Disobbedienza

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© Giulia Pressi 2017


PREFAZIONE

Disobbedienza disobbediènza (o disubbidiènza) s. f. [der. di disobbedire, disobbediente]. – 1. Atto con cui si disobbedisce, trasgressione a un ordine: d. ai genitori, alle leggi, a un regolamento, alla Chiesa; commettere una d.; punire le d. o punire qualcuno per le sue d.; d. leggera, grave, ecc. Anche, il difetto dell’essere disobbediente, abitudine a disobbedire: quel ragazzo è diventato di una d. insopportabile. Con accezione partic., d. civile, ogni atto di resistenza passiva alle leggi dello stato, o di un governo, in genere non violenta (atti di boicottaggio, rifiuto del pagamento delle imposte, mancata applicazione di ordini, ecc.); l’espressione, riferita inizialmente al movimento antibritannico guidato da Gandhi in India nel 1921, si è poi estesa ad altre forme di contestazione politica non violenta. 2. In ippica, il rifiuto del cavallo a saltare un ostacolo o a coprire una determinata parte del percorso stabilito per la gara. - Vocabolario Treccani -


CAPITOLO 1 / RINGRAZIO IL CIELO

Ringrazio il cielo. Che esiste la disobbedienza. Che agiamo a discapito di ciò che il nostro cervello afferma. Che la diversità ci permette di esistere e di sbagliare essendo la dote più vera di noi esseri umani. Si, perché la nostra persona si compone di due personalità, di due mondi che si inseguono e giocano ad acchiapparella, si divertono con noi. Noi poveri uomini che troppo cresciuti per i giochi ignoriamo questi due mondi e questi modi contrastanti di metterci alla prova. Un mondo blu elettrico ed un mondo rosa cipria. Mondi un po’ distanti, no? Eppure, sono collegati da un filo color smeraldo che tiene le fila di tutto, perché questo filo comprende delle sfumature a volte più rosee e a volte più cerulee; questo filo tiene conto di tutto ciò in cui siamo immersi, giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, situazione dopo situazione, e tesse la matassa della nostra vita. Se dovessimo raccontarci in un’immagine saremmo un gomitolo blu-roseo, ognuno con sfumature più tendenti verso l’uno o l’altro colore. Siamo simili tra di noi, ma con esperienze diversamente colorate. In realtà non sono le nostre personalità che ci mettono alla prova, ma siamo noi a mettere alla prova il nostro sistema nervoso, ignorando i bisogni più profondi e più reali che ci appartengono. Ignoriamo noi stessi, per seguire il sistema. «Il sistema». Il sistema… di che? Il sistema di farsi male, forse. Il sistema sociale è un costrutto dell’uomo che, proprio per questo, non sempre gli appartiene. Occorre osservare che il sistema calza a pennello a una collettività, ma nella collettività esiste sempre e comunque l’individuo: singolo e nudo come mamma l’ha fatto. Invece, questo sistema sociale è stato costruito da una e più persone che hanno concordato e stratificato nel tempo una serie di regole, che però non è detto che rientrino nei canoni di tutti. Chi l’ha detto che proprio “quelle lì” siano le regole giuste “per te” e non altre? È vero si che, per vivere in una società e in un qualsiasi gruppo di persone, bisogna adattarsi ai suoi contenuti - altrimenti non sussisterebbe ancora, dopo millenni, tale sistema sociale -. Nella realtà, però, sottoponendoci a queste regole di vita quotidiana volte estranee, è come se ci trovassimo di fronte un barattolo di marmellata e, per entrarvici dentro, dovessimo trasformarci in un contenuto simile alla marmellata. Come se dovessimo prendere la forma del contenitore stesso oppure confonderci con la consistenza della marmellata. Insomma, in pratica è come far entrare della sabbia dorata in un barattolo di marmellata che, badate bene, riesce pure ad entrarvi e a starci ferma, eppure il barattolo non è quello giusto per la sabbia; eppure la sabbia non è marmellata. Nonostante riesce a stare lì, ferma, nel gruppo, nella società. Se uno è sabbia, non può fingersi marmellata. Lo stesso vale per chi è marmellata di albicocca o chi è marmellata di more, non possono confondersi eccessivamente tra loro, devono rispettarsi per il loro colore. Ecco, il sistema dicevamo... A volte si ritorce contro la natura umana, entrano in gioco dinamiche che ne corrompono la sua purezza. Ma non sono le dinamiche a sbagliare, è il sistema di fatto che è fittizio. Infatti, se il sistema risulta puro, lo è solo perché è inventato, artificiale. Anche la natura umana è pura, ma non riesce ad essere costantemente tale: lei si deve sporcare per essere realmente pura. A causa di queste incongruenze artificiali che mutano uno statuto che è 4


invece rigido, il sistema corrompe l’animo umano che, invece, è costruito diversamente, anzi, non è proprio costruito perché è naturale. E, vero in quanto tale. In questi casi perciò, i due mondi che ci ritroviamo dentro - quello naturale e quello artificiale - ci creano disagi, o nel peggiore dei casi, creano catastrofi. Ed è qui, in questo preciso momento, di rottura di equilibrio, di intrecci di corde umane e psico-mentali, di squarci dei tessuti nervosi e di implacabili pulsioni arteriose, è qui che entra in gioco Disobbedienza. Per chi non conosce Disobbedienza, lei è simile allo spirito di Sopravvivenza, ma non sono la stessa entità, no. Lo spirito di Sopravvivenza infatti è quello che ti permette di fare scelte a te più consone è più attinenti senza eccessivi sforzi mentali, in quanto ti permette di agire ancor prima di decidere se l’atto che stai compiendo sia giusto o no. Ancor prima di riflettere sul suo senso, e ancor prima di sottoporre la tua persona a quelle mille pippe mentali che non ti fanno dormire la notte. Ecco, quando appunto non ci sono queste riflessioni che ti tormentano e ti logorano affinché tu compia le tue scelte giuste, allora sei in contatto con il tuo spirito di Sopravvivenza. Se invece avviene l’opposto e cioè, in successione, accade che: 1. Prima di compiere qualsiasi azione, anche la più innocua o insensata, si crea un blocco in tutte le tue attività psico-motorie che ti nega anche il fatto di esistere; 2. Sei sconclusionato, inappropriato, inagibile; 3. Inizi pian piano a raccogliere tutti i tuoi dubbi - quelli che fanno attrito con i tuoi movimenti vitali, che ti fanno credere di andare contro te stesso, di far e scelte ingiuste - li prendi e li lanci giù dalla finestra ignorando l’attrito insano; 4. Combatti la tua guerra interiore; 5. Vai oltre tutto; Allora ci siamo: ti ritrovi faccia a faccia con la Disobbedienza. La Disobbedienza è strana. Perché vuol farti credere di essere come lo spirito di Sopravvivenza: di essere spontanea, giusta, istintiva, e incorruttibile. Ti vuole convincere di appartenere al mondo blu, quello più frenetico e sensoriale, quello più impulsivo e sensato. Ed è vero, la Disobbedienza è del colore del mare. Tant’è che esce fuori di notte, come i pesci del mare che vanno nelle reti dei pescatori notturni, escono senza accorgersi di cadere in trappole, sono addormentati e il mare è così intensamente blu. Così profondo da trasportarli e loro seguono la sua scia ignari. Ecco com’è la Disobbedienza spiegata a primo impatto. Però poi, se guardi bene quel mare di giorno - quando il sole picchia negli orari più duri - appaiono sulla sua superficie dei bagliori accecanti, dei bagliori rossastri, che distolgono il tuo stato di quiete, che bruciano ai tuoi occhi sereni e colmi di blu. I tuoi occhi si colorano di lavanda, che è un colore che non è ben definito, disturba un po’ per questo suo starsene in mezzo allo spettro dei colori, in mezzo allo spettro dei due mondi. E ti chiedi, guardando quei riflessi nel mare: «dov’e il mio filo conduttore ora? Dove mi trovo, in quale dei due mondi?». Ecco quel mondo rossastro, apparso sulla superficie dell’acqua ti ha spaventato, ha tolto l’equilibrio che avevi guardando il blu, un colore che ti rassicurava perché lo conosci 5


a furia di soffermarti lì sempre. Eppure, te lo sei mai chiesto: “perché guardi sempre il mare?”, “perché invece non guardi altrove? Perché non ha mai osservato le dune di sabbia che sono belle e così dorate?” Oppure “perché non hai mai contemplato le verdi montagne che si innalzano a distanza dalle rive del mare?”, “Cosa ti spaventa?”, “Cosa ti fa restare lì?”. In queste domande ci sono i riflessi rossastri, che devi riportare al rosa, al mondo del rosa. Forse è un mondo che finora tenevi nascosto dentro di te, che non conosci perché non hai mai esplorato, ma - all’inizio di questa storia- dicevamo che ognuno di noi ha due mondi dentro: uno rosa e uno blu. Tutti ce l’hanno. Tutti sviluppano più una parte rispetto a un’altra. Il problema non è “riconoscersi” tra di noi - o meglio questo viene dopo si - il problema vero è riconoscere le due parti di noi stessi, in noi stessi. Riconoscerle e conoscerle. Ed è proprio Disobbedienza che ci porta a conoscerle, ad esplorarle, a capire come funzioniamo, dove vogliamo andare, quale parte vogliamo seguire di noi. Solo in seguito, riconoscendole, potremmo finalmente lavorare sul come usare il mondo blu o quello rosa. Se restare nel mondo blu o in quello rosa. E non ci si resta per un tempo finito, si è capaci di capire dove andare, proprio grazie a Disobbedienza, di essere in grado di utilizzare i due mondi a seconda della situazione che viviamo, del momento attuale, e di essere liberi di cambiare strumento a seconda di ciò che ci passa per le mani, per la testa, per il cuore. Ed è così che possiamo tessere le lodi di Disobbedienza, di quanto sia utile seguire ciò che sembriamo ritenere ingiusto in un determinato momento e che quella percentuale cambia poi insieme al tempo e al punto di vista che si sposta. Possiamo parlare di Disobbedienza, che ha fatto conoscere due persone speciali, una proveniente dal suo mondo blu e una dal suo mondo rosa. Le ha fatte conoscere grazie ad un filo color smeraldo, che le ha legate senza che se ne accorgessero. Entra piano Disobbedienza, ma senza farsi sentire tu la percepisci, e ti accorgi che è arrivata. Rosa e Blu si sono conosciuti in un giorno normale, che da quel giorno rimase impresso nella loro memoria come invece un giorno di straordinaria bellezza. È stata Disobbedienza si, che ha parlato a Blu. Gli ha spifferato all’orecchio del mondo di Rosa e gli ha chiesto di scoprire se era vero. «Vero cosa?». Se era vero che ci fosse qualche residuo di blu anche nel mondo di Rosa. Perché Disobbedienza deve mettere qualche dubbio e far nascere delle domande, altrimenti ognuno se ne starebbe lì nel suo povero mondo. E non ci sarebbe neanche un sistema costruito per incontrarsi, con dei ponti o dei bar in cui vedersi, dei cinema da gustare insieme e dei pop corn da dividere. Disobbedienza va contro anche alle regole dell’alimentazione, se c’è qualcosa da condividere non si guarda a quanto sia salutare, si guarda al fatto di condividerlo, perciò più è e meglio è. In ogni caso, Blu aveva delle domande, delle curiosità da decifrare. Riguardo a Rosa. Così le chiese di vedersi in un innocuo bar per farle una specie di intervista in incognito, senza farle riconoscere i suoi presupposti, i suoi intenti, i suoi veri dubbi. Si incontrano. Ma appena si sedettero al tavolo, di lì in poi successe quello che trasformò un giorno normale in un giorno straordinario: i minuti volarono, le ore volarono, il tempo volò via, via letteralmente dalla finestra. E se Blu aveva dei dubbi prima, mentre era con Rosa si dissolsero nel vuoto, e solo dopo averla salutata riapparvero. Ma nel frattempo quei dubbi di prima erano diventate solo conferme, dopo gli apparvero solo dubbi in senso contrario: quelli erano i dubbi che gli stava comunicando Disobbedienza. Quelli di Disobbedienza sono i dubbi che ti fanno spostare dal tuo filo blu o rosa, e fare dei passi in avanti su quel filo color smeraldo, su quel filo sospeso nel vuoto, su cui magari puoi cadere o puoi fare la più bella coreografia della tua vita; che ci sia qualcuno a guar6


darla o che sia tu solo lo spettatore. Sei tu, che percorri quel filo e ti sposti dal tuo mondo, dai tuoi confini, che scavalchi le onde, che attraversi insicurezze, che balli felice in riva ai confini del tuo essere blu o rosa, che nuoti nel mare colorato senza affogare - che magari qualche onda salata in gola te la prendi pure e ti fa tossire e quasi strozzare - ma poi… poi. Poi torni a respirare, e respiri meglio perché hai assaggiato l’acqua salata, sai che il mare esiste. Sai che anche se non è buona da bere quell’acqua ti rende consapevole che è reale e che tu te la stavi per perdere, e che non puoi ignorare il fascino della natura, del vivere, di esistere senza stare immobile. Disobbedienza insegna tutto questo, che la tua vita è un sali e scendi, non è un filo immobile, ma si muove a seconda di come balla la vita, se è un lento, uno swing, un’altalena dance o un trip elettronico. Il suono della vita ti attraversa, non puoi star fermo lì, perché il suono è movimento; la vita è suono e movimento; tu sei suono vita e movimento. Tu sei Disobbedienza. E tu sei il solo che può scorrere quel filo color smeraldo e spostarlo - a seconda delle tue esigenze, della tua libertà, dei tuoi sentimenti, del tuo sussistere, del tuo comprendere, del tuo ignorare, del tuo desiderare, di tutto quello che comprende la tua vita - dove vuoi, verso il blu o verso il rosa.

Ed è così che Blu e Rosa si sono legati e si sono abbracciati, nel loro mondo.


CAPITOLO 2 / RINCORRERSI “E a me sembra solo una questione di rincorrersi. Di essere capaci di prendersi per mano e indicarsi la propria strada, o indicare all’altro la sua faccia, che un occhio esterno e più obiettivo serve a volte per vedersi meglio, e per vedere meglio la propria strada- da fuori è più limpido. Più esatto. - come quando si guarda da una finestra cosa c’è di fuori, capisci le regole generali dell’immagine, del paesaggio. Mentre, se esci e ti butti sulla neve che stavi guardando, ti ci perdi a giocare e non fai caso a tutto l’insieme, che è bello sì ma perdi i riferimenti che vedevi dalla finestra- oltre che ti fai coinvolgere dalla neve stessa. A me sembra una questione di farsi avanti, di non rimandare a domani quello che hai pensato, o anche la più minima incertezza: la devi chiarire perché, su questo mondo, una delle poche cose vere che ci sta è il sapere, la conoscenza: di teorie ma anche di fatti, di pensieri di Esperienza, di ricette, di società, di civiltà. Condividersi. Abbracciarsi. Amarsi. Che va bene anche da soli, queste azioni sono possibili e ben fatte anche con se stessi. E non voglio affermare certo il contrario. Dico solo che, se si capisce altro, se si capisce che Esiste altro, perché tirarsi indietro? Perché non darsi modo di vivere?” Tutto questo aveva pensato Blu alcuni istanti prima di chiedere a Rosa di uscire con lui, di vedersi in quel Bar che avrebbe cambiato tutto. Tutto ma non quei pensieri appunto. Avrebbe dato delle conferme, che andavano cercate. O non avrebbero dato pace ad entrambi. Ma mentre si stavano scambiando messaggi per darsi appuntamento sul quando e dove, dentro di loro, nessuno dei due si stava chiedendo il perché di quel volersi vedere. Perché entrambi cercavano delle risposte, entrambi cercavano delle conferme, che erano però assopite dentro di loro. Le tenevano a bada come dei buoni soldatini, ritenendo che se mai avessero fatto uscire per sbaglio qualcosa dalla loro testa, dalla loro bocca, o dal loro petto, sarebbe potuta scoppiare la Terza Guerra Mondiale. Improvvisamente però qualcosa era accaduto, conversando, per caso. Sempre Il Caso bisogna ringraziare per far accadere quello che desideriamo davvero. - Il Caso, se ci credete che esiste fate voi, io non lo so. Ecco, conversando appunto erano emersi troppi dati in comune, troppi: interessi, parole, pensieri, sensibilità, paure, desideri, battute, modi, curiosità, habitat, esperienze. Molte cose in comune. Molte eccetto i caratteri si intende - che va annotato su un pezzetto della vostra mente al momento e messo al riparo. Per ora proseguiamo.Dicevamo che Blu ha chiesto a Rosa di vedersi. A un certo punto, sì, gli è scappato di dire “dobbiamo vederci e parlarne di persona, di queste cose”. Di queste cose: interessi, parole, pensieri, sensibilità, paure, desideri, battute, modi, curiosità, habitat, esperienze. Ora, Blu ha chiesto una cosa normalissima e a modo, di parlare guardando la persona con cui si sta parlando, senza nascondersi dietro a uno schermo che riflette la tua di immagine, invece che quella dell’altro. Anche se è vero che almeno due terzi della popolazione mondiale oggi parla di queste cose proprio dietro a uno schermo, si conosce così, con il proprio ego riflesso sullo schermo invece che guardarlo riflesso negli occhi di chi ti parla. Perciò, basandoci su queste percentuali, è stato un rischio chiedere questo a Rosa; ma è stato un rischio che, va detto, è perfettamente giusto e corretto. E soprattutto appropriato a capire certe cose. Scherzando Rosa rispose: “ok vediamoci”. Ridendo con se stessa dietro lo schermo e facendo salti per tutta casa, correndo come una libellula che svolazza veloce e leggera. E Rosa, veloce e leggera, non sapeva ancora per che cosa stava ridendo e saltando. Non lo sapeva ancora, non lo sapeva in superficie almeno.


CAPITOLO 3 / 8 MINUTI “9.52” “Cavolo mancano 8 minuti e la vedo. Ho il cuore in gola, checcazzofaccio? Calmatiii, sto solo andando a conoscere meglio Rosa, cioè, ad approfondire gli interessi, parole, pensieri, sensibilità, paure, desideri, battute, modi, curiosità, habitat, esperienze, che abbiamo in comune. Tra l’altro lei è pure fidanzata, perciò non esiste motivo per cui agitarsi così perché è un semplice incontro per conoscere ognuno meglio sé stesso. Forse questo nervosismo è solo colpa dello stress di questi giorni, le cose di cui devo occuparmi, il lavoro. Sarà il caffè che mi accelera i battiti, sarà! Diminuirò la dose da oggi. “Ma tu guarda sono le dieci, sono già passati 8 minuti cazzo. I miei pensieri stupidi mi fanno volare il tempo; che poi non ho detto un bel niente se non che smetterò di prendere il caffè. Però almeno...” - “Ciao Blu” “Cazzo. Dì qualcosa. Ora.” I jeans che indossava Rosa non erano né troppo aderenti, né troppo larghi, erano perfettamente in linea con lo stile di Rosa. Stavano bene con la camicetta rosa che usciva appena dalla felpa blu – che era ironicamente di un color “blu” -. Non era per niente come se l’aspettava di vedersela Blu, ma era comunque tutto in linea con lo stile di Rosa, che era uno stile semplice, genuino, eppure non banale, eppure non conforme. Eppure rifletteva come era Rosa: non banale, non uguale agli altri; pura. - Hey Ciao! Tutto bene? - “Si grazie, Che dici... ci andiamo a prendere un caffè in questo bar?” “Okay. Non avevo promesso niente in fondo in quegli 8 minuti. Niente che sia più importante di questo caffè, almeno!” - Sì andiamo!

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CAPITOLO 4 / COSA MI SUCCEDE? - “Ricapitolando pagate: due caffè, due acque minerali e due sandwich?” - Si - “Fanno 12.50 grazie” - Ecco, dieci... e cinque... a Lei - “Torno subito con il resto. Ma potete rimanere pure quanto volete ragazzi” “Ora guardo l’orologio senza farmi vedere, solo per capire che ora è. Anche se, non me ne frega niente di che ora è, me ne resterei pure per la cena tra un po’... Visto di quanto ancora mi sento di parlare con lei. E di capirmi. E di capirla. E di capire. Beh, credo saranno le due forse... Ah. No.” - “Sono le quattro. Si, me lo stavo domandando anche io che ore fossero. Sarà che avevamo così tante cose da dire che mi sembra di essermi seduta solo mezz’ora fa!” - E per fortuna che abbiamo messo anche qualcosa sotto i denti. O almeno, non che mi fossi accorto di questo bisogno primario; ma credo che adesso starei parlando a vuoto senza aver fatto altrimenti - “Sicuramente avresti parlato di cibo, con il tuo inconscio che ti avrebbe comunque suggerito di mangiare!” - “Ecco a te il resto” L’aria che la cameriera aveva spostato al suo passaggio, fece ritornare un attimo Blu alla realtà della stanza in cui stavano. Ma percepiva che l’aria era appunto densa, corposa, concentrata, nutrita. Nutrita delle loro parole e dei loro racconti. Racconti di esperienze simili, o almeno, diverse sì, ma comunque rassomiglianti. Rosa gli aveva parlato dello sport che aveva praticato da piccola, della scuola, delle amicizie che l’avevano formata, delle delusioni che l’avevano messa in guardia, delle speranze che l’avevano alimentata, resa fedele a sé stessa e conscia di sé stessa. E così aveva fatto anche Blu. Ognuno raccontava di sé per annodare i lacci di due scarpe diverse, un po’ consumate dai mille passi fatti finora. Però, comunque sia dei lacci che rendevano quelle scarpe nuove, le rendevano capaci di fare altrettanti passi. Passi di una nuova andatura, o della stessa andatura - leggermente andante - verso cime alte, che da solo non sai bene neanche come arrivarci. Da solo, dovresti fermarti a fare scorte di viveri prima e comprarti una mappa gigante, idrorepellente contro la pioggia ed anche comoda da mettere in tasca così da non perderla. Una mappa difficile da trovare in circolazione, ma è davvero utile se ne trovi una così. - Rosa, tu usi mappe quando visite nuove città? - “Beh dipende. I primi giorni uso le mappe per capire i nodi principali della città, come è strutturata e capire un po’ le distanze da un posto ad un altro, anche se non corrispondono mai a quelle della mia percezione reale dello spazio: perché penso sempre che i luoghi siano vicini ma poi a camminare mi sbaglio. Tant’è che Lucas ha imparato a non darmi più retta quando facciamo dei viaggi insieme. Poi però, dopo un paio di giorni di adattamento, mi piace spostarmi senza limiti, senza mappe, senza barriere. Esplorare libera la città, come se fossi un abitante che sta lì da tempo: provo a immedesimarmi nelle persone e a pensare come pensa uno che sta lì da tempo, a muovermi come se la conoscessi già e 10


avessi addosso la tranquillità e la padronanza di chi ci vive. In questo modo posso visitare da non turista, non andare dove vanno tutti, nei soliti luoghi visti e dove si va solo per fare foto e portare a casa la prova che sono stati lì, in quella piazza, con quel monumento, senza assorbire però il momento e senza conoscerne il senso. Le mappe sono utili a non perdersi sì, ma non ti fanno scoprire la strada dove si trovano i migliori luoghi, quelli che i cittadini conoscono, ma che non sono attrazioni turistiche per la massa; quelle strade il cui fascino si riflette nelle vetrine illuminate da un effetto particolare del tramonto, poco visibili con la foschia del mattino, eppure piene della vita di chi ci lavora, di chi le abita, grondanti di odori dei piccoli forni dove le anziane vanno a compare il pane abitualmente. Sono stata troppo logorroica nella risposta, me ne sono accorta sì… Ma per rispondere con una frase alla tua domanda: le uso le mappe... ma vado più a senso! E anche se può essere rischioso, lo preferisco.” - Capito. Ha senso secondo me. E non aggiungerei altro. Che ne dici di sgranchirci un po’ e fare due passi? Almeno in questo quartiere non servono mappe perché lo conosco bene! - “Andiamo”

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CAPITOLO 5 / FUORI: NEL MONDO - Sto per dire una cosa stupida e forse incomprensibile, ma ho sempre pensato di essere solo, nell’avere questa, diciamo, sensibilità. - “Spiegami meglio Blu. Capisco di cosa parli, ma vorrei sentirlo da te, cosa intendi in praticolare con sensibilità?” - Sì, non saprei chiamarla altrimenti. Credo riassuma il modo in cui sono, in cui penso, la mia immagine, quella che tutti vedono – e che anche io vedo- è il riflesso della mia sensibilità. La differenza sta nel fatto che gli altri la vedono, ma non ne conoscono la causa, cosa la muove nel profondo, ne vedono solo la superficie smossa, come l’acqua che viene sfiorata dal vento, ma non te ne accorgi neanche che è il vento se non ci fai caso apposta. E magari questa mia cosa li turba, e non vanno a fondo, alcuni scappano temendo il peggio o spaventandosi. Altri invece, quelli che mi stanno intorno, che potrebbe sembrare più temerari degli altri, restano perché ignorano proprio questa parte sensibile e neanche se ne sono accorti che esiste, perché sono concentrati sul loro mondo, sul loro ego, o perché magari non gli interessa minimamente neanche la superficie. Vanno alla ricerca di altro, e a me neanche interessa di loro allora. Cioè, mi interessa perché mi affascina capire la macchina umana, non loro in particolare come persone, ma come individui si: mi piacerebbe entrare nella loro testa e capire i circuiti come gli funzionano là dentro, se è un mondo più colorato il loro o solo più spento proprio. Ci sono quelli invece che mi restano accanto, che mi conoscono veramente e che rimangono e, addirittura mi lodano – non solo mi accettano, mi apprezzano, ma mi stimano e mi lodano – ecco, loro sono le persone che veramente mi fanno amare il mondo, e la macchina umana anche. E in quei momenti vorrei calarmi ancora di più nei loro circuiti, piuttosto che in quelli delle persone che mi ignorano. Ecco, non so se comprendi a pieno queste sensazioni. Anche tu ti senti così… incastrata dentro te stessa a volte? - “Okay. Allora posso dire che avevo capito la tua risposta, ancor prima che tu rispondessi. Avevo capito questa parte di te. Così come avevo capito la mia parte sensibile, ma… non sono mai stata così pronta ad accettarmi. Sai, combatto spesso con il mio essere così “profonda”, perché a volte fa male anche a me: entro così dentro di me che vorrei allontanarmene, un po’ come fanno le persone che hai descritto prima” - Attenta. Se fai così, dai tu l’esempio agli altri di cosa fare con te. Perché mai dovresti allontanarti dal tuo essere profonda? Sì certo, anche io mi imbatto nei miei mille turbinii senza senso e discorsi faccia a faccia col mio cervello. Ma anche se vince lui all’inizio, poi mi prendo sempre la rivincita: perché sono io il possessore del mio cervello, sono io il suo capo e il capo di me stesso. E non posso stare a rompere il cazzo proprio a me stesso! … Cioè…perdona il francesismo... Mi dico questo ecco: che non posso maltrattarmi così solo perché penso tanto. Se sono un uomo, una macchina pensante, allora devo pure usarlo e ribattere questo dovere che ho nei confronti di chi ha creato l’uomo. Per semplificarla, potresti dire a te stessa che devi rispettare te in primis, e se il tuo cervello non ti sta a sentire e ti pianta le grane ancora, dovresti dirti che stai rispettando Chiunque di dovere ci ha creato. Perciò, esistendo e pensando – tanto o poco che sia-, stai mettendo in pratica il tuo dovere di creatura. La puoi far diventare una questione etica o politica agli occhi del tuo cervello che tanto rompe. Non credi? Non ho nulla contro il tuo cervello eh, era per farti capire… - “Beh, direi che sei stato convincente, soprattutto… nella parte del francesismo” E scoppiò in una risata fragorosa. E Blu pensò che quella risata era fragorosa, senza essere caotica o invadente, era morbida. E per un attimo volle esserne inglobato, accarezzato, intiepidito da quella serenità 12


che scaldava le vibrazioni nell’aria. Blu seguiva quelle vibrazioni camminando accanto a Rosa, come se la sua direzione fosse guidata da quelle, e come se queste gli si avviluppassero attorno alle gambe guidandole solo dove stava andando lei. Se, per caso, si fosse spostato qualche metro fuori da quella risata e da lei, o solamente avesse rallentato il passo, si sarebbe immaginato fermo in un’ombra scura e incapace di muoversi. Però cancellò l’ombra dalla mente, perché proprio non era il caso di fermarsi, come uno scemo, perché poteva benissimo godere della presenza di Rosa in quel momento, di quelle scintillanti vibrazioni che scaldavano anche la sua gola ed erano contagiose. - Ricordati che a volte per rimanere te stessa, ti è concesso di prendere una piccola pausa da te, puoi allontanartene per vederti meglio, sai? Come quando vai in vacanza e torni più rilassato e abbronzato - “Stai dicendo che dovrei farmi una lampada? Mi vedi un po’ pallidina vero? Questa è colpa di mia madre, è lei così bianca in famiglia.” Ora capitava a Blu di farsi scappare una risata e, senza fare in tempo a trattenerla, lasciò andare le vibrazioni potenti dalla sua bocca, e stavolta fu Rosa a guardarlo assorbita da quelle di lui. Ne respirò alcune col naso, e fece boccate di vibrazioni come fosse un pieno di benzina. Poi disse - “Quindi dovrei andarmene in vacanza. Andare fuori, nel mondo, per starmi più vicina. Mi piace come ragioni” - Ragioniamo allo stesso modo se non ci hai ancora fatto caso. Ma grazie comunque!

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CAP 6 / LA “TEORIA DEI TIMPANI” Nonostante il tempo appena nuvoloso, la temperatura era molto piacevole, e permetteva loro di poter fare quattro passi nel parco lì vicino. Ogni tanto qualche nuvola si apriva per far vedere a Blu, che guardava in alto sedotto dalla luce, una chiazza di cielo quasi trasparente. Un ragazzo seduto su una panchina stava richiamando l’attenzione di Rosa. Il ragazzo sembrava un metallaro in piena regola, non solo per l’abbigliamento, ma proprio per il ritmo della testa che faceva ciondolare a tempo di musica, quella che veniva dalle cuffie del suo Ipod. Rosa lo stava guardando incuriosita e sorrise appena a quell’immagine. - Rosa? Ho imparato molte cose su di te e credo nel concetto di uguaglianza e nel rispetto ma... Non dirmi che ti sà carino quel tizio strampalato, spero...! - “È vero che ci conocosciamo da poco io e te, ma... penso che hai abbastanza elementi adesso da poter capire da solo che NON mi piacciono quei tipi eccentrici! Pensavo a cose più serie veramente. Anzi, non è vero, sono “cazzate empiriche” che mi vengono osservando. - Allora con me sfondi una porta aperta con questo genere di cose. Fammi capire queste cazzate empiriche di cosa trattano. - “Okay, allora sarai inizializzato a questo genere di cose con questa che mi è venuta ora. Dunque, anche tu Blu ti spari le cuffie nelle orecchie mettendole il più vicino possibile ai timpani, per essere assorbito totalmente dalla musica e non sentire altro se non il tuo corpo che segue la musica? Ecco, perché io, ogni volta che posso, lo faccio. È troppo bello, è tipo un viaggio senza spostarsi, in luoghi e tempi che sono dentro di noi ma a cui non diamo abbastanza importanza. Li lasciamo assopiti dentro di noi, ma la musica li sveglia. - Sì che l’ascolto. Cavolo tutti ascoltano musica nell’universo, non solo nel mondo credo. Anche se tu gli stai dando una bella sfumatura, dici che potrebbe essere anche funzionale questa musica. Cioè sì, che la musica è funzionale e vitale si sa. Ma gli si da più un senso di intrattenimento forse. - “Beh, probabilmente si. Stavo guardando quel ragazzo, ed ho pensato a come muoveva la testa con così tanta naturalezza e senza fregarsene del resto che il mio cervello ha aperto un collegamento. Quello che dico io è... Non si potrebbe fare così anche nella vita? Intendo - per fare le scelte giuste che dobbiamo affrontare - se ci si mettesse delle cuffie apposite, che stanno il più vicino possibile ai nostri timpani, e poi si mette play e parte la musica. E allora per ognuno di noi parte un brano diverso; un Beethoven per i più ordinari, un gruppo punk per i più energetici, un ritmo funky per quelli che stanno al passo coi tempi, un brano pop per chi si rassicura con le proprie abitudini, una musica indie per chi vuole uscire fuori dagli schemi, e così via, con tutti i possibili mix musicali che esistono. Loro potrebbero aiutarci a fare le scelte più pertinenti a noi con una certa semplicità. A cuor leggero insomma, seguendo questa… “Teoria dei timpani”, la chiamerei. Perché secondo me i timpani sono una parte del nostro corpo sottovalutata, se ci pensi, loro sanno seguire il giusto flusso di noi. In questo modo, a tempo di musica - che non tradisce mai- seguiremmo noi stessi e le nostre scelte, consapevolmente o non, ma secondo criteri che fanno già parte di noi. Allora qui, in questa teoria di Rosa, si fa ancora più visibile Disobbedienza, che per un attimo quasi potete vederla; ci siete? Provate a guardarla con i vostri occhi: Disobbedienza fa il lavoro che fanno le cuffie con la musica, entra in contatto con la parte più primordiale di noi, quella più vera. E così, attraverso i timpani, ci dice cosa dobbiamo fare. Ce lo dice 14


però in un linguaggio che, il più delle volte, fatichiamo a riconoscere come nostro e perciò - seppure lei ci parli di gesti, istinto e azioni da compiere - noi ci impieghiamo un po’ a capirla. O quanto meno ci mettiamo del tempo a fidarci di Lei, proprio perché la vediamo come una forestiera del nostro corpo. Pensiamo “E adesso cosa c’entra questa cosa? Se dessi retta a questa voce rovinerei tutto. È irrazionale”. “È irrazionale”. Non vi sembra una stupidaggine questa frase? L’irrazionale è proprio quella parte che è più vicina al nostro affetto, alla nostra esperienza e per questo motivo… non credete in fondo che possa essere quella più vicina a noi stessi e alla nostra esistenza? Dal momento che non parliamo di equazioni matematiche – dove lì è giusto che predomini la razionalità, anche se è una materia che la maggior parte di noi evita con piacere (e forse proprio questa ne è la causa) – parlare di irrazonalità, in alcuni casi, può anzi farci respirare una boccata d’aria fresca nel rumore dei nostri pensieri logici. - Teoria dei timpani eh. Interessante si. E pensare che è scaturita da un metallaro... se lui lo sapesse!

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CAP 7 / ANATRE IN VOLO È difficile perché certe cose si aggrappano all’anima e sembra complicato tornare indietro, tornare a te senza quegli involtini di cose tutt’intorno al cuore. È come se ne sentissi il peso nel tuo percorso quotidiano, ad ogni passo la sensazione di avere un peso che ti rende difficile il percorso; come se tu fossi una mamma canguro che porta sempre con sé il figlioletto e, in questo caso, il figlioletto è un po’ come un figlio capitato per caso: non programmato, non voluto. Anche se lo so che “non voluto” suona davvero male. Ma infatti è per questo che non esistono “figli non voluti”, ma al più si dice figli capitati. Che significa capitati in un momento della vita in cui non si era pronti o non si aveva programmato di averne taluni. Ma in ogni caso ci si abitua. A tutto. Anche i genitori più goffi e impreparati del mondo accettano la realtà dei fatti, accettano le sfide; accettano le avversità del destino. O le avversità create da sé stessi. Non si sa, anche qui, se ci sia il destino, il Caso o se sia la nostra volontà - o la nostra ricerca, o la nostra sbadataggine, (o altre mille sostantivi che volete metterci, che ci stanno comunque bene) -, non si sa cosa sia appunto ciò che crea fatti e cose. Ma sicuramente anche qui la Disobbedienza ha un’importanza cruciale. Quell’importanza che ti permette di metterti a posto la coscienza e di rompere i dubbi che hai. Di dargli fuoco, a quei dubbi che magari circolano nella tua testa e che - come se ci fosse un sistema di aerazione potente nel tuo cervello che non si spegne mai- vengono alimentati spiccando il volo senza mai toccar terra. E tu sei lì, a guardarli incantato come un bamboccio che non fa nulla. Guardi solo quei dubbi volare e divorare, perché non sono così leggeri come sembrano; perché proiettano su di te un’ombra che ti copre la vista dalla luce e dal sole. E da tutto il buono che c’è nel cielo blu. Ti offuscano la vista quei dubbi. Le cicatrici della vista e del tuo tatto li assorbono e non rimarginano come tu pensi di poter fare, se stai lì a guardarli. Ed è proprio qui che Disobbedienza aiuta: a chiarire; a scuotere; a sbattere la testa, ma comunque a fare quel che serve per rimarginare le cicatrici. Che altrimenti restano aperte. E non si è mai vista un’operazione di cuore rimanere aperta e incompiuta; neanche tra le mani del più incapace chirurgo del mondo c’è un cuore che è rimasto aperto. Vengono tutti sistemati, in un modo o nell’altro. Disobbedienza ti fa sbattere addosso a quei dubbi, magari a volte indelicatamente, altre volte senza che tu te ne accorga; ma ti manda addosso a quello che vuoi capire, a quello che ti serve per andare avanti e a far rifunzionare il tuo sistema di aerazione, e così, dopo alcuni scossoni belli potenti, rimetterlo a funzionare per bene. E poter guardare il cielo. Blu. - Blu. Come me. Blu. - “A cosa pensi? Sembri nel pieno di un viaggio mentale. Dove stai andando di preciso? Guarda che se è bello prendo un biglietto anche io” E Rosa sorrise, lasciando un sospiro nascosto mentre chiedeva questo a Blu. - Ai sistemi di aerazione. Se non funzionano, ci serve un bello scossone ben assestato. Funziona meglio di tutto sai? È un buon tentativo di reset, praticabile da tutti e veloce. - “Cos’è? Un’altra teoria simile alla mia?” - Più o meno sì, dai. Una riflessione venuta da non so dove, ma se la trasformiamo in una teoria potremmo ricavarne qualcosa... Forse dovremmo brevettarli questi pensieri prima che ce li rubino! 16


- “Sì hai ragione. Anche se, ora che ci penso… Chi mai potrebbe fare questi pensieri oltre a noi due?” La risata di entrambi fece un eco strano nella zona del parco dove stavano, tale che fece destare le anatre del laghetto facendole alzare in volo di corsa. - “Ecco hai fatto scappare le anatre!” - Io??? Ma sei tu che hai la risata più acuta della mia, è così squillante che avranno pensato fosse il momento giusto per migrare, l’avranno preso come un allarme - “Non fare lo scemo! Io non ho una risata “squillante”. La mia risata è bellissima e mette anche allegria.” - Sì. Questo lo so.

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CAP 8 / “AMO I TORTELLINI IN BRODO” Dopo quelle ore- minuti- storie- luci- pensieri- risate- sospiri- teorie- anatre e altro ancora sommati insieme, Blu e Rosa si resero conto di aver trascorso insieme un’intera giornata. Che era scorsa al ritmo veloce di un viaggio tanto desiderato, quello che dura il tempo di una playlist efficacemente adatta per non pensare a nient’altro. Quella giornata per loro era equivalsa proprio a quella playlist. Pensata, ipotizzata, scoperta, adattata, piacevole, sul pezzo, itinerante, immaginaria, stimolante, eclettica, dinamica, energica, forte, intensa. Intensa e vitale. Questa era la sensazione che avevano addosso, e tali consideravano quei discorsi che avevano affrontato insieme tutto il giorno: vitali. Discorsi fondamentali, teorie distorte e inutili che nessuno pensa, o almeno nessuno di ordinario va a pensare alla teoria del suono e, se anche fosse, non la considera neanche lontanamente utille. Ma per loro sì, per loro quei discorsi servono ad andare avanti, sono la base della loro essenza, del loro vivere sopra le righe, del loro essere sé stessi: uno Blu e uno Rosa. Ed il mondo ovviamente è fatto di tanti colori, di Blu, Rosa, e di tutte quelle sfumature che dicevamo all’inizio di questo strano racconto, che comprendono le mille sfaccettature bluastre del mare e rossastre del cielo e dorate delle dune di sabbia. Fino ad arrivare ovviamente a quelle altre mille cose fatte di sfumature diverse. Erano ormai le 19.00, e il cielo si era tramutato proprio in un ventaglio di sfumature bluastre e rossastre. Un mix perfetto per salutarsi. La sintesi di loro due, la sintesi di quella giornata. - Cavolo già le sette. Ma non avevamo preso un caffè poche ore fa? - “Più che altro mi chiedo, come diavolo abbiamo fatto a parlare finora senza disidratarci?” - Si vede che è bastato rimanere vicini a quel laghetto per assorbirne le molecole di acqua… E forse è per questo che le anatre sono scappate via, gli abbiamo tolto tutta l’acqua! - “Quindi stai finalmente confermando che… Che non è stata la mia risata a farle scappare!!” - Ecco, trovi sempre il modo per difenderti alla fine eh. Dovresti fare l’avvocato te! - “Per carità, già mi sembra di faticare abbastanza per difendere me stessa, figuriamoci farlo per gli altri!” Sorrise ancora, senza avere quel suono squillante stavolta. Il suono era sempre caratteristico di Rosa, ma stavolta rimase come smorzato. - Perché mai dovresti difenderti? Non viviamo più nelle foreste come i primitivi, ma penso che questo particolare non possa esserti sfuggito... - No, non viviamo tra i primitivi oggi… ma avrei preferito i cavernicoli a certi soggetti di adesso! Bisogna stare in guardia, non dalle bestie feroci o dalle tribù che vogliono rubarti i viveri, ma dalle persone cattive. E nella mia poca esperienza di vita ho imparato che è meglio prevenire che curare delle grandi ferite…” - Parli come un veterano di guerra Rosa. Se vuoi proseguire su questa linea, ti faccio parlare con mio nonno! Lui ha combattuto nella Grande guerra. Potreste scambiarvi delle tattiche su come meglio difendervi dai nemici! Oppure… - Oppure, cosa? Hai un’altra importante teoria da brevettare? - Beh, io capisco quello che dici. Capisco che siano successe delle cose nelle tue esperienze e che tu abbia imparato a difenderti dal male prevenendolo. Si chiama istinto di sopravvivenza. E funziona così: di fronte a un pericolo, ti fa scappare. Perché se non hai armi per difenderti, qualcosa dentro di te ti dice che non puoi affrontarlo e che devi dartela a gambe. Ma io penso: “chi dice che quello sia veramente un pericolo?” Come fai a sapere se 18


quello che stai vedendo non è magari un camuffamento o semplicemente proprio perché si tratta di una “cosa ignota”, che non conosci e perciò non sai nulla al suo riguardo, allora lo identifichi immediatamente come un pericolo, e il tuo cervello dice “SCAPPA”. Non ti dà neanche il tempo di guardarlo bene e di scoprire che magari può essere diverso, può essere magari una cosa che ti salva, uno strumento che ti serviva, un pezzo di tesoro che ti appare come spazzatura, robaccia. Come quando si è piccoli e non si conoscono ancora tante cose, e devi imparare tutto su di loro, eppure non ne sai niente. Parti da zero quando sei bambino. Nella nostra vita, siamo partiti da zero, e non ce ne ricordiamo di questo. E se per caso succede di ripartire da zero in un altro momento della nostra vita adulta, siamo completamente disorientati e spaventati. Da piccolo per esempio, mi facevano schifo i tortellini in brodo. E lo dicevo che mi facevano schifo. Urlavo, piangevo, mi lagnavo, ma in realtà ho sempre fatto finta di assaggiarli. Mi sembravano proprio brutti esteticamente, e non avevo il coraggio di mandarli giù. Perciò ne prendevo uno solo, lo soffiavo forte, lo portavo alla bocca, ne mordicchiavo un piccolo angolo, e poi lo risputavo sul cucchiaio e lo nascondevo in mezzo agli altri, a galleggiare insieme nel piatto, e li guardavo galleggiare come fosse un balletto che odiavo. E poi iniziavo a lagnarmi finché non mi davano la pasta in bianco. E sai perché ti ho detto questa stupida storia? Perché adesso li amo. Amo i tortellini in brodo. E li preferisco senza dubbio alla pasta in bianco. Ora, spero tu abbia afferrato la metafora perché mi sentirei un perfetto imbecille ad aver parlato per tre minuti di tortellini in brodo. - “Era un’analogia complessa ma… l’ho afferrata, sì. Cercherò di tenerla a mente perché mi ha fatto riflettere… e soprattutto… Mi ha messo una fame!” - È quasi ora di cena in effetti, forse dovrei lasciarti andare a casa o la tua famiglia e il tuo ragazzo penseranno che sei stata rapita. E non dalle anatre. - “Blu” - Che c’è? - “Penso che oggi siamo stati rapiti entrambi. E non dalle anatre.” - Beh, da cosa… secondo te? - “Prova ad indovinare con una delle tue teorie” - Ma non sono mie, sono anche tue. Mi sembra che siamo in due, a poter diventare futuri ideatori di teorie impraticabili. - Secondo te sono impraticabili? Secondo me no. Hanno solo bisogno di una spinta. Di qualcuno che creda in loro. Di qualche finanziatore anche sicuramente. Ma soprattutto di qualcuno che gli dia una mano a esistere. Disobbedienza si occupa anche di finanze. Finanzia gli spiriti a vivere, elargisce coraggio quando il tasso di rischio è in forte crescita. Non gliene frega un cazzo se il rischio è tale da poter sfiorare l’orlo di un crack finanziario. Il rischio porta maggiori interessi e possibilità di crescita invece di uno stanziamento stabile, fisso, immobile. Insomma, in parole povere. Disobbedienza dice: “cosa cazzo guadagni se stai sempre lì immobile come uno stronzo di uno stoccafisso essiccato al sole??” Ecco dice così. La parafrasi è una licenza poetica di cui mi prendo totalmente la responsa19


bilità; Disobbedienza è diretta sì, ma ancora non è volgare, tranquilli. - Rosa voglio farti una domanda. E vorrei sapere la prima risposta che ti viene da dire. - “Dimmi” - Secondo te, se ora ti mettessi le cuffie della teoria dei timpani, tu sentiresti la stessa musica che sento io? - “Non ti chiedo quale musica senti tu. Perché la conosco già. La sento. Sì.” - Non so che rapporti hai avuto con i tortellini te da piccola, ma sto pensando che voglio mangiarli con te. - Non li amo come li ami te adesso. Però… Voglio amarli. - Ti porto in un posto dove non ti faranno schifo, te lo prometto. Il cielo era ancora rosa e blu, mentre Rosa e Blu si mescolavano in un abbraccio. E il rosa e blu si mescolavano anche loro al calar della sera. E celebravano così l’inizio di un nuovo giorno, pronto ad uscire allo scoperto. Uno di nuovo estremamente lungo e di nuovo estremamente breve, come lo era stato questo, con teorie nuove da brevettare.

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Special thanks to: Disobbedienza


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