri individui. Rene König sociologo tedesco, si è occupato dell'ambito psico-sociologico inerente al tema dell'abbigliamento e afferma che questo risponde al: 1. desiderio dell'individuo di esibire il proprio corpo decorato e ornato. 2. bisogno di farsi notare, di conferma e di approvazione da parte del proprio milieu sociale.


Le esigenze psicosociologiche si riferiscono alla sfera culturale e si possono mettere in relazione tre tipi di società con tre tipi di moda: a) tipo di società in cui esistono classi sociali ben determinate e gerarchicamente ordinate, dove il fenomeno moda emerge nella cerchia ristretta della nobiltà c) nelle società democratiche egualitarie in cui sono sviluppate le tecnologie industriali, la moda si diffonde rapidamente e raggiunge vari settori sociali sotto forma di prodotti di massa, invadendo tutte le sfere della vita quotidiana (Selleberg, 1996)

b) in questo tipo di società le differenze tra classe dominante e le altre si attenuano, per questo la moda elitaria della classe superiore diventa un modello da seguire per le altre classi sociali e quindi l'élite si trova ad adottare una strategia di cambiamento continuo delle mode per conservare il proprio status rispetto alle classi inferiori.

König sostiene che la metamorfosi tramite l'abbigliamento è qualcosa che si è presentato spontaneamente nell'uomo:

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L’individuo si trasforma, si eleva ai propri occhi e si distingue agli occhi degli altri. Questa distinzione deve corrispondere però a qualcosa che la cerchia sociale consideri tale. Per essere notati dunque, occorre accettare l’insieme di valori tradizionalmente riconosciuti nel proprio ambiente


8. La recita dell'individuo liquido Interazione sociale

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Goffman, sociologo e antropologo canadese, fautore della “sociologia della vita quotidiana”, afferma che l'interazione tra gli individui è necessaria e regola i rapporti tra individuo e società. La comunicazione nella postmodernità liquida è un'interazione complessa regolata da meccanismi di diversa natura ed entità. A complicare tale flusso di azioni e correlazioni è l'isolamento degli individui, o individualizzazione. Gli “encounters” rappresentano per Goffman una possibilità di approccio sociale con cui le persone interagiscono “face to face”, questo tipo di interazione è la reciproca influenza esercitata tra individui di un gruppo che si trovano in presenza gli uni con gli altri. Le istituzioni sociali e i “self ” sono costruiti socialmente, quindi è necessario osservare il comportamento altrui e in presenza di individui è necessario adottare un comportamento definito: contegno, condotta o maniere. La vita sociale è il luogo in cui gli esseri umani sono impegnati a presentarsi, dare impressioni positive di sé, sintonizzarsi con la loro recita nel mondo; la vita sociale è una rappresentazione come scena teatrale. L'individuo è sempre sulla scena anche quando pensa di essere assolutamente spontaneo, è ciò che finge di essere, ciò che non può essere, è semplicemente un essere, uomo o donna. La concezione drammaturgica della vita sociale comprende la ribalta e il retroscena, territori importantissimi per lo spazio fisico. Per ribalta si intende il luogo dove si svolge una rappresentazione, mentre il retroscena è il luogo visibile dalla ribalta, dove l'individuo si prepara ad interagire con altri individui, nasce cosi una realtà simbolica condivisa. Una volta definito il frame (la società non è mai unitaria, ma composta da una serie di livelli) e individuato il significato d'incontro, è chiaro anche il tipo d'interazione, che Goffman divide in due tipi: “interazione focalizzata” quando si comunicano informazioni, esiste un unico centro di attenzione e si parla a turno; “interazione non focalizzata” quando le informazioni vengono espresse dalla comunicazione non verbale attraverso gli atteggiamenti, la gestualità del corpo, l'abbigliamento (Francesca Bianchi, 2009). Goffman non nega che oltre ai rituali ci sia un mondo di interessi e scopi materiali che si scontrano, l'individuo sente la necessità di presentare il proprio sé in modo decoroso e sintonico coi rituali prescritti al fine di creare una realtà vera.


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9. Il concetto di sè

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Una maschera da indossare Mostrandosi in pubblico, l'individuo espone solo un aspetto parziale del fisico attraverso abbigliamento e accessori, mentre l'aspetto psichico viene celato da educazione e buone maniere. Per interagire con gli altri individui deve usare delle norme comportamentali, non mostrare aggressività ed essere socievole. L'attore, per una giusta integrazione sociale, deve attenersi alle regole del “bon ton”. Come afferma Goffman, l'ordine disciplinato della facciata personale è il modo in cui l'individuo è obbligato ad esprimere il proprio interesse nei confronti chi lo circonda. Se la “cura estetica dell'aspetto” di un individuo favorisce l'inserimento dello stesso nella società, al contrario la “trascuratezza” è un segno tipico della malattia mentale, questa potrebbe essere una causa di emarginazione. Il disordine fisico può essere causato da una momentanea assenza dall'attore dalla società: un'essere altrove, per Goffman. L'individuo può dimostrare la sua assenza dalla situazione in atto con lo sguardo preoccupato e lontano, con l'immobilità delle membra oppure, canticchiare, dimenarsi, attorcigliarsi i capelli grattarsi, ecc. L'interagire tra individui è connesso alla comunicazione non-verbale, cioè che non riguarda l'aspetto puramente semantico del messaggio, ovvero il significato letterale delle parole che compongono il messaggio stesso. Il linguaggio non verbale è legato al linguaggio del corpo: movimento del corpo, aspetto vocale, gesti, espressione delle emozioni, abbigliamento. Il nostro corpo esprime un codice, un'idioma, che fornisce informazioni per l'interazione con gli altri individui ed esibisce “il concetto di sé” che permette di collegare l'individuo alla società, perché questo avvenga sono importanti tre concetti fondamentali: Continuità - corrisponde al desiderio di mantenere il concetto di sé attraverso il tempo nonostante le trasformazioni fisiche, psichiche e ambientali. Coerenza - è legata al bisogno di continuità, l'io sente la necessità di costruire un quadro che sia coerente, stabile e unico (è il desiderio di essere diversi dagli altri). Uniformità - desiderio dell'io di essere simile agli altri, appartenere ad un gruppo di protetti e riconosciuti come membri. La comunicazione non verbale avviene attraverso dei segni, inviati dallo sguardo, dalla voce, dall'intercedere del passo, i messaggi percepiti non sono immediatamente codificati, anche se connaturati nell'uomo. Questi segni sono inviati spontaneamente dall'individuo al fine di comunicare, altri invece sono risposta ad una sollecitazione e manifestati in modo inconsapevole.


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10. Gli abiti: sipario per il corpo Il reale diventa artefatto

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Nei rapporti interpersonali “la presentazione del sé” è fondamentale: nella società odierna è diffuso il culto dell'aspetto fisico, nella costante ricerca del “fisico ideale”, conseguentemente i fulcri urbani si sono costellati di centri estetici e sportivi. L'individuo, attraverso stratagemmi estetici, cerca volutamente di manipolare gli altri e le loro impressioni, per preservare l'immagine di sé, al fine di mostrarla agli altri. L'individuo, attraverso l'aspetto esteriore, comunica dei “segnali statici” quali trucco, abiti, acconciatura, questi possono essere manipolati nella presentazione del sé. Su queste premesse, la moda è considerata un vero e proprio lin-


la ricerca. Goffmam, con la sua allegoria teatrale, descrive la voglia di cambiamento e diversificazione, appartenente alla vita della città contemporanea, che induce l'individuo a scegliere copioni e scenari più adatti al suo self. La città è un contenitore di stili e di mode che caratterizzano la vita sociale, comunicazione in quanto le tendenze principali della moda plasmano l'habitus umano. La città veicola una fucina di stili, vetrina di eterogenee culture, dove ogni valore è messo in discussione, dove ogni cultura si relativizza. E' questa la caratteristica magica delle mode che non sì propongono così assolute, ma anzi danno per scontata la loro settorialità, la loro compatibilità, non rimettono in discussione l'identità, ma offrono percorsi di autoidentificazione. La moda è pratica sociale e laboratorio culturale, legato ai giovani, da sempre laboratorio culturale dell'esistenza (Francesca Bianchi, 2009). Lo scenario contemporaneo è legato al sistema moda, nel quale realizza i suoi modelli principali, dove interagiscono consumatori, designer e stilisti, che hanno creato un consumismo ampliando progressivamente il campo della moda, mobilitando i mercati di massa nel settore dell'abbigliamento, ornamento, estetica, musica, ecc. Secondo Finkelstein, sarebbe forviante pensare alla moda solo in relazione agli abiti, poiché essa non è riducibile ai soli soggetti materiali (Kawamura, 2006). La moda ha origine da un processo storico di istituzionalizzazione e professionalizzazione, con annesso un ciclo di produzione, distribuzione e consumo dei beni e servizi. Attorno a questo settore interagiscono professioni, come giornalisti, fotografi e pubblicitari, le vere star sono gli stilisti che operano alle sfilate di Milano, Parigi. Allontanandosi dalla teatralizzazione, esistono altri mondi legati alla moda che si collocano al fulcro del sistema: grandi magazzini, i venditori e i consumatori che ne costituiscono la periferia. L'interazione tra i numerosi attori si realizza all'interno di un network, dove la comunicazione si svolge a spirale. La moda è dunque un sistema complesso, comprensivo di istituzioni, organizzazioni, gruppi, eventi e attività, che insieme contribuiscono alla sua creazione (Kawamura, 2006).

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guaggio organizzato in modo formale, dotato di una precisa grammatica e sintassi (Francesca Bianchi, 2009). Gli abiti abbinati a particolari accessori, determinano l'appartenenza ad un gruppo, le uniformi e le divise incarnano diversi gruppi sociali o professioni. L'etichetta della donna è molto più rigida e normalmente è molto più lunga di quella degli uomini, ad uomo è concesso di essere in disordine. - Per questo un uomo che si presenta in una strada pubblica spettinato, con la cravatta allentata e una sigaretta fra le labbra sembra un minore affronto al decoro pubblico di quanto lo sarebbe una donna in un disordine analogo - (Goffman, 1971). Goffman sulle differenze di genere sovra descritte, segue le tesi simmelliane. Ha continuato il suo discorso sull'abbigliamento nel testo “La distanza del ruolo”, esamina l'argomento “moda”: “la distanza dal ruolo sta al ruolo come la moda al costume”. L'abbigliamento per Goffman è quell'elemento fondamentale di quel “sistema situato di attività”, dove l'attore mette in atto la molteplicità dei suoi sé, connessa alla rappresentazione dei singoli ruoli, con questo tipo di comunicazione si interagisce con l'Altro nel rapporto “face to face”. La scelta di moda è legata in modo specifico all'identità frammentata dell'individuo e alle strategie dello stesso, che si districa tra i diversi personaggi, questa è una possibilità di allontanamento dal ruolo ufficiale, un modo per riflettere su se stessi, per recuperare un modello di sé ultrasocializzato, cui dovrebbe corrispondere un modello di abbigliamento ultrasocializzato. L'approccio sociologico di Goffman, richiama Pirandello con i concetti dell'io e del processo sulla sua frammentazione (o scomposizione della personalità), dove l'individuo cela il sé dietro delle maschere sfaccettate e caleidoscopiche. Nel nostro caso la maschera si concretizza nell'abbigliamento, questo ha in sé una moltitudine di identità e un fluire indistinto di stati in continua trasformazione. Tale concezione si inserisce nel contesto culturale di inizio '900, in cui il crollo dei valori e delle certezze aveva portato l'individuo, sottoposto a forze disgreganti, ad una profonda crisi. La moda diventa uno strumento per armonizzare le proprie ambivalenze, per valorizzare il sé attraverso


11. La moda veste il consumatore postmoderno Dagli anni ‘70, a oggi

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Il consumismo negli anni Settanta, volto alla ricerca del lusso, considera gli oggetti simboli di status fortemente connotati, riferiti a precisi bisogni percepiti dagli individui, mentre negli anni Ottanta, gli oggetti si collocano progressivamente in un sistema più ampio: lo stile di vita. In questo periodo il consumo è mosso dall'estetica dei prodotti, sull'appartenenza, alla griffe e sulla creatività dei designer e stilisti, che dettano la moda, diventano loro stessi moda, causando un disequilibrio nelle componenti del sistema stesso. Tra gli anni Settanta e Ottanta, il consumo e gli oggetti assumono una nuova considerazione, visti nel loro portato comunicativo ed espressivo e non più come alienazione o inseguimento dei poteri negati (Douglas Isherwood, 1984). I valori che appartenevano a gruppi di individui, rappresentati da simboli di status e style, sono gioco e esplorazione personale degli individui/consumatori, che interagendo con la postmodernità, si allontanano dalla figura classica del consumatore, esigente, scaltro, selettivo, autonomo, competente, pragmatico, proattivo, infedele alla marca, che cerca sopratutto emozioni. Il consumatore riscrive radicalmente il significato della parola consumo, che si basa sul linguaggio inerente al segno, comunicazione e scambio sociale. Il nuovo consumatore è in cerca di esperienze, emozioni, sensazioni e non di valori d'uso, generando inediti modelli di consumo, più simili al patchwork che alla linearità/prevedibilità del passato, di cui è necessario apprendere le regole. Sperimenta: il nuovo, il diverso, come simbolo di libertà di scelta e crescita individuale. Il consumo è divenuto “un agire sociale dotato di senso”, dove le logiche comunicative sono azioni che portano al consolidamento di legami sociali, identificandosi come azioni orientate ai valori, o al riconoscimento di sé, al fine di conoscere un mondo piacevole, edonistico. L'identità del soggetto, risulta multipla e dinamica anche quando investe il ruolo di consumatore, questo utilizza i beni in modo differenziato nei diversi ambienti sociali dove impersona diversi atteggiamenti emotivi antagonisti: controllo e sobrietà, o de-controllo e edonismo. Così le pratiche del consumo diventano composite e contraddittorie, è possibile fare acquisti in store e supermercati, indulgere in consumi edonistici o compulsivi, l'importante è esercitare la volontà individuale. Il consumatore modello gode delle merci acquistate, sa anche di avere il controllo su questi piaceri, associati a desideri che può control-

lare (Sassatelli, 2004). La figura del consumatore degli anni Novanta risulta cruciale: il sistema moda organizza eventi e diffonde notizie attraverso i media, rimanendo prigioniero della propria logica di sviluppo. Stupire, trasgredire continuamente, rende la moda sempre meno di moda. Le abitudini dei consumatori mostrano tendenze eclettiche, delineando così il concetto di “stili di vita”. Questo, a livello sociale, spiega l'espandersi di una grande molteplicità di mode, ugualmente accettate, conseguentemente il termine moda è progressivamente sostituito dal termine “mode”. Si manifestano numerose mode e stili di abbigliamento che diventano sempre più specifici in relazione, al luogo e all'attività: mode per il giorno per la sera, per il lavoro e il tempo libero, così evadono dal conformismo imperante nei decenni passati. Gli stili si mostrano più mutevoli, eclettici, intercambiabili e gli individui vi interagiscono attivamente, questo atteggiamento sfocia in un individualismo o soggettività di massa (Fabris, 2003). Lo “stile di vita”, dalla metà degli anni Ottanta, non è più lo strumento in grado di esplicare i comportamenti della moda, questa entra parzialmente in crisi a causa delle differenze culturali e valoriali che risultano progressivamente inadeguate. La moda non segue la teoria dell'imitazione o “tricle-down theory”, che avviene per sgocciolamento dall'alto verso il basso, dalle classi elevate a quelle inferiori; una nuova teoria diametralmente opposta soppianta tale ipotesi. La moda è la risposta al cambiamento, essere trendy è la risposta a un mondo globale, in continua e costante trasformazione. I gusti e le scelte individuali si concentrano sul singolo individuo, che nelle vesti di consumatore è in grado di indirizzare le proprie scelte senza condizionamenti e influenze sociali. Blumer con la teoria innovativa “tricle-up”, afferma che la diffusione della moda avviene dal basso verso l'alto, dove i consumatori concorrono direttamente alla creazione di nuove mode e gli oggetti hanno un significato, creato, trasmesso, modificato, attraverso l'interazione sociale. La morte della moda è intrinseca nella moda stessa: risiede nella sua natura in divenire. La nascita di una nuova tendenza è causa di quella precedente, la moda esprime l'esigenza di affermazione di gusti nuovi, nella loro costante forma evolutiva. L' individuo/consumatore si evolve, mostra un rifiuto alla produzione capitalistica e al commercio globale, trasformandosi in leader della moda definito anche “trend setter”: colui che lancia nuove mode o tendenze.


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12. Stili di vita

Immaginari: realtà parallele

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I trend setters si indirizzano verso l'individuazione di un proprio stile differenziante con varianti stagionali che non intaccano la leggibilità e la personalità dello stile. In risposta al consumatore, saturo della moda e del nuovo, il panorama dell'offerta muta: non più cambiamento stagionale, ma un dispiegamento in parallelo di stili diversi, ne consegue una scelta di possibilità di interpretare se stessi, il proprio ruolo, umore e sentimento generale o del momento. Questo nuovo comportamento adottato dal fenomeno, esprime l'inverso di un portafoglio di prodotti classico, in cui tutte le aziende fanno il possibile per paura di lasciare spazi liberi agli altri. L'intento dei trend setters della moda è l'autodefinizione della propria identità, di un racconto, di una narrazione che tende a creare uno spazio preciso nell'immaginario del consumatore. Questi leader sembrano indicare una nuova via per instaurare un legame di fedeltà. Così, la moda intesa nella sua accezione di stile, perde il senso e approda nella contraddizione della sua natura: perde il suo essere per la morte. Rinnega la sua essenza materiata dal cambiamento, la sostituzione, l'obsolescenza sociologica, propendendo in un numero limitato di stili diversi che evolvono nella sostanza, molto lentamente nel tempo. In questo senso la ricerca degli stilisti sembra avvicinarsi ad una ricerca artistica, Ernest Gombrich afferma che “l'artista dialoga con la propria opera, come l'impostore dialoga con il proprio pubblico". Queste diverse ricerche personali sembrano corrispondere anche a diversi atteggiamenti, umore, sentimenti propri anche dell'individuo (consumatore e, con maggior evidenza, consumatrice). Quasi che nel loro insieme fornissero una tavolozza di possibilità diverse, di mediazioni esterne e legate a situazioni interiori, psicologiche e quindi individuali, contemporaneamente connesse all'evoluzione della storia dell'uomo. Per definire quello che sta accadendo nel panorama postmoderno e comprendere la costellazione di stili che tappezzano il piano del reale, si citano dei fashion designer creatori di stili e immaginari: Armani, Ferrè, Versace, Gigli. Mettendo a confronto queste diverse dimensioni emergono dei fattori: i quattro stili sono differenti e contrastanti tra di loro, molto più di alcuni anni fa e a questo livello non esiste nessuna politica di somiglianza. Le singole ricerche non seguono più i criteri di bello-brutto, nuovo-vecchio, ma qualcosa di più profondo. Il bello, il gradevole, il bon ton, sono già stati risolti. Gli abbigliamenti esprimono

qualcosa di più, mettono in scena qualcosa di più. Ogni stile porta verso un'immagine, una maschera molto particolare, una maschera diversa dalle altre definibile con un alone di incertezza, quindi con una grande personalità di personalizzazione e immedesimazione. Sono immagini-maschere visibili, che quindi comunicano in maniera totale il linguaggio verbale e non verbale per approdare ad una definizione verbale delle diverse identità. Una classificazione esclusivamente razionale è più povera e meno coinvolgente della realtà, è proposta per dimostrare l'inadeguatezza. Si rafforza la tesi secondo cui la moda è un linguaggio, che è in grado di esprimersi au t o n o m a mente senza l'ausilio di atri linguaggi.

Armani

e l e g a n z a m i n i m a l i s m o parità dei sessi classico-attuale post femminismo


Ferrè

i m p o r t a n z a s i c u r e z z a eleganza progettata i m p o n e n z a

Gigli sensuale vistoso gioco sexy corpo aggressivo Questi stili diversi potrebbero corrispondere all'immagine del sé cioè l'immagine verso l'esterno, altre volte inconsciamente l'immagine per se stessi. In termini aziendali la logica corrisponde ad uno spazio mentale invece che a quello fisico,

non riferito a target specifici donna x di anni y, ma all'immaginario dell'individuo del possibile cliente. L'individuo, immerso nel panorama postmoderno, dove il concetto imperante è l'individualizzazione, diventa divinità autocreatrice, demiurgo

di se stesso, il protagonista del vivere organizzato scientificamente. In tale prospettiva, l'individuo nelle vesti del consumatore, ha un ruolo attivo nelle proprie scelte: è interprete di se stesso e dei propri diversi stati d'animo e della propria identità.

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Versace

fiaba notte sogno interiorità legami psicologici


13. Moda specchio dell'io

Identità e mode: frammentazione

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Le mode sono autoregolatrici, si sostituiscono una con l'altra, hanno il potere di ristrutturare le forme figurative degli oggetti e astratte dei codici comportamentali. Nel suo divenire è artefice di cambiamenti sia oggettivi che soggettivi, nel seguirla l'individuo cambia i suoi punti di vista sugli oggetti, le cose e la percezione del sé. La moda diviene mezzo di riconoscimento, all'interno dello spazio in cui si sviluppa la forma stessa della quotidianità, convenzione e costrizione. Il codice vestimentario perde la sua efficacia e l'individuo/consumatore fluttua tra paradosso, pluralità, ambiguità e libertà. La società moderna sottrae l'individuo dalla stabilità, questo è costretto a costruirsi delle maschere pronte a dissolversi ad ogni cambio di stile. La persona è moltiplicata nella frammentazione dell'identità, si scinde nel suo “io” riflessivo e nel suo “io” concreto. Frammentazione dovuta, da una parte, ai molti ai diversi ruoli che ciascuno ricopre nella società odierna (Goffman, 1959). Il postmoderno è esaltazione della differenza, dell'identità frammentata, la "decostruzione" proietta le sue illusioni nei prodotti di consumo. La moda diventa un gioco banale, privo di significato, un semplice "fai da te" combinatorio di infinite stravaganze. L'identità subisce la sua frammentazione, inserita in un “non luogo”, al contempo si introduce in un'identità di appartenenza ben definita: quella della minoranze. Lo stile si manifesta attraverso le minoranze etniche e culturali, attivando meccanismi collettivi di auto-rappresentazione. L'estetica riveste un ruolo importante nella vita quotidiana dell'individuo, concorre alla formazione dell'identità. L'estetizzazione della vita quotidiana offre l'opportunità a identità personali fluide e a identità collettive ben caratterizzate di “abitare lo spazio”, attivando connessioni tra la dimensione estetica e quella politica. L'esperienza estetica diventa così esperienza collettiva che relaziona il singolo alla collettività anche grazie all'attività dei media (Semprini, 2005). La fluidità della soggettività rappresenta una condizione generalizzata. Il “sé” si definisce a livello delle pratiche sociali e culturali - intese come percorso interpretativo - in cui si performa una (auto) rappresentazione del soggetto, transitoria, ma rappresentabile a livello di connotazioni culturali e variabili contestuali ovvero elementi di stile (Francesca Bianchi, 2009).


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14. Trasformabilità

Dalla passerella, al quotidiano

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Nelle società ricche la prima frase del periodo postindustriale si conclude nella metà degli anni '80, raggiungendo due livelli di saturazione. Il primo livello è sfociato in gran parte nei settori produttivi ed ha provocato una saturazione quantitativa, superando le capacità di assorbimento del mercato stesso. Nei paesi con un'economia d'impronta capitalistica il mercato è saturo, quindi i nuovi prodotti che devono fare il loro ingresso nel panorama commerciale, devono spodestarne altri. Per far si che questo avvenga è necessaria una sfrenata competitività: i prodotti devono avere contemporaneamente caratteri immateriali ed estetici, legati immancabilmente alla forma. Si postula il presupposto che l'individuo è privo bisogni, quindi è necessario suscitare il desiderio, creare i bisogni. L'abbigliamento e la progettazione nei diversi settori produttivi quali: automobili, oggetti per la casa arredamento, sono rappresentati dall'estetica. Il consumatore pressato da una forte offerta di mercato, da prodotti ridondanti e competitivi e sopratutto ai suoi occhi scontatamente equivalenti sul piano della funzionalità, sposta il suo interesse su canoni estetici. Tra la fine degli anni '80 e la fine degli anni '90, con la recessione economica cade l'interesse per gli status symbol, in questo contesto si sviluppa una seconda saturazione qualitativa di tipo semiotico, relativa ai segni di comunicazione, estetici e dal bombardamento di immagini emesso dalla pubblicità. Questo atteggiamento ha provocato nel consumatore il disinteresse per la comunicazione pubblicitaria, approdando ad un “rifiuto visivo”, che richiede il riposo e l'ecologia dei sensi. La storia della modernità può essere considerata come un lungo processo di liquefazione continua di tutti quei corpi solidi che le società avevano precedentemente costruito. Il settore della moda non è esente dai meccanismi della post-modernità liquida: la crisi tocca tutti i nodi della rete globale, in questo contesto la novità estetica è diventata scontata per il consumatore. In reazione ad un cambiamento del tessuto sociale di entità non esigua, la moda usa un nuovo approccio “globale”, dove si verifica un connubio tra il processo industriale e quello artistico, su questo piano interagiscono due aspetti importanti della mente umana: ragione e passione, razionalità e creatività. L'individuo, che ha una visione globale, entra in contatto con il mondo esterno attraverso l'emozione e la razionalità, sceglie, compra sempre più globale; i bisogni diventano globali e trasversali, ma anche funzio-

nali, di status e intimi, invece globali sono i meccanismi di scelta guidati dall'istinto e dalla ragione, dall'estetica e dalla funzione. Nell'offerta si ricompone la stessa globalità: estetica e funzionale a qualità di tipo hard e soft, servizi e comunicazione (Francesca Bianchi, 2009). Il sistema, oggi è caratterizzato da un nuovo stato di disequilibrio, dove le modifiche coinvolgono il soggetto/consumatore, il quale sta seguendo percorsi alternativi che propongono gli addetti del sistema per riappropriarsi di un nuovo equilibrio, anche se precario e fluido. Il nuovo individuo/ consumatore, del resto, si presenta in modo flessibile, mette in atto la sua linearità per raggiungere finalità desiderate, destreggiandosi fra le tante offerte del mercato. La moda in questo contesto, si allontana dal significato di abbigliamento culturalmente esistente, si connota in un vocabolo inglese: fad, cioè in fenomeni vestimentari in rapida diffusione e rapida obsolescenza (Fabris, 2003). Le tendenze, a causa di questi fenomeni, stanno diversificandosi a livello globale. Gli stilisti emergenti nascono dalla cultura urbana, dando vita ad una numerosa varietà di “stili da strada”, già dagli anni Settanta, gli stessi copiavano la moda della strada influenzando la moda ufficiale. La città sparge nel suo humus metropolitano i semi della globalizzazione, conseguentemente nascono due codici vestimentari differenti: - la produzione del lusso, dove è concentrata l'attività dei grandi stilisti e delle griffe; - l'evoluzione dello street style e del casual, che costituiscono il recettore naturale della ricerca più avanzata in termini di materiali e linguaggi. Parigi, madre della moda, centro “chic” dell'abbigliamento, luogo privilegiato per le classi superiori, perde il suo status, si democratizza grazie alla produzione di massa, ai processi di globalizzazione e di de-classificazione culturale, rendendo confusi e mobili i confini del sistema moda internazionale. L'inizio del postmodernismo è associato agli stilisti d'avanguardia, tra cui i giapponesi degli anni '80, che hanno creato una varietà di stili e generi. Minoranze etniche, donne e omosessuali, sono stati favoriti dalla postmodernizzazione che in una certa misura ha consentito l'affermazione e recupero di una propria identità. Oggi gli stilisti postmoderni e decostruzionisti Belgi Ann Demeulemeester e Martin Margiela, prendendo spunto dai giapponesi, hanno rovesciato le convenzioni normative del sistema abbigliamento occidentale.


le, simbolo di funzionalità d'uso, oltre che di eleganza. Gli abiti diventano architetture leggere e trasformabili richiamando le tecniche di “sopravvivenza” e il nomadismo, quindi interpretano alla perfezione la condizione di instabilità e mobilità del soggetto metropolitano. I progetti di questa griffe sono stati influenzati dalla designer Lucy Orta emersa negli anni '80. Si è ispirata a quei gruppi emarginati dalla società: disoccupati e clochard. Il suo primo lavoro è Repugewear, progetto creato nel 1992, creato in risposta alla guerra del Golfo 1991, progettato per emergenze urbane e catastrofi naturali. La collezione comprendeva abiti multifunzionali che si trasformavano in base alle esigenze del soggetto, vi erano incluse anche sacche di sopravvivenza. La trasformabilità è un aspetto peculiare del design contemporaneo. Nel mondo della moda il trasformabile è il capo comodo per eccellenza e il suo design deve includere almeno un'altra possibilità di costruzione, può cambiare attraverso componenti realizzate specificatamente per il capo stesso. Questo capo, dopo essere stato trasformato nel suo design secondario deve essere in grado di tornare alla sua forma primaria. Lo stilista Watanabe ha inserito nelle sue collezioni gonne e borse che si dischiudono in giacche o copri-spalle, la griffe italiana Mandarina Duck ha creato il “Jackpack”, una giacca trasformabile in zaino. Hussein Chalayan stilista turco-cipriota di formazione inglese rappresenta la connessione tra moda e tecnologia contenente una forte creatività stilistica ed elementi tecnici, già dal 2000 ha realizzato abiti che si trasformavano in mobili. Lo stilista ha inserito nei suoi abiti elementi elettronici: abiti che precedentemente incorporavano legno, metallo, vetro o plastica, ora vengono realizzati con membrane flessibili automatizzate. La tecnologia usata permette all'abito di raggiungere automaticamente una nuova configurazione, l'abito lungo diventa corto, la scollatura si apre e le maniche si accorciano. In alcuni abiti gli strati di tessuto sottostante, costretti con lacci e cerniere lampo, possono essere aperti e rivelare o coprire il corpo, in tal modo l'identità nascosta può svelarsi oppure rifugiarsi nell'abito. L'ibrido, il sincretico e il trasformista contaminano la moda trasformandola, nel tentativo di innovazione, creatività e sperimentazione continua. 61

L'avanguardia, con la sua popolarità, detiene il potere di modificare ciò che è bello e brutto spesso sinonimo di moda. La globalizzazione un fenomeno che porta la mobilità delle persone, delle merci e dei simboli, attraverso le frontiere, dissoluzione delle strutture e dei confini di un tempo (Giddens, 2000), la moda sembra accompagnare le trasformazioni che hanno interessato l'identità del soggetto, diventando anch'essa, a sua volta cosmopolita e nomade pronta a recepire le nuove esigenze (Bianchi, 2009). Per molte persone che vivono nei grandi centri metropolitani, ad esempio gli spazi di transizione (i non-luoghi) (Augè, 1993), sono diventati enormi spazi di lavoro. Gli individui che lavorano utilizzano metropolitane, treni o autobus come spazi propri, interagendovi. Il lavoro rende gli individui dei nomadi dipendenti dalla tecnologia dell'ufficio tradizionale e dei non-luoghi. La miniaturizzazione e la facile indossabilità dei dispositivi elettronici, conferiscono all'individuo una più ampia libertà individuale. I “non luoghi” limitano lo spazio fisico e d'informazione dell'individuo facendo accrescere il bisogno di protezione fisica e psicologica. La moda è sottoposta a nuovi interrogativi, tende a trasformare la vita quotidiana e a interagire con l'architettura e l'arte. La mobilità degli spazi comprende il lavoro e gli hobby, favorendo la nascita di nuovi generi di abbigliamento, anche molto innovativi sia nella forma che nei materiali. Questo tipo di abbigliamento è pratico e funzionale, favorisce i movimenti del corpo, lo protegge dall'inquinamento del traffico; permette protezione fisica e psicologica, dagli sguardi indiscreti e dalle telecamere di sorveglianza. I designer traggono i loro stili dallo sportwear ad alta performance e dall'abbigliamento militare, usano sistemi derivati dall'ingegneria e dall'architettura. L'abito che rispecchia in modo più congruente le maglie sociali postmoderne è l'“utility clothing”, questo presenta canoni quali praticità e utilità. Una dell'espressioni in cui queste caratteristiche confluiscono è l'abito trasformabile, questo si fa promotore di una vera e propria tendenza che si espande negli ambienti sociali e lavorativi diffondendosi nelle città. Un' esempio di trasformabilità è rappresentata dalla griffe C.P. Company che si rivolge ad un consumatore integrato nella mobilità urbana dove l'indipendenza e il rifugio sono le caratteristiche principali. In una società dominata dall'individualità, dove l'abito grigio non è più d'obbligo, la filosofia di questa griffe diventa attua-

Hussein Chalayan


15. Conclusioni

Il consumatore liquido veste trasformabile

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La moda, fenomeno sotteso tra individuo e società, ha al suo fulcro un mosaico di componenti e aspetti che si compenetrano e come trama si intrecciano in: tempo storico, spazio, comportamenti di gruppi socialmente accettati e ritenuti cool. Ha inizio nella psicologia, si richiede ogni giorno al singolo di compiere un processo che parte dall’analisi del proprio “mood”, cavalca l'antropologia con lo studio dei comportamenti umani, la sociologia in quanto ha un'influenza sulla società e sui meccanismi che la regolano, per approdare nella comunicazione e altro ancora, tutti questi fattori concorrono alla scelta dell'outfit. La moda è mutevole, come mutevole è la mente, volubile, come volubili sono le passioni, le certezze, le persone, evanescente come lo è il tempo, si dissolve nell'attimo effimero dell'apparenza, che oggi esige un determinato codice estetico e domani rincorre altre esigenze. L'abbigliamento è un tazebao, un grande manifesto non verbale che comunica l'io agli altri, mostra i lati vincenti della personalità, il ruolo e le aspettative. Mc Luhan definisce l'abbigliamento come estensione della pelle, quindi estensione del sé. La moda manipola l'immagine dell'io e l'avvicina a l'immagine ideale del sé, è come una seconda pelle che nasconde i lati oscuri per mostrare quelli attraenti. Secondo Anzieu (1987) l'identità attraverso la moda si trasforma in un manifesto da indossare, un io pelle, una pelle mentale, un'interfaccia, una barriera che protegge la persona dall'intrusione dei giudizi e dai preconcetti propri ed intrinsechi degli altri individui sociali. Oggi nell'ambito sociale, il corpo rappresenta il primo contatto con l'ambiente esterno, il biglietto da visita delle relazioni sociali, in questo caso la pelle viene trasformata in una sorta di manifesto, di tessuto, un vero e proprio tazebao. Con questo rito, il corpo si riappropria apparentemente del potere decisionale di sé, ma in realtà queste pratiche non sono altro che un mezzo che da una un lato gli permette “libertà”, ma dall'altra emerge la tendenza di nascondere il proprio corpo agli altri. Il corpo è condannato a veicolare messaggi, trasformandosi in una sorta di spazio comune, territorio per la libera circolazione di messaggi nella società. Attualmente i consumatori sono orientati verso la personalizzazione dei comportamenti relativi all'abbigliamento, propendendo verso uno stile unico e individuale (Bucci, 1992). La moda è costretta a ricercare continuamente un abbinamento personale tra abito e corpo, mo-

dificato a seconda delle necessità. Gli individui trovano nel mondo dell'abbigliamento un variopinto crogiolo dove si mescolano stili, culture e tendenze di varia provenienza, per cui “essere alla moda” è sinonimo di libertà, al fine di creare, comporre la propria specifica identità di moda. L'abito in questo frangente è strumento estremo di un'identità individuale indivisibile rispetto al corpo, composta congiuntamente da corpo e indumenti. Il contesto è un elemento importante in cui si muove la libertà individuale che ne subisce l'influenza: un prodotto-outfit è figlio del tempo in cui viene creato. Quindi questa apparente illi-

Lemuria


dossare, essere apparire. In conseguenza ad un mondo globale e de materializzato, la moda deve seguire determinati canoni che rispondono ai concetti di velocità e praticità: ad un mondo veloce corrisponde il ready made. Questo si traduce concretamente con l'abito trasformabile che con poche mosse consente all'individuo di “avere un altro abito”, come i device permettono con un click di cambiare pagina. Tale principio è sorretto dalle nuove tecnologie che consentono di creare materiali innovativi per ogni specifica esigenza. In questo caso specifico è interessante impiegare un materiale che non prende pieghe, ciò concede di “rappallottolare” l'abito che non ha particolari esigenze di piegatura, ciò influisce positivamente sulla praticità. Così l'abito-casa personalizzabile diventa corrispettivo oggettivo dell'habitus globale, diventa un vero e proprio specchio del modo di essere che concerne l'essenza naturale dell'individuo della “post modernità liquida” che sta al computer, risponde al telefono e contemporaneamente lavora; è multifunzionale. Il mio approccio al sistema moda rientra nella sfera del design, dove non è importante la dissolutezza effimera dell'evento sfilata, quanto lasciare un segno, generatore di senso. L'intento è quello di creare una collezione commerciabile fruibile da un target amplio che interessa il fruitore inconsapevole attratto dall'aspetto ludico, tendenza e praticità e il fruitore consapevole a cui è concessa una lettura del prodotto ad un livello più alto: la volontà di ottenere una personalizzazione, un autopersonalizzazione, l'affermazione dell'io con le sue infinità di sfaccettature, attraverso la spersonalizzazione e standardizzazione del prodotto stesso, che assume un senso e un anima solo se indossato. Il prodotto non si vuole porre presuntuosamente come soluzione alla spersonalizzazione, bensì ha l'intento di collocarsi tra i modi per opporsi dal basso ad un mondo standardizzato proprio della razionalizzazione del vivere organizzato, attraverso l'autoaffermazione individuale, nonché la scelta consapevole di un prodotto dotato di senso (conferito dall'individuo stesso). Una scelta individuale si connota inevitabilmente come scelta politica, indossare l'abito trasformabile è un pratica potenzialmente riformante, la dichiarazione di appartenenza ad uno stile di vita e al suo relativo immaginario, certamente lontano dal consumismo sfrenato. 63

mitata libertà cela, nemmeno tanto, costrizioni che il tessuto sociale impone in modo volontario o involontario. Per esprimere un concetto che nella post modernità è legge mi concedo una metafora: oggi in contrapposizione alla “Luisona” del Bar Dello Sport, le multinazionali vendono cornetti vuoti, sta all'individuo scegliere i contenuti da grandi barattoli esposti (marmellata, cioccolata, crema), questo concetto concerne l'individualizzazione che passa attraverso la standardizzazione. Tale architettura concettuale è traslabile all'abbigliamento: prima il vestito su misura, oggi i vestiti trasformabili: multi identità preconfezionate che concedono all'individuo la scelta finale, quale identità in-



3 La trasformabilitĂ dall'io all'abito cenni storici


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in dai tempi antichi l'uomo ha sentito la necessità di abbigliarsi, le motivazioni sono molte e leggibili su diversi piani di lettura, quelle primordiali riguardano la sfera dell'istinto: ripararsi dal freddo o legate al senso del pudore. Le radici di questa, che vanno ricercate in qualsiasi forma di civiltà, anche la più semplice e primordiale, sono aggrappate al terreno dell'età della pietra, dove vere e proprie forme di abbigliamento avevano la funzione e l'intento di proteggere il corpo da fenomeni magici, tale utilizzo richiamava inevitabilmente un'estetica. Le grandi civiltà si servivano di strumenti rudimentali, le idee dell'ingegno umano presero forma parallelamente all'evoluzione dell'uomo, consentendo di utilizzare strumenti sempre più sofisticati. Una tra le più importanti fu la nascita dell'ago. Civiltà Sumere e Assiro Babilonesi Gli abiti erano materiati da grossi rettangoli di tessuto si avvolgevano più volte attorno al corpo originando il drappeggio, questi erano per la loro morfologia ritenuti un segno di civiltà Egizi si servivano di lenzuoli più o meno grandi drappeggiati (Drappeggio) in vari modi, tenuti insieme con delle spille dette fibule. Le fogge dei loro abiti cambiavano continuamente morfologia, involontariamente avevano creato l'abito trasformista. Le donne greche usavano il chitone: era una sorta di rettangolo senza maniche fermato sulle spalle da fibule e in vita da una cintura, questi venivano realizzati senza l'ausilio di una tecnica di taglio e cucito e avevano la funzione principale di valorizzare il corpo nudo. In epoca arcaica indossavano il peplo, che ripiegato nella parte alta prendeva la forma di una mantellina lunga fino alla vita. La varietà delle vesti era data non dalla variazione del taglio, ma dalla capacità di creare panneggi, sbuffi e piegoline. Nel Rinascimento i capi sia maschili che femminili presentavano delle lunghissime maniche staccabili, dove erano impiegati molti metri di tessuto, anche in questo caso una legge regolava i limiti e la quantità. Si può parlare quindi di un primordiale concetto di trasformabilità che trova le sue origini nel termine “trasformare far mutare forma, aspetto a qualcosa o a qualcuno da questo nascono altri termini: trasformabile che si può trasformare: riferito ad un oggetto, che può cambiare la propria

forma o la propria destinazione e trasformismo che ha varie accezioni, (1) tendenza a trasformarsi (2) metodo politico che consiste nel formare maggioranze parlamentari assorbendo uomini e gruppi di tendenze diverse, con accordi di tipo particolaristico estranei agli orientamenti ideali e politici (3) dottrina che sostiene l'evolversi nel tempo delle specie animali e vegetali; evoluzionismo”. (http://dizionarioitaliano.it/trasformismo/)L'accezione su cui si ritiene opportuno porre l'accento è trasformismo come tendenza a trasformarsi, in particolare trasformismo riferito all'abito, capacità di cambiare forma. Il trasformismo, seppur in modo inconsapevole, così come la necessità di abbigliarsi, pone le sue radici nella storia dell'uomo. L'essere umano è alla ricerca di qualcosa che trascenda i suoi limiti, nel tentativo di accettarli o superarli. L'uomo è la creatura del desiderio materiale e immateriale, ha intrinseca la continua impellenza di rinnovarsi e vedere i beni materiali sotto un nuovo aspetto, per questo in diversi contesti culturali gli oggetti si caricano di significati simbolici, lasciando in secondo piano la funzione pratica. Il mio obbiettivo è creare un abito connaturato da un aspetto estetico, senza abbandonare quello funzionale, un oggetto che appaghi l'essere con tutte le sue contraddizioni, senza mai abbandonare l'aspetto pratico-funzionale. L'abito non deve essere un imposizione, ma libertà di scelta, è fatto da chi lo indossa, progettare il sé, l'immagine al fine di affermare il proprio io in un universo dove tutto è spersonalizzato. Acquistare un abito per una donna è sempre un'operazione delicata, identifico nell'abito trasformista una possibile soluzione, non per rispondere alla fisicità, ma alla sfera psicolgico-interiore che spesso si lascia trascinare dalla bizzarria e stravaganza della mente. Prima di conferire una connotazione al progetto, ritengo opportuno percorrere le epoche storiche che, per necessità o vezzo, sin dalle origini dell’uomo, alla contemporaneità, hanno toccato la natura concettuale della trasformabilità.


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L'antichità

la trasformabilità dall’antica Mesopotamia al Rinascimento

Civiltà Sumere e Assiro Babilonesi

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Gli abiti erano materiati da grossi rettangoli di tessuto si avvolgevano più volte attorno al corpo originando il drappeggio, questi erano per la loro morfologia ritenuti un segno di civiltà

Egizi

Si servivano di lenzuoli più o meno grandi drappeggiati (Drappeggio) in vari modi, tenuti insieme con delle spille dette fibule. Le fogge dei loro abiti cambiavano continuamente morfologia, involontariamente avevano creato l'abito trasformista.


Le donne greche usavano il chitone: era una sorta di rettangolo senza maniche fermato sulle spalle da fibule e in vita da una cintura, questi venivano realizzati senza l'ausilio di una tecnica di taglio e cucito e avevano la funzione principale di valorizzare il corpo nudo. In epoca arcaica indossavano il peplo, che ripiegato nella parte alta prendeva la forma di una mantellina lunga fino alla vita. La varietĂ delle vesti era data non dalla variazione del taglio, ma dalla capacitĂ di creare panneggi, sbuffi e piegoline.

Rinascimento

I capi sia maschili che femminili presentavano delle lunghissime maniche staccabili, dove erano impiegati molti metri di tessuto, anche in questo caso una legge regolava i limiti e la quantitĂ .

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Greci


I Futuristi

manifesto del vestito antineutrale

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In Italia il Futurismo si ispirava alla velocità, agli oggetti in movimento, nella sua globale opera di “ricostruzione dell'universo”. L'abito era considerato un elemento fondamentale nella veicolazione del messaggio anticonformista del movimento, al punto che Marinetti, assunse la moda come codice comportamentale ideale per i grandi artisti, invitati a rinnovare i loro modelli a ogni stagione al pari degli stilisti francesi. Giacomo Balla e Fortunato Depero si sono occupati specificatamente di moda, Balla in particolare creò accessori dissimulati quali consentono trasformazioni improvvise dettate dall'umore di chi l'indossa. Pubblicò nel 1914: Le vêtement masculin futuriste (Il manifesto del vestito antineutrale) e annunciò un “manifesto futurista del vestito da donna” mai realizzato. Quello futurista è un “vestito trasformabile”, mutante al mutare dei tempi, adatto ai nuovi ritmi produttivi e sociali, un abito che divora le vecchie convenzioni sartoriali e le rigide strutture che inquadravano l’uomo e la donna del tempo. L'ultimo punto del Manifesto del vestito antineutrale è particolarmente interessante al fine della mia ricerca: “Variabili, per mezzo dei modificanti (applicazioni di stoffa, di ampiezza, spessori, disegni e colori diversi) da disporre quando si voglia, su qualsiasi punto del vestito, mediante bottoni pneumatici. Ognuno può così inventare ad ogni momento un nuovo vestito. Il modificante sarà prepotente, urtante, stonante, decisivo, guerresco, ecc.” Balla scrisse: “bisogna inventare il vestito futurista […] semplice […] allo scopo di […] dare un continuo godimento del nuovo al nostro corpo adoperare nelle stoffe i colori muscolari […] i toni ossatura[…]. Questa allegria sfolgorante di vestiti in movimento per le numerose vie trasformate dalla nuova architettura futurista scintillerà”. Balla sostiene che gli abiti vivono sul terreno dell'architettura, in quanto componenti dell'ossatura delle strade cittadine. Abiti e architettura sono fatti della stessa stoffa e condividono una specifica mobilità: sono azioni che si sviluppano nello spazio come emozioni vissute. L'abbigliamento futurista fa parte della modernità proprio per via della capacità dinamica di provocare un'emozionalità immaginosa. In termini futuristi la moda è anche un modo di costruire un nuovo tattilismo. Marinetti nel 1924 in un testo intitolato Tattilismo, rinforzò il tono del manifesto del vestito da uomo e scrisse di “un'arte tattile” che deve “colla-

borare indirettamente a perfezionare le comunicazioni spirituali tra gli esseri umani, attraverso l'epidermide”. Nelle tavole tattili elencò il design di stanze, mobili, abiti, strade e teatri, per rendere gli abiti ancora più simili a stanze Balla inventò i “modificanti”: elementi di décor capriccioso da usare, creativamente, per cambiare forma al proprio abito grazie ad un'applicazione pneumatica, in modo da inventare ogni volta una nuova mise, secondo l'umore. Quando il tattilismo legato alla superficie, si estende, abiti, architettura, design, cosmetica, e cinema tutti questi concetti sono intesi come spazi abitativi continui. In quanto pelle mutevole del corpo sociale, sono tutti parte di un'esperienza interattiva condivisa. Ogni individuo definisce un modo di vivere lo spazio completamente personale, definendo relazioni e contorni. Una volta sagomato il passaggio individuale tra le superfici mobili nello spazio, restano le impronte che l'individuo lascia lungo il percorso, perché abitare vuol dire lasciare tracce. (Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema è un libro di Bruno Giuliana pubblicato da Mondadori Bruno nella collana Sintesi illustrata di IBS.it) 2007 Il 29 febbraio 1920 viene pubblicato in «Roma Futurista» il Manifesto della moda femminile futurista di Volt (Vincenzo Fani), estremamente significativo giacché rende definitivamente esplicito l'interesse dei futuristi per il sistema della moda femminile in quanto tale, ritenuta da Volt infatti «stata sempre più o meno futurista», cioè un «equivalente femminile del futurismo». Le sue proposte sono sviluppate in tre paragrafi: «genialità», «ardire», «econo m i a » .


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Tullio Crali, Bozzetti di vestiti da donna (1932 e 1933)


Elsa Schiapparelli abito come strumento di rivoluzione sociale

Il surrealismo esibiva un nuovo modo di concepire la vita e l'abito, che diventa uno strumento di comunicazione. Elsa Schiapparelli (1890-1973), fece entrare nel Haute couture una nota letteraria e artistica, estese il suo interesse a nuovi universi linguistici per esprimere altri significati ispirandosi all'Altra Avanguardia Dalì, Cocteau). L’obiettivo del surrealismo era liberare l’immaginazione poetica e dare sfogo al mondo dei sogni, all'inconscio, ricercavano l'infanzia, il favoloso e il meraviglioso. Le tematiche principali erano l'amore, inteso come fulcro della vita, il sogno e follia, considerati i mezzi per superare la razionalità, la liberazione dell'individuo dalle convenzioni sociali. Si esprimevano concretamente attraverso la libera creazione d’immagini prive di significato e di scopo, lasciate emergere come nascono nella fantasia. Il nuovo linguaggio vestimentario si rivelò un successo per la Schiapparelli, che in qualche modo riuscì a comunicare la dimensione interiore della donna. Il corpo della donna e la forma dell’indumento erano diventate pagine bianche su cui scrivere il flusso delle fantasie, che sgorgavano spontaneamente nel momento in cui si proponeva e sviluppava un tema; immagini isolate e precise, che nella loro libera sequenza ricostruivano il suo immaginario, come si era costruito nel tempo, attraverso una molteplicità d'esperienze diverse. Dopo la crisi del 1929 la figura della donna, in relazione a nuove esigenze e alla situazione sociale in continuo mutamento, cambiò l'aspetto e le forme. Elsa aveva creato una silhouette femminile in grado di carpire lo spirito del tempo. L'abito oltre alle sue funzioni tradizionali, assunse il ruolo di strumento per una rivoluzione sociale. Durante la guerra Elsa elaborò una collezione di abiti pratici ricchi di grandi tasche che consentissero di scappare velocemente e portare con sé i beni necessari. Perseguiva una moda utile che non voleva rinunciare alla femminilità, fece un abito ambivalente per il giorno e per la sera: da corto diventava lungo tirando semplicemente un nastro.

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“Un vestito vive solo se lo si indossa e, appena ciò accade, un’altra personalità ti sostituisce e lo anima – o almeno ci prova - lo esalta, lo distrugge o lo trasforma in un canto di bellezza. Più spesso diventa un banale oggetto o anche una misera caricatura di ciò che tu desideravi fosse – un sogno, un modo di esprimersi.” (Shocking life, Elsa Schiaparelli 1954) (Fashion & Surrealism di Richard Martin, 1990 Rizzoli)

Millicent Rogers, uno dei sostenitori più alla moda di Elsa Schiaparelli, ha indossato questa giacca sera in un 1939 foto sulla rivista Vogue, mentre lei era ancora la signora Ronald Balcom.


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Chapeau, Winter 1938


Archizoom

Dressing Design

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L'espressione dressing design raccoglie diverse forme di progettazione dell'abito, intercorse negli anni settanta e poste in una zona intermedia tra il sistema della moda e il mondo del design, tra l'utopia avanguardista e l'elaborazione di veri e propri programmi di design. Radical - Il radical è una tendenza che nasce all'inizio degli anni '70, fondata da giovani architetti formatisi nel clima della contestazione studentesca del '68, come atteggiamento, strumento di lotta e di ricerca atto a cambiare la struttura dell'intero sistema, che investì il campo delle arti figurative, poesia, musica, moda, fino a coinvolgere la realtà sociale e politica; in pratica tutto ciò che coinvolgeva l'ambito dell'espressione. Il radical aveva atteggiamenti provocatori intenti a rivendicare l'esercizio della libera creatività, professavano un design eversivo e provocatorio. I gruppi di ricerca dell'architettura radicale Superstudio e Archizoom Associati propongono nell'ambito del dressing design una progettazione principalmente teorico critica adeguata a perseguire modalità espressive e comunicative incentrate intorno all'abito nella sua accezione di modalità dell'abitare. Il radical si avvale dell'utopia critica che si pone come fine un livello conoscitivo più avanzato del mondo. Il Dressing Design fu proposto come un'esperienza di progettazione urbana dove si poteva sperimentare una nuova dimensione di una cultura collettiva. La moda era il nuovo linguaggio estetico atto a decorare la città, l'ultima possibilità di instaurare una comunicazione sociale. La progettazione cercava di realizzare abiti di moda in conflitto con l'individualismo di alcuni stilisti e voleva creare abiti-base legati al mondo artigianale gestito dallo stesso consumatore. L'abito era concepito come una struttura che connetteva l'oggetto con il corpo umano, conferendo un peso minore ai parametri legati al gusto e allo stile. La creatività di massa la cui espressione è pensata come esperienza parallela, sia per quanto riguarda l'abitare che il vestire, assume un grande rilievo. Nella mostra New Domestic Landscape, 1972 al MOMA di NewYork, viene allestita una stanza vuota dai gruppi di de-

sign più radicali. Era un ambiente rispetto al quale veniva lasciata allo spettatore la libertà di immaginare autonomamente la propria casa secondo lo slogan “abitare è facile”. Archizoom - (1966), Firenze, Andrea Branzi, Gilberto Corretti, Paolo Deganello e Massimo Morozzi. Il Gruppo firma una ricca serie di progetti di design, abiti, architettura e di visioni urbane a scala territoriale. Proposero la moda vissuta in chiave privata, come pura comunicazione sociale e sessuale: progettazione di un sistema razionale d'abbigliamento. In particolare il Dressing Design (1972-1974) divenne oggetto d'interesse del gruppo. Da “abitare è facile” Dario e Lucia Bartolini idearono un progetto dal titolo “Vestirsi è Facile”, illustrato per mezzo di un cartone animato, il sistema “Do it yourself ” dell'abito era formato da pezzi quadrati di taglio geometrico e razionale, utilizzato senza scarti e rigorosamente unito attraverso cuciture lineari. Si utilizzavano tecniche artigianali e era prevista la produzione in grande serie e in tutte le taglie. Questo movimento auspicava alla cancellazione di utopie consumistiche legate alla moda al fine di abolire l'iperconsumismo. Il Dressing Design di Archizoom aveva l'intento di creare un modello di abito democratico inteso come strumento creativo e non come montura. In quegl'anni la sperimentazione verteva verso l'esplorazione nell'ambito industriale, dal montaggio alla confezione, ai nuovi materiali; da quest'ottica nascono prodotti dotati di valenza più tecnica che estetica. Gli Archizoom utilizzarono in modo diverso la tecnologia, considerando l'industria dell'abbigliamento un'imitazione delle tecniche e delle figurazioni artigiane, in opposizione alla grande industria che utilizzava fibre sintetiche e artificiali surrogati della lana e del lino. La vera scommessa di questi designer era evitare che gli industriali archiviassero le ricerche sperimentali collocandole in un ambito prettamente intellettuale e artistico e che i designer cadessero nella tentazione di avvalorare tale istanza.


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Nanni Strada

Dressing Design

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Gli anni '70 sono gli anni della contestazione, si aprono con la guerra del Vietnam, l'entusiasmo dello sbarco sulla luna stava oramai scemando e il mondo giovanile pacifista verte l'interesse verso le culture orientali: le filosofie orientali, la musica, le droghe leggere sono l'inizio di un viaggio che porterà a un incontro Oriente-Occidente. Sono gli anni delineati da una continua ricerca di un'alternativa in ogni contesto. Compare nel quotidiano l'abito da lavoro (jeans), lo zoccolo (mondo contadino), si diffondono gli indumenti etnici da parte delle fasce sociali contestatrici a testimonianza della volontà di nuove soluzioni da contrapporre all'iconografia classica dell'abito borghese. In questo contesto culturale, oltre ai radicali emerge Nanni Strada di formazione sartoriale, decide di dedicarsi ad una ricerca personale incentrata sulla sperimentazione delle qualità intrinseche dell'oggetto abito e delle sue modalità d'uso. Non intende creare abiti di moda, ma indumenti che formano il guardaroba di base, la materia prima che stimoli la creatività del fruitore, fornendogli la possibilità di elaborare autonomamente la propria immagine, il proprio stile vestimentario. Dall'esperienza delle donne di Es Salt (Transgiordania) che indossavano il khalaga, abito doppio lungo tre metri, vera e propria prima struttura da abitare, concetto al quale si riferisce la dimensione vestimentaria di Nanni Strada che è espressa nelle sue collezioni dell'indumento “reale”. Un abito disgiunto dalla manipolazione mediatica della rappresentazione iconica e verbale, definito mediante gli atti che ne hanno regolamentato la fabbricazione. Da questa filosofia si configura un'etica e un'estetica dell'abito impersonale disegnato come nasce dalla macchina e contro l'idea del su misura. Il fruitore potrà percepire il piacere fisico di abitare una struttura confortevole. La nozione di dressing design di Nanni Strada vede l'oggetto abito come un fatto depositario di un investimento ludico affettivo connesso alla dimensione performativa del corpo. L'abito diventa mediatore, in un ottica di soggettività, della teatralizzazione dell'individuo, della presentazione sempre mutevole del proprio sé come oggetto d'arte. La moda vuole progettare l'immagine e il look della donna, Strada vuole progettare l'abito e la sua identità. (Fatto in Italia: la cultura del made in Italy (1960-2000), a cura di Paola Colaiacomo). Nanni Strada ha saputo fondere il mondo del design con quello della moda, si dedicava all'abito come progetto puro,

i temi ricorrenti approfonditi dalla stilista in vari modi, dimostrano un approccio tipico dell'industrial design: il porsi delle problematiche alle quali dare risposta, l'uso della geometria cartesiana, la ricerca sui materiali e sulle tecnologie produttive, la tendenza al minimo risolutivo, il minimo scarto di materiale. A tali temi corrispondono dei modi nuovi di indossare un abito: l'abito non ha più taglia, l'abito che non deve essere più stirato, l'abito da viaggio, che si adatta a diverse temperature, l'abito non più di moda. I consueti abiti di sartoria clonano il corpo umano e vivono la propria vita appesi agli attaccapanni, gli abiti di Nanni Strada riposano ripiegati od attorcigliati e prendono forma solo nel momento in cui sono indossati. Ha capovolto radicalmente regole e metodologie, generando una crisi codici e significati. Condusse la sua ricerca sperimentale attraverso il ribaltamento di linee e tagli, cuciture e impunture, lemmi e colori, trame e orditi. Il suo approccio si estendeva dal piano dell’ideazione a quello della realizzazione: dal disegno alla produzione industriale dell’abito. Strada era alla ricerca dell’essenza delle cose, che nasce dalla curiosità di scoprire origini delle forme, di scomporre strutture, di rompere artifici, si propone di ideare abiti “che raccontino un processo, una storia senza essere legati al vincolo della stagionalità. Particolarmente interessanti al fine della mia ricerca: l'abito abitabile (1971), per Sportmax: capi senza taglia, sfoderati, con allacciature regolabili, privi di rinforzi, sono distinti dalla scelta inedita delle “cuciture a saldature”, di solito destinate alla maglie-


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ria, in questo caso alla confezione del tessuto. Da quel momento, la ricerca di Strada è stata rivolta ad analizzare la duttilità dei materiali e la funzionalità dei capi d’abbigliamento con l'intento di individuare la purezza geometrica, l’architettura degli abiti. In tal senso, cruciale è l’influenza dell’Oriente. Il manto e la Pelle (1974), insieme a Clino Castelli presenta, un sistema di progettazione di indumenti geometrici e bidimensionali, comprimibili e assemblati con cuciture avveniristiche a più aghi (Il manto). E indumenti tubolari di maglia e rettangoli di tessuto, aderentissimi senza cuciture (La pelle): primo abito al mondo senza cuciture (fatti in collaborazione con Calza Bloch). Torchon (1986) abiti destinati al viaggio in lino stropicciato informale, scolpiti con infinite rughe e arricchiti da una vasta tavolozza cromatica. Questa stessa invenzione sarà “ripresa” da Issey Miyake, tra le voci più alte del Minimal Fashion, qualche anno dopo.


Habitus, Abito, Abitare di B. Corà e M. Pistoletto 21 settembre 1996 - 2 febbraio 1997

Michelangelo Pistoletto ha attraversato le dimensioni arte-costume in modi e con espressioni diverse, nel suo Progetto Arte (evento promosso dal Centro Pecci di Prato) auspica a far dialogare varie discipline artistiche e a farle incontrare "sulla scena della vita" con attività sociali, economiche e produttive. L'iniziativa ha affrontato il rapporto fra arte e moda nei termini di una nuova relazione dell'arte con la vita quotidiana, attraverso la stimolazione a liberare la creatività che è potenzialmente in ognuno di noi e soprattutto ad attivare una consapevolezza della propria identità, in opposizione ad una massificazione del gusto e in genere del modo di vivere oggi. Per la concretizzazione del progetto sono stati coinvolti i settori del tessuto economico-sociale di Prato, città che per tradizione ha incentrato la propria attività produttiva nel campo tessile con particolare attenzione per le creazioni della moda. La mostra si presenta come un grande laboratorio in cui "l'abito si presenta come maglia, tessuto, cerniera tra il corpo singolo e il corpo sociale, tra il fisico e il mentale" e l'habitus che sta dentro la testa si ricongiunge con l'habitat che è l'abitare" (Michelangelo Pistoletto, http://www.centropecci.it/htm/mostre/96/prepp96b.htm#vestito).

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“Progetto Arte si fonda sull'idea che l'arte è l'espressione più sensibile e integrale del pensiero ed è tempo che l'artista prenda su di sé la responsabilità di porre in comunicazione ogni altra attività umana, dall'economia alla politica, dalla scienza alla religione, dall'educazione al comportamento, in breve tutte le istanze del tessuto sociale". (M. Pistoletto, Manifesto Progetto Arte, 1994)



Star[c]knaked di Philippe Stark

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Ha lanciando un vestito trasformabile Starc[k]naked (1997) pensato per la nota ditta Austriaca Wolford. L'abito è stato realizzato con una microfibra pesante, composto da un paio di collant prolungano in un tubo, senza cuciture. Può essere drappeggiato a piacimento sul corpo per formare una gonna, lunga o corta, o un abito, anch’esso modulabile in lunghezza. La confezione contiene, oltre all’abito, una scatolina arancione con le bretelle amovibili e le istruzioni per l’uso. Il designer progettò l'abito ispirandosi ad una tendenza già diffusa negli anni '80.Le redattrici di Elle sull’onda del successo degli abiti aderentissimi di Azzedine Alaïa, acquistavano la maglia a metraggio e si costruivano tutto ciò che il tubolare gli concedeva: abiti fascianti, arrotolando la parte superiore del tubo a formare un collo sciallato e praticando lateralmente i fori per l’uscita delle braccia, manicotti lunghi o corti, bustier, abiti o gonne a tubo. Lo Starc[k]naked è leggero, non si stropiccia, è innegabilmente versatile e occupa poco spazio. Questo oggetto è trasformabile, non vuole creare uno stile, ma lasciare a chi lo indossa la libertà di creare il proprio look in base alla propria personalità. Il prodotto di Starck è ancora molto attuale.


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4 Il sarto diventa stilista, l'artigiano diventa artista

Dall’artigianato al design autoprodotto


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ulla base di tale analisi e degli avvenimenti storici e contemporanei emerge che il nuovo secolo si apre con le contraddizioni e la crisi economica ereditate dal secolo precedente mostrando un'industria completamente spiazzata che è travolta dalla terza rivoluzione industriale e che ancora non sa come rispondere alle nuove esigenze dettate dai mezzi tecnologici, ne consegue un effetto simile a quello che produsse la prima rivoluzione industriale: nuovi mezzi continuano a produrre forme obsolete, è necessario trovare forme adeguate. La profonda differenza che delinea i fenomeni analizzati nell'ultimo decennio riguarda l'economia: il luxury design che non ha limitazioni economiche, non si interroga sui significati e si ripropone come mera cosmesi dei movimenti precedenti, approdando nell'eccesso. In seconda istanza emerge il social design che cerca di recuperare uno scopo, una necessità, un senso etico. Questa volontà si traduce concretamente in realtà diverse: da una parte il design democratico di IKEA e H&M, dall'altro si collocano le piccole medie imprese design oriented. Queste si trovano a dover affrontare una realtà fatta di limitazioni economiche e concorrenza e hanno l'urgenza di ricostituire il piano semantico e qualitativo, l'obbiettivo è trovare risposte formali all'esigenza del nuovo contesto culturale servendosi dei nuovi materiali e mezzi tecnologici attingendo i contenuti dalla tradizione attraverso un recupero sapiente delle conoscenze artigianali. In particolare l'ambito d'interesse su cui verte la mia ricerca è rivolto alle piccole medie imprese che lanciano collezioni artigianali (tradizione) di abiti trasformisti (tendenza), piccole imprese volte ad un recupero del saper fare, cavalcando l'onda della tendenza.

In particolar modo un approfondimento sull'artigianato può far comprendere realmente i meccanismi del fenomeno che si sta verificando. E' appunto una ricerca condotta da Ugo La Pietra, sull'artigianato da lui definito design etnico, a porsi come obbiettivo di tornare a scavare nelle specificità regionali, non per regredire nell'immobilità della tradizione, ma per avanzare lungo un percorso che sfugge alla paralizzante uniformazione e che indichi, invece nel confronto, un possibile progresso (La Pietra, 1997). Questa attenzione nei confronti dell'artigianato è entrata nell'attualità e grandi nomi del design italiano come Giulio Iachetti includono la sapienza artigianale nei loro progetti, così rende omaggio all'italianità del saper fare con dedizione e passione. La figura dell'artigiano in quest'ultimi tempi è cambiata profondamente: “l'uomo artigiano” (Sennett, 2008) ha mantenuto un ruolo attivo e importante nella trasmissione di saperi e tecniche di lavorazione che in parte sono state dimenticate dai processi industriali e che garantiscono un lavoro che coniuga sapienza manuale e conoscenza: il dibattito macchina vs artigiano è ancora attivo. Le sorti dell'artigianato e dell'industria in epoca successiva derivano da questa controversia: la nascente industria ha caratterizzato la storia e l'economia mondiale fino ad oggi, decretando la cristallizzazione dell'attività artigianale. L'artigianato infatti, sopravvive grazie ad una clientela elitaria che apprezza la raffinatezza esecutiva di un manufatto al compromesso di costi elevati o relativamente elevati. La grande eredità che ha tramandato la cultura e la storia legata all'artigianato rappresenta un riferimento per qualsiasi società contemporanea. Attualmente la crisi economica mondiale, ha portato all'immobilismo del mercato caratterizzato in gran parte dall'attività industriale. Questo ha provocato, come conseguenza, una rivalutazione dell'artigianato, dell'home made, della personalizzazione, di una strategia produttiva differenziata e di qualità estetica elevata, destinata ad un mercato di nicchia e che tende a portare nell'industria il tipico modello produttivo artigianale, con la conseguente eliminazione di una mera produzione di massa. Le imprese italiane che operano nel settore moda si sono distinte per la capacità di introdurre sul mercato una notevole varietà di prodotti


caratterizzate da progettazione, contenuto tecnico, originale e innovativo, accompagnato dallo stile e dalla gradevolezza estetico formale che hanno decretato il successo del “Made in Italy”. Il “Made in Italy” come afferma Fortis (1998) rappresenta una realtà economica, ricca, dinamica che vanta nel tessile-abbigliamento, come in altri settori produttivi, un alto grado di specializzazione per la qualità, innovazione, design e prezzi competitivi. L'industria tessile in Italia, è costituita da una filiera frammentata ma completa. Nel settore tessile, le aziende, spesso di dimensioni piccolissime a carattere artigianale, operano in stretta sinergia tra loro in tutte le fasi della filiera, questa impiega nella sua produzione sia fibre naturali (cotone, lana, lino, seta, ginestra, canapa), che artificiali e sintetiche (Magni 2007). Questo particolare modello organizzativo e imprenditoriale è noto come distretto industriale: un sistema dove l'attività produttiva è svolta con collaborazione tra le aziende facenti parte della stessa filiera. Oggi i più importanti e produttivi distretti tessili italiani sono: Biella in Piemonte, Carpi, Modena, Como in Lombardia, Prato in Toscana. I sistemi produttivi locali, sono aree produttive non necessariamente a carattere industriale che esprimono un insieme di conoscenze e competenze connaturate nel territorio. Il sistema produttivo italiano può essere definito un sistema di competenze localizzate in sinergia tra loro, dove la componente culturale è legata al saper fare e al patrimonio di conoscenze italiano. La caratteristica di un saper fare e di una conoscenza materiale, da un livello artigianale si sono evoluti in termini industriali. In questo macro scenario, il comparto artigiano riveste

un ruolo considerevole nell'economia nazionale, legata alle Industrie Tessili e alla Confezione di articoli d'abbigliamento. Questo significa che esiste un altissimo numero d'imprese di piccolissime dimensioni che producono beni o semilavorati non in serie, con la partecipazione attiva e la creatività del singolo individuo. Il complesso delle tradizioni si definisce cultura materiale inerente con la produzione di tipo artigianale, testimonianza dell'identità del territorio. Il saper fare è stato lentamente fatto proprio del sistema industriale, coniugando l'esecuzione artigianale con i più avanzati sistemi di produzione industriale. L'attività artigianale si oppone alla standardizzazione in quanto priva di caratteri valoriali quali unicità e flessibilità. L'esaltazione della personalizzazione ha portato alla riscoperta del “pezzo unico” o di piccola serie e alla ricerca dell'esclusività. Dumont (1993) afferma che la nascente richiesta dell'individualismo di massa e del particolarismo, approdano nella richiesta del prodotto artigianale. Un decenn i o dopo Giam-


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paolo Fabris asserisce che il consumatore postmoderno non si riconosce più nel prodotto standardizzato, ma cerca continuamente di affermare il proprio gusto e la propria individualità attraverso oggetti o beni in grado di poterli esprimere. In quest'ottica, l'operato artigianale connota gli oggetti come prodotti-segno che contribuiscono a definire un nuovo linguaggio caratterizzato dalle identità e dalla diversificazione che connessa alla cultura e alla memoria, diventa un potenziale fattore d'innovazione. Alla nascita di questa nuova tendenza, che vede nell'insieme delle arti manuali la riscoperta di un'identità e di una cultura territoriale, è necessario definire il significato del termine “oggetto artigianale” oggi e di conseguenza delineare una definizione di artigianato. L'oggetto artigianale rientra nella dicotomia tra (manu)fatto ed (arte)fatto. Per manufatto (dal latino manu factum) si indica un oggetto fatto a mano: definizione riferita al processo produttivo attraverso il quale si ottiene un prodotto manuale e non industriale. Questa definizione non considera il momento creativo alla base della fase produttiva, bensì delinea in maniera generica un qualsiasi bene, di qualsiasi entità, purchè ottenuto tramite un procedimento di realizzazione manuale. Con artefatto (dalla locuzione latina di arte facere) si definisce un prodotto fatto ad arte e si riferisce al momento creativo dell'attività individuale, poiché presuppone un pensiero metaprogettuale al fine della realizzazione dell'oggetto e il soddisfacimento di quelle prestazioni per il quale è stato pensato e prodotto. Questo vocabolo sottende l'accezione più negativa di artificio, intesa come “espediente abile e ingegnoso diretto a sopperire alle mancanze della natura o a migliorare l'apparenza, il risultato, l'effetto di qualche cosa” (Definizione di artificio tratta da “Il Grande Dizionario Garzanti Italiano”, 2007). Entrambe le definizioni manufatto e artefatto qualificano allo stesso modo l'oggetto artigianale, rappresentano solo due differenti aspetti che lo caratterizzano: da un lato unicità della produzione manuale colma di quelle imperfezioni e personalizzazioni che conferiscono valore all'oggetto; dall'altro la sua “adeguatezza” espressa da una progettazione mirata al soddisfacimento di necessità specifiche che lo destinano a precise funzioni ed usi. Il mondo degli artigiani è contraddistinto dall'equilibrio

tra questi due caratteri, utilità di prodotto e virtuosismo tecnico (Becker, 2004). Becker sostiene che la linea di confine tra il “vero” artigianato utile e virtuoso e l'arte, secondo il concetto di estetica intesa come bellezza, risieda nella vicinanza graduale dell'oggetto all'arte. In questo caso rientrano quelle forme che definiscono il concetto di “artigianato artistico” e che perseguono l'ideale di bellezza legato ad un principio di virtuosismo tecnico più che di effettiva utilità del prodotto. Il concetto di bellezza odierno si distacca dal pensiero di Becker, l'artigianato non è veicolo di estetismo connesso al concetto di bellezza, ma soprattutto di trovare un approccio sistemico e progettuale in grado di valorizzare la tradizione senza snaturarne gli equilibri e il significato, per rispondere al gusto e alle richieste del mercato odierno. Il prodotto artigiano è difficile da collocare sul mercato in quanto c'è una difficoltà della percezione del suo valore, in tal caso assume un ruolo rilevante il design oriented, il quale attraverso la capacità metodologica che lo contraddistingue, è in grado di progettare un sistema di valori universali e fornire all'artigiano quegli strumenti di valutazione personale che lo rendono capace di comunicare a terzi le qualità intrinseche del suo lavoro. Il design si pone come mediatore di saperi e bisogni (Celaschi, 2000), la relazione con l'artigianato diventa fruttuosa nel momento in cui il consumatore si trova nella posizione di comprendere e apprezzare l'eccellenza di una produzione di Arti-Design (concetto introdotto per la prima volta nel 1991 da Filippo Alison e Renato De Fusco per indicare un genere di produzione che si colloca tra l'artigianato e l'industrial design). Il ruolo del designer è fondamentale e capace per lo sviluppo delle economie locali, aiutandole a valorizzare la propria identità culturale e il proprio know-how progettuale e produttivo; questo è elemento di connessione e dialogo tra la cultura del fare tipica delle arti manuali detentrici di un sapere tramandato nel tempo e la cultura del progetto, stimolando la valorizzazione di competenze produttive culturali. Il concetto di valorizzazione è legato alla produzione locale congiunta alle risorse materiali e immateriali in cui il design, con la sua attività progettuale/trasformativa, assume un ruolo fondamentale per il trasferimento di conoscenza capace di sostenere, implementare gli elementi all'interno del territorio in cui opera. Il design attraverso un processo di in-formaziome (Flusser, 2003) degli oggetti connotando-


li nella loro valenza, non solo di forma-funzione, ma anche di forma-significato. L'incontro tra il designer e l'artigiano innesca una serie di spunti per nuovi prodotti con nuovi codici e linguaggi dissimili e singolari (Kopytoff, 1986). L'approccio Arti-Design è messaggero di una nuova progettualità con richiami formali ad un nuovo linguaggio caratterizzato dalla diversificazione produttiva. Il design diventa un indispensabile interfaccia tra tradizione e modernità e il suo ruolo è molto importante quando trasferisce alla produzione artigianale un aspetto contemporaneo del vivere moderno. Il design portatore di una metodologia progettuale, codifica e struttura la consapevolezza della conoscenza del prodotto e della tecnica da parte dell'artigiano, che orienta le proprie scelte secondo modelli e consuetudini legati alla competenza tacita del saper fare. Il design possiede un carattere esplicito, codificabile, facilmente trasferibile e di immediata interpretazione, perchè chiaro e organizzato con capacità creativa e cognitiva in grado di astrarre ed elaborare le informazioni che lo circondano, generando una conoscenza non preesistente. Inteso come processo, sottintende un'azione di in-formazione che imprime sull'oggetto un insieme di valori materiali e immateriali che gli permettono di manifestarsi e concretizzarsi (Flusser, 2003). L'oggetto si trasforma in un “contenitore” che “aspetta” un'idea-significato che lo possa completare. Il dialogo tra design e artigianato può trasformarsi in una leva competitiva per stimolare la realtà locale ad affacciarsi al mondo contemporaneo. Il design, attraverso l'insieme dei valori immateriali contenuti nel sapere artigianale, conferisce all'oggetto una forma-segno-significato (Flusser, 2003), senza impoverire il bagaglio qualitativo al fine di arricchire la tradizione attraverso l'esplicitazione di nuovi linguaggi. Nel design e nell'artigianato, legati al settore tessile, è necessario avviare dei processi d'innovazione al fine di realizzare “beni nuovi” connessi all'innovazione del prodotto ed incrementare l'attività produttiva att r ave rs o

l'utilizzo di processi sostenibili per favorire l'elasticità e la velocità di risposta del mercato, avviare quindi un'innovazione di processo. Tutti questi processi hanno un fine comune: innovare il settore tessile e valorizzare le conoscenze legate al genius loci. La tradizione ri-progettata, ri-interpretata e ri-innovata; tutto questo confluisce nell'oggetto singolare caratterizzato dall'eccellenza e qualità riconosciuta e certificata dalle lavorazioni, dalla singolarità e unicità, espressione della personalità dell'oggetto e della sua biografia culturale che sigilla il connubio tra design e artigianato, all'identità cioè l'insieme di qualità e caratteristiche che rendono il prodotto riconoscibile e lo differenziano da altri simili. L'oggetto singolare ha intrinseche informazioni culturali e territoriali, che mediante in design e la cultura materiale rende gli oggetti singolari e unici. L'oggetto di Arti-Design si trasforma in oggetto di design, il cui valore aggiunto è quello di essere al contempo artigianale. Simona Segre Reinach afferma che il mondo globalizzato distrugge le culture e quindi i vestiti non hanno tratti distintivi che mostrano la propria provenienza culturale, non trasmettono tradizione e contaminazione. In risposta al fenomeno di globalizzazione con l'evoluzione delle dinamiche di consumo, vi è l'affermarsi di quello che Fabris (2003) definisce individo-consumatore del postmoderno, per essere competitivi nel mercato è necessario capire l'individuo e le relazioni che questo ha con il prodotto, quindi le logiche del marketing esperienziale o emotivo, diventa terreno fertile per la costruzione di nuovi sistemi di produzione e progettazione degli oggetti, al fine di creare un valore che venga percepito dal cliente in chiave di esperienza ed emozione. Elizabeth Hirschman (1982) e Morris Holbrook (1982) hanno riscontrato attraverso il concetto hedonic consumption quanto l'esperienza d'uso sia in relazione alla


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percezione dei sensi; il consumatore non percepisce più un oggetto solo in termini meramente utilitaristici, ma gli attribuisce una dimensione emotiva che cambia radicalmente le logiche di acquisto, perché basate sulla natura simbolica, edonistica, estetica e quindi soggettiva ed individuale (Hirschman e Holbrook, 1982; Fabris, 2003; Resciniti, 2005). “Dal momento in cui l'oggetto non è più definito dalla sua funzione, è qualificato dal soggetto” (Baudrillard, 1972), se si considera veritiera questa affermazione, si afferma che qualsiasi oggetto può essere rivisto alla ricerca di una personalità sul suo possibile valore di segno o d'uso. La semiotica ha cercato di cogliere il significato degli oggetti nel loro contesto, analizzando il rapporto che essi instaurano con i soggetti con cui si confrontano. Dalle teorie esplicitate in merito all'argomento (Barthes, 1966; Baudrillard 1972; Eco, 1968), emerge un duplice significato valoriale attribuito all'oggetto: denotativo legato alla funzione e rappresentato dall'insieme di azioni possibili che si devono o possono compiere, a cui si aggiungono per connotazione uno o più significati ulteriori di carattere sociale e culturale. L'oggetto non denota solo la sua funzione, ma trasmette i differenti valori che lo qualificano e che lo connotano. Il lato denotativo è certo e descrive il valore e l'uso dell'oggetto; quello connotativo non è necessario che venga esplicitato ed è un insieme di relazioni possibili che l'oggetto riesce a scaturire quando entra in relazione con un soggetto. Nell'epoca della postmodernità “i prodotti si de-materializzano e si trasformano in segni, simboli e comunicazione” (Fabris, 2003). Jean Marie Floch (1992; 1997) enuncia: l'insieme dei valori che descrivono un oggetto scaturiscono dalle proiezioni che il soggetto cerca in esso, ad esempio una sua realizzazione o il riflesso della propria identità. Attraverso questa proiezione il soggetto costruisce la sua identità come un bricoleur. Un'interessante approccio è quello di Igor Kopytoff dato dal suo libro “Biografia Culturale degli Oggetti”, dove sostiene che un oggetto può modificare il suo status valoriale attraverso l'esperienze di vita a cui è sottoposto; nell'esistenza ciclica di una merce, questa può essere connotata culturalmente come oggetto e assumere un valore individuale. Questo è definito: singolarizzazione o demercificazione, dove un oggetto può perdere il suo valore funzionale e acquisirne uno individuale che lo rende diverso, unico e quindi singolare. E' necessario

costruire una biografia: provenienza, chi l'ha progettato, chi l'ha prodotto, il contesto temporale ecc. Questo insieme di valori tende a leggere l'oggetto come un attore sociale (Volontè, 2009) conferendogli quei significati di unicità e d'identità capaci di renderlo singolare. Il processo di singolarizzazione risulta attuale e contemporaneo se legato alla logica valoriale degli oggetti nella società contemporanea; la connotazione simbolica e il valore cognitivo, denotano la produzione che emerge dal dialogo Arti-Design e rappresentano il potenziamento della componente meno tangibile della produzione dell'oggetto: la sua singolarizzazione e il suo significato. Gli oggetti singolari sono oggetti narrativi capaci di raccontare la propria biografia culturale e manifestare la propria individualità; il loro valore culturale risiede nell'artigianalità connessa ai sistemi di progettualità contemporanea, generando nuovi equilibri e nuovi saperi. La progettazione di un oggetto ha intrinseco come momento rilevante la creazione, che ha l'obbiettivo di scaturire un effetto interiore sul soggetto, il cui aspetto simbolico può essere misurato in termini emozionali, evocativi ed esperenziali. Emozionali nel caso in cui l'oggetto non rappresenta una mera risposta pragmatica, ma viene letto in chiave astratta e simbolica esprimendo molteplicità di significati culturali ed estetici. Il concetto di emozione condiziona fortemente le scelte di un individuo, vi sono segni e significati che lo attirano e che lo condizionano, perchè l'esperienze emotive vengono ricordate più a lungo ed hanno maggior impatto sulle decisioni di acquisto. Donald Norman in “Emotional Design” (2004) ha approfondito l'aspetto emotivo nel ambito del design, dimostrando che nella progettazione emozionale si riscontrano tre componenti: viscerale, comportamentale e riflessiva. La componente viscerale è definita come quello che fa la natura (Norman, 2004:64). ll rapporto creato con l'oggetto è passionale, questo risulta accattivante e piacevole, il fattore estetico gioca un ruolo fondamentale; in questo caso il consumatore viene attirato inconsciamente, indipendentemente dal messaggio e dall'uso per cui si è sviluppato il prodotto. La componente comportamentale è “tutta basata sull'utilizzo” (Norman, 2004:68). La progettazione di un oggetto corrisponde alla funzionalità legata all'uso e l'oggetto viene giudicato in base alla sua praticità. E' necessario comprendere il modo in cui le persone si avvicinano al pro-


Fabrizio Crispino Fashion Stylist, da pezzi di stoffa crea istantaneamente sul corpo vestiti-opere d’arte.

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dotto per intercettare e soddisfare le necessità dell'utente finale. Determinante è anche la comprensione di un oggetto in termini di funzionamento, perchè se questo risulta difficile sarà arduo far funzionare l'oggetto stesso in modo adeguato. La componente riflessiva “è legata al messaggio, alla cultura e al significato” (Norman, 2004:82) questa permette l'interpretazione e la comprensione dell'oggetto stesso ed è l'aspetto più difficile da progettare, in quanto rappresenta l'elemento più forte nella relazione emozionale consumatore/prodotto. Il design riflessivo è connesso all'aspetto emozionale poiché legato al messaggio, alla cultura e al significato degli oggetti. L'Arti-Design prevedono la collaborazione artigianale con quella del design, designer e artigiano sono capaci di rileggere gli equilibri delle tecniche e delle lavorazioni della tradizione in chiave contemporanea generando gli oggetti singolari. La figura dell'artigiano è fortemente cambiata attraverso la collaborazione con il design, a tal proposito si analizzano diversi profili-tipo descritti da La Pietra (2000; 2011), ma quello che è rilevante per il mio scopo è: l'artigiano che opera per una nuova concezione della piccola impresa (autoproduzione), con questa figura nasce una realtà imprenditoriale intesa in chiave postmoderna, dove le tecniche e le lavorazioni sono il mezzo con il quale realizzare collezioni di manufatti pensati, progettati e di qualità; realtà artigiane di pregio che sono riuscite a rinnovare il proprio linguaggio espressivo rendendolo contemporaneo, sono imprese di piccole dimensioni, locate nelle grandi aree metropolitane dove sono presenti i più innovativi sistemi di comunicazione e infine partecipano a manifestazioni culturali per promuovere il loro settore. Un esempio è Costanza Algrandi che nel 1997 raccoglie materiali de-industrializzati di ogni genere, trasformabili in mobili per la casa o in elementi decorativi per lo spazio d'arredo. Questi nuovi artigiani vivono la postmodernità liquida, si servono delle tecnologie digitali e dei nuovi mezzi di comunicazione, per avere visibilità e distribuire i loro pro d o t t i .



4 Casi studio

il trasformismo nel mercato contemporaneo Dallo studio e dall'approfondimento storico-culturare e produttivo nasce un analisi comparata sugli attuali brand che si riferiscono a tale contesto e che si collocano sul mercato contemporaneo.


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Lemuria nasce nel 1975 come laboratorio altamente specializzato nella lavorazione del jersey e dei tessuti elastici, rappresenta un avanguardia dal punto di vista della ricerca sugli abiti trasformabili. L'azienda a conduzione familiare di Susanna Gioia annovera un’esperienza trentennale nel settore della produzione conto terzi. Dall’unione tra la creatività di Susanna e l’esperienza della sua famiglia nasce il progetto Lemuria, che ha un controllo diretto di tutta la filiera sino al prodotto finito. I suoi prodotti sono totalmente Made in Italy. Le collezioni vantano un alto livello qualitativo e tutti gli abiti sono allo stesso tempo attenti allo stile e funzionali, proiettati nel futuro dell’abbigliamento ma ancorati alla grande tradizione tessile Italiana. Nel 2005 la stilista Susanna Gioia sviluppa l’idea di creare moduli polimorfi che potessero essere indossati in modi diversi, così nel settembre 2006 presenta a Milano la prima collezione Lemuria Libero Arbitrio Primavera Estate 2007. Questi abiti permettono di modellare il proprio look ogni qual volta lo si desideri. Per aver anticipato i tempi su questo genere di sperimentazione. Lemuria, azienda leader nell’abbigliamento trasformabile, l'iniziatrice di un vero e proprio movimento, trae la sua ispirazione

dall’osservazione degli uomini di oggi e di ieri, ricercando un “continuum” nell’animo umano che va oltre le epoche e le società che cambiano. Da questo nascono abiti senza tempo, in grado di adattarsi alle mode del momento, di superarle e di sopravvivere ad esse, riuscendo a sviluppare nell’individuo che li indossa un moto emozionale come valido strumento di differenziazione. Un abito in grado di stupire ogni volta, grazie alle sue innumerevoli trasformazioni che lo rendono adattabile ad ogni situazione. Si stabilisce un’interazione tra l’abito e l’individuo al quale viene data la possibilità di creare innumerevoli stili partendo dalla stessa forma. L’abito diventa un gioco, un’occasione per sperimentare il proprio gusto. Ogni abito viene accompagnato da un dvd che da l’opportunità all’utente di entrare a far parte di una performance, infatti all’interno è possibile visionare la trasformazione completa degli abiti di tutta la collezione, in modo da avere una visone completa dell’intero progetto.


Lemuria

avanguardia nella ricerca sugli abiti trasformabili


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Le titolari hanno un atelier nel territorio pratese, studiano, disegnano e realizzano capi di abbigliamento, attraverso una grande e continua ricerca di tessuti e forme per esaltare di giorno e di sera, la femminilità della donna. La realizzazione dei capi si basa sul metodo sartoriale su misura. Recentemente hanno lanciato una linea di trasformabili. Prediligono tessuti e materiali prevalentemente naturali. L’impegno, la fantasia e l’astrazione dagli schemi tradizionali della sartoria, si materializzano in prodotti particolari senza tempo.


VDT

Via del Teatro dal 1987


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Deborah Pientini e Giorgia Andreola, provenienti da realtà stilistiche consolidate negli anni, aprono a Pistoia l’atelier ART’DESÌA in un'antica rimessa di carrozze che ospita al piano terreno una zona di vendita, una dal laboratorio, al piano superiore è previsto uno spazio sartoria, progettazione e archivio. Le collezioni di abiti e accessori sono realizzate artigianalmente con tessuti a metraggio limitato, passione per l’abbinamento di colori e fantasie, cura nei dettagli, linee morbide e femminili di gusto retrò. Le stiliste disegnano il pret-a-porter e realizzano abiti da sposa su misura.


Art'desia

dalla progettazione alla vendita


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Clotilde S.n.c.,realtà creativa aperta a contaminazioni esterne e collaborazioni artistiche, nasce nel 2003 grazie all’unione artistica e lavorativa di Silvia Bartolini e Costanza Turchi. Le stiliste definiscono i loro abiti Idee di stoffa da indossare. Idee materiate da fili e stoffe, ispirate al mondo dell’arte nelle sue molteplici espressioni (teatro, cinema, pittura, fotografia, poesia), alimentate dalle sfumature della quotidianità, oltre che dalle relazioni. Traggono stimoli visuali, ispirazioni e idee da fonti eterogenee: un vecchio film, un libro, uno spettacolo teatrale. Le collezioni sviluppano alcuni concetti propri dell’immaginario Clotilde: “NO TIME NO WAY”: abiti “trasformisti” senza stagione e interpretabili secondo il gusto della persona. “SIZELESS”: abiti senza taglia che si plasmano e acquistano vestibilità multiformi in linea con le diversità corporee. “MADE IN ITALY”: capi progettati e confezionati in Italia secondo una logica artigianale. Inoltre Clotilde realizza i “pezzi unici” sono capi esclusivi che affiancano le collezioni stagionali. Sono realizzati artigianalmente secondo la fantasia delle stiliste riciclando frammenti di tessuto e maglie-

r ia. Le stiliste hanno un'attenzione per il passato e alla tradizione ma con un gusto contemporaneo. I loro progetti non nascono da cartamodelli, vengono plasmati direttamente sulla stoffa, da qui emerge uno sguardo attento alla materia. Il concept principale che delinea le collezioni Clotilde è il trasformismo; gli abiti trasformisti, indossabili in molti modi, sono muniti di etichette che illustrano alcune fra le vestibilità possibili; volumi, lunghezze, abbottonature, linee e versi possono trasformarsi secondo la libera creatività della persona, unica vera artefice di look e atmosfere illimitate. Cos'è in fondo "il trasformismo" se non l'idea che ognuno è artefice di se stesso e può partecipare attivamente alla costruzione della propria immagine? Le Clotilde credono sia un concetto molto più contemporaneo e "naturale" di quanto lo sia eseguire rigorosamente il regime ciclico dei trend della Moda.


Clotilde

di Silvia Bartolini e Costanza Turchi



METAPROGETTO

concept 2



1 Abito la tua seconda pelle La tua casa in borsa

Concept: tra trasformabilitĂ e viaggio


La tua casa in borsa Abito la tua seconda pelle

M

anipolazione del corpo e forme della veridizione. Il trasformismo è un gioco sull’identità sospeso tra marketing e sperimentazione artistica. In termini più strettamente semiotici può essere definito come un intervento di risemantizzazione che mira a riconfigurare l’immagine precostituita del performer sovrapponendo ai tratti distintivi di un’identità forte, stabile, le tracce sensibili di soggettività inedite, i frammenti di un’identità in costante rielaborazione. La figura di donna che intendo trasmettere è una bricoleuse, non segue uno stile, ma lo crea attraverso un abito impersonale e standard (capi spalla senza tempo, fuori dalla tendenza), che si personalizzano attraverso chi li indossa, ed è proprio attraverso l’assenza di stile che ognuno cerca di affermare il proprio io-stile. Emerge il bisogno di affermare il proprio io nell’era della spersonalizzazione. Gli abiti si definiscono attraverso materiali (ecosostenibile), forme (funzionali, e economiche poiché si trasforma) e colori. Dato il contesto storico è necessario l’aspetto prettamente economico funzionale, ma anche l’evasione data dall’uso sapiente della cromia. Vestire-abitare-essere-esistere non deve essere un fatto di moda, ma di stile e affermazione dell’io. Sulla base di tali parametri si è pensato di sviluppare una collezione di abiti che presentino come aspetto peculiare la trasformabilità che, mirando alla soddisfazione sociale e psicologica del fruitore, si pone su un piano principalmente connotativo che attraverso un caratteristico piano funzionale, quale la trasformabilità, si unisce ad un significato denotativo. Seppur inserito in un contesto globalizzato gli abiti sviluppati vogliono essere caratterizzati da forme archetipe in quanto provenienti da una realtà artigianale che ne esalta il proprio genius loci: non se-

guendo le micro mode e non essendo soggetta alla cadudicità del tempo. Nel piano sistemico e nel piano processuale vanno quindi a confermarsi il concetto sincronico e diacronico appartenenti alla collezione stessa. Gli abiti concernono relazioni paradigmatiche in quanto l’individuo dal momento in cui sceglie l’abito in questione attua una scelta tipologica, per poi rifugiarsi una dimensione sintagmatica per la possibilità di ulteriori scelte date dalla versatilità del capo da indossare. Nasce quindi un gioco di corrispondenze altamente dichiarato e progettato. Da un punto di vista sociale la collezione si pone all’interno del sistema moda valorizzando la personalizzazione attraverso la spersonalizzazione: da un mero pezzo di stoffa si genera un capo che assume un valore attraverso una scelta puramente individuale. L’ io viene cosi esaltato nella sua unicità di scelte e nella sua non-appartenenza ad un gruppo socio-culturale. Attraverso una progettazione pensata, ogni capo vuole imporsi e farsi riconoscere nel mercato contemporaneo per la sua connotazione a-temporale e non appartenente ad alcun contesto sociale di riferimento. Cambiando quindi un aspetto solito e comune cognitivo, la collezione vuole suggerire nuove forme di comportamento e di approccio all’indossabilità di un oggetto, facendo da deterrente all’attività consumistica del mercato contemporaneo data la sua versatilità. La non-dichiarazione di una marca o di uno status conferma tale estraneità da un sistema moda contemporaneo che si impone sull’identità dei brand. Questa scelta implica comunque uno stile: inevitabilmente nasce un nuovo design ricercato e pensato in relazione ad un determinato brief scelto all’interno del brand Clotilde affine per concetti, contenuti ed etica produttiva, che si impone per originalità.

<< Ho l'armadio-casa in borsa>>

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tra trasformabilità e viaggio


Target femminile

Trasformismo

Affermazione dell'io

Viaggio

PraticitĂ

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EcosostenibilitĂ



2 Prove pattern

I colori: impulsi emozionali


Colore sofisticato, rimanda ad un aspetto fresco e pulito. Ricorda la primavera, il grano, le grandi distese di sabbia e il lusso, stimola un senso di calore e morbidezza.

BEIGE


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Colore del sangue dell’energia vitale sia mentale che fisica e di emozioni quali paura e ansia. Attrae lo sguardo, sinonimo di passione, personalità e fiducia in se stessi.

ROSSO


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Colore della massima eleganza, lusso e dell’attrattiva, conferisce un senso del sacrificio, tenacia, pessimismo, abnegazione risolutezza nel perseguire le proprie mete.

NERO


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Colore del cielo, dell’acqua e del mare, è associato alla percezione visiva di sicurezza e solidarietà. Induce alla calma e si connota come placida e profonda soddisfazione, quiete.

BLU


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3 La collezione disegni


Modelli

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Matrice geometrica


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Modelli

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Matrice geometrica


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Modelli

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Matrice geometrica


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Modelli

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Matrice geometrica


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Abi to, la tua s ec onda pelle

La

tua

casa

in

borsa

Partendo dallo stesso modello (rettangolo), operando con tecniche differenti, è possibile ottenere abiti molto diversi tra loro, in tal modo è l’utente a scegliere come mostrare il proprio essere interiore all’esterno. L’abito in sè non ha alcun valore se non indossato, solo così questo si caratterizza, ha un’anima. Anche se gli abiti proposti sono molto versatili, si propongono come una soluzione contemporanea, in quanto l’utente acquista una confezione (quella che più si confà al suo essere), e senza l’ausilio di ago e filo, l’abito è già pronto per essere indossato nella sua molteplicità di soluzioni. Una soluzione pratica anche per il viaggio, in quanto il Sensitive, materiale innovativo ed ecosostenibile, consente di porre l’abito in borsa senza che questo assuma pieghe ed quindi pronto per essere indossato in ogni occasione. Nell’era della spersonalizzazione e dei grandi magazzini è una risposta giocosa che si colloca tra le possibili soluzioni per riaffermare la propria immagine esteriore, la quale si propone come il riflesso dell’interiorità.

Visone artistica della moda: “Moda come Arte” è lo slogan che motiva il nostro intervento: a sottolineare quanto più ci interessa, cioè l'aspetto artistico della moda e il senso del suo perenne sempre più veloce cambiamento. Ogni individuo, la mattina quando si veste è come un grande pittore, il migliore ritrattista di se stesso. Questa ipersensibilità di ogni persona ad inventare la propria figura può essere estesa al design e all'architettura, in un'ipotesi di continuità dal paesaggio del corpo a quello del territorio”. (Giù dal corpo: il Dressing Design, Fatto in Italia: la cultura del made in Italy (1960-2000), a cura di Paola Colaiacomo)



1 Inhabit

La collezione


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2 Cartella colori

Gli evergreen e gli accoppiati


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C= 100 M= 79 Y= 41 K= 34

C= 66 M= 0 Y= 10 K= 0

C= 8 M= 7 Y= 29 K= 0

C= 15 M= 100 Y= 90 K=100

C= 37 M= 95 Y= 54 K= 59

C= 5 M= 99 Y= 10 K= 0

C= 75 M= 5 Y= 100 K= 77

C= 0 M= 30 Y= 100 K= 0

C= 0 M= 0 Y=0 K=100


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3 Tessuti SensitiveÂŽ Fabrics

una nuova dimensione per l’abbigliamento


Sensitive® Fabrics è un sistema coordinato di tessuti che rappresenta l’eccellenza italiana nel settore degli indemagliabili, frutto di una tecnologia innovativa e unica brevettata da EUROJERSEY. L’esclusivo intreccio della microfibra poliammidica e l’elastomero LYCRA® forma una famiglia di tessuti che offrono straordinarie performance ideali per innumerevoli applicazioni nei settori intimo, bagno, sport e abbigliamento. Permettono di realizzare capi che si indossano come una seconda pelle. Disponibili sia in tinta unita che stampati, i tessuti Sensitive® Fabrics permettono di riprodurre esattamente ogni tipo di fantasia o disegno con risultati nettamente superiori. La superficie è uniforme, la mano è morbida, i colori brillanti e intensi con una resa perfetta sia nelle diverse tonalità e sfumature sia nella stampa eseguita con tecniche all’avanguardia. I tessuti Sensitive® Fabrics consentono la creazione di capi di abbiglia-

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Informazioni

mento adatti ad ogni occasione per un appeal esclusivo e massima praticità. L’ampia gamma di tessuti permette di scegliere il look migliore per soddisfare ogni tipo di esigenza sartoriale ed estetica. L’elevata percentuale di LYCRA®, come ingrediente nei tessuti, riduce al minimo la formazione di pieghe. I capi d’abbigliamento in Sensitive® Fabrics sono l’ideale per i viaggi e per uno stile di vita dinamico, perfetti in ogni occasione. Questi tessuti si prestano alle interpretazioni creative con le più diverse tecniche di lavorazione, per esempio i tagli al laser o i rinforzi con tessuti accoppiati e termosaldati con ultrasuoni. Il Sensitive Classic ha spessori ridotti che consentono di creare capi di eccezionale vestibilità ed eleganza senza perdere di elasticità e forma. Tessuto indemagliabile a struttura tricot, esige accorgimenti di taglio relativi alla caratteristica del prodotto. Composizione: 72,0% microfibre PA, 28% EA (LYCRA®).


La trama aperta dei tessuti assicura una corretta traspirazione e quindi un migliore benessere per il corpo; La trama aperta a nido d’ape favorisce la circolazione dell’aria tra le fibre. Le sue proprietà traspiranti assicurano maggiore freschezza e igiene.

Easy care

Non fanno un piega: lo spessore ridotto del 50% rispetto ai tessuti analoghi li rende particolarmente leggeri garantendo massima praticità, con ingombri minimi negli armadi e in valigia, riducendo al minimo la formazione di pieghe.

Eco system

L’elasticità tridimensionale tipica dei tessuti Sensitive® Fabrics e l’elevata percentuale di fibra elastica LYCRA® offrono una perfetta libertà di movimento, vestibilità impeccabile e massima tenuta della forma dei capi, anche dopo ripetuti lavaggi.

Body moisture system

Pratici e resistenti nel lavaggio mantenendo intatti il colore e la forma. Tessuti di facile e veloce manutenzione. I tempi di asciugatura sono estremamente rapidi e i tessuti sono easy care, lavabili a mano, in lavatrice e a secco senza particolari accorgimenti.

Wrinkle free

Tessuti prodotti in modo eco-compatibile all’interno del programma SensitivEcoSystem® rivolto alla difesa dell’ambiente. Le caratteristiche intrinseche del materiale permettono inoltre di ridurre al minimo l’impatto ambientale del prodotto in tutto il suo ciclo di vita.

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Extra comfort



3 Aspetti comunicativi

Dal prodotto, alla comunicazione


Target Per target si intende il gruppo di consumatori o utenti a cui si rivolge un progetto, un prodotto, un servizio, un’azione commerciale di un’azienda o un sito. Il termine si usa anche nel mondo dell’economia, del marketing e del design. Target di marketing risponde alla domanda “a chi devo vendere?”, individua una fetta di mercato, specificatamente nel design individua la tipologia di utente. Target di comunicazione risponde alla domanda “a chi devo comunicare?”.

La tipologia di utente

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A chi devo comunicare? A chi devo vendere? Il prodotto è rivolto alla “dimesnsione verticale” femminile: è la sfera culturale della forma e della sovrastruttura, rispetto alla semplice sostanza. E’ la dimensione dei “tratti morbidi”: è la moderazione, la misura, l’equilibrio. L’obiettivo non è il confronto con gli altri, ma la dimensione del pensare, della riflessione, della dolcezza, dell’eleganza, della cultura; proprie della cultura femminile. Il progetto è pensato e disegnato in un modo da risultare appetibile a una vasta platea di potenziali clienti dai venti ai quarant’anni, che si collocano nella dimensione del lusso individuale. Tale tipologia di utente ricerca la soddisfazione dei propri desideri. I beni che appagano questa sfera del lusso si caratterizzano per l’unicità, peculiarità che si ripercuote nel mondo dei consumi. Il lusso individuale verte verso la valorizzazione dell’alto artigianato, la diffusione delle serie limitate e del pezzo unico: un individualismo dell’esigenza cui corrisponde un individualismo della risposta; l’individualismo è un concetto legato a comportamenti emergenti della modernità liquida, o post-modernismo. A questa sfera psicologica corrisponde la dimensione economica che riguarda il marketing. I prodotti sono molto alla moda, hanno un costo medio e il rapporto qualità-prezzo è ben studiato in relazione alle aspettative della clientela toccata. Il lusso accessibile si appoggia alla strategia del marketing mix che consente di di differenziare il prodotto rispetto alla concorrenza. I prodotti hanno un prezzo superiore rispetto ai concorrenti, ma comunque accessibili e di conseguenza venduti in quantità maggiore dei prodotti della dimensione tradizionale del lusso. I beni legati al lusso accessibile devono mostrare caratteristiche di unicità come tecnologia e design. La collezione si colloca nella dimensione del prêt-à-

porter, con il quale si attua il processo di semantizzazione dell’abbigliamento condiviso da un’ampia comunità di riferimento, da qui nasce il concetto di moda come stile. Il prêt-à-porter rivolge la sua attenzione ad un particolare ideale di donna immersa nella società post-moderna del cambiamento che accoglie la sperimentazione in tutte le sue manifestazioni, ad esempio la sfera ludica. Una donna al passo con i tempi, ma ancora radicata ai valori genuini, che si affaccia alla giungla globale e sociale, con una visione critica, costruisce l’abito-architettura leggera che si muove come una seconda pelle, come fosse la propria casa, una donna che non segue le mode per l’effimero gusto di sentirsi parte di un tutto, ma crea il proprio stile (bricoleuse) con “l’eccentricità” dell’eleganza e semplicità, di ciò che non è consueto vedere, della dimensione personale che si mostra senza svelarsi attirando l’attenzione. Il prodotto è anti iconico, in quanto ciò che lo caratterizza è il soggetto stesso il quale rappresenta l’essenza dell’abito e è interessato agli aspetti innovativi, piuttosto che alla marca, la quale diventa oggetto d’interesse non in se stessa, ma per le caratteristiche che offre il prodotto. Emerge l’esigenza dell’autoaffermazione che porta a uscire prepotentemente da questo intreccio omologato che il mercato propina. Vestire-abitare-essere-esistere non è un fatto di moda, ma di stile.

Comunicazione seduttiva

Il sistema moda veicola una comunicazione destinata al consumatore finale, questo deve essere ammaliato, sedotto, affascinato e maledettamente attratto dall'oggetto desiderato fino ad indurlo all'atto dell'acquisto, in altri termini, la comunicazione diviene una forma di seduzione che cerca di fare pressione sul destinatario. La moda manipola il suo pubblico al fine di indurlo ad abbracciare dei gusti specifici e dei valori estetici, in pratica ad essere sedotto da certi prodotti. L'abbigliamento come la moda non ha un prevalente contenuto referenziale o meta-comunicativo ma è ostensiva e seduttiva: la sua azione è propagata a chi la segue, di conseguenza comunica la sua intenzione. Volli parla di “comunicazione seduttiva di secondo grado”.

La comunicazione del Prodotto

Al fine di sfruttare la comunicazione efficace è necessario seguire il processo che Saviolo e Testa definiscono “Trial


and error”: seguire diversi percorsi, dirigere le decisioni verso nuove strade e di conseguenza scelte, fino a trovare una soluzione. Nel mondo attuale a causa della contrazione dei consumi, aumento della concorrenza, maggior specializzazione e frammentazione del comparto della comunicazione, l'emergere di nuovi canali come internet, l'universo comunicativo si fa più complesso e sfrutta diverse tipologie di mezzi oltre al classico momento dell'evento sfilata. Comunicare la moda è un aspetto necessario per porre l'attenzione del fruitore su una marca. Il pronto moda ha la necessità di confrontarsi con il consumatore finale in maniera più rapida e diretta. La creatività, la capacità di evolversi velocemente in sintonia con il prodotto e la comunicazione diventa prioritario, diventa fondamentale la connotazione dei messaggi per le loro campagne pubblicitarie. Il codice comunicativo deve evocare una sensazione o un emozione e l'oggetto appare fugacemente o è del tutto assente nella pubblicità. La moda diviene comunicazione dell'immagine o dell'immaginario. La comunicazione di prodotto si trasforma con difficoltà in comunicazione d'identità del brand. L'azienda trovato la propria identità e riconoscibilità, deve confrontarsi con il consumatore finale e veicolare il messaggio attraverso il proprio mondo di riferimento. Parlare d'immaginario in comunicazione significa affrontare l'area del desiderio e non quella del bisogno, questo avviene solo se il consumatore s'identifica nel protagonista di una storia, gli argomenti devono essere credibili e coerenti. Questa credibilità è concessa solo se i codici di comunicazione sono permanenti. L'identità stilistica deve corrispondere ad un identità d'immagine basata su codici di comunicazione riconoscibili. L'immaginario non è credibile se non trova la sua corrispondenza nel prodotto, la comunicazione dovrebbe diventare informazione. Sulla base di queste premesse si progetta una comunicazione materiata da strumenti vari, poiché all'interno dell'universo moda la comunicazione si pone come valore aggiunto. E' quindi necessario sviluppare tutto ciò che gravita attorno al progetto affinché questo possa vedere la sua affermazione.


1 Inhabit

spiegazone del nome

abitare abiti appartenere a essere situato in occupare vivere essere presente entrare ornare

entro durante dentro Ă la mode

abitudine usanza consuetudine abito

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dentro un’abitudine dentro ad un vestito dentro la mia identità dentro l’incedere del vivere esistere cogliendo lo zeitgeist un’abitudine alla moda abitare alla moda vivere alla moda


miurgo, mutuando il termine da Platone, detta le mode, specificatamente nell’ambito culturale e mondano: per essere in è necessario vestirsi in un certo modo che coglie lo zeitgeist (spirito del tempo). Dunque si può intendere i due frammenti del termine inhabit come “abitare alla moda”, “vivere alla moda”, “un’abitudine alla moda”, comunque significa abitare, vivere riuscendo a cogliere lo spirito del tempo. Habitus/abito (dal greco aristotelico héxis) indica una qualità caratteristica del corpo o dell’animo, in linea con la sua origine da habeo nel senso intransitivo di «stare». Può dunque essere tradotto, a seconda dei contesti, con «forma, aspetto, corporatura, contegno, atteggiamento esteriore» (qualità del corpo), oppure con «modo di essere, temperamento, disposizione d’animo» (qualità dell’animo). L’abito contiene le accezioni di abitudine, che a sua volta richiama il carattere. Il termine habitus è considerato il padre del concetto di stile di vita: il modo di abitare il corpo, di parlare, di camminare, connessa alla sfera del mondo sensibile, dell’istinto, trasmette informazioni sull’appartenenza sociale dell’individuo; in sostanza avere una forma, che si connota come il contrario di privazione. Il termine latino habitus, dopo l’età augustea assunse anche il significato di «foggia» di un vestito e dunque, per estensione, di «vestito». 151

L’analisi etimologica ha origine dal francese antico enhabiter, dal latino inhabitare (in + habitare). Traslando il termine inhabit dalla lingua inglese a quella italiana rivela una molteplicità di accezioni abitare, abitare in, abiti, abitiamo, appartenere a, essere situato in, occupare - che si situano in un crogiolo di significati riguardanti la sfera dell’abitare, ma scendendo i gradini del senso rivela il suo significato più profondo nell’accezione del vivere, essere presente, estendendosi fino al significato di entrare, ornare. Entrare nell’abito, essere ornati dall’abito. Dividendo l’espressione inhabit in due frammenti si ottiene “in” e “habit”, dove habit indica un’abitudine, usanza, consuetudine, ma anche abito come vestito, indica quindi l’oggetto dell’abitare, del vivere. Inoltre la lingua italiana concede un’assonanza che richiama il termine abitare. L’italiano abito, oltre che nell’accezione di «vestito» può essere usato, nel linguaggio colto, in quella di «costante disposizione d’animo»: dunque tradurre l’espressione latina mentis habitus, attestata in Seneca, con «abito mentale». Mutuando e traslando sempre dalla lingua inglese il termine in, si evidenzia le sue accezioni: entro, durante, dentro. Nella dialettica italiana trova la sua carta d’identità in un complemento di luogo che risponde alla domanda dove, che in questo caso trova la risposta considerando le due espressioni proprie della lingua inglese in e habit come due frammenti separati: “dentro ad un vestito”, “dentro l’incedere del vivere”, “dentro la mia identità”, “dentro un’abitudine”. Ancora, spostando l’asse d’interesse su un piano appartentente alla mera sfera dell’effimera civetteria e dell’estetica, essere in diventa à la mode, alla moda, appartenere all’ambiente socialmente importante e che come de-


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TESSUTO BREVETTATO/ PATENTED FABRIC IT. NR. 1239906 EU. NR 452607 Sensitive® is a trademark of EUROJERSEY LYCRA® is a trademark of INVISTA

Le etichette non mostrano i diversi modi di indossabilità dell’abito in quanto vogliono lasciare l’utente libero di costruirsi un’identita e non fornirgliene una già preconfezionata. A sinistra l’etichetta con le proprietà del materiale. 153

Bo dy mo sy istu ste re m re


3 Packaging

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L’utente può scegliere di acquistare la confezione contenente l’intera collezione, il cui packaging si presenta come una borsa in cartone riciclato, in linea con il concetto di ecosostenibilità dostenuto dall’azienda. Tale forma è una scelta pensata: la borsa per una donna è un oggetto emblematico e molto personale, per la donna che viaggia o che sta fuori tutto il giorno diventa una vera e propria casa in cui mettere tutti gli oggetti necessari. Il concetto del progetto è fornire un prodotto che consenta di mettere il necessario (in questo caso i vestiti) in borsa, da qui il richiamo alla sua forma. Gli abiti della collezione possono essere acquistati singolarmente. In questo caso l’aspetto grafico si presenta come una “striscia” che avvolge una bustina la quale contiene il vestito. Tale atriscia presenta i colori (doubleface) del vestito contenuto. La scelta della bustina risiede nella sua natura: una volta aperta la confezione può essere destinata ad una seconda funzione scelta dall’utente, ad esempio trousse o altro. Questo si presenta come valore aggiunto, in quanto ancora ricorre una volontà di non buttare l’oggetto una volta che decade la sua funzione, ma ad utilizzarlo nuovamente, analogamente all’abito, a cui proprio per la sua natura che concede variabilità di usabilità e quindi offre diverse soluzioni possibili, non può avere un’altra funzione, ma come la bustina offre comunque delle possobilità di scelta e di azione.


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"La poesia, che pure da sola non cambia il mondo ed è anzi drammaticamente insufficiente, non dà garanzie di salvezze metafisiche, ma salva la possibilità di un nuovo abitare dei mortali. Perché i poeti, dunque? Per contribuire a rifondare il nostro abitare il pianeta, per ritrovare la nostra peculiare di gnità di mortali e di viandanti. Col suo dire essenziale, il poeta è il mediatore dei e fra i segni, fa cenno a ciò che brilla e può essere attinto, al tesoro che ci è molto vicino, costantemente alla nostra portata, ma che, proprio per la sua vicinanza estrema, tende a sfuggirci a causa della nostra stoltezza, della hybris ostinata intesa come volontà di potenza sulle cose e sugli uomini


"La poesia, che pure da sola non cambia il mondo ed è anzi drammaticamente insufficiente, non dà garanzie di salvezze metafisiche, ma salva la possibilità di un nuovo abitare dei mortali. Perché i poeti, dunque? Per contribuire a rifondare il nostro abitare il pianeta, per ritrovare la nostra peculiare dignità di mortali e di viandanti. Col suo dire essenziale, il poeta è il mediatore dei e fra i segni, fa cenno a ciò che brilla e può essere attinto, al tesoro che ci è molto vicino, costantemente alla nostra portata, ma che, proprio per la sua vicinanza estrema, tende a sfuggirci a causa della nostra stoltezza, della hybris ostinata intesa come volontà di potenza sulle cose e sugli uomini..." Franco Toscani



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Relatore:

Siliano Simoncini

Correlatori: Francesca Bianchi Silvia&Costanza

Giulia Pistolesi

A.A. 2012/2013





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