ANATOME A MILANO Philippe Apeloig. Progettare per la cultura.
Giulietta Carito
SCUOLA DEL DESIGN Corso di laurea in Design della Comunicazione Laboratorio di Sintesi Finale a cura di: Gianfranco Torri, Fulvia Bleu, Francesco E. Guida A.A. 2011/201 2 Milano, 25 febbario 2013
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INDICE GALLERIA ANATOME Premessa 6 Rue Sedaine, 38 7
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO Approfondimenti teorici
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Il marchio Anatome 17 Percorso progettuale 18 Sviluppo del progetto 19 Cancelleria 28 Ampliamento identità 30 Manuale di utilizzo del logo 34
PHILIPPE APELOIG Biografia 41 Le ispirazioni Cassandre 46 Costruttivismo 48 Paul Rand 50 Swiss design 52 Le esperienze Total design 56 April Greiman 58
PROGETTARE PER LA CULTURA Considerazioni sulla promozione dell’ identità museale 63 Apeloig e il museo Louvre 69 D’Orsay 74 Museo dell’arte e della storia Ebraica 82 Appendice 88
UN PROGETTO PER ANATOME MILANO Manifesto 94 Sedicesimo 100 Invito 104 Cartella stampa 106 Stendardo 108 Bibliografia/ sitografia
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GAL LERIA ANA TOME
38, Rue Sedaine
Premessa La galleria Anatome oggi è chiusa. Alla fine di marzo 2012, questo importante esperimento culturale durato dodici anni è giunto al termine per mancanza di fondi. Solo la stampa francese di settore ha dedicato qualche spazio alla notizia, pubblicando anche la petizione dei lavoratori della galleria che chiedevano il sostegno del pubblico e delle istituzioni per continuare a vivere. Anche Philippe Apeloig figurava tra i firmatari.
La rue Sedaine, nell’undicesimo arrondissement di Parigi, è nelle vicinanze della Bastiglia. Al numero 38 c’è un edificio tipico dell’architettura della seconda metà del XIX secolo. Superato il portone un cortile interno introduce a un vecchio atelier oggi occupato dai locali della Galerie Anatome. Galleria che, a partire dal progetto di Henri Meynadier e Marie-Anne Couvreu – proseguito più recentemente grazie all’impegno di Nawal Bakouri, l’attuale direttrice che si ringrazia –, ha fatto da anni la scelta di essere consacrata alla presentazione della produzione grafica contemporanea. Un’iniziativa senza precedenti in Francia in cui non esiste alcun luogo di esposizione permanente interamente dedicato al graphic design. La storia della Galleria è ormai piuttosto importante, a partire da settembre 1999, ed è sembrato interessante proporre la presentazione a Milano di una serie dei principali autori sia francesi che di altri paesi, simulando l’allestimento di una serie di mostre che fornisse uno spaccato di quanto presentato a Parigi in questi ultimi 11 anni. Durante il laboratorio di sintesi finale (a.a. 2011-2012), in collaborazione con la Galleria, è stato proposto agli allievi di lavorare su una serie di artefatti – manifesto, un quaderno in formato sedicesimo, un coordinato che potesse funzionare come cartella stampa – presentino 18 autori ritenuti particolarmente significativi della produzione recente e contemporanea. Con la speranza, se non l’aspettativa, che tale proposta possa essere di auspicio a iniziative similari anche nel nostro paese se non più semplicemente di presentare l’esito di questo lavoro in uno spazio espositivo interno alla Scuola del Design. Gianfranco Torri
GALLERIA ANATOME
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Dieci anni sono ormai passati da quando Galerie Anatome è stata fondata per sostenere e diffondere la grafica, inizialmente come prolungamento dell’agenzia Anatome di MarieAnne Couvreu, attuale direttrice della galleria. La galleria organizza durante l’anno mostre monografiche e tematiche, ma è anche sede di altre iniziative dedicate a valorizzare e promuovere la cultura grafica contemporanea – conferenze, incontri, pubblicazioni. Dal 2000 la galleria è inoltre la sede degli appuntamenti mensili organizzati dai “Rencontres de Lure”, dedicati alla tipografia e alla grafica; e dallo stesso anno ospita inoltre una libreria specializzata, gestita in collaborazione con la famosa libreria La Hune. Dal 1999 la “Galerie” e l’associazione a essa collegata sono cresciute, costruendo una rete internazionale di connessioni composta da studenti, grafici, ma anche appassionati e curiosi, insomma una sorta di piccolo mondo del graphic design che pulsa proprio nel cuore di Parigi, in rue Sedaine. Eppure, considerate le motivazioni iniziali del progetto, è forse significativo che ancor’oggi la galleria sia l’unico spazio espositivo permanente dedicato alla grafica, non solo nella capitale francese ma in tutta la Francia. Come hanno recentemente ribadito i fondatori della galleria, Couvreu e Henri Meynadier, la battaglia è tutt’altro che vinta, al contrario: «le combat pour la qualité» non è concluso. Proprio per questo nel 2009 la Galerie ha diffuso un proprio manifesto, rilanciando il proprio impegno per la diffusione della grafica e per il miglioramento dell’ambiente visivo della società contemporanea.
«Ensemble nous continuerons ce combat.»
“Galerie Anatome / Grand Journal Manifeste”, settembre 2009.
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GALLERIA ANATOME
SEZIONE PROVA NFJNJSDNFJHDSBHJSDBHJSDBVDFHJSBFJHSDBFHJSDBFHJDS
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CO STRU ZIONE DI UN MAR CHIO
Approfondimenti teorici
La suggestione della Galleria Anatome che ha rappresentato la grafica come una forma d’arte, non rende meno importante l’aspetto tecnico della grafica e delle sue funzioni specifiche. “Pertanto, in un percorso a ritroso, il mio lavoro riporta il pensiero teorico elaborato su di un elemento fondamentale del lavoro grafico, il marchio. Le riflessioni e le indicazioni dei maggiori grafici moderni citati, toccano tutti i segni e i significati che compongono lo sfondo della società dei consumi, dominata dal mercato e dalle sue leggi, senza prescindere dall’aspetto artistico intrinseco del prodotto visuale. Tutti i contenuti relativi al marchio di seguito citati, sono a mio parere sintetizzati da questa definizione di Paul Rand , uno dei più noti e creativi grafici del ‘900 : ”Good design adds value of some kind, gives meaning, and, not incidentally, can be sheer pleasure to behold; it respects the viewer’s sensibilities and rewards the entrepreneur.” 1 “Il buon design aggiunge valore, produce significato, e non incidentalmente può fornire puro piacere a chi guarda; rispetta le sensibilità dell’astante e ricompensa il committente.”
Paul Rand
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Adrian Frutiger, grafico svizzero e maestro della tipografia, riassume in un efficacissimo passaggio il rapporto tra bene di consumo e consumatore mediato da un marchio:” Tutti sono coinvolti nell’economia moderna in qualità di consumatori. […]Si può dire che il giorno cominci realmente solo dopo aver visto il proprio marchio di fiducia sul pacchetto del caffè e del tè: è un susseguirsi ininterrotto di marchi per l’intera giornata, sino a quello che si vede per ultimo sulla sveglia prima di spegnere la luce. L’abbondanza e la domanda dei beni di consumo è tale che è divenuto necessario marchiarli con segni sintetici perché siano notati e riconosciuti e perché si fissino nella memoria del consumatore. Per ideare e progettare queste ”trappole per gli occhi“ occorre scegliere con cura il settore della memoria da raggiungere e valutare quale sia l’immagine più efficace e l’effetto grafico più attraente: queste sono diventate le mansioni principali della nuova professione di progettista grafico. In un’economia caratterizzata dalla competizione, la “anonimia visiva” è decisamente uno svantaggio. Il compratore/trice non si affida più al prodotto anonimo o al servizio impersonale. Oggi, crearsi un’immagine è divenuto indispensabile per ottenere e mantenere un posto nel mercato.” 2 Lo stesso Frutiger cita e commenta il pensiero di alcuni eccellenti creatori di loghi come Ivan Chermayeff, Tom Geismar e Steff Geisbuhler, che hanno creato fra gli altri i loghi della Mobil e della Chase Manhattan Bank. Essi hanno formulato questa esauriente definizione: “ Un marchio è allo stesso tempo forma e sostanza, immagine e idea”. Frutiger approfondisce questa enunciazione affermando che la forma di un marchio “deve essere sufficientemente familiare per essere riconosciuta e sufficientemente insolita per essere facile da
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
ricordare. La grafica deve essere abbastanza semplice per essere letta in un attimo e abbastanza ricca di particolari e significati per essere interessante. Deve essere tanto contemporanea da riflettere la sua epoca, tuttavia non troppo altrimenti risulta datata prima che sia trascorso un decennio. Infine deve essere facile da ricordare, e adeguata alle idee e attività che rappresenta.”3 Secondo Wolff e Olins, grafici e fondatori della omonima agenzia londinese, il primo passo in molte esperienze progettuali è lo studio del nome, e quindi della sua applicazione visiva sotto forma di marchio.4 FHK Henrion e Alan Parkin, grafici e autori del libro “Thinking design coordination and corporate image” citano proprio Olins,5 approfondendo tutti gli aspetti dell’utilizzo di un nome per un marchio, dal contesto, alla comprensibilità, all’associabilità. Tomàs Maldonado, pittore, disegnatore e filosofo argentino, che è stato presente con l’ attività e l’ insegnamento soprattutto in Germania e in Italia nella seconda metà del Novecento, ha scritto sul marchio in un numero monografico della rivista “Il campo della grafica italiana”. In questa sede analizza attentamente le possibilità di significato che un nome nel marchio può assumere quando viene espresso tramite un fonogramma, un pittogramma o un diagramma.6 Bruno Munari, famosissimo artista e designer italiano, afferma la necessità dell’estrema semplificazione nella creazione di un marchio: “I marchi troppo complicati non sono ricordabili[…]”7 Aldo Colonnetti, filosofo, storico e teorico dell’arte, del design e dell’architettura, affronta il marchio dal punto di vista filosofico e sociologico: “ il marchio è, o dovrebbe essere, pars pro toto, la parte per il tutto, attraverso un processo, appunto,
di semplificazione, altrimenti diventerebbe un altro sistema complesso, e la risposta dell’interprete sarebbe labirintica e il suo comportamento ambiguo. […] Il marchio non deve produrre ambiguità semantiche, ma deve entrare dolcemente in sintonia, senza forzature né autoritarismi, con la memoria del pubblico.”8 Albe Steiner, designer italiano scomparso nel 1974, fornisce ulteriore punto di vista sul marchio: “Bisogna tener presente che un marchio perchè raggiunga il suo scopo deve stimolare subito i riflessi condizionati prima ancora che la successiva lettura o spiegazione ne chiarisca il significato.”9 Proseguendo l’analisi delle definizioni e delle analisi sul marchio è interessante citare la visione in negativo di Mario Piazza, grafico e architetto, e attuale direttore della rivista Abitare: “ Un marchio stereotipato ha una bassa carica informativa e scarsa suggestione; contraddice lo scopo del marchio di distinguersi e di evidenziare il soggetto che rappresenta.”10
Mario Piazza
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
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Più storica è l’analisi di Giovanni Anceschi: artista, grafico e docente, a cui si deve l’introduzione nel design discourse di nozioni come “monogramma”, “artefatto comunicativo” (communication artifact), “teoria protetica degli oggetti”, “immagine coordinata hard e soft”, […]11: “Antenati degli odierni marchi commerciali e istituzionali possono essere considerati i simboli politici, religiosi e filosofici dell’antichità (come la svastica, il segno taoista dello ying e dello yang, la stella di Davide, la mezzaluna araba, la croce), i sigilli e i monogrammi reali e nobiliari, le insegne araldiche e delle corporazioni, i marchi di fabbrica delle prime manifatture.“12 Continuando con le definizioni troviamo quella di Antonio Boggeri, grafico e musicista, che aggiunge ulteriori elementi di conoscenza: “un marchio come un nome è astratto, non suggerisce alcuna immagine, è neutro, oggettivo.[…] deve essere conciso ed espressivo, semplice ed esatto, stilizzato e definitivo proprio come una sedia o una stilografica […] deve contenere un’idea ridotta nell’espressione più semplice, risvegliare immagini elementari nostre da sempre, i segni tipici più definitivi, comuni a tutti i linguaggi: le lettere dell’alfabeto, i numeri, ad esempio […].13 Come punto d’arrivo di questo excursus teorico che riferisce le considerazioni dei moderni maestri della grafica attraverso chiavi interpretative di varia natura, val la pena di riconsiderare la potenza sintetica della definizione di Paul Rand già citata in questo capitolo: ”Good design adds value of some kind, gives meaning, and, not incidentally, can be sheer pleasure to behold; it respects the viewer’s sensibilities and rewards the entrepreneur.”, perchè un marchio ben riuscito mette insieme bellezza, mercato, individuo e significato.14
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Giovanni Anceschi
Note: 1 Paul Rand, www.paul–rand.com 2 Adrian Frutiger, “Segni e simboli”, Nuovi Equilibri s.r.l, 1996. 3 Ibidem. 4 Wolff Olins, “The new guide to identity”, Gower Publishing Ltd, Aldershot 1995. 5 FHK Henrion e Alan Parkin, “Thinking design coordination and corporate image”, Studio Vista/Reinhold Publishing. 6 Cfr. Tomàs Maldonado, “Sul marchio”, Rassegna n.6, “Il campo della grafica italiana”, aprile 1986; pagg.33-34 (numero monografico a cura di G. Anceschi). Cfr. anche Gelsomino D’Ambrosio, Pino Grimaldi, “Lo studio grafico. Da Gutemberg al piano di identità visiva”, Edizioni 10/17, Salerno 1995. 7 Bruno Munari, La progettazione di un marchio. 8 Aldo Colonnetti, Il marchio: un nome figurato, in Lineagrafica n. 6/ 1985 pag. 4 e segg. 9 Albe Steiner, Il mestiere del grafico, Einaudi,Torino, 1978 p.173 10 Mario Piazza, Progettare il marchio, Mario Piazza,2001 11 Giovanni Anceschi in http://erewhon.ticonuno.it/ 12 Giovanni Anceschi, Monogrammi e figure, La casa Usher, Firenze, 1988, pag 190 e segg. 13 Antonio Boggeri,“Un segno, un tabù”, da Civiltà delle macchine, n. 2, 1953 14 Paul Rand, www.paul–rand.com
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
Marchio Pirelli– dal 1954
“La grafica […] deve essere tanto contemporanea da riflettere la sua epoca, tuttavia non troppo altrimenti risulta datata prima che sia trascorso un decennio.” Ivan Chermayeff, in op. cit.
Marchio Chanel, da un’ispirazione di Gabrielle Chanel, anni ‘20.
Marchio Deutsche Bank, Anton Stankowski, 1974.
“Antenati degli odierni marchi commerciali […] possono essere considerati […] i sigilli e i monogrammi reali e nobiliari […].”
“[…] un marchio come un nome è astratto, non suggerisce alcuna immagine, è neutro, oggettivo.” Antonio Boggeri, in op. cit.
Giovanni Anceschi, in op. cit.
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
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Marchio Apple Computers, Rob Janoff, 1977.
Marchio The International Wool Secretariat, Francesco Seraglio, 1964.
“[…] (la grafica) deve essere facile da ricordare, e adeguata alle idee e attività che rappresenta.” Ivan Chermayeff, in op. cit.
Ivan Chermayeff, in op. cit.
Marchio Chase Manhattan Bank, Ivan Chermayeff, Tom Geismar e Steff Geisbuhler, 1959.
Marchio della Metropolitana Londinese, Redesign di Misha Black, Research Unit, 1972.
“I marchi troppo complicati non sono ricordabili.” Bruno Munari, in op. cit.
“ Un marchio è allo stesso tempo forma e sostanza, immagine e idea”.
“Il marchio deve stimolare subito i riflessi condizionati prima ancora che la successiva lettura o spiegazione ne chiarisca il significato.” Albe Steiner, in op. cit.
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COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
Progetttare un marchio per una nuova Galleria Anatome situata a Milano: questo è stato il compito assegnatoci dal Laboratorio di Sintesi Finale. I contenuti e l’impostazione organizzativa della nuova galleria avrebbero dovuto rispecchiare le analoghe caratteristiche della casa madre. Lo schema grafico che si apre nelle pagine seguenti illustra le fasi e gli sviluppi del mio progetto.
Sviluppo del progetto Premessa
La Galleria Anatome è ed è stata fin dalla sua apertura nel 1999 una piattaforma di lancio per la grafica e per le idee ad essa connesse. Si potrebbero identificare alcuni valori che la rappresentano: condivisione, novità, solidarietà, cultura. In questo logotipo ho cercato di rispettare alcune linee guida al fine di ottenere un risultato convicente e coerente con i valori da illustrare. La leggibilità e la chiarezza sono stati i miei obiettivi fondamentali, l’aspetto grafico ricercato voleva essere definito e semplice. Non si è lasciato troppo spazio al figurativismo. Si è voluta rendere l’idea della spazialità, che viene richiamata dalla geometria scalena in cui è inserita la dicitura “Anatome”. L’uso del contorno netto e della tinta piatta vuole creare un collegamento con il concetto di contenitore. Si può percorrere un’altra strada visiva, ossia immaginare il triangolo come l’area di uno spiraglio di luce proiettato sul pavimento da una porta semiaperta nell’angolo in alto a destra. Così intendo alludere all’azione di apertura della galleria, che, unica nel suo genere, ha investito idee, mezzi ed energie nel mondo non totalmente strutturato, “in continuo movimento” della grafica contemporanea. Per così dire si “apre una porta” che affaccia su zone dell’arte non esplorate, almeno dalle grandi masse e dal mainstream culturale. La galleria rappresenta infatti un trait– d’union fra tutto ciò che costituisce la sfera del graphic design e il cittadino medio che non la conosce. Proprio su questa zona d’ombra agisce lo spiraglio di luce che proviene dalla galleria. Esso può incuriosire e forse stimolare tutti coloro che sono immersi nell’universo di segni indistinto della contemporaneità.
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
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Griglia di costruzione 2
3
=
=
leggibilitĂ
45 mm
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25 mm
18 mm
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
10 mm
Colori
QUADRICROMIA C 64 M 0 Y 65 K 0 WEB SAFE #52BA64 RGB R 82 G 186 B 100 PANTONE SOLID COATED 3405 C
AREA DI RISPETTO
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
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Consigli per l’utilizzo
Sì
FONDI CHIARI CON LOGO IN POSITIVO
NO FONDI SCURI CON LOGO IN POSITIVO
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COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
1. Nel caso si utilizzi uno sfondo misto colorato fare attenzione ai colori, non usare il logo postivo su colori con tonalitĂ scure. 2. Usare il logo in negativo su sfondi in scala di grigio o con tonalitĂ molto scure. 3. Si deve usare molta attenzione agli sfondi non compleamente campiti, che presentano variazione tonale al loro interno, tenendo presente che il logo in negativo vuole sfondi scuri, anche se di tipo fotografico. 4. Per il logo in positivo che si vada a sovrapporre a sfondi fotografici in bianco e nero si deve tenere conto di quanto detto al punto uno.
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
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Perchè la font Miso
La scelta del carattere da usare nel mio marchio è caduta sulla font Miso perchè la ritengo semplice, leggibile e fresca. La font Miso, font per lettering che si usa in documenti architettonici e planimetrie, è stata disegnata nel 2006 dall’architetto svedese Mårten Nettelbladt. Supporta l’estensione Open Type Format, licenza Open Source creata apposta per le font. L’obiettivo di questa licenza è favorire la creazione di una comunità tipografica digitale aperta e libera, dotata dei mezzi legali per tutelare il proprio lavoro ma al tempo stesso distribuirlo a carattere gratuito così da ricevere feedback immediati dagli utenti e dai professionisti. La font è disponibile in cinque pesi: regular, light, bold, chunky e skinny. Il fatto che sia nata per il lettering nell’architettura non contrasta a mio parere con il suo impiego nel logo di una galleria di grafica. Infatti grafica ed architettura si possono considerare a tutti gli effetti “arti gemelle”,
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come Paul Rand afferma ”The roots of good design lie in aesthetics: painting, drawing, and architecture.” L’architettura, disciplina che regola e crea gli spazi, può infatti essere utile strumento di lettura dello spazio fisico della galleria. La galleria è contemporaneamente spazio concettuale, in cui vengono esposte opere creative, che spazio materiale, reale. Al suo interno si impongono le visioni di grafici/e ed artisti/e generalmente ignorati/e dal gusto di massa. La font che ho utilizzato vuole rappresentare il carattere della galleria. Io lo immagino libero da condizionamenti, semplice perchè deve avvicinare la gente comune alla grafica, giovane allo scopo di richiamare la parte più nuova e fresca degli autori grafici, leggibile perchè deve parlare una lingua comprensibile ai più.
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
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Prove colore
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SEZIONE PROVA NFJNJSDNFJHDSBHJSDBHJSDBVDFHJSBFJHSDBFHJSDBFHJDS
Prove colore SEZIONE PROVA NFJNJSDNFJHDSBHJSDBHJSDBVDFHJSBFJHSDBFHJSDBFHJDS
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Cancelleria
Carta intestata. Formato A4.
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Typi non habent claritatem insitam; est usus legentis in iis qui facit eorum claritatem. Investigationes demonstraverunt lectores legere me lius quod ii legunt saepius. Claritas est etiam processus dynamicus, qui sequitur mutationem consuetudium lectorum. Mirum est notare quam littera gothica, quam nunc putamus parum claram, anteposuerit litterarum formas humanitatis per seacula quarta decima et quinta decima. Eodem modo typi, qui nunc nobis videntur parum clari, fiant sollemnes in futurum
Partita iva 6728236785689987 telefono: 02 4873226 fax: 02 4873884
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e mail: info@antaome.it
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
Biglietto da visita. Formato 8,5 x 5,5 cm.
Busta. Formato americano 22 x 11 cm.
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
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Ampliamento di identità
Agenda.
Supporto digitale.
A fianco– esempio di ampliamento dell’identità: il marchio in negativo viene apposto su vari oggetti, come ombrelli, agende e cd. Si è scelto di abbinare il marchio in negativo (bianco) ad un fondale nero. Il colore istituzionale rimane sempre il C61 M0 Y93 K0 in quadricromia, più precisamente un verde prato. Ritenendo la versione bianco–nero più sobria ed elegante, si produrranno quindi due linee differenti e parallele: per il merchandising e per le pubblicazioni verrà usato il logo in bianco e in verde, per la cancelleria solo quello nero. Il logo, che presenta una buona versatilità d’impiego, viene usato in vari colori a seconda del supporto, seguendo lo stile di vari grafici come ad esempio Apeloig.
Ombrello.
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COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
In alto/ in basso: chiavetta USB nel colore istituzionale modellata sul logo della galleria. COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
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COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
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Manuale di utilizzo del logo
Il manuale di utilizzo del marchio contiene una serie di regole che ne permettono la corretta riproducibilità. Si incontra per primo il logo nella versione positiva e negativa; successivamente vengono analizzate la versione colore e la griglia di costruzione, grazie alla quale il marchio è riproducibile. Vengono inoltre indicate l’area di rispetto, ossia l’area che deve restare libera da qualsiasi elemento grafico, la leggibilità, cioè l’indicazione della misura oltre la quale il logo non può essere ridotto, le indicazioni di collocazione del logo su sfondi, e infine alcune prove colore.
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COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
SEZIONE PROVA NFJNJSDNFJHDSBHJSDBHJSDBVDFHJSBFJHSDBFHJSDBFHJDS
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Griglia di costruzione del marchio# 36
SEZIONE PROVA NFJNJSDNFJHDSBHJSDBHJSDBVDFHJSBFJHSDBFHJSDBFHJDS
SEZIONE PROVA NFJNJSDNFJHDSBHJSDBHJSDBVDFHJSBFJHSDBFHJSDBFHJDS
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PHI LIP PE APE LOIG
Biografia
Philippe Apeloig nasce a Parigi nel 1962. Studia alla scuola superiore di arti applicate Duperrè e alla Scuola Superiore delle Arti Decorative (ENSAD). Nel 1983 compie un tirocinio ad Amsterdam presso lo studio Total Design, dove scopre la passione per la tipografia. Nel 1985 comincia a lavorare per il Museo d’Orsay di Parigi come graphic designer. Nel 1988 ottiene una borsa di studio dal Ministero degli Affari Esteri che gli permette di studiare negli Stati Uniti. Philippe continua i suoi studi a Los Angeles lavorando con April Greiman. Nel 1993 continua per un anno gli studi post diploma facendo un tirocinio all’ Accademia di Francia a Roma. é in questo periodo dei suoi studi che Philippe formalizza l’interesse per la tipografia con una tesi sul type design. Egli si dedica alla tipografia e mantiene sempre aperto il rapporto con le istituzioni culturali. Nel 1993 diventa direttore artistico del magazine “Le jardin des Modes”. Più tardi si sposta dalle pubblicazioni all’insegnamento, accettando una cattedra alla Scuola Superiore delle Arti Decorative, insegnando esclusivamente tipografia. Nel 1997 diviene prima consulente, poi direttore artistico del Louvre, posizione che mantiene fino al 2003. Nel 1999 Philippe ritorna negli USA, questa volta come professore di design grafico e non più come studente. é assunto dalla prestigiosa università Cooper Union di New York. In questo periodo diventa anche curatore del centro per il design e la tipografia Herb Lubaljn. Nel 2011 è diventato membro del Ordre des Arts et des Lettres. Attualmente Philippe Apeloig dirige un proprio studio con sedi a Parigi e a New York.
PHILIPPE APELOIG
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LE ISPI RA ZIO NI
Le ispirazioni
Tra gli artisti e le scuole a cui Apeloig ha tributato un riconoscimento diretto di ispirazione compaiono Cassandre, i costruttivisti russi e olandesi, lo Swiss design e Paul Rand. Di queste fonti verranno date in questo capitolo le notizie essenziali e saranno esaminate, secondo un criterio del tutto soggettivo, quelle opere che accostate a altrettante di Apeloig presenteranno elementi riconoscibili di ispirazione. “In France, Cassandre’s work represents a frame of reference to me. He is everything I think a graphic artist should be: a poster designer, typographer, creator of logotypes (take the Yves Saint Laurent logo– a classic!) and, even, stage designer. “15 “In Francia, il lavoro di Cassandre rappresenta per me un quadro di riferimento. Penso che lui sia tutto ciò che un artista grafico debba essere: disegnatore di manifesti, tipografo, creatore di logotipi, (si pensi al logo di Yves Saint Laurent–un classico!) e, persino scenografo.” Le parole dedicate a Cassandre da Philippe Apeloig nell’intervista precedentemente riportata testimoniano una grande ammirazione per la personalità e il lavoro dell’artista. “Adolphe Jean–Marie Mouron, in arte Cassandre, definito dai biografi «affichiste, décorateur de théatre, lithographe, peintre, créateur du caractères d’imprimerie» sembra cogliere fin dalla giovane età la sintesi di quei concetti della “pura visibilità” e della percezione visiva espressi dagli studiosi solo più tardi. La sua, è un’arte molto sintetica, simbolica, bidimensionale […]”16 “Del 1925 è l’immortale manifesto “L’intransigeant”. La testa piena di forza e le linee telefoniche che si irradiano, creano un’immagine indistrutti-
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Cassandre
bile. Se c’è un continuum nel lavoro di Cassandre, sta nella sua padronanza dell’intero spettro degli stili visuali. Egli, dal 1923 al 1939, fu un ponte tra le belle arti moderne e le loro applicazioni contemporanee. Esaminando i suoi manifesti, sentiamo e vediamo l’aura del surrealismo, costruttivismo, suprematismo, cubismo e romanticismo, il gamut del pluralismo artistico. 17 Apeloig come Cassandre è insieme progettista, tipografo e scenografo, il suo interesse per il teatro e per la danza contribuisce alla sua ricerca di un senso di velocità e fluidità nel disegno finale, che sembra un istante congelato di un movimento continuo, iniziato prima del manifesto e che continua oltre esso.18 Queste parole sembrano realizzarsi nei due manifesti qui a fianco e sopra. In entrambi le linee diagonali legate alle figure umane danno un senso di movimento ma contemporaneamente la resa visiva è quella di un fermo immagine fotografico.
15 Philippe Apeloig, Michael Rozemberg, Au coeur du mot/ inside the word, Lars Müller Publishers, 2001. 16 Daniele Baroni in “Cassandre Poeta dello Spazio”, Linea Grafica, Gennaio 1988, pag. 4. 17 The 51st Annual of Advertising, Editorial, and Television, Art and Design of 1971 “The inception of the Hall of Fame”, Watson–Guptill, 1972. 18 Philippe Apeloig, Michael Rozemberg, op.cit.
LE ISPIRAZIONI–CASSANDRE
Cassandre, l’intransigeant, 1925.
Cassandre, logotipo per la casa di moda Yves Saint Laurent,1963.
LE ISPIRAZIONI–CASSANDRE
Philippe Apeloig, Naissance et Renaissance, Ottobre in Normandia, manifesto,1998.
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Le ispirazioni
“I studied the Russian Constructivist a great deal– El Lissitsky and Malevitch–and, during my two stays in Amsterdam, I also discovered the De Stijl movement. Mondrian’s painting impressed itself deeply on me, his progression towards abstraction and the impact of his work on Dutch design. Rietveld, Van Doesburg, and Piet Zwart were real eye– openers.”19 “Ho studiato moltissimo i costruttivisti russi –El Lissitsky e Malevič– e, durante i miei due sogggiorni ad Amsterdam ho anche scoperto il movimento De Stjil. Mi ha profondamente colpito la pittura di Mondrian, il suo progredire verso l’astrazione e l’impatto del suo lavoro sul design olandese. Rietveld, Van Doesburg e Piet Zwart hanno davvero avuto la funzione di aprirmi gli occhi.” Nell’ intervista ad Apeloig, pubblicata nel suo libro “Inside the word”, egli riconosce come fonte di ispirazione alcuni esponenti di varie scuole europee, partendo dai costruttivisti russi come Malevitch e El Lissitsky, passando per il movimento De Stijl per arrivare a figure della scena grafica olandese come Rietveld, Van Doesburg e Piet Zwart. Nella teoria di Malevič si ritiene che si possa liberare l’arte dal vincolo di rappresentare figure e oggetti con immagini riconoscibili non dovendosi più preoccupare di raffigurare la realtà esterna, l’arte potrà sviluppare un linguaggio di forme proprio e creare nuove realtà “non meno significative delle realtà della natura”. Per Malevič gli elementi basilari dell’arte sono la linea retta e il quadrato, che rispecchiano l’accento da lui posto sulle forme prodotte dall’uomo piuttosto che su quelle esistenti in natura. Per quanto riguarda il movimento olandese De Stjil, nel suo ambito venne coniato il termine
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Costruttivismo, neoplasticismo, suprematismo
neoplasticismo. Questo termine è stato utilizzato da Piet Mondrian e Theo van Doesburg nella pubblicazione del Manifesto De Stijl per descrivere la loro forma d’arte: astratta, essenziale e geometrica. Quella del neoplasticismo è una pittura, nell’ambito dell’astrattismo geometrico, che in un certo senso assomiglia ad una operazione matematica. Tutto si basa sugli elementari della linea, del piano e dei colori primari.
19 Philippe Apeloig, Michael Rozenberg, Op. cit.
LE ISPIRAZIONI–COSTRUTTIVISMO
Piet Zwart, pagina di un catalogo tipografico, 1931.
Philippe Apeloig, Châtelet. Manifesto per la stagione 2010-2011.
Nei manifesti scelti si può notare l’uso comune della sovrapposizione dei caratteri, nella composizione di Zwart è evidente la presenza di una struttura, seppur debole. Nel manifesto di Apeloig, vi è assenza di una struttura che regoli la disposizione delle lettere e delle frasi, ma appare evidente l’ elemento comune dell’utilizzo di tre colori oltre il nero. Nel Manifesto Dada di Van Doesburg, la tecnica della sovrapposizione di caratteri viene portata all’estremo producendo un effetto più formale che comunicativo. D’altra parte la funzione, legata alla committenza, di comunicare un luogo e un evento, evidente nel manifesto di Apeloig, ha reso necessaria la scrematura di quegli elementi che erano più legati alla funzione e allo spirito delle opere dei due artisti olandesi. Infatti l’immagine di Zwart è una pagina di catalogo tipografico, mentre quella di Theo van Doesburg è una pura composizione artistica.
Theo van Doesburg, Dada Affiche.
LE ISPIRAZIONI–COSTRUTTIVISMO
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Le ispirazioni
“In the summer of 1983 I enjoyed a three month training with …[ the Total Design Agency.] …my fellow trainees were English, Swiss, German or American. The experience was a real revelation. We would eye each other’s work and compare skills. The gaps thus uncovered was enormous! I had so much to learn about graphic design… Subsequently, I came to appreciate the rigor and diversity of the Swiss posters that I came across in books and magazines…”20 “Nell’estate del 1983 ho fatto un corso di tre mesi presso…[l’agenzia Total Design.]…i miei compagni di corso erano inglesi, svizzeri, tedeschi o americani. L’esperienza fu una vera rivelazione. Ci guardavamo reciprocamente i lavori e paragonavamo le nostre abilità. I vuoti di preparazione che scoprivo erano enormi! Avevo così tanto da imparare sul disegno grafico…Di conseguenza, imparai ad apprezzare il rigore e la diversità dei manifesti svizzeri che conobbi attraverso libri e riviste…” Nella parte dell’intervista già riportata, che Apeloig dedica all’ ispirazione proveniente dalla grafica svizzera egli riconosce gli elementi tipici di questa scuola che riporterà nel suo lavoro: chiarezza, leggibilità e obiettività, senza alcun accenno al decorativismo. Lo stile svizzero, detto anche stile tipografico internazionale si è sviluppato in Svizzera negli anni Cinquanta. Caratteristiche ricorrenti di questo stile sono l’utilizzo di caratteri bastone come l’Akzidenz Grotesk (da cui derivarono due dei caratteri più conosciuti e utilizzati, come l’Univers e l’Helvetica), l’uso di gabbie, una preferenza per la fotografia al posto delle illustrazioni o dei disegni, e un complessivo impegno per un’estetica pulita e razionale. Gli esponenti principali della scuola sono stati Max Bill, Richard Paul Lohse, Josef Müller-Brockmann, Hans Neuburg, Carlo Vivarelli e Max Huber.
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Swiss design
Nella pagina a fianco si collegano due esempi di manifesti di scuola svizzera con opere di Apeloig. Nei primi due manifesti in alto, Brockman e Apeloig , sono elementi comuni lo stile pulito e razionale, l’uso della linea diagonale e la presenza di una griglia sottostante. Nei due manifesti successivi, Lhose e Apeloig, si individua la forte presenza modulare del rettengolo, poi ripetuto per dare forma alla composizione. Apeloig inserisce tipografia nei moduli rettangolari. Anche nei colori i due manifesti presentano delle somiglianze.
20 Philippe Apeloig, Michael Rozemberg, Op. cit.
LE ISPIRAZIONI–SWISS DESIGN
Joseph Müller Brockman, locandina per concerto,1955.
Philippe Apeloig, Ottobre in Normandia, manifesto1995.
Richard Paul Lohse, studio di colori e di pattern, 1949/1956.
LE ISPIRAZIONI–SWISS DESIGN
Philippe Apeloig, Typo Typè, 2005.
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Le ispirazioni
Se la parola “leggenda” ha un significato nelle arti grafiche, può certamente essere applicato a Paul Rand (1914-1996), professore in Graphic Design, che ha attraversato il Novecento e il panorama americano con una poderosa e fortunatissima produzione grafica. Il suo stile è stato estremamente creativo, libero e privo di codificazioni, come egli stesso ha affermato nelle frasi seguenti: ” There are no formulas in creative work. I do many variations, which is a question of curiosity.”21 “Everything is design. Everything!”22 Per Philippe Apeloig Paul Rand è stato maestro di semplicità e di stile come egli rimarca nell’intervista già riportata in precedenza. “......in the United States, I was very impressed with Paul Rand’s inventiveness and precision”.23 “..... negli Stati Uniti sono stato molto colpito dalla capacità di invenzione e dalla precisione di Paul Rand”. Singolarmente il campo in cui Apeloig ritiene di avere meno successo è proprio quello in cui deve utilizzare una comunicazione semplice, con un numero minimo di significanti, ridotti all’indispensabile. E comunque egli trova molto difficile essere minimalista senza ricadere nelle scelte di pionieri del design grafico, come Paul Rand, che prima di lui hanno raggiunto un elevato livello di semplicità e sobrietà.24 “A questo proposito la visione di Paul Rand, pubblicata su ‘A designer’s Art’, era la seguente:” le idee non hanno bisogno di essere incomprensibili per essere originali o emozionanti.” Il suo marchio della American Broadcasting Company, creato nel 1962, riassume quell’idea di minimalismo, e nello stesso tempo testimonia il punto di vista dell’artista che un logo ‘non può sopravvivere se non è disegnato con la massima semplicità
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Paul Rand
e limitazione.’”25 Nelle immagini seguenti, confrontate a coppie a partire dall’alto, vediamo come Apeloig realizzi l’esempio e l’ispirazione di Paul Rand usando la stessa semplicità ed economia di segno. Analizzando la prima coppia di immagini Rand/ Apeloig, dove appare il marchio “Abc” appena menzionato, possiamo affermare che Apeloig abbia seguito la lezione di semplicità del maestro e ottenuto il logo che affianchiamo all’ “Abc”, servendosi di elementi basilari come cerchio, tipografia pulita, e dicromia. A scendere, nella seconda coppia d’immagini, viene utilizzato similmente il cerchio, dove è inserito un gioco di pieni e vuoti in dicromia bianco/ nero che produce una resa pulita ma dinamica. L’ ultima coppia d’immagini, pur con geometrie diverse come rettangolo e cerchio, utilizza l’elemento comune della freccia che comunica efficacemente un’idea di movimento, pur mantenendo la bidimensionalità del disegno. Un altro aspetto simile è l’uso di colori come il giallo ed il blu, che rende i due loghi complessivamente affini.
21 www.paul–rand.com 22 www.paul–rand.com 23 Philippe Apeloig, Michael Rozemberg, op. cit. 24 Philippe Apeloig, Michael Rozemberg, op. cit. 25 www.paul–rand.com
LE ISPIRAZIONI–PAUL RAND
Philippe Apeloig, Palais de la découverte, 2010.
Paul Rand, logo per l’emittente televisva americana Abc, 1962.
Paul Rand, Columbus Indiana Visitors’ Center, 1973.
Philippe Apeloig, Rose & Fafner, Festival de théâtre et de musique en Normandie, 2003.
Paul Rand, Servador, 1996.
Philippe Apeloig, Médiateur Européen, 2009.
LE ISPIRAZIONI–PAUL RAND
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LE ESPE RIEN ZE
Le esperienze
Mentre il ventenne Philippe Apeloig frequentava l’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs”, il suo professore Roger Druet, notando il suo approccio perfezionista alla linea e alla composizione gli suggerì di fare una domanda di stàge presso l’agenzia Total Design di Amsterdam. Qui, per il giovane Apeloig si aprì un mondo nuovo e affascinante, come testimonia il suo racconto: “Imparai molto sulla ricca storia delle arti grafiche olandesi, abile mescolanza di tradizione e modernità. Sentii di essere al posto giusto nel momento giusto. Mi piaceva la qualità della tipografia attentamente costruita e dolorosamente concepita, il suo funzionalismo puro e informativo libero da qualsiasi abbellimento decorativo o anedottico.”26 Questa esperienza segnò profondamente il suo universo artistico e concettuale e lo spinse a consolidare quello che aveva appreso in una successiva esperienza di stàge. L’agenzia Total Design fu anche il luogo dove Apeloig venne a conoscenza delle possibilità che la tecnologia avrebbe offerto al design. Durante il suo stàge assistette infatti a varie dimostrazioni sull’ uso di un nuovo sistema informatico che l’agenzia stava per acquistare. Alla fine del secondo tirocinio che fece nell’agenzia nel 1985, Apeloig dichiarò che il disegno grafico si profilava seriamente nel suo orizzonte professionale. Total Design era stato fondato nel 1963 da Wim Crouwel, Friso Kramer, Benno Wissing e Paul e Dick Schwarz e si ispirava soprattutto al movimento neoplasticista olandese. Suo obiettivo era che tutte le forme di design fossero ospitate sotto lo stesso tetto. Le sue realizzazioni ebbero come committenti lo Stato, le autorità locali, l’industria e il commercio, segnando fortemente l’ universo visivo del proprio paese; il loro intervento fu infatti
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Total Design
visibile anche su ospedali, aereoporti e musei olandesi. Nella pagina a fianco, si confrontano elementi grafici della produzione di Apeloig che possono essere riconducibili a esempi tipografici tipici di Wim Crouwel, uno degli esponenti più in vista della agenzia. Gli esempi che ho scelto per illustrare eventuali somiglianze fra maestro ed allievo rappresentano delle font. Nella prima immagine in alto è riprodotto il carattere tipografico New Alphabet di Wim Creuwel. Esso venne disegnato nel 1967 per ovviare ai problemi generati dall’elaborazione dell’immagine del tubo catodico e dei primi monitor per computer. Nell’ immagine immediatamente sottostante si può notare che Philippe Apeloig, nel font Carré, usa per gli angoli delle lettere lo stesso taglio a 45 gradi che si trova nel font New Alphabet. Nell’ultima immagine in basso a destra il puntinato che Apeloig usa per formare le lettere può ricordare la composizione a grandi punti che formano la lettera di Wim Creuwel, in basso a sinistra.
26 Philippe Apeloig, Michael Rozemberg, op. cit.
LE ESPERIENZE–TOTAL DESIGN
Wim Crouwel, font geometrico, 1967.
Philippe Apeloig, font Carré, 1993.
Wim Crouwel, lettera, forma base.
Philippe Apeloig, font Abf, disegnato per l’Associazione Bibliotecaria di Francia, 2006.
LE ESPERIENZE–TOTAL DESIGN
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Le esperienze
Philippe Apeloig lavora presso lo studio di Los Angeles di April Greiman nel 1987/88. Il riconoscimento che egli attribuisce alla pensatrice, artista e designer americana, riguarda prevalentemente l’area della tecnologia applicata al design. Lui stesso dichiara che al momento della sua partenza per l’ America si sentiva poco amichevole nei confronti delle nuove tecnologie, anche se era disponibile a farsene sedurre. Osservando i suoi colleghi grafici mentre digitavano davanti ai loro schermi per intere giornate, finisce per imparare a creare attraverso il computer. Il racconto della sua esperienza sulla potenzialità dei computer risale a più di vent’anni fa, ma Apeloig sembra aver mantenuto un certo distacco nei confronti dell’uso esclusivo della tecnologia se in un’intervista del 2012 esprime questa posizione: ”Essere un super tecnico del software mi stanca.”27 April Greiman è una figura dominante nel mondo del design contemporaneo, e i suoi progetti poli– mediali ne abbracciano tutte le aree, dalla comunicazione alla moda, dall’architettura ai nuovi media. Originaria di New York, Greiman studia design e pittura alla Allgemeine Kunstgewerbeschule, a Basilea, e all’ Istituto d’ Arte di Kansas City, nel Missouri. Nel 1976 si sposta a Los Angeles dove fonda Made in Space, uno spazio di consulenza per le varie forme del design. I radicali progetti di identità visiva e alcune pubblicazioni che ha fatto per scuole molto progressiste come la Cal Arts– dove è stata docente di Comunicazione Visiva dal ‘92 al ‘94 –e la SCI–Arc sono notevoli per l’uso pionieristico dei software Machintosh. Inoltre è importante la sua enfasi sui novel video e sull’esplorazione digitale. Greiman sfida attivamente i confini interdisciplinari, indagando i paralleli e le intersezioni tra arte e design in tutti gli aspetti del suo lavoro.
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April Greiman
Ha collaborato inoltre con architetti di fama come Frank Gehry per la produzione di identità segnaletiche, per mostre, e sulla definizione degli interni dell’edificio progettato da quest’ultimo. é anche molto attiva nell’insegnamento, e sulla rete è presente un suo blog. La sua grande e pluridisciplinare produzione può essere ben riassunta dalle sue parole:”Seeing is a kind of thinking, an instantaneous synthesis from a chaos of simultaneous visual impressions – a coherent whole, a single perception, a unique observation.”28 “L’atto del vedere è una specie di pensiero, una sintesi istantanea del caos di impressioni visive simultanee– un insieme coerente, una singola percezione, un’unica osservazione.” I manifesti che ho scelto, riportati nella pagina a fianco, sembrano rappresentare perfettamente“ la sintesi istantanea del caos di impressioni visive simultanee”. Nel primo manifesto in alto a sinistra, del 1994, la leggerezza del pensiero indotto dalla visione, che identifica sia singoli oggetti che un insieme in movimento, viene resa abilmente grazie ai nuovi strumenti grafici digitali, che Greiman utilizzò appena comparvero. Nel suo manifesto del 2011, in basso a sinistra, la comunicazione sempre più rarefatta ed onirica viene ottenuta con la sgranatura dell’immagine. Il manifesto di Apeloig del 2009, in basso a destra ne ricorda lo spirito, attraverso la resa velata e in movimento, ottenuta in digitale.
27 Intervista a Philippe Apeloig, Slanted, 2012. 28 www.aprilgreiman.com
LE ESPERIENZE–APRIL GREIMAN
April Greiman, manifesto, 1994.
April Greiman, manifesto, 2011.
April Greiman, Hibrid Imagery, copertina.
Philippe Apeloig, manifesto, 2009.
LE ESPERIENZE–APRIL GREIMAN
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PRO GET TARE PER LA CUL TURA
24. Guggenheim Museum, New York.
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Considerazioni sulla promozione dell’ identità museale
Con un movimento progressivo che si è fortemente accelerato a partire dagli anni ‘80 del ‘900 e ancora in corso oggigiorno, i musei hanno cambiato sostanza, funzione e immagine. Da luoghi spesso vissuti come paludati ed elitari e relativamente poco frequentati, si sono trasformati in strumenti di popolarizzazione della cultura, di elevazione dell’intrattenimento, di trasformazione dell’esperienza visiva, che diviene più attiva e più accessibile al pubblico. Margo Rouard-Snowman, nella sua opera “Museum Graphics” analizza questo mutamento affermando:”Venti o trenta anni fa, i musei e le cosiddette “imprese culturali” avevano una reputazione elitaria. Questo a causa, tra le altre cose, della difficoltà del pubblico accesso e alle politiche conservatrici dei curatori, più interessati ad acquisire pezzi rari e a perseguire la propria linea di ricerca piuttosto che a mettere in mostra i propri tesori e presentarli al pubblico. Oggi i musei e gli eventi culturali in genere sono visti con rispetto. Il pubblico ha una vasta gamma di attrazioni tra le quali scegliere, ed è preparato ad aspettare ore in fila per entrare. Questo boom si può osservare quasi dovunque nel mondo. Le mostre d’arte stanno diventando eventi importanti...”29 Schematizzando, si potrebbe affermare che si è passati dall’opporsi alla popolarizzazione alla ricerca del favore del pubblico. Molte sono state le cause di questo cambiamento dell’istituzione museale: autoconservazione, valorizzazione della propria funzione educativa, diminuzione dei contributi pubblici, popolarizzazione della tecnologia, ricerca dell’ attivo nei propri bilanci. Tutti questi obiettivi sono stati ricercati attraverso l’attribuzione al museo di un’identità forte e rico-
noscibile. Negli anni passati la principale fonte di sostentamento dei musei erano i contributi pubblici, talvolta affiancati da donazioni private. Negli ultimi decenni i fondi statali non stavano più garantendo la vitalità dei musei anche in rapporto alla domanda di un pubblico sempre più aggiornato ed esigente. Inevitabile è diventato il ricorso a strategie per rendersi identificabili, variare la propria offerta culturale per aumentare i visitatori e attrarre fondi e sponsorizzazioni. Il principale strumento di questo cambiamento è stato il ricorso massiccio a tecniche di marketing: “[…] Sempre più musei si comportano come aziende, e ovviamente più si ha successo nel farlo, più viene richiesto di continuare […].” 30 “[…] Qualunque siano i suoi meriti, in assoluto, oggigiorno la cultura è obbligata a dar prova di sè in termini di mercato […]”31. “[…] c’è sempre più la tendenza ad utilizzare, come direzione delle istituzioni culturali, persone con competenze in marketing e micromanagement. A coloro che comandano viene chiesto, in breve, di riuscire nell’azione di combinare buon gusto ed intuizione, insieme con una sapiente opera di raccolta del denaro, il quale deve poi essere saputo gestire con parsimonia.”32
29 Margo Rouard Snowman, Museum Graphics, Thames and Hudson Limited, 1992, pag. 6. Testo in inglese, traduzione di Giulietta Carito. 30 Emily King, Cultural Identities and branding for the arts, King, 2006, in prefazione. Testo in inglese, traduzione di Giulietta Carito. 31 Ibidem. 32 Ibidem.
CONSIDERAZIONI SULLA PROMOZIONE DELL’IDENTITà MUSEALE
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La popolarità e il potere evocativo del nome di alcuni musei universalmente noti, come il Moma di New York, i vari Guggenheim, il sistema Tate a Londra, sono stati il prodotto di un’operazione vincente diretta a connotarne fortemente l’ identità, con interventi adeguati sull’immagine e sulla sua promozione. La strada per darsi un marchio riconoscibile e distintivo è quella che tutte le istituzioni museali moderne stanno seguendo. Il lavoro grafico appare pertanto come un elemento fondamentale per creare un’immagine coordinata che abbraccia tutti i vari elementi costitutivi della comunicazione museo-utente. “[…] adesso il mondo dell’arte sta assistendo alla comparsa dei programmi di marketing per i musei, i quali stanno eliminando le tradizionali barriere e creando opportunità professionali per il disegno grafico[…]”33 […] C’è, pertanto, un sempre maggior bisogno di grafici professionisti, non solo per i propositi di comunicazione, ma anche per attirare un pubblico più vasto.[…]34 Come già affermato in precedenza, le risorse statali a disposizione di un’istituzione artistica sono in molti casi sufficienti solo alla gestione quotidiana del personale, delle strutture e al mantenimento delle collezioni. Tutte le operazioni necessarie al successo della comunicazione della propria identità hanno bisogno di una disponibilità di capitali che va ricercata all’esterno. Di qui nasce la ricerca di sponsor importanti e di donazioni. La risposta dei privati non si fa mancare. Importanti contributi vengono forniti soprattutto se collegati a iniziative specifiche e temporanee che valorizzino fortemente il nome dello sponsor.
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L’intervento economico delle aziende, che per ragioni fiscali, di gusto, profitto o prestigio, finanziano le istituzioni artistiche, e così alleggeriscono lo Stato e le autorità locali dei propri oneri, presenta luci ed ombre che val la pena di analizzare: “[…] a volte la sponsorizzazione privata permette maggiore o uguale libertà stilistica rispetto al suo equivalente statale. Gli sgravi fiscali che le aziende ricevono per la loro sovvenzione alle istituzioni sono spesso delimitati da confini incerti o spesso non è nel loro interesse tentare di dirigere le attività dei curatori. Naturalmente esistono anche sponsor che tentano di utilizzare l’aiuto all’arte come trampolino di lancio o comunque come mezzo per avere un ritorno d’immagine. […]”35 I metodi del marketing, mirati ad ottenere maggior profitto, anche se nella maggior parte dei casi non influenzano le scelte dei curatori, possono comunque influenzare altri aspetti della comunicazione. Questo è il caso della maggiore disponibilità di risorse messe a disposizione dalle aziende per finanziare lo spazio esterno ed espositivo del museo. Spesso si affida questa realizzazione ad un architetto di grido, ritenendo il risultato più utile alla propria immagine di sponsor di quanto non lo sia un intervento sulla comunicazione grafica. Questo aspetto della questione rischia di rendere meno rilevanti i contenuti del museo. Sostanzialmente, la fama della forma del museo può deviare la funzione artistica e formativa dell’istituzione, come vien bene analizzato qui di seguito: “[…] la discrepanza che esiste tra i sostanziosi investimenti concessi all’architettura e ai suoi protagonisti che appartengono allo star system, e le piccole somme allocate alla comunicazione visiva è deplorevole. In certe occasioni, la poca qua-
CONSIDERAZIONI SULLA PROMOZIONE DELL’IDENTITà MUSEALE
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lità delle collezioni è nascosta dalla commissione dell’edificio ad uno dei grandi nomi dell’architettura. In questo caso, la strategia di comunicazione è in gran parte centrata sul nome dell’architetto e dell’edificio a detrimento di una vera politica di comunicazione[…]36 Riflettendo su queste considerazioni di Snowman, si può effettivamente pensare a famosi musei che attraggono ogni anno decine di migliaia di visitatori, come il Guggenheim di New York, la new Tate a Londra, il Centre Pompidou a Parigi, il Guggenheim di Bilbao. Non possiamo non notare che la loro grande notorietà è dovuta a una capacità comunicativa che lega insieme nome dell’ istituzione e spazio espositivo di grande impatto architettonico o fama dell’architetto che l’ha progettato. Fra i progettisti che hanno realizzato in Europa i nuovi musei più noti si possono citare: Richard Meier per il Museo di Barcellona, Frank O’ Gehry per il Museo Guggenheim di Bilbao, Stirling&Wilford per la Tate Gallery come pure Robert Venturi e Denis Scott-Brown per la National Gallery. A volte il contenuto artistico di grande qualità, e nella maggior parte dei casi pari allo sforzo economico impegnato per pubblicizzarlo, può apparire meno significativo rispetto alla personalità del museo in quanto edificio. Si può dire che una visita al Guggenheim di New York per salire la notissima rampa circolare di Frank Lloyd Wright può essere altrettanto, se non più importante per il turista, che visitare il contenuto dell’edificio.
Immagini 1. Marina Willer / Wolff Olins, logo per il sistema di musei Tate, che comprende Tate Modern, Tate Britain, Tate Liverpool, Tate St. Yves. 2. Logotipo del sistema museale Guggenheim redatto in carattere Verlag. Questo carattere è ispirato al lettering Art Decò creato da Frank Lloyd Wright per la facciata del museo negli anni Cinquanta. Nel 1996 Jonathan Hoefler della Hoefler & Frere-Jones, ridisegna la font per la rivista ufficiale del museo e nel 2006 viene rilasciata una release della font in 30 pesi diversi (da Extra Light a Black, da Condensed a Compressed) per un totale di cento lingue differenti. 3. Nel 1964 Ivan Chermayeff disegna il logo del museo d’ arte moderna di New york (MoMA), creando un punto di riferimento istituzionale. Il carattere tipografico utilizzato è il Franklin Gothic n. 2. Nel 2004 questo logo è stato ridisegnato da Mattew Carter , che ha creato un font ad hoc, il MoMa Gothic. Più recentemente il sistema di identità visiva è stato disegnato da Paula Scher e sviluppato e applicato da Julia Hoffmann, direttrice creativa per la grafica formatasi in Pentagram. 4. Jean Widmer, logo per il Centro Georges Pompidou, 1975.
33 Margo Rouard Snowman, Museum Graphics, Thames and Hudson Limited, 1992, pag. 6. Testo in inglese, traduzione di Giulietta Carito. 34 Ibidem. 35 Emily King, op. cit. 36 Margo Rouard Snowman, op. cit.
CONSIDERAZIONI SULLA PROMOZIONE DELL’IDENTITà MUSEALE
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I musei classici che contengono importantissime opere del passato come gli Uffizi di Firenze, il Prado di Madrid, l’Hermitage di San Pietroburgo ecc., vivono sul richiamo dei loro contenuti, anche se potrebbero giovarsi enormemente di una campagna comunicativa dinamica, centrata sia su interventi architettonici, laddove economicamente possibili, che sul rinnovamento della comunicazione grafica. Fra i grandi musei il Louvre sembra l’unico ad aver cercato di innovare la comunicazione della sua identità, compiendo un’ importante sforzo economico mirato al cambiamento, sia degli spazi che della propria identità visiva. La grandiosa strategia di rinnovamento, a cui non è stato estraneo il concetto di grandeur tipico della cultura francese, si è giovata di finanziamenti pubblici e privati molto consistenti. Essa ha previsto la costruzione della Pyramide dell’architetto Pei insieme a un progetto di comunicazione complesso che ha utilizzato una grafica chiara e moderna includente anche connotazioni storiche. Il logotipo
ideato dal gruppo Grapus presenta spunti tratti dalla Pyramide e una grafica che ricorda i frontoni dei monumenti. La segnaletica provvisoria durante i lavori di restauro del museo, ha usato il sistema duttile di Kenneth Carbone, adattabile allo spostamento delle opere in attesa della loro collocazione finale. La segnaletica definitiva fu elaborata dalla agenzia Anatome, modificando in parte il lavoro di Carbone e introducendo l’uso dei colori per individuare le diverse aree espositive ai vari piani. “A tal punto è giunta la ricerca di finanziamenti per valorizzare il museo e le sue attività che, da almeno un decennio il Louvre intrattiene anche rapporti stretti con alcuni emirati arabi per avere finanziamenti per i lavori di ristrutturazione dei settori più recenti e per l’organizzazione delle mostre temporanee. In cambio, esso offre la fruizione privilegiata degli spazi espositivi per le famiglie reali arabe, e in prospettiva, l’invio di proprie opere negli emirati.”37 37 Isabella Pace, in “Musei in franchising” su www.mi.camcom.it
Collettivo Grapus, logo museo dell’Louvre. Un’impressione di imponenza viene prodotta dall’accentuazione dello spazio tra le lettere.
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MUSéE DU LOU VRE E APE LOIG
Il Louvre e Apeloig
Il Museo del Louvre rappresenta un esempio importante di come architettura, grafica e tecnologia sono state impiegate insieme per ottenere un museo moderno che coniuga identità, polifunzionalità e richiamo, caratteristiche necessarie per una impresa culturale che deve anche produrre profitti. Nel 1983, quando venne commissionato un ampliamento del Louvre all’architetto Ieoh Ming Pei, il museo sembrava essere limitato e antiquato ogni anno di più. Il progetto di Pei doveva adempiere a tre scopi: incrementare i visitatori, aumentare lo spazio adibito alle esposizioni, e sviluppare i servizi tecnici necessari alla gestione e alla sicurezza di un museo moderno. La piramide creò uno spazio interno bagnato di luce. La Hall Napoleon, spazio che si estende sotto la struttura trasparente, venne trattato in maniera fortemente grafica. Le sue caratteristiche più importanti sono i giochi che si creano tra la linea e piano, bianco nero, ombra e luce. La compresenza di differenti materiali come vetro, acciaio, calcestruzzo, pietra, contribuisce a produrre un’estrema sobrietà di stile, privo di qualsiasi colore eccetto quello riflesso dalle continue evoluzioni del cielo parigino. Gli alberi che crescono all’interno, demarcando gli ingressi alle zone Richelieu, Denon, Sully, sottolineano inoltre la stretta relazione tra architettura e natura. L’apertura della Hall Napoleon è il primo passo del progetto Grand Louvre, terminato nel 1993, bicentenario della nascita del museo. La sua espansione spaziale continuò fino al 1989, anno in cui il Ministero delle Finanze, lasciando libero lo spazio che occupava permise che in un unico luogo si potesse offrire una straordinaria concentrazione di mostre. Nel 1988 il Ministero della Cultura indisse un concorso per reperire uno studio grafico che creasse la nuova identità visiva del museo. La giuria
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internazionale presieduta da Pei scelse lo Studio Grapus. Venne loro offerto un anno di contratto per produrre logo, cancelleria base e concept per eventuali pubblicazioni. Il Gruppo era formato da membri del partito comunista francese che si erano conosciuti nel periodo del ‘68. All’inizio dell’attività essi rifiutavano incarichi commerciali o governativi, ma accettarono di lavorare per il Louvre. Ciò avvenne non senza gravi contrasti interni di natura ideologica, che li condusse alla fine ad una separazione. Nella creazione del logo, Grapus abbandonò la dicitura “Musee du Louvre” in favore del più semplice “Louvre”. Per il nome del museo venne mantenuto il carattere Granjon, del XVII secolo, stampato in lettere maiuscole sopra lo sfondo di un cielo nuvoloso. Il Granjon riflette l’eredità storica del Louvre e delle sue collezioni, mentre il cielo evoca la trasparenza della Pyramide. Nonostante la sua semplicità lo sfondo con il cielo rende più difficile la riproduzione del logo.38 Philippe Apeloig iniziò il suo intervento di perfezionamento e di arricchimento della grafica del Louvre nel 1996. Il materiale grafico creato dal collettivo Grapus aveva bisogno di un ulteriore sviluppo. Infatti nel 1996, l’allora direttore del Louvre Pierre Rosemberg, visto il materiale che Apeloig aveva preparato per una borsa di studio, gli commissionò la sfida di ripensare la concezione grafica di tutta la cancelleria, e delle pubblicazioni del museo. La gestione dinamica di Rosemberg permise di qualificare ulteriormente l’immagine dell’istituzione. Dal 1997 Philippe Apeloig divenne prima consulente, poi direttore creativo nel 2003, e mantenne questo ruolo fino al 2007. Appertengono a questo periodo i manifesti della pagina a fianco. 38 Margo Rouard Snowman, op. cit.
IL LOUVRE E APELOIG
Philippe Apeloig, 1998, Louvre, Dieci anni della Pyramide. Stagione ‘98 - 99. Manifesto 118 x 175 cm
Philippe Apeloig, 1996. Manifesto per esposizioni al Louvre. Stagione ‘96-97. Manifesto 118 x 175 cm
Questo manifesto per il museo del Louvre celebra i dieci anni di costruzione della Pyramide. L’idea più scontata di rappresentare la piramide con una fotografia, è sostituita dall’evocazione grafica della sua architettura. La notorietà dell’immagine della piramide rende possibile richiamarla tramite le lettere, che in primo luogo comunicano la forma piramidale e in seconda istanza permettono la lettura del messaggio.
Manifesto per il museo del Louvre, stagione 1996/1997. L’obiettivo è quello di dare un volto a tutte le collezioni del Louvre, dalla pittura alla scultura, dalle civiltà antiche a quelle moderne. Questo si ottiene attraverso una griglia ben visibile, in cui sono inserite in sovrapposizione sia le immagini che la tipografia. L’immagine complessiva comunica un forte ritmo.
IL LOUVRE E APELOIG
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2. 39 Margo Rouard Snowman, op.cit. Immagini 1. Mappe del museo, in varie lingue. 2. Philippe Apeloig, libro dedicato a tutte le collezioni dell’Louvre. Il museo avrebbe preferito come copertina la riproduzione di un opera, ma per Apeloig sarebbe stato fortemente riduttivo, perchè il Louvre è un mondo in cui si entra come se si entrasse in un libro. La copertina riprende quindi la Pyramide, la sintesi della parola “Louvre” racchiude l’enormità del museo e quindi del libro.
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IL LOUVRE E APELOIG
Il logotipo del Museo Louvre soffre di uno svantaggio: nonostante la semplicitĂ visiva del lettering contro il cielo, presenta dei problemi di riproducibilitĂ . Questi sono ad esempio una perdita di definizione specialmente nelle nuvole.39
IL LOUVRE E APELOIG
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MUSéE D’ORS AY E APE LOIG
Il Musée d’Orsay e Apeloig
Il museo d’Orsay è ospitato negli spazi nell’ ex stazione d’Orsay, progettata nel 1898 da Victor Laloux per l’esposizione Universale del 1900 e in funzione fino al 1975. Dopo la chiusura della stazione, nel 1979 il Ministero della Cultura indisse un concorso mirato alla trasformazione dello spazio in museo. Il vincitore del concorso fu il gruppo ACT (R. Bardon, P. Colboc, J.P. Philippon). Nel 1980 venne attribuito il compito di disegnare gli interni all’architetta italiana Gae Aulenti. La realizzazione di Aulenti riflette idiomi passati e presenti: la gigantesca navata mantiene infatti le fattezze della stazione di Laloux dietro le vesti contemporanee. Il museo ha adottato una politica espositiva multidisciplinare, costruita attorno al concept di un “collage a sequenze”: mostre che normalmente risulterebbero separate, per esempio di pittura e di scultura, sono allestite insieme in sequenza cronologica. Esso è organizzato nelle seguenti sezioni: pittura, scultura, architettura, Art Nouveau, prima cinematografia ed esibizioni temporanee, relative al periodo che va dal 1848 al 1914. I pannelli di orientamento, in quattro lingue, usano la tipografia per sottolineare o ridurre l’importanza delle varie mostre. Il nome delle sale appare su pannelli metallici interscambiabili posti su guide di ottone. Barre parallele vengono usate come indicatori di direzione. Dodici “punti chiave”di informazione riferiti a specifiche zone sono distribuiti in tutto il museo. I designers grafici Widmer e Monguzzi vinsero un concorso nel 1983 per la segnaletica interna, che venne realizzata insieme allo sviluppo dell’identità visiva. Una segnaletica efficace e comprensibile era indispensabile per uno spazio così particolare in cui un’ unica navata ospitava volumi ricavati per
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esporre tipologie artistiche diverse. “La segnaletica che fu realizzata fa da mediatrice con i suoi colori e materiali tra la vastità della navata e la densa consistenza delle pareti. La lacca rossa e l’ottone scintillante contrastano con l’opaco calcestruzzo marrone, le etichette lucidate, con la pietra granulare di Buxy, usata per le gli indicatori delle stanze.”40 Il programma grafico realizzato da Monguzzi e Widmer è fondato su tre elementi: tipografia, logo e colore. L’elemento base della tipografia è il Walbaum Buch, carattere del diciottesimo secolo largamente usato nel diciannovesimo. Il disegno delle lettere combina grazia, forza e severità. Il logo del Museè d’Orsay fu creato da Monguzzi mentre meditava sull’acronimo“Moma”, del Museum of Modern Art. Esso rappresenta una “M” al di sopra di una “O”, separato da una linea netta, come due scatti su una sequenza di una pellicola. Il logo produce un’ immagine compatta e una sensazione di movimento. L’immagine visiva complessiva utilizza il colori diversi a seconda della funzione. L’immagine istituzionale a partire dal logo è rappresentata attraverso la gamma monocromatica di bianco, nero e grigio. Il bianco, il nero, il grigio, il rosso, il marrone, il verde vengono invece usati per adempiere a un ruolo funzionale come le guide, le pubblicazioni, i depliant. Il programma grafico possiede una grande eleganza, e riflette un’ armoniosa alleanza tra la tradizione svizzera e la cultura francese. Esso ha messo al servizio dell’arte una tipografia classica che realmente “serve” senza competizione. Dopo il compimento del loro incarico e l’apertura del museo il 1º dicembre 1986, il gruppo grafico mantenne il ruolo di supervisore della coerenza grafica complessiva dell’istituzione.
IL MUSéE D’ORSAY E APELOIG
Philippe Apeloig è legato al Museo d’Orsay dalla sua collaborazione come grafico iniziata nel 1985 quando il museo non era ancora aperto. Egli partecipò a soli ventitre anni ed ancora da studente a un concorso indetto dal Ministero della Cultura per il Museo d’Orsay. Lo vinse, e iniziò così la sua carriera professionale in una sede prestigiosissima. Alcuni manifesti realizzati dal giovane grafico per il museo vengono riportati nelle pagine seguenti. Nel primo, “Chicago, naissance d’une métropole”, Apeloig utilizza per la prima volta un computer per il suo lavoro, utilizzando un metodo che aveva osservato durante gli stage allo studio Total Design per creare un effetto tridimensionale.41La parola “Chicago” appare in prospettiva, riprendendo quella della strada sottostante nell’immagine, allo scopo di creare un effetto di vertigine con l’orientamento del testo. Le linee oblique della foto richiamano le dimensioni geometriche dei primi grattacieli. Parlando di questo poster in un’ intervista Apeloig dichiara che è uno dei suoi lavori preferiti e che gli piacerebbe molto ritrovare l’innocenza e la freschezza dei giovani anni in cui l’aveva creato.42 In un’altra intervista il grafico rievoca la sua esperienza di lavoro presso il Museo d’Orsay e afferma di aver ereditato da Monguzzi e Widmer un logotipo e un sistema grafico molto ben ideato, che gli ha permesso di esprimersi liberamente. Ritiene che l’unico limite del suo lavoro consisteva nel dover utilizzare il carattere tipografico predefinito dal Museo, il Walbaum. Il suo sforzo quindi è stato di creare delle immagini senza compromettere lo spirito grafico iniziale.43 L’esperienza con il Musée d’Orsay si concluse nel 1987. L’anno successivo ricevette dal Ministero Francese per gli Affari Esteri una borsa di studio per progredire i suoi studi presso April Greiman, negli Stati Uniti.
40 Margo Rouard Snowman, op. cit. 41 Ayse Kongur, An interwiev with Philippe Apeloig, “Creative Review” Febbraio, 2010. 42 Philippe Apeloig, intervista a DesignBoom. 43 Philippe Apeloig, “intervista f”, 2001. in www.apeloig.com
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Philippe Apeloig, manifesto per la mostra “Chicago, nascita di una metropoli 1877–1922”,1987.
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Philippe Apeloig, manifesto per una mostra sulla comicità e sui personaggi del cinema muto, 1987.
Philippe Apeloig, manifesto per celebrare il decimo anniversario dell’apertura del museo d’Orsay, serigrafia, 1996.
Philippe Apeloig, manifesto per la mostra “Carte Blanche”, mostra a libero accesso, 1987.
La resa visiva del manifesto “Comique muet” è assimilabile al precedente “Chicago” per l’uso della fotografia e dei primi software grafici. Nel manifesto “Carte Blanche”, del 1987, Apeloig riprende come elemento centrale il logo creato da Monguzzi e Widmer, racchiuso da una scansione regolare ed equilibrata di tante piccole forme sferiche. Le informazioni sulla mostra si leggono chiaramente in basso. Nel manifesto che celebra i dieci anni di apertura del museo, Apeloig inscrive il logo del museo in una forma che richiama il numero dieci, in cui viene inserito anche il titolo. Questo manifesto semplice ed elegante, del tutto privo di decorazione, gioca tutto il suo effetto sia nelle forme, attentamente calibrate, che nell’uso dei colori; infatti si alternano due gradazioni di grigio, su cui spicca il giallo del titolo della mostra.
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1. Formula di abbonamento per le visite al museo. 2. Copertina di un pieghevole pubblicitario. 3 Programma delle mostre Settembre 2012 Gennaio 2013. 4. Pieghevole, lato A contenente riproduzioni di quadri della collezione permanente. 5. Pieghevole, lato B. Nelle fustellature è presente una linea tratteggiata che invita a tagliare, con lo scopo di creare delle cartoline.
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MUSéE D’ ART ET D’ HIS TOIRE DU JUDAЇ SME E APELOIG
Nel 1998 veniva aperto nel quartiere del Marais a Parigi il Musée d’art e d’histoire du Judaïsme. Nel contempo veniva bandito un concorso per un logo che rappresentasse l’istituzione e ne connotasse la funzione di memoria storica, artistica e culturale. Philippe Apeloig vinse il concorso con due bozzetti, ma la giuria chiese un’ alternativa, perchè i disegni presentati raffiguravano una spirale in una stella e una mano con sette dita. Questi simboli vennero ritenuti potenzialmente ambigui; la stella di David ha infatti connotati storici negativi a causa della stella gialla imposta dai nazisti agli ebrei, mentre la mano è anche un simbolo islamico. Il percorso creativo seguito da Apeloig per arrivare alla soluzione definitiva, che rappresentava l’immagine di una ménorah, il candelabro con sette braccia, viene da lui descritto nel libro “La spirale, la main et la ménorah”44. La premessa concettuale affermata da Apeloig risiede nella consapevolezza che il museo ebraico non era uno spazio confessionale per la comunità, ma il museo aperto al pubblico di una comunità con una storia e una cultura. La preparazione dell’identità visiva del museo ha richiesto ad Apeloig un vasto approfondimento del panorama simbolico e allegorico dell’ebraismo. Egli racconta che il suo obiettivo complessivo era di associare tradizioni ed emblemi del Giudaismo alla modernità e all’emozionalità. La prima soluzione che aveva presentato, dove spirale e stella apparivano mescolati, era collegata all’immagine dei cerchi concentrici della Cabala45, e alla visione in sezione dei rotoli della Torah, e voleva richiamare gli scambi e le relazioni della comunità ebraica con il mondo esterno. L’altra soluzione, la mano a sette dita, voleva ricordare un simbolo molto presente nella cultura ebraica. La mano infatti è un simbolo
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di memoria correlata anche allo yad (mano), nome del puntatore con cui l’officiante segue il testo sulla Torah. Inoltre sulle lapidi tombali c’è l’immagine benedicente delle mani, e la figura ritorna nella cultura sefardita. Apeloig scrive che due artisti che gli sono molto familiari come El Lissitsky e Marc Chagall hanno sublimato tale immagine nelle loro opere, ribadendo la loro appartenenza alla comunità ebraica. Chagall aggiunse due dita alla sua mano e una mano con sette dita si trasforma nel candelabro a sette braccia, la ménorah, simbolo universale dell’ ebraismo. Per disegnare la mano a sette dita, aperta e ben riconoscibile, Apeloig usa pittura, inchiostro e gesso, e ne lascia i contorni volontariamente irregolari, per rompere la meccanicità del disegno computerizzato. Dalla mano a sette dita si ha il passaggio al disegno del candelabro a sette braccia, che sarà il logo definitivo scelto dal museo. Il candelabro è un simbolo universale del popolo ebraico, quindi l’aspetto del significato era già evidente e Apeloig scelse di lavorare maggiormente sull’ aspetto plastico e formale del simbolo. Nel suo libro mostra i molteplici passaggi per arrivare al disegno della ménorah, basati soprattutto sulla calligrafia delle lettere ebraiche. Il senso dell’antichità del simbolo e della fragilità di qualcosa su cui è passato un tempo lunghissimo viene reso, dopo innumerevoli prove, da strumenti che lasciano il margine non netto, come il bambù, il pennello, la penna, prima della resa computerizzata. Dopo un lavoro di raffinamento e limatura la figura ottenuta assomiglia a una moneta antica, o a un sigillo. Le sette fiammelle che si innalzano dalle braccia rendono chiaramente leggibile l’immagine di un’antico candelabro.
IL MUSEO EBRAICO E APELOIG
1. 44 Philippe Apeloig, La spirale, la main et la ménorah, GCE, 1999. 45 La cabala è una dottrina ebraica esoterica su Dio e sull’universo a sfondo panteistico, in cui tutto ciò che esiste è la manifestazione di Dio stesso. Egli si rivela attraverso dieci sefirot, o emanazioni, rappresentate appunto con dei cerchi. Immagini 1. Yad, il puntatore con il quale l’officiante segue il testo sulla Torah. 2. Marc Chagall, da Self portrait with seven fingers,1912–1913.
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1. Brochure. 2. Mappa del museo. 3. Cartolina pubblicitaria della mostra “Ebrei d’Algeria”e programma delle mostre Settembre 2012 Gennaio 2013.
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AP PEN DI CE
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1. Museo di Belle Arti di Tours, 2004. 2. Musée Girodet a Montargis, 2005. 3. Musée de France, Direzione dei musei di Francia, 2006. 4. Litvak Gallery, Galleria d’arte contemporanea, Tel Aviv, 2009. 5. La Maison de Photo, Casa di edizioni di foto d’arte, 2009. 6. Petit Palais, Museo di Belle Arti della città di Parigi, 2012.
UN PRO GET TO PER ANA TOME
Introduzione
Il progetto che mi è stato affidato prevede la creazione dell’immagine coordinata di una mostra di lavori di Apeloig presso la sede virtuale della Galleria Anatome a Milano. Lo sviluppo delle varie parti del progetto si è accompagnato all’ approfondimento del mondo dell’autore, dei suoi elementi stilistici e delle ragioni delle sue scelte. Il mio lavoro ha come obiettivo di comunicare lo spirito della ricerca di Apeloig e di esprimere la sua poliedricità. Il percorso che ho seguito è visibile nel confronto tra le prime versioni di alcuni elaborati, come il manifesto e la copertina del sedicesimo, con quelle successive, arricchite da nuovi elementi legati all’artista. Il progetto di identità della mostra presso la galleria Anatome ha inoltre previsto la creazione di vari materiali
promozionali come: il manifesto, destinato all’affissione negli spazi pubblicitari della città; il sedicesimo, opuscolo introduttivo sull’autore; l’ invito, da spedire agli addetti ai lavori; la cartella stampa, destinata ai giornalisti; lo stendardo, presente nel luogo stesso della mostra.
A sinistra: Philippe Apeloig, manifesto per la mostra autografa all’University of the Arts di Philadelphia, USA: ”Play Type, design–work”, 2005. Sopra: Philippe Apeloig, carattere tipografico “Carré”, 1993.
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UN PROGETTO PER ANATOME MILANO
Manifesto
Formato: 70 x 100 cm Target: persone con interessi artistici Destinazione: affissione negli spazi pubblicitari della città. Durante lo studio dell’opera e degli elementi stilistici dell’autore si è circoscritta l’area della tipografia, considerandola come base dello sviluppo dell’identità visiva del mio progetto. La font Carrè, progettata nel 1993 da Philippe Apeloig è stata usata per il lettering principale, che riporta il nome dell’artista. Per le informazioni su luogo/data/ora si è usato Helvetica Neue, nei pesi bold e regular. Il titolo della mostra, “Typomania” è stato composto con gli stessi caratteri del lettering principale. La font Carrè è caratterizzata dalla somiglianza con il quadrato e crea un effetto di stabilità ed equilibrio. Come si vede nel manifesto di Apeloig per la Design–Exibition del 2005, riportato qui a sinistra, è anche una font adatta a giochi di colore e variazione spaziale. Alla prima versione del mio manifesto, qui a fianco, si sono gradualmente aggiunti elementi nella seconda versione e in quella definitiva, come si vede nelle pagine successive. Nella seconda versione è stato aggiunto il titolo della mostra,“Typomania”. Il nome allude alla nota passione di Apeloig per la tipografia. Nella terza e definitiva versione si è cambiata la palette colori per entrambi i lettering, e si è aggiunta un’ ombreggiatura dietro ai caratteri del lettering principale. I colori usati sia per il lettering principale sia per quello secondario sono campioni presi da vari manifesti di Apeloig. Nelle pagine 102 e 103 sono riportate alcune prove di stampa del manifesto.
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Seconda versione
Versione definitiva
Sedicesimo
Formato: 17 x 24 cm Target: visitatori della mostra. Destinazione: negozio della galleria.
Numero 15 della rivista “Un sedicesimo” Ed. Corraini
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Si definisce sedicesimo una rilegatura di sedici pagine. “Un sedicesimo” è anche il nome di una rivista, che la casa editrice Corraini di Mantova ha pubblicato a partire dal dicembre 2007. “Un sedicesimo” misura diciassette centimetri di larghezza e ventiquattro di altezza, non ha un tema e neanche una gabbia grafica. Ogni numero è affidato ad un autore diverso che ha il compito di creare un progetto lungo sedici pagine. È una sorta di galleria su carta. é un oggetto editoriale che ha lo scopo di presentare l’autore e deve pertanto contenere tutti gli spunti, le caratteristiche ed i temi propri dell’artista. Così accade nella mostra della Galleria Anatome Milano, che commissiona alla curatrice virtuale la redazione del sedicesimo dedicato a Philippe Apeloig. Per fare questo si è preferito operare una sintesi estrema dello stile di Apeloig, troppo ricco, complesso, e pervaso di influenze per essere definito in breve. Si è quindi scelto di rivelare Apeloig attraverso il suo nome, usando come strumento la tipografia, tema da lui prediletto e fortemente presente nella sua produzione. Utilizzando le font da lui create –Drop, Ndebele, Santa Co, Aleph, Serpent, Bollywood, Octobre, Carrè– si rivelerà alla fine il suo nome completo. Il percorso progettutale si è sviluppato con il supporto di un’agendina Moleskine sulle cui pagine sono state incollate le lettere.
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Un sedicesimo di Giulietta Carito “Philippe Apeloig” composto in Drop, SantaCo, Octobre, Serpent, Bollywood, Aleph, Ndebele, Carré, font disegnati da Philippe Apeloig. www.anatomemilano.it
Copertina
Quarta di copertina
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Invito
Formato:10 x15cm (chiuso) Target: un numero limitato di persone potenzialmente interessate alla mostra, giornalisti/e. Questo supporto è pieghevole. La soluzione che si è sviluppata prevede due ante. L’invito aperto misura in lunghezza 20 cm e in altezza 15 cm. Lo scopo dell’invito è quello di comunicare la data ed il luogo nonchè altre informazioni come l’orario della mostra. Sarà inviato a personaggi del settore e a giornalisti/e. La busta sarà trasparente, così da evidenziare la grafica del contenuto: il fronte dell’invito deve essere posizionato all’interno della busta lato indirizzo.
Galleria Anatome Via Durando 10, 20158 Milano Zona Bovisa Tel +39 340 355 83 34
info@anatomemilano.it www.anatomemilano.it
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Cartella stampa
Formato: 22 x 30,5 cm Target: giornalisti/e Destinazione: da consegnare all’inaugurazione della mostra. La cartella stampa ha lo scopo di contenere i vari materiali con le informazioni, cartacee e multimediali che riguardano un evento. Ciò al fine di di costituire un insieme completo a cui i giornalisti possano fare riferimento per i loro articoli. In questa occasione i materiali forniti in cartella sono il comunicato stampa, in formato A4 su carta intestata della galleria Anatome Milano, e un CD. Il progetto comprende sia la fustella, (sotto) ovvero la struttura, la piegatura e le tasche della cartella, sia la veste grafica; in essa si ripetono gli elementi già utilizzati nei precedenti artefatti, come il lettering del manifesto, e alcuni elementi dell’invito che
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derivano dal sedicesimo. La copertina utilizza la stessa grafica dell’invito e del manifesto, ossia le lettere che compongono il nome “Philippe Apeloig”. Nel retro di copertina si legge la grafica con il titolo della mostra, già presente nell’invito. La forma della tasca riprende fortemente il logo della galleria Anatome, così da costituire una costante, che rende riconoscibile la cartella e il suo marchio anche a distanza di tempo. Sul cd è stato riprodotto una sequenza di stampe della grafica del manifesto. Nel risvolto interno è stato inserito il calligramma già usato per il sedicesimo, che cita una frase di Apeloig riferita ai suoi ispiratori della scuola olandese ”Rietveld, Van Doesburg, Piet Zwart were real eye openers”. Questa frase non è stata scelta a caso, il suo significato– l’arte che apre gli occhi–è un invito destinato a chi guarderà professionalmente la mostra.
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Stendardo
Formato: 9x2,5 m Target: avventori/frequentatori dell’edificio N Destinazione: atrio dell’ edificio N, Bovisa Lo stendardo è stato progettato per essere appeso nell’atrio dell’edificio N della scuola del design, nel campus di Bovisa Durando. Ha dimensioni notevoli (9x 2,5 m) e un formato alto e stretto. L’immagine del manifesto, che nell’invito era stata trasformata da verticale in orizzontale, nello stendardo viene adattata alla verticalità, accentuandola. Il testo ha un corpo molto grande per poter facilitare la lettura anche a distanza. La grafica dello stendardo ripete quella dell’invito e del manifesto. Se il nome di Philippe Apeloig non è immediatamente riconoscibile nella grafica colorata, la comprensione del messaggio è garantita induttivamente da tutte le altre informazioni che appaiono sul supporto, leggibili molto chiaramente.
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BIBLIOGRAFIA SITOGRAFIA
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Bibliografia
Sitografia
Apeloig Philippe, La spirale, la main et la ménorah, Gabriele Cappelli Editore, 1999
Piazza Mario, Progettare il marchio, Identità del GAI, GAI Edizioni, Torino 2001
Apeloig Philippe, Rozemberg Michael, Au coeur du mot/ Inside the word, Lars Müller Publishers, 2001
Rouard Snowman Margo, Museum graphics, Thames and Hudson, 1992
Ferrara Cinzia, La comunicazione dei beni culturali, Lupetti, 2007 Guida Francesco E. (a cura di), Comunicazione coordinata per i beni culturali: 4 progetti italiani, Valentino Editore, Napoli, 2003 Hyland Angus , King Emily, Visual Identities and branding for the arts, Laurence King Publishing, 2006 Mollerup Per, Marks of Excellence, Phaidon Press Ltd,1997
Spera Michele, Abecedario del grafico, Gangemi Editore, 2005.
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