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Aspetti tecnici

CAPITOLO 1.4 ASPETTI TECNICI

I software di modellazione 3D hanno numerose funzionalità che possono essere utilizzate per creare viste prospettiche dello spazio geografico. Queste devono essere impiegate in modo consapevole per realizzare elaborati efficaci e graficamente attraenti. Gli aspetti relativi alla progettazione e alla definizione dei principi da applicare alla cartografia 3D, tuttavia, sono stati studiati solo in un numero circoscritto di ricerche (Bandrova, 2001; Terribilini, 2001; Häberling, 2003; Wood et al, 2005; Häberling et al, 2008).

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Nel presente capitolo si andranno a descrivere gli aspetti tecnici necessari alla realizzazione degli elaborati cartografici 3D, implementando quelli proposti nelle ricerche precedenti. Nello specifico si tratteranno i seguenti temi: (i) processo di progettazione e operazioni da svolgere durante le sue fasi e (ii) variabili progettuali e grafiche da considerare nei vari stadi delineati in (i).

1.4.1

Processo di progettazione

La progettazione cartografica è un processo nel quale il cartografo concettualizza e realizza una mappa in modo da soddisfare i bisogni degli utenti finali (Slocum et al, 2013). Tale processo si può dire concluso con successo quando la mappa comunica in modo efficace, semplice e chiaro le informazioni geografiche. Secondo Terry A. Slocum et al (2013) la progettazione cartografica è regolata in gran parte da norme, linee guida e convenzioni ma risulta comunque relativamente destrutturata. Non esiste, infatti, un’unica soluzione ottimale per un determinato problema cartografico. Una mappa ben realizzata può essere definita come: la soluzione migliore tra le tante, data una serie di vincoli imposti dal problema (Dent, 1999).

Judith A. Tyner (2010), nel suo libro Principles of Map 3esign, afferma che il processo di progettazione cartografica non è lineare1 e si divide in quattro fasi: (i) pianificazione, (ii) analisi, (iii) presentazione e (iv) produzione/riproduzione. Nella prima fase il cartografo deve delineare in maniera chiara lo scopo e il tema della mappa, con quale mezzo di comunicazione verrà presentata e quali saranno i fruitori. Sulla base di queste informazioni, si procede alla fase di analisi, dove vengono raccolti, sintetizzati e analizzati i dati. Durante la presentazione gli elementi come titolo, legenda, scala, testo, ecc. sono organizzati in un layout. A questo punto la mappa deve essere osservata in maniera critica e, nel caso sia necessario, deve essere modificata. Nell’ultima fase, quella della produzione/riproduzione, la mappa viene pubblicata sul supporto stabilito nella prima fase.

1 L’autore sottolinea come in molti casi due o più processi vengono svolti contemporaneamente.

Principi fondamentali

Nello svolgimento del processo ci sono dei principi fondamentali che devono essere tenuti in considerazione: (i) le esigenze dell’utente devono guidare le scelte svolte in ciascuna fase, (ii) l’intero processo è iterativo e (iii) in ciascun stadio del processo bisogna tenere in considerazione le fasi precedenti e successive del processo stesso (Hájek et al, 2016).

Inoltre, nonostante i già citati vantaggi delle mappe 3D, è fondamentale valutare a priori se sia opportuno realizzare una cartografia 3D per il progetto corrente. Infatti, questi elaborati hanno una serie di fattori limitanti che Tom Patterson (2018) individua in: (i) tempo, necessitano da due a tre volte in più rispetto alla cartografia tradizionale, (ii) costo, proporzionale al tempo, (iii) dati, la presenza di informazioni relative all’altimetria è imprescindibile, (iv) geografia, alcuni paesaggi non sono adatti alla rappresentazione 3D (es. quando importanti caratteristiche del paesaggio rimangono nascoste), (v) scopo/utenti, se la morfologia non è una parte essenziale del messaggio della mappa non ha senso redigere una mappa 3D, (vi) georeferenziazione, non è possibile localizzare in diretta la posizione degli utenti, (vii) punto di vista, nelle mappe 3D esiste un solo punto di vista e non è quindi possibile ruotarle, e (viii) vista, a causa dell’uso della vista obliqua la dimensione dello spazio geografico rappresentato è inferiore, rispetto ad una mappa tradizionale.

Aspetti della produzione cartografica 3D

In maniera analoga al processo di realizzazione della cartografia tradizionale, nella progettazione cartografica 3D, si devono tenere in considerazione tre aspetti principali: (i) concettuale, (ii) tecnico e (iii) del prodotto (Häberling et al, 2008).

L’aspetto concettuale prende in considerazione sia le abilità e le competenze dell’utente finale (es. educazione ed esperienza) sia lo scopo dell’elaborato (es. orientamento o visualizzazione analisi), ma anche le circostanze legate al tempo ed al luogo di osservazione (es. uso sul campo o limitato tempo di fruizione). Come per la cartografia tradizionale, anche per quella 3D la scelta di come la mappa verrà riprodotta ha un impatto su quasi tutte le scelte.

Gli aspetti tecnici della progettazione di una mappa 3D riguardano i dati digitali in input e le specifiche applicazioni informatiche da usare. I dati georeferenziati che vengono utilizzati possono essere: 3igital Terrain Model (DTM), 3igital Surface Model (DSM) ed altri layers di dati. I dati spazialmente riferiti in formato raster, come DTM e DSM, servono come informazioni altimetrica di base mentre ortofoto o immagini satellitari possono essere usate come texture per le mappe 3D. Tuttavia, il contenuto informativo può essere sia in formato raster che vettoriale2 .

Per rappresentare i geodati in mappe 3D di grande impatto visivo sono necessari sia una strumentazione informatica molto potente sia sofisticati software di grafica. Tra questi giocano un ruolo fondamentale i software di modellazione 3D, sviluppati principalmente per la realizzazione di videogiochi o film, ma adattabili anche per la rappresentazione dei

2 Il formato di dati vettoriale offre maggiore flessibilità e permette un più elevato livello di interattività nel caso di cartografia 3D dinamica (Häberling et al, 2008).

dati geografici. Alcune tra le applicazioni più usate a questo fine sono Maxon Cinema 4D3 , Houdini4, Natural Scene Designer5 e, nell’ultimo anno, sta diventando sempre più comune l’uso di Blender6 7 .

L’ultimo aspetto della produzione cartografica 3D, quello relativo al prodotto, tiene conto dei contenuti tematici, dell’usabilità, dei costi e della resa grafica dell’elaborato finale. L’aspetto estetico è infatti uno dei fattori più importanti per attirare gli utenti a visualizzare ed esplorare un elaborato cartografico, che sia tradizionale o 3D.

Processo di progettazione della cartografia 3D

Anche il flusso di lavoro del processo di progettazione delle mappe 3D si articola in modo simile al processo di creazione delle mappe tradizionali. Questo, secondo Andrea Terribilini (2001) può essere suddiviso in tre macro-fasi: (i) modellazione, (ii) simbolizzazione e (iii) visualizzazione (Figura 1.4.1).

Alla luce di quanto appreso nello studio del processo di progettazione adottato negli anni dagli artisti e da quanto consigliato da alcuni dei cartografi con più esperienza nel settore della cartografia 3D (vedi Patterson, 2005; 2016; 2018), nel presente studio si illustra un nuovo flusso di lavoro sviluppato per la creazione elaborati cartografici 3D statici. Tale processo, illustrato in Figura 1.4.2, si articola in: (i) modellazione del terreno, (ii) pianificazione della scena, (iii) modellazione degli elementi cartografici, (iv) simbolizzazione e (v) visualizzazione.

Figura 1.4.1: Fasi del processo di progettazione della cartografia 3D (elaborazione da Terribilini, 2001)

Figura 1.4.2: Fasi del processo di progettazione per la cartografia 3D statica

3 maxon.net/en/cinema-4d 4 sidefx.com/products/houdini 5 naturalgfx.com 6 blender.org 7 I progetti di Craig Taylor sono realizzati con l’uso di Maxon Cinema 4D e Houdini (vedi mapzilla.co.uk). Tom Patterson produce i suoi elaborati prevalentemente con Natural Scene Designer (vedi shadedrelief.com). Owen Powell, Peter Atwood e Daniel P. Huffman usano Blender per generare le loro viste cartografiche 3D (vedi rispettivamente: owenpowell.wordpress.com, peteratwoodprojects.wordpress.com e somethingaboutmaps. com).

L’uso di questo processo permette di aver maggior controllo sul flusso di lavoro, sui dati e sulle variabili che entrano in gioco durante il progetto. Sostanzialmente, procedendo per prima cosa alla creazione del modello 3D del terreno ed all’impostazione della scena si vanno a delineare le caratteristiche di base che avrà l’elaborato. Consolidare tali variabili nella fase

Figura 1.4.3: Diagramma di flusso per la realizzazione di una mappa 3D statica

iniziale permette di avere un’idea più chiara riguardo al tipo di dati ed al livello di dettaglio che dovranno avere gli elementi cartografici. A questo punto si procede al reperimento dei dati spazialmente riferiti rientranti nella scena e, quindi, alla creazione del modello 3D. A questi dati, vengono poi attribuiti dei simboli e, successivamente si procede alla creazione della cartografia 3D.

Il diagramma di flusso in Figura 1.4.3 sintetizza i passaggi e le scelte, di seguito descritte, fondamentali per la creazione di una mappa 3D attraverso il sopracitato processo di progettazione.

Fasi del processo di progettazione della cartografia 3D

Modellazione del terreno

Nella prima fase di progettazione si va a creare, ed impostare, la superficie di base del modello cartografico 3D.

Prima di procedere al reperimento dei dati altimetrici, per avere una prima idea sull’estensione dell’area di interesse (AOI), della topografia, della copertura del suolo e dell’organizzazione delle infrastrutture può essere d’aiuto usare applicazioni per la visualizzazione 3D come Google Earth. In questo modo si possono già identificare delle possibilità su come poter inquadrare la scena all’interno di un formato rettangolare e, inoltre, a stimare l’estensione che dovranno avere i dati altimetrici. Dato che questa estensione determina anche l’estensione massima che avranno i dati cartografici e, quindi, l’intero elaborato, è necessario prestare notevole attenzione alla sua identificazione. Per evitare successivi problemi è consigliato quindi aumentare l’AOI di una volta e mezzo rispetto a quanto stabilito inizialmente (Patterson, 2016).

Una volta definita l’estensione dell’AOI, si procede al reperimento dei dati altimetrici, basandosi su: (i) scopo del progetto, (ii) dati disponibili e (iii) tempo e capitale economico disponibile. Queste variabili incidono profondamente sul dettaglio che avrà l’elaborato finale. Per esempio, l’assenza di dati altimetrici con una risoluzione metrica sufficientemente alta può essere un forte fattore limitante che impedisce una rappresentazione morfologica dettagliata. D’altrocanto, gestire dati altimetrici con un’alta risoluzione nei software di modellazione 3D può risultare difficile senza delle strumentazioni con un elevato livello di prestazione. Per questo motivo, durante la fase di modellazione del terreno, è opportuno adottare il principio di minimizzazione delle geometrie, riducendo al minimo indispensabile la risoluzione metrica del dato (Hájek et al, 2016).

Una volta stabiliti i dati altimetrici da adottare nel progetto, si procede ad importarli nel software di grafica 3D così da creare il modello 3D del terreno.

Pianificazione della scena

Prima di procedere con la fase che porta alla creazione del modello 3D è opportuno curare la pianificazione della scena.

In questo frangente è necessario stabilire definitivamente, con il cliente, la copertura

geografica e la direzione di presa della scena. Infatti, adottare solo una piccola modifica ai parametri di base della scena (es. direzione della vista) nelle fasi più avanzate, richiede diverse ore di lavoro. Proprio per questo motivo la realizzazione di un elaborato cartografico 3D comporta molta più interazione con il cliente rispetto alle mappe tradizionali.

Il cartografo deve procedere a presentare al cliente diverse viste preliminari del modello 3D di base, in modo da stabilire quale soddisfi meglio le sue esigenze. Le viste preliminari devono contenere, oltre al modello 3D del terreno, gli elementi di base per rendere comprensibile l’estensione della mappa finale (es. limiti amministrativi, centri abitati e infrastrutture principali) e non necessitano di essere graficamente raffinate.

In base allo scopo della mappa è inoltre essenziale valutare se il modello 3D del terreno riesce a comunicare in modo efficace la morfologia del paesaggio. Nel caso contrario in questa fase il tecnico deve utilizzare una serie di tecniche per enfatizzare le relazioni morfologiche che intercorrono nell’AOI.

Modellazione degli elementi cartografici

In questa fase ci si occupa del reperimento, della gestione e della pre-elaborazione degli ultimi dati georiferiti da collocare sul modello 3D del terreno, in modo da produrre dati aggregati e armonizzati8 (Wood et al, 2005). Svolgere queste attività dopo aver pianificato la scena, e quindi dopo aver determinato le impostazioni relative alla presa della scena, permette di avere un’idea più chiara dei dati che devono essere inseriti nell’elaborato.

Come per il reperimento dei dati altimetrici, anche in questo frangente è necessario che i dati relativi agli elementi cartografici siano in linea con: (i) scopo del progetto, (ii) dati disponibili e (iii) tempo e capitale economico disponibile. Una volta raccolti i dati si procede ad importarli nel software di modellazione 3D così da creare un modello 3D di base, contenente gli elementi caratteristici del paesaggio. In alcuni casi i dati di base necessitano di essere convertiti in formati supportati dal software specifico utilizzato per la produzione cartografica 3D (Häberling, 2002).

Per rendere il lavoro all’interno del software di modellazione 3D più fluido è bene adottare anche in questo frangente il principio fondamentale della minimizzazione del numero di poligoni e delle altre primitive geometriche (Hájek et al, 2016).

Simbolizzazione

La fase della simbolizzazione è strettamente correlata a quella di modellizzazione del modello del terreno e degli elementi cartografici. Questa riguarda gli aspetti relativi alla comunicazione delle informazioni geografiche agli utenti.

In questo frangente, i dati usati per realizzare il modello 3D, vengono rappresentati attraverso una simbologia, andando così a realizzare il modello cartografico 3D. Come per la cartografia tradizionale, anche per quella 3D, il livello di generalizzazione dei simboli deve

8 Quando i dati spaziali provengono da varie fonti è necessario creare una struttura unificata. Spesso per questo scopo vengono usati sistemi di Extract-Transform-Load (ETL) (vedi Janecka et al, 2013).

essere scelto in funzione della scala di visualizzazione (vedi Variabili progettuali e variabili grafiche di simbolizzazione). Dato che le mappe 3D, rispetto alle mappe tradizionali, rappresentano gli elementi del mondo reale in modo più realistico i simboli adottati dovrebbero essere simili all’aspetto dell’oggetto reale.

Anche nella scelta della simbologia bisogna tendere a minimizzare il numero di poligoni usati per ogni simbolo.

Visualizzazione

L’ultima fase riguarda la visualizzazione, nella quale il modello cartografico 3D viene presentato sotto forma di cartografia, o mappa, 3D.

A questo punto del processo si procede con la renderizzazione della mappa 3D, all’eventuale post-produzione e, infine, alla sua visualizzazione sul supporto concordato nella fase iniziale.

1.4.2

Variabili progettuali e variabili grafiche

Per ognuna delle cinque fasi di progettazione in cui si articola il processo di realizzazione della cartografia 3D (modellazione del terreno, pianificazione della scena, modellazione degli elementi cartografici, simbolizzazione e visualizzazione), si identificano delle variabili progettuali e delle iariamili grafiche (Häberling, 2003; Häberling et al, 2008). Le relative impostazioni devono essere tenute sotto controllo per capire in quale modo, queste, vanno ad influenzare la visualizzazione del modello cartografico 3D.

Le variabili progettuali includono gli elementi fondamentali che entrano in gioco nella realizzazione degli elaborati cartografici 3D. Queste possono essere divise, sulla base delle suddette fasi di progettazione della cartografia 3D, in: (i) variabili progettuali di modellazione del terreno, (ii) iariamili progettuali di pianificazione, (iii) variabili progettuali di modellazione degli elementi cartografici, (iv) variabili progettuali di simbolizzazione e (v) variabili progettuali di visualizzazione. Ogni variabile progettuale include una o più variabili grafiche, ovvero un fattore di progettazione, le cui impostazioni influenzano direttamente una caratteristica specifica della scena e degli oggetti in essa situati.

Alcuni studi hanno analizzato tali variabili - basandosi su quanto teorizzato da Jacques Bertin (1967) relativamente ai prodotti grafici 2D -, proponendo dei principi da seguire nella realizzazione degli elaborati topografici 3D (Häberling, 2002; 2003; Petrovic, 2003). Altre ricerche forniscono, invece, consigli pratici sulla rappresentazione cartografica 3D, basandosi anche sulle tecniche utilizzate in passato dagli artisti per realizzare manualmente le viste oblique (Patterson, 1999; 2000; 2005; 2018; Häberling et al, 2008).

Nella presente tesi si è svolto uno studio volto ad approfondire le variabili progettuali e le iariamili grafiche individuate nel primo filone di ricerche, integrando però le tecniche sviluppate, con l’esperienza e la maestria, dagli artisti.

Di seguito verranno illustrate: (i) le variabili progettuali che entrano in gioco in ciascuna fase del processo di realizzazione della cartografia 3D (Tabella 1) e (ii) le iariamili grafiche fondamentali di ognuna.

VARIABILI PROGETTUALI

Modellazione del terreno Pianificazione della scena

DTM Fotocamera

Alterazione del DTM

Proiezione (prospettiva) Modellazione degli elementi cartografici Simbolizzazione Visualizzazione

Oggetti rappresentati Aspetti grafici Illuminazione

Oggetti di orientamento Aspetti grafici speciali Ombreggiatura

Testo

Effetti atmosferici e fenomeni naturali

Accorgimenti di finitura

Tabella 1: Variabili progettuali per ogni fase del processo di progettazione della cartografia 3D

Variabili progettuali e variabili grafiche di modellazione del terreno

Il modello 3D del terreno è l’elemento di base per ciascun elaborato cartografico realizzato in tre dimensioni. La raccolta e l’elaborazione dei dati altimetrici rappresentano quindi processi molto importanti per la realizzazione di una mappa 3D capace di comunicare in modo efficace il messaggio stabilito.

In questa fase si identifica pertanto una sola variabile progettuale di modellazione del terreno riguardante la modellazione del Digital Terrain Model (DTM), a sua volta composta da tre variabili grafiche (Tabella 2).

MODELLAZIONE DEL TERRENO Variabili progettuali Variabili grafiche

DTM Forma Risoluzione Esagerazione verticale

Tabella 2: Variabili progettuali e variabili grafiche della fase di modellazione del terreno

Modellazione del DTM

La prima variabile si riferisce al DTM, il dato di base della cartografia 3D, sul quale si dispongono tutte le altre informazioni georeferenziate. Il DTM può essere definito come: una rappresentazione numerica delle caratteristiche del terreno (Kraak & Ormeling, 2010). Infatti, è un file raster dove ogni cella contiene le informazioni relative alla posizione ed all’elevazione dei punti di una sezione del paesaggio. In questo caso entrano in gioco tre variabili grafiche, le quali si riferiscono: (i) alla forma, (ii) alla risoluzione ed (iii) all’esagerazione verticale.

Forma La forma della sezione del 3TM concorre a determinare l’estensione dell’area rappresentata nell’elaborato cartografico e può essere: (i) quadrata, usata per rappresentare sezioni di paesaggi galleggianti (Patterson, 1999), (ii) rettangolare, tipica delle visualizzazioni geologiche a block diagram (Slocum et al, 2013), e (ii) irregolare, ricavata dalla forma di una geometria poligonale (es. confini amministrativi ed aree di interesse).

Risoluzione La risoluzione del 3TM è una variabile grafica fondamentale nella realizzazione di una cartografia 3D e, più in generale, di qualsiasi elaborato cartografico. Infatti, questo parametro definisce la precisione con cui il modello del terreno rappresenta la morfologia del paesaggio reale. Tale risoluzione è data dalla dimensione della cella del file; più è piccola e più il DTM conserva le caratteristiche topografiche fini del terreno.

Come ogni informazione presente in un elaborato cartografico, anche il modello del terreno deve essere generalizzato, in modo da avere una risoluzione consona alla scala di rappresentazione9. Usare un DTM con una risoluzione troppo alta porterà la rappresentazione del terreno ad avere dei dettagli topografici che vanno a disturbare la comunicazione delle principali forme morfologiche (Patterson, 2001; Leonowicz et al, 2010). In cartografia per avere un’idea della risoluzione che deve avere il DTM in relazione alla scala della mappa, ed alla risoluzione della visualizzazione, viene usata la seguente equazione (1):

(1) R = S ÷D

dove: R = risoluzione del DTM (cm) S = fattore di scala dell’elaborato (cm) D = densità dei pixel (pixels/cm) (derivata da Kimerling, 2011)

La densità minima di pixel necessaria ad avere un’immagine omogenea e, quindi, dove non sia possibile distinguere le singole celle è convenzionalmente stabilita di 40 pixels/cm.

La risoluzione del DTM, soprattutto nella cartografia 3D, oltre ad influenzare la precisione e la chiarezza con cui viene rappresentata la morfologia è una variabile chiave poiché determina la potenza di calcolo necessaria, il tempo di elaborazione e la dimensione del file (Esri, 2016). La risoluzione ottimale del DTM dovrà essere quindi determinata in base alla precisione morfologica richiesta nell’elaborato, cercando però di mantenere il tempo di risposta del software ad un livello accettabile. Per questo motivo, nella modellazione del DTM, è sempre bene applicare il principio di minimizzazione delle geometrie.

Nel caso sia necessario diminuire la risoluzione del DTM originale è opportuno usare

9 La generalizzazione del DTM non è adatta per le mappe a grande scala poiché queste devono riprodurre più da vicino le nostre impressioni sull’aspetto reale del terreno.

un metodo di ricampionamento adeguato ai dati di tipo continuo (es. bilinear Interpolation o cubic convolution interpolation). Questi algoritmi, oltre a rimuovere le irregolarità locali del terreno, tendono però a levigare i crinali ed i margini delle valli. Per questo motivo l’uso di metodi di generalizzazione del DTM, specificatamente sviluppati per il calcolo dell’ombreggiatura dei rilievi è consigliato. A questo scopo Anna M. Leonowicz et al (2010) hanno sviluppato Terrain Sculptor10, un’applicazione che, grazie ad una successione di operazione raster, generalizza il DTM in modo da garantire una corretta visualizzazione delle caratteristiche morfologiche principali.

Un altro modo per ovviare all’arrotondamento dei crinali dovuto alla generalizzazione è quello di usare la tecnica del Resolution bumping (RS). Questa metodologia, sviluppata da Tom Patterson (2001a), consiste nel combinare un DTM a bassa risoluzione con un DTM ad alta risoluzione, al fine di preservare la leggibilità del primo ed i dettagli, che ci aspettiamo di trovare in un terreno montuoso, presenti nel secondo dato. L’aspetto del risultato finale dipende dalla risoluzione del DTM generalizzato e dalla percentuale di fusione con il DTM originale. Patterson (2001a) consiglia di ridurre la risoluzione del DTM al 10/20% rispetto alla risoluzione originale e di fonderli con un rapporto di 40:60 con il dato ad alta risoluzione. Inoltre, è bene sottolineare che, applicare questo effetto in mappe a piccola scala rappresentanti versanti ripidi va a generalizzare anche le già modeste variazioni presenti nelle aree pianeggianti. Per ovviare a questa eccessiva perdita di dettagli una soluzione è quella di applicare il RB solamente nelle aree montuose.

Bisogna tenere presente che DTM prodotto dal software Terrain Sculptor, o tramite la tecnica del RB, è un dato generalizzato, ma mantiene comunque la stessa risoluzione metrica del dato in input. Dato che, come è stato detto più volte, nella rappresentazione cartografica 3D la minimizzazione delle geometrie è fondamentale, a questo punto è necessario l’uso dei sopracitati algoritmi di ricampionamento.

Esagerazione verticale Nonostante un’esagerazione delle proporzioni orizzontali (coordinate x e y), del DTM, non sia consigliata, modificare i valori di altezza (coordinate z) enfatizza o attenua le differenze di quota, e contribuisce a rendere più chiare le caratteristiche del terreno (Häberling, 2004).

Nelle cartografie 3D l’esagerazione verticale è molto spesso necessaria per rappresentare il paesaggio in modo che si avvicini alle nostre aspettative antropocentriche (Patterson, 2000). Infatti, considerando che il punto di vista medio di un uomo si trova a circa 1,8 m sopra la superficie terrestre, anche un promontorio alto 100 m ci sembra significativo. Per determinare l’esagerazione verticale ottimale è necessario considerare la scala della mappa, il rilievo, le caratteristiche topografiche e la funzione prevista dell’elaborato.

Una maggiore esagerazione è solitamente necessaria per rendere più attraenti scene a piccola scala, con un punto di presa molto elevato e con un terreno avente delle variazioni altimetriche limitate. Viceversa, in viste a grande scala con un rilievo locale elevato l’esagera-

10 terraincartography.com/terrainsculptor

zione deve essere inferiore (Imhof, 1982). Infatti, un fattore di scala verticale troppo elevato distorce il territorio in maniera innaturale e tende ad enfatizzare le imperfezioni presenti nel DTM.

Scegliere il valore di esagerazione verticale è una decisione grafica che deve essere presa in modo che il paesaggio venga percepito più realistico possibile. Nella cartografia tradizionale l’esagerazione consigliata è tra il 100% e il 500% (Imhof, 1982). Mentre nelle viste cartografiche 3D il valore varia generalmente tra il 150% e il 200% del valore originale (Patterson, 1999), anche se in alcuni panorami di Berann l’esagerazione arriva anche al 400% (Patterson, 2000).

Tom Patterson (2016) fornisce una serie di linee guida sull’utilizzo dell’esagerazione verticale: (i) non ridurla mai al di sotto del 100%, (ii) quando siamo incerti meglio usare un valore più basso che più alto, (iii) non è necessaria in terreni molto alti e pendenti, (iv) è più richiesta in rappresentazioni a piccola scala rispetto a quelle a grande scala, (v) ha risultati migliori se applicata a DTM generalizzati e smussati, (vi) a parità di scala un terreno prevalentemente pianeggiante necessita di una maggiore esagerazione rispetto a un terreno montuoso, (vii) è utile per avvertire le persone della presenza di sentieri ripidi e altezze pericolose e (viii) non è la sola variabile che enfatizza la morfologia, infatti una modesta esagerazione combinata con dei punti di illuminazione, tinte ipsometriche o la copertura del terreno riescono a migliorare l’effetto tridimensionale.

Variabili progettuali e variabili grafiche di pianificazione

Nella seconda fase del processo di creazione della cartografia 3D entrano in gioco delle variabili che vanno a determinare alcune caratteristiche fondamentali degli elaborati. Infatti, nella fase di pianificazione si procede a stabilire le impostazioni delle variabili relative alla vista e di conseguenza l’estensione geografica ed il contenuto dell’elaborato.

Le variabili progettuali di pianificazione sono relative: (i) alla fotocamera, (ii) all’alterazione del DTM ed (iii) alla prospettiva (proiezione) (Tabella 3).

Variabili progettuali

Fotocamera PIANIFICAZIONE

Variabili grafiche Geometria interna Geometria esterna

Alterazione del DTM Generalizzazione Manipolazione dell’altimetria Filtraggio Pittura e sostituzione topografica Deformazione locale

Proiezione (prospettiva) Centrale Parallela Cilindrica Progressiva

Tabella 3: Variabili progettuali e variabili grafiche della fase di pianificazione

In questa fase il cartografo deve proporre al cliente alcune possibili scene realizzate impostando le suddette variabili in base alla propria esperienza. Le decisioni finali devono, tuttavia, essere prese di comune accordo con il cliente. L’obiettivo di questa fase è quella di definire una ragionevole, se possibile ottimale, vista del modello 3D in base alla disposizione degli elementi da rappresentare.

Fotocamera

Le mappe 3D rappresentano la superficie della terra come se fosse vista dal livello del terreno o da una posizione qualsiasi nel cielo. Il punto di presa, teoricamente, può essere situato in qualsiasi posizione e avere qualsiasi angolazione, sopra o sotto l’orizzonte11. Stabilire le impostazioni relative all’osservazione della scena è la prima decisione che deve essere presa nel procedere alla creazione dell’elaborato cartografico 3D (Patterson, 2018); poiché determinano quale porzione del modello del terreno sarà visibile nell’elaborato finale.

Le variabili riguardanti la vista della scena sono analoghe a quelle di una fotocamera e, si riferiscono alla geometria interna ed alla geometria esterna della fotocamera stessa (Häberling, 2003).

Geometria interna Per quanto riguarda le scelte riferite alla geometria interna della fotocamera devono essere valutate le impostazioni delle seguenti variabili: (i) formato dell’immagine, (ii) lunghezza focale, (iii) angolo di apertura e (iv) prospettiva. Formato dell’immagine Per prima cosa bisogna definire il formato dell’immagine, ovvero il rapporto tra la lunghezza e l’altezza dell’immagine. Tale proporzione, solitamente espressa con il formato x:y, descrive la forma dell’immagine. I formati dell’immagine più comuni sono: (i) 1:1, formato quadrato usato soprattutto per le fotografie stampate, negli schermi dei cellulari e nei social network, (ii) 3:2, rapporto tipico della fotografia e nei formati di stampa, (iii) 4:3, usato per i monitor delle televisioni, dei computer e delle fotocamere digitali, e (iv) 16:9, rapporto che ha una forma più allungata rispetto al precedente e viene usato sempre più spesso per gli schermi delle televisioni e dei computer.

Il tipo di formato deve essere scelto in base alla distribuzione spaziale dell’area d’interesse e quindi in base allo scopo dell’elaborato. Per questo motivo, i formati rettangolari possono essere orientati in modalità landscape o portrait.

Lunghezza focale La variabile fondamentale della geometria interna è la lunghezza focale, ovvero la distanza tra il centro dell’obiettivo della fotocamera ed il centro dell’immagine. Da questa misura dipende sia l’angolo di apertura sia la prospettiva.

11 Con un inclinazione a -90° rispetto all’orizzonte la cartografia 3D e quella tradizionale sarebbero molto simili e gli effetti prospettici verrebbero minimizzati, dato che la mappa presenterebbe tutte le informazioni su un piano di profondità costante (McCleary, 1991).

Angolo di apertura L’angolo di apertura indica l’ampiezza della scena che viene ripresa e viene usato per classificare gli obiettivi fotografici; più è lunga la lunghezza focale minore è la scena catturata (teleobiettivo) e più è corta la lunghezza focale e più ampia risulta la sezione di scena catturata (grandangolo)12 .

Le tre macroclassi fondamentali sono: (i) grandangolare, con una lunghezza focale minore di 35 mm ed un angolo di campo superiore a 54°, (ii) standard, aventi una lunghezza focale compresa tra 35 mm e 70 mm e il relativo angolo di campo compreso tra 54° e 28° e (iii) teleobiettivo, con lunghezza focale maggiore di 70 mm ed angolo di campo inferiore a 35° 13 .

Nelle applicazioni 3D, l’area di visibilità, è definita Field of View (FoV) e varia da 1 a 180°, ma può arrivare anche a 360° in immagini visualizzate tramite realtà virtuale (VR) (Patterson, 2005). Prospettiva La lunghezza focale determina anche la prospettiva di un’immagine; ritraendo uno stesso soggetto l’obiettivo grandangolare allunga la prospettiva (gli oggetti distanti risultano molto più piccoli) rispetto al teleobiettivo che la comprime (gli oggetti in primo piano e nello sfondo hanno una dimensione maggiormente simile). Questo accade perché nel primo caso la fotocamera deve essere più vicina ai soggetti in primo piano per riprenderli completamente, mentre nel secondo la fotocamera è più lontana dai soggetti e questo fa sì che le dimensioni relative nell’immagine finale siano più vicine alla realtà (Sony, 2013).

Rappresentare un’area ampia all’interno di uno spazio ristretto porta quindi ad aumentare le distorsioni. Infatti, se l’angolo dell’FoV è molto amplio le aree di sfondo diventano molto più piccole e più ci si allontana dall’asse centrale della vista e più gli oggetti si deformano. Viceversa, un teleobiettivo, avente quindi un FoV inferiore, porta una diminuzione dell’effetto prospettico dell’immagine, rendendola più ortogonale14. Questo ultimo tipo di obiettivo risulta il più indicato per le mappe 3D proprio perché, con le sue caratteristiche, riduce le distorsioni degli elementi cartografati e rende il modello più adatto ad essere rappresentato in un layout rettangolare15 (Patterson, 2018). Per compensare la diminuzione di prospettiva è possibile usare gli effetti atmosferici (vedi Effetti atmosferici e fenomeni naturali) (Patterson, 2005).

L’uso di un obiettivo grandangolare è preferibile qualora si voglia realizzare una rappresentazione di tipo block diagram o la mappa necessiti di poche etichette o elementi lineari (Patterson, 2018).

12 L’angolo di apertura è determinato sia dalla lunghezza focale sia dal formato del sensore della camera. Quindi data una certa lunghezza focale l’angolo di apertura sarà diverso a seconda del sensore scelto (Sony, 2013). 13 Gli angoli di campo indicati sono veri per una macchina fotografica analogica 35 mm e una digitale full-frame Digital Single-Lens Reflex (DSLR). 14 Il vantaggio delle viste ortogonali oblique è che le dimensioni degli oggetti di dimensioni simili in primo piano e sullo sfondo sono paragonabili (Patterson, 2005). 15 Tom Patterson (2018) consiglia di iniziare a impostare la scena con una lunghezza focale di 70 mm per poi modificarla successivamente a seconda della necessità.

Geometria esterna Le impostazioni relative alla geometria esterna della fotocamera determinano la posizione e l’orientamento con cui viene visto il modello 3D. Precisamente tali impostazioni si riferiscono a: (i) posizione della fotocamera, (ii) azimut di visualizzazione e (iii) inclinazione di visualizzazione.

Posizione della fotocamera La posizione della fotocamera è determinata da due coordinate piane, x e y, e dall’altezza, z (Häberling, 2003). Azimut di visualizzazione L’azimut di visualizzazione, o direzione di osservazione, è un parametro fondamentale nella rappresentazione 3D. Questo perchè differenza delle mappe tradizionali le mappe 3D sono meno flessibili durante la navigazione. Infatti, questi elaborati non possono essere ruotati in base alle diverse direzioni di osservazione occupate dal fruitore, ma hanno una direzione fissa.

Per questo motivo è consigliabile orientare la vista, delle mappe a grande scala, verso la direzione di percorrenza e, nel caso di cartellonistica, realizzare viste diverse a seconda della posizione che assumeranno (Patterson, 2005).

Per gli elaborati a piccola scala, invece, orientare l’osservazione verso nord è preferibile poichè gli utenti tendono ad avere meno familiarità con la geografia16 (Patterson, 2018). Tuttavia, ruotare la vista di circa 30° verso est o ovest può essere utile per rendere la scena molto più interessante.

In ogni caso, come afferma Tom Patterson (2018), è fondamentale tenere ben presente l’obiettivo della mappa così da posizionare le informazioni più importanti nella porzione alta del primo piano ed usare lo sfondo per fornire il contesto geografico e l’equilibrio grafico. Inoltre, è opportuno evitare che le viste dai promontori siano dirette verso la valle, poiché possono disorientare le persone. Inclinazione di visualizzazione L’inclinazione di visualizzazione, anche chiamata camera pitch, determina l’aspetto obliquo della scena ed è definita dall’angolo che si forma tra la direzione di osservazione ed il piano orizzontale.

Questo valore può variare da 90°, ovvero la fotocamera inquadra il cielo, a -90°, che rappresenta il terreno in modo simile alle mappe tradizionali, passando per 0°, vale a dire una fotocamera orizzontale. Generalmente un’inclinazione bassa, sia negativa che positiva, crea delle rappresentazioni più realistiche. Mentre angoli vicini a -90° creano scene che sono più adatte a rappresentare le relazioni spaziali e per assistere la navigazione (Patterson, 2005).

Cambiare l’inclinazione influenza anche l’estensione della porzione di terreno che viene visualizzata e la variazione della scala all’interno dell’elaborato. Per esempio, usare un pitch

16 Tuttavia per rappresentare meglio le caratteristiche morfologiche si può selezionare una direzione di osservazione diversa rispetto al nord.

molto basso porta un limitato cambio di scala tra gli elementi in primo piano e quelli di sfondo. Tuttavia, in questo modo, è molto probabile che gli elementi di primo piano coprano il resto della scena, situazione che potrebbe portare gli utenti ad avere problemi nel localizzare gli elementi (Häberling et al, 2008). Inoltre, il camera pitch influenza anche l’estensione geografica della scena che viene rappresentata, più è elevato il valore minore è la porzione del modello rappresentabile.

Häberling et al (2008) hanno identificato, a seguito di un sondaggio somministrato ad esperti nel settore della geoinformazione, che valori di inclinazione intorno a -45° sono preferibili.

Il cielo Le impostazioni della fotocamera giocano un ruolo fondamentale nella rappresentazione del cielo nella mappa 3D. Questo elemento ha la capacità di rendere la scena più affascinante e attraente, grazie alla tranquillità che infonde il colore blu. Tuttavia, per inserirlo, è necessario sacrificare molto spazio del layout e incrementare considerevolmente il tempo impiegato nella realizzazione del progetto (Patterson, 2016).

Basandosi sui dipinti realizzati da artisti come Heinrich C. Berann è consigliato che il cielo, quando presente, non occupi più di un terzo del layout17 (Patterson, 2000).

Alterazione del DTM

Per produrre elaborati cartografici 3D è spesso richiesta la manipolazione del 3igital Terrain Model (DTM). I DTMs contengono i dati relativi all’altimetria del terreno e sono la base digitale di tutte le visualizzazioni cartografiche 3D. L’alterazione del DTM può, infatti, migliorare l’aspetto e la leggibilità della topografia nelle mappe 3D (Patterson, 2001).

A differenza della propensione che i cartografi e gli specialisti GIS hanno nel modificare i dati vettoriali per produrre mappe di tipo tradizionale, molto poco spesso editano i DTMs. Secondo Tom Patterson (2001) il fatto che i DTMs vengano modificati solamente quando il dato ha degli artefatti di produzione (es. il gridding18) può essere ricondotto alle seguenti cause: (i) la persistente convinzione che i DTM, come i paesaggi che rappresentano, siano immutabili, (ii) l’attenzione nel mantenere integri i dati creati da altri tecnici, (iii) la scarsa familiarità con le applicazioni e le tecniche necessarie e (iv) la limitata conoscenza del concetto stesso di manipolazione dei DTMs. L’autore, tuttavia, individua una serie di motivi per cui la manipolazione dei DTMs risulta fondamentale: (i) come i dati vettoriali anche i DTMs devono essere generalizzati per rimanere leggibili ad una scala più piccola, (ii) piccoli elementi topografici, la cui importanza è sproporzionata rispetto alla loro dimensione, possono essere valorizzati utilizzando un esagerazione verticale selettiva e (iii) modificare la morfologia topografica del DTM permette di descrivere il paesaggio in fasi precedenti o successive

17 Nelle rappresentazioni oblique del NPS il cielo occupa circa il 20% / 30% dell’area visibile totale (Patterson, 2000). 18 Il gridding è prodotto dalla discontinuità tra le patch dei DTM adiacenti (vedi Oimoen, 2000; Siddiqui, 2011).

allo stato attuale.

La manipolazione del DTM è un lavoro altamente specializzato che richiede una conoscenza approfondita del paesaggio, dei processi geomorfologici, della visualizzazione 3D e dei software necessari. Le tecniche di manipolazione usate sono identificabili in: (i) generalizzazione, (ii) manipolazione dell’altimetria, (iii) filtraggio e (iv) pittura e sostituzione topografica. Esistono diverse possibilità che permettono di realizzare queste tecniche, sia tramite software di grafica digitale sia con software di modellazione 3D.

Generalizzazione del DTM La generalizzazione del 3TM, nella fase attuale del processo di realizzazione della cartografia 3D, non viene applicata in modo uniforme a tutto il modello digitale. La generalizzazione può, infatti, variare: (i) orizzontalmente, (ii) verticalmente e (iii) localmente. In tutti e tre i casi oltre ad aggiungere delle proprietà alla scena, la generalizzazione, a seconda della tecnica con la quale viene realizzata, può diminuire il tempo di rendering; un fattore importante nella creazione delle mappe oblique (Moore, 1999). Generalizzazione orizzontale Nel caso della generalizzazione orizzontale, il livello di semplificazione del DTM aumenta gradualmente dal primo piano verso lo sfondo. Questa accortezza è necessaria poichè, come negli elaborati cartografici tradizionali, la risoluzione del DTM è correlata alla scala di rappresentazione. Dal momento in cui, nelle mappe 3D, la scala varia in maniera continua con l’allontanarsi dal punto di presa è opportuno generalizzare il DTM in funzione al Level of 3etail relativo alla porzione della scena (vedi Variabili progettuali e variabili grafiche di simbolizzazione).

Non adottare una generalizzazione progressiva nella scena, soprattutto se a media o piccola scala, porta alla formazione di un disturbo nelle aree di sfondo che non permette la comprensione delle macro-forme morfologiche (Jenny et al, 2011). Inoltre, con questa accortezza, si aumenta l’illusione ottica di profondità nella scena 3D (Patterson, 2001a). La generalizzazione progressiva orizzontale si può ottenere anche con software sviluppati ad hoc per questo scopo, come Terrain Equalizer19 . Generalizzazione verticale La generalizzazione verticale viene, a differenza della precedente, applicata sull’asse verticale del DTM. Questa metodologia si basa sulla tecnica della Aerial perspective teorizzata da Eduard Imhof (1982), secondo cui: aumentare il contrasto delle forme del terreno nelle aree più elevate accentua l’effetto tridimensionale. Questo perché, nella cartografia tradizionale, le porzioni di terreno poste a quota maggiore sono teoricamente più vicine all’osservatore, e quindi necessitano di più dettagli, rispetto alle aree a quota minore20 .

19 terraincartography.com/terrainequalizer/ 20 Patterson (2001b) illustra come ottenere questa generalizzazione con i software di grafica digitale, mentre Jenny & Patterson (2020) spiegano come realizzarla con gli strumenti di calcolo presenti nei software GIS.

Generalizzazione locale Infine, adottare una generalizzazione locale, e quindi, lasciare invariata la risoluzione del DTM in corrispondenza di importanti elementi topografici, e diminuirla nel resto del DTM, aiuta a direzionare l’attenzione dell’osservatore verso specifiche aree della scena.

Manipolazione dell’altimetria La manipolazione dell’altimetria consiste nell’alzare o nell’abbassare la superficie del modello del terreno. Applicare questa tecnica a specifiche aree del terreno, come una montagna sulla quale è presente un impianto sciistico, permette di esagernarne l’altezza rispetto alle aree circostanti, e quindi di rappresentarla in modo più attraente (Patterson, 2001). In maniera opposta è possibile abbassare porzioni del DTM in primo piano che oscurano la porzione di scena in sfondo (Patterson, 2016).

Estremizzando la manipolazione dell’altimetria, si può rimuovere porzioni del terreno, permettendo la realizzazione di sezioni in modo da mostrare gli elementi posti sotto al piano di campagna.

Filtraggio La terza tecnica di manipolazione del DTM è il filtraggio che può essere usata per: (i) editare l’andamento del terreno o (ii) creare texture della copertura del suolo.

Nel primo caso le informazioni relative all’altimetria, contenute nei pixel del DTM, vengono filtrate in modo da rimuovere i dettagli. Tale risultato si può ricavare attraverso il filtro Gaussian Blur (Patterson, 2001a). L’ampiezza del filtro controlla il livello di filtraggio: un raggio piccolo produce un DTM smussato mentre un raggio maggiore, o un’applicazione ripetuta dello strumento appiattisce il DTM ad una quota media tra il punto più alto e quello più basso della sezione del DTM a cui viene applicato. Questo può essere utile per livellare le aree intorno agli edifici posti su un pendio o per creare una sezione stradale pianeggiante rimuovendo il terreno di sterro e aggiungendo quello di riporto.

Appiattire il DTM, per esempio, può anche risultare fondamentale quando il modello del terreno non rappresenta il percorso attuale del letto del fiume. In questo caso, per aggiornare il percorso del corso d’acqua, applicare il filtro Gaussian Blur con un raggio maggiore rende perfettamente piano il letto del fiume.

D’altrocanto l’uso dei filtri, prevalentemente quelli presenti nei software per l’elaborazione grafica delle immagini digitali, permette di riprodurre sul DTM le texture che le coperture del suolo creano nel paesaggio21 .

Pittura e sostituzione topografica Il DTM può anche essere manipolato attraverso le tecniche di pittura e di sostituzione topografica.

La prima consiste nel disegnare sopra il DTM con gli strumenti per la pittura, presenti

21 Per esempio, l’uso del filtro Median o Gaussian Blur applicato in aggiunta ad un Noise Filter crea un effetto simile a quello di una foresta vista dall’alto o un lieve livello di Noise FIlter simula la lava di tipo AA (Patterson, 2001a).

in quasi tutti i software di grafica 2D o 3D. Dato che questi strumenti simulano le tecniche di disegno, per applicarli sono necessarie delle competenze manuali simili a quelle per le illustrazioni tradizionali. Inoltre, disegnare sul DTM può risultare complesso poiché è difficile immaginare l’aspetto che il dato 2D, in scala di grigi, avrà nella visualizzazione 3D22 . Questo tipo di tecnica può essere utile per ricostruire, o simulare, i fenomeni geomorfologici (Patterson, 2001a).

La sostituzione topografica è invece una soluzione più semplice che prende spunto dal modo in cui nei libri di geomorfologia si descrivono ipotetici paesaggi passati e futuri: facendo riferimento a paesaggi attuali analoghi (Patterson, 2001a). Con la sostituzione topografica si vanno a rappresentare i fenomeni geomorfologici clonando porzioni di topografia da un DTM ad un altro23. In questo modo, una volta scelto un DTM di origine appropriato, la rappresentazione sarà più semplice e realistica della tecnica precedentemente descritta.

Deformazione locale del terreno Un’ulteriore deformazione fondamentale per le rappresentazioni oblique è la deformazione locale del terreno. Come abbiamo già visto le viste prospettiche hanno delle limitazioni che, secondo Helen Jenny et al (2011), si possono identificare in: (i) occlusione, dovuta alla parziale o totale copertura degli oggetti di sfondo da parte degli oggetti di primo piano, (ii) prospettiva, a seconda del tipo di prospettiva usata gli elementi cartografici nello sfondo possono risultare irriconoscibili, e (iii) orientamento della vista, per quanto possa essere scelto in maniera accurata il punto di presa ci saranno sempre dei landmarks che non saranno rappresentati in modo chiaro o risultano nascosti.

Per far fronte a questi problemi gli artisti hanno sviluppato nel tempo la tecnica della deformazione locale degli elementi cartografici (Patterson, 2000; Jenny, 2011). L’inconveniente legato all’occlusione è rilevante soprattutto nelle mappe turistiche (es. legate all’escursionismo o allo sci), dove parti dei percorsi, importanti landmarks e infrastrutture turistiche possono essere coperte da montagne o boschi. Questo porta gli utenti ad avere evidenti problemi legati alla pianificazione dell’escursione e all’orientamento. Gli artisti hanno perciò iniziato a spostare le montagne, allargare i fondivalle, raddrizzare le anse dei fiumi, ingrandire i punti di riferimento e livellare il terreno.

L’effetto della prospettiva, soprattutto di quella centrale, può rendere irriconoscibile landmarks, percorsi o infrastrutture turistiche posti nello sfondo dell’elaborato. Diminuire la dimensione di importanti catene montuose, anche se non in primo piano, ha effetti sia sull’estetica sia sulla facilità di lettura della mappa 3D (Jenny et al, 2011). Per compensare questi problemi i pittori impegnati nella rappresentazione panoramica ingrandiscono elementi del paesaggio che altrimenti riceverebbero troppa poca attenzione dall’osservatore.

22 Un problema che emerge nell’ usare software di grafica per la manipolazione del DTM è che tali applicazioni non offrono una modalità di anteprima What You See Is What You Get (WYSIWYG). 23 All’interno dei software di grafica digitale tale manipolazione può essere realizzata con lo strumento Clone Stamp, andando poi a sperimentare la modalità di fusione ottimale tra i due DTM (Patterson, 2001a).

Infine, la selezione del punto di presa porta inevitabilmente a mostrare il lato meno suggestivo o familiare, di importanti sezioni del paesaggio. Per questo motivo i pittori tendono a ruotare gli elementi del paesaggio per ritrarre il lato più conosciuto o informativo.

L’uso di queste tecniche, nonostante non facciano parte degli standard cartografici tradizionali, è spesso necessario nelle rappresentazioni cartografiche 3D (Patterson, 2000). Le deformazioni devono però risultare necessariamente plausibili, estetiche e corrispondere a ciò che l’utente si aspetta di vedere (Jenny et al, 2011).

L’Institute of Cartography del Politecnico Federale di Zurigo (ETH Zurich), ha sviluppato delle funzionalità, all’interno del software open-source Terrain Bender24, che permettono di muovere orizzontalmente, ruotare e scalare elementi elementi del paesaggio (Jenny et al, 2010; 2011). Tuttavia, queste funzionalità non sono ancora presenti nelle versione pubblica del software (Jenny, 2020).

Proiezione (prospettiva)

La scelta del tipo di proiezione, o prospettiva, determina il modo in cui il modello 3D viene proiettato sul piano. La rappresentazione cartografica obliqua prevede metodi di proiezione che non sono correlati alle comuni proiezioni usate nella cartografia tradizionale (es. Mercatore e Gall-Peters). Viene piuttosto adottato il concetto della proiezione dei raggi di luce (Jenny & Patterson, 2007).

Il processo di trasferire il terreno 3D su un’immagine 2D è medesimo sia per le tradizionali tecniche di produzione analogica che per i moderni sistemi di rendering presenti nei computer (Jenny, 2004). Entrambi utilizzano i raggi di luce che partono dal punto di presa (l’occhio del pittore o la fotocamera) con una direzione ben definita. Ogni raggio interseca il piano di proiezione - situato tra il punto di presa e il terreno, e generalmente perpendicolare alla linea di vista centrale - in un punto A’ e il terreno in un punto A. Procedendo nell’unione di più punti del paesaggio sulla tela si va a creare la vista obliqua (Figura 1.4.4). A questo punto il pittore procede nel colorare l’area intorno al punto A’ con un colore simile a quello percepito nel punto A. Analogamente, attraverso la tecnica di ray-tracing, l’algoritmo del render dirige i raggi di luce simulati nella scena e assegna il colore al pixel nel punto A’ sulla base del colore che assume il punto A. Tale colore è determinato dall’interazione tra i raggi Figura 1.4.4: Creazione di una rappresentazione di luce e le varie proprietà assegnate agli 2D dal paesaggio reale tramite la proiezione prospettica centrale (Imhof, 1963) oggetti (es. trasparenza e riflettività).

24 terraincartography.com/terrainbender/

Nella produzione delle viste oblique dello spazio geografico vengono usate principalmente quattro proiezioni: (i) centrale, (ii) parallela, (iii) cilindrica e (iv) progressiva. La scelta del tipo di proiezione da utilizzare deve essere presa a seconda dello scopo della mappa e dell’area che si deve rappresentare. Infatti, come vedremo in seguito, ciascuna proiezione è in grado di mostrare in modo più chiaro ed efficace diverse caratteristiche del terreno. In questa fase il cartografo deve quindi scegliere se redigere l’elaborato in modo che sia più pratico o risulti più realistico (Jenks & Brown, 1966).

Proiezione prospettica centrale La proiezione prospettica centrale corrisponde al modo in cui l’occhio umano avverte il mondo e per questo tendiamo a percepire le rappresentazioni che adottano questo tipo di proiezione come maggiormente realistiche.

In questo caso le linee di vista che si estendono dallo spettatore verso la profondità della scena convergono verso un punto di fuga centrale, posto ad una distanza finita, mentre le linee perpendicolari alla direzione di vista rimangono parallele.

Questa costruzione fa sì che la scala varia in modo continuo, sia orizzontalmente che verticalmente, in tutta la superficie della mappa. Per questo motivo le misurazioni nell’elaborato possono essere svolte solo in modo approssimativo usando dei punti di riferimento presenti nella scena.

Con la proiezione prospettica centrale si creano, quindi, elevate distorsioni geometriche degli oggetti della scena, portando gli elementi distanti ad essere più piccoli rispetto agli oggetti vicini (Jobst & Dollner, 2008). Queste distorsioni aumentano con l’aumentare della distanza dal centro dell’immagine (Figura 1.4.5). Nonostante queste distorsioni nella produzione di elaborati cartografici 3D, realizzati attraverso l’ausilio di software di grafica, viene utilizzata quasi sempre questo tipo di proiezione.

Proiezione parallela Nella proiezione parallela, invece, il punto di fuga si trova ad una distanza infinita e le linee di vista non convergono ma rimangono parallele. In questo modo gli oggetti mantengono le stesse dimensioni indipendentemente dalla loro distanza dal punto di presa.

Le proiezioni parallele si dividono a loro volta tra (i) ortografiche e (ii) parallele oblique, a seconda dell’angolo che si forma tra le linee di vista ed il piano di proiezione. Nel primo caso si forma un angolo retto ed è il tipo di proiezione che viene usata nella cartografia tradizionale. Nelle proiezioni

Figura 1.4.5: Distorsioni di un cubo in funzione della distanza dal centro dell’immagine utilizzando la proiezione prospettica centrale (Terribilini, 2001)

parallele oblique, usate per le viste oblique del terreno, le linee di vista restano parallele ma non sono perpendicolari al piano. Tale inclinazione può essere prodotta (i) dall’inclinazione del piano di proiezione o (ii) dalla posizione del piano di proiezione rispetto al modello 3D (Figura 1.4.6).

Nel primo caso il piano viene inclinato in modo da formare un angolo minore di 90° con le linee di vista.

Nel secondo caso, invece, il piano resta parallelo alla base del modello ma viene traslato in modo da non essere più centrato rispetto all’area da rappresentare. Questo tipo di proiezione parallela porta alla realizzazione del Plan oblique relief (POR), una tecnica sviluppata recentemente per rappresentare il terreno in modo tridimensionale25 (Jenny, 2006). Senza inclinare il piano di proiezione si eliminano gli effetti della prospettiva, permettendo la misurazione delle distanze che intercorre tra punti posti alla stessa quota. Il miglior uso del POR è per rappresentazioni cartografiche a piccola scala, specialmente quando sono presenti rilievi isolati (Jenny & Patterson, 2007).

A prescindere da cosa sia causata l’inclinazione delle linee di vista, in tutte le viste oblique aventi una proiezione parallela, la scala della scena rimane costante lungo ogni linea parallela, sia che questa sia orientata orizzontalmente che verticalmente (Jenks & Brown, 1966). Questo permette il confronto delle dimensioni di alcuni elementi presenti nella scena e la misurazione delle distanze direttamente dell’immagine. A causa del suo carattere isometrico però, questa proiezione, dà l’impressione di inarcarsi verso l’alto sullo sfondo e va in contrasto con il sistema cognitivo umano (Jobst & Dollner, 2008).

Proiezione cilindrica Un’altra proiezione usata nella produzione delle viste oblique è quella cilindrica. La proiezione cilindrica va a generare dei panorami a 360° proiettando il paesaggio circostante su un cilindro verticale virtuale e poi srotolando il cilindro, in modo da generare un’immagine piana. Solitamente il punto di fuga viene situato al centro dell’estensione verticale della sezione del terreno, in modo da ridurre al minimo le distorsioni nei punti più bassi e più alti dell’immagine. Questo tipo di proiezione viene usata spesso per fornire informazioni relative allo scenario che si gode dalla cima di una montagna.

Figura 1.4.6: Tipologie di proiezioni parallele

25 Per vedere una rappresentazione interattiva del POR visitare la web map: cartography. oregonstate.edu/tiles/PlanObliqueEurope/

Proiezione progressiva La proiezione progressiva è una tecnica di costruzione proiettiva molto comune nei panorami cartografici dipinti a mano e ciascuna delle suddette proiezioni può essere modificata in modo da acquisire questa caratteristica. Una visione progressiva riproduce il modo in cui i passeggeri di un aereo percepiscono il paesaggio. Con questa tecnica il primo piano della scena viene raffigurato come se venisse guardato da un punto di vista alto, simile ad una mappa tradizionale, mentre lo sfondo è rappresentato come se fosse visto da un punto di vista più basso (Jenny et al, 2010). In questo modo viene meno il bisogno di trovare un compromesso, spesso insoddisfacente, tra la visualizzazione ottimale del primo piano e la migliore visualizzazione dello sfondo.

Non esistono delle formule esatte per la costruzione della proiezione prospettica poiché la griglia di costruzione e il grado di distorsione necessitano di essere adattate al paesaggio oggetto della rappresentazione.

Mentre nella proiezione prospettica centrale lo sfondo della mappa 3D viene tagliato quando termina il modello, la proiezione progressiva dà l’impressione di rappresentare un orizzonte reale. In questo modo riesce a trasmettere meglio la morfologia del terreno, focalizzare l’attenzione dell’utente, guadagnare profondità di visualizzazione dell’immagine e ridurre le occlusioni. L’area di primo piano e l’area centrale della scena (dove solitamente si trovano le informazioni principali) risultano simili ad una mappa tradizionale mentre gli elementi sullo sfondo vengono visti frontalmente, permettendo quindi l’inserimento dell’orizzonte e del cielo in modo da rendere la vista più realistica26 (Patterson, 2001).

Questa tecnica porta anche dei vantaggi in termini di utilizzo dei pixel dell’immagine per trasferire le informazioni. Infatti, quando il contenuto del pixel non può essere riferito ad uno specifico elemento, o al contenuto complessivo della visualizzazione, a causa della quantità limitata di pixel usati si parla di 3ead ialues (DV). Dato che la proiezione progressiva riduce l’infinito numero di scale presenti nella scena ad alcuni classi, si riduce anche il numero di DV e quindi si ottimizza l’uso dei pixel per trasmettere le informazioni (Jobst & Dollner, 2008). La costruzione digitale della proiezione progressiva può essere ricavata con due metodi distinti: (i) modificando la proiezione della camera e (ii) deformando il modello 3D.

Il primo metodo si realizza a sua volta tramite due tecniche: (i) la curvatura delle linee di vista e (ii) l’interpolazione delle fotocamere. Per creare una proiezione progressiva curvando le linee di vista (o di proiezione) queste vengono piegate verso il basso nell’area di primo piano, creando un angolo di vista elevato, e verso l’alto sullo sfondo, ottenendo un angolo di vista minore (Figura 1.4.7).

L’approccio dell’interpolazione delle fotocamere, invece, consiste nell’uso di due fotocamere. La prima che va a rappresentare il primo piano della vista, mentre la seconda fotocamera cattura lo sfondo. Le aree centrali dell’immagine vengono riprese usando una terza

26 Specialmente per le applicazioni volte alla navigazione viene preferito mantenere la vista del primo piano della scena in modo prospettico e rappresentare lo sfondo quasi ortogonalmente. In questo modo vengono rappresentate più informazioni relativi al contesto di navigazione migliorando la stima della distanza (vedi Pasewaldt et al, 2012; 2014).

fotocamera avente dei parametri intermedi rispetto alle due telecamere principali (Figura 1.4.8). Entrambi i metodi appartenenti a questo gruppo non vanno a modificare la geometria del modello 3D del terreno, tuttavia risulta difficile per il cartografo avere un controllo sufficiente nella progettazione della proiezione progressiva (Jenny et al, 2010). L’approccio della curvatura del terreno fa invece parte del secondo gruppo. In Figura 1.4.7: Proiezione progressiva tramite la questo caso la proiezione progressiva si curvatura delle linee di vista (elaborazione da Jenny et al, 2010) realizza andando a deformare la superficie del modello in due modi: (i) piegando l’area in primo piano e applicando un angolo di presa basso o (ii) piegando l’area di sfondo e applicando un angolo di presa più elevato.

I metodi per realizzare queste deformazioni sono diversi. Tom Patterson (2001), per esempio, descrive una tecnica che prevede di importare il DTM all’interno di Photoshop e di fonderlo con una sfumatura in scala di grigi per creare una curvatura convessa. Questa sfumatura dovrà essere: perpendicolare alla direzione di visualizzazione del modello 3D, di colore bianco nell’area che si vuole elevare e nera, o trasparente, nella parte inferiore e superiore. Visto che i dati altimetrici presenti nel DTM vengono rappresentati come una variazione di tonalità tra il colore nero, aree più vicine al livello del mare, ed il bianco, aree più elevate, la tecnica sopra descritta porterà ad elevare progressivamente l’area dove è maggiormente presente la sfumatura bianca27. L’utilizzo di questa tecnica non permette però di impostare l’esagerazione verticale della topografia in modo indipendente. Infatti, aumentando l’esagerazione di un DEM convesso si enfatizza ancora di più l’inclinazione della superficie del modello. Per questo motivo trovare la giusta intensità della sfumatura necessità di numerose

Figura 1.4.8: Proiezione progressiva tramite l’interpolazione delle fotocamere (elaborazione da Jenny et al, 2010)

27 Combinando il DTM con una sfumatura a forma di arco convesso che si inclina verso l’osservatore si crea una superficie topografica a cupola (Patterson, 2001).

prove (Patterson, 2001).

Sulla base del metodo sviluppato da Patterson l’Institute of Cartography del Politecnico Federale di Zurigo (ETH Zurich), ha sviluppato Terrain Bender, un software open-source per la creazione di viste progressive (Jenny et al, 2010). Con l’ausilio di questo software gli utenti possono controllare il grado di curvatura ed esaminare l’anteprima del terreno deformato. L’utente può scegliere se applicare la vista progressiva a una proiezione: prospettica centrale, parallela o cilindrica. Inoltre, Terrain Bender altera solamente i valori della quota mentre le coordinate x e y del DTM restano georeferenziate, permettendo così di applicare dati spazialmente riferiti al modello.

Variabili progettuali e variabili grafiche di modellazione degli elementi cartografici

Una volta raccolti i dati geografici necessari a completare l’elaborato cartografico i dati vengono caricati nel software 3D per essere modellati. Si va quindi a creare il modello 3D di base, posizionando sul modello 3D del terreno due tipi di elementi: (i) gli oggetti da inserire nella mappa e (ii) gli oggetti volti ad assistere gli utenti finali nell’estrazione delle informazioni georiferite dalla mappa.

Sulla base di questi due elementi, Christian Häberling (2003), individua altrettante variabili progettuali di modellazione, relative alla: (i) modellazione degli oggetti rappresentati e (ii) modellazione degli oggetti di orientamento. Ognuna composta da una serie di variabili grafiche di modellazione (Tabella 4).

MODELLAZIONE DEGLI ELEMENTI CARTOGRAFICI Variabili progettuali Variabili grafiche

Oggetti rappresentati Dati vettoriali Dati raster

Oggetti di orientamento Etichette Coordinate Freccia del nord Barra di scala

Tabella 4: Variabili progettuali e variabili grafiche della fase di modellazione degli elementi cartografici

Modellazione degli oggetti rappresentati

La prima variabile che entra in gioco in questa fase di progettazione della cartografia 3D riguarda la modellazione degli oggetti rappresentati. Ciascuno di questi geodati viene collocato sul DTM e può avere un formato di tipo vettoriale o raster.

Dati vettoriali I dati di tipo vettoriale si differenziano in base alla loro dimensionalità in: (i) puntiformi, oggetto a dimensione zero che specifica la posizione dell’oggetto, (ii) lineari, oggetto monodimensionale che indica il tracciato, (iii) areali, oggetto bidimensionale che definisce l’estensione di un elemento, o (iv) volumetriche, ha carattere tridimensionale e definisce il volume di un oggetto.

Dati raster Le informazioni contenute in un file raster (es. il DTM) invece sono distribuite su una struttura regolare di pixel. Questi dati risultano adatti a rappresentare delle informazioni che variano continuamente nello spazio (es. copertura del suolo) e spesso vengono usati anche come texture.

Modellazione degli oggetti di orientamento

L’ultima variabile grafica che completa il modello 3D è quella legata agli oggetti d’orientamento. Ovvero quegli elementi che aiutano l’utente ad individuare la geolocalizzazione degli oggetti cartografati.

Gli oggetti di orientamento si dividono nei seguenti gruppi: (i) etichette, volte a denominare gli elementi della mappa, richiedono almeno un vettore di posizione a cui sono allegate le informazioni in formato testo, (ii) dettagli della posizione, indicano le coordinate direttamente nel modello attraverso informazioni puntuali o grazie al reticolato geografico28, (iii) freccia del nord, è necessario inserirla quando la mappa non è orientata verso nord o quando la mappa viene usata per funzioni dove la determinazione della direzione è cruciale (es. navigazione ed escursionismo) e (iv) scala, serve per facilitare la stima della distanza29 .

Gli oggetti di orientamento da inserire nel modello vengono scelti in questa prima fase e, come gli altri elementi cartografici, sono simboleggiati nella fase successiva. Tuttavia, è possibile inserirli anche nella fase di visualizzazione con l’ausilio di software di grafica digitale (vedi Accorgimenti di finitura).

Variabili progettuali e variabili grafiche di simbolizzazione

Le variabili di simbolizzazione sono le impostazioni che determinano l’aspetto dei geodati presenti nel modello 3D. Ad ognuno di questi elementi viene applicato un simbolo appropriato, precedentemente stabilito in una apposita legenda.

Nella cartografia 3D i geodati risultano più o meno vicini al punto di presa, in base alle scelte precedentemente fatte nella fase di pianificazione della scena (es. fotocamera e tipo di prospettiva), e quindi hanno un impatto visivo diverso (Donati Sarti, 2021).

A seconda della loro posizione spaziale, durante questa fase, è necessario applicare il concetto di Leiel of 3etail (LoD) cioè il grado di corrispondenza tra l’aspetto dell’oggetto rappresentato e l’aspetto dell’oggetto nel mondo reale (Biljecki et al, 2014). Questo grado di fedeltà dipende dalla distanza che intercorre tra l’oggetto ed il punto di presa, e quindi dalla scala dell’elaborato.

Mentre nella cartografia tradizionale le mappe possono essere a grande, media e piccola scala - in base al rapporto di scala che viene adottato - nella cartografia 3D tale classificazio-

28 Il reticolato geografico aiuta il fruitore della mappa a interpretare la dimensione dell’area rappresentata ma anche ad interpretare il grado di distorsione dell’elaborato (Robinson, 1985). 29 Dato che negli elaborati cartografici 3D la scala varia in maniera continua l’uso delle barre di scala può essere valida solo per una determinata area dell’elaborato. Per questo motivo è consigliato l’uso di più barre di scala o del reticolato geografico.

Variabili progettuali

Aspetti grafici SIMBOLIZZAZIONE

Variabili grafiche

Forma Dimensione Colore Suddivisione della superficie Rugosità Trasparenza Proprietà dei materiali Texture

Aspetti grafici speciali Distribuzione degli oggetti Posizione degli oggetti

Testo Tipologia Dimensione Colore Posizionamento Direzione Spaziatura Effetti

Tabella 5: Variabili progettuali e variabili grafiche della fase di simbolizzazione

Figura 1.4.9: Esempio di scaglionatura della scena (Terribilini, 2001)

Figura 1.4.10: Cambio di simbologia di uno stessto elemento cartografico in base alla distanza dal punto di presa (Petrovic, 2003)

ne varia a seconda dell’estensione del territorio visualizzato nella scena (Bandrova & Bonchev, 2013). Inoltre, dato che in una mappa 3D esistono infinite scale, è necessario usare più simboli per rappresentare una stessa classe di elementi cartografati, a seconda della posizione che assumono nell’elaborato. Si va quindi a scaglionare la scena, cioè stabilire un numero intervalli discreti e prevedere per ogni oggetto un set di simboli diversi, a seconda dell’intervallo in cui ricade (Figura 1.4.9). I simboli usati per rappresentare oggetti vicini all’osservatore sono più realistici, dettagliati e luminosi, mentre con l’aumento della distanza, essi, diventano sempre più semplici, scuri, geometrici e meno dettagliati (1.4.10) (Petrovic, 2003). L’Open Geospatial Consortium (OGC) propone cinque LoDs per la costruzione dei modelli 3D delle città. Questi variano tra il LoD0, dove gli edifici vengono rappresentati nella loro proiezione a terra, al LoD4, nel quale si arriva a rappresentare la disposizione interna delle stanze negli edifici (OGC, 2012). Tuttavia, nella cartografia 3D viene solitamente adoperato un numero di classi variabile tra tre e quattro.

Queste identificano i seguenti piani prospettici: (i) l’area di primo piano, (ii) l’area centrale e (iii) l’area di sfondo (Terribilini, 2001; Häberling, 2002; Petrovic, 2003).

L’estensione di questi piani si può determinare in base alla quota ed al pitch che assume la fotocamera al momento del render (Capitanio et al, 2015). A parità di inclinazione di visualizzazione (pitch), maggiore è la quota e maggiore sarà la profondità dell’area di primo piano, dell’area centrale e dell’area di sfondo. A parità di quota del punto di presa, invece, maggiore è il valore di pitch e maggiore risulta sia l’effetto prospettico sia la variazione di scala tra il primo piano e lo sfondo.

Sulla base della letteratura scientifica si possono adottare le seguenti descrizioni delle classi di LoD per la cartografia 3D: (i) il LoD0 rappresenta le classi di uso e copertura del suolo (LULC) con la loro proiezione a terra, attraverso texture prive di molti dettagli e gli elementi puntuali fondamentali per l’orientamento vengono rappresentati con simboli semplici, (ii) il LoD1 ritrae le classi relative al LULC estruse di un valore stimato in base alle proprie dimensioni medie e gli edifici aggregati ed estrusi per un valore pari alla loro altezza media, infine (iii) il LoD2 va a raffigurare il LULC con simboli simili alla realtà, gli edifici non sono generalizzati e possono avere anche i dettagli delle facciate e della tipologia di copertura. Quest’ultima classe viene usata per l’area di primo piano, il LoD1 per l’area centrale mentre il LoD0 per l’area di sfondo.

In alcuni casi, per facilitare l’orientamento degli utenti, è consigliato rappresentare i landmarks con le caratteristiche del LoD2, esagerando le dimensioni rispetto realtà, in modo da facilitare la visibilità, anche se ricadono in aree più lontane del primo piano30. Il LoD utilizzato deve anche essere relazionato allo scopo dell’elaborato cartografico; se stiamo realizzando una mappa per un parco risulta consono usare un LoD più alto per le aree all’interno del parco stesso e più basso all’esterno (Patterson, 2005).

La tecnica del LoD permette di ridurre la complessità della scena e quindi influenza significativamente la velocità di visualizzazione e di rendering dell’elaborato; per questo motivo il livello di dettaglio adottato deve essere direttamente correlato alla velocità di elaborazione del computer (Häberling, 2002).

Concluso il processo di simbolizzazione il modello 3, precedentemente creato, diventa un modello cartografico 331. Häberling (2003) distingue tre variabili progettuali di simbolizzazione: (i) aspetti grafici, (ii) aspetti grafici speciali e (iii) elementi testuali (Tabella 5).

Una volta completato il processo di simbolizzazione è opportuno verificare come sono rappresentati gli oggetti spaziali nell’elaborato. Infatti, la topografia dell’area di interesse, la posizione spaziale in cui ricadono gli oggetti, la proiezione scelta, il punto di presa e la simbolizzazione adottata vanno a determinare la visibilità e la distorsione degli oggetti sulla mappa. Per questo è necessario considerare se gli oggetti della mappa sono visibili e ricono-

30 In generale i dettagli attraggono l’attenzione degli osservatori e informano, inconsciamente, quest’ultimi che si tratta di luoghi degni di nota (Patterson, 2005). 31 Tuttavia, è fondamentale tenere in considerazione che l’aspetto degli oggetti nell’elaborato finale è fortemente influenzato dagli aspetti progettuali di visualizzazione.

scibili e, in caso contrario, stabilire se, e come, devono essere rappresentati.

Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione in questa fase è la densità dell’immagine, ovvero il rapporto tra l’area dell’immagine occupata dagli oggetti cartografici simbolizzati e l’area del terreno visibile32 (Häberling, 2003). Più questo indice risulta alto e meno superficie del terreno risulterà visibile nella carta. Se la scena appare troppo coperta da simboli è necessario procedere con l’omissione di alcuni oggetti o classi di oggetti. Per attuare questa forma di generalizzazione bisogna prima determinare le caratteristiche minime di visualizzazione (es. corsi d’acqua principali, aree boschive con più di una certa estensione o insediamenti in primo piano) e poi andare a effettuare una selezione automatica, o semi-automatica, degli oggetti da escludere nella banca dati di base. In alcuni casi può risultare ottimale concludere il processo di simbolizzazione di alcuni elementi cartografici all’interno di software di grafica vettoriale (es. Illustrator). Questo è consigliabile quando gli elementi necessitano di essere comunicati in maniera estremamente chiara (Patterson, 2016); svolgendo la simbolizzazione nei software di modellazione 3D, infatti, non è sempre possibile trovare un’alternativa al vasto numero di effetti presenti nei software di grafica 2D. I software di grafica vettoriale sono, per loro natura, molto utili per la realizzazione di simboli. Nelle viste oblique a grande scala, per esempio, tali software possono essere usati per rappresentare in modo prospettico gli edifici principali. In questo modo i simboli possono inoltre essere facilmente modificati, così da renderli visibili anche se originariamente sono posti in porzioni nascoste dalla morfologia del terreno.

Allo stesso modo, inserire nell’elaborato gli elementi testuali attraverso l’uso di software di grafica vettoriale permette una maggiore libertà di stilizzazione e una maggiore semplicità nella correzione di eventuali errori. Tuttavia, così facendo, il processo di posizionamento delle etichette non è automatizzato, come potrebbe essere all’interno dei software di modellazione 3D, e di conseguenza risulta più lungo.

Il procedimento che può essere adottato per simbolizzare gli elementi cartografici di un elaborato 3D all’interno di un software di grafica vettoriale 2D è quello di: (i) importare gli elementi cartografici nel software di modellazione 3D in formato vettoriale, (ii) disporli sul terreno, (iii) esportarli, in formato vettoriale o raster, in base all’inquadratura della scena e (iii) importarli nel software di grafica vettoriale. Tali informazioni verranno poi posizionate sulla mappa di base nella fase di visualizzazione. Per accentuare la sensazione di prospettiva le linee, e gli oggetti in generale, devono essere progressivamente meno spesse dal primo piano della scena verso lo sfondo.

Aspetti grafici

La presente variabile di progettazione determina le caratteristiche base dei simboli presenti nell’elaborato cartografico 3D. Queste sono definite dall’uso di otto variabili grafiche, rispettivamente riferite: (i) alla forma, (ii) alla dimensione, (iii) al colore (iv) alla suddivisione della

32 Questo rapporto, oltre a dipendere dalle caratteristiche della simbolizzazione, dipende fortemente dalle impostazioni delle variabili di pianificazione.

superficie, (v) alla rugosità, (vi) alla trasparenza, (vii) alle proprietà dei materiali e (viii) alle texture.

Forma La prima variabile determina la forma dei simboli. Questa deve essere simile alla forma degli oggetti reali, in modo da rendere la comprensione della mappa più semplice agli utenti. Il grado di similitudine, o se preferiamo di astrazione, tra la forma del simbolo e la realtà, può variare tra uno stile astratto ad uno stile realistico.

Häberling et al (2008) hanno, a seguito di un sondaggio, definito i seguenti principi che devono essere seguiti nella definizione della forma di un simbolo: (i) deve essere volumetrico, (ii) deve essere costituito da forme geometriche semplici e (iii) deve avere un aspetto naturale e realistico ma non deve essere fotorealistico. In aggiunta ci deve essere una buona differenziazione tra le singole classi di oggetti (Häberling, 2003).

Nella realizzazione, o nella scelta, dei simboli da utilizzare è bene tenere sempre in considerazione il principio di minimizzazione del numero di poligoni. Infatti, usare dei simboli dettagliati nella scena porterà il progetto ad essere inutilizzabile a causa della richiesta di calcolo non sostenibile per il computer. Inoltre, c’è il rischio che questi dettagli risultino impercettibili nell’elaborato finale. Per questo nella scelta della forma del simbolo è opportuno trovare delle strategie per ridurre la dimensione del file. Usare, per esempio, un albero con meno foglie ma di dimensioni maggiori è utile per raggiungere tale obiettivo senza intaccare la qualità finale dell’elaborato (Patterson, 2005).

Dimensione La seconda variabile grafica definisce la dimensione metrica dei simboli. Generalmente la dimensione adeguata a una classe di simboli deve essere definita in base allo scopo della mappa ed agli aspetti di carattere estetico. Inoltre, la dimensione determina in modo sostanziale la leggibilità di un’informazione, intesa come la possibilità di vedere e riconoscere qualcosa.

Anche per questa variabile Häberling et al (2008) hanno individuato due principi da seguire: (i) i simboli devono essere identificabili sia in primo piano sia nello sfondo e (ii) i simboli non devono coprirsi l’un l’altro.

La dimensione orizzontale dei simboli molto spesso deriva direttamente dai dati selezionati nel processo di modellazione. Tuttavia, esagerare la dimensione di alcuni simboli, fondamentali per l’elaborato, aiuta ad attirare l’attenzione del fruitore (Patterson, 2005).

Colore Il colore è una variabile fondamentale per differenziare qualitativamente e quantitativamente, gli oggetti della scena (Slocum et al, 2013). Il colore può essere applicato in modo omogeneo o sfumato agli elementi del modello 3D.

L’uso di colori che si trovano in natura è consigliabile poichè rende l’elaborato meno

suscettibile a interpretazioni errate e facilita la memorizzazione della scena33 (Wichmann et al, 2002). Per assegnare dei colori naturali all’elaborato si può: (i) applicare una foto aerea alla scena o (ii) selezionare dei colori in base alle caratteristiche del paesaggio.

La prima tecnica fornisce un aspetto realistico con l’uso di immagini aeree. Per quanto facile e speditivo questo procedimento porta con sé non pochi problemi, che Tom Patterson (2002) individua in: (i) inversione del rilievo, le immagini satellitari sono catturate a metà mattinata quando nell’emisfero nord la luce del sole arriva da sud-est, (ii) ombre proiettate, possono oscurare importanti porzioni di terreno, (iii) eccessive informazioni, i contenuti dell’immagine non sono generalizzati e rendono difficile la comprensione, (iv) informazioni inappropriate, linee elettriche o aree in costruzione non sempre sono congruenti allo scopo della mappa, (v) informazioni invisibili, a causa delle dimensioni o della presenza di nubi alcuni elementi non possono essere riconosciuti, (iv) assenza di gerarchia, elementi fondamentali ed elementi secondari per lo scopo della mappa risultano ugualmente significativi e (vii) sensibilità temporale, le fotografie aeree mostrano un singolo momento nel tempo e non rappresenta il paesaggio medio durante l’anno. Tuttavia, l’uso di strumenti presenti nei comuni software di grafica (es. contrasto e saturazione) permettono di risolvere alcuni di questi problemi (vedi Patterson, 2016).

La seconda tecnica va a formare una palette di colori attraverso lo studio del paesaggio in questione. Questo può essere fatto in modo automatico con software come MapComposer34 , il quale crea delle mappe con colori naturali basandosi sui dati relativi all’altimetria e alle precipitazioni (Darbyshire & Jenny, 2017). O, in modo simile alla tecnica usata recentemente da Google per selezionare i colori del proprio servizio di navigazione (Banerjee, 2020), identificando i colori rappresentativi di ogni categoria di copertura del suolo tramite dalle immagini satellitari. Creare una palette dalle fotografie, anche scattate da terra, del luogo rappresentato aiuta a selezionare colori che si trovano tipicamente nel luogo stesso (Patterson, 2005).

In ogni caso alcuni elementi del paesaggio non possono essere rappresentati con i propri colori reali. Questo può accadere per motivi di convenzioni cartografiche (es. usare il blu per i corpi d’acqua) o chiarezza (es. usare colori innaturali per rappresentare elementi antropici) (Patterson & Kelso, 2004).

Nella scelta dei colori risulta opportuno tenere in considerazione le seguenti linee guida: (i) i colori devono essere scelti in modo che ci sia un buon livello di contrasto tra gli oggetti della scena e quindi l’osservatore possa distinguere facilmente i singoli simboli e (ii) il livello di contrasto, cioè di differenza, tra i colori usati nell’elaborato deve essere adeguato. Per verificare quest’ultimo fattore si può usare l’indice di contrasto del colore. Tale indice varia da 1:1, quando non c’è contrasto (es. simbolo nero su sfondo nero) a 21:1, massimo contrasto

33 L’idea delle mappe con colori naturali è nata negli anni ‘50, quando Hal Shelton, incaricato di redigere delle mappe per i passeggeri di una compagnia aerea, pensò che usare i colori presenti nel paesaggio reale potesse aiutare la comprensione dello stesso (Patterson & Kelso, 2004). 34 github.com/OSUCartography/MapComposer

(es. simbolo nero su sfondo bianco)35 .

Per rendere la lettura dell’elaborato accessibile a tutti gli utenti è consigliabile usare combinazioni di colori che non creino difficoltà alle persone con problemi nel visionare gli stessi. Un software utile a questo scopo è Colour Oracle36, il quale applica un filtro all’intero monitor del computer che permette di simulare ciò che vede una persona affetta da discromatopsia (o daltonismo) (Jenny & Kelso, 2007).

Risulta fondamentale tenere presente che i colori scelti in questa fase saranno influenzati dalle decisioni prese nella fase di visualizzazione (Häberling, 2003). Pertanto, sarà importante verificare che gli oggetti mantengono la leggibilità nella fase finale.

Suddivisione della superficie Il valore di suddiiisione della superficie è l’indice con cui le facce di un oggetto vengono divise in facce più piccole o, in alternativa, più grandi. Il primo caso viene adottato quando si vuole smussare una superficie, fornendogli un aspetto più liscio. Questo accorgimento può essere usato per compensare la bassa risoluzione spaziale del DTM (Häberling, 2003). Diminuire la complessità delle facce, viceversa, risulta utile per ridurre la potenza di calcolo necessaria per visualizzare la scena, eliminando i dettagli non necessari.

Rugosità della superficie La rugosità della superficie determina la regolarità o l’irregolarità della superficie e quindi il modo in cui viene riflessa la luce. Una superficie rugosa porta ad una riflessione diffusa, il raggio di luce incidente viene diffuso in molte direzioni, mentre una superficie liscia riflette il raggio incidente in un angolo determinato, si parla quindi di riflessione speculare.

A seconda del tipo di oggetto da rappresentare la struttura della superficie può essere liscia o ruvida. Un corpo d’acqua, per esempio, necessità di avere un valore di rugosità molto basso, così da permettere la riflessione nell’acqua degli oggetti adiacenti della scena. Viceversa, la porzione di terreno con copertura del suolo a “prati stabili” avrà un valore di rugosità molto più alto.

Trasparenza La trasparenza determina se la luce può passare attraverso un oggetto o meno. Questa variabile può essere usata su un determinato oggetto per rendere visibile la porzione di scena retrostante. In generale, tuttavia, negli elaborati cartografici 3D gli elementi della scena sono completamenti opachi e quindi l’utilizzo di questa variabile è molto rara.

Proprietà dei materiali I software di modellazione 3D riescono a variare le proprietà dei materiali, simulando fenomeni fisici. In questo modo gli oggetti della scena possono acquisire un aspetto più o meno naturale. Queste possibilità permettono di raggiungere un elevato grado di realismo che gio-

35 Per calcolare l’indice di contrasto esistono numerose applicazioni online (es. Contrast Checker e Color contrast checker). 36 colororacle.org

ca un ruolo fondamentale nel comunicare efficacemente i fenomeni geografici ad un numero maggiore di utenti (Patterson, 2002). I risultati della ricerca condotta da Häberling et al (2008) hanno sottolineato come nella cartografia 3D un certo grado di realismo è necessario, ma gli oggetti non devono diventare fotorealistici.

Texture Le texture sono immagini digitali che vengono applicate al modello 3D. Queste hanno un ruolo fondamentale nella creazione degli elaborati cartografici 3D, infatti l’applicazione di immagini o dettagli irregolari ai geodati, rende la scena più realistica. L’uso delle texture è proprio uno dei quattro accorgimenti necessari per creare degli elaborati cartografici realistici, poiché forniscono un effetto tattile che imita più da vicino la natura37 (Patterson, 2002).

Le texture possono avere un aspetto che varia da quello geometrico-astratto (es. campitura puntuale regolare) al simbolico-immaginario (es. campitura con grappoli d’uva stilizzati) fino a quello fotorealistico (es. foto aeree) (Häberling, 2003).

Le texture possono essere estratte da foto aeree con le tecniche del Texture substitution (Nighbert, 2000; Patterson, 2002) e del Bump mapping (BM) (Patterson, 1999; 2016). Quest’ultima, particolarmente efficace nel produrre texture realistiche, va a creare irregolarità sulla superficie del modello 3D senza modificarne effettivamente la forma. Per fare ciò vengono usate le informazioni di contrasto presenti nella foto aerea dove, come avviene per la generazione dell’hillshade dal DTM, i toni chiari rappresentano una porzione di copertura di suolo più alta rispetto a quelli scuri. In questo modo si riesce, per esempio, a fornire un aspetto tridimensionale alla vegetazione, basandosi proprio sulle texture presenti in natura. Usando questa tecnica è necessario porre attenzione ad evitare di rendere la scena troppo scura o contrastata (Patterson, 2005).

Per aggiungere dei dettagli al DTM, e quindi enfatizzare delle caratteristiche morfologiche di un terreno, si può usare, al posto delle foto aeree, l’output prodotto dalla tecnica della Texture Shading (TS) (Brown, 2014; Patterson, 2014; 2015). Tale tecnica, sviluppata da Leland Brown (2014), riesce a rivelate dei dettagli del terreno, altrimenti non facilmente visibili, andando ad aumentare il contrasto del DTM.

Un altro modo per raggiungere un risultato simile è quello di usare l’algoritmo del Topographic Position Index (TPI) (Weiss, 2001; Jenness, 2006). Il TPI mette a confronto il dato relativo all’elevazione delle celle del DTM con il valore medio di un intorno specifico di ogni cella. Questo indice può essere usato per svolgere diversi tipi di analisi a livello paesaggistico (Tagil & Jenness, 2008; Ilia et al, 2013; Donati Sarti, 2020), ma dato che produce un output simile al TS può essere usato al posto di quest’ultimo.

Secondo Tom Patterson (2005) ci sono quattro linee guida per creare texture efficaci da applicare agli elaborati cartografici 3D: (i) evitare texture piatte, piccole variazioni di luce e ombra forniscono realismo ed attrattività agli elementi, (ii) non usare texture ripetitive o

37 Oltre all’uso di texture le altre regole sono: (i) non usare geometrie lineari, (ii) usare dati in formato raster e (iii) usare piccole variazioni tonali al posto di colori uniformi (vedi Patterson, 2002).

geometriche e (iii) non usare eccessivamente le texture, poiché la scena rischia di diventare pesante. Infatti, non tutti gli elementi della scena sono adatti ad essere rappresentati con le texture e lasciare porzioni dell’elaborato non texturizzate fornisce all’occhio del lettore un posto dove riposarsi (Patterson, 2002).

Aspetti grafici speciali

Nella fase di simbolizzazione ci sono ulteriori variabili da tenere in considerazione. Tra quelle descritte da Häberling (2003), hanno una notevole importanza le seguenti: (i) distribuzione degli oggetti e (ii) posizione degli oggetti.

Distribuzione degli oggetti La distribuzione degli oggetti è una variabile fondamentale nella cartografia tradizionale come in quella 3D. Infatti, una distribuzione meno densa degli elementi nell’elaborato aiuta il processo di percezione (Häberling, 2003).

Nella progettazione della mappa prospettica bisogna tener conto delle relazioni che intercorrono tra gli oggetti vicini e tra quelli appartenenti ad una stessa classe. Occorre quindi valutare la distribuzione degli oggetti nelle diverse porzioni della scena (primo piano, area centrale e sfondo).

Le scelte prese in questo frangente devono essere guidate dall’intento di voler far percepire, in modo chiaro, le strutture essenziali all’utente.

Posizione degli oggetti Nonostante la posizione degli oggetti sul modello 3D del terreno sia determinata dalla loro geolocalizzazione, dopo il processo di simbolizzazione può essere richiesto un loro spostamento. Si possono infatti verificare delle interferenze tra i simboli di oggetti vicini che non sempre garantiscono la loro riconoscibilità.

In questi casi uno dei due oggetti deve essere spostato dalla propria posizione georeferenziata originale in modo da preservare la leggibilità o si può introdurre un nuovo simbolo che li rappresenti tutti.

Lo spostamento, come nella generalizzazione delle mappe tradizionali, deve però preservare l’essenza ed il contenuto delle informazioni originali (Kraak & Ormeling, 2010).

Testo

Sebbene la cartografia sia una rappresentazione simbolica, gli elementi testuali giocano un ruolo fondamentale. Infatti, si può affermare che, l’aggiunta del testo trasforma l’elaborato da un’opera d’arte ad una mappa (Patterson, 2002).

Secondo Wood (2000) il testo in una mappa può avere i seguenti scopi: (i) letterale, fornisce il nome degli oggetti, (ii) localizzativo, mostra la posizione, (iii) qualitativo, distingue le classi di oggetti e (iv) quantitativo, indica le differenze di dimensioni. In generale l’uso del testo è indispensabile quando la sola simbolizzazione grafica non è in grado di comunicare al lettore delle informazioni importanti per il raggiungimento dello scopo dell’elaborato.

L’impiego del testo nella cartografia 3D segue, generalmente, le regole della cartografia tradizionale (vedi Tyner, 2010; Peterson, 2015), risulta comunque importante approfondire le seguenti variabili: (i) tipologia, (ii) dimensione, (iii) colore, (iv) posizionamento, (v) direzione, (vi) spaziatura ed (vii) effetti.

Tipologia La tipologia di carattere da usare nell’elaborato è la prima scelta che deve essere presa in questa fase. I caratteri usati più spesso in cartografia appartengono alle categorie dei serif e sans serif, anche se ne esistono molte di più (es. monospace e display). Ogni carattere, da qui in poi font, ha una sua personalità e deve essere perciò scelto in base allo scopo e, di conseguenza, allo stile della mappa.

La prima categoria di font, quella dei serif ha le così dette “grazie”, cioè degli allungamenti alle estremità del carattere che lo rendono più elegante e classico. I sans serif, invece, sono “senza grazie” e hanno una forma tendenzialmente squadrata; caratteristica che li fa risultare più essenziali e moderni. I font appartenenti ad ognuna di queste due categorie possono comunque essere molto differenti, quindi la scelta non è sempre immediata.

Da un punto di vista di leggibilità - intesa come livello di distinzione tra le lettere di un font - la presenza delle grazie condiziona in modo negativo la chiarezza a certe distanze e con basse risoluzioni. I serif sono quindi più consigliati per elaborati che devono essere osservati ad una breve distanza, mentre il titolo della mappa è generalmente consigliato scriverlo in sans serif (Peterson, 2014).

In cartografia ci sono delle convenzioni che devono essere necessariamente tenute in considerazione quando si inserisce del testo nell’elaborato: (i) le lettere iniziali sono sempre maiuscole, eccezione fatta per i nomi delle grandi città e degli oceani che possono essere tutti maiuscoli, (ii) gli elementi idrografici vengono rappresentati con lo stile italic e (iii) gli insediamenti urbani come le catene montuose sono identificate con font non italic.

Tipicamente nelle mappe vengono usati due tipi di font, uno serif e un’altro sans serif, con i propri stili (es. regular, bold e italic). Tuttavia, secondo Gretchen N. Peterson (2014) queste convenzioni possono, con delle buoni motivazioni, anche non essere seguite. Nelle cartografie 3D, per esempio, a causa dell’uso di molte texture e della presenza di ombre, lo stile regular non è sempre ben visibile (Patterson, 2002).

Dimensione La dimensione dei font è una variabile che determina la riconoscibilità del testo nell’immagine. La dimensione di un font è determinata dalla distanza che intercorre tra il carattere più alto (es. H) e quello più basso (es. “g”). Viene indicata in points (pt) (punti tipografici) dove 1 pt = 0,352778 mm.

La variabile principale da tenere in considerazione nello scegliere la dimensione del font, come nello scegliere la dimensione dei simboli, è la distanza d’osservazione.

A causa della presenza della prospettiva negli elaborati cartografici 3D gli elementi testuali devono essere scalati in base alla posizione che assumono nella scena (Häberling,

2003). Per questo la dimensione più piccola del carattere - comunque maggiore della dimensione minima che garantisce la leggibilità - deve essere applicata al testo sullo sfondo.

Colore Il colore del testo rende più chiaro a quale classe di oggetti si riferisce l’etichetta. Per convenzione le etichette degli elementi idrografici hanno una tonalità blu (es. ciano o azzurro), leggermente più scura del colore dei simboli stessi, o bianca. Le etichette delle città sono molto spesso nere o grigio scuro. Il rosso viene usato per etichette riferite ad elementi importanti, mentre il verde ed il marrono sono usati per oggetti naturali (es. parchi nazionali e catene montuose).

La scelta del colore del testo deve essere quindi fatta seguendo le convenzioni cartografiche ma è fondamentale che sia presente un buon contrasto con gli altri elementi dell’elaborato. Il World Wide Web Consortium (W3C) (2008) ha stabilito che il rapporto minimo di contrasto, tra il testo e lo sfondo della pagina, per garantire l’accessibilità delle informazioni agli utenti deve essere di 4,5:138. Tale valore nell’ambito cartografico non è sempre facile da raggiungere, ma può, tuttavia, essere preso come riferimento.

Posizionamento Il posizionamento delle etichette è un’altra variabile molto importante nella cartografia. Una buona scelta della posizione aiuta nella lettura della mappa e ne migliora anche l’estetica.

Eduard Imhof (1975) fornisce una serie di principi da seguire nel posizionamento degli elementi testuali nelle mappe: (i) leggibilità, mettere un testo su un’area con molti simboli è controproducente, (ii) chiara associazioni grafica, il nome deve essere chiaramente associato all’oggetto che identifica, (iii) evitare sovrapposizioni, non devono disturbare gli altri elementi della mappa, (iv) sono tenuti ad evidenziare l’estensione territoriale e l’importanza degli oggetti e (v) non devono né essere troppo dispersi né troppo densi.

Le regole di posizionamento delle etichette testuali varia a seconda del tipo geometria del simbolo: (i) puntuale, (ii) lineare o (iii) areale.

Per i simboli puntiformi l’etichetta deve essere sopra, accanto o sotto l’oggetto. Le etichette posizionate in alto a destra del simbolo sono consigliate, mentre mettere il simbolo e l’etichetta sullo stesso livello può far diminuire la leggibilità.

I simboli lineari, usati per esempio per i corsi d’acqua o le strade, devono essere posizionati lungo, o non troppo distanti, dalla linea a cui si riferiscono e seguirne la direzione, ponendo attenzione a non curvare troppo il testo. In molti casi è necessario ripetere l’etichetta più volte lungo l’oggetto poiché la toponomastica potrebbe variare durante il percorso.

Le etichette che si riferiscono a geometrie areali (es. parchi e catene montuose) devono coprire il più possibile lo spazio orizzontale degli elementi stessi39. Alle volte è consigliabile

38 vedi il paragrafo riferito al “Colore dei simboli” per la spiegazione del rapporto e per le applicazioni usate per calcolarlo. 39 Lasciando però uno spazio di almeno una volta e mezza la dimensione del carattere

trattare i simboli areali come punti (es. per un edificio) o come linee (es. un corso d’acqua).

Direzione La direzione degli elementi testuali non è scontato che sia orizzontale, specialmente nelle mappe 3D, poiché la prospettiva diminuisce il numero di elementi orizzontali. La direzione del testo accettata deve quindi seguire l’andamento dell’elemento a cui si riferisce.

Un’altra regola è quella di cercare di allineare il testo in modo che sia spostato verso l’interno della mappa invece che verso l’esterno (Peterson, 2014). Molto spesso però non è possibile seguire queste regole e risulta opportuno scegliere la posizione che ci sembra migliore.

Spaziatura La spaziatura definisce lo spazio che intercorre tra due caratteri adiacenti. Questo dipende molto spesso dalla dimensione degli elementi a cui l’etichetta si riferisce e dal grado di densità delle informazioni nella mappa.

Un testo esteso dovrebbe riferirsi ad un’area vasta e, quindi, probabilmente più importante. Inoltre, una spaziatura maggiore dovrebbe essere accompagnata da un carattere più grande (Imhof, 1975). Viceversa, una spaziatura piccola porta il testo ad essere più compatto e più facile da posizionare.

Effetti Gli effetti sono ulteriori modi per rendere più efficace l’uso del testo nelle mappe. Questi non vanno a cambiare la forma dei caratteri degli elementi testuali ma aumentano la chiarezza della mappa e ne migliorano l’aspetto (Brewer, 2016).

Si possono distinguere in: (i) didascalie (callouts), (ii) ombreggiatura (shadows) e (iii) bagliore esterno (halo).

Le didascalie sono costituite da un elemento lineare che collega l’etichetta all’oggetto a cui si riferisce e vengono usate per identificare elementi della mappa che si trovano in aree molto dense di informazioni.

L’ombreggiatura consiste in una copia dell’elemento testuale, spostata leggermente dal testo d’origine, colorata con un colore molto contrastato. L’ombreggiatura aumenta la leggibilità della mappa, aumentando il contrasto sia nelle aree dove lo sfondo dell’elaborato è chiaro sia quando è scuro.

Il bagliore esterno estende il contorno dei caratteri ed ha una funzione simile all’ombreggiatura. Il bagliore però deve avere un’estensione limitata e il colore deve essere il più simile possibile al colore di sfondo. Quest’ultima caratteristica permette al testo di essere più separato da altri elementi della mappa (es. corsi d’acqua e strade).

Variabili progettuali e variabili grafiche di visualizzazione

L’ultima fase del processo di progettazione della cartografia 3D è quella della visualizzazione. In questo frangente il contenuto informativo dell’elaborato cartografico 3D viene visualizza-

tra il confine dell’oggetto e la fine dell’etichetta (Imhof, 1975).

VISUALIZZAZIONE

Variabili progettuali

Illuminazione

Ombreggiatura

Effetti atmosferici e fenomeni naturali Variabili grafiche

Tipologia Posizione Azimut Inclinazione Intensità Colore Ulteriori sorgenti Modello Intensità Ombre proiettate Intensità ombre proiettate Struttura del cielo Foschia Nebbia Stagioni Corpi d’acqua Corpi celesti Decorazioni

Accorgimenti di finitura Risoluzione render Smussatura dei bordi Multipass rendering Editing con programmi di grafica raster Editing con programmi di grafica vettoriale

Tabella 6: Variabili progettuali e variabili grafiche della fase di visualizzazione

to, con le proprie caratteristiche finali, sul supporto 2D stabilito nella fase iniziale.

In questa fase devono essere prese in considerazione le seguenti variabili progettuali: (i) illuminazione, (ii) ombreggiatura, (iii) effetti atmosferici e fenomeni naturali e (iv) accorgimenti di finitura (Tabella 6).

Illuminazione

L’illuminazione è un aspetto fondamentale per la creazione di una scena tridimensionale. Nonostante sia usata anche nella cartografia tradizionale (es. relief shading), nella cartografia 3D sono necessari ulteriori accorgimenti. Infatti, questo tipo di elaborati permettono una maggiore libertà nella variazione dell’illuminazione (Patterson, 2000).

Si possono identificare le seguenti variabili grafiche relative all’illuminazione: (i) tipo di luce, (ii) posizione della luce, (iii) azimut di illuminazione, (iv) inclinazione dell’illuminazione, (v) intensità luminosa, (iv) colore della luce e (v) ulteriori sorgenti.

Tipologia In natura esistono diverse situazioni di illuminazione. Gli sviluppatori dei software di grafica 3D, mossi dalla volontà di raggiungere un livello di fotorealismo sempre maggiore, hanno introdotto numerosi algoritmi per ricreare diversi tipi di illuminazione. I principali sono quelli che riproducono: (i) la luce puntiforme, omnidirezionale, la direzione con cui la luce che colpisce la superficie è determinata dalla retta che unisce i due corpi, (ii) luce spot, emette un fascio di luce a forma di cono in una determinata direzione, (iii) luce areale, simula la

luce proveniente da una superficie, e (iv) luce solare, irradia la stessa quantità di luce in tutte le direzioni ma è emessa ad una distanza infinita, creando un’illuminazione uniforme.

Posizione La posizione della luce è una variabile che determina la posizione spaziale (x, y e z) che le sorgenti luminose occupano nella scena. La vicinanza al modello del terreno, insieme all’intensità luminosa ed all’inclinazione dell’illuminazione, definisce quanto, e in che modo, la scena viene illuminata.

Questa variabile non influisce in alcun modo quando viene usata un’illuminazione di tipo solare, poiché essa viene automaticamente posizionata ad una distanza infinita.

Azimut L’azimut di illuminazione individua la direzione della sorgente luminosa. Il valore dell’angolo viene misurato in senso orario a partire da nord e può assumere un valore tra 0° e 360°. In una mappa orientata a nord un azimut di 90° indica che l’illuminazione proviene da est, 180° da sud e 270° da ovest.

Nella cartografia tradizionale l’illuminazione proviene, convenzionalmente, da nord-ovest (315° per le mappe orientate a nord). Questa impostazione aiuta a minimizzare l’effetto dell’inversione del rilievo. Tuttavia, l’uso di questa impostazione nelle viste oblique porta i crinali rivolti verso lo spettatore ad essere coperti da ombre che ne oscurano i dettagli (Patterson, 2000).

Per viste prospettiche orientate a nord, un’illuminazione proveniente sia da sud-est (135°, più o meno 30°) sia da sud-ovest (225°, più o meno 30°), è invece da preferire. Poiché in questo modo l’illuminazione incide la scena frontalmente, minimizzando la formazione di ombre nell’area di primo piano (Patterson, 2016). In particolare, l’illuminazione proveniente da sud-ovest approssima maggiormente la convenzione cartografica.

A differenza delle mappe 3D a grande scala, in quelle a piccola scala l’illuminazione da sud-est può provocare l’inversione di rilievo.

La scelta dell’azimut di illuminazione deve essere presa in modo che: (i) la morfologia del terreno sia più definita possibile, (ii) che siano minimizzate le ombre e (iii) non siano eccessivamente illuminati i versanti orientati verso il punto di presa. Per questo motivo è meglio evitare di scegliere un azimut di illuminazione di 0°, 45°, 180° e 315° nelle viste rivolte verso nord (Patterson, 2016).

Inclinazione L’inclinazione di illuminazione è l’angolo di elevazione della sorgente luminosa rispetto all’orizzonte. Questo parametro varia tra 0°, quando la sorgente è al livello dall’orizzonte, e 90°, nel momento in cui la luce si trova direttamente sopra di noi. Quando siamo più siamo vicini al primo caso la scena risulta molto scura, mentre nel secondo caso la scena è molto più illuminata.

L’inclinazione migliore è quella che varia tra 20° e 50° sopra l’orizzonte (Patterson, 2016).

In questa situazione il sole è abbastanza basso da rendere la scena spettacolare e, allo stesso tempo, sufficientemente alto per renderla illuminata.

Intensità L’intensità luminosa regola la potenza con cui ogni sorgente luminosa emette e quindi controlla l’illuminazione della scena. Come per le impostazioni che vanno a determinare la direzione dell’illuminazione, anche in questo caso le scelte devono essere fatte in modo che la scena sia illuminata in modo da avere un aspetto morbido e dei colori saturi (Patterson, 2016). Un valore troppo elevato rischia di creare una scena troppo poco contrastata, anche se in questo modo si facilita il posizionamento degli elementi testuali sulla mappa (Patterson, 2016).

Colore Dato che in natura le luci non sono completamente bianche, per creare delle scene realistiche in alcuni software di modellazione 3D è possibile scegliere la temperatura di colore in gradi kelvin (K). Generalmente è consigliata adottare un’illuminazione colorata con una sfumatura molto chiara di grigio o una sfumatura chiara di giallo (Patterson, 1999).

Ulteriori sorgenti Nella cartografia 3D oltre alla sorgente di illuminazione globale possono essere presenti delle ulteriori sorgenti. Infatti, in alcuni casi, la presenza di una sola sorgente luminosa non riesce a rappresentare a dovere tutti i dettagli topografici. Questo si può verificare quando le forme morfologiche del terreno sono parallele alla direzione dell’illuminazione poiché non si crea abbastanza contrato nell’immagine. Per ovviare a questo problema, nella cartografia tradizionale, vengono usate diverse tecniche, come quella di combinare più hillshades (Gantenbein, 2012).

Nel caso delle rappresentazioni cartografiche oblique, dato che c’è più libertà nel posizionamento delle sorgenti luminose, usare un numero maggiori di luci è consigliabile per ovviare a questo problema.

Le nuove sorgenti devono essere posizionate in modo da evidenziare le caratteristiche significative del terreno (Huffman, 2014) e da influenzare il meno possibile l’intera scena.

Le sorgenti luminose possono essere usate anche per indirizzare lo sguardo dell’osservatore in una determinata porzione di scena o per colorarne altre (Patterson, 2005).

Ombreggiatura

Come l’illuminazione anche l’ombreggiatura influenza la nostra capacità di riconoscere la tridimensionalità degli oggetti. La geometria dell’ombreggiatura dipende dalla forma stessa dell’oggetto illuminato e dalle varie impostazioni dell’illuminazione.

In una scena si formano due tipi di ombre: (i) quella sulle facce opposte alla direzione di illuminazione dell’oggetto stesso e (ii) quelle proiettate.

Le variabili grafiche che influenzano l’ombreggiatura sono quelle relative al (i) modello di ombreggiatura, (ii) intensità di ombreggiatura, (iii) ombre proiettate e (iv) intensità ombre

proiettate.

Modello Il modello di ombreggiatura è la tecnica usata dai software 3D per calcolare correttamente l’ombreggiatura nella scena. Questi algoritmi tengono in considerazione l’orientamento della superficie degli oggetti, l’angolo d’incidenza dei raggi di luce e delle proprietà del materiale (Häberling, 2003).

Intensità L’intensità di ombreggiatura può essere regolata in modo da rendere più riconoscibili i dettagli delle superfici in ombra. Nei software di modellazione 3D selezionare una riflessione diffusa o speculare ha un effetto diretto sull’illuminazione delle aree in ombra degli oggetti. Inoltre, è possibile selezionare anche quante volte un singolo fascio di luce può colpire le superfici.

Ombre proiettate Le ombre proiettate sono quelle che derivano dalla presenza di uno, o più, oggetti tra la sorgente luminosa e la superficie. Nella cartografia tradizionale non vengono comunemente rappresentate perché, data la mancanza di un rapporto diretto con il terreno locale, possono essere incomprensibili in paesaggi con una morfologia densa (Imhof, 1982). Nella cartografia 3D però sono spesso usate poichè riescono a fornire un carattere realistico alla scena.

Intensità ombre proiettate Regolare l’intensità dell’ombra proiettata permette di non oscurare completamente la porzione di scena dove cade, rendendo le ombre più lievi. Quando il software dà la possibilità di colorare le ombre è consigliabile scegliere dei colori che contrastino i colori caldi delle aree illuminate (es. grigio molto chiaro e grigio-blu chiaro) (Patterson, 2000).

Effetti atmosferici e fenomeni naturali

Come è stato detto più volte in questo testo, nella produzione cartografica 3D entrano in gioco molte variabili che non rientrano nella cartografia tradizionale. Una di queste è sicuramente la possibilità di aggiungere degli effetti atmosferici e fenomeni naturali nell’elaborato. Integrare questi elementi nell’elaborato può favorire una migliore percezione delle caratteristiche della mappa (Häberling et al, 2008). Le variabili grafiche relative a questo argomento sono: (i) struttura del cielo, (ii) foschia, (iii) nebbia, (iv) corpi d’acqua, (v) corpi celesti, (vi) stagioni e (vii) decorazioni.

Struttura del cielo Come è già stato accennato nelle Variamili progettuali e iariamili grafiche di pianificazione la presenza del cielo dipende soprattutto dalle impostazioni della fotocamera, ma anche da altre variabili come l’estensione del modello e la prospettiva adottata.

Il cielo rende la scena più realistica e naturale, ma se viene deciso di dedicare dello spazio del layout per inserire questo elemento, bisogna considerare gli aspetti relativi alla sua

struttura.

La tonalità di colore preferibile per rappresentare il cielo è il blu, colore che riesce anche a far trasparire un senso di serenità. Nei dipinti di Heinrich C. Berann la tonalità del colore varia dall’alto (più scura) al basso (più chiara) e da sinistra a destra in base alla posizione della sorgente luminosa (Patterson, 2000).

La presenza delle nuvole rende la scena più affascinante ma, dato che lo scopo è quello di comunicare le caratteristiche morfologiche, non deve essere eccessiva. In una scena 3D, come esplicato da Tom Patterson 2016, possono essere presenti due tipi di nuvole, quelle posizionate: (i) sopra l’orizzonte e (ii) sotto l’orizzonte.

Il primo tipo non interferisce con la visibilità del terreno e vengono inserite soprattutto nelle parti marginali del cielo, in modo da enfatizzare la prospettiva e creare l’effetto dell’apertura di un sipario che rivela al pubblico il paesaggio (Patterson, 2000).

Il secondo tipo di nuvole sono posizionate sotto l’orizzonte e possono essere usate sia per direzionare l’attenzione dell’osservatore sia per nascondere le aree meno attraenti (Patterson, 1999). Posizionando, per esempio, le nuvole alla metà dell’altezza del promontorio, preoccupandosi di lasciare visibile la vetta, se ne enfatizzare l’altezza.

In questa fase bisogna cercare di non rendere la struttura del cielo dominante, poiché questo potrebbe distrarre il fruitore dai contenuti principali della mappa (Patterson, 2016).

Foschia In natura la foschia atmosferica, causata dalle goccioline d’acqua e polvere, creano un velo grigio-blu. Questo fenomeno facilita la comprensione delle distanze relative degli elementi del paesaggio, diminuendo il contrasto con l’aumentare della distanza dal punto di presa (Imhof, 1982). Il colore della foschia deve essere bianco, grigio chiaro o una sfumatura molto chiara del blu (Patterson, 1999).

L’effetto della foschia può essere prodotto nei software di modellazione 3D con la maschera di distanza.40

Anche l’uso di una sfumatura scura nella parte in primo piano della scena aiuta a dare un senso di profondità, aiutando il fruitore ad immergersi nell’elaborato (Patterson, 2005).

Nebbia La nebbia riduce la visibilità sia in direzione orizzontale che verticale. Bisogna quindi valutare attentamente se usarla o meno negli elaborati 3D, poiché porta all’occlusione di parti della scena. Tuttavia, aggiungere dei banchi di nebbia, magari non troppo coprenti, nelle valli può aiutare a enfatizzare la morfologia del terreno, creando contrasto con i promontori.

Anche questa variabile può essere usata per creare profondità alla scena, facendone un uso più marcato nelle aree di sfondo (Patterson, 2016).

40 Patterson (2016) illustra come usare i programmi di grafica digitale creare questo effetto.

Corpi d’acqua I corpi d’acqua nelle mappe 3D sono elementi che possono dare una grande eleganza alla scena. Inserendo dei dettagli, come l’increspatura dovuta al vento o i riflessi, la scena diventa meno statica e prende vita.

In particolare, mostrare nei corpi d’acqua i riflessi degli elementi adiacenti, permette all’acqua, al terreno e alle nuvole di interagire tra di loro in modo naturale (Patterson, 1999).

Un’altra variabile che può essere inserita nei corpi d’acqua è il riflesso del sole, un effetto che evita la presenza di colori piatti, inesistenti in natura (Patterson, 2016).

Per quanto riguarda le onde, la loro ampiezza deve essere relazionata alla scala di rappresentazione del terreno (Patterson, 1999).

Corpi celesti In alcune rappresentazioni cartografiche 3D, possono essere visibili anche i corpi celesti. I software di modellazione 3D in questo caso facilitano la loro creazione, permettendo di selezionare le caratteristiche reali (es. dimensione e radiazione) (Häberling, 2003).

Stagioni Specialmente quando lo scopo dell’elaborato cartografico è quello turistico aggiungere degli elementi che rimandano alle stagioni è, molto spesso, indispensabile. Una mappa che rappresenta un impianto sciistico, per esempio, è necessario che sia ambientata in un periodo invernale, con la neve presente sugli oggetti rappresentati. Viceversa, una vista obliqua di una località balneare verrà rappresentata nel periodo estivo. Per questo motivo anche durante la scelta dei simboli bisogna tener conto della stagione.

Decorazioni Aggiungere piccole decorazioni nell’elaborato permette di aggiungere informazioni ed interesse alla scena. Tom Patterson (2016), per esempio, usa dei particolari di foto aeree per rappresentare la colonna di fumo proveniente dal cratere dei vulcani. In altri casi, l’autore, utilizza gli strumenti di Photoshop per rappresentare il vapore che si genera dalle cascate

Accorgimenti di finitura

Una volta definite le impostazioni delle diverse variabili di progettazione e delle variabili grafiche il modello cartografico 3D deve essere restituito graficamente su un’immagine.

Come nella cartografia tradizionale anche in quella 3D la rappresentazione dell’elaborato si conclude nei comuni software di grafica 2D (Patterson, 2005). Questo ulteriore passaggio permette di avere più controllo nella gestione degli aspetti grafici e più possibilità stilistiche (Peterson, 2014; Huffman, 2018).

Gli accorgimenti di finitura includono le seguenti variabili grafiche: (i) risoluzione del render, (ii) multipass rendering , (iii) ritocchi con programmi per l’elaborazione di immagini digitali e (iv) inserimento elementi con programmi di grafica vettoriale.

Risoluzione del render

La risoluzione del render indica la dimensione dell’immagine, espressa in numero di pixel lungo l’asse orizzontale per il numero di pixel lungo l’asse verticale. La nitidezza dell’immagine finale è determinata dalla relazione tra la dimensione dell’immagine e la densità di pixel. Quest’ultima variabile è denominata risoluzione grafica e può essere misurata in numero di pixel per pollice (ppi), per le immagini visualizzate su un monitor, o in numero di punti per pollice (dpi), per le immagini stampate. Ovviamente la risoluzione grafica deve essere imposta anche in base alla risoluzione massima supportata dal dispositivo con il quale viene riprodotta la mappa.

La risoluzione grafica massima della maggior parte delle stampanti, per esempio, è di 300 dpi. In questo caso, procedere con la stampa di un elaborato con una risoluzione grafica maggiore non porta a nessun miglioramento nella nitidezza, poiché la stampante non è in grado di inserire più di 300 punti di inchiostro per pollice (2,54 cm).

Per gli elaborati che vengono visualizzati su un monitor il valore di ppi non va ad incidere sulla nitidezza dell’immagine. Difatti ogni monitor ha la propria densità di ppi e questa non può essere variata, come avviene invece in fase di stampa. In questo caso il numero di informazioni presenti nell’immagine è determinato dalla dimensione dell’immagine (numero di pixel verticale per numero di pixel orizzontale).

La dimensione dei pixel varia in base alla risoluzione del monitor: un’immagine visualizzata in uno schermo avete una risoluzione massima di 96 ppi apparirà quattro volte più piccola rispetto alla stessa immagine visualizzata in uno schermo con risoluzione di 384 ppi. Questo perché la dimensione dell’immagine (numero di pixel verticale per numero di pixel orizzontale) rimane invariata ma i suoi pixel possono essere rappresentati in un’area più piccola dello schermo. Quindi, per gli elaborati cartografici rappresentati su dispositivi digitali la risoluzione dell’immagine è quella che ne determina la nitidezza.

Solitamente, sia nei software GISs sia in quelli di grafica 2D, la dimensione fisica finale che deve avere l’elaborato viene specificata all’inizio del progetto. Pertanto, quando si vuole avere un output più nitido l’utente aumenta il valore di ppi e, in automatico, il software incrementa la risoluzione orizzontale e verticale del output (Peterson, 2014).

I software di modellazione 3D, invece, non permettono di stabilire la dimensione fisica finale ma solo di impostare la risoluzione orizzontale e verticale del render. Questi due valori stabiliscono il numero di pixel che compongono l’immagine e, quindi, la sua nitidezza. Pertanto, nel caso in cui la mappa debba essere stampata in una certa dimensione fisica e con una determinata risoluzione grafica, ovvero la densità di punti ogni pollice, la risoluzione orizzontale del render deve essere stabilita con l’equazione (2), mentre la risoluzione verticale con l’equazione (3).

(2) Lres = (L × I) ÷ 2,54

(3) Ares = (A × I) ÷ 2,54

dove: Lres = risoluzione orizzontale del render (px) Ares = risoluzione verticale del render (px) L = larghezza immagine finale (cm) A = altezza immagine finale (cm) I = risoluzione grafica (ppi o dpi)

Una volta ottenuto il render l’immagine può essere importata in un software di grafica digitale dove, impostando la risoluzione richiesta, verrà adattata alle dimensioni reali prestabilite, lasciando invariata la quantità di informazioni presenti41 (Adobe, 2020).

Usare una risoluzione grafica non troppo elevata aiuta il cartografo a progettare le mappe con un messaggio semplice, che i fruitori si ricorderanno con più facilità (Patterson, 1999).

Multipass rendering La tecnica del multipass rendering consiste nel realizzare dei render multipli che poi vengono uniti insieme in un secondo momento. Questo permettere una maggiore libertà nella post-produzione dell’elaborato e, nel caso di errori, velocizza l’operazione di correzione.

Tom Patterson (2005) consiglia di realizzare i seguenti render di una stessa scena: (i) la vista completa priva di effetti atmosferici, (ii) una maschera ad alto contrasto degli oggetti nella scena, in modo da facilitare eventuali modifiche nei colori, e (iii) una maschera di distanza in scala di grigi, per inserire la foschia in modo realistico. Il numero e le caratteristiche dei singoli render possono variare da progetto a progetto. Realizzare una maschera di altezza, per esempio, può facilitare l’inserimento di effetti specifici in base all’altimetria del terreno.

Per usare questa tecnica bisogna verificare che la risoluzione dei render abbiano tutti la stessa dimensione, in modo da essere perfettamente sovrapponibili nei software di elaborazione grafica.

Editing con programmi di grafica raster I render realizzati vengono combinati insieme con programmi per l’elaborazione di immagini digitali. In questi software possono essere svolti una moltitudine di processi per modificare l’aspetto finale della scena.

Infatti, molte delle variabili grafiche discusse in questo testo sono realizzabili anche in questa fase. Tra le più significative sono quelle relative alla prospettiva poiché non sempre è possibile modificare la prospettiva all’interno dei software 3D in modo che l’orizzonte ed

41 Questo accade quando l’opzione di ricampionamento non viene adottata. Il ricampionamento, infatti, va ad alterare la quantità di dati dell’immagine modificando la dimensione dei pixel.

il cielo siano visibili nella scena. Questo accade soprattutto quando il punto di presa si trova molto in alto e con un pitch molto basso (simili alla cartografia tradizionale).

Per i casi in cui si verificano queste condizioni Tom Patterson (2016) ha sviluppato la tecnica del Terrain truncation, che si articola in due fasi: (i) creazione di un falso orizzonte rimuovendo i dati altimetrici nella porzione di scena più lontana, quelli che si trovano oltre ad un promontorio e (ii) inserire il cielo al posto di quest’ultimi.

In aggiunta a questa tecnica, l’autore, usa il procedimento del Transform selection. Il quale va a comprimere, lungo l’asse verticale, le aree nello sfondo della scena in modo da simulare la progressiva formazione dell’orizzonte.

L’ultima tecnica è quelle del Merging terrains. In questo caso vengono realizzati due render nel software 3D, uno con un’angolazione della fotocamera più simile alle mappe 2D e la seconda più rivolta verso l’orizzonte. I due render vengono poi uniti nei software per l’elaborazione di immagini digitale.

Nelle rappresentazioni cartografiche oblique a piccola scala aggiungere la curvatura dell’orizzonte è un accorgimento che aumenta l’autenticità alla scena ed aiuta a comunicare un senso di importanza e di ampiezza all’area d’interesse (Patterson, 2016). Per realizzare questo effetto si può usare un filtro che permette di deformare la scena, alzando la parte centrale42 .

Editing con programmi di grafica vettoriale L’ultimo passaggio del processo di creazione di una cartografia 3D viene svolto nei software di grafica iettoriale. In questa fase gli elementi che sono stati simbolizzati attraverso l’uso di software di grafica vettoriale vengono uniti al render della mappa di base. Inoltre, è necessario anche aggiungere gli elementi di base degli elaborati cartografici, come: titolo, legenda, eventuale scala approssimativa, testo con ulteriori informazioni, fonti, ecc.

42 Jenny (2006) consiglia di usare la trasformazione “Upper Arc” di Photoshop per raggiungere questo effetto. In questo modo le aree della scena in primo non vengono deformate.

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