COINVOLGIMENTO DEI CITTADINI NELLA RIQUALIFICAZIONE DEGLI SPAZI PUBBLICI il caso-studio della movida di Genova
G i u l i a V a l e n t e Laurea Magistrale in Architettura a ciclo unico A.a. 2017/2018 Relatori: Andrea Giachetta, Daniela Rimondi Correlatore: Roberta Prampolini
Indice
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1. Introduzione
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2. La partecipazione: storia, concetti ed esempi 2.1 Un passo indietro. Cosa si intende per partecipazione nella pianificazione? 2.2 Top down/Bottom up: partecipazione interessata o volta alla ricerca di consenso? 2.3 La soluzione al conflitto? Democrazia partecipativa 2.4 Un concetto molto attuale: partecipazione e nuove tecnologie 2.5 Progetti a scala umana e mix di competenze: l’importanza degli spazi pubblici e del confronto tra saperi 2.6 L’urbanismo tattico 2.7 Ruolo dell’urbanista/architetto e metodi nel processo partecipato 2.8 Processi partecipati in Europa: alcuni attori e progetti 2.9 La legislazione della partecipazione 2.10 Esperienze attuali in Italia: chi si rivela attivo a questi scopi
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3. Genova: il caso-studio della movida 3.1 Il caso di Genova: partecipazione attiva 3.2 Il centro storico di Genova 3.3 La storia della movida 3.4 Alcuni dati sulla movida italiana 3.5 Tornando a Genova... 3.6 Le problematiche della movida 3.7 Le nuove ordinanze 3.8 Esempi di soluzioni proposte a Genova al di là delle ordinanze
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4. Le fasi di lavoro 4.1 Individuazione degli stakeholders e interviste semi-strutturate 4.2 Le esperienze di partecipazione già svolte 4.3 I “Quiz”: il metodo 4.4 I “Quiz”: gli esiti 4.5 Le Analisi pre-progetto 4.6 Le proposte di progetto 4.7 Ulteriori suggestioni da approfondire 4.8 Il metodo di condivisione 4.9 Una parentesi sulla teoria del Nudge: l’applicazione agli spazi pubblici
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5. Le stesse problematiche ed azioni in altre città?
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6. Conclusioni
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Allegati
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Bibliografia e sitografia
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1. Introduzione Il lavoro svolto vuole fornire un esempio di partecipazione attiva alla pianificazione urbana nel contesto nazionale ed internazionale, dimostrando quanto il contributo dei cittadini nella progettazione degli spazi pubblici possa fornire un valore aggiunto al progetto finale. Quest’ultimo infatti, attraverso questo metodo, nasce dalla consapevolezza degli interessi comuni e non da un’idea preconcetta su quali essi possano essere e si affida ad un approccio più consensuale, pragmatico e collettivo. Sarà infatti il risultato di molte opinioni, del coinvolgimento di persone che probabilmente non hanno conoscenze tecniche riguardo alla pianificazione urbana, ma che, vivendo il territorio e la città quotidianamente possono fornire un quadro generale più approfondito di quanto possa fare l’amministrazione od un singolo progettista, rendendosi inoltre attivi in tutto l’iter progettuale. Il lavoro riguarda il tema della vita notturna nel centro storico di Genova, un fenomeno che attualmente comporta una serie di problematiche che tutt’ora vengono prese seriamente in considerazione dalle amministrazioni, dai residenti, dai commercianti e dalle associazioni presenti nel territorio. Il fenomeno è nato in maniera spontanea e sugli spazi utilizzati non sono stati svolti lavori di progettazione al fine di renderli vivibili in questo contesto. L’idea principale è infatti quella di favorire il fenomeno, ossia di rendere questi spazi pronti ad ospitarlo attraverso il contributo di chi li vive quotidianamente, di chi partecipa alla vita notturna e di chi vede in prima persona le sue problematiche e potenzialità. Da qui la scelta progettuale ricade sulle tecniche di partecipazione e quindi su un approccio che coinvolge la cittadinanza.
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“La vera questione è stabilire le condizioni in cui il disordine possa liberamente manifestarsi” (De Carlo G. in Architettura della Partecipazione)
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2. LA PARTECIPAZIONE: STORIA, CONCETTI ED ESEMPI
2.1 Un passo indietro...Cosa si intende per partecipazione nella pianificazione?
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Il termine partecipazione inizia ad essere utilizzato negli ambiti sociale, urbano e territoriale a partire dalla seconda metà del XX secolo per opera dell’urbanista, biologo e sociologo scozzese Patrick Geddes (18541932) che propone una city in cui la società sia consapevole, pronta a raggiungere i traguardi che l’immaginazione, nata in quello che lui definisce terzo stadio della vita, alimentato dalla conoscenza e dall’innovazione, ha proposto. Una società pronta a sviluppare in modo ideale le relazioni umane e in cui l’impegno delle azioni di ogni giorno sia un impegno collettivo volto a sostenere ed orientare la vita quotidiana. Geddes si associa agli idealisti britannici del periodo infatti nel credere alle possibilità individuali di rigenerazione morale e alla formazione di una comunità unita nel perseguire un progetto di bene comune. Entrambi definiscono questo processo realizzabile solo attraverso l’educazione morale e politica degli abitanti. Essi non conoscono la propria città e dovrebbero aver la possibilità di essere forniti di informazioni sui caratteri storici, geografici, sociali ed economici del proprio luogo di appartenenza. È su questo che si basa la partecipazione tutt’oggi: sull’informazione e sulla comunicazione, che costituiscono la prima tappa dei processi di intervento partecipato stabiliti dalla Convenzione Europea del Paesaggio adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa a Strasburgo il 19 luglio 2000. Le “misure specifiche” previste dalla Convenzione prevedono infatti di intervenire per prima cosa sulla popolazione, al fine di costruire un atteggiamento responsabile e competente, una “consapevolezza condivisa”, attraverso la sensibilizzazione, la formazione e l’educazione. Questo trattato internazionale ha tra gli aspetti più innovativi infatti quello relativo alla significativa apertura in direzione sociale del concetto di paesaggio. In Italia fra i precursori di questi pensieri si individua Adriano Olivetti (1901-1960), primo presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, imprenditore ed intellettuale che chiedeva all’architettura e all’urbanistica di recuperare il valore civico della propria finalità. Egli si distinse per i suoi innovativi progetti industriali basati sul principio secondo cui il profitto aziendale deve essere reinvestito a beneficio della comunità. Il suo lavoro volgeva infatti a scardinare il concetto della città come macchina e del lavoro unicamente come mezzo di produzione. Riteneva che la fabbrica non avesse bisogno solo di tecnici, ma anche di persone in grado di arricchire il lavoro con creatività e sensibilità. L’azienda accoglieva infatti anche scrittori, disegnatori, artisti e poeti.
“L’impegno di Adriano Olivetti come urbanista rappresenta la sintesi del suo pensiero industriale, di sociologo, di intellettuale e di politico” spiega la figlia Laura Olivetti durante il convegno internazionale nel 2001 nominato Costruire la città dell’uomo; “il suo approccio alla realizzazione di fabbriche, uffici, abitazioni per dipendenti, asili, scuole, centri culturali è espressione di un più ampio progetto riguardante tutti gli aspetti del rapporto fra l’uomo e il territorio dove vive ed opera”. All’epoca un pensiero utopico, ma ancora nel 2012 interpretato da Luca Zevi come “la prima stagione” dell’architettura made in Italy all’interno del padiglione Italia durante la 13 mostra internazionale di architettura della biennale di Venezia, siccome per lui è stato il primo a rendere concreta l’idea di una comunità coesa e a parlare della “città dell’uomo” come principio di una nuova “comunità” ritenendo questi concetti strettamente legati all’architettura. L’esperienza italiana prosegue con colui che tra i primi ha sperimentato i metodi della progettazione partecipata concretamente, un architetto innovatore che riesce ad analizzare la storia dell’architettura in maniera critica e volta al cambiamento, Giancarlo De Carlo (1919-2005). Egli crede in un’architettura fondata sull’ascolto, in un’architettura che ragiona sull’uomo reale e non su quello ideale, che contempla il disordine e diverse modalità di appropriazione, che dà centralità all’uso e non alla funzione. Questa ideologia si pone nettamente in contrasto con il contesto in cui vive, dove l’architettura degli anni ’70 e ’80 si rifà ad un sistema dettato più da investimenti privati che pubblici. Verso la fine del secolo scorso infatti, quando sono esplosi i primi fenomeni di industrializzazione, l’idea generale era che anche la città fosse uno strumento di produzione, una macchina, e che come tale dovesse essere trovato un ordine per il suo funzionamento: la complessità, che fino a quel momento era stata una grande qualità della vita urbana, ha iniziato ad essere vista come un motivo di confusione. Da qui la zonizzazione, l’eliminazione del superfluo, il Movimento Moderno e l’idea che le funzioni generino automaticamente la forma. De Carlo si contrappone alle logiche che governano il suo tempo e nei suoi testi evidenzia come non sia necessaria la ricerca dell’ordine e della chiarezza, obiettivo dell’epoca, in quanto per lui l’organizzazione urbana è un “sistema di relazioni tra individui e classi sociali, infinitamente intricato e complesso” e pertanto un sistema che va capito ed interpretato nel suo modo di essere, con le sue contraddizioni e con la variabilità dei comportamenti individuali e sociali sempre più rapida che lo contraddistingue. In questo senso De Carlo può essere considerato allo stesso modo il capostipite del concetto di variabilità e di flessibilità, qualità a cui tutt’ora nell’architettura contemporanea viene data grande rilevanza. Si parla di “open-ended systems”: progetti flessibili, mutevoli, crescenti ed attuabili per fasi in cui lo stesso utente può apportare cambiamenti e variazioni.
Le ricerche sui sistemi aperti di cui De Carlo tratta hanno fornito un’importante contributo alla formazione di un’architettura fondata sulla partecipazione. La consapevolezza di una società in continua evoluzione ha infatti comportato la necessità di ascoltarla, di capire le logiche della sua evoluzione, di comprendere ed interpretare i suoi bisogni e le sue aspirazioni. È per questi motivi che a partire dagli anni ’80 si introduce il campo della “sociologia applicata”, in cui si cimentano per prime le discipline che si occupano in modo innovativo dei servizi sociali come la psicologia sociale e di comunità, ma i cui concetti in seguito vengono fatti propri dalla sociologia urbana, dell’ambiente e del territorio fino a dare contributi sempre più importanti al problema “partecipativo”. Troviamo molti esempi di progetti partecipati nell’ambito dell’urbanistica e dell’architettura nel corso del tempo a partire dalle due prime sperimentazioni di De Carlo (il piano particolareggiato per il nuovo centro di Rimini ed il progetto nel villaggio Matteotti di Terni), ma, per quanto in molti credano che sia un processo che seppur lungo fornisce qualità ai progetti, non è ancora presente nelle menti di molti o viene utilizzato in maniera da non soddisfare la sua vera definizione ed i concetti e principi da cui è nato.
2.2 Top down/Bottom up: partecipazione interessata o volta alla ricerca di consenso? A questo proposito va rintracciata in Gianfranco Elia (1981) una distinzione concettuale fra partecipazione educativa (fondata sulla diffusione delle informazioni), partecipazione informativa (destinata a raccogliere informazioni su bisogni ed aspettative della collettività, nonché a registrare le risposte alle proposte presentate), partecipazione attiva (diretta a provocare una forte interazione operativa fra il pubblico e l’amministrazione). Le tre tipologie prevedono un differente coinvolgimento della cittadinanza nei processi decisionali e comportano un forte dibattito sul termine partecipazione: questo infatti viene utilizzato per definire sia forme di comunicazione od informazione, sia vere e proprie costruzioni del consenso, nonchè difficoltosi processi di self management (autogoverno, autocostruzione…). Nonostante alcuni paesi abbiano intrapreso la strada della partecipazione in maniera più incisiva, questo conflitto è ancora molto vivo. Esempio ne è la Gran Bretagna, in cui già dal 1947 nella legislazione urbanistica è stato inserito il requisito della consultazione dei cittadini fino ad arrivare alla formulazione del Planning for Real (utilizzo di un kit con appositi elementi ed istruzioni per far sì che i cittadini possano progettare un edificio e un piano urbanistico) con lo scopo di attivare l’autocoscienza locale e favorire la comunicazione tra tecnici e cittadini, modello tutt’oggi utilizzato (come nel caso del Pigneto a Roma del 2015). 5
L’approccio prende corpo dalla situazione iniziale: considera l’obiettivo finale ed induce a costruire un percorso sequenziale con passaggi successivi in cui l’obiettivo finale è ricercato con metodo intuitivo. Nel primo caso si formula una visione generale del sistema senza scendere nel dettaglio di alcuna delle sue parti, mentre nel secondo le varie parti vengono connesse tra loro col fine di formare componenti più grandi a loro volta interconnessi per realizzare un sistema completo. Quest’ultima strategia è basata quindi sulla conoscenza di tutte le variabili che possono condizionare gli elementi del sistema. Espressi in questi termini, questi concetti vengono applicati a campi come l’informatica, la programmazione, la neuroscienza, la psicologia etc.
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Nonostante molti ritengano che questo paese abbia una lunga tradizione in questo senso, in realtà il dibattito riguardo alle tipologie di partecipazione è ancora molto vivo e viene ricondotto agli approcci Top Down e Bottom Up. Il primo, dall’alto verso il basso, prevede esperienze partecipative incoraggiate, sostenute e spesso organizzate da amministrazioni od enti pubblici. Si concretizzano così forme ibride di partecipazione, che molto spesso si limitano al processo comunicazione-informazione senza inoltrarsi in una vera e propria progettazione partecipata. Il procedimento Bottom up, dal basso, prevede invece forme di mobilitazione spontanea dei cittadini e può portare avanti un autentico processo partecipativo libero e consapevole in linea con i concetti su cui la partecipazione si basa. Allo stesso tempo questo metodo comporta rischi: i cittadini attivi che intendono partecipare spontaneamente sono sempre una minoranza della popolazione (2-4%) quindi non possono riuscire a rappresentare l’intera cittadinanza. Inoltre, nel momento in cui vengono proposte soluzioni ai problemi riscontrati, senza dialogo con le istituzioni, per quanto possano essere di qualità, non riscontrano possibilità di attuazione. I concetti di Bottom up e Top down vanno intesi in una concezione ancora più ampia per poter essere intesi fino in fondo. Sono infatti termini attribuiti a metodologie adoperate per analizzare situazioni problematiche e costruire ipotesi adeguate alla loro soluzione. Il top down richiama l’immagine di una piramide con la cima in alto e la base in posizione orizzontale. Il termine Top riconduce ad un obiettivo da raggiungere, mentre Down è riconducibile alla strategia necessaria. Questo approccio parte infatti dall’obiettivo e da esso fa scaturire la strategia adatta allo scopo di perseguire quell’obiettivo. Il bottom up richiama invece un’immagine raffigurante una freccia in cui bottom consiste nella coda e up nella punta rivolta verso l’alto.
2.3 La soluzione al conflitto? Democrazia partecipativa Definizione che tenta di risolvere il conflitto è quella di “democrazia partecipativa” o “urbanistica negoziata” (termine battezzato dal vicesindaco di Parigi Jean-Louis Missika), ossia un processo che mette in relazione costruttiva e creativa la necessità di parola dei cittadini con i processi decisionali delle istituzioni. È necessario un dialogo costante tra i due, una “relazione feconda”, che non sfoci solo nella presunzione dei cittadini di fare quello che vogliono, né nella partecipazione che al massimo si riduce a mera consultazione da parte delle amministrazioni. Secondo l’elegante e pertinente definizione di Umberto Allegretti, quando parliamo di democrazia partecipativa, ci riferiamo a “un relazionamento della società con le istituzioni” che comporta “un intervento di espressioni dirette della prima nei processi di azione delle seconde”.
La democrazia partecipativa, non nasce solo dall’acceso dibattito Top Dow/Bottom up, ma anche da riflessioni più profonde sul tema generico della democrazia e sugli strumenti di governo del territorio. Il termine infatti si allaccia ad un mondo più ampio, trattato in una moltitudine di testi, che sfocia nella politica e nella filosofia e su cui non mi dilungherò troppo. Norberto Bobbio (Torino, 1909-2004), filosofo, giurista, storico, politologo e senatore a vita italiano scrive: “per regime democratico si intende primariamente un insieme di regole di procedure per la formazione delle decisioni collettive, in cui è prevista e facilitata la partecipazione più ampia possibile degli interessati” (N. Bobbio, 1984). Da questa definizione si intende che una democrazia che non sia partecipativa, non è democrazia. È sulla base di questo concetto che la democrazia rappresentativa, in cui i rappresentanti sono autorizzati attraverso le elezioni, a trasformare la volontà del popolo in atti di governo, entra in crisi. Luigi Bobbio, figlio di Norberto Bobbio, autore e ricercatore di scienze politiche, nonché professore di Scienze Politiche a Torino, ha scritto molto sulla democrazia partecipativa e sull’introduzione di un’attenzione specifica per i processi decisionali “inclusivi”. Questi, dice, “sono pieni di insidie. Bisogna conoscerle per poterle superare”. In quanto tali, le decisioni collettive tendono al coinvolgimento di più livelli istituzionali dando così vita ad assetti decisionali multi-livello e quindi a strumenti di governo del territorio che prevedono il ruolo centrale della dimensione locale. Il concetto di democrazia partecipativa che questi pionieri descrivono si sviluppa a partire dagli anni Novanta, con la prima felice esperienza del bilancio partecipativo di Porto Alegre insieme alla letteratura formatasi su di essa e alla fama datagli dai Forum Sociali Mondiali, originatisi nella stessa città brasiliana. Il caso di Porto Alegre del 1989 prevedeva che gli abitanti della città si riunissero periodicamente per parlare dei problemi delle proprie case e delle questioni urbanistiche generali del quartiere, in presenza di un facilitatore comunale. Questa città è considerata dall’ONU una delle quaranta città gestite meglio nel mondo e il bilancio partecipativo è considerato una best practice da replicare (sono più di duecento oggi le città che nel mondo hanno seguito questo esempio).
2.4 Un concetto molto attuale: partecipazione e nuove tecnologie
Il conflitto tra i concetti di cui si è parlato rimane notevolmente attuale sotto il punto di vista urbanistico. Dimostrazione di ciò è il progetto smart city, nato a livello mondiale con la città di Rio de Janeiro.
Esso prevede di creare una città intelligente, non solo intesa come “città digitale”, ma come città in cui le nuove tecnologie vengono messe a servizio della società col fine di alimentare lo sviluppo economico sostenibile e di elevare la qualità della vita, attraverso un metodo di governo partecipativo. Anche in questo caso si riscontra il dibattito sugli approcci Top Down e Bottom up ed il caso di Rio de Janeiro ne è un primo esempio: il progetto, premiato nel 2013 dall’edizione Smart City Expo Congress di Barcellona, ha previsto la creazione di una piattaforma che permetta di monitorare in tempo reale ciò che accade all’interno dell’area urbana in maniera tale da intervenire con rapidità in caso di pericolo. Dal punto di vista tecnologico la soluzione sviluppata ha consentito di gestire in tempo reale tutte le infrastrutture della città, grande innovazione che potrebbe scongiurare il ripetersi dei disastrosi effetti delle catastrofi ambientali che hanno colpito la città nel 2010, ma non ha adempito completamente alla definizione di smart city. In questo senso l’accezione di condivisione e partecipazione non sono presenti e pare che l’approccio utilizzato sia assolutamente verticale e abbia comportato la collaborazione unicamente tra i diversi dipartimenti e le varie agenzie governative. Per questo successivamente si è creduto maggiormente in un approccio Bottom up in cui venga coinvolta la comunità locale nel processo di sviluppo dell’iniziativa e venga data piena fiducia nelle persone e nelle loro capacità di percepire i problemi dei luoghi in cui vivono nonché di elaborare soluzioni atte a risolverli. Soluzione proposta a questo scopo è stata il progetto Mapeamento Digital Guiado pela Juventude, riguardante cinque favelas. È stata creata una base cartografica attraverso l’esperienza di un gruppo di adolescenti brasiliani col fine di inserirla in una piattaforma online accessibile a tutti. Si parla in questo caso di soluzioni digitali, ossia di applicazioni che trasformano la città in un laboratorio a cielo aperto. Per poter far questo è necessario indubbiamente un supporto dall’alto che stimoli la partecipazione attivando un dibattito costruttivo, un continuo dialogo per costruire una visione comune e far leva sull’intelligenza collettiva. Attraverso questo esempio in cui è nata l’idea di fornire alla cittadinanza un metodo per segnalare le problematiche e potenzialità della propria città, individuiamo un crescente interesse per il tema della partecipazione e allo stesso tempo un conflitto ancora molto radicato tra i due tipi di approccio descritti. Possiamo inoltre notare l’ingresso dirompente della tecnologia e dei suoi mezzi nei processi decisionali. Nel contesto attuale possiamo infatti incontrare molti esempi di iniziative simili a questa, che si servono delle nuove tecnologie al fine di favorire quella che viene definita architettura o urbanistica open source.
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Primo tra questi, l’iniziativa di Nexthamburg ad Amburgo:
Premessa: In Germania risulta obbligatoria la partecipazione della cittadinanza per qualsiasi modifica agli strumenti urbanistici e settoriali promossi dalla Municipalità e per ogni processo che interessi attivamente la popolazione e la collettività. Ad Amburgo incontriamo l’esperienza di Nexthamburg: un progetto attivo dall’aprile del 2009 che consiste in una piattaforma di idee, uno spazio di dibattito, un vero laboratorio partecipativo dove i cittadini possono collaborare con esperti per apportare nuove idee sui temi della città. È stato inizialmente finanziato dal Ministero federale dei trasporti, dell’edilizia e dello sviluppo urbano e dal 2012 è diventato un’associazione senza scopo di lucro, finanziato da donazioni private, progetti con fondazioni e altri attori nella città. La raccolta di idee è il loro materiale iniziale siccome è sulla base degli argomenti della comunità, che gli attivisti di Nexthamburg formulano tesi. Essi affermano: “Noi, fondatori e attivisti, crediamo che lo sviluppo urbano sia migliore se la conoscenza e l’esperienza delle persone con la loro città diventano il punto di partenza. A questo proposito: se vuoi cambiare la città, inizia con un’idea. Forse le cose andranno bene”. Tra di essi troviamo economisti, urbanisti, architetti, designer, redattori e fotografi che credono nella partecipazione e si servono della pagina web e di alcuni eventi organizzati nel territorio per raccogliere idee. Sul sito le persone possono pubblicare un’idea dandoci un nome e ubicandola nel contesto cittadino in maniera tale che questa venga presa in considerazione per la realizzazione di un progetto concreto.
Tra altri esempi di utilizzo della tecnologia come mezzo di partecipazione più o meno attiva, spostandoci nel contesto territoriale italiano, troviamo: city-hound, un social network che mette in comunicazione i proprietari di uno spazio in disuso e i soggetti che hanno bisogno di un luogo per la realizzazione di un’idea o un progetto; Switch, progetto attivato ad Imperia dall’ordine degli architetti in cui i cittadini possono proporre idee per il riuso di spazi in abbandono; o ancora nella stessa Genova, Riprendiamoci Genova, associazione che ha creato una pagina web in cui le persone possono segnalare e mappare gli spazi abbandonati in maniera che possano essere previsti progetti di riqualificazione.
2.5 Progetti a scala umana e mix di competenze: l’imporanza degli spazi pubblici e del confronto tra saperi Lo sviluppo di queste iniziative, concentrate sulla dimensione locale e sul coinvolgimento della cittadinanza in un processo di progettazione dal basso, comporta una grande rilevanza ai progetti a scala umana. Questi infatti vengono percepiti in maniera più forte dai singoli individui, che toccando con mano il contesto, si sentono davvero partecipi all’iniziativa ed utili allo scopo, normalmente esponendo problematiche e necessità alla scala di quartiere. In questo contesto viene data principalmente importanza agli spazi pubblici in quanto luoghi di aggregazione che favoriscono il miglioramento della qualità di vita delle persone, consentono socialità, svago, condivisione e senso di comunità, dando la possibilità di coltivare le proprie capacità e passioni. La stessa Carta dello Spazio Pubblico, contributo della Biennale dello Spazio Pubblico del 2013, definisce gli spazi pubblici come “elemento chiave del benessere individuale e sociale, i luoghi della vita collettiva delle comunità. [..] La comunità si riconosce nei propri luoghi pubblici e persegue il miglioramento della loro qualità spaziale”.
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Normalmente questo avviene attraverso l’appropriazione spontanea degli spazi, di cui troviamo milioni di esempi, che si presentano come guerriglia creativa urbana, come aggiunta di elementi, accorgimenti a scala umana e micro trasformazioni generate non da una visione preventiva ma dall’uso stesso. Esistono alcuni luoghi delle città che derivano la propria qualità e il proprio successo dall’essersi formati in modo più spontaneo che progettato aumentando così molto spesso la propria identità. Allo stesso tempo si può notare in questi casi l’assoluta mancanza di un’estetica preordinata o l’espressione della volontà di pochi e quindi la necessità di un progetto che possa rendere lo spazio in quanto pubblico, un luogo dove ciascuno possa identificarsi.
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Sono anche gli esiti di queste iniziative che ci possono dare uno stimolo in più per intraprendere un percorso partecipato in cui l’uso spontaneo degli spazi possa essere in egual maniera regolato al fine di rendere lo spazio Pubblico per definizione.
In questo contesto lo stesso Alejandro Aravena sostiene che la piccola scala migliori l’integrazione e la qualità del progetto, mentre la centralizzazione delle decisioni porti ad un progetto discutibile.
Concentrandoci sul contesto italiano, purtroppo oggi gli spazi pubblici così intesi vivono un momento di profonda crisi: le società odierne, sempre più individualistiche, non sfruttano questi spazi come luoghi di aggregazione e i cittadini iniziano a percepirli come luoghi di nessuno, o come luoghi dell’ente pubblico locale, anziché di tutti. In pochi apprezzano l’importanza che hanno per la vivibilità urbana e la coesione sociale molto probabilmente a causa della diminuzione del senso di appartenenza e di una scarsa opera di educazione alla cittadinanza che porta soprattutto i componenti più giovani della società a non preservarli e mantenerli, allontanando sempre più la città odierna da quella ideale di cui parla Lefebvre: “una continua opera degli abitanti, essi stessi mobili e resi mobili per e da questa opera”. La causa principale di questa crisi, secondo Christian Iaione, direttore dal 2012 al 2014 di Labsus - laboratorio per la sussidiarietà, è da ricercare nella riduzione delle risorse pubbliche in seguito alla crisi finanziaria che ha comportato una minore attenzione posta sui servizi alla persona, quindi sull’ambiente urbano e più in particolare sugli spazi pubblici. Egli parla di cura civica degli spazi urbani e propone cinque linee da azione per contrastarne il degrado e la disaffezione: - - -
Implementare la normativa su microprogetti di arredo urbano o di interesse locale Educare alla manutenzione civica Favorire forme di partenariato pubblico-privato per la tutela e cura dei beni comuni locali
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La sussidiarietà quotidiana, ossia una comunicazione di cittadinanza basata su azioni dirette a convincere i cittadini alla condivisione di obiettivi di interesse generale (nudges: misure amministrative incentivanti) Favorire iniziative di comunicazione pubblica: la wiki-città
La prima azione proposta riguarda la creazione di progetti a scala umana, tema molto contemporaneo legato ad iniziative attuali: durante il convegno Urban Age dal titolo Shaping Cities svoltosi a Venezia nel 2016 infatti si è trattato di questi temi presentando vari progetti che si definiscono di piccola scala, su misura per gli ambienti e le comunità specifiche per cui sono stati concepiti.
Non si è parlato di partecipazione in sé, ma sembra che i pensieri di molti possano confluire in una soluzione di questo tipo siccome emerge anche la necessità espressa dall’architetto messicano Josè Castillo di “strategie trasversali” che coinvolgano i non specialisti senza fidarsi unicamente degli esperti. Gli esiti positivi derivanti da un approccio partecipato non sono infatti solo quelli di aumentare il senso di appartenenza della cittadinanza e apportare un’analisi più concreta, ma sono dovuti anche alla possibilità di trarre insegnamenti dalla ricchezza di risorse delle comunità. La partecipazione dunque apporta un elemento importante alla progettazione: un mix di competenze e di saperi, una commistione di teste pensanti, che per il fatto di dedicarsi ciascuna ad attività differenti, non possono che fornire un maggior numero di pensieri e punti di vista. Artisti, poeti, ingegneri, medici, casalinghi, psicologi etc, oltre a vivere nel contesto territoriale considerato, stimolano la creatività ed individuano caratteri che probabilmente le amministrazioni e gli specialisti non prenderebbero in considerazione. Questo concetto è quello in cui già credevano i sopracitati Olivetti e De Carlo, entrambi ribellandosi alla specializzazione della città che ha l’effetto di accelerare e istituzionalizzare la frammentazione della vita umana. È indubbio infatti che più competenze al lavoro sullo stesso obiettivo, creando confronto, arrivino ad una soluzione di più ampio respiro.
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2.6 L’urbanismo tattico I concetti sopra elencati possono rientrare in un approccio che viene definito Urbanismo Tattico, termine nato nel 2010 ad opera del pianificatore urbano newyorkese Mike Lydon per descrivere una serie di modifiche urbane temporanee a basso costo con il fine ultimo di migliorare la vivibilità dei quartieri locali delle città. Punti focali di questo approccio sono infatti gli spazi pubblici ed il protagonismo degli abitanti, che, in questo caso, vengono presi in considerazione per (ri)fare la città, microtrasformando, co-gestendo e prendendosi cura degli spazi col fine di contribuire alla costruzione di scenari di sviluppo condivisi. Si tratta di un processo di cui gli urbanisti possono avvalersi per rendere più inclusivi e creativi i progetti urbani, principalmente a piccola scala e con origine dal basso. Viene definito tattico in quanto prevede l’adozione di azioni appunto “tattiche” che possono essere in seguito replicate e scalate con il fine ultimo di istigare un cambiamento a lungo termine tramite. “In realtà, l’urbanismo tattico è come la maggior parte delle città sono costruite. Soprattutto nelle nazioni in via di sviluppo. È step-by-step, pezzo per pezzo” (Lydon M. in Tactical Urbanism 5, 2017). Gli obiettivi di questo approccio sono realistici per Mike Lydon (direttore del “Street Plans Collaborative” di New York), si distaccano dagli strumenti convenzionali della pianificazione urbana, dai “mega-progetti di trasformazione a lungo termine dei Piani come unici strumenti e fattori di sviluppo della città”. Si prediligono infatti micro-progetti che possano essere riconoscibili dalle persone che vivono gli spazi, li conoscono, li curano e li rivendicano. Solo in questo modo gli abitanti possono sentirsi parte di quegli spazi e far parte delle loro trasformazioni, percependo la loro identità, favorendo così una maggiore vivibilità e garantendo da parte loro un maggior rispetto.
Alcune tattiche: 1. STREET MAKEOVER Convertire le strade pubbliche in spazi pedonali che incoraggino le persone di tutte le età a essere socievoli e attivi 2. BETTER BLOCK Promuovere strade vivibili e quartieri vivaci e sani 3. NEIGHBOURHOOD GARDENING Convertire spazi sottoutilizzati in piccoli orti 4. LOCAL ECONOMIC RENEWAL Promuovere lo sviluppo economico e rivitalizzare riempiendo lo spazio libero disponibile con occupazioni a breve termine e a basso costo 5. ROAD REPAIR Fornire un ambiente pubblico più sicuro e più coinvolgente per pedoni e ciclisti 6. OPEN SPACE MAKING Aumentare l’offerta di spazi pubblici aperti permanenti attraverso la bonifica di terreni sottoutilizzati 7. PLACEHOLDERS Per attivare temporaneamente siti vacanti 8. KNOWLEDGE EXCHANGE Rafforzare i legami comunitari e condividere competenze, prospettive o storie 9. VISUAL CATALYST Migliorare la qualità visiva degli spazi pubblici attraverso modifiche alle infrastrutture esistenti 10. URBAN GAMES Fornire attività pubbliche che costruiscono e rafforzano le comunità Secondo i criteri di cui sopra, nasce la necessità di ripensare il ruolo del progetto urbano: questo deve essere inteso come strumento che promuova il coinvolgimento degli abitanti, ne capisca i bisogni, li concretizzi in brevi tempi e con una proposta reale strettamente legata al contesto territoriale in cui viene inserita. Conseguentemente va ripensato il ruolo dell’urbanista…
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2.7 Ruolo dell’urbanista/architetto e metodi nel processo partecipato I processi di progettazione partecipata, infatti, coinvolgendo attori eterogenei, hanno bisogno di una figura professionale che faciliti il lavoro, che organizzi i momenti di dibattito, che raccolga informazioni sulle persone coinvolte, sul contesto di appartenenza e progetti un intervento mirato a soddisfare i risultati attesi pianificando come mettere in atto questo intervento per infine portare a termine l’impegno comune. Questo ruolo oggi viene definito facilitatore. Questa figura appare nuova nel contesto italiano e attualmente non esistono corsi di laurea o master finalizzati a formare questo tipo di professionista. Esistono corsi e percorsi formativi che consentono a sociologi, psicologi, antropologi, urbanisti o architetti di intraprendere questa strada. L’idea che l’architetto e l’urbanista in primis debba ampliare lo sguardo a questi tipi di processi nasce da De Carlo: “Il compito del progettista non è più di sfornare soluzioni finite e inalterabili, ma di estrarre le soluzioni da un confronto continuo con chi utilizzerà la sua opera. La sua immaginazione sarà tutta puntata a svelare l’immaginazione dei suoi interlocutori e la soluzione uscirà dal contatto tra le due, passando attraverso una concatenazione di alternative sempre più aderenti alla natura del problema che si affronta”. Se in questo caso limitiamo il campo dei facilitatori ai progettisti, il loro ruolo cambia completamente rispetto a quello che hanno in casi di progettazione non partecipata. Il progettista/facilitatore deve infatti possedere alcune caratteristiche in più: ottime doti comunicative e spiccate capacità relazionali; deve essere in grado di costruire rapporti di fiducia con persone eterogenee e in background sociali, culturali ed economici differenti; deve riuscire a considerare in maniera neutrale gli interventi di coloro che partecipano al percorso, cogliendone gli aspetti più rilevanti e riuscendo a renderli un progetto concreto, credendo fermamente nel fine ultimo di ciò a cui sta lavorando. Non solo, deve possedere una grande conoscenza degli strumenti di partecipazione in maniera tale da adoperare quelli utili al contesto in cui si opera e una grande capacità critica per mettere in gioco i propri punti di vista e le proprie attese. Viene definito il ruolo come “garante della metodologia di progettazione, facilitatore dei processi comunicativi, mobilitatore di competenze e integratore di risorse”. Un compito non da poco.
Il processo inclusivo infatti vuole sollecitare la spontaneità, ma necessita allo stesso tempo di una cornice ben definita, ossia un’organizzazione ben strutturata in maniera tale da evitare che la discussione si protragga all’infinito e degeneri in una generale frustrazione. Vanno stabilite le regole del gioco e vanno comunicate ai partecipanti col fine che vengano da essi accettate. Devono essere quindi regole abbastanza rigide, ma allo stesso tempo flessibili in maniera tale che possano essere adeguate durante il processo a seconda delle circostanze. Le costanti che vanno stabilite tra altre all’interno delle regole sono: le fasi (che devono essere note fin dall’inizio), i tempi e gli spazi (la cui organizzazione deve essere molto curata in relazione con l’interazione tra i partecipanti). Il processo può prevedere differenti metodi, ma in ogni caso vede come prima fase quella di mettere a proprio agio i partecipanti, studiando e applicando tecniche idonee di accoglienza, informazione e comunicazione e col favorire l’accessibilità dei luoghi di incontro (sia dal punto di vista fisico che da quello percettivo). L’invito deve risultare motivante e, chi guida il processo, deve mettere a disposizione dei partecipanti tutti gli elementi conoscitivi in maniera tale da rendere l’iter il più trasparente possibile. Costante fondamentale nei processi inclusivi e nelle differenti metodologie utilizzate è l’ascolto, che nella sua definizione generale può essere passivo o attivo. Il primo ha il fine di rilevare le opinioni e le aspettative degli interessati e pone come strumento primario a questo scopo il questionario. Questo tipo di ascolto risulta inutile ai fini della partecipazione in quanto “coinvolgere in un processo decisionale non è chiedere una risposta in quel momento a quella domanda, ma costruire le condizioni affinché la domanda possa essere definita meglio insieme, cosa che induce le persone anche a modificare la risposta in corso d’opera” La tipologia di ascolto utile ai processi inclusivi è quello attivo, diffuso in Italia da Marianella Sclavi. Questo si basa su alcune regole: chi ascolta deve assumere che la persona in questione abbia ragione cercando di vedere gli eventi dalla sua prospettiva e quindi cambiando punto di vista; inoltre deve utilizzare le emozioni come strumenti conoscitivi, ossia come strumenti che consentono di imparare qualcosa di nuovo. Si potrebbe aprire un intero capitolo sui metodi della partecipazione, ma in questo contesto mi limito ad esporre in seguito quelli utilizzati nella fase più specifica del lavoro di tesi.
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2.8 Processi partecipati in Europa: alcuni attori e progetti Spostandoci dalla partecipazione in sé a quella che viene definita progettazione partecipata, ossia quella relativa allo scopo di definire un progetto architettonico o urbanistico, per avvicinarci sempre più al tema fulcro di questa tesi, presentiamo alcuni esempi di progetti europei negli spazi pubblici scaturiti dai processi inclusivi, in cui i progettisti hanno deciso di rendersi allo stesso tempo facilitatori e in molti casi i cittadini costruttori.
PLACE AU CHANGEMENT S.ETIENNE, SAINT ETIENNE 2011 3 workshop aperti a tutti; un laboratorio di falegnameria; un laboratorio di grafica; un laboratorio di giardinaggio e paesaggio; blog online per mostrare la vita di tutti i giorni; popolazione locale si prende tutt’ora cura del posto.
Francia Collectif etc A NOUS LE PARKING, STRASBURGO 2011 Workshop aperto a studenti della scuola, ingegneri, architetti ed eco-consulenti Situato in un’area che precedentemente era adibita a parcheggio 1° fase: design di elementi mobili di arredo urbano; 2° fase: vengono forniti loro travi, assi di legno, attrezzi e pallet. Vengono costruiti 33 moduli mobili; 3° fase: viene aperto al pubblico. Gli utenti possono lasciare il proprio segno e cambiare configurazione.
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Bruit du frigo
JARDIN DE TA SOEUR, BORDEAUX 2003
Associazioni e abitanti propongono un progetto di giardino permanente con attrezzature come pezzi unici, opere d’arte progettate e realizzate in modo partecipativo con l’aiuto di artisti.
Germania Raumlabor
Regno Unito Kinnear landscape architects
EMMA/GENERATOR, BERLINO 2011
NORMAND PARK, LONDRA 2005
Emma è un attivatore mobile con varie funzioni (si possono creare 7 tipologie di eventi) che viene di volta in volta spostato e modificato attraverso la partecipazione degli abitanti. Raumlabor ha infatti progettato il modulo base, ma gli sketchbooks contengono pagine libere per ulteriori pianificazioni.
Riqualificazione di un parco Tre progetti artistici hanno previsto la partecipazione della comunità: uno con i bambini delle scuole locali, uno con i residenti più anziani per esplorare i ricordi dell’area e uno con giovani attraverso un progetto fotografico e di illuminazione.
Gruppe f TRASFORMAZIONE DEL BOSCHETTO DI BETULLE MAHLOW (GERMANIA) 2017 Vari workshop di partecipazione per la riqualificazione di un parco.
Spagna TXP (Todo por la praxis) DISPOSITIVO DE LA CEBADA, MADRID 2011
Il progetto fa parte dell’iniziativa Street Games che mirava a riqualificare siti non utilizzati attraverso l’installazione di attrezzature temporanee legate alla pratica dello sport. Le associazioni del luogo hanno collaborato con Todo por la praxis nella progettazione e realizzazione.
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Viviamolaq PARCOBALENO, L’AQUILA 2013
In seguito al sisma del 2009, indagine sui bisogni degli abitanti: luoghi di aggregazione e socializzazione sia per giovani che per anziani. Processo di auto-costruzione.
Italia Orizzontale ZAC (ZONE ARTISTICHE CONDIVISE), CINISELLO BALSAMO 2013
Xscape PARTECIPARCO, MOLFETTA (BARI) 2014
Piattaforma online in cui i cittadini potevano inserire idee e proposte; Fase di progettazione ha coinvolto artisti e gruppi di cittadini: esito tre progetti; Fase di scelta attraverso votazione dei cittadini; Workshop di costruzione con cittadini, studenti e professionisti.
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Processo partecipativo per il recupero del Parco di Mezzogiorno 1° fase: laboratorio itinerante x individuare il fabbisogno sociale e la domanda di spazio pubblico della comunità coinvolgendo gli abitanti. È stato allestito un laboratorio mobile (“Radiocasa”); 2° fase: workshop di idee. Associazioni, gruppi informali, cooperative e cittadini hanno confrontato le proprie idee giungendo alla progettazione definitiva degli spazi e ad un modello di gestione sociale e partecipata del parco.
Tutte le esperienze elencate, oltre a chiarire il contesto della progettazione partecipata europea attuale, dimostrano una grande attenzione per tematiche ad essa strettamente collegate: il tema dello spazio di aggregazione vissuto come spazio di gioco, il tema dell’autocostruzione e quello della necessità di formare una rete di conoscenze sia tra i vari collettivi di architetti che se ne occupano sia tra le forze attive già presenti in ogni contesto territoriale.
2.9 Legislazione della partecipazione Le esperienze sopracitate, sono esperienze che per la maggior parte nascono dalla volontà di collettivi di architetti interessati nel tema della partecipazione: sono quindi molto spesso iniziative spontanee, che non seguono alcun tipo di iter prestabilito, in quanto la legislazione in materia risulta attualmente povera, principalmente in Italia. Spostandoci quindi sul campo legislativo possiamo dire che il concetto di partecipazione viene considerato in maniera strettamente legata al concetto di sviluppo sostenibile, definito nel Rapporto Our Common Future del 1987 come “uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Questo concetto viene sancito definitivamente a Rio de Janeiro nel 1992 con l’atto Agenda 21, un “programma di azione” sottoscritto da oltre 170 paesi scaturito dalla conferenza ONU sull’ambiente e sullo sviluppo che prevede la cooperazione di istituzioni, organizzazioni internazionali e amministrazioni locali e cittadini (singoli ed associati) con lo scopo appunto di favorire uno sviluppo sostenibile. Le agende 21 hanno investito le comunità locali di un ruolo strategico e hanno costituito un campo di sperimentazione sui temi della partecipazione sia per i cittadini che per gli amministratori locali. Esse prevedono un processo partecipativo che coinvolga tutti i settori e la pianificazione di obiettivi ambientali ed azioni che siano atte alla loro realizzazione. Il capitolo 28 della Agenda 21 prevede infatti che le autorità giochino un ruolo chiave nell’educare, mobilitare e rispondere alla cittadinanza col fine di uno sviluppo sostenibile, ponendosi obiettivi da perseguire entro limiti prestabiliti di tempo. Gli elementi che costituiscono il suo processo di costruzione a livello locale sono: l’attivazione di un forum per tutti i soggetti rilevanti a livello locale, la consultazione permanente della comunità, la redazione di un Rapporto sullo stato dell’Ambiente, la definizione di obiettivi e priorità, un piano di azione ambientale ed il monitoraggio, la valutazione e l’aggiornamento del piano di azione.
In Italia l’attivazione concreta dei processi di Agenda 21 locale risale al 1998, con l’approvazione del “Nuovo programma per la Protezione dell’Ambiente”, nonostante già nel 1993 sia stato approvato il “Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile in attuazione dell’Agenda 21”. Questo progetto, per quanto dia importanza alla partecipazione e abbia portato ad alcuni risultati, riguarda una grande quantità di argomenti e obiettivi, risultando perciò un progetto di lungo periodo e non prevedendo così una legislazione in materia. Per quanto riguarda la partecipazione in sé infatti in Italia non esiste una legge nazionale che persegua gli obiettivi propri della partecipazione. Sono state però elaborate leggi regionali a questi scopi: La Legge regionale 27 dicembre 2007 n.69 della Toscana: “Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali” sostituita poi dalla Legge regionale 2 agosto 2013 n.46 “Dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche locali e regionali”; La legge regionale 4 febbraio 2010 n.3 dell’Emilia Romagna: “Norme per la definizione, riordino e promozione delle procedure di consultazione e partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”; La legge regionale 16 febbraio 2010 n.14 dell’Umbria: “Disciplina degli istituti di partecipazione alle funzioni delle istituzioni regionali”; Molto attuale risulta inoltre la “Legge sulla partecipazione” della regione Puglia, legge regionale 13 luglio 2017 n.28. Tema principale di queste leggi è la procedura del dibattito pubblico proveniente dalla Francia (il débat public) che prevede una commissione di pubblica discussione previa al progetto definitivo di un’opera e, nei casi più attuali, un continuo dialogo con i cittadini e gli stakeholder “attraverso una piattaforma informatica in cui offrire documenti, analisi e informazioni sui processi partecipativi in atto” per “consentire lo scambio di informazioni, proposte, consultazioni pubbliche”
2.10 Esperienze attuali in Italia: chi si rivela attivo a questi scopi Molte entità si stanno muovendo per promuovere i principi della partecipazione nel contesto nazionale italiano. Primo fra tutti l’Istituto Nazionale di Urbanistica, che nel dicembre del 2014 ha promosso, insieme alle principali associazioni italiane che da diversi anni promuovono in tutte le regioni il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni pubbliche, la sottoscrizione della Carta della Partecipazione. 15
Questa carta definisce i principi base che possono assicurare un processo partecipativo di qualità: a. cooperazione b. fiducia c. informazione d. inclusione e. efficacia f. interazione costruttiva g. equità h. armonia i. render conto j. valutazione L’obiettivo della carta non è solo quello di dare una traccia metodologica in fase di progettazione di un percorso partecipativo, ma anche quello di fornire uno spunto di riflessione per accrescere la cultura della partecipazione e far comprendere la complessità delle dinamiche e dei ruoli. Altre esperienze volte ad aumentare la cultura della partecipazione in Italia sono:
Avventura urbana
E’ il primo collettivo di partecipazione fondato nel 1992 a Torino. Nel 2007 ha collaborato alla costruzione della legge Toscana sulla partecipazione. Ha promosso una proposta di legge nazionale per il dibattito pubblico sulle grandi opere. Secondo avventura urbana, durante un percorso di facilitazione, è necessaria una prima fase di indagine preliminare basata sull’Ascolto Attivo per raccogliere tutti i punti di vista su un dato argomento. In seguito sarà possibile mettere a frutto ulteriori tecniche come: Open Space Technology, Electronic Town Meeting, Laboratori progettuali, Future Search Conference, Giurie dei cittadini. Comunitazione
Ascolto attivo
Società di Milano nata nel 2008 per iniziativa di Marianella Sclavi, pioniera in Italia delle tecniche della Gestione Creativa dei conflitti e della Progettazione partecipata. Ascolto Attivo: “se vuoi capire che cosa il tuo interlocutore sta dicendo, devi assumere che abbia ragione” Vengono coinvolti gli individui e i gruppi, gestite le relazioni, stimolata la creatività per attivare delle risorse al fine di metterle a servizio di obiettivi precedentemente fissati individuando soluzioni e risposte innovative. Gli strumenti per giungere a questo scopo sono di volta in volta differenti a seconda delle caratteristiche del progetto e delle esigenze espresse. Alcune delle tecniche utilizzate (“ferri del mestiere”) sono: Confronto creativo, Open Space Technology, Future Search Conference, Town Meeting, Charrette, Mediazione creativa dei conflitti, Planning for Real, Bilancio partecipativo, Facilitazione visuale, Dibattito pubblico e World Cafè. 16
Associazione nata nel 2013 a Brindisi. Promuove la partecipazione dal basso, la progettazione condivisa, l’innovazione nelle dinamiche sociali attraverso l’attivazione di cittadinanza attiva, la creazione di luoghi e spazi d’incontro, la diffusione di idee e il recupero del senso di comunità. Strumenti: arte del processo, carte della facilitazione, facilitazione visuale, fishbowl, giochi, go deep!, oasis game, open forum, open space technology, proaction cafè, scenari futuri, team building, world cafè. Labsus laboratorio per la sussidiarietà
Associazione nata nel 2005 a cui ha seguito la fondazione della rivista online.
La certezza da cui parte il pensiero dell’associazione è che “le persone sono portatrici non solo di bisogni ma anche di capacità e che è possibile che queste capacità siano messe a disposizione della comunità per contribuire a dare soluzione, insieme con le amministrazioni pubbliche, ai problemi di interesse generale” Si basa sul principio di Sussidiarietà Orizzontale, introdotto nella Costituzione nel 2001 (art 118: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”) Labsus si pone l’obiettivo di mettere a conoscenza il maggior numero di persone la novità della nostra Costituzione in maniera tale che esse stesse si possano mobilitare. Labsus ha partecipato alla stesura del primo Regolamento per la collaborazione tra amministrazione e cittadini per la gestione condivisa dei beni comuni urbani approvato nel Comune di Bologna. Inoltre si è impegnato per la sua diffusione e conoscenza col fine che altri comuni potessero adottarlo e adattarlo alla propria realtà proponendo un prototipo di regolamento base.
Moviduepuntozero
E’ una rivista online creata da Movi (Movimento di volontariato italiano) che mira a sperimentare la partecipazione e la cittadinanza attiva. Uno dei cinque quaderni informativi che il movimento ha creato tratta infatti di democrazia partecipativa.
Inoltre, in quanto rivista online, Labsus scrive riguardo alla gestione degli spazi pubblici e alla loro crisi (come sopracitato nel capitolo 6) proponendo azioni contro il loro degrado favorendo la progettazione partecipata per favorirne la riqualificazione.
Riutilizziamo l’Italia
È un’iniziativa promossa dal WWF volta allo sviluppo sostenibile, al recupero e al riutilizzo delle aree in disuso o degradate attraverso azioni spontanee che partono dal basso. Il loro motto: “Abbiamo bisogno delle tue idee, della creatività delle comunità locali. RiutilizziAMO L’ITALIA è l’occasione per riappropriarti del tuo territorio. Per scegliere e ricostruire lo spazio in cui vivi. Ogni giorno”.
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“...la grande Genova notturna, disseminata di luce, assorbita dal chiaro di luna, così come un sogno trapassa in un altro…” (Paul Klee in Diari)
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3.1 Il caso di Genova: partecipazione attiva
3. GENOVA: IL CASO-STUDIO DELLA MOVIDA
La città di Genova ha adottato il “regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura, la rigenerazione e la gestione in forma condivisa dei beni comuni urbani” il 25/10/2016, sull’esempio del regolamento di Bologna diffuso da Labsus.
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Secondo questo regolamento ad esempio “La collaborazione con i cittadini attivi è prevista quale funzione istituzionale dell’amministrazione ai sensi dell’articolo 118, ultimo comma della Costituzione. L’organizzazione di tale funzione deve essere tale da: - assicurare la massima prossimità al territorio dei soggetti deputati alla relazione con il cittadino; consentire il massimo coordinamento con gli organi di indirizzo politico amministrativo a tutti i livelli ed il carattere trasversale del suo esercizio; - garantire ai cittadini proponenti un interlocutore unico nel rapporto con l’amministrazione.” A tal fine si individua un’unità organizzativa responsabile del procedimento per l’amministrazione condivisa che definisce le linee guida riguardo alla comunicazione tra amministrazione e cittadini, esamina e sistematizza le proposte, monitora le fasi del processo di formazione dei patti di collaborazione che predispongono le azioni e gli interventi. Inoltre il Regolamento prevede anche formazione e percorsi educativi nelle scuole col fine di incrementare la cultura della collaborazione tra cittadini e amministrazione. Sul sito del comune di Genova è inoltre prevista una sezione nominata “Amministrazione condivisa” in cui sono presenti il documento del Regolamento, la modulistica per i patti di collaborazione, un catalogo dei beni comuni ed una pagina in cui è possibile segnalare un bene comune al fine di creare un patto complesso (ossia un patto che riguarda un bene di valore storico, culturale o con valore economico significativo) proponendo la realizzazione di interventi di cura o rigenerazione e la destinazione ad attività di interesse generale.
Notiamo attraverso l’adozione di questo Regolamento un sempre crescente interesse anche a livello comunale sui temi della partecipazione. Come si è arrivati a questo punto? Anche all’interno del piano urbanistico comunale di Genova (PUC) viene affrontata la tematica della partecipazione come metodo e sostanza di governo. “Governare mediante la partecipazione significa progettare e utilizzare strumenti che privilegiano i bisogni delle persone e delle relazioni sociali; riconoscere il valore creativo e il ruolo democratico delle vertenze in difesa del territorio, degli spazi pubblici, dei diritti di cittadinanza”. Le tappe principali dell’esperienza di partecipazione di Genova sono:
01/1995
Aderisce alla Carta di Aalborg stabilendo la prossima adozione dell’Agenda 21
09/1998
Si è proceduto alla “Realizzazione di un’Agenda 21 locale”
2001
Viene approvato il “Programma di Formazione Ambientale”
2002
Il processo di Agenda 21 viene avviato in Val Bisagno
2003/2004
Viene attivato un forum col fine di stabilire strumenti per il Piano di Azione per la Sostenibilità; vengono inoltre organizzati 4 tavoli tematici (cambiamenti climatici, natura e biodiversità, qualità della vita/sostenibilità sociale, natura e rifiuti)
2009/2010
Emergono tra i punti di debolezza ad esempio per quanto riguardano commercio e turismo una “mancanza di strategia di valorizzazione delle tradizioni, scarsa cura del centro storico con ricorso a interventi meramente architettonici, scadimento del tessuto sociale ed economico del centro storico, scarsa conoscenza dei luoghi e delle potenzialità degli stessi, mancato utilizzo di aree dismesse”; per quanto riguarda invece la qualità della vita si parla di “degrado nel centro storico e in periferia, scarsa educazione civica, problemi di sicurezza e disagio diffuso nel frequentare alcune zone della città”. Riscontriamo però anche dei lati positivi: la presenza di eccellenze storico/architettoniche, di volontariato sociale, socio sanitario e ambientale, il contatto tra culture diverse e la reciproca conoscenza. Nel testo inoltre viene analizzato il processo partecipativo assunto dal Comune di Genova e viene definito come contraddittorio. Queste iniziative infatti hanno permesso ai cittadini di sperimentare gli aspetti positivi della partecipazione, ma allo stesso tempo i suoi limiti: risulta un irrisolto passaggio dalla fase di ascolto a quella di codecisione. Nel piano urbanistico si delineano alcuni strumenti da costruire per varcare questi limiti: la costituzione di assemblee, forum, tavoli di cittadini per definire una vera e propria urbanistica partecipata e coinvolgere la cittadinanza allo stesso tempo sulle decisioni riguardo alle destinazioni del budget attraverso il bilancio partecipato. Tra questi strumenti è stato istituito l’URBAN CENTER, che comprende blog, wiki, sondaggi e forum attivando forme di dibattito pubblico su progetti infrastrutturali e scelte urbanistiche. Ecco alcuni esempi di progettazione partecipata a Genova. Open Genova
Viene svolta un’indagine SWOT tra i Municipi
Nell’indagine di cui sopra vennero compilate schede riguardo ai punti di forza, punti di debolezza, opportunità e rischi sul piano ambientale e della salute umana. Ciò permise ai Municipi di collaborare in maniera diretta all’analisi per la redazione del Piano Urbanistico Comunale. Questa indagine risulta utile ai fini di questa tesi poichè dalle tabelle sul Municipio Centro Est è possibile ricavare informazioni importanti sul centro storico e sulla sua situazione attuale.
Open Genova è un’associazione nata nel dicembre 2012 per promuovere la cultura e la valorizzazione delle idee e dei progetti creativi degli abitanti fornendo una formazione digitale per tutti (politiche wiki, open source, cittadinanza digitale e partecipazione), nonché per avvicinare cittadini e pubblica amministrazione con strumenti digitali e stimolare la trasparenza della Pubblica Amministrazione Locale. Ritroviamo quindi fortemente l’utilizzo delle nuove tecnologie come mezzi di condivisione e coesione sociale. Open Genova, in collaborazione con Regione, Comune e Municipi, associazioni e realtà presenti nei quartieri, ha presentato alcuni progetti tra cui Partecip@, Genova digitale, Rileggere il Territorio e Verde Comune. 21
Il primo è un progetto lanciato dal Municipio I Centro Est nel marzo 2014, che invita i cittadini a presentare progetti riguardo alla “manutenzione straordinaria e riqualificazione di spazi pubblici e/o edifici comunali, da realizzare in cinque unità urbanistiche del Municipio”. I cittadini hanno avuto la possibilità attraverso questo progetto di proporre interventi e di selezionarli sulla pagina web del portale Urban Center. Il progetto è nato in seguito all’approvazione da parte del consiglio municipale del regolamento per la democrazia partecipata (Del. N.49/2013) e ha previsto la pubblicazione di un bando nel marzo 2014 con successivi incontri formativi nei quartieri e la verifica di fattibilità dei progetti presentati. Dei 25 progetti giudicati ammissibili dalla commissione tecnica, 8 sono stati proposti da cittadini singoli e 17 da associazioni. Hanno partecipato inoltre alla fase successiva di selezione oltre 3.500 cittadini residenti e 600 non residenti. I progetti riguardano ambiti dalla riqualificazione di aree del territorio cittadino ad iniziative improntate sulle esigenze di gioco all’aria aperta dei bambini. Altri temi fortemente presenti nei progetti sono le scuole, la sicurezza, la vivibilità, l’aspetto estetico del quartiere e gli impianti sportivi. Quasi la totalità degli interventi prevede la compartecipazione finanziaria dei proponenti ed interventi di volontariato per la realizzazione. Il progetto Rileggere il Territorio, invece, voluto dal Municipio Centro Est e sostenuto da Palazzo Ducale e dall’Università degli studi di Genova, aveva lo scopo di creare una mappatura del centro storico di Genova, sia in termini di soggetti attivi, sia in termini di azioni che vengono svolte sul territorio. Sul portale è infatti possibile accedere ad una mappa che individua le associazioni attive presenti e le relative attività, con lo scopo di rendere il contesto trasparente e di creare una rete tra chi si presenta sul territorio in maniera attiva.
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Open Genova, inoltre, ha presentato anche una bozza di regolamento al fine di favorire la partecipazione a livello legislativo: “Suggerimenti forniti da Open Genova alla pubblica amministrazione nell’ambito del regolamento sui beni comuni nel settembre 2016” Caserma Gavoglio Nel febbraio 2014 la Civica Amministrazione ha acquisito la Caserma Gavoglio, immobile costruito nel 1838 e sotto la categoria “le antiche difese della città”, attualmente in disuso, col fine di attivare un processo di riqualificazione, in quanto sito di interesse storico e culturale e grande risorsa di interesse degli abitanti del Lagaccio, tessuto urbano e sociale “segnato da problemi ambientali, infrastrutturali e di degrado urbanistico”. L’Amministrazione Comunale ha scelto di seguire un percorso di dialogo, comunicazione e confronto con i cittadini, le associazioni e gli enti, co-progettato da Comune, Municipio Centro Est e dalla rete Voglio la Gavoglio. La finalità di questo percorso è stata stendere il Programma di Valorizzazione rendendo pubblico e trasparente il metodo di acquisizione dei pareri e di stesura della sintesi finale. Il processo, che ha preso luogo tra marzo e dicembre 2015, ha previsto nell’ordine: un seminario informativo aperto alla città, iniziative di animazione nel quartiere, riunioni tematiche, workshop a tema in varie sedi, un incontro pubblico di esposizione degli esiti della fase di ascolto, un successivo incontro di consultazione e la finale inaugurazione della “Casa di Quartiere” con evento pubblico di restituzione dei risultati del percorso.
Secondo il programma di valorizzazione, sono state esposte alcune ipotesi progettuali per la riqualificazione e il riuso. Attraverso il percorso di partecipazione e le indagini svolte sul sito, viene prevista in generale la realizzazione di una quota molto consistente di spazi verdi attrezzati per il tempo libero, lo sport e il gioco con previa demolizione degli edifici industriali non vincolati.
Il caso più positivo riguarda il Quartiere della Maddalena: un quartiere situato nel centro storico che presenta problemi di degrado fisico e sociale. In questa occasione, il percorso di partecipazione ha comportato la produzione di un “Patto per lo sviluppo locale”, condiviso da associazioni e commercianti del luogo al fine di favorire interventi di riqualificazione urbana, che sono stati finanziati da un bando regionale del 2009.
I due scenari presentati sono denominati “Minimo comun denominatore” e “Spazio Lab”. In entrambi i casi sono previste funzioni quali: piazza pubblica con verde, aree gioco e pubblici esercizi, biblioteca, asilo nido, sala polivalente per spettacoli, attività culturali e associative, attività artigianali, studi professionistici, alloggi privati, alloggi per studenti e nel secondo caso anche spazi per produzione cinematografica e musicale.
I temi individuati erano: aumento della sicurezza reale e percepita, miglioramento delle condizioni di contesto (illuminazione, pulizia, valorizzazione accessi, segnaletica ecc.), valorizzazione ed utilizzo del patrimonio urbanistico esistente, rinforzo e sviluppo della presenza delle imprese, supporto alla semplificazione delle procedure, recupero identità e miglioramento dell’immagine della zona attraverso la costruzione di un progetto culturale, economico, urbanistico e sociale che favorisca il senso di appartenenza di chi vi opera. Con questi scopi sono stati creati dei tavoli di lavoro e sono stati attivati due laboratori della Maddalena (uno dedicato all’urbanistica, l’altro di carattere economico sociale). Il gruppo di lavoro Animazione e Comunicazione ha elencato come risultati attesi 2 contratti di locazione per i due laboratori, 5 eventi di animazione e microinterventi urbanistici.
Nel territorio di Genova è stato inoltre promosso un percorso di partecipazione finalizzato alla rappresentazione di un Master Plan per la Valle Scrivia in cui venissero individuate aree industriali dismesse o destinate a servizi non più attivi, con necessità di recupero e rifunzionalizzazione. Il caso dell’area Boero (Genova-Molassana) descrive l’utilizzo del metodo di partecipazione come mezzo per ristabilire il dialogo tra l’Amministrazione comunale e gli abitanti, siccome si ha interrotto l’iter del progetto edilizio che già si trovava in fase avanzata a questo scopo. Questo caso ha portato ad una sensibilizzazione degli amministratori sul tema della partecipazione ed ha comportato l’approvazione nel 2009 da parte del Consiglio Comunale delle “Linee guida per la definizione operativa dei processi di partecipazione in ambito di trasformazione urbana”. Il caso dell’ex area Verrina (Genova-Voltri) ha previsto invece una partecipazione sviluppata su due ipotesi progettuali, che ha consentito di entrare nel merito di alcune problematiche e di fornire un quadro di conoscenze che consentissero di valutare le opere realizzabili. Anche in Val Bisagno i percorsi di partecipazione sono stati molteplici: questo quartiere infatti ha sperimentato forme di inclusione investendo molto nella formazione dei cittadini su tali tematiche. Tra gli attori di queste iniziative, l’associazione “Amici di Ponte Carrega”, un gruppo di cittadini che rivendica il diritto di poter dire la propria sul territorio in cui vive. L’idea iniziale era quella di informarsi e informare la cittadinanza riguardo alle operazioni attivate sul quartiere, principalmente in seguito all’alluvione del 2011, evento che ha comportato una maggiore solidarietà tra gli abitanti.
Riguardo a questi ultimi, che più ci interessano, il gruppo di lavoro Maddalena Lab ha previsto la progettazione partecipata tra le altre cose di: insegne, totem, vele, striscioni, percorsi, verde, allestimenti, chiusura con cancelli di alcuni vicoli, rimozione barriere fisiche e nuovi corpi illuminanti. Quest’ultimo progetto si avvicina molto all’iniziativa intrapresa con questa tesi, sia per una questione di appartenenza al centro storico, sia per la concretezza a cui si è giunti nel definire gli interventi urbanistici di piccola scala che mirano a migliorare la qualità di vita e la percezione degli spazi pubblici.
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3.2 Il centro storico di Genova
3.3 La storia della movida
Giungiamo così a trattare del tema del centro storico di Genova, nucleo della città vecchia, un quartiere molto denso che conserva nelle sue tipologie architettoniche e nelle sue caratteristiche identitarie forti una storia ed un patrimonio immenso. Vengono nominate “vicoli” e “caruggi” le piccole stradine che si insinuano tra un edificio e l’altro, quasi come fossero parte di un labirinto in cui i visitatori, ad ogni angolo, possono scoprire nuovi dettagli e nuovi percorsi.
La vita notturna nasce a partire dal momento in cui l’illuminazione notturna delle metropoli europee ha permesso di estendere la giornata, ma il fenomeno in particolare della movida nasce a Madrid: la movida madrileña fu inizialmente un movimento sociale ed artistico che nacque in Puerta del Sol con la fine della dittatura di Francisco Franco a partire dagli anni Ottanta. A partire da questa prima ondata del fenomeno, per lungo tempo il termine Movida ha evocato l’idea di luoghi urbani della creatività e del buon vivere, spazi delle città (spesso i centri storici) in cui esercizi e spazi pubblici forniscono opportunità di relazioni, incontri e scambi che incentivano la creatività e favoriscono la nascita di concreti progetti d’impresa (dal cinema alle arti figurative, dalla moda alle nuove tecnologie) migliorando la qualità della vita nella città.
“Case alte, fino a tredici piani, vie strettissime nella città vecchia, fresche e maleodoranti, di sera una fitta folla, durante il giorno quasi solo bambini. I loro panni sventolano come bandiere di una città in festa. Cordicelle tese da una finestra a quella di fronte. Durante la giornata sole pungente in quelle viuzze, riflessi metallici del mare, dovunque una luce abbagliante… Come andava gradatamente sparendo lontano la grande Genova notturna, disseminata di luce, assorbita dal chiaro di luna, così come un sogno trapassa in un altro…” (Paul Klee, Diario italiano,1902, p. 64)
Nell’ambito di questa tesi il centro storico di Genova viene considerato in relazione al fenomeno della movida, in quanto, da qualche anno a questa parte ospita una grande quantità di persone nell’arco delle ore serali e notturne. Il fenomeno si è sviluppato in maniera spontanea senza che gli spazi pubblici venissero preparati ad accoglierlo. Inoltre, in quanto luogo storico, ricco di rilevanze artistiche e culturali, necessita di una particolare attenzione e cura da parte di chi lo vive. A partire da questi concetti nasce infatti la necessità di analizzare in primis il fenomeno della movida, la sua storia nel contesto genovese e infine i bisogni che comporta, in stretta relazione con i luoghi in cui si svolge. 24
Questo concetto, presente nel Rapporto Finale “Le opportunità della Movida: andare oltre la deriva circense dei centri e luoghi storici delle città italiane” presentato da FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), viene definito Buona Movida, ossia quella che tutt’oggi descriveremmo come una movida che in primis fornisce l’opportunità di relazionarsi con gli altri, svagarsi e allo stesso tempo accrescersi personalmente. Oggi l’accezione culturale di cui il rapporto parla si è un po’ persa: rimane viva nelle menti di molti, ma non tanto nella realtà dei fatti. Infatti, nella maggior parte delle città italiane, risulta visibile che questo fenomeno abbia cambiato la propria accezione, legandosi principalmente al divertimento, all’animazione e più di tutti al consumo di alcol. Quest’ultima connotazione viene definita dal rapporto Mala Movida, “il nemico più viscerale e distruttivo della Movida come opportunità virtuosa” e vengono rintracciati i motivi della sua nascita dalla sempre più crescente domanda di alcolici, soprattutto tra giovani ed adolescenti e dalla concentrazione di attività take away che ne forniscono un’offerta incontrollata.
3.4 Alcuni dati sulla movida italiana
Nel 2013 è stata svolta inoltre da Fipe un’indagine sulla movida italiana. Nelle tabelle del rapporto finale vengono raggruppate le risposte della popolazione in rapporto alla classe di età, al luogo in cui vivono e al reddito. Alcune delle domande sottoposte sono: -
I motivi per cui si recano la sera e/o la notte nel centro storico del proprio comune o di comuni limitrofi; L’opinione sull’importanza che hanno i luoghi in cui si concentrano locali dove divertirsi/stare insieme per le città; L’opinione sulla movida La frequenza con cui si recano nel centro storico del proprio comune o di comuni limitrofi la sera e/o la notte.
Primo dato rilevante utile agli scopi di questa tesi è il target di persone che più vive il centro storico durante la sera in Italia: la classe di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Inoltre l’indagine riporta che una grande maggioranza di persone considera la movida positivamente, ossia legata ai concetti con cui essa è nata negli anni ‘80: fattori culturali e di condivisione. Il 55,8% delle persone infatti ha di essa un’opinione positiva, collegandola a luoghi della città dove si può passeggiare, mangiare, bere, stare insieme ad amici, posti dove trascorrere momenti piacevoli; il 25,5% invece considera la movida negativamente a causa dei troppi locali, delle persone che si ubriacano, del rumore eccessivo e ritiene questi luoghi spazi da cui stare lontano. Il 18,7% delle persone invece non sanno cosa sia la movida, in particolar modo coloro che hanno più di 65 anni.
In ogni caso la movida ormai risulta radicata nelle città italiane e, soprattutto per i giovani, viene considerata un mezzo per stimare la qualità di vita di una città, soprattutto ai giorni d’oggi che viaggiare e trasferirsi sembra alla portata del giorno, oggi che i giovani “scappano” dall’Italia alla ricerca di lavoro e di una nuova vita. Inoltre la movida è un fenomeno strettamente legato all’economia italiana: si parla di 70,7 miliardi di euro che circolano in un anno e 1,4 milioni di occupati nel settore. Quando si parla di movida si parla quindi anche di economia, sociologia e urbanistica. Per questa serie di motivi, il fenomeno non va arginato nè limitato; va regolarizzato e organizzato sulla base dei bisogni delle persone per far sì che non si parli più di Mala Movida, ma che questa torni ad avere un’accezione positiva. In questo senso la pianificazione e l’urbanistica possono giocare un ruolo fondamentale solo se strettamente legate ad indagini sociologiche, siccome il fenomeno di cui parliamo è complesso, vario e dinamico.
3.5 Tornando a Genova... Agostino Petrillo, professore di Sociologia dell’ambiente e del territorio al Politecnico di Milano, ha tenuto una lezione l’11 gennaio 2016 a Genova, dal titolo “Vecchia e nuova movida nel centro storico genovese”, durante una serie di incontri organizzati da Università di Genova, Palazzo Ducale, Associazione S.Maria di Castello e Municipio I, sul tema del mutamento sociale. Petrillo ha raccontato la movida che ha vissuto tra il 1975 e il 2015, che, a seconda degli anni e del contesto culturale e sociale, è cambiata situandosi in località della città differenti. Egli scrive che negli anni Sessanta è Galleria Mazzini il sito principale della movida, luogo di ritrovo di intellettuali e personalità curiose e che successivamente diventa Piazza Tommaseo, sulla cui scalinata si incontravano i primi hippies. La storia che il sociologo descrive in maniera più approfondita però parte dal 1975, anno in cui si trasferisce a Genova e inizia a vivere personalmente il fenomeno, nel contesto di Piazza De Ferrari, all’epoca un ambiente molto vivace in cui di sera si incontrava “una umanità estremamente varia, sia dal punto di vista degli interessi che della composizione socio-demografica”. Qui convivevano infatti studenti, politici, intellettuali, artisti, mescolati persino con la piccola criminalità, che bivaccavano sulle aiuole che all’epoca circondavano la fontana e sotto i portici dell’Accademia. La regola della serata era non darsi appuntamento, ma arrivare in piazza e vedere chi c’era, dinamica riscontrabile nei concetti di “contatti passivi” e “attività derivate” presenti nelle piazze di Jan Gehl, un architetto danese che ha dedicato i suoi lavori alla progettazione di luoghi a misura d’uomo e di spazi pubblici vivibili, venendo considerato nei suoi anni (dal 1965) un outsider e opponendosi ai dogmi del Modernismo. 25
In Piazza De Ferrari, infatti, descrive Petrillo, si instauravano relazioni e conoscenze nuove, in particolare durante l’estate in cui i gruppi di appartenenza di rarefacevano a causa delle vacanze. Inoltre, era possibile notare che in questa fase i gruppi che condividevano gli stessi interessi si ritrovavano in specifiche zone della piazza, dando loro così un significato simbolico. Fino agli anni Settanta, inoltre, la piazza era un luogo molto cosmopolita, un luogo in cui si sentivano parlare più lingue: in particolare l’inglese siccome c’erano persone che avevano forti contatti con Londra e spesso pendolavano tra le due città. Con l’avvento degli anni di piombo, la piazza perse la sua funzione socio-culturale e divenne semplicemente un luogo in cui si ci si dava appuntamento per poi passare la serata altrove. Un esempio degli anni successivi, che hanno avuto come sfondo la crisi della città, la de-industrializzazione e il dilagare della disoccupazione giovanile, è la spiaggia di San Giuliano, all’epoca libera, in cui ci si avvicinava ad una dimensione di “alternativismo” fondamentalmente estetico-contemplativa.
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Qui si incontrava una gioventù sfaccendata, come la definisce il sociologo, una gioventù che faceva risuonare la propria insoddisfazione con i bongos e il consumo delle droghe. Alla fine degli anni Ottanta nacquero nuovi luoghi di aggregazione: i “centri sociali di seconda generazione” (Petrillo, 2016, in https://genovaquotidiana.com/wp-content/uploads/2016/02/vecchia-e-nuova-movida-nel-centro-storico-genovese.pdf). Primo tra tutti la “Officina” di Via Madre di Dio, attiva negli anni 198991 che diede il via alla successiva diffusione di altri centri sociali e che consisteva in un cocktail di politica radicale, musica e cultura (concerti, dibattiti, mostre ed installazioni artistiche sono le attività principali). Nella seconda metà degli anni Novanta il centro storico, che precedentemente costituiva il backstage della vita di Piazza De Ferrari, iniziò ad essere frequentato e aprirono nuovi locali grazie alla ristrutturazione e pedonalizzazione di grandi sue parti. Anche la realizzazione della nuova facoltà di Architettura in Stradone S. Agostino ha contribuito a rendere viva questa zona, in cui, pioniere tra gli altri è il bar “Le Corbusier”, dove inizialmente si incontravano gli studenti di architettura, ma che in seguito divenne un punto di riferimento importante per il centro storico in generale.
Il fenomeno in breve tempo coinvolse anche la vicina Piazza delle Erbe in cui i bar cominciarono a rimanere aperti anche la sera. Il centro storico, precedentemente degradato, iniziò così a rinascere: i prezzi delle abitazioni salirono e alcune aree diventarono appetibili, favorendo interessi di nuove élites e quindi comportando un processo di rinnovamento del tessuto sociale nonché della composizione del quartiere. Iniziarono a proliferare così nuovi locali di intrattenimento, ristorazione, happy hours e svago notturno: nacque così la movida dei vicoli che coinvolgeva giovani di età compresa tra i 20 e i 35 anni.
Questo processo di gentrification a macchia di leopardo, procedendo però in maniera selettiva, ha creato barriere tra i vecchi residenti e i nuovi arrivati: stili di vita differenti e differenti maniere di utilizzare lo spazio pubblico hanno portato ad aspri conflitti, petizioni e proteste ufficiali da parte dei comitati di cittadini e a nuove ordinanze da parte dell’amministrazione per le limitazioni alla vendita di alcolici e per la presenza di polizia. Questo processo non avvenne solo a livello locale, ma ha iniziato a far parte del fenomeno dell’evoluzione dell’economia della notte presente a livello internazionale. Il concetto di movida infatti ha acquisito grande importanza in moltissime città ed è nata l’idea che, per scegliere il luogo in cui vivere, caratteristica importante tra le altre fosse il tipo di vita notturna che veniva offerta.
Conclusione dell’articolo del professore è che “La movida attuale appare molto distante da quella dei tardi Settanta”, non più segnata da interessi culturali e necessità di incontro, ma da “una dimensione di trasgressione controllata” in cui l’alcol è elemento essenziale ed in cui non c’è rispetto per gli spazi in cui essa si svolge
3.6 Le problematiche della movida Arrivati così ai giorni nostri, iniziamo ad analizzare il fenomeno attuale e a capire inizialmente attraverso fonti indirette quali sono le problematiche principali e quindi le prime esigenze dei cittadini. Tramite gli articoli di giornale e una prima analisi sul campo è possibile indicare le prime ed evidenti problematiche relative alla movida nel centro storico di Genova: rumore, insicurezza, sporcizia, violenza, conflitti tra residenti e fruitori, eccesso di alcol, differenza nell’appropriazione degli spazi di giorno e di notte. Vengono riportati di seguito alcuni significativi titoli di quotidiani. 27
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3.7 Le nuove ordinanze Il dibattito presente attualmente nel contesto cittadino riguardo al tema della movida nel centro storico è molto vivo e caldo; per capirlo è necessario esaminare le ultime ordinanze emesse dalla Pubblica Amministrazione, a partire dal 2016. Il 20 aprile del 2016 è stata emanata un’ordinanza (n.133) dal precedente sindaco Doria che prevedeva: -
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Tutti gli esercizi di vicinato che vendono bevande alcooliche devono chiudere entro le ore 21.00 di ogni giorno; Attività di somministrazione di alimenti e bevande nonché attività artigianali devono chiudere entro le ore 01.00 da lunedì a venerdì ed entro le ore 02.00 del giorno successivo il venerdì, il sabato e tutti i prefestivi; Le attività di somministrazione di alimenti e bevande e gli esercizi di vicinato che possono rimanere aperti dopo le ore 21.00 non possono vendere bibite in contenitori di vetro o lattina dopo le ore 22.00; Nei circoli privati le attività rumorose che si svolgono all’interno devono esaurirsi entro le ore 24.00. La somministrazione di alimenti e bevande deve cessare entro le ore 01.00 da lunedì a venerdì ed entro le ore 02.00 del giorno successivo, il venerdì, il sabato e tutti i prefestivi; Tutti i locali devono affiggere l’orario di effettiva apertura e chiusura e chi somministra alimenti e bevande deve collocare contenitori per rifiuti e svuotarli
Questa ordinanza ha scatenato una manifestazione dal nome “Nessuno spenga il centro storico” l’8 novembre 2016 nata in seguito ad una petizione lanciata sui social network per chiedere “presidi fissi sul territorio da parte delle Forze dell’Ordine, una movida sana, rispettosa, ma anche rispettata, tutela della legalità e, ovviamente, la modifica all’Ordinanza anti Movida”. I principali promotori sono stati l’organizzazione “Ora basta Genova”, il Civ di piazza delle Erbe, Ascom, Fepag, Confesercenti e Arci. L’obiettivo era quello di non far morire il cuore pulsante della città, lottare per la fruizione della cultura e non solo per la sopravvivenza dei locali. «Siamo certi – aggiungono Confesercenti, Ascom e Arci – che una buona “movida” regolata e controllata, possa e debba svolgere una funzione sociale importante di aggregazione e condivisione, oltre ad essere motivo di attrazione per turisti, giovani e studenti senza per questo compromettere i diritti alla salute degli abitanti presenti nell’area. Anche grazie alla movida è stato possibile intraprendere il percorso che ha portato alla rivalutazione del territorio e che ha sottratto la maggior parte dei vicoli e delle piazze allo spaccio, alla delinquenza e alla prostituzione» (Gaviglio, 2016, in www.confesercentiliguria.it). Essi tra le altre cose richiedevano che venisse istituito un Osservatorio, come previsto dal Regolamento di polizia annonaria per la convivenza tra le funzioni residenziali e commerciali nella città di Genova. Questo Osservatorio dovrebbe prevedere un confronto continuo tra tutte le realtà presenti nel territorio, le forze dell’ordine nonché la polizia municipale al fine di tutelare e migliorare la vivibilità del centro storico. Inoltre punto fondamentale era quello di incentivare la presenza dei cittadini e dei turisti nel centro storico in maniera tale da animarlo e strapparlo al degrado garantendo presidio ed illuminazione. Secondo loro l’apertura prolungata degli esercizi commerciali può garantire sicurezza ed accoglienza a questi scopi.
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Sabato 11 febbraio 2017 è stata svolta una “street parade” per le strade del centro storico con lo scopo di dire no all’ordinanza anti movida sopracitata. L’evento, nominato “Vicoli in danza contro l’ordinanza” è stato organizzato per l’occasione da associazioni del territorio e locali storici (tra questi Lemon Label, Parteciparty, Quaalude) con lo scopo di trasformare la vita notturna dei ragazzi della città da problema da gestire in risorsa da sfruttare. Sono stati previsti concerti e spettacoli in alternativa alla solita “movida da bere” di cui si parla che non dà l’offerta culturale che i ragazzi vorrebbero. L’evento si è svolto tra Piazza S.Giorgio, Piazza S.Lorenzo, Piazza Matteotti, Piazza delle Erbe, Piazza Renato Negri, la chiesa sconsacrata di architettura e Piazza Sarzano. Con lo scopo di dare un’idea di movida sana, i ragazzi che hanno organizzato l’evento, in collaborazione con AMIU hanno percorso i vicoli con dei bidoni della spazzatura, al fine di non lasciare sporcizia e dimostrare che può esistere un divertimento sano.
Dopo 20 giorni, viste le proteste, il sindaco ha aggiunto al provvedimento nuovi punti, decidendo di andare incontro anche se solo in misura limitata alle esigenze dei pubblici esercizi: L’orario di chiusura non muta, ma le pulizie e il riordino dei locali può avvenire dopo l’orario; Viene introdotto il divieto di riapertura prima delle ore 05.00 (siccome qualche locale chiudeva e riapriva); Divieto per tutti di vendere bevande in vetro e lattina dalle ore 22.00 alle ore 06.00; Perimetro dell’applicazione dell’ordinanza viene esteso ai chioschi in prossimità di Palazzo S. Giorgio; Anche i circoli culturali di “produzione musicale” devono chiudere alle ore 01.00 del giorno successivo dalla domenica al giovedì e fino alle ore 02.00 il venerdì, il sabato e i prefestivi (come gli altri esercizi di somministrazione). 30
L’ordinanza attuale è stata emanata il 28 ottobre 2017 dall’attuale sindaco Marco Bucci e prevede: Bar, ristoranti e pub devono chiudere alle ore 03.00 tutti i giorni della settimana; - Minimarket e negozi di vicinato che vendono alcolici devono chiudere alle ore 21.00; - Previsione di multe minime da 200 euro per chi butta rifiuti a terra, fa la pipì per strada o compie gesti che possono offendere o disturbare gli altri; I circoli privati possono somministrare alcolici fino alle ore 03.00 e restare aperti anche dopo l’orario stabilito per i bar rispettando le norme previste per chi svolge attività rumorose; - Previsione di rinforzo del servizio notturno di controllo per opera dell’Arma.
Anche quest’ultima ha scatenato proteste principalmente da parte dei residenti (in primis nella zona tra Piazza delle Erbe e S. Donato in cui sono state raccolte 150 firme di petizione). Dalle ordinanze sopracitate, è possibile riscontrare un conflitto molto forte sugli orari di apertura e chiusura dei locali e sulla somministrazione di alcolici. Gli orari influiscono sia sul sonno dei residenti, che sulla possibilità di lavoro da parte dei commercianti, nonché sulla possibilità di protrarsi o meno della serata per chi vive la movida. Questo perché attualmente il fenomeno si svolge principalmente all’aperto e si basa sulla possibilità di comprare alcolici. Nel momento in cui infatti i locali chiudono, la gente è obbligata a spostarsi in un altro luogo e i vicoli, che di per sé hanno la nomea di essere pericolosi per la loro caratteristica di essere spazi stretti e poco visibili, raggiungono questo possibile grado di pericolosità.
Le proposte riguardano: -
3.8 Esempi di soluzioni proposte a Genova al di là delle ordinanze Sono stati intrapresi numerosi tentativi per conciliare le esigenze dei cittadini e aumentare la vivibilità negli spazi della movida. Il 2 novembre del 2017 è stato presentato il concorso “Buena Movida 2017” che prevede l’assegnazione di un premio da parte dei residenti nel perimetro Prè-Molo-Maddalena al locale che riesca a coniugare musica e divertimento dei giovani con il diritto al riposo dei residenti. Sono inoltre stati previsti steward per controllare gli accessi ai luoghi della movida e viene predisposta una riunione dell’Osservatorio tra istituzioni, residenti e commercianti per verificare gli esiti dei nuovi provvedimenti. Inoltre si è iniziato a puntare sulla formazione nelle scuole superiori per prevenire il binge drinking, ossia l’assunzione di numerose unità alcoliche al di fuori dei pasti e in un breve arco di tempo, attraverso incontri con esperti medici di alcologia e dipendenze. Altro esempio proposto è il manifesto della notte, una proposta pubblicata nel maggio 2017 da parte di Genova che osa, un manifesto di idee dei giovani dell’associazione politica Rete a Sinistra, in cui viene analizzato il fenomeno della movida e viene proposto un approccio differente rispetto a quello delle ordinanze.
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Il sindaco della notte: “una figura istituzionale che promuova l’economia e la qualità della vita nelle ore notturne, ponendosi da mediatore tra la domanda di vita notturna e le esigenze di chi, nei quartieri della movida, ci abita” (Azzolini L., 2017, in www.genovacheosa.org); una figura che possa favorire la scena culturale, artistica e musicale locale, che conosca i mondi che ne fanno parte e faccia mediazione tra i commercianti, i residenti, gli operatori culturali e i giovani per trovare soluzioni di progettazione condivise (è una figura già presente nelle principali città europee e nel 2016 si è tenuto un incontro internazionale tra i sindaci della notte delle varie città, da Londra ad Amsterdam, in cui sono state condivise le buone pratiche sperimentate); La rifunzionalizzazione di immobili inutilizzati e in stato di abbandono: alcune zone e luoghi fisici (spazi aperti e spazi chiusi) devono essere caratterizzati affinché diventino poli di aggregazione ludico-culturale alternativi alla sola movida da bere. L’obiettivo è far defluire le persone dalla mezzanotte in poi dai vicoli in altre zone che attualmente sono inutilizzate e in fase di degrado come: edifici ex industriali del Porto Antico, I forti di Genova, le zone aperte come i giardini di plastica, altri parchi pubblici, le ville nei quartieri di Sanpierdarena, Cornigliano o nel Levante; La co-progettazione di attività musicali, festival, spettacoli, eventi per la notte in luoghi in cui la densità abitativa è minore che nel centro storico; Un patto per la musica che preveda un tavolo permanente tra coloro che promuovono musica dal vivo ed eventi culturali; Un nuovo piano per la mobilità notturna al fine di favorire lo spostamento notturno su mezzi pubblici; Un piano di sensibilizzazione contro l’abuso di alcol. 31
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“C’è la necessità di un catalogo di possibili strategie” (Nicoletta Piersantelli)
“I vicoli devono ringraziare la movida poiché ha rivalutato enormemente il centro storico” (Marianna Pederzolli)
“La cura dello spazio pubblico è un fattore predominante” (Marco Montoli)
“La movida è un organismo in continuo cambiamento, evoluzione” (Domenico De Simone)
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Nonostante le varie ordinanze, le proposte e le idee di prendere spunto da buone pratiche presenti all’estero, pare che non si sia trovata una soluzione a questo fenomeno che possa favorire allo stesso tempo l’economia, il sonno dei residenti, lo svago dei giovani, il lavoro dei commercianti e la possibilità di sostare senza pericoli in un luogo pulito. Risulta evidente che in questo contesto siano coinvolte molte persone con interessi differenti e che il modo migliore per facilitare questi conflitti nel rispetto di tutti sia appunto il coinvolgimento dei cittadini.
4. LE FASI DI LAVORO
Dopo aver delineato la ricerca di sfondo, giungiamo cosĂŹ alla seconda fase del lavoro di questa tesi.
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4.1 Individuazione degli stakeholders e interviste semi-strutturate Per raggiungere gli scopi di questa tesi è stata necessaria una prima fase di raccolta di informazioni riguardo ad esperienze di partecipazione sul tema movida del centro storico che già erano state svolte in maniera tale da avere un punto di partenza concreto sulla base del quale lavorare. Per prima cosa sono stati individuati gli stakeholders da cui trarre informazioni, in particolar modo il primo, tramite il quale poi si è venuti a conoscenza di altre esperienze da indagare. Il metodo adottato per questa raccolta di informazioni è stato l’intervista semistrutturata. L’intervista viene definita “una conversazione provocata dall’intervistatore, rivolta a soggetti scelti sulla base di un piano di rilevazione e in numero consistente avente finalità di tipo conoscitivo, guidata dall’intervistatore, sulla base di uno schema flessibile e non standardizzato di interrogazione” (“Metodologie e tecniche della ricerca sociale” Corbetta, 1999) Corrisponde ad un metodo qualitativo di acquisizione di informazioni, ossia un metodo che si distingue da quelli quantitativi per: assenza di standardizzazione, assenza di campione rappresentativo, intenzione di comprendere e non di documentare (non è uno strumento di rilevazione di dati, ma di comprensione della realtà sociale) e caratterizzazione di un approccio centrato sul soggetto e non sulle variabili (il ricercatore vuole ricostruire storie, non studiare le variabili). Le domande che l’intervistatore pone sono infatti finalizzate a spingere l’intervistato verso l’osservazione critica di sé e del proprio agire e a esplicitare gli esiti di questa riflessione. L’intervista, a seconda del diverso grado di flessibilità, può essere distinta in: a. b. c.
Intervista strutturata Intervista semi strutturata Intervista non strutturata
La prima risulta più rigida delle altre, siccome prevede che l’ordine e la tipologia delle domande siano sempre gli stessi e non si possano adattare alla specifica situazione. Questo metodo cerca di mediare tra l’approccio quantitativo e quello qualitativo (consente quindi un’analisi di tipo misto). L’ultima, detta anche “libera”, non prevede che il contenuto delle domande venga prestabilito: l’unico elemento stabilito consiste nel tema generale, ma gli argomenti emergono poi spontaneamente nel corso dell’intervista.
L’intervista semi strutturata prevede invece una traccia con gli argomenti che vanno necessariamente affrontati, ma le domande risultano a carattere generale. Infatti, sulla base delle risposte via via ricevute, l’intervistatore può decidere di affrontare tematiche non previste qualora ritenga che siano utili alla comprensione del soggetto intervistato. Può essere così modificato l’ordine delle domande nel caso in cui l’intervistato anticipi alcune delle risposte e possono essere modificati di volta in volta lo stile della conversazione, le parole da usare e quando e cosa chiarire. In questo caso si è deciso in primis di adottare un metodo qualitativo piuttosto che quantitativo in quanto si conosceva poco del fenomeno studiato, ossia delle esperienze di partecipazione già svolte sul tema, e tra questi si è scelto quello dell’intervista semi strutturata in maniera tale da avere all’incirca la stessa quantità di informazioni da ciascun intervistato, ma con la libertà di modificare o porre in maniera differente le domande a seconda di ciò che emergeva. Le interviste sottoposte prevedevano una traccia simile:
4.2 Le esperienze già svolte Tramite fonti indirette si è a conoscenza del fatto che a dicembre del 2015 il Palazzo Ducale e il Municipio Centro Est, insieme a Comune e Università, hanno lanciato un progetto volto a creare un documento congiunto e alcune iniziative concrete dal basso riguardo al centro storico di Genova. 57 associazioni che animano il mondo dei vicoli hanno deciso unirsi a questo scopo in maniera tale da lavorare insieme e rilanciare il centro storico. Si tratta del progetto Rileggere il Territorio, che ha previsto ,tra gli altri, un tavolo di partecipazione sul tema della movida. Per conoscere più a fondo i dettagli di questa esperienza e i suoi esiti, è stata svolta la prima intervista semi-strutturata all’architetto paesaggista Nicoletta Piersantelli, che si sapeva aver organizzato le attività e gli incontri di questo tavolo. 35
Municipio Centro Est, Fondazione Palazzo Ducale e Università di Genova Maggio 2016/ Dicembre 2016
Nel secondo sono state create delle mappe tematiche, una sugli spazi ed una sui tempi della movida dividendosi in due gruppi. Riguardo agli spazi hanno individuato su una mappa in scala 1:5000 le principali zone della movida e quali realtà di cittadinanza attiva sono presenti in queste zone.
Fortificare la rete di associazioni del centro storico Associazioni, Asl, organizzazioni di giovani Mail o telefonata World cafè, open space, dragon dreaming, facilitazione visuale, mappe tematiche
1) Nicoletta Piersantelli: Tavolo “Giovani e Movida” “Immaginati incrociare i programmi culturali con gli interessi economici e poi quelli di sicurezza e salute. E’ difficilissimo, ma è questo il lavoro di facilitazione” “C’è la necessità di un catalogo di possibili strategie” Nicoletta durante l’intervista ha spiegato che ha avuto il ruolo di facilitatrice del tavolo “Giovani e Movida”, organizzato con il fine di creare una rete tra le associazioni e le organizzazioni presenti nel centro storico durante tre incontri. Nel primo sono stati individuati gli interessi e le competenze dei partecipanti (capire la movida, la movida come opportunità e risorsa e risposte condivise concrete) e sono stati analizzati “stato dell’arte: movida dove siamo?”, “Ostacoli e difficoltà” e “Cosa possiamo/vogliamo fare?”.
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Riguardo ai tempi il gruppo ha creato un grafico orario della movida evidenziando le attività collegate a ciascun orario, la fascia di utenze ed eventuali comportamenti.
Nel terzo sono stati individuati dalle persone che hanno partecipato alcuni spazi della città in una sezione denominata “Mappa delle potenzialità dei luoghi: non solo vicoli”. A ciascuno spazio è stato affidato un tema di utilizzo in maniera tale da favorire la dispersione della movida e l’appropriazione di altri spazi che non siano solo vicoli. Sono inoltre state presentate alcune buone pratiche prendendo spunto da ciò che già viene svolto all’estero col fine ultimo di migliorare la vivibilità della movida, quali: Movida app (comunicazione di eventi), Teens (ascolto dei ragazzi più giovani), Bere responsabile (valutazione dei consumatori su dove si beve meglio con questionari a tema, giochi e piccoli premi), Luoghi temporanei (individuazione di spazi da aprire per brevi periodi con attività mirate e a turno), Centro storico e notte (gite per le scuole al mattino presto del sabato o della domenica in centro storico), Giocare sano (calcetto, biliardo e freccette nei locali). E’ emersa inoltre da questo tavolo la necessità di una mappa di stakeholders da coinvolgere nel processo, dai commercianti ai giovanissimi, al fine di arrivare ad un piano condiviso che sia per Genova uno sviluppo culturale e non un rimedio. (Il report finale del lavoro viene riportato in allegato a questa tesi nel cd finale).
Sulla base del lavoro svolto durante il tavolo di partecipazione, il gruppo ha deciso di continuare questa esperienza ed ampliare il numero di persone coinvolte, concentrandosi principalmente sui ragazzi dei licei. In questo caso l’intervista è stata svolta a Marianna Pederzolli, presidente della commissione politiche giovanili. Gruppo Giovani e Movida creatosi in seguito al tavolo di partecipazione Febbraio 2017 Sapere dai giovanissimi (13-18) la loro definizione di movida Liceo Deledda, Liceo Leonardo, utenti online Assemblea d’istituto, Facebook Questionario, mappe per luoghi ed orari, proposte
2) Marianna Pederzolli: Mov-idea “Tanti ragazzi non conoscono il centro storico di giorno. Vengono da fuori e non hanno legame con il luogo: si sentono in diritto di distruggerlo” “I vicoli devono ringraziare la movida poiché ha rivalutato enormemente il centro storico” Esito fondamentale è stata la partecipazione attiva e coinvolta degli attori, che, sentendosi parte di un progetto comune, hanno deciso di proseguire l’attività. E’ emersa la necessità da parte loro di procedere su due fronti: uno analitico-scientifico e uno di discussione partecipata.
Il gruppo ha organizzato due assemblee d’istituto per chiedere ai giovani come sarebbe la loro movida ideale ed ha creato un questionario online in cui alle persone veniva chiesto di cosa avrebbe bisogno la movida genovese e di definire con una parola o una breve frase cosa fosse la movida per loro.
Altre personali riflessioni di Nicoletta: -
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necessità di un lavoro di sensibilizzazione. I giovani non conoscono la valenza culturale e architettonica del centro storico; idea di portare la movida fuori dai vicoli: necessità di un catalogo di possibili strategie. 37
Dalle assemblee è emersa una movida ideale con: mobilità facilitata, più comunicazione sugli eventi, calibrazione del costo degli eventi, più controlli sulla vendita degli alcolici, più panchine, un’oasi con personale paramedico, più cassonetti e più bagni pubblici.
Per quanto riguardano invece i questionari online, la principale definizione di movida era legata all’aspetto relazionale e l’89% delle definizioni vedevano la movida in accezione positiva (svago, divertimento, vita, vivacità, fermento, amici, incontro, socialità...).
Inoltre sono stati anche indicati nuovi luoghi in cui poter espandere la vita notturna per evitare l’elevata densità notturna che attualmente è presente nel centro storico: Foce, Via XX Settembre, Magazzini del cotone, Piazza della Vittoria, Piazza Piccapietra, Via Garibaldi, Via Balbi, parchi, Corso Italia, mercato di Corso Sardegna. I bisogni principali emersi sono: musica dal vivo, cinema all’aperto, mostre serali notturne, notte dei licei, più piste da bowling, schiumaparty in spiaggia, negozi aperti anche la sera, rolli days serali, artisti di strada, tornei sportivi, parchi aperti fino a tardi, musei, biblioteche e acquario aperti di sera, eventi per universitari. Elevata importanza è stata data alla mancanza di spazi pubblici condivisi e di eventi organizzati. i bisogni
Marianna ha espresso molte personali riflessioni a riguardo in quanto immersa nella scena giovanile genovese. Pensa che la movida sia una grande opportunità per la città e che bisogni adibire la notte come se fosse giorno interrogandosi su come si possano aumentare i luoghi fisici in cui far vivere una seconda parte della notte tramite attività culturali, ricreative e alternative al solo alcol. Inoltre, dice che ci sono molte piccole realtà che fanno eventi nel centro storico, ma che sono poco conosciute, motivo per cui sarebbe necessaria una maggiore informazione. Evidenzia tra i problemi principali quello della differenza tra vuoti e pieni, ossia il sovraccarico di persone in alcuni luoghi e l’abbandono in altri limitrofi. Propone come soluzione l’incentivazione alla nascita di realtà sane e attività che portino ad una crescita e ad una dispersione in vari spazi della città, contemporaneamente ad un’azione di educazione nelle scuole, perchè i ragazzi conoscano meglio gli spazi e li vivano in maniera pià rispettosa. In seguito all’indagine ha infatti riscontrato che i ragazzi si sentono in diritto di distruggere i luoghi in cui si trovano poichè non hanno legame con il centro storico, non lo conoscono. (I report del tavolo e di Mov-idea sono presenti in allegato alla tesi nel cd).
Gli elementi negativi della movida emersi sono: le dimensioni ridotte dei locali, la sporcizia, l’estrema concentrazione di persone, l’eccessivo cosumo di alcool, la mancanza di controlli nelle zone extra della movida per chi rientra a casa, la poca/nulla offerta culturale, la complessità dei permessi, gli eccessivi costi per l’organizzazione di eventi. Sono inoltre stati elencati dei possibili passi avanti da intraprendere: l’apertura di una pagina Facebook dedicata con un Google form integrato, il rilancio dell’iniziativa di partecipazione con maggiore promozione e sostegno, l’organizzazione di eventi collaterali di buona Movida. 38
Associazione Ce.sto 2012 Realizzare i giardini sulla base delle aspettative dei giovani e delle problematiche dei residenti Giovani, abitanti del quartiere, frequentanti e artisti Annunci pagina Facebook, volantini, passaparola Questionario, cassetta nel locale per lamentele e proposte, assemblee di quartiere
“In questo senso i Giardini Luzzati dimostrano come cultura e socialità solidale possano contribuire alla valorizzazione del centro storico e rompere con quegli stereotipi dell’emergenza che una cattiva politica continua ad accumulare sulla città antica”. Questa esperienza è infatti dimostrazione di una riqualificazione dal basso, dell’importanza della partecipazione e degli spazi pubblici come luoghi che contribuiscono alla crescita di sentimenti di appartenenza collettiva, della necessità di recuperare la dimensione creativa che in questo senso è molto legata al concetto di movida. Infatti i giardini risultano oggi un punto importante per la vita notturna del centro storico e rappresentano l’alternativa ad una movida che si traduce nel solo consumo di alcool o nelle tensioni con i residenti, presentando uno svago sano, in stretta relazione con il contesto territoriale e con la cultura.
3) Marco Montoli: Ce.sto “La cura dello spazio pubblico è un fattore predominante” “Prima durante la movida avevi la sensazione di fare qualcosa che accrescesse la tua esperienza e cultura personale, ora no” La spiegazione di queste ultime due interviste va correlata alla descrizione dei Giardini Luzzati, uno spazio che si trova nel centro storico, la cui storia parte dalla fine degli anni Settanta, quando la zona compresa tra Sarzano e Piazza delle Erbe si trovava in macerie in seguito ai bombardamenti e ad un periodo buio per la città. In questo contesto un gruppo di giovani volontari, che in seguito prenderà il nome di Ce.sto, inizialmente associazione e poi cooperativa per minori a rischio, decise di dar vita a questo luogo attraverso attività di doposcuola e di educazione di strada. L’esperienza, in principio difficoltosa per il riapparire delle filiere della criminalità, da cinque anni comporta una gestione capace di produrre innovazione e animazione sociale, credendo nell’integrazione e nella buona accoglienza dei profughi e rifiutando la logica delle chiusure e della paura. Il progetto dei giardini nacque infatti nel 2012 con l’intento di creare un’agorà nel cuore della vecchia Genova: un luogo di incontro aperto e di dialogo dove le proposte provenienti dal territorio possono trovare realizzazione. Questo processo di rigenerazione urbana coinvolge oggi migliaia di persone: famiglie, musicisti, turisti, bambini, giovani e rifugiati; di mattina e di notte, sette giorni su sette.
Dall’intervista a Marco Montoli, presidente dell’associazione Ce.sto, è emersa la percezione che i giovani frequentatori non avessero la minima cognizione che il centro fosse un luogo abitato, ma che lo considerassero piuttosto un luogo senza regole. Ttra le lamentele dei giovani è emersa la mancanza di luoghi in cui fare attività artistico/musicale, mentre tra quelle degli abitanti in primis il rumore e in secundis il fatto che ci siano molte attività serale, ma non diurne. 39
4.3 I “Quiz”: il metodo Quic (Quartiere in cantiere) Settembre 2011 Mediazione Residenti, fruitori della movida ed esercenti dei negozi
Tramite le interviste sono venuta a conoscenza del fatto che non sono stati ancora svolti percorsi di partecipazione direttamente nei luoghi e nei tempi della movida. È stato necessario quindi intraprendere un’indagine sul campo con gli obiettivi di individuare con più precisione gli spazi della movida, i bisogni dei fruitori, dei commercianti e dei residenti della zona e infine capire quali interventi specifici per gli spazi siano voluti e possano quindi essere progettati.
Tramite conoscenze Momenti di incontro e occasioni di festa, concorso per gli esercizi commerciali
4) Domenico De Simone: comunicazione Ce.sto “La movida è un organismo in continuo cambiamento, evoluzione” “Si possono proporre attività, ma stabilendo delle alleanze in modo che la popolazione abbia un motore proprio” L’esperienza raccontata da Domenico De Simone riguarda un’iniziativa di mediazione svolta da un gruppo spontaneo di persone nominato Quic che si è relazionato con le associazioni Ce.sto e Giardini Luzzati. L’esperienza trattata non riguardava in particolare la vita notturna, ma più in generale la qualità di vita degli abitanti dei quartieri del centro storico e le problematiche ad essi connesse. Sono stati organizzati momenti di incontro da cui è scaturita la mancanza di un carattere identitario: la mediazione infatti è risultata complicata poichè le persone non si sentivano a nessun titolo facenti parte di uno schieramento. Le personali opinioni di Domenico sono che i residenti dovrebbere vivere di più gli spazi pubblici per appropriarsene, che ci sono molte serrande chiuse sia di giorno che di notte e tante che si aprono solo di notte e che si possono proporre attività serali, ma solo stabilendo alleanze in modo che la popolazione abbia un motore proprio. Inoltre evidenzia come principale problematica la mancanza di bagni pubblici. (Le interviste integrali sono riportate in allegato a partire da pagina 92). 40
INDAGINE SUL CAMPO COSA ANCORA NON È STATO FATTO?
SPAZI PIÙ PRECISI BISOGNI PROPOSTE SPECIFICHE
COMPILAZIONE MANUALE DI UN “QUIZ”
Il “Quiz” doveva essere: piccolo, intuitivo e giocoso, velocemente compilabile, sottoponibile a qualsiasi target, con esiti facilmente estraibili, con una parte introduttiva di spiegazione e con un recapito facoltativo per l’invio degli esiti agli intervistati. L’obiettivo era quello di sottoporlo ai fruitori, ai commercianti ed ai residenti durante le ore notturne, principalmente nel fine settimana in cui erano presenti più persone, e nei luoghi che sono risultati dall’indagine precedente.
Il “Quiz” è composto da 4 pagine in formato A5
CIAO!
STO SVOLGENDO LA MIA TESI DI LAUREA IN ARCHITETTURA SUGLI SPAZI DELLA MOVIDA NEL CENTRO STORICO. LO SCOPO E’ PROGETTARE SERVIZI PER AUMENTARE LA VIVIBILITA’ DEGLI SPAZI COINVOLGENDO LE PERSONE CHE VIVONO IL FENOMENO E NE FANNO PARTE.
VUOI ESSERE PARTE DELL’INDAGINE SOCIOLOGICA? VUOI APPORTARE UN CONTRIBUTO ALL’ANALISI E ALLA PROGETTAZIONE? TI CHIEDO POCO TEMPO E UN PO’ DI IMMAGINAZIONE SE VUOI PUOI LASCIARE UN RECAPITO MAIL IN MODO CHE POSSA POI INVIARTI I RESOCONTI E FARTI SAPERE IN CHE MODO AVRAI CONTRIBUITO indirizzo email (facoltativo): ..................................
Nella copertina è prevista una spiegazione del lavoro ed una richiesta di compilazione, con possibilità di lasciare un recapito mail in modo da poter ricevere i resoconti del lavoro. Dare questa possibilità agli intervistati fa sì che essi siano più stimolati a compilarlo e si sentano più utili ai fini del lavoro. Inoltre sono state create alcune immagini dei monumenti più importanti della città per rendere ad impatto visivo l’identità di Genova e il fatto che questo lavoro sia finalizzato alla città in cui gli intervistati abitano e di cui si sentono parte. Le stesse immagini vengono rappresentate anche nella pagina seguente.
Di seguito le tre pagine seguenti del “Quiz” con un’impostazione tale da consentire a chiunque voglia replicare questo metodo, di crearlo per la propria città. 1
IDENTIFICAZIONE E SPAZI
a
Dedicare una porzione all’identificazione
b
Disegnare una mappa degli spazi pubblici
c
Inserire monumenti importanti di riferimento
d
Indicare le vie più conosciute
e
Scrivere una consegna in modo tale che le persone disegnino sulla mappa
2
GLI ASPETTI
a
Elencare alcuni aspetti generici che si pensa possano mancare
b
Consentire alle persone di aggiungerne
c
Associare ad ogni aspetto un’icona facilmente riconoscibile ed un colore
d
Per ogni aspetto indicare la possibilità di inserire un voto da 1 a 10 ed una linea per inserire un sinonimo
e
Scrivere una consegna in modo tale che le persone seguano le indicazioni
3
LE PROPOSTE
a
Ripetere le icone degli aspetti con i relativi colori
b
Per ciascun aspetto elencare possibili proposte per gli spazi
c
Lasciare la possibilità alle persone di aggiungere nuove proposte
d
Scrivere una consegna in modo che le persone seguano le indicazioni 41
PRESENTE NEL CENTRO STORICO IN QUALITA’ DI: residente commerciante turista altro
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2. traccia una linea lungo le vie in cui di solito semplicemente passi durante la sera
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VIA S.LUCA
1. indica con un cerchietto le zone che frequenti e in cui normalmente sosti durante la sera
A P.Z
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01 Nella prima pagina è presente una parte di identificazione dell’intervistato in maniera tale da avere un’idea sul target di persone con relazione alle loro opinioni e una mappa della zona individuata del centro storico che ho rappresentato in maniera tale che i luoghi siano direttamente riconoscibili (tramite la rappresentazione dei monumenti presenti e l’indicazione delle vie più conosciute). Attraverso le indicazioni presenti le persone sapevano di dover cerchiare sulla mappa le zone in cui normalmente sostano durante la sera e tracciare con una linea le vie in cui normalmente passano. 42
Questa pagina è stata quella che gli intervistati hanno impiegato più tempo per compilare, siccome dovevano riuscire ad individuare gli spazi sulla mappa. Inoltre è stata necessaria l’adozione di un supporto rigido da posizionare dietro al “quiz” in maniera tale che le persone, che normalmente stavano sostando in piedi negli spazi pubblici della movida, potessero scrivere e disegnare.
1. se pensi ci siano altri aspetti da elencare, aggiungili sulle linee fatte di puntini 2. nei cerchi metti un voto da 1 a 10: più alto è il numero più vorresti che aumentasse l’aspetto nella movida 3. scrivi sulle lineette un concetto/ sinonimo per ogni aspetto
LA
A D I
+ I E
QUIETE
RR
VO
V O
M
EL
N
SICUREZZA
PULIZIA
/10
/10
CULTURA/ BELLEZZA
/10 CONVIVIALITA’
....................
/10
/10 SERVIZI PRIMARI
/10
INFORMAZIONE ....................
/10
/10
Nella seconda pagina sono elencati alcuni aspetti che, tramite l’indagine precedentemente svolta e l’opinione personale scaturitane, sembravano mancare negli spazi della movida: Quiete, Pulizia, Sicurezza, Cultura/Bellezza, Convivialità, Servizi Primari e Informazione. Sono stati scelti sostantivi il più generici possibili per lasciare la posssibilità agli intervistati di specificare cosa intendessero e cosa veramente vorrebbero di più. Come prima cosa viene chiesto agli intervistati di pensare ad altri aspetti che secondo loro non sono elencati e, nel caso, di aggiungerli negli appositi spazi.
/10
02
In secondo luogo le persone sono invitate ad esprimere un concetto/ sinonimo per ogni aspetto in maniera generica, senza pensare precisamente al contesto in cui sono inseriti. Infine dovevano dare un voto da 1 a 10 ad ogni aspetto definendo così un ordine di importanza. In questo caso è stata necessaria una modifica durante il corso delle interviste: durante le prime sottoposte, le persone, invece che indicare un numero coloravano il cerchio, motivo per cui successivamente è stato aggiunto “/10” per indicare la necessità di esprimere un voto. 43
1. sottolinea le proposte secondo te più adatte 2. aggiungi nei puntini nuove idee che ti vengono in mente
E T S
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PO
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G
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STRUMENTI DI INSONORIZZAZIONE ..........................
FONTANELLE DELL’ACQUA
+ ILLUMINAZIONE
..........................
BAGNI PUBBLICI
SPAZI DI GIOCO
..........................
SPAZI COPERTI ..........................
SPAZI PER ARTISTI DI STRADA INSTALLAZIONI ARTISTICHE ..........................
..........................
+ REGOLAMENTAZIONE TRAFFICO VEICOLARE
+CASSONETTI +POSACENERE
+ PIANTE/FIORI
+ COLORE
PALCO PER SPETTACOLI/CONCERTI
La terza pagina è risultata quella con compilazione più rapida. In questo caso sono elencate alcune proposte specifiche per gli spazi, ciascuno relazionato ad un aspetto della pagina precedente. In questo caso le persone sono invitate ad aggiungere nuove idee nei puntini e a sottolineare le proposte che secondo loro sono più adatte. Da quest’ultima pagina sono scaturite le proposte più varie e inaspettate riportate di seguito. Nell’ultima pagina gli intervistati vengono ringraziati per il tempo dedicatomi. 44
DISPERSIONE DELLE PERSONE/ATTIVITA’ NEI VICOLI
+ SEDUTE
PUNTO INFORMAZIONE EVENTI
CARTELLONISTICA DI SENSIBILIZZAZIONE SUL CENTRO STORICO ..........................
03
Il quiz è stato creato in maniera tale che le persone potessero compilarlo anche senza la presenza dell’intervistatore. Nella maggior parte dei casi però sono stati necessari chiarimenti sul momento. Inoltre la presenza dell’intervistatore ha comportato l’assunzione di maggiori informazioni che tramite un foglio gli intervistati non riuscirebbero ad esprimere.
4.4 I “Quiz”: gli esiti
Sono stati sottoposti in totale 100 “Quiz”. Il numero non consente di definire l’analisi attendibile, ma, in questo contesto l’indagine è stata svolta allo scopo di una tesi di laurea e da una singola persona. L’obiettivo infatti è quello di definire un metodo che possa essere replicabile prevedendo una futura compilazione ad un numero maggiore di persone, magari in tempi più lunghi e tramite più intervistatori.
ETA’
TOT.
59 58 57 56 55 54 53 52 51 50 49 48 47 46 45 44 43 42 41 40 39 38 37 36 35 34 33 32 31 30 29 28 27 26 25 24 23 22 21 20
Per proseguire con il lavoro della tesi esponiamo a questo punto gli esiti dell’indagine svolta in relazione ai target di intervistati. Sulla base dei dati riportati nella prima pagina di individuazione sono stati intervistati 38 donne e 62 uomini, con età compresa tra i 16 e i 59. Tramite il grafico possiamo notare che la maggioranza di persone intervistate avevano un’età compresa tra i 16 e i 28 anni, probabilmente il target principale di persone che frequentano il centro storico durante la sera.
100
38 %
ETA’
62 %
DONNE
16
Riguardo al “ruolo” nel centro storico: 31 persone erano residenti, 6 commercianti, 4 sia residenti che commercianti, 2 turisti e 56 altro (ossia frequentatori). Questi numeri semplicemente indicano che durante i momenti in cui sono state sottoposte le interviste, la maggioranza di persone incontrate proveniva da fuori ed era venuta nel centro storico unicamente per trascorrere la serata. Questi dati, in quanto ridotti, non possono indicare nulla sul target generico della movida.
59
UOMINI
56% ALTRO
31%
Il dato che in questo contesto interessa è che sono stati ascoltati per lo più fruitori giovani della movida. Probabilmente, in un’analisi futura, bisognerebbe impegnarsi al fine di avere più o meno la stessa quantità di persone facenti parti di un ruolo, in maniera tale da avere esiti più affidabili. In questo contesto infatti gli esiti vengono analizzati sulla base di queste consapevolezze.
RES./ COMM.
RESIDENTE
4% 2%
6%
COMMERCIANTE
TURISTA
19 18 17 16
N° INTERVISTATI 1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
45
I dati ottenuti dalle interviste sono stati trascritti su un file excell, da cui poi sono scaturiti i seguenti grafici.
Per quanto riguardano le proposte, la prima richiesta risulta quella dei bagni pubblici, immediatamente seguita da un palco per spettacoli/concerti. Si evince il maggior bisogno quindi di servizi primari e cultura e bellezza.
In questo caso sono rappresentati gli esiti della seconda e parte della terza pagina: le medie delle votazioni da 1 a 10 degli aspetti e quelle delle proposte sottolineate. Riguardo alla prima parte si evince poca differenza di voto tra gli aspetti, con eccezione della quiete che non raggiunge la sufficienza. Questo dato è probabilmente collegato al fatto che sono stati intervistati meno residenti rispetto ai fruitori.
ASPETTO
VOTO 0/10
PROPOSTE PER GLI SPAZI
61 %
palco per spettacoli/concerti
48 %
installazioni artistiche
CULTURA/ BELLEZZA
43 %
+ piante/fiori
7,70/10
55 %
spazi per artisti di strada
46 %
+ colore cartellonistica di sensibilizzazione sul centro storico
INFORMAZIONE 6,64/10
33 % 47 %
punto informazione eventi
49 %
posacenere
PULIZIA 7,72/10
45 %
cassonetti
19 %
strumenti di insonorizzazione
QUIETE 4,50/10
dispersione delle persone/attività nei vicoli
26 % 32 %
+ illuminazione
SICUREZZA 7,15/10
regolamentazione traffico veicolare
14 % 32 %
spazi di gioco
CONVIVIALITA’
38 %
+ sedute
8,03/10
46 %
spazi coperti
49 %
fontanelle dell’acqua
SERVIZI PRIMARI
79 %
bagni pubblici
N° VOTANTI
7,92/10 10
46
20
30
40
50
60
70
80
90
100
Il grafico seguente riguarda le proposte aggiunte dagli intervistati nella terza pagina. In alcuni casi sono stati aggiunti concetti più astratti quali ad esempio la gentilezza, mentre in altri proposte più precise come le mostre gratuite.
Nella pagina seguente invece è riportata la mappa degli spazi più vissuti, risultata dalla prima pagina del “quiz”, con i relativi spazi di spot, fondamentale per l’identificazione dei luoghi in cui operare. (Tre esempi di “quiz” integrali sono riportati in allegato a partire da pagina 104).
Nove intervistati hanno espresso la necessità di eventi organizzati, 7 di musica dal vivo/all’aperto e dj set, 6 di concerti e spettacoli/cinema all’aperto, 5 di bar h.24 e servizi quali acqua gratuita, farmacie, panifici e negozi di alimentari. Nel complesso la maggioranza di suggerimenti riguardano eventi all’aperto e servizi vari h. 24. Il lavoro che segue infatti si è concentrato su questi due principali aspetti.
RICHIESTE PRIMARIE:
PROPOSTE DEGLI INTERVISTATI più locali/più internazionali più modernità più controlli promuovere spazi occupati ballare mostre gratuite centri di aggregazione locali semi aperti totem pronto soccorso più vicino bidoni raccolta differenziata spazi per animali parcheggi turismo spazi aperti più ordine usufruire degli spazi vuoti più croci di S. Andrea rete tra i locali feste organizzate dal Comune più mercati organizzazione vuoto a rendere colori classici di Genova illuminazione a led lineari vetri fonoassorbenti più rispetto comunità di quartiere cinema all’aperto mezzi pubblici meno forze armate solo bici wifi panifici notturni farmacie notturne acqua gratuita nei bar negozio alimentari servizi h. 24 dj set giochi spazi sportivi più verde più fontane street art gentilezza spettacoli all’aperto qualità locali, drinks musica dal vivo/all’aperto motel, ostelli, b&b bancomat parti di percorrenza e di spot eventi bar h. 24 concerti discoteche street food
EVENTI ALL’APERTO
SERVIZI H.24
N° VOTANTI 1
2
3
4
5
6
7
8
9
47
0m
50m
100m
>50%
>40%
>30%
>20%
>10% >5%
>1%
LINEA DELLA MOVIDA
48
4.5 Le analisi pre-progetto In seguito all’indagine è stata necessaria un’ulteriore fase che precedesse le proposte di progetto. Per soddisfare infatti le richieste degli intervistati è stata prevista una fase di analisi che riguardasse in primis le entità attive sul territorio del centro storico che potessero incrementare le attività serali nel centro storico.
Inoltre la scelta degli spazi pubblici su cui intervenire è ricaduta su quelle che vengono definite “piazzette storiche dei vicoli” nel progetto Discovery Genova che rende pubbliche una serie di mappe per diffondere la cultura della città (botteghe storiche, palazzi dei Rolli etc). Il lavoro svolto ha infatti il secondo fine di valorizzare gli spazi pubblici del centro storico, non solo relazionati alla movida e quindi alla vita notturna, ma anche alla vita diurna.
A questo scopo sono state individuate le associazioni e le organizzazioni presenti tramite il progetto Rileggere il Territorio, di cui precedentemente si è parlato. La diffusione di questi dati ha consentito un’analisi approfondita anche riguardo agli eventi che già si organizzano negli spazi pubblici del centro storico. L’idea successiva è stata quella di individuare i beni in disuso che possano essere riutilizzati e adibiti alle funzioni scaturite dall’indagine. In particolare sono stati mappati i beni confiscati alla criminalità organizzata, presenti in grande quantità nel centro storico di Genova. Questo è stato possibile tramite una tesi di laurea Magistrale in Architettura all’Università di Genova dell’anno accademico 2014/2015 svolta da Jorge Mosquera e Linda Pierozzi.
49
Eventi e associazioni
EVENTI ORGANIZZATI NEL CENTRO STORICO LABORATORIO DEL GHETTO
Attività all’aperto (cinema, musica, stands)
ASS. CENTRO STORICO RAGAZZI
M.U.R.A TIME OUT Attività al chiuso Associazioni/organizzazioni
ALLIANCE FRANCAISE DE GENES
ASS. AMA LABORATORIO SOC COOP SOCIALE
0m
50m
100m
CASA DELLA MADDALENA
TEATRO ALTROVE ASS. CULTURALE LE VIE DEL CANTO AGORA’ CONSORZIO SOCIALE
LIBERA
ATELIER LINKINART
ASS. PIAZZA DEI RAGAZZI
PALAZZO DUCALE
SATURA ASS. CULTURALE
VOLTAR PAGINA
Gli eventi principali negli spazi pubblici sono: M.U.R.A (Movimento Urbano Rete Artisti) ideato ed organizzato dall’Associazione Culturale Sarabanda e dall’Associazione Il Ce.Sto, che si svolge a Settembre e riguarda principalmente spettacoli di musica, danza, laboratori e mercatini; TIME OUT, un evento realizzato con il patrocinio di Confesercenti. Sono inoltre presenti eventi itineranti quali la Birralonga e i Vinicoli. 50
ISTITUTO SCOLASTICO CPIA CENTRO LEVANTE CIRCOLO CULTURALE FONDAZIONE AMON ASS. CA’MAMAN CENTRO CIVICO REMIGIO ZENA ASS. LA TELA
GIARDINI LUZZATI
LIBERA COLLINA DI CASTELLO
TIFLIS
LEFT LAB
IL CE.STO
TEATRO DELLA TOSSE
EX LATTERIA OCCUPATA
ASS. GIARDINI DI PLASTICA
Beni confiscati alla criminalità organizzata
vico s. filippo 8
via del campo 14
Locali piani alti
vico dei fregoso 24r
Locali affaccio strada vico porta nuova 3 vico dei droghieri 2 via della maddalena 116r
vico dei droghieri 1 vico del trogoletto 21r
vico morchi 6c
0m
50m
vico cannoni 2 vico del duca 6r vico del duca 3r via della maddalena 25r
100m
vico dietro il coro delle vigne 13 vico delle mele 23r via san luca 4
vico angeli 7 vico della galera 6 vico della galera 4 vico gattagà 5 vico gattagà 4
vico della rosa 18r
vico del pepe 8r/16r/18r/4/6
vico della rosa 4
via san luca 3a
via macelli di soziglia 4/6/8 vico della luna 2
vico delle vigne 10r vico dell’umiltà 4r vico della neve 3 vico degli indoratori 1
vico delle scuole pie 4
via san lorenzo 10 via canneto il curto 15 via canneto il curto 25r via canneto il curto 13
vico della stampa 5r
vico sauli 9
via luxoro 10r piazza san giorgio 10r piazza san giorgio 32
vico chiuso delle formiche 3
vico chiabrera 11
piazza veneroso 62
Nel centro storico sono presenti 55 beni confiscati alla criminalità organizzata: 37 locali ai piani alti e 18 con affaccio strada. Questi beni risultano, una volta confiscati, proprietà dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Al momento il Comune di Genova ha comprato alcuni di questi per renderli alla comunità attraverso bandi per l’assegnazione in concessione d’uso a titolo gratuito. Le condizioni di ciascun bene variano, ma nel complesso necessitano tutti di lavori di ristrutturazione.
via canneto il lungo 97r via san bernardo 16 via san bernardo 17 piazza embriaci 4
vico chiuso degli eroi 103r vico chiuso degli eroi 3
51
Piazze storiche
0m
50m
100m
PIAZZA DEL CAMPO
PIAZZA FOSSATELLO
PIAZZA DELLA POSTA VECCHIA PIAZZA DI SAN LUCA
PIAZZA DEI MACELLI DI SOZIGLIA PIAZZETTA CAMBIASO PIAZZA LUCCOLI
PIAZZA DELLE VIGNE
PIAZZA DEI BANCHI PIAZZA CINQUE LAMPADI
PIAZZA CAMPETTO
PIAZZA SAN MATTEO
PIAZZA DELLE SCUOLE PIE
PIAZZA DEI GIUSTINIANI PIAZZA DI SAN GIORGIO
Le piazze storiche mappate da Discovery Genova sono 20, ciascuna con una sua connotazione spaziale e sociale. Queste verranno analizzate in relazione alla vita notturna in maniera tale che le nuove proposte di progetto possano allo stesso tempo riconferire a questi luoghi storici vita e carattere. Le persone devono conoscerne la storia e l’importanza per poter così apprezzarli e rispettarli. Solo rendendo questi spazi più vissuti infatti sarà possibile sottrarli al degrado e all’abbandono. 52
PIAZZA DI SAN BERNARDO
PIAZZA DELLE ERBE
PIAZZA DEGLI EMBRIACI
PIAZZA DI SARZANO
CAMPOPISANO
0m
50m
100m
53
4.6 Le proposte di progetto
Si è detto che sulla base delle indagini risulta evidente un bisogno principale di servizi h.24 ed eventi. Riguardo ai primi si è scelto di pensare a tre principali elementi: i bagni pubblici, un infopoint e un totem di servizi. In questa maniera si soddisferebbero i bisogni primari e quelli relativi all’informazione sugli eventi e sulla città. Per quanto riguardano invece gli eventi si sono delineate tre strategie che possano incrementare l’organizzazione di eventi da parte delle associazioni che già fanno parte del centro storico e fornire così attività artistiche e culturali come alternativa alla movida “solo alcol” di cui si è parlato. Per far ciò è necessario inoltre creare una rete di persone, come dicevano già Marianna e Domenico nelle interviste, un gruppo di associazioni che possano comunicare tra loro. Per ogni progetto previsto vengono esposte varie possibilità (progetti esistenti, nuovi ed un punto di domanda che rappresenta la possibilità di aggiungere nuove idee) in maniera tale che si possa proseguire il percorso di partecipazione e la decisione possa essere presa collettivamente con gli stakeholders, gli abitanti etc. Di seguito le iniziative più nel dettaglio. 54
IPOTESI PROGETTUALI
Concept generale
Temporaneo
ESITI “QUIZ”
Economico Versatile
cambio configurazione
giorno
1
1
2
3
notte
2
3
4
5
6
EVENTI
Il concept generale che viene adottato prevede alcune caratteristiche principali: il fatto che ogni intervento debba essere studiato in quanto temporaneo, poichè il fenomeno preso in considerazione è dinamico ed in continua evoluzione; il fatto che debba essere economico siccome stiamo parlando dello spazio pubblico i cui finanziamenti provengono dalle Amministrazioni (in particolare il Comune di Genova); il fatto che ogni progetto debba essere versatile e flessibile consentendo la possibilità che possa essere utilizzato per varie funzioni (si ribadisce in questo contesto la necessità di valorizzare gli spazi non solo durante le ore serali). Inoltre fattore essenziale è che le persone che vivono gli spazi possano cambiarne configurazione a seconda delle necessità. E’ tramite questa strategia che la partecipazione può continuare una volta terminato il progetto: le persone in questa maniera continueranno a sentirsi artefici degli spazi in cui vivono e teoricamente ne avranno più rispetto. I progetti assumeranno così un carattere identitario per le persone e per la città.
ESITI INTERVISTE AGLI STAKEHOLDERS
SERVIZI
Mettendo a sistema gli esiti delle interviste agli stakeholders e quelli dei “quiz” con le analisi precedentemente riportate, si è giunti ad alcune ipotesi progettuali che corrispondono a prime idee da discutere con le Amministrazioni, le associazioni, gli stakeholders ecc.
1. I bagni pubblici Per quanto riguardano i bagni pubblici, sono stati scelti cinque dei beni confiscati alla criminalità organizzata, in relazione alle loro dimensioni e alla linea della movida (locali affaccio strada il più possibile sparsi nel centro storico e in luoghi vissuti durante le ore serali). Siccome gli immobili non sono visitabili, sono state ricavate le assonometrie dalla tesi citata precedentemente e da lì le piante. Al momento i beni sono riconoscibili grazie al progetto che vede le saracinesche dipinte da artisti genovesi e che crea così un percorso di visita dall’estero.
Le metrature dei beni vanno dai 9,20 mq ai 26,70 mq per raggiungere un totale di 83,30 mq. Per questo progetto si prevedono finanziamenti da parte del Comune e gestione e manutenzione da parte di Amiu. L’ingresso alle persone è consentito gratuitamente tramite la tessera sanitaria ed è prevista una telecamera per ciascuno in maniera da garantire la sicurezza. Inoltre ciascun bagno sarà provvisto di illuminazione esterna e di un ingresso riconoscibile.
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Piante scala 1:100
Via della Maddalena 25r
Via della Maddalena 116r
Sono previsti quindi cinque bagni pubblici con accesso per disabili e sono state ipotizzate le loro piante. L’ingresso del progetto è costituito da una cornice in pannelli di legno che si affaccia sulla via in maniera tale che sia riconoscibile. Il pannello superiore risulta intagliato in maniera tale che venga proiettata tramite una luce a led la scritta “public toilet” sulla rampa d’accesso (in linoleum). La porta d’ingresso, in vetro (per consentire la visibilità), al passaggio della tessera sanitaria, scorre dietro ad un pannello su cui viene rappresentato il disegno che per molto tempo aveva occupato la saracinesca preesistente. Pianta Via di Canneto il Lungo scala 1:50
Via di Canneto il Lungo 97r
Vico Chiuso degli Eroi 103r
Via di Canneto il Curto 25r 56
Possibile interno di un bagno
Esempio in Via di Canneto il Lungo 57
2. Infopoint Il secondo progetto prevede la creazione di un infopoint, luogo di informazione sia diurno che notturno che venga considerato come punto di riferimento. L’obiettivo è che questo spazio sia allo stesso tempo un luogo di ritrovo e che quindi sia associato ad uno spazio pubblico di sosta e che in alcuni casi possa essere utilizzato per eventi ed esposizioni. In questo contesto vengono presentate quattro o più opzioni: l’infopoint presente a Torino, quello di Bogotà ed una struttura prefabbricata (M.A.D.I) esposta al Salone del Mobile del 2017.
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L’infopoint in ogni caso deve essere: piccolo, versatile, economico, accessibile e costruibile tramite un rapido e semplice montaggio. Vengono inoltre previste possibili ubicazioni del progetto sulla base delle indagini precedenti: in alcuni dei luoghi d’accesso al centro storico che risultano i punti di inizio della linea della movida (Piazza Deferrari, Piazza Caricamento e Piazza Matteotti). In questo caso si prevede la costruzione di un solo infopoint (in un luogo dei tre a scelta). Sia la gestione che il finanziamento in questo caso sono previsti ad opera delle Amministrazioni.
Percorsi
Pianta scala 1:50 giorno sera
ivi
Funzioni zona infopoint wc privato
giorno sera
zona pubblica sedute tavoli pannelli informativi pedane L’infopoint proposto è costituito da uno spazio chiuso provvisto di bagno chimico per coloro che ci lavorano, uno spazio coperto ma aperto di passaggio ed uno di sosta (con sedute, pannelli informativi e tavoli). Durante il giorno lo spazio informativo rimane accessibile al pubblico, mentre la sera, anche per questioni di sicurezza, viene chiuso ed è possibile ottenere informazioni tramite un’apertura laterale apposita fino all’orario di chiusura previsto come da ordinanza alle 3 di notte.
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La struttura è composta da tubi innocenti che creano un frame modulare. Questo sorregge sia la struttura dell’infopoint (composta da pannelli sandwich in legno), sia la copertura in policarbonato dello spazio aperto percorribile, sia i pannelli di legno che costituiscono la parte pubblica di sosta, sia infine il telo impermeabile che copre tutta la struttura. La sua pavimentazione è sorretta da una serie di piedi regolabili che consentono il posizionamento dell’infopoint anche su terreni scoscesi. E’ inoltre prevista l’illuminazione tramite luce led ubicata in una fessura prevista tra la lastra di policarbonato e la pavimentazione in legno. Tramite la trasparenza del policarbonato e il doppio strato di copertura, viene creato così un affascinante effetto di luce. L’idea generale è di riprendere il tema marino delle barche: i teli triangolari che costituiscono le insegne ricordano infatti le vele di un albero maestro. Anche gli spazi informativi ricordano il tema della barca siccome sono creati da alcune corde che, arrotolandosi ai tubi innocenti, creano dei quadrati atti all’affissione.
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telo impermeabile
telo/insegna
struttura principale in tubi innocenti corda/spazio pubblicitario eventi pannello in legno/seduta, tavolo pannello in legno/spazio pubblicitario eventi piedi tubi innocenti
copertura in policarbonato
pannelli sandwich in legno
pannelli pavimentazione in legno
struttura pavimentazione
piedi regolabili trave per posizionamento luce a led
Esempio in Piazza Matteotti 61
3. Totem Il terzo progetto prevede un totem di servizi che sia innanzitutto iconico e rappresentativo per la vita notturna nel centro storico e che raggruppi in sè una serie di funzioni che risolvano alcune delle problematiche scaturite dall’indagine: il rumore, la mancanza di sedute, di cassonetti e posacenere, di illuminazione e di informazione sul centro storico. Il totem dovrà quindi essere: a scala umana, iconico, polifunzionale, economico e versatile.
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Vengono presentate due proposte che si adattano a diverse dimensioni dei vicoli. La prima viene pensata in maniera tale da occupare il minor spazio possibile viste le ristrette dimensioni delle vie e per consentire il passaggio seppur rado del traffico veicolare. La seconda invece si presta per spazi con dimensioni più grandi. Vengono proposte 10 possibili ubicazioni il più possibile sparse nel centro storico e nei luoghi più vissuti. Anche in questo caso vengono previsti gestione e finanziamento ad opera delle Amministrazioni.
Totem - A Prospetto scala 1:20
La prima opzione di totem corrisponde ad una sorta di parete di servizi con la possibilità che alcuni compaiano a seconda delle necessità. Si parla infatti di una struttura apribile che racchiuda anche le funzioni precedentemente elencate: illuminazione tramite luce a led, una copertura che favorisca anche il fonoassorbimento, un piano per il posizionamento di fiori/piante, uno spazio informativo riguardo alla localizzazione dei bagni pubblici, uno riguardo alla cultura presente nel centro storico, uno spazio pubblicitario che finanzi la manutenzione del totem, un cassonetto per i bicchieri di plastica, un posacenere, uno spazio per i volantini degli eventi, una seduta ed un’immagine iconica che rappresenti la città di Genova.
CHIUSO
APERTO
luce led copertura
Pianta scala 1:20
piano per fiori info bagni pubblici pubblicita’ mappa centro storico cassonetto bicchieri posacenere porta-volantini seduta logo genova 63
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basamento in cemento
telaio in acciaio preforato
pannelli in compensato fissi
La struttura del totem è composta da un basamento in calcestruzzo che gli fornisce stabilità ed un telaio in acciaio preforato a cui vengono fissati pannelli di legno (uno strato di pannelli fissi ed uno di moduli 40x40cm mobili). Questi ultimi, una volta aperti, vengono retti da un triangolo sottostante che ruota tramite cerniera. Ciascuno di essi è inoltre provvisto di un gancio per mantenerne la chiusura. La copertura è composta da uno strato inferiore di materiale fonoassorbente (lana di vetro) fissato ad uno superiore in linoleum.
pannelli in compensato mobili
pannello fonoassorbente
Le dimensioni del totem consentono il suo posizionamento in quasi qualsiasi punto dei vicoli. Per quanto riguardano il posacenere ed il cassonetto viene adottata la teoria del Nudge, molto utilizzata nel campo dell’economia comportamentale e della filosofia politica, tecnica che induce le persone ad un determinato comportamento. Nel caso dello spazio pubblico viene utilizzata al fine di invogliare un comportamento rispettoso nei confronti del luogo. “Tifi Genoa o Sampdoria?”; “Preferisci le trofie o i pansoti?”. Tramite queste domande le persone saranno più portate a votare, piuttosto che a gettare il bicchiere o la sigaretta per terra.
Esempio in Via Chiabrera 65
Totem - B La seconda opzione di totem riprende in chiave contemporanea gli archivolti storici presenti nei vicoli che collegano gli edifici e creano una grande quantità di spazi coperti. Il posizionamento in questi casi, date le sue dimensioni, deve avvenire in luoghi che non presentino aperture dai due lati della strada e che siano abbastanza larghi da consentire il passaggio delle macchine. Il fatto che la struttura sia modulare consente l’opzione di adottare una struttura singola, doppia o tripla a seconda appunto dello spazio in cui viene inserita.
Le funzioni presenti sono: una seduta, un cassonetto per i bicchieri di plastica, un posacenere, una copertura tramite pannello fonoassorbente, otto punti luce, una mappa del centro storico, uno spazio pubblicitario che finanzi la manutenzione della struttura, uno spazio informativo sull’ubicazione dei bagni pubblici ed un vaso per piante/fiori.
Opzione tripla seduta cassonetto bicchieri posacenere fonoassorbente Opzione copertura/pannello doppia illuminazione mappa centro storico spazio pubblicitario info bagni pubblici Opzione singola vaso per piante
Prospetto scala 1:50
seduta cassonetto bicchieri
Pianta scala 1:50
posacenere copertura/pannello fonoassorbente illuminazione mappa centro storico spazio pubblicitario info bagni pubblici vaso per piante 66
1/2
Lampada 8 di Orizzontale
Pianta copertura scala 1:50
La struttura viene pensata, al fine di essere in linea con quella dell’infopoint per conferire un senso di continuità, in tubi innocenti. Allo stesso modo sono presenti alcuni spazi di affissione per garantire l’informazione sugli eventi tramite corde ed un’insegna triangolare in telo impermeabile. Per quanto riguardano la seduta e i pannelli in legno, viene previsto un fissaggio il più rapido ed economico possibile: i tubi sono preforati ed il punto di ancoraggio con il morsetto corrisponde a quello di fissaggio con il pannello, anch’esso preforato, tramite una vite prigioniera avvitata successivamente da sopra e da sotto. Il legno è intagliato in maniera tale che il bullone risulti a filo con la sua superficie superiore.
pannelli in legno
telo/insegna corde per affissioni
struttura in tubi innocenti
pannello fonoassorbente telo/insegna
vaso in legno
pannelli in legno
piedi
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Esempio in Via S.Donato 68
1
4. Strategia 1: attrezzamento per eventi esistenti
La prima strategia di intervento sugli eventi riguarda l’attrezzamento di quelli esistenti in alcune piazze individuate tramite l’analisi. In questo caso si è deciso di progettare un palco che fosse leggero, versatile, colorato, con montaggio semplice ed economico. L’obiettivo era fare in modo che le persone/associazioni potessero cambiare la configurazione della piazza a seconda della necessità (ossia se l’evento fosse presente o meno).
Palco mobile Si è pensato quindi ad un palco mobile composto da più moduli spostabili con ruote. Altro obiettivo era quello di far sì che le associazioni, in caso di organizzazione di evento, non dovessero portare nulla sul luogo, ma avessero a disposizione tutto ciò che necessitavano. Per questo motivo è stato pensato un cassetto estraibile in cui poter posizionare le sedie per la platea. In questo caso quindi il finanziamento è previsto da parte delle Amministrazioni, mentre la gestione risulta ad opera delle associazioni che ne usufruiscono.
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1.46 2
parte fissa 1
scale
2
palco fisso + cassetto estraibile
1 2
3
cassetto estraibile con 44 sedie
3 - 8 seduta/
4
palco mobile
6
5
e fissa
2
3
10.00
8
7
parte mobile 1
scale
2
palco fisso + cassetto estraibile
3 - 8 seduta/
palco mobile
8
mobile
1.60 70
4.00
La struttura di ogni modulo del palco è composta da travi in legno il cui montaggio avviene tramite le seguenti fasi: viene creato un distanziatore e vengono posizionate le travi superiore ed inferiore al suolo a cui poi vengono fissate man mano le assi di tamponamento fino a creare i quattro lati esterni; sempre tramite lo stesso distanziatore vengono costruite le porzioni interne che costituiscono da controvento; la superficie superiore di assi di tamponamento verrà fissata man mano alla struttura ad essa perpendicolarmente. Le superfici laterali sono provviste di maniglie per il trasporto e alle travi laterali sono fissate ruote per consentire lo spostamento del modulo. E’ poi pensato un sistema di fissaggio tra un modulo e l’altro tramite ganci e sono previsti dei piedi per consentire l’allineamento tra moduli in caso di terreno scosceso.
struttura con travi di legno 80x100mm
ruote assi di tamponamento 150x50x650mm
maniglie per il trasporto
71
Possibili configurazioni
0m
72
5m
10m
Esempio in Piazza di Sarzano 73
2
5. Nuovi eventi: dispersione in nuovi spazi
La seconda strategia sugli eventi riguarda la dispersione in nuovi spazi per evitare la concentrazione di persone solo in alcuni spot. Questa prevede alcuni funzioni principali: cinema all’aperto, conferenze ed esposizioni, tornei sportivi e sedute. Anche in questo caso si tratta di creare uno spazio a scala umana, iconico, polifunzionale, economico e versatile. Sono state individuate due piazze tra quelle storiche che si trovano al di fuori della linea della movida in cui questa strategia sarebbe attuabile.
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Elemento per fissaggio teli L’idea è di creare la possibilità di fissaggio per teli. Tra i progetti preesistenti è stato individuato in primis “Pop-In, Pop-Out, Pop-Up” a Venezia di Omri Revesz (struttura mobile con un sistema di teli). L’opzione b è invece quella di Renzo Piano per Piazza Faber: un sistema di cavi fissati agli edifici preesistenti per l’affissione di teli (questo caso risulterebbe più invasivo).
seduta cassetto con sedie/teli calcestruzzo totem insegna pannello di legno
seduta cassetto con sedie/teli totem insegna telo/insegna
6 L’opzione presentata consente il fissaggio dei teli ed allo stesso tempo costituisce un totem iconico per la piazza. E’ composto da un telaio in acciaio con fori per l’affissione, sostenuto tramite un blocco in calcestruzzo. Presenta inoltre due cavi d’acciaio che consentono l’affissione dei teli/insegna trangolari. Il quadrato simmetrico al blocco di calcestruzzo viene tamponato con pannelli in legno e presenta un cassetto estraibile per il posizionamento di sedie e teli. Inoltre il telaio presenta un elemento decorativo in linea con la piazza.
cavo d’acciaio
fori per affissione elemento decorativo
struttura in acciaio
rotaie 75
Opzione esposizione installazioni artistiche
Opzione cinema all’aperto
Opzione campo da pallavolo
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Esempio in Piazza delle Scuole Pie 77
3
6. Nuovi eventi: strategia a basso costo
L’ultima strategia riguarda le piazze storiche che sono attraversate dalla linea della movida e che quindi sono vissute, ma prive di eventi organizzati. In questo caso si è pensato ad un intervento low cost che porti le persone ad utilizzare gli spazi in maniera differente. L’architettura 2d si presta a questo scopo: alcune semplici linee sul pavimento possono suddividere lo spazio e creare nuovi ambienti.
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Architettura 2d Si è scelto di creare quindi una rappresentazione al suolo che riporti la distribuzione interna di un palazzo storico presente nella piazza (nel caso di Piazza S. Bernardo un palazzo dei Rolli). Nel progetto sono previsti anche degli elementi che hanno la duplice funzione di panchina ed espositore. Nel primo caso viene creato un appoggio sui delimitatori dell’area pedonale presenti; nel secondo vengono ribaltati e accoppiati a creare un pannello espositivo. A seconda dell’evento organizzato viene inoltre previsto il posizionamento di un ulteriore nastro adesivo in questo caso colorato che delimita l’area in cui lo spettacolo o l’esposizione avvengono.
0m
1m
2m
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Esempio in Piazza S.Bernardo 80
Planimetria generale con possibile posizionamento progetti 81
4.7 Ulteriori suggestioni da approfondire Si è inoltre pensato ad un’ulteriore strategia che riguarda gli eventi itineranti. Data la problematica del rumore durante la vita notturna nel centro storico, l’idea è stata quella di creare un evento quale la silent disco che però potesse essere itinerante (sulla linea della Birralonga e dei Vinicoli). Questo consisterebbe in una serata di musica che non disturberebbe i residenti e che, in quanto itinerante non creerebbe eccessiva concentrazione di persone in un singolo luogo. L’idea prevede che ad ogni partecipante vengano assegnate delle cuffie wireless a pagamento (il punto di ritiro corrisponderebbe con l’infopoint presente in uno dei luoghi d’accesso al centro storico). Normalmente durante le silent disco, per cambiare canale musicale, è necessario girare la rotella della cuffie. In questo caso invece bisognerebbe cambiare luogo dei vicoli. A questo scopo sono infatti pensati dei punti di emissione della musica sparsi e mobili, che invoglino le persone a scoprire nuove zone del centro storico. Questa suggestione ha portato a pensare all’esempio del mercato mobile progettato dallo studio di architettura londinese Aberrant Architecture denominato Roaming Market. Questa potrebbe essere una possibile idea che in questo contesto, per mancanza di tempo non è stato possibile approfondire. Sulla linea del concetto di partecipazione si è comunque aperti ad ogni possibile nuova idea sull’argomento che possa comportare una vivibilità notturna migliore.
82
4.8 Il metodo di condivisione Il coinvolgimento dei cittadini nella progettazione degli spazi pubblici riguardante il tema della movida non si ferma alla proposta di soluzioni progettuali, ma prevede una continuazione: questa tesi prevede infatti un percorso di partecipazione che prosegue. Innanzitutto, come affermato nella parte relativa ai “quiz”, sarebbe necessario inviare agli intervistati gli esiti del percorso e le possibili soluzioni via mail. In secondo luogo viene prevista una parte di condivisione degli stessi con gli stakeholders intervistati nella prima fase, le amministrazioni, alcuni residenti e commercianti del centro storico. Per consentire la spiegazione del lavoro svolto, si è pensato ad un tavolo di incontro su cui venga posizionato un modellino concettuale del centro storico in scala 1:500. Questo modellino riporta in sè le analisi svolte e, tramite alcuni “segnalini” evidenzia le proposte di progetto in relazione agli spazi. Viene pensato quasi come un gioco, su cui coloro che partecipano al tavolo possono discutere e muovere le pedine. L’idea è quindi quella di consentire la discussione sul tema, in maniera tale che ciascuno possa esprimere la sua opinione e si possa giungere insieme ad una soluzione per la maggioranza plausibile. Partendo dal presupposto che la soluzione definitiva non esisterà, si è pensato che il coinvolgimento possa ulteriormente proseguire tramite una pagina web/forum su cui la conversazione possa continuare, siccome il fenomeno preso in considerazione è in continuo cambiamento e vive in un contesto di città dinamica. Poichè il lavoro di cui sopra corrisponde ad un lavoro di tesi svolto in alcuni mesi da una singola persona, questo processo non è stato portato a termine. In ogni modo questo vuole essere un incipit ed uno spunto per far sì che il lavoro possa proseguire e che il coinvolgimento dei cittadini nella progettazione degli spazi pubblici aumenti sempre più di importanza fino a giungere parte di ogni iter di pianificazione. Di seguito viene riportato l’esempio di Forget Heritage, un programma comunitario che vuole promuovere la cooperazione per la valorizzazione di siti storico-artistici attraverso l’insediamento di attività culturali o creative replicabili e sostenibili. Viene preso come spunto per la possibile pagina web che faciliti la comunicazione e la cooperazione anche sul tema della movida nelle città italiane e non solo.
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Come è possibile notare dal modellino è stata creata una mappa del centro storico in cui risaltino gli spazi pubblici (tramite un cartoncino grigio chiaro); sono state inoltre segnate tramite i colori le piazze in cui già si svolgono eventi, gli immobili confiscati alla criminalità organizzata, le piazze storiche e segnalate le associazioni operanti nel territorio. E’ inoltre presente un filo rosso che segue le vie vissute durante la sera e che rappresenta “la linea della movida” con i relativi cerchi che indicano gli spazi di sosta più vissuti. Man mano che la spiegazione del lavoro prosegue, il facilitatore (in questo caso la sottoscritta) aggiunge le proposte sulla mappa tramite dei segnalini appositamente creati che ricordino la forma di ogni singolo progetto. 84
Ciascuno poi viene spiegato a parte dettagliatamente tramite alcune viste prospettiche che risultano riconoscibili a primo sguardo e che vedono il progetto inserito nel contesto (nel caso della strategia ripetibile viene proposto un esempio e vengono indicate le altre sue possibili collocazioni). Ci si aspetta a questo punto che le persone presenti intervengano e propongano altre possibili ubicazioni, piuttosto che modifiche alle idee originarie, o nuove suggestioni.
4.9 Una parentesi sulla teoria del nudge: l’applicazione agli spazi pubblici La teoria del nudge viene semplicemente citata in questa tesi nella proposta di progetto del totem di servizi, ma in realtà vorrei assumesse maggior importanza nel contesto della progettazione degli spazi pubblici. Normalmente questa teoria viene applicata nel campo dell’economia comportamentale, ma in senso più ampio può essere interpretata per favorire la maggior vivibilità dei luoghi della collettività. Lo scopo di questa tesi infatti non è solo relazionato al tema della movida in sè, ma vuole trattare la tematica più generale di come la progettazione degli spazi pubblici possa influire sul comportamento e sulla vita delle persone. Nudge è un termine che in italiano viene tradotto come “spinta gentile” ed è stato introdotto nel contesto della vita quotidiana dall’economista Richard H. Thaler e dal professore della Harvard Law School Cass R. Sunstein. E’ strettamente legato al concetto di comunicazione e, in alcuni casi, può rendere gli spazi più “giocosi” e colorati, come è possibile notare da alcuni progetti già in atto all’estero. Il concetto di fondo è che con poco è possibile indurre dei comportamenti che possano salvaguardare l’ambiente, gli spazi pubblici e la socialità. Una semplice domanda che ti induce a buttare la sigaretta in un posacenere, un disegno che ti ricorda che se tieni le luci accese produci CO2 nell’ambiente, un bidone della spazzatura interattivo che rende più piacevole il momento in cui getti i rifiuti, il semplice disegno dei piedi sulle scale mobili che indica la corsia di sorpasso e quella di sosta. In alcuni casi si tratta di semplice segnaletica, ma, a volte queste iniziative giocano sull’inconscio delle persone ed hanno risultati più che semplici da ottenere in altra maniera. Il libro sul Nudge che ha fatto vincere il premio Nobel per l’economia ai due signori sopra citati si chiama infatti “la spinta gentile”: spingere le persone senza alcun tipo di obbligo ad un comportamento sano. Non si parla quindi solo di economia e di incentivare le persone all’acquisto di un prodotto, ma in senso più ampio si parla di sociologia e di come il design possa su di essa influire. La stessa Nicoletta Piersantelli, intervistata durante la prima fase di lavoro, ha raccontato l’esperienza di un suo progetto nella scuola elementare del comune di Rankweil: il suo disegno ha previsto alcune linee colorate sulla pavimentazione del cortile per evitare che i ciclisti passassero dove normalmente i bambini giocavano. Ha funzionato.
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“Le esperienze delle altre città riguardanti il tema della movida dimostrano l’utilità del lavoro svolto” (Giulia Valente)
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5. LE STESSE PROBLEMATICHE IN ALTRE CITTA’?
Prima di intraprendere questo lavoro sono stati ricercati altri casi di tentativi di risoluzione delle problematiche relative alla movida nei centri storici (in particolare in Italia). In questo contesto vengono riportati in ultimo per dimostrare che il lavoro di coinvolgimento dei cittadini intrapreso a Genova potrebbe essere adottato anche in altri comuni del nostro paese.
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Le problematiche che infatti risultano da una rapida analisi corrispondono quasi in toto a quelle emerse nella nostra città. In alcuni casi inoltre si è scoperto che alcune iniziative di coinvolgimento dei cittadini sono già state svolte, anche se magari con scarsi risultati. Primo esempio a Foligno nel 2014, dove è stato intrapreso un percorso di coinvolgimento delle associazioni, dei comitati di cittadini spontanei e dei rappresentanti istituzionali con il fine di trovare soluzioni comuni. In questo caso sono stati adottati i metodi tipici della partecipazione tra cui il focus group. Gli incontri sono stati organizzati da uno psicoterapeuta, Lucia Cocco, che ha affermato: “associazioni sociali e culturali hanno partecipato proponendo soluzioni interessanti ed originali”. Gli esiti hanno evidenziato la necessità di maggior rispetto delle normative per la sicurezza, il maggior controllo tramite gli organi della vigilanza, l’aumento di servizi igienici e l’anticipazione degli orari di chiusura dei locali. A La Spezia è stato portato avanti il progetto “Buona Movida”, ossia una sperimentazione di percorso partecipativo sui temi della movida in città. Anche in questo caso sono stati adottati metodi della partecipazione tra i quali il focus group. A questa iniziativa però hanno partecipato poche persone, forse per una carenza di informazione.
A Lecce è stata invece un’idea degli imprenditori a prendere piede: hanno deciso di autotassarsi per mettere in piede eventi musicali, spettacoli di danza, o mostre fotografiche. Si tratta di vere e proprie “collette” per eventi artistici. Nella stessa città inoltre sono emersi come problematiche principali quelle riguardanti rifiuti, raccolta differenziata e decibel selvaggio; è stato inoltre proposto l’aumento di verde ed arredo ubano. In altri casi non sono stati svolti percorsi di partecipazione, ma sono state prese in considerazione alcune proposte per la risoluzione delle problematiche. Un esempio è quello di Pistoia in cui sono stati previsti: una centralina di monitoraggio del rumore, un contributo comunale per insonorizzare gli infissi delle case, il rafforzamento dell’ordine pubblico, l’aumento di bidoni della spazzatura e dei bagni pubblici ed è stata presa in considerazione l’idea di decentrare gli eventi per evitare che la movida si concentri solo nel centro storico. A Pescara è stata presa in considerazione l’idea di utilizzare pannelli antirumore per limitare il disturbo ai residenti in Piazza Muzi . A Torino è stato creato il patto per la movida nel 2012 che ha comportato la nascita di una patente a punti per i commercianti (utilizzata anche a Firenze, a Bari e a Palermo), che favorisce un maggior rispetto delle regole riguardanti gli orari di apertura e chiusura, delle normative sull’alcol e aumenta la promozione di iniziative culturali. Sono inoltre stati previsti nel 2015 alcuni incontri per parlare con la comunità dell’argomento dal titolo “Si fa presto a dire movida”.
A Firenze sono state fatte delle campagne di comunicazione e delle riunioni con i comitati di residenti e associazioni. Il risultato è stato l’allestimento di punti in cui è possibile misurare il proprio grado alcolico e sostare (con rifornimento di bevande e alimenti). E’ stata inoltre prevista una silent disco per favorire eventi che non disturbino il sonno dei residenti. A Prato si parla di creatività e innovazione come mezzi per eliminare il degrado, a Pisa in particolare si punta sull’aumento dell’illuminazione per aumentare la sensazione di sicurezza. A Lucca è stata adottata la strategia “Quartieri social”, che ha previsto la cooperazione tra gli abitanti del quartiere per mezzo di un applicazione e alcuni laboratori di co-progettazione sul tema della sicurezza: si è parlato principalmente di aumentare l’animazione sociale tramite eventi e partecipazione collettiva; di creare nuovi spazi di aggregazione; di street art per “colorare la paura”. A Livorno sono nati interventi di micro-riqualificazione urbana scaturiti da un processo partecipativo in Piazza Garibaldi: tra questi la creazione di zone con wi-fi gratuito, di totem per ricaricare i dispositivi elettronici; la riappropriazione di fondi sfitti temporaneamente recuperati tramite incentivi ai proprietari e concessi gratuitamente ad artigiani, artisti o associazioni selezionate con bando. A San Benedetto del Tronto si parla di Movida Sostenibile: alcune soluzioni a breve termine tra cui la patente a punti di cui già si è parlato. Per quanto riguarda la sensibilizzazione all’alcol è possibile trovare un esempio nella campagna di informazione adottata in Trentino Alto Adige; mentre per l’insonorizzazione basti vedere al Patto della musica di Milano adottato nel 2015. Spostandoci al di fuori dell’Italia troviamo l’esempio di Londra, in cui la mobilità assume grande importanza (la metro è aperta tutta la notte) e in cui è stato istituito il ruolo di Sindaco di Londra della movida, ossia un personaggio che regolamenta la situazione notturna della città e favorisce la conversazione tra i vari enti che ne fanno parte.
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6. Conclusioni Questa tesi è stata iniziata senza alcun tipo di iter prestabilito siccome la decisione di intraprendere un percorso di coinvolgimento dei cittadini, per lo più riguardante una tematica tanto complessa come quella della movida, prevedeva di per sè un lavoro privo di ipotesi iniziali. L’unica ipotesi più generica riguardava il fatto che questo sistema potesse apportare un contributo aggiuntivo importante alle analisi già svolte sul tema. Questo obiettivo sicuramente è stato raggiunto, anche solo per il fatto di aver creato un metodo che stimoli le persone coinvolte a porsi domande, ad essere artefici degli spazi in cui vivono, ad unirsi per il fine comune di vivere la collettività in maniera pacifica. Il metodo di per sè infatti è un sistema che mano a mano si crea, si modifica, magari anche tornando sui propri passi, senza poter ipotizzare quali potranno essere gli esiti. Si stabilisce un inizio, ma non si può prevedere la fine. Questo risulta in linea con il concetto di Bottom Up di cui si è parlato nei primi capitoli: si parte da una situazione iniziale e per tentativi si giunge a possibili strategie che non corrispondono a soluzioni. Per questo motivo non è possibile parlare di conclusioni, ma di steps. Come si è già detto infatti la tesi prevede una continuazione futura del lavoro svolto, magari tramite mezzi più adeguati perchè possa essere incrementata in maniera più rapida. Basti pensare a che risultati si possa giungere se questo venisse portato avanti da più persone e con più tempo a disposizione. Ulteriore scopo di questo lavoro è diffondere la cultura della partecipazione, non solo tramite i primi capitoli che spiegano la sua storia e la sua situazione attuale, ma anche attraverso un esempio pratico che dimostri che si può fare, che può essere utilizzata davvero negli iter di pianificazione urbanistica e non solo e che può apportare un grande contributo alle città e alla loro vivibilità.
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Inoltre si è voluto diffondere il concetto secondo cui l’architettura e l’urbanistica, siccome hanno lo scopo di migliorare la qualità di vita delle persone, necessitano di riassumere la scala umana nonostante si parli di città e quindi di grandi dimensioni. Un progetto può essere anche di enormi dimensioni, ma deve tener conto in primis della singola persona, senza generalizzare, e prendere in considerazione l’uomo reale e non quello ideale come diceva De Carlo, con i suoi specifici bisogni e le sue specifiche competenze.
Ulteriore obiettivo era ribadire l’importanza degli spazi pubblici o comunque dei luoghi della collettività, che possono essere resi migliori con poco. Può bastare come detto un disegno a terra, qualche pianta, un po’ più di colore e qualche seduta che lo spazio assume un’altra connotazione. Uno dei problemi dei vicoli infatti che corrisponde con l’insicurezza e la paura, non dipende solo dalle azioni che vengono svolte in quegli spazi, dal fatto che ad esempio alcuni siano definiti i luoghi dello spaccio, ma dipende anche dalla sensazione che una persona ha di quel luogo dovuta magari ad episodi passati. La connotazione che gli abitanti associano ad ogni spazio è importante. Determina il suo tipo di utilizzo, il rispetto o il vandalismo nei suoi confronti, il ricordo di esso che rimane nelle persone e viene tramandato. In questo senso la psicologia e la sociologia sono strettamente legate al design, all’architettura e all’urbanistica: devono vivere di pari passo. Il colore delle pareti di una stanza influenza molto la percezione che si ha di essa; allo stesso modo i piccoli dettagli di uno spazio pubblico possono influenzare non solo la percezione di essi, ma anche i comportamenti delle persone nei loro confronti. Il centro storico di Genova in particolare necessità di questo. E’ un luogo ricco di cultura, bellezza e storia, che durante la sera cambia connotazione e perde le proprie caratteristiche peculiari: viene percepito dalle persone “una zona franca”, come riferito durante le interviste. Questo è risultato in conclusione il problema principale. E non è tanto importante il tipo di progetto che viene ideato, quanto il fatto che sia disegnato col fine ultimo di cambiare la percezione che le persone hanno di quel luogo. Le esperienze citate delle altre città riguardanti il tema della movida inoltre dimostrano l’utilità del lavoro svolto: la complessità del fenomeno, in quanto dinamico e vissuto da target della società con bisogni completamente differenti, fanno sì che la conversazione e l’ascolto siano le prime carte da giocare. Il ruolo del facilitatore sta in questo, nello stabilire in che modo giocare queste carte a seconda della situazione in cui si trova ad operare, nel modificare il gioco durante il suo svolgimento e nel ridisegnare in alcuni casi le carte stesse. Esistono un’infinità di metodi: tutti possono andare bene come nessuno, ma l’importante è fare tentativi, buttarsi nel vuoto per un fine comune e vedere cosa succede.
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Allegati: le interviste integrali Vengono riportate di seguito le interviste agli stakeholders trascritte da registrazione audio.
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1. Nicoletta Piersantelli
7 dicembre 2017
3) Riguardo al vostro lavoro può raccontarmi quali sono stati gli approcci, i metodi e le problematiche riscontrate?
1) Mi può raccontare che ruolo lei ha avuto nell’organizzazione del tavolo “Giovani e Movida”? E da chi è stato ideato e organizzato?
Abbiamo usato tutti i metodi della partecipazione: inizialmente world cafe e open space che servono ad avviare il dialogo e ad ottimizzare l’intelligenza collettiva (maggiore delle singole intelligenze perché entrano in relazione e si stimolano continuamente idee). Altri metodi: dragon dreaming (con difficoltà perché viene percepito come gioco); facilitazione visuale (immagine iniziale del report). Framework di tutto il progetto: con il dialogo tra Comune, Università e associazioni, far crescere la cultura e creare una rete. World cafè è consistito in tavoli tematici: sono state date tre domande chiave generatrici di dialogo. Ogni gruppo ha discusso contemporaneamente 20 minuti sulla prima domanda poi dopo il suono di un segnale di tempo si sono scambiati e hanno risposto alla seconda domanda leggendo quello che gli altri avevano scritto sulla prima domanda quindi partendo da basi che non erano le loro. Normalmente si fa così per tre volte. Le domande erano: dove siamo? ostacoli e difficoltà? cosa possiamo fare noi? Sono inoltre state poste: cosa ho da dare? cosa ho da prendere? Sono state prodotte delle mappe tematiche: carta dei tempi e dei luoghi (in diversi tavoli). La carta delle potenzialità era divisa in due divisa in due: luoghi e possibili buone pratiche. Hanno evidenziato luoghi in cui secondo loro si poteva espandere la movida dandoci una vocazione speciale (dando dei temi ad ogni zona della città di notte). E’ emerso il ruolo del centro storico come zona franca e il senso di non appartenenza: questo è il luogo dove io non abito, posso fare un po’ quello che voglio. Nella mappa delle buone pratiche sono state elencate soluzioni adottate sia in Italia sia all’estero (come pop up store: store di 20 giorni in negozi chiusi). Hanno individuato come prossimo passo il fare un piano integrato dell’economia della notte (movida dal punto di vista economico, sociale e culturale). Immaginati incrociare i programmi culturali, con gli interessi economici e poi quelli di sicurezza e di salute. È difficilissimo, ma è questo il lavoro di facilitazione.
Il mio ruolo è stato quello di facilitatrice (design del processo e moderazione) con Lucia Tringali. Il processo partecipativo è stato svolto in 2 fasi: maggio/giugno 2016 e settembre/dicembre 2016. La prima parte è stata fortemente moderata, mentre la seconda ha previsto un workshop di una giornata intera più incontri con lo scopo di farli andare avanti da soli. Il gruppo è riuscito entro dicembre a mettere in piedi delle azioni concrete: un questionario di 4 domande presentato alle assemblee di istituto del Deledda e del Leonardo. Hanno creato l’Orologio esperienza (carta dei tempi, idea proveniente da Amburgo). Il processo è nato da Fondazione cultura Palazzo Ducale, Università di Genova e Municipio Centro Est (presidente durante il processo era Simone Leoncini). Luca Borzani ha iniziato tutto. 2) Quali sono stati gli attori coinvolti? Attraverso quali modalità e da quale Ente sono stati invitati a partecipare? Gli attori coinvolti erano: associazioni del centro storico (processo nasceva con l’idea di rafforzare la rete delle associazioni per rendere visibile tutto quello che c’era ma che non si sa a volte e per far accrescere le loro competenze); ASL 3 legata ai temi dell’alcol; ragazzi di Leftlab (pensatoio giovane di sinistra). Mancavano commercianti e residenti che non fanno parte di associazioni. Ai Luzzati è stato fatto un questionario da Marco Montoli (con il pronto soccorso del Galliera). Sono stati invitati dal municipio per mail e telefonata. Poi a seconda dei tavoli il referente di ciascun tavolo chiamava la gente per mail. Tema della comunicazione e dell’invito a partecipare sono molto importanti. Nel caso di questi tavoli ognuno poteva uscire ed entrare quando voleva dal processo.
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4) Quali sono i principali esiti emersi?
2. Marianna Pederzolli
Non credo che siamo arrivati alla definizione di una soluzione. Hanno chiesto di andare avanti con un processo partecipato, motivo per cui si è fatta la seconda fase da settembre a dicembre.
1) Mi può raccontare che ruolo ha avuto nell’organizzazione di Mov-idea?
Hanno fatto una bellissima campagna di comunicazione, con logo e chiedendo ai locali di mettere una bacheca. Hanno definito abbastanza bene il tema per diffonderlo. Non c’era la pretesa di una soluzione ma di sensibilizzare le associazioni che costituiscono la ninfa del centro storico, di fortificare la rete delle associazioni. Sono state avanzate però alcune cose, come alcune di queste buone pratiche: se solo se ne mettessero in campo 5 contemporaneamente sarebbe già qualcosa. Associazione Amistà ha fatto tanto in questi termini (giovani con i giovani). Un consiglio che ti posso dare infatti è di fare un catalogo delle possibili strategie. 5) In ultimo posso chiederle quale è la sua posizione e quali sono le sue riflessioni sul tema della movida a Genova? Allora io sono anche residente nel centro storico e condivido l’idea di portare la movida fuori dai vicoli. Va impostato un processo a tre: va fatto con tutti i commercianti e i residenti oltre alle associazioni. Va fatto un processo con le scuole con tutti i giovani. Si riversa lì una cosa che rispecchia una situazione di tutta la città. C’è un tema di centro storico che ovviamente non è conosciuto, riconosciuto e valorizzato: i giovani non hanno la minima idea della valenza culturale architettonica del centro storico. Ci vuole un lavoro di sensibilizzazione di dove sei. Se tu entri in un ospedale, o in una chiesa, in un luogo dove si richiede un certo tipo di comportamento. Non è che il centro storico, perché non ci abiti e perché sono vicoli…. Questo non è minimamente percepito da chi non ci abita. Una delle cose che hanno proposto sono anche le gite al sabato e alla domenica mattina tipo alle 7 o alle 8 e mezza che aprono i negozi che si puliscono tutte le schifezze. Questo ha un impatto forte. Informazione: Luzzati hanno fatto fare dei questionari ai ragazzi che partecipano alla movida (provenienza, età, scuola) 94
18 gennaio 2018
Movidea è un questionario che è stato somministrato in alcune scuole di Genova e sulla rete. L’obiettivo era quello di chiedere direttamente ai giovanissimi (tra i 13 e i 18 anni) quale fosse per loro una definizione di movida. Ancora prima di affrontare il problema ci siamo resi conto che mancava una definizione condivisa. Spesso gli articoli sul giornale, gli adulti o i residenti definiscono la movida come casino, bordello, problema, maleducazione, sballo. Pero abbiamo detto: chissà i ragazzi come definirebbero la movida. Ci siamo posti questa domanda con varie associazioni giovanili e con quelle che fanno musica nel territorio. C’erano anche rappresentati d’istituto dei licei che quindi vivono direttamente la movida. Abbiamo pensato ad alcune domande semplici che andassero a chiedere “cos’è movida per te” ai ragazzi. Io ero consigliera comunale nello scorso mandato ed ero presidente della commissione pari opportunità e politiche giovanili. Dato che il tema della movida mi aveva appassionato e avevo portato in Comune varie proposte e progetti sul tema dell’economia della notte e della vita notturna a Genova, quando poi il Municipio Centro Est, il Palazzo Ducale e l’Università si sono messi insieme per fare questo percorso partecipato su vari temi del centro storico, mi hanno chiesto di dargli una mano a costruire il tavolo giovani e movida. Il ruolo che ho avuto io è stato di fare incontrare il progetto di progettazione partecipata con associazioni di giovani che le istituzioni non conoscevano. Li ho messi in contatto e poi sono stata la referente di questo gruppo per i mesi in cui è stato in vita. 2) Da chi è stato ideato e organizzato? Il percorso di partecipazione aveva poi una seconda fase che era un’azione pratica. I gruppi dovevano pensare ad un progetto pratico e noi avevamo scelto di fare un questionario conoscitivo e poi fare una restituzione con i ragazzi dei dati e da lì sviluppare in una terza fase ipotetica delle proposte. Pero ci siamo detti, ancora prima di pensare alle proposte: come migliorare la situazione della vita notturna?… Andiamo a chiedere ai giovani, che sono sempre il soggetto mancante in tutti i dialoghi che le istituzioni fanno su questo tema, cosa ne pensino.
3) Quali sono stati gli attori coinvolti? Il Liceo Deledda e il liceo Leonardo fisicamente durante assemblee d’istituto: sono state raccolte sulle 400 risposte. Poi c’è stata un’adesione in rete tramite un questionario online che girava su Facebook: hanno risposto persone di svariato tipo. Abbiamo chiesto sesso, età e residenza: interessante vedere le differenti risposte a seconda dell’età e di dove vivevano. 4) Attraverso quali modalità sono stati invitati a partecipare? Avremmo voluto svilupparlo maggiormente quindi direttamente nei luoghi della movida girando la sera con il questionario, chiedere alle associazioni che avevano delle sedi fisiche tipo i Luzzati di distribuire il questionario durante le serate. Per ragioni di tempo è stato un po’ ridimensionato. Abbiamo anche chiesto al Comune (dato che è molto interessante quello che si può costruire attraverso l’ascolto dei ragazzi su questo tema) di finanziare un questionario fatto più seriamente quindi statisticamente pesato, insieme a professori di sociologia e magari con un minimo finanziamento per farlo in maniera più strutturata. Non è avvenuto, rimane un prototipo. 5) Riguardo al lavoro svolto quali sono stati i metodi e le problematiche riscontrate? Problematiche no. I ragazzi hanno risposto in maniera molto seria ed erano contenti. C’erano ragazzi di età molto diverse. Ad esempio quelli del primo anno del liceo dicevano: per me la movida è... ma in realtà non erano mai usciti la sera. Anche nell’immaginazione di un ragazzo che pensa cosa sarà la movida è interessante capire... Nello stendere le domande del questionario hanno chiesto una mano ad una ragazza che studia sociologia. Era composto da una sola domanda aperte e da altre chiuse. 6) Quali sono i principali esiti emersi? La cosa più interessante era: la principale definizione emersa di movida era legata all’aspetto relazionale (quindi conoscere persone nuove o stare con i miei coetanei..), una dimensione molto sana che forse fa emergere un bisogno di incontro che oggi non è cosi scontato che un ragazzo abbia. La maggioranza dei ragazzi ha delle vite estremamente individuali anche attraverso la rete. Mancano degli spazi di spazio pubblico condiviso.
Lo interpretavano come uno spazio pubblico di socialità prima di identificarlo come spazio concreto. C’era poi definizione di stacco (dopo la settimana voglio staccare e bere). Definizione dello sballo c’era ma relativa rispetto alle altre. Gli adulti che hanno risposto ai questionari online hanno dato per la maggioranza queste definizioni: maleducazione, degrado, chi mi piscia nel portone (tutte cose reali). C’era correlazione tra età e definizione come aspetto negativo sensibilissima. 7) Posso chiederle quale è in particolare la sua posizione e quali sono le sue riflessioni sul tema della movida a Genova? È un tema molto interessante perché si incontrano tanti aspetti, si incontrano tanti attori nello stesso spazio che cambia faccia tra il giorno e la notte. Quando uno cammina nei vicoli si rende conto di come le saracinesche aperte la sera sono chiuse durante le ore del giorno e viceversa, quindi è un luogo completamente diverso da quello che è di giorno. Ci sono più interessi in gioco che si incontrano tutti nello stesso luogo. È stimolante anche per la politica capire come gestire un fenomeno di questo tipo. Per me è un fenomeno, anzi un’opportunità, le grandi città fanno della notte parte integrante del giorno: devo adibire la notte come se fosse il giorno non solo per i ragazzini che si vanno a sballare, ma anche per una città che vive di notte (l’infermiere che finisce il turno o i mestieri notturni che ci sono) e quindi devi prevedere anche la metro nelle ore notturne ed una serie di servizi che non si possono interrompere. E’ stimolante come sfida integrare diversi interessi: chi vuole dormire, chi vuole fare commercio, chi vuole divertirsi, chi vuole lavorare. Quello che penso è che non si sia colta questa opportunità, ma che sia sempre stata vista come un problema: quindi ordinanze. Non è che se chiudo prima i giovani non bevono più. È un modo per spostare il problema senza affrontarlo. Credo che interrogarsi su come si potevano aumentare i luoghi fisici in cui far vivere una seconda parte della notte, attività culturali ricreative, alternative al solo alcol potesse essere una soluzione. Ci sono tante piccole realtà che fanno eventi, ma poco conosciute e comunque non avvengono con una frequenza costante. Io ragazzo, quando voglio uscire, l’unica cosa che posso fare mentre sono fuori coi miei amici è bere, ma non ho lo spettacolo, l’attività, il concerto, la mostra, il rave o l’aula studio aperta. Ampliare l’offerta culturale di servizi è il modo più intelligente per arginare l’abuso di alcol. Altro aspetto emerso dai discorsi coi ragazzi: tanti ragazzi non conoscono il centro storico di giorno. 95
Quelli che vivono a Voltri, Pra o Lagaccio non sanno collocare palazzo Tursi… Conoscono il centro storico solo come luogo in cui vanno la sera ed è un enorme luna park , una “deregulation”. “Sono anche un po’ incazzato perché è il centro città e io vivo ai margini della città e quindi ti distruggo quel posto perché tanto non c’è un legame con il luogo. Non l’ho mai visto di giorno, non lo conosco nella sua bellezza storica, artistica e non mi ha dato possibilità. È un luogo che vedo dalle 22 alle 2 di notte”. C’erano ragazzi molto giovani durante il tavolo che dicevano “io prendo l’autobus con le bottiglie di vodka dal Lagaccio, siamo già ubriachi alle 9, scendiamo giù, poi a mezzanotte coprifuoco e torniamo su”. Ai ragazzi durante le assemblee facevamo fare anche un po’ di lavoro sulle proposte. Dovevano indicare sulla mappa le vie che intendevano come vie della movida, gli orari e una serie di buone pratiche e soluzioni per migliorare la convivenza. Una cosa che hanno detto molto è di animare più centri. Ti dicevano “eh sotto casa mia non c’è niente. Quindi se voglio l’aspetto relazionale devo andare nel centro storico. Se voglio conoscere il mondo non esistono eventi nel mio quartiere. Anche per sentirmi parte della città”. 8) Quali personalmente pensa siano le problematiche principali del fenomeno della movida nei vicoli? I vicoli non sono il luogo idoneo per la quantità di gente che c’è. Si superano i decibel anche solo se uno parla e se si è in cosi tanti in un vicolo ti sente tutto il palazzo di sopra. I vicoli devono ringraziare la movida (cosa che si dice sempre troppo poco) perchè prima era terra franca in cui c’erano solo tossici. La movida ha rivalutato enormemente il centro storico. È evidente che c’è un sovraccarico di persone. Cosa assurda dal punto di vista urbanistico sono i vuoti e i pieni: hai spazi iper pieni e tre vicoli dopo il deserto. Ci sono solo alcune zone attraversate da questa fiumana di persone e altre che rimangono completamente vuote. Lo sbocco naturale sul mare (il Porto Antico) non si è mai sfruttato davvero (d’estate ci sono delle serate, ma di inverno è deserto). C’è frattura tra vicoli e porto antico come se fosse una zona di plastica della città. Una proposta inoltre potrebbe essere recuperare edifici abbandonati del porto in cui fare eventi culturali dalla mezzanotte per far defluire la gente. Riuscire a costruire eventi attrattivi in luoghi piu aperti. Un buon tentativo fatto è stato ai giardini di plastica con il festival Cresta: è un luogo abbandonato d’estate ed è diventato posto di concerti. 96
Altra grande sfida potrebbe essere fare il Parteciparty al Forte Begato (che normalmente si fa fuori comune perché non si trovano spazi e permessi per farla in città) con organizzazione di servizi anche notturni di mobilità eccetera. Le fortificazioni sono luoghi suggestivi che si presterebbero a qualsiasi forma d’arte. Quindi sopra e sotto i vicoli, sul mare e sui monti si potrebbero pensare dei luoghi della notte. È giusto comunque che non sparisca dai vicoli. 9) Come pensa si possa favorire il fenomeno sotto il punto di vista urbanistico? Si può capire perché ci sono vicoli pieni e vicoli vuoti. C’è una disposizione delle persone un po’ stramba. Capire come indirizzare e spalmare attività commerciali in modo più distribuito nel centro storico, togliere i punti di picco (Piazza delle Erbe) abbastanza insostenibili per chi abita lì. Altro tema invece è quello della proibizione di musica dal vivo dentro ai locali. Bisognerebbe invece dire: “io pago l’insonorizzazione dei luoghi che devono garantirmi che fanno musica dal vivo perché è un valore aggiunto e stimola la creatività”. Infatti il problema principale è che le persone stanno fuori più che dentro ai locali. Il casino lo fa chi sta su strada non dentro. Altro tema dovrebbe essere quello più educativo con le scuole, in modo che i ragazzi conoscano meglio gli spazi perchè li vivano in maniera più rispettosa. Incentivare la nascita di realtà sane ... Penso ad una buona movida un luogo in cui bevo se voglio, ma in cui non sono lì solo per quello, che ci sia attività che mi può portare ad una crescita (ad esempio Foligno ha ospitato festival di musica elettronica dentro gli spazi medievali del comune che i ragazzi non avevano mai visto. Commistione tra spazi molto vecchi e musica molto nuova). I locali dovrebbero fare programmazioni di musica dal vivo (ad esesempio il patto di Milano per la musica dal vivo). Non ci sarebbe cosi solo alcol ma anche dell’altro.
3. Domenico De Simone
21 dicembre 2017
2) Riguardo al vostro lavoro può raccontarmi quali sono state le problematiche riscontrate? Quali sono i principali esiti emersi?
1) Mi può raccontare in cosa ha consistito il percorso di mediazione sul tema della movida e da chi è stato svolto?
Nella prima fase di lavoro del Quic avemmo un consulto specifico con uno dei luminari a livello mondiale (qui a Genova abbiamo avuto il congresso mondiale di mediazione. Il primo che si è svolto in europa è stato fatto qui a Genova) il professor Natò e lui stesso ci ha detto che era una roba molto molto complicata. Perchè? Perché la natura delle parti in causa è impalpabile. Il problema identitario sorge ex post. Tutte e due le parti in causa sono composte di personale che non si sente a nessun titolo facente parte dello schieramento. Se prendi palestinesi e israeliani: ognuna delle due parti si sentono di possedere l’identità e quindi sono schierati e hanno in qualche modo una loro conformazione, una loro rappresentanza, hanno una concretezza. Invece questi due schieramenti non hanno queste caratteristiche o meglio sorge questa caratteristica allorquando una singola persona supera una determinata soglia. Ad esempio: io sono un abitante di qua e di quello che succede qua in giro non me ne frega niente fino a che non rompono le balle proprio a me. A quel punto divento super residente e intervengo (con acqua etc.). Stessa roba succede dall’altra parte. Uno viene qua per stare in compagnia, avere occasioni di incontro, però accade che a volte qualcuno supera determinate soglie (suona campanelli alle 3 di notte, fanno la gara per vedere chi riesce a sfondare una saracinesca). Questa roba qui è fuori da qualsiasi tipo di strutturazione quindi non consiste. E non riesci mai a mettere uno schieramento in condizione che pensi su sè stesso e che possa contrattare qualcosa. Tanto più che c’è un ricambio continuo: specialmente da parte della movida.
Da qualche tempo personalmente sono stato coinvolto in un’esperienza di mediazione comunitaria, che è una disciplina che si prefigge di risolvere problemi che intervengono all’interno di una comunità oppure tra comunità con delle tecniche di attivazione di risorse da parte delle persone che sono coinvolte. Una maniera dolce non violenta di affrontare situazioni conflittuali. All’interno di questa disciplina, partendo dall’attività del Ce.sto, sono stato coinvolto in delle azioni formative: sono stato allievo di un corso specialistico universitario in cui si approfondivano delle tematiche antropologiche sociali riguardanti la mediazione. All’interno di questo corso abbiamo avuto un compito di affrontare una situazione reale di nostra conoscenza che riguardava i quartieri per cui un gruppo di studenti ha affrontato questa tematica riportando delle questioni che riguardavano i Giardini Luzzati e come questi erano vissuti da parte dei residenti del circondario. A questo fine abbiamo contattato delle persone, alcune che avevano vissuto piacevolmente l’esperienza dei giardini e altre che si lamentavano dell’attività. Di tutte queste informazioni abbiamo fatto una riproduzione con riprese video in cui gli studenti avevano interpretato i ruoli delle persone che erano state contattate e intervistate. Riguardo alla movida l’obiettivo era quello di mediare tra residenti e movida. Sono due mondi separati che insistono in diverse ore di diversi giorni. Per quanto riguarda il gruppo del Quic, abbiamo iniziato a parlare con i residenti. Da parte della movida c’è atteggiamento di sfida. Abbiamo cercato di coinvolgere quelli che noi abbiamo ritenuto gli attori sociali, delle figure che, come gruppo spontaneo, ritenevamo che potessero coinvolgere a catena altri soggetti quindi residenti ed esercenti dei negozi, per cercare di avere un addentellato per poter aver un confronto con la movida su un altro piano. Abbiamo fatto delle attività cercando di organizzare momenti di incontro o occasioni di festa, oppure abbiamo indetto un concorso che riguardava gli esercizi con un momento conclusivo in cui abbiamo consegnato degli attestati (il negozio più simpatico, quello più attraente).
La movida è un organismo che è in continuo cambiamento. Magari i frequentatori della movida frequentano per un periodo. È sempre qualcosa in evoluzione. È come voler avere del potere sulle nuvole! È difficoltoso. Il professore ha invitato a riflettere su queste cose. Quando parliamo di mediazione parliamo di un processo che si svolge tra componenti che hanno delle caratteristiche che sono fortemente identitarie. Se manca questo aspetto identitario diventa tutto quanto più difficoltoso. La colpa numero uno dei residenti e degli esercenti è che intendono risolvere il problema rimanendo a casa loro. Questo genere di situazione ha una sola possibilità di sviluppo: che i cittadini ristabiliscano la proprietà sul loro circondario uscendo di casa. 97
Se non escono di casa quello che succede per la strada è fuori dalle loro possibilità. Queste cose qua si risolvono andando a passeggio, mettendosi sul portone di casa a fare conversazione, con delle cose che sono considerate antiche, che non si fanno più perché ora c’è la luce elettrica, la televisione. Al tempo nei quartieri, piccoli o grandi, benestanti o poveri, si facevano queste robe qua. Perché invece di stare chiusi in casa, ci si andava a prendere un po d’aria sull’uscio di casa, si faceva conversazione. È un problema della comunità. Il primo problema della comunità residenti sta dentro di loro perché loro vorrebbero che ci fosse un’altra situazione, ma continuando a fare ciò che stanno facendo, ossia rimanendo in casa. Sono passati 5 anni in cui di volta in volta ci sono dei volenterosi che cercano di attivare buone pratiche, ma non ci riescono perchè ci sono questi fronti contrapposti di persone che sono desiderose di qualche cosa però del tutto immotivati a tradurre quello che desiderano in qualche azione. Si parla di opposti estremismi: da una parte ci sono le persone che dicono “noi lavoriamo, paghiamo le tasse e vogliamo i servizi”. Io lo chiamo estremismo legalitario. Dall’altra parte c’è l’estremismo anarchico: “anche questo pezzo di città è un pezzo della mia città e se io ho voglia di andarmi a divertire e schiamazzare, perché non lo posso fare?”. La cosa simpatica è che in mezzo a queste cose qui nessuno si muove perché tutti quanti presuppongono che sono gli altri che devono ... invece per ottenere un cambiamento c’è bisogno che ci sia un incontro, un’attivazione delle parti in gioco. Nessuno muove una paglia. I residenti da una parte, i fruitori della movida dall’altra. 3) Mi può parlare dell’esperienza dell’associazione Ce.sto? Alla gara ci siamo presentati con un consorzio di imprese (con La Claque..). La organizzazione che c’era in precedenza si era tenuta il campetto. Ora invece i gestori degli spazi sono Ce.sto associazione, Giardini Luzzati associazione, cooperativa sociale e cooperativa archeologia. C’è un consorzio di organizzazioni che manda avanti tutto quanto. Ora abbiamo anche il massuero 2000 new entry. Le attività che si fanno sono composite. Al ghetto abbiamo una scuola di italiano per stranieri (l’unica componente della casa di quartiere rimasta in piedi). Partecipiamo all’accoglienza dei richiedenti asilo, abbiamo degli alloggi e gli facciamo fare esperienze di lavoro, bonifica dei giardini di plastica, nella squadra di manutenzione e lavori nelle aiuole dei Luzzati; poi il centro minori dove fanno attività ludiche e di sostegno scolastico per elementari e medie; servizio per adolescenti (educativa di strada). 98
Sono tutte cose che in parte si interfacciano. Inoltre il Ce.sto ha un ruolo attivo in attività di mediazione tra le componenti che fanno parte del centro storico. Questo gruppo che poi si è costituito come Quic a un certo punto, in un primo momento, si era rivolto al Ce.sto. Il Ce.sto allora era coinvolto al ghetto nel portare avanti la Casa di Quartiere del ghetto (ghettapp). Il ghettapp è stato un tentativo da parte di un consorzio di associazioni capofila S. benedetto per far camminare una situazione del ghetto in maniera positiva. Nel ghetto il problema principale era la contrapposizione tra una parte di popolazione di trans con l’associazione delle princese, che praticano l’arte più antica del mondo: si prostituiscono lì. Ad un certo punto il ghetto è diventato anche un posto in cui andavano ad abitare persone che venivano dalla costa meridionale del Mediterraneo, di provenienza araba, con una cultura maomettana. Nella loro cultura l’omosessualità è condannata in maniera pesante. Molta contrapposizione tra due opposti estremismi. La casa di quartiere è stata un’esperienza per cercare di fare in modo che in questo contesto si potesse trovare una vivibilità migliore. Sono state fatte delle attività, tra cui una in cui i residenti si sono attivati per fare delle pulizie degli abbellimenti ed erano stati messi dei manifesti in molte lingue (nel pulito si vive meglio, aiutiamoci l’un l’altro a tenere pulito) e alcune persone che abitavano nel circondario passando vedevano gli striscioni e si rivolgevano alla casa di quartiere (“vorremmo anche noi fare qualcosa per rendere via S. Bernardo più vivibile”). Il Ce.sto si è reso disponibile per appoggiare queste attività. Le riunioni si sono svolte nella allora sede del Ce.sto. 4) In che modo le associazione Ce.sto e Giardini Luzzati partecipano in maniera attiva nel contesto della vita notturna del centro storico? I Giardini Luzzati Propongono a chi frequenta la movida una frequentazione responsabile sotto più aspetti, propongono un atteggiamento socialmente responsabile delle movida. Propongono delle occasioni in cui l’incontro non sia dispersivo ma abbia dei catalizzatori, degli elementi attraverso i quali le persone sono coinvolte nelle azioni che si svolgono. Aattraverso la musica, attività artistiche che abbiano un filo conduttore, qualcosa su cui le persone possono sentirsi insieme coinvolte, non nella maniera dispersiva in cui avviene l’esperienza di incontro che si svolge nei vicoli, che pare che le persone si comportino come delle palline da flipper impazzite. La mission dell’organizzazione è quella di rendere gli spazi appetibili, gradevoli e frequentabili, che non siano appannaggio di un certo tipo di popolazione, aperti a tutti.
Ad esempio sono stati fatti dei disegni sulle pareti. Hanno fatto una raccolta fondi per quello sulla parete del Teatro della Tosse. Abbiamo un contratto con l’amministrazione, quindi con tutta la popolazione I Giardini hanno la propria sicurezza e la propria pulizia.
C’è la processione di persone che vengono a fare la pipi ai giardini. Vengono ritenuti quindi colpevoli di non avere abbastanza gabinetti.
5) Posso chiederle quale è la sua posizione e quali sono le sue riflessioni sul tema della movida a Genova? A parte il fatto che la movida ancora adesso è un tema bollente... Ma qualche anno fa c’è stato un periodo in cui era incandescente. Mi ricordo un episodio di un negoziante, che prima che ci fossero le elezioni del sindaco precedente, a una riunione si era accalorata talmente tanto su questa tematica (era la tematica che veniva fuori ad ogni dibattito) che ha avuto una specie di mancamento ed è andata in ospedale. La situazione in S. Bernardo allora era molto peggiore rispetto ad adesso. C’erano molte più serrande abbassate di quante ce ne siano ora e c’era molta più confusione. Differenza tra ore diurne e notturne era molto più pronunciata. Se si va ora in via s. Bernardo ci sono delle attività che in precedenza non c’erano, che sono aperte anche di giorno (negozio che fa la pinsa, negozio di articoli gastronomici siciliani, laboratorio di ragazzi attività con bambini). Si è evoluta la situazione. Ci sono sempre tante serrande chiuse, sia di giorno che di notte e tante che si aprono solo nelle ore notturne. 6) Potrebbe proporre qualche suggestione utile per la movida? Fuori si possono fare tante attività però vanno fatte in accordo stabilendo delle alleanze, facendo in modo che le cose che fa la popolazione abbiano un motore proprio. Ti posso proporre una suggestione che viene dall’esperienza del Quic (un po’ indietro nel tempo), da parte di una persona che era l’elemento più anziano: una signora che aveva più di ottant’anni. Tra gli elementi fondamentali che lei riteneva urgenti per risolvere questo problema c’era quello dei gabinetti. Tutte le persone che vengono anche serenamente hanno bisogno di un posto dove andare ad espletare i loro bisogni corporali. Se queste cose non vengono organizzate, con i fiumi di birra che vengono bevuti nelle ore notturne, i vicoli olezzeranno sempre di urine. Nei bagni dei Giardini Luzzati c’è una scritta che dice che qui i cessi sono pochi. In certe ore della notte è l’unico gabinetto disponibile di tutto quanto il circondario. 99
4. Marco Montoli
22 gennaio 2018
Tanti locali aprono alle 6 di sera e chiudono alle 2 di notte solo nei week end.
1) A quale scopo è nata l’iniziativa dei questionari sul tema della movida nel centro storico?
Appena abbiamo saputo che avremmo gestito i giardini abbiamo fatto varie assemblee di quartiere chiedendo un po’ agli abitanti, alle persone che frequentavano il centro storico e alle persone che conoscevamo un’opinione di secondo loro cosa mancava nel centro storico (consultazione assembleare). Dopo qualche mese abbiamo messo una cassa all’ingresso del circolo con scritto “proposte, lamentele, richieste utili al nuovo progetto di gestione dei giardini” e la gente ci lasciava dei biglietti. Alcune proposte che sono state messe nella cassa sono state realizzate, tipo i giochi per i bimbi ci erano stati chiesti.
Quando avevamo preso il primo anno di gestione, quindi quasi 6 anni fa, ai Giardini Luzzati abbiamo elaborato cosa sarebbe stato fatto dentro i giardini e abbiamo individuato cinque filoni di lavoro, tra cui attività per bambini, per anziani e laboratori, quindi tutta la parte diurna e poi c’era una parte che volevamo lanciare che era l’aggregazione serale, quindi il circolo sarebbe diventato uno dei luoghi dove potevano venire i giovani. Sapevamo che la frequentazione serale era quella che determinava più disagio a livello di quartiere quindi le due rilevazioni erano una rivolta agli abitanti limitrofi (quali erano le preoccupazioni e i disagi rispetto alla movida) e l’altra riguardo a cosa lamentavano i giovani nella frequentazione. 2) Quali sono stati gli attori coinvolti? I giovani, gli abitanti del quartiere, i frequentanti del quartiere e artisti. 3) Riguardo al vostro lavoro può raccontarmi quali sono stati i metodi e le problematiche riscontrate? I questionari chiedevano cosa si aspettavano i giovani, cosa mancava come proposta e quali erano i problemi più avvertiti dagli abitanti. C’erano state segnalate dagli abitanti: rumore notturno e percezione che i giovani frequentatori della movida non avessero minima cognizione del fatto che questo fosse un luogo abitato. È ciò su cui continuiamo a lavorare. Permane questa sensazione. La maggior parte dei giovani che frequentava e tutt’ora frequenta la movida serale ritiene il centro storico un luogo dove non si ha la percezione di un luogo in cui abiti della gente, senza regole e quindi un po’ la percezione di un luogo in cui si può fare quello che si vuole. La lamentela più diffusa era che i giovani facevano chiasso dopo mezzanotte, facevano la pipì nei portoni, non avevano rispetto per i luoghi. Mentre tra i giovani lamentela più diffusa era che non c’erano luoghi reali dove poter fare attività artistico/musicali. Non viene dato spazio all’espressione artistica, in particolare musicale. Gli bitanti lamentavano anche che ci fossero molte attività serali ma non ce ne fossero diurne. Quindi di giorno zona sguarnita, vuota e disabitata. Di giorno deserto e di notte caos infernale. Noi abbiamo elaborato la nostra proposta di attività tenendo conto di queste due variabili. 100
4) Come sono stati coinvolti gli attori nell’indagine? Avevamo fatto degli annunci sulla pagina Facebook e dei volantini intorno all’area, più passaparola tra gente che conoscevamo. Noi siamo operatori sociali e molto avviene attraverso la ricezione del rapporto relazionale diretto col quartiere, cioè se una persona viene qua e si lamenta noi acquisiamo l’informazione e la rielaboriamo; se l’educatore che lavora di giorno coi bambini o il genitore si lamenta, noi lo veniamo a sapere etc. Noi non siamo un soggetto esterno del territorio ed essendo in più operatori sociali ed educatori lavoriamo tanto sulla relazione, quindi tante informazioni non abbiamo come l’amministrazione pubblica necessità di reperirle tramite questionari ma ci arrivano. 5) Quali sono i principali esiti emersi? Lamentele ne riceviamo parecchie: molte relative al contesto. Direttamente nei nostri confronti l’unica e più grossa lamentela è stata rispetto all’impatto sonoro della musica. Per noi l’antidoto è creare momenti aggregativi per sensibilizzare i giovani rispetto ad un utilizzo dello spazio consapevole. In alcuni momenti però la musica è stato quello che disturbava alcuni abitanti. A seguito delle lamentele ad esempio abbiamo spostato la porta di accesso ai giardini per evitare che la musica andasse dritta verso il caseggiato. In occasione di assemblee pubbliche annuali abbiamo comunicato al vicinato (il più sensibile è molto contento, poi rimangono i soliti a cui non va mai bene niente) il nostro programma degli eventi principali e gli orari di chiusura.
Da 3-4 anni concerti in esterna non finiscono dopo le 23:30 e in interno finiscono alle 00:30 quindi l’impatto sonoro è normato. Il permesso acustico del Comune va fino a mezzanotte e a volte anche 00:30. Abbiamo scelto gruppi alcune volte che avessero un impatto sonoro più basso (musica acustica o più contenuta) e avvisavamo nel momento in cui ci sarebbero stati gruppi con impatto acustico più significativo. Le proposte sono quelle musicali, ma non solo perchè sono sempre collegate ad attività rivolta a bambini, o attività più bilanciate sulla prima serata e non tarda serata. I concerti in esterna iniziano alle 21:30. Prima c’era l’abitudine di venire ai concerti alle 23. Noi siamo riusciti ad educare. Il lavoro educativo sulla frequentazione è stato: “ragazzi le proposte dei giardini Luzzati avvengono in un luogo abitato per cui se avete piacere a seguire la nostra proposta di qualità e gratuita vi chiediamo di venire alle 21:30”. Le fasi critiche più grosse nostre sono tra primavera ed inizio estate. La gente inizia ad aprire le finestre quindi sente più rumore. Noi facciamo una serie di concerti in più in maggio e giugno che è il periodo un po’ più critico. D’estate poi c’è più programmazione con il Teatro della Tosse e quant’altro. D’inverno le lamentele rispetto alla movida riguardano più la zona limitrofa che qua dentro. Qua c’è un servizio di sicurezza e si chiede rispetto del luogo, delle modalità con cui ci si diverte, della consapevolezza. Le lamentele sul contesto esterno che ci sono arrivate riguardavano ragazzi che bevono e pisciano per strada, che urlano. Il fenomeno adesso è che tanti ragazzi vengono con la propria musica, si portano da bere. Quindi non frequentano neanche i locali. Frequentano ad esempio piazzetta là dietro infondo a vico del fico. La considero terra di nessuno. C’è una modalità di approccio allo spazio pubblico che è ignorante (ignorano che sopra ci sia gente che dorme). Abbiamo fatto inoltre 2 anni fa un questionario che ha portato al progetto di educativa di strada. Nella nostra recensione della frequentazione dei Luzzati avevamo visto che specialmente il sabato si era abbassata la frequentazione da parte di ragazzi dei licei e si era molto alzata la provenienza dalle periferie e dagli istituti tecnici. Si era abbassato l’interesse.
Abbiamo presentato un progetto educativo di strada durante la movida ad un bando fatto dalla società autostrade che non ha vinto. Il bando era di attività di prevenzione per i giovani. Si basava su un campione medio di frequentazione (magari è un po’ superato siccome erano 2 anni fa e qua le cose repentinamente cambiano: apre un locale particolare e tutto un ramo di persone si sposta da una parte). 6) Mi può raccontare l’esperienza dei Giardini Luzzati in relazione alla movida nel centro storico ed al contesto sociale? Giardini è un’esperienza di partecipazione su generis. Passa attraverso l’esistenza di un organismo sociale permeabile e che avviene tanto con la relazione e non attraverso la formalizzazione di processi decisionali (che poi vorremo fare). Tipo i giochi dei giardini... Il Comune ha detto “metto a bando dei progetti che mi arrivano e chiedo di votare quali gli abitanti del centro storico preferiscono” e abbiamo vinto noi. I Luzzati inoltre hanno vinto il Premio Buena Movida 2015. Un vecchio intervento è stato: la piazzetta qua sotto era vissuta da centinaia di ragazzi con quella modalità di divertimento; è stata chiusa con un cancello per dargli un’identità ed è diventata piazzetta Mauro Rostagno. Rimane a libero accesso ma con regole un po’ imposte dalla collettività che gestisce i giardini. Nuova modalità di fruizione dello spazio pubblico. Un’altra soluzione tecnica sono state le panchine dei Luzzati. Avevamo il problema che un sacco di ragazzi non frequentavano la piazza e il circolo, ma andavano là dietro solo per bere e fumare. Allora per dire “questo è uno spazio pubblico che ha delle regole”, abbiamo messo queste panchine che danno un segnale di chiusura, non solo sono una barriera ma sono anche una seduta. Non ti vieto qualcosa ma ti propongo un’altra cosa. Altro problema è che nei giardini il giorno dopo vengono i bambini a giocare e trovano uno scempio. I primi anni avevamo un problema: chi veniva al circolo stava qua poi si riempiva di ragazzini che vivevano lo spazio con quella modalità e noi abbiamo fatto un lavoro di spiegazione uno a uno, di filtro, in casi estremi alcuni allontanati, molto sul dialogo, sul dare un setting che spingesse all’incontro e non allo sbarello. In una lunga fase abbiamo volantinato e abbiamo dato questo messaggio prima delle attività. 101
Da un punto di vista architettonico la cura dello spazio è un fattore predominante (prima c’erano meno piante, raccolta differenziata meno distribuita, non era visibile la presenza di elementi che richiamassero la cura e il bello e meno l’abbandono…).
Non sono state poste delle questioni chiare a chi apriva degli esercizi. Una marea di esercizi hanno sfruttato la movida serale per fare attività, ma hanno abbandonato la zona di giorno. Non è stata proprio una riqualificazione armonica del territorio.
Zone del centro storico danno l’impressione di forte abbandono e quindi si prestano anche ad essere riempite in quella maniera lì. Ai giardini è percettibile perché ogni volta trovi un cambiamento della disposizione della piazza, avvengono sempre piccoli grandi avvenimenti come writers che ogni tanto cambiano le scritte o i disegni... In futuro verrà messa un’installazione tutta intorno alla piazza con piastrelle che parlano della storia di Genova.
Uno dei capisaldi dei Luzzati è: apriamo anche di sera ma ci impegniamo a tenerla viva anche di giorno. Comunque il residente che già subisce un minimo di disagio oltre che vantaggio dalla frequentazione notturna, di giorno deve poter uscire in una zona viva, realmente frequentata e non che si trovi il deserto dopo che ha avuto il casino serale.
Quando arrivi qua credo che sia abbastanza diretta la percezione che è un luogo che ha un certo tipo di spirito, percettibile nel comportamento delle persone, ma anche nell’arredamento e nella cura. D’estate ci sono i teloni bianchi e azzurri. I tavoli in certi orari sono a libero accesso di tutti e c’è una scritta che lo dice. Sono messaggi che danno un servizio, ma ricercano appartenenza al luogo. Ripetere l’esperimento Luzzati in larga scala può essere fatto in maniera molto capillare e lunga. La funzione generale è lanciare programma che propone attività di qualsiasi tipo. Molti ragazzini che erano abituati a frequentare in maniera selvaggia il posto, venivano qua e trovavano un evento tipo concerto o swing in cui c’erano persone adulte, capivano che non erano più in un non luogo, ma un luogo che richiama alla necessità di frequentare seguendo delle “regole”. Vieni in centro storico perché c’è una cosa bella, non vieni in centro storico a bere. Uno dei temi che stiamo lanciando è di usare molto la musica hip hop proprio per dire che non bisogna mandare via i ragazzini, anzi bisogna attrarli, ma bisogna proporre delle cose che non siano l’uso e consumo degli spazi ma una fruizione. Parte dell’utenza che viene in molte occasioni si è spostata in Piazza Lavagna o in bar limitrofi perché c’era una soluzione meno caotica. Sarebbe rimasta solo una zona di chupiterie senza i Luzzati. Anche Piazza delle Erbe aveva perso un po’ l’attività originaria di aggregazione. La movida nel centro storico è stata una risorsa, ma non è stata gestita. I primi anni lo spirito che animava la movida inizialmente era: vado, incontro, discuto, parlo in piazza. La spinta prioritaria era quella della socialità. Non aver alimentato questo aspetto ha fatto si che… 102
7) Avrebbe alcune idee/proposte da suggerire sull’organizzazione degli spazi della movida? A chi fa movida serale devono essere chiesti degli impegni precisi sul giorno e sulle aree di loro pertinenza. Se tu proponi chupiti a un euro, apri alle 6 e chiudi alle 2, è evidente che stai creando un danno al territorio. Se tu fai concerti, aggregazione, crei responsabilità nei tuoi partecipanti, proponi cose per i turisti di giorno, produci un valore anche per il territorio, senno è sfruttamento del territorio e basta. Alcune idee per le altre zone del centro storico potrebbero essere: i concerti che possono passare l’idea del rispetto; la presenza di più fiori e più cura ci dovrebbe essere (tu in una pizza arrivi e ci sono varie piante magari ti muoiono tre volte perché te le devastano, alla quarta diventa parte della presenza e dà il senso di vita dentro a quel territorio e non un luogo abbandonato); una cartellonistica che spieghi l’importanza dei luoghi dove sono (ci sono i Palazzi dei Rolli, la torre più antica di Genova..). un’immagine con una comunicazione adeguata ai giovani che impatti sulla ricchezza storica in cui sta navigando. Inoltre promuovere un servizio di educativa di strada che faccia sensibilizzazione magari usando strumenti come il teatro, performance immediate (se un ragazzo è abituato a venire, bere, ubriacarsi e fare casino, ma in certi momenti trova un’estemporanea di teatro che gli accende una lampadina e gli dà una percezione diversa del posto dov’è, uno stimolo diverso). Oppure la presenza degli abitanti in piazza la sera. Il Comune ha comprato dei fondi e adesso la spazzatura non avviene più nei bidoni nei vicoli che puzzava, ma in posti chiusi che vengono puliti. Il comune può prendere alcuni di questi fondi e magari adibirli a toilette pubblica a pagamento e gestiti da una persona che magari trova pure un lavoro o servizi socialmente utili dove magari unisci il problema dei cessi all’educazione.
Magari entri nella toilette e sei costretto a impattare con alcuni messaggi positivi o responsabilizzanti rispetto alla tua presenza nella zona o addirittura con degli educatori di strada. Ad esempio i primi anni che frequentavo la movida c’era un negozio che vendeva preservativi di tutti i colori. Ti dava una sensazione culturale differente. Ti dava un messaggio positivo ed era accattivante e trasgressivo per un giovane. Non è mai stata fatta inoltre un’opera di comunicazione di massa sia nei luoghi di frequentazione nei bar, sia sui mass media di richiesta: “frequentate il centro storico, ma ragazzi, ci abitano delle persone, è uno dei centri storici più belli del mondo, rispettatelo!” Se fai fare la comunicazione dai testimonial o da rappresentanti, una cosa simpatica, da parte dei locali… Ci vorrebbe un buon comunicatore grafico e urbanista. Un piano di dissuasione morale per chiedere un rispetto maggiore è una bella idea! 8) In ultimo posso chiederle quale è la sua posizione e quali sono le sue riflessioni sul tema della movida a Genova? Al tempo tu avevi la percezione di frequentare il centro storico e di fare una cosa culturalmente stimolante. Conoscevi persone. Eravamo molesti e ci ubriacavamo anche noi però avevi la sensazione di fare una cosa che accrescesse la tua esperienza e cultura personale. Non penso che ora molti ragazzi abbiano questa percezione. Magari i ragazzi che cercano dell’altro, non lo trovano e magari vanno da un’altra parte. Ho la percezione che Piazza Lavagna abbia raccolto molta gente stufa di venire in centro storico e vedere solo ragazzini in stato pietoso. Io ormai ho passato i 40 ma il ragazzo di 30-35 anni ha anche piacere a stare seduto come stava alle erbe, girare sereno, bere e divertirsi ma non vedere ragazzi rumorosi.
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Allegati: esempi di “Quiz” Vengono riportati di seguito tre “Quiz” scansionati compilati dagli intervistati. I restanti sono aggiunti in allegato alla tesi in un cd presente nelle ultime pagine. Le interviste sono state sottoposte durante il mese di febbraio 2018 e principalmente in Piazza delle Erbe, Giardini Luzzati, Piazza S. Donato, Piazza DeFerrari, Piazza Lavagna, Via di Canneto il Curto, Piazza Negri, Via dei Giustiniani e Piazza di San Cosimo.
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Tutti i siti riportati nella precedente sitografia sono stati consultati nel periodo compreso tra dicembre 2017 e giugno 2018. Tutte le immagini presenti nel testo sono elaborazioni dell’autrice e sono state tratte dai testi e dai siti precedentemente riportati. 109