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PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA FACOLTÀ DI TEOLOGIA Corso TDC021

Approcci moderni alla Cristologia Prof. Donath Hercsik A. A. 2008-2009 Appunti di Giuseppe Ruggirello Almo Collegio Capranica 1. Approcci teologici di stile “classico” ( cf. il trattato “De Verbo incarnato”) JACQUES MARITAIN Esiste un’ampia pubblicazione di Jean Galot composta da un trittico: 1. Chi sei tu, o Cristo? 2. Gesù liberatore. 3. Cristo contestato. Cfr. Giovanni Marchesi: Gesù di Nazaret, chi sei?

Parlando di Maritain si possono evidenziare alcuni libri di cristologia: “Primato dello spirituale”, “Il pensiero di s. Paolo”, “Contadino della Garonna”, “La Chiesa di Cristo: la persona della Chiesa sont personelle”, ma prenderemo in considerazione particolarmente “Della grazia e dell’umanità di Cristo”. Davantio alle pie favole che presentano i vangeli apocrifi, Maritain si domanda: bisogna realmente immaginare che il bambino Gesù esercitasse già nella culla atti di volontà e intelligenza di un adulto? risponde: allora ci troveremmo di fronte ad una parodia dell’umanità. Arriva a distinguere nell’unità di Cristo due stati d’essere nello stato di viatore, in pellegrinaggio; e nello stato di “comprensore” (vive della visio beatifica di Dio). Questa distinzione non è inventata da Maritain: la prende in prestito da Tommaso: S.Th. “viator... et comprehensor”: godeva di Dio nella misura più alta. Maritain dice che come “viator” (via: in senso dinamico) e “comprehensor” (che comprende già senza la necessità di cammino). Per sfumare questa distinzione di Tommaso si riferisce a Lc 2,52: afferma una crescita secondo una crescita umana. Dunque, non si possono attribuire deigli atti di adulto al Gesù bambino. Abbiamo a che fare con un vero uomo (verus homo), ma non un puro uomo: la sua identità non si ferma alla prima affermazione! Dopo la sua resurrezione Gesù non è più viatore ma è giunto allo stadio di gloria: il “comprehensor” che prende il sopravvento sopra lo stadio di “viator”. Conserva il suo corpo umano che viene trasformato in corpo glorioso, ma vive in uno spazio extra cosmico in un tempo discontinuo. Quali ragioni apporta per questa distinzione? Per Maritain ci sono due momenti della vita di Gesù che ci fanno comprendere la sua identità. Nella Trasfigurazione si manifesta la massimo grado la


sua divinità, mentre nell’agonia del Getsemani si manifesta in massimo grado la sua umanità. Tutto questo per Maritain nell’unità della persona di Cristo. Con questi due topoi cerca di spiegare il nodo strutturale della persona di cristo. E introduce una distinzione psicologica. Incomincia a parlare del subconscio e dell’inconscio di Cristo. “due stati di inconscio: spirituale (inconscio o preconscio musicale “Platone”); sordo (freudiano). Queste due specie di vita inconscia sono in stretto rapporto e in continua comunicazione, mischiandosi tra loro. Sono essenzialmente distinti e di natura totalmente diversa”. Presuppone in Gesù due tipi di preconscio: subconscio e sopraconscio. Porta a distinguere due stati nell’animo di Cristo. Cristo vive due stati: il quaggiù dell’anima e il cielo dell’anima (laggiù). questi stati d’anima corrisponderebbero in qualche maniera alla persona umana e divina di Cristo. Ma non si vuole affermare un dualismo in Cristo. cerca però di dire con questa distinzione che è solo propria di Gesù Cristo. In nessun’altro questa distinzione non si può verificare: si vive il quaggiù dell’anima, e manca la percezione delle cose celesti. C’è però una certa incomunicabilità. Lui stesso apporta una metafora. Li paragona con una paratia translucida, cioè un vetro che da un lato permette che passi la luce, ma non ciò che sta dietro. I Vangeli ci danno dei chiari segni di questo: Gesù si ritirava in solitudine per pregare il Padre. Il quaggiù dell’anima poteva penetrare il suo cielo d’anima: pur essendo viator, in quanto uomo, disponeva del contatto diretto di Dio. Non si è manifestato che il cielo della sua anima penetrasse il quaggiù dell’anima. Un’altra metafora sarebbe la distinzione tra una linea retta orizzontale (divinità) e una linea obliqua ascendente (viator): uno stato di perfezione e uno stato di crescita. Si tratta di una situazione esistenziale unica. Una delle conseguenze rispetto a queste: in Gesù non c’era fede teologale. Non si dava ciò che chiamiamo Fides (pistis). Non credeva, ma sapeva perché aveva una scienza infusa delle cose celesti, di Dio. Gesù aveva fede? (Rm 3,22: pistis Iesus: gen. soggettivo od oggettivo: fede di Gesù o fede in Gesù). Una conseguenza di questa proposta per la vita di Gesù, circa la sua vita nascosta e circa la sulla Passione e Risurrezione. Se accettiamo l’affermazione di Lc che Gesù è cresciuto in età, sapienza e grazia. Possiamo certamente accettare la prima tesi: si è verificata una crescita fisica. “In sapienza e in grazia”: qui Maritain aggiunge una sfumatura alla tesi di Tommaso, che sosteneva che dal momento della concezione verginale disponeva già della sapienza e della grazia divina. Fin dal concepimento ma nel sovraconscio, chiuso e separato dalla paratia, dovevano mostrarsi nel suo stadio massimo: si postula una cerca crescita in senso umano della sapienza e della grazia. Da bambino aveva un’idea di Dio che ha un bambino, così da adolescente e da adulto, secondo il grado di crescita. Ciò in cui non è possibile aggiungere una sfumatura è l’autopercezione divina di Gesù. L’affermazione di base è fondamentale per Maritain: fin da quando prende coscienza di se stesso, conosce la sua vera identità, conosce la sua missione, sa perché si è incarnato e non deve apprendere la sua missione attraverso le vicende della vita (la proposta di alcuni altri cristologi). (es. Gesù dodicenne discute con i dottori della Legge - Mc). Il verbo si è incarnato per la salvezza degli uomini, ma la Passione non è stata un puro mezzo, ma il fine primario per vincere il peccato. La Passione è il fine primario per vincere il peccato per vincere il mondo. C’è un fine ultimo della Incarnazione: la glorificazione del Risorto, di questa persona umiliata, kenotica, il Signore della storia e il salvatore. Nell’adorare la croce bisogna evitare due estremi che fraintendono la realtà redentrice: il dolorismo e il trionfalismo. Il


primo separa il momento della Passione dal dolore, non considerando il movimento unico dell’atto di Gesù (ovvero, senza guardare alla domenica di Risurrezione); il secondo, invece, non considera la croce in quanto tale, ma come trono, cioè non prende sul serio ciò che è successo ala Verbo incarnato. E’ invece una realtà dura, da cui deve passare Gesù, per rimediare al peccato del mondo. Sono momenti della vita di Gesù in cui la sua coscienza divina non riesce a penetrare il cielo dell’anima, percepito dunque come un vero e proprio abbandono. Maritain mette in evidenza come il Verbo incarnato dovesse essere sottomesso a questa sofferenza e a questa ignominia, però non ha voluto agire contro la volontà del Padre. Il suo desiderio non è arrivato a volere qualcosa di diverso dal Padre: si è orientato verso il volere del Padre. La croce costituisce la gloria del Cristo (la sua posizione vicina a Von Balthasar) perché in questo momento sulla croce si verificano i momenti di “viator e comprehensor”. Il momento della sesta e della settima parola, è precisamente il punto in cui la retta obliqua ascendente incontra la retta orizzontale, che rappresenta la realtà di Cristo in quanto comprehensor. Nessuno toglie l’anima a Cristo, ma è lo stesso Cristo che “depone”. Per Maritain non c’è stata l’agonia di Gesù in croce, non ha perso la sua coscienza divina, ma ha provato dolore e sofferenza. Niente ha tolto la sua coscienza di Figlio di Dio, ma ha concluso la sua realtà terrena di una morte beata. Non ha nemmeno perso la sua umanità, ma è giunto alla dimensione di comprehensor. Sulla croce ha ricapitolato in sé tutto il peccato, il male e tutta la sofferenza; infine, ricapitolerà tutto in Dio. Gli uomini nati sotto la legge di Adamo non possono “meritare” il cielo. Gesù, vero uomo, si è meritato il cielo e vive in una beatitudine superiore agli angeli e alla sua stessa madre. Conclusioni sommarie Le cristologie classiche partono da un sistema ontologico-dogmatico prestabilito: prendono in prestito nella loro esposizione tutti i Concili cristologici (Nicea, Costantinopoli, Efeso, Calcedonia, Costantinopoli II e III, Trento). Si usano categorie filosofiche che non si trovano nella Sacra Scrittura (es. persona di Cristo: A e NT non parlano di “persona”, ma proviene dai Concili. Per i latini è stato Agostino a usarlo. Un altro termine è “ousia”, sostanza, usato nel simbolo di Nicea). Si utilizza molto di più la critica biblica fondandosi sulla teologia biblica odierna. Si fa riferimento allo sviluppo intero della storia della salvezza: né l’A. né il NT si può considerare in una visione isolata, ma la vediamo come sviluppo “economico”. Nello stesso tempo, possono verificarsi contraddizioni o incompatibilità tra il dato biblico e la cristologia che viene qui proposta. Proviene certamente dal linguaggio (es. patristico, medievale, scolastico) al quale non si può tributare l’errore o l’incompatibilità: ciò porta a veicolare differenti proposte al testo biblico. Si sono utilizzate categorie psicologiche: non è solo un linguaggio, ma un mondo concettuale che non troviamo nella Sacra Scrittura. Un problema di non facile soluzione basate sull’esegesi, è la critica dei biblisti ai dogmatici che separano il testo dall’interpretazione del NT (es. Si può ammettere troppo facilmente la storicità di tutti i dettagli dell’infanzia di Gesù. Questi racconti possono avere una caratteristica piuttosto narrativa, teologica, affermano una verità teologica usando certe metafore secondo le convenzioni letterarie di quell’epoca).


2. Approcci speculativi di tipo critico (cfr. linguaggi ausiliari - linguaggio referenziale) - PIET SCHOONENBERG S.J. (1911-1999) Tra i libri che hanno avuto maggiore impatto sulla cristologia detta speculativa: “Dio oppure l’uomo: un dilemma sbagliato”; “L’interpretazione del dogma”; “Un Dio di uomini: questioni di cristologia”. E’ ovvio che Schoonenberg conosceva la cristologia classica, che veniva insegnata in quei anni, cosiddetta dei “manuali”. Con la sua proposta si propone di seguire un metodo speculativo scientifico. Nei suoi scritti questo elemento ha la precedenza sul materiale illustrato. E’ notevole quanto poco lavori con la teologia positiva: antichi autori cristiani, esperienza della fede, etc. Questo approccio può chiarire alcune cose al livello teorico, mentre è più vulnerabile quanto ai fatti. Schoonenberg dice della sua cristologia: “Il mio è un lavoro di ricerca, seguendo la mia strada spero di apportare un approfondimento al pensiero cristiano cattolico in un periodo di crisi. Mi sembra attuale e aperta alle sfide odierne..”. Il cristiano crede che Gesù come uomo è il più grande di tutti gli uomini, è immagine, Verbo e Figlio di Dio. Egli è, come dice la lettera agli Eb, è l’ultima parola di Dio, l’ultima locuzione di Dio. E’ l’ultimo Adamo, come dice Paolo in Rm. A partire da quest’ultima definizione, Schoonenberg dice che Gesù è l’Uomo, il Figlio dell’Uomo, l’Uomo messianico. Alcuni approcci fondamentali di Schoonenberg (motivi, riflessioni sul suo pensiero, particolarità): - Motivi: Con molti altri teologi della sua epoca, come Rahner, il modo nuovo di fare teologia è orientato alla’ambito pastorale. Il punto di partenza è la domanda. Se il modello delle due nature in Gesù Cristo ci preclude l’accesso al cristo vivo, non è forse il caso di studiare nuovamente e abbandonare tale modello calcedonese? Per lui a livello pastorale, non si può negare che qualcosa non funzionava al livello della fede, che i fedeli prima del Concilio si era avvertito un certo disagio rispetto alla cristologia classica, molto di più quando non si riesce a superare. Quando si intravede ad un rinnovato interesse per l’uomo Gesù, così si intesse maggiormente l’attenzione cristologica. Assistiamo ad una secolarizzazione. Sulla scia di Schoonenberg si potrebbe dire che assistiamo ad un processo di secolarizzazione quando la religione si fa troppo trascendente al mondo e ai fedeli. Sarebbe un processo periodico, che ritorna, quando bisogna correggere il rapporto tra Dio e il mondo. L’emergere di un conflitto causato dalla tensione tra l’uomo e il mistero. A causa della religione o degli uomini si elimina un polo di questa tensione: o si elimina Dio rendendolo così trascendente che non è più afferrabile (peccato della cristologia classica tradizionale); oppure gli uomini negano l’esistenza di Dio e della trascendenza, ciò che supera il tangibile. Ha dunque una funzione correttiva. di fronte a questo processo Schoonenberg si sente motivato a presentare l’annuncio cristiano diversamente dal linguaggio teologico della cristologia classica: lo prende da quel Gesù che ha parlato da figlio del suo tempo con il linguaggio della sua epoca, che seppur ristretto nel tempo è rimasto quale messaggio eterno. Da dove partire a livello metodologico? Bisogna cercare di tornare indietro alle fonti della Rivelazione, ai Sinottici e imparare come essi rendano comprensibile, attuale e interessante il messaggio di Gesù Cristo: evitano una giusta posizione di Dio e di Gesù, evitano di mettere Dio e il Figlio accanto. Nel primo stadio c’è un movimento dal basso verso l’alto, parte dalla forza attrattiva del carattere religioso di Gesù, alla sua trascendenza e divinità. Chi volesse rimproverare a una cristologia del 2000 che parte dal basso, tradirebbe il contesto


sinottico. Questo movimento dal basso verso l’alto in un momento storico si è capovolto e che descrive Gesù Cristo dall’alto verso il basso, il vangelo di Gv. Dopo un processo complesso sembrò inevitabile di cominciare la sua identità a partire dalla divinità. Fatta questa osservazione nel NT c’è un movimento assai dinamica: si presentano le due prospettive in modo organico. Questo modo flessibile di pensare sempre più si irrigidisce e diventa da modo di pensare, sistema. Si giunge ad una visione d’insieme in due strati, e ad un livello linguistico contrapposta: lo spirito vs materia, immutabilità vs mutevolezza, l’essere vs divenire, trascendenza vs immanenza, Dio vs uomo. Il ruolo critico della secolarizzazione riesce a superare l’irrigidimento, la contrapposizione di Dio all’uomo. In una metafisica greca c’è il concetto di una limitatezza, di una inferiorità del divenire. Rahner fa notare che nel Prologo di Gv si dice “il Verbo si fece carne”, “Fleisch ist geworden” (egheneto e werden indica questa divenire nel tempo). Schoonenberg protestava contro un vero atto d’essere umano nella vita di Cristo. Nella cristologia classica non si prendeva in analisi un vero atto umano del Cristo. Se affermiamo con il NT e con tanti Concili, Gesù Cristo è vero uomo, dobbiamo affermare che in quanto uomo condivide in tutto il nostro essere uomini, non sta né sopra, né sotto. L’obiezione fondamentale delle sei alla cristologia classica è indirizzata soprattutto alla definizione di Calcedonia: la professione delle due nature in una sola persona, quella umana e quella divina, si rivela infatti incapace di salvaguardare l’unità in Cristo; ponendo l’unità in Cristo la sua umanità perde l’autonomia. Si tratta di cogliere una negazione pratica della unità della persona di Gesù (cfr. Leonzio di Bisanzio, che parla piuttosto di una “anypostasis”). Questi non è il primo a trarre questa conseguenza dal Concilio di Calcedonia a mantenere l’unità in Cristo e il suo essere divino con il suo essere umano (Giustino: il Logos è una forza dell’essere divino e perfino un “aggelos” preesistente, che divenendo umano non costituisce la sua persona; Tertulliano: varia molte volte la sua opinione; concepisce l’esistenza del Logos precedente la stessa creazione: divenire carne non aggiunge nulla alla sua esistenza). L’intento di Schoonenberg è evitare che si parli di una persona umana e di una divina come distinte in Gesù Cristo, e dall’altro, che la divinità non assorba l’umanità, per cui per la soteriologia non ha alcun ruolo, ma è solo un aggancio. Al livello pratico li trova in Agostino d’Ippona, questa spaccatura si trova circa la preghiera (En. Psalmos), il sacrificio (De Trinitate). A partire dal termine di preesistenza egli intravede la difficoltà maggiore per la disumanizzazione. Per questo non si potrà parlare di volontà o di crescita in sapienza della divinità. Preesistenza non nel suo riferimento ontologico, ma nel suo significato relazionale. La questione del passato interessa ogni uomo: la progenie nell’AT è presente nei lombi del capostipite. Tutto il genere umano può essere intravisto in Adamo. Un’idea analoga si trova presso gli ebrei in riferimento alla Torah. Come interpretare la sua origine? Secondo Pierre Benoit, l’idea che il Verbo divino preesistesse e fosse poi unito all’uomo Gesù, non è consono con la fede cristiana e con la Scrittura. Mentre secondo Schoonenberg il Verbo intero esisteva prima della creazione del mondo, dunque è avvenuto solo un passaggio di vite. Dobbiamo dire che Gesù è una persona, senza amplificare né sbilanciare l’umanità né la divinità. Secondo Schoonenberg Gesù era persona, in quanto era umano. Se dicessimo che è sia una persona mana, sia una persona divina, giungeremmo con la cristologia classica ad una dicotomia delle persone. Secondo Schoonenberg non troviamo altro uomo divino che nell’uomo Gesù. L’umanità di Gesù in Calcedonia diventa persona (prosopon a partire dal Logos). La divinità di Gesù diventa persona nell’uomo Gesù (la ypostasis dell’uomo Gesù è l’umanità e non


la divinità). Così giungerà alla definizione “en-ypostasis”. Non si vuole negare l’essere divino, ma si cerca di attribuire una dignità nuova all’uomo Gesù: egli costituisce la persona di questo Gesù Cristo. Tutte le altre questioni che sorgeranno devono rimanere in sospeso, bisognerà sfumare i concetti molto di più di quanto si è fatto ora. Il concetto di persona applicato alla Trinità non è identico al concetto abituale di persona. Di un essere personale preesistente non sappiamo nulla: non possiamo né affermare qualcosa, né negarla. Se Dio sia trinitario in virtù della sua opera salvifica o indipendente da essa. Se la Trinità è economica, e precede quella immanente, o viceversa, per Schoonenberg non deve nemmeno essere trattata. Come possiamo parlare della seconda persona della trinità: post-factum (Verbum incarnatum)? oppure a partire da un Dio trinitario che in sé considera degno e opportuno incarnarsi (Verbum incarnandum)? Non possiamo apportare il termine umano persona alla vita intra-trinitaria. Il modello di tre persone preesistenti, per Schoonenberg, ci porta sempre ad un punto morto. Opta per un Dio in movimento, che muta con le relazioni che intreccia con l’uomo: l’immutabilità non deve essere inteso con immobilità. Il Dio dei Patriarchi, dei Profeti, di Gesù Cristo è un Dio mosso, è così che si fa “Emmanuel”. Per Schoonenberg Dio “diventa” trinitario nel suo agire nel mondo: Dio è trinitario. Schoonenberg e altri teologi speculativi intendono applicare alle formulazioni antiche della fede, dei Padri, delle definizioni conciliari, una lettura critica che nel campo della Scrittura ha dato dei risultati soddisfacenti. Interpretare i testi dottrinali nel loro contesto, oltre al testo: senza il primo non si può conoscere il secondo. Nelle formule dei Concili, molte volte, si è tentato di superare diversi punti di vista che venivano affermate dalle varie scuole; nonostante questo sforzo si è riusciti a superare queste divisioni (es. Calcedonia: da un lato si è riusciti a risolvere il problema, dall’altro ha provocato uno scisma permanente). Si cerca allora di separare il cuore, la res della definizione, dal linguaggio e dalle formule adoperate. Ci si congeda dall’idea che le parole dogmatiche siano eternamente assimilabili, ovvero che in ogni momento storico possano essere lette con la stessa intenzione con la quale furono scritte. (cfr. DH 4539: Mysterium Ecclesiae: “le enunciazioni dogmatiche talvolta necessitano di una maggiore chiarificazione secondo ciò che volevano rettamente significare”). La Pontificia Commissione Biblica ha voluto distinguere un linguaggio referenziale (quello utilizzato dagli autori del NT) da uno ausiliare (quelli utilizzati dalla Tradizione, dai Concili, dal Magistero, etc). Quest’ultimo non potrà mai acquisire una valenza maggiore di quello referenziale. Evitare il rischio di porre le proprie idee come assoluto, giudicando dall’alto ciò che è precedente alla nostra riflessione teologica.


LA VERITÀ STORICA DEI VANGELI Fino a che punto i vangeli abbiano un fondamento storico? La “Lieben Jesu Forschung”, Già verso il 170 d.C. Taziano compose una famosa armonia per superare le apparenti incongruenze dei Vangeli to (ev) dia tessaron (euangelion) Vangelo ufficiale della Chiesa Siriana per III sec. Poi, intorno al IV sec. Agostino scrive il “De consensu evangelistarum” per contrastare chi si opponeva alla verità del Vangelo. Questa normalità, il dare per scontato finisce con il tempo storico che chiamiamo Illuminismo: esaltò la ragione umana e l’indagine empirica. Uno di coloro che possono essere considerati illuministi è H. S. Reimarus propose una descrizione di Gesù diversa da quella dei Vangeli canonici. Gesù era un rivoluzionario giudeo che cercò di stabilire un regno messianico sulla terra. Il Cristo sarebbe una proiezione immaginaria di quanti avevano trafugato il corpo sostenendo la sua messianicità. E’ la prima volta che si mette in dubbio il racconto evangelico: un razionalismo empirico che esclude ogni metafisica e ogni intervento dall’alto o dal fuori della storia. Nel 1778 inizia quella crisi e tensione che possiamo constatare tra la cristologia e la ricerca storica. Convenzionalmente si distinguono due momenti: antica ricerca (Lieben Jesu Forschung) e una nuova ricerca (New Quest). Nel messo di questi due movimenti c’è un black-out: “No Quest”. Dopo seguirà una “Third Quest”. OLD QUEST (FIRST QUEST) Opposizione Gesù storico e Gesù della fede Tutto inizia con questi frammenti di Reimarus e l’analisi di Lessing. A partire da questo momento inizia una serie di “vite di Gesù”. Alcune di queste vogliono indagare il Gesù storico e non quello che fu abbellito dagli evangelisti. Si vuole indagare e cercare di chiarire meglio la storicità di Gesù (D. F. Strauss 1835: “Vita di Gesù” si basa sul principio che i Vangeli hanno abbellito la figura di Gesù; ciò che troviamo adesso è un mito. Il cambiamento fu talmente profondo e radicale che ormai è impossibile scrivere un resoconto stabile sulla vita di Gesù). Nel 1800 Bruwen va oltre la posizione di Strauss sostenendo l’inesistenza di Gesù e di Paolo. Guinot invece raffigura un Gesù più umano. Il Vangelo di Gv fu presto abbandonato, mentre fu preso come canonico Marco e la fonte Q. Anche il Vangelo di Mc, sosterrà ..., in fondo è il prodotto di una teologia. Bisogna demitologizzare la ricerca su Gesù: a chi affidarci? su cosa appoggiare una descrizione della vita di Gesù?. La prima grande critica mossa alla (Old Quest) “I Ricerca” fu espressa da un certo M. Kaehler che nel 1892 tiene una conferenza pubblica (Il cosiddetto Gesù storico e l’autentico Cristo). La critica sul piano della consistenza storica: non ricorre al cosiddetto Cristo della fede, o del dogma, ma c’è un Cristo biblico. Accanto al presunto Gesù storico possiamo ritrovare nei Vangeli un Cristo biblico che è quello che è vissuto (Der geschichtiche biblische Jesu). Da parte di Albert Schweitzer che pubblica nel 1906 in modo più sviluppato la sua tesi dottorale “Ricerca sul Gesù storico” (von Reimarus zur geschichte...) mostra l’inconsistenza storica della Old Quest e l’inconsistenza delle “vite di Gesù”: perché forte di un influsso soggettivo. Con Schweitzer si conclude la I Ricerca (Old Quest), ma rimangono dei dati validi:


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l’approccio storico critico (DV 12): la metodologia storico-critica deve essere affiancata da altri metodi ambientazione giudaica della figura di Gesù (approccio storico) lo sforzo di una sospensione del pensiero dogmatico nel momento in cui svolgiamo una indagine storica su Gesù.

NO QUEST Critica morfologica (Formgeschichte) e una teologia kerigmatica (1921-1953). Quest’ultima è segnata dalla pubblicazione di R. Bultmann (Storia della tradizione sinottica, 1921). Questa fase si concluderà con una conferenza di un suo discepolo, Kaesemann. Una la formgeschichte per classificare ciò che dice Gesù nei Vangeli e per giudicare la storicità di ciò che viene detto nei Vangeli. A questi due aspetti conferisce il giudizio di massima creatività dei primi cristiani. Una ricerca storica diventa dunque impossibile. Il pessimismo di Bultmann circa ciò che posso sapere di storico corrispondeva dalla sua formazione luterana nel principio teologico: la fede può essere davvero fede non può basarsi su “argumenta” storiche. Né a livello storico, né a livello teologico si deve investigare. La ricerca non ci porterebbe a nulla per la fede e il credo. La fede è piuttosto esistenziale. Per Bultmann è importante passare dalla “storia” (facta bruta: historie) alla storicità nel senso esistenziale (geschichte). La vera storia di Gesù non è scientificamente possibile e teologicamente sarebbe insignificante. Si apre un abisso tra il Gesù storico, ebreo, e la fede cristiani, degli apostoli. Alcuni elementi validi per i nostri giorni: - l’opera classica per la “Formgeschichte” rimane valida per lo studio delle forme redazionali, dei generi letterari - collocazione temporale di Gesù Cristo in ambiente ebraico - distinzione tra il Gesù della storia e quello della fede - i Vangeli non sono fonti neutrali per la nostra scienza su Gesù Cristo. Sono invece da respingere quattro aspetti: - assolutizzazione del metodo morfologico: basare tutta l’indagine sulla “Formgeschichte” (es. prescindere dalla comunità nella redazione) - assolutizzare la discontinuità e lo iato tra Gesù con la comunità cristiana - scetticismo storico di Bultmann, che sembra sollecitato dalla tesi luterana (sola fide) - atomizzazione effettiva dei Vangeli e la concezione troppo astratta del “sitz im leben” dei Vangeli NEW QUEST (SECOND QUEST) Con Ernst Kaesemann nel 1953 inizia una nuova tappa (“Il problema del Gesù storico”) denunciando il pericolo di ridurre il Gesù della storia ad un semplice mito. Sradicato dalla storia non ha più un significato, ma diventa cifra tra le tante cifre. Cerca di superare il fossato tra il Gesù storico e il kerygma. Se non c’è alcun collegamento tra il Signore glorificato dei Vangeli allora tutto il cristianesimo diventa un mito. Pone a Bultmann un questione: perché son stati scritti i Vangeli se bastava il kerygma? Secondo Kaesemann anche se i Vangeli non costituiscono una storia critica su Gesù, sono una memoria significativa del Gesù terreno. Per avvicinarci a quegli eventi storici pone dei criteri, di cui il più celebre è quello della “doppia


somiglianza”. Se c’è qualcosa di originale, di storico, si deve verificare una dissomiglianza con l’ambiente storico e con la chiesa primitiva (la tesi del paradosso). Inizia così la “New Quest” aprendo così la questione del Gesù storico apportando una nuova metodologia, i vari criteri, nella ricerca di Gesù. C’è anche qualcosa di negativo nel metodo di Kaesemann: - opposizione del Gesù storico all’ambiente giudaico e anche ad alcuni gruppi della Chiesa primitiva - opposizione tra il Gesù storico e le fonti storiche che possono parlare di lui. THIRD QUEST Questi aspetti negativi portano alla “Third Quest” su Gesù (1980). Uno degli autori di questa ricerca è N. T. Wright, che ha giudicatola precedente ricerca come un vicolo cieco. Quali sono le particolarità di quest’ultima ricerca? I ricercatori della Third Quest criticano - Alla Formgeschichte si critica il modo analitico della ricerca isolando il genere letterario dal contesto. - Il criterio della “doppia dissomiglianza” dell’ambiente giudaico e dalla comunità fa di Gesù uno schizofrenico che lo separa dall’ambiente in cui è vissuto, che da coloro che lui ha scelto. - La concentrazione sul Cristo della fede o del kerigma si abbandona il Gesù storico, e svisa la ricerca storica Le novità di questa ricerca: - Gesù è un ebreo (cfr. marginale). Recupero dell’ambiente storico-culturale giudaico: la prospettiva storica da recuperare - Tutto ciò che ha detto e fatto viene inserito in un contesto molto più ampio: si dà molta attenzione ad altri testi giudaici come la Mishna, oppure agli scritti di Giuseppe Flavio, ai rotoli del Mar Morto e il NT letto con gli occhi dell’ebreo, l’archeologia, etc. - Maggiore fiducia nell’affidabilità storica dei Vangeli canonici: c’è un certo ottimismo che ciò che leggiamo rispecchia la realtà - Sotto il profilo epistemologico si instaura un dialogo maggiore con le altre scienze umane, che non si dichiarano scienze sacre. Qual è il problema di fondo? Il problema che difficilmente si potrà risolvere è tra storia e teologia, oppure, tra verità storica e verità eterna. Il cristianesimo incorpora in sé due aspetti della Verità che non possono essere né separati né sintetizzati in un terzo aspetto (cfr. Hegel). Parte e dipende da verità storiche mentre pretende di arrivare attraverso queste verità, alla verità eterna. Non c’è però un terzo concetto che possa racchiuderle. E’ un problema sia filosofico che teologico. Se una Verità pretende di essere vera non può sottostare a condizionamenti contestuali né temporali, anche non sempre si dice in termini proprio la verità eterna si tratti (es. ci sono fenomeni materiali che rimangono sempre: gli angoli di un triangolo ; fenomeni logici, come il principio di non contraddizione, indipendenti dal tempo) conosciamo certe verità che pretendono di avere una valenza atemporale, astorica, chiamate a pieno titolo verità eterne. Se una verità non è soggetta al tempo, non è contingente, è una verità necessaria. da qui l’equivalenza pratica dei due termini: verità eterna=verità


necessaria. Questo linguaggio risale già ad Aristotele. Con l’Illuminismo la distinzione di Aristotele viene ripresa la distinzione: verità di ragione e verità di fatto. Qual è la differenza? Le prime sono necessarie, esistono a-priori, per cui non sottostanno al tempo, e non è possibile pensare il contrario senza cadere in contraddizione; le verità di fatto, sottostanno al tempo, può dunque sopraggiungere il contrario, ed è possibile pensare il contrario senza incorrere in una contraddizione. Queste ultime riguardano la storia e i singoli eventi. Colui che ha messo a fuoco questa distinzione è Lessing: “casuali verità storiche possono diventare la prova di verità eterne”. Egli iniziò la ricerca del Gesù storico “Lieben Jesu Forschung. Valutazione finale Il protestantesimo liberale del 1800 cercava di arrivare ala Gesù della storia sostituendo una teologia dogmatica, dei Concili, con una più critica, fondata su una ricerca storiografica della nostra fede. Le indagini che cercavano di decostruire il dogma, e ricostruire la storia, giunsero a risultati così contrastanti tra di loro che ritennero la ricerca sul Gesù storico impossibile. Da parte cattolica Lagrange riconobbe l’utilità di questa ricerca e arrivò a postulare la storicità integrale di tutti i dettagli dei Vangeli: non si vedeva bene come risolvere il problema del protestantesimo. La Pontificia Commissione Biblica parla di ricerca storica e incappa in un vicolo cieco. Ci sono però nuovi e importanti contributi: il principio di oggettività dell’indagine scientifica. Si comincia a sfumare il concetto perché si comprende che non si può applicare indiscriminatamente ad ogni scienza. Bisogna cercare di evitare alcuni estremi: - uno studio su Gesù Cristo non è neutro: chiunque scriverà su di lui apporterà un contributo personale e mai oggettivo-neutrale - non basta accostare altri testi tra di loro - bisogna considerare la continuità storica tra la vita in Galilea con i discepoli e ciò che i discepoli testimoniano su di lui alla Risurrezione. - rimane irrisolto il conflitto tra la verità storica e la verità eterna. EBRAICITÀ DI GESÙ Sia i cristiani sia gli ebrei hanno fatto difficoltà in tempi passati a considerare Gesù come ebreo. Nei sec. XX-XXI diversi sono stati gli sviluppi della cristologia sotto questa prospettiva. A differenza della Chiesa cattolica il giudaismo non è strutturato in modo gerarchico, quindi, non si può prendere una dichiarazione come ufficiale: ogni autore propone una personale prospettiva. Rassegna di autori ebrei che hanno parlato di Gesù: - Claude Montefiore, esponente del giudaismo in Inghilterra. Il primo a scrivere un commento ai Vangeli simpatetico al Cristianesimo da un punto di vista ebreo. Parlavo in modo così irenico del cristianesimo che venne accusato di essersi avvicinato troppo ai cristiani. - Joseph Klausner, ha cercato di capire e presentare Gesù nel suo contesto storico. L’originalità del suo libro presenta uno studio su Gesù ad un pubblico ebreo in ebraico. Sottolinea fortemente l’ambiente ebraico in cui è vissuto e in cui si situa il suo insegnamento. Critica Gesù di essere andato troppo oltre per la sua pericolosa etica, separando la prassi e il culto. - Juile Isaac, durante la dominazione nazista scrive un libro mostrando


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l’ebraicità di Gesù e dei suoi discepoli. Si difende dall’accusa di deicidio e soprattutto dall’antisemitismo proveniente dal cristianesimo (“perfidi ebrei”). Samuel Sandmel (1960), scrive “Noi ebrei e Gesù”. Traccia lo sviluppo storico della comprensione di Gesù da parte dei cristiani e dagli ebrei, per una maggiore comprensione reciproca. Shalom Ben Chorin, ha scritto più di 20 libri sul rapporto tra cristiani ed ebrei. Ha l’intento di far capire ai cristiani le loro radici nell’ebraismo (cfr. Rm 11: metafora dell’olivastro). “Fratello Gesù, un punto di vista ebraico”. Gesù era un ebreo del suo tempo da comprendere esclusivamente sotto questa prospettiva. Fa sua una citazione di Martin Buber: “Sin dalla mia giovinezza ho avverto la persona di Gesù come mio fratello. Che la cristianità lo consideri come Dio e Redentore mi sembra un caso di massima serietà...”. Il suo Gesù viene collocato tra la schiera dei farisei, anche se di un gruppo interno di opposizione. Sappiamo bene che non possiamo comprovare questa affermazione in modo storico, però possiamo cogliere quest’idea come una delle idee su Gesù come ci appaiono nei testi evangelici. Sotto la vesta greca dei Vangeli si nasconde una matrice originaria ebraica, perché sia lui che i suoi discepoli sono ebrei. Un’altra ipotesi: Gesù era sposato poiché in nessuno dei vangeli e di Paolo si parla di questo aspetto. Pinkas Lapide, molte su pubblicazioni sono nate da conferenze e da confronti con teologi. Il libro più provocatorio è “La resurrezione, un’esperienza di fede ebraica”: sostiene l’idea che la resurrezione individuale era presente nel giudaismo di Gesù. Gesù, allora, potrebbe essere resuscitato come le altre risurrezione e poi successivamente esser nuovamente morto. Bisogna distinguere nelle sue opere, le affermazioni che si fondano sulle fonti ebraiche e le altre che cercano di produrre un effetto mediatico. David Flusser, conosciuto soprattutto per gli studi sui rotoli del Mar Morto. Nel suo libro più famoso cerca di far capire meglio la figura di Cristo con un giudaismo genuino, e si oppone a un fariseismo critico. Vuole liberare i cristiani da ciò che considera uno scetticismo esagerato degli esegeti cristiani. In un ulteriore libro ha cercato di capire l’essenza delle parabole per far vedere il rapporto con le parabole rabbiniche: “Capiamo le parabole di Gesù in modo corretto se le consideriamo come parabole rabbiniche”. Flusser considera autentici esclusivamente quei testi di Gesù che si allineano con i rabbini del suo tempo: vige il metodo della somiglianza e non della dissomiglianza. Gesu Vermes, scienziato particolare di nascita ebreo, cresciuto da cristiano e ordinato sacerdote, dopo ritornato ebreo. Ha scritto un libro che ha fatto scalpore: “Gesù l’ebreo. Lettura dei Vangeli da parte di uno storico”. E’ diviso in due parti: la vita e l’insegnamento di Gesù (l’ambiente della Galilea e un giudaismo carismatico di cui conosciamo alcuni esponenti galilei) e nella seconda parte vuole presentare i titoli dati a Gesù (titoli cristologici: profeta, Signore, Messia, Figlio di Dio, Figlio dell’uomo; li accetta tutti tranne quello di Messia, che Gesù non avrebbe mai accettato quando glielo attribuivano; “Figlio dell’uomo”, invece, non sarebbe altro che una circumlocuzione del pronome personale “io”: in questo modo ci sarebbe un depotenziamento di questo titolo togliendo tutti i sensi a cui facciamo riferimento (Dn 7,13; 2Enoch, 37-41). Lo scopo non è dunque religioso, ma storico, come si evince dal sottotitolo al libro. Vuole evitare preconcetti teologici, ma solo con gli


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occhi della storiografia. Harvey Falk, “Gesù il fariseo”. Riprende la proposta di inserire Gesù nel gruppo dei farisei. Riprende una proposta di alcuni secoli prima del rabbino J. Hemden, per cui Gesù è venuto espressamente a fondare una religione per i gentili. Questa religione sarebbe basata sui sette comandamenti di Noè. Sono valori fondamentali e generali dell’umanità. Di questi sette comandamenti ne esistono diverse varianti: secondo il Talmud Babilonese si dice: “I nostri dottori sostengono che sette comandamenti sono stati imposti ai figli di Noè: (un precetto) istituire magistrati; (sei divieti) sacrilegio, incesto, ..., omicidio, furto, uso delle membra di animali. Neusner, critica Gesù nel suo discorso della montagna. Accetta le differenze e le alterità dell’altro, ma accanto a tanti libri che accomunano Gesù a tanti ebrei, sottolinea la differenza di Gesù per gli ebrei di quel tempo. Discute dialogando, come è uso dei rabbini, sul modo di vedere la Torah per Gesù e per un ebreo del I secolo. Gesù in qualche modo si sostituisce alla Torah. Pretende di prendere il posto della Rivelazione data a Mosè. Rifiuta il discorso della montagna perché presenta la pretesa di divinità di Gesù.

Riflessioni teologiche Per secoli, fino al 1900, Gesù veniva presentato soprattutto dalle stesse fonti ebraiche come un taumaturgo o come un seduttore di Israele. Stranamente oggi nessuna delle fonti ebraiche ha negato che Gesù ha compiuto miracoli. Ciò che si diceva su di lui era l’aver sedotto Israele e per questo messo a morte. A partire dalla seconda guerra mondiale comincia a sorgere una nuova visione di Gesù nell’ebraismo. M. Shagal all’inizio della guerra, nel 1938, dipinge una Crocifissione bianca presentando una pittura classica del crocifisso. Nel 1944 non dipinge più il crocifisso, ma “i crocifissi”: ritraendo tanti suoi connazionali crocifissi lungo la strada (alludendo alla strage dei nazisti). Uno psicologo discepolo di Jüng incomincia a distinguere nella propria religione un Messia trionfante e un Messia sofferente e il Messia Figlio di Giuseppe, che deve morire, e il Messia di Davide, che deve invece trionfare (uno scienziato ebreo ha trovato appoggi di questo nel Talmud). Shalom ben Chorin trova il nesso tra Gesù e Israele: “Gesù continua a vivere non solo per coloro che credono in lui, ma anche nel suo popolo del quale impersona il martirio”. C’è dunque una appropriazione ebraica di Gesù: il servitore sofferente di Isaia (Is 53). Sorge anche in campo ebraico la discussione se questo Gesù di Nazareth come individuo possa essere compreso come sofferente del suo popolo. C’è una certa discussione tra gli studiosi ebrei se questa rappresentazione possa essere veritiera secondo Is 53, oppure, secondo Is 42. Ciò ha certamente delle ripercussioni per la soteriologia: se qualcuno nega che Gesù sia il sofferente di Is 53, non si potrà avere un valore espiatorio del sacrificio di Gesù che per il popolo, mentre se si accetta questa visione, si deve andare oltre i limiti del popolo ebraico. Tale morte ha avuto un valore salvifico ed espiatorio per l’umanità intera. Valutazioni conclusive Per comprendere la persona di Gesù bisognerebbe studiare di più l’ambiente giudaico di Gesù, l’AT, e tutti quei testi che per gli ebrei compongono la Torah (Mishna [cfr. Dt 17,18] e il Talmud). Ci sono molti parallelismi tra il NT e la letteratura giudaica. Nel XX sec. è avvenuto un passo in avanti da parte degli ebrei, superando un’animosità secolare con il cristianesimo, approfondendo la figura di


Gesù. Si evidenzia così la giudaicità di Gesù, da cui abbiamo molto da imparare. Alcuni studiosi ebrei sono riusciti a cogliere alcuni elementi di Gesù che sono stimolanti per noi: Gesù come fratello (dimensione personale di ben Chorin e Buber), l’aspetto farisaico (Flusser), l’aspetto taumaturgico (Vermes), la passione di Gesù e la sua interpretazione come il Servo di Jhwh (ben Chorin e Buber). Alcuni autori, come Sandmel, sottolineano la filiazione divina di Gesù riferendola a Paolo, che l’avrebbe successivamente coniato. Si tratta di un approccio vicino alla Religion Judeisch geschichte che le vede sorgere dopo la Pasqua. Due possibili rischi nell’approccio ebraico: - se un tale approccio vuole essere assoluto, spiegando esclusivamente la persona di Gesù Cristo; - se Gesù viene visto con gli occhi di un dottore di quell’epoca, o taumaturgo, porterà alla tesi di partenza. Da quale punto parte l’indagine? Le conclusioni potrebbero confermare ciò che è dato dalle premesse. Sottolineare che Gesù assomigliasse a personaggi della sua epoca, come i farisei, si configura come una disputa tra fratelli. Fa parte della mentalità ebraica intraprendere discussioni infuocate. Questo approccio rischia di sottovalutare o non ammettere che la crisi tra ebrei, dopo la morte di Gesù, era un “litigio di famiglia”. *** Kampenhausen: rettore di Heidelberg nel 1945. Agostino nel De Civitate Dei è riuscito ad integrare la storia della teologia e la teologia della storia. C’è il recupero della storia in ambito teologico. Si presenterà alcuni approcci alla cristologia che hanno come tema fondamentale la storia. Cullmann, Pannenberg, Moltmann con aspetti diversi cercheranno di seguire questa proposta di Kampenhausen: recuperare la storia nella teologia. OSCAR CULLMANN Teologo evangelico, luterano, tedesco (francese). Ha insegnato nella facoltà di Basilea. Un anno dopo la prolusione di Kampenhausen, nel 1946, pubblica “Cristo e il tempo. La concezione del tempo e della storia nel cristianesimo primitivo”, in cui cerca l’elemento centrale, l’essenza, del cristianesimo (cfr. Harnack). Prosegue la via preparata da Barth, con una esegesi oggettiva, di contenuto. Mentre Harnack utilizza un metodo filologico, Cullmann ne segue uno storico-teologico. Il termine “historia” non ricorre mai nel NT, ma i messaggi salvifici si collocano in un momento temporale. I messaggi storico-salvifici sono kairoi, tempi propizi a favore dell’uomo. L’intreccio di questi vari kairoi costituisce una linea temporale ascendente, che inizia con la creazione e va verso la parusia. Questo susseguirsi di tempi propizi costituisce la storia della salvezza, nonostante l’assenza del lemma nel NT. La storia della salvezza ha una peculiarità per due motivi: - la concezione greca del tempo era ciclica: la salvezza può soltanto significare una limitazione dal tempo: uscire dal gioco del tempo che mi fa ritornare alle stesse cose. La Bibbia, invece, ha una visione rettilinea della storia. Non si tratta, infine, di una linea rettilinea, ma di una linea sinusoidale, ondulata. - per il giudaismo la linea tempo non avrebbe un centro: partirebbe dalla creazione senza un punto di riferimento centrale. Nella visione cristiana Cristo è il centro della storia: tra i tanti kairoi lui è il Kairos della storia.


La cultura greca non conoscerebbe attesa, in quanto ciclica. Il giudaismo vivrebbe soltanto dell’attesa. Il cristianesimo vivrebbe in questa tensione tra un già, adempiuto, e un non-ancora, non ancora compiuto. Cullmann parla di questo attraverso l’esempio della battaglia: tratto naturalmente dal contesto storico che stava vivendo, la II guerra mondiale. Propone una visione affascinante: con la caduta dell’uomo, inizia in Dio una storia della salvezza in senso vero e proprio. Per redimere Adamo (come personalità collettiva: umanità) Dio deve decidersi a scegliere un popolo rappresentativo dell’’umanità, Israele. A causa della defezione di Israele, deve scegliere Gesù Cristo, in rappresentanza dell’umanità. Da quel punto si assiste non più ad una riduzione del procedimento, ma una universalizzazione: apostoli, chiesa, umanità, tutto il creato. Da un punto di vista formale il punto decisivo è l’ephapax (cfr. Eb): una volta per sempre. Si tratta di un evento unico, che costituisce la sua decisività. Nella prospettiva storica: il passato è l’attesa; il futuro è il compimento di questa attesa; il presente è la tensione tra il passato e il futuro. Qual è il rapporto tra la “storia universale” e la “storia della salvezza”? Cullmann propone un linguaggio simile a quello conciliare di natura e soprannatura. Per Cullmann questa striscia sottile che è la storia corrisponde alla persona di Gesù Cristo, che ha un valore universale. Esiste tra queste due storie un rapporto tra la redenzione e la storia in un progresso di sviluppo: l’uomo deve decidersi se prestare la sua fede, o no. L’uomo viene inserito in una sua personale storia della salvezza con Dio: nel singolo si stabilisce una tensione tra ciò che è accaduto con Cristo e ciò che dovrà compiersi. Qual è il retroterra della teologia di Cullmann? Guardando alla teologia patristica potremmo intravvederla in Ireneo di Lione: una economia della salvezza di Dio. Nel 1600 troviamo un teologo riformato, Coch o Coccejus, che propone una teologia del patto e una teologia della salvezza. Nella scuola teologica di Tubinga protestante arrivò a proporre una storia della salvezza con categorie salvifiche. In Cullmann rimane però una sintesi dovuto al contesto suo immediato: il concettualismo della scolastica, e il forte accento sulla teologia della Parola di Dio. Søren Kierkegaard riflettendo sulla propria fede evangelica propone una teoria della fede, come contemporaneità a Gesù Cristo. La storia della salvezza personale mi rende contemporaneo di Cristo. Albert Schweitzer parla di un’escatologia conseguente: è una realtà proiettata esclusivamente da attendersi, non è né presente né passata. Ch. H. Dodd parla di una escatologia realizzata concentrandola sull’avvento del regno di Dio: con l’incarnazione di Cristo. Per Bultmann la storia della salvezza sparisce, e rimane la mia decisione riguarda la mia salvezza, da decidersi nell’attimo. Un’ulteriore osservazione sul suo titolo: Cristo è il centro della storia e per Bultmann la fine della storia. Con Cristo si inaugura un tempo in cui si deve decidersi. Per Cullmann invece si inaugura una nuova divisione del tempo che deve essere interpretata secondo la dialettica del già e del non ancora. Per Bultmann ciò che è decisivo non è il kerygma, ma la storia, è il decidersi personale nella mia vita: è un ambito puntuale quando mi decido per Cristo. Culmann sviluppa il concetto di ephapax come “sempre, ogni volta, adesso”. W. PANNENBERG “Cristologia. Lineamenti fondamentali”. Quali sono i motivi che portano a scrivere su una ricerca cristologica? Nella cristologia ci sono varie tensioni (es. scuole di Alessandria e di Antiochia) e la dominanza della teologia della parola, in ambito


protestante, che dovrebbe cedere il posto ad una teologia della storia. Una precisazione su questo secondo motivo: “Questo compito di approfondire temi cristologici appare urgente sia in riferimento alla teologia della storia che dei limiti che si sono verificati, dipende dalla comprensione del Cristo che essa comporta: realizzazione anticipata della fine nella comparsa di Gesù. Questa doveva essere saggiata nella complessità della teologia della storia...” Cristologia come realizzazione anticipata della fine In questa citazione Pannenberg sottolinea due aspetti significativi della sua cristologia (cfr. sette tesi sulla rivelazione come storia): - sottolinea il tema della rivelazione come storia (IV tesi: La rivelazione universale di Dio non è avvenuta ancora nella storia di Israele, ma nella vita di Gesù Cristo in quanto essa anticipa e realizza la fine della storia) - si propone una teologia seguendo la via storiografica, che comporta alcuni problemi. In Cristologia esistono due vie di accesso: - dall’alto: via che è stata prevalemente seguita dalla Chiesa antica (es. Ignazio di Antiochia). Non può essere seguita per tre motivi: 1. presuppone la divinità di Gesù: il compito della cristologia è fornire le ragioni che portino alla divinità 2. tende a decurtare e ridurre lo spessore storico di Gesù. 3. si pone dal punto di vista di Dio. Un punto di vista teologico sarebbe sempre condizionato dall’uomo. - dal basso: partire cioè dalla storia, dove troviamo Gesù di Nazareth che la chiesa crede e professa come il Cristo. Ma da quale punto storico partire? Fino a poco tempo prima (cfr. Keller, Altahaus, etc) si era svolta una analisi storica che partiva dal kerygma, formula frutto di una elaborazione teologica; bisogna piuttosto andare ancora indietro al Gesù storico: ri-levare, far emergere, quella storica di Gesù che è la Ri-velazione di Dio in Gesù. Si compie un giro che per quel tempo e la teologia protestante è importantissimo: parte dalla Rivelazione di Dio nella storia di Gesù, per arrivare in seguito al kerygma della storia. Distinzione tra il Gesù in se stesso e il Gesù per noi: la separazione tra cristologia e soteriologia nella teologia protestante (ciò che importa è l’aspetto soteriologico: Gesù per me, e non in sé). Possiamo capire, dice Pannenberg, ciò che Gesù è per me solo considerando ciò che Gesù è in sé. La teologia dal basso è stata oggetto di un articolo di Pannenberg dieci anni dopo la pubblicazione del libro. In esso si voleva precisare la peculiarità e la problematicità della cristologia dal basso: riconosce così le istanze filosofiche presenti nei suoi “lineamenti” che inducono alla scissione tra la cristologia e la trinitaria. Come procede nella sua teologia dal basso? Come è possibile riconoscere la divinità di Gesù? Negli anni ‘60 e ‘70 chiunque praticava una cristologia dal basso, a partire dal Gesù storico, non si fondava su Dio, ma sulla autorità che Gesù rivendica nella sua predicazione. Si cercava una cristologia implicita nelle parole di Gesù: considerato punto di inizio per una ricerca sul Gesù storico. Ma per Pannenberg questo punto di partenza non può fondare la pretesa di autorità da parte di Gesù e il rapporto con Dio. A quale pretesa presto la mia fede? Ci vuole una conferma indipendente da questo Gesù Cristo, distante dall’oratore. La conferma avviene nella


risurrezione di Gesù: Dio ha risuscitato quella persona che diceva di essere il Figlio di Dio. Per la sua cristologia storica la risurrezione è il fondamento storico di una cristologia dal basso, che vuol partire dalla storia. Per il cristianesimo primitivo la risurrezione era considerata il fondamento storico. Una cristologia dal basso parte dalla risurrezione di Gesù come fatto storico. Effettivamente la domanda che sorge è come si può considerare la risurrezione come fatto storico? Non bisogna considerare la risurrezione in senso positivistico, ma come fatto storico che è inserito in un contesto di tradizione, ha un suo significato nel contesto di quelle persone che parlano di risurrezione. avrebbe, inoltre, un carattere prolettico, con riferimento alla escatologia, e un carattere dimostrativo, perché si dimostra la rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Pannenberg si sofferma su due aspetti: - le apparizioni del risorto - la tomba vuota Le apparizioni considerate dalla prospettiva di Paolo in 1Cor 15, perché quelle raccontate dai Vangeli avrebbero un involucro leggendario. Apporta una distinzione tra il “fatto” della risurrezione, che sarebbe reale, perché risale alle esperienze degli apostoli; e la “natura” della risurrezione, della quale non possiamo dire nulla, ma solo che tutti i testimoni hanno riconosciuto Gesù di Nazareth. La tomba vuota è l’altro elemento analizzato. Cosa viene raccontato prima le apparizioni in Galilea o la risurrezione a Gerusalemme. Pannenberg dice che prima è stato scoperto il sepolcro vuoto e poi ci sarebbero state le apparizioni. Il primo può confermare ciò che è avvenuto a Gerusalemme e viceversa. Le obiezioni contro la risurrezioni possono essere tre: - storico - scientifica - teologica Storica. Si può dire che siccome la risurrezione di Gesù è, o pretende di essere, senza analogia alcuna non si può indagare secondo una ricerca storiografica. Bisogna allargare - secondo Pannenberg - il metodo storico-critico perché dovrebbe individuare non solo ciò che è simile, ma anche ciò che è dissimile ad un’esperienza fatta, senza analogia.


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