Global Science 11/2015 - Scansioni di luce

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OTTOBRE 2015

SCANSIONI DI LUCE global science - 1


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L’EDITORIALE di Giovanni F. Bignami, Accademico dei Lincei

on mi è mai stato chiaro perché se si tratta di scienza, quando ci si rivolge al grande pubblico, si parla di divulgazione e non di comunicazione o informazione, come per il resto dei possibili argomenti oggetto dell’attenzione dei media. Anzi ne ho una esatta percezione: si crede che la scienza sia qualcosa non alla portata di tutti, e quindi non basta comunicarla, informare sui passi avanti della ricerca, ma occorre divulgare, fornire anche gli strumenti adatti a che l’informazione sia correttamente recepita. Eppure questo non capita con la politica o l’economia, sebbene entrambi questi settori siano tutt’altro che semplici da comprendere, ma viene lasciata al lettore la capacità o meno di comprendere ed eventualmente approfondire. Questo diverso approccio condiziona gli stessi ricercatori: in alcuni casi si chiudono in se stessi, in altri invece si pongono il compito di divulgare, un po’ come i missionari accompagnavano gli eserciti per divulgare la Cristianità. Si chiama indottrinare. Non c’è niente di male a fare il divulgatore e meno ancora ad insegnare, ma non è la stessa cosa di comunicare e informare. La divulgazione ha modalità e luoghi molto diversi e anche più rigidi rispetto alla comunicazione. Questa rigidità alla fine porta ad una rigidità di linguaggio, nella paura di essere imprecisi si diventa complessi e così la divulgazione diventa un prodotto per iniziati e/o discepoli. E non dovrebbe essere così: la scienza non è statica, è un divenire e come tale raggiunge traguardi, che sono notizie. E queste vanno comunicate. E non bisogna saper giocare a calcio per sapere di un risultato, o guidare una moto per essere informati sulle gare di Valentino Rossi. O saper di medicina per seguire il dibattito sulle staminali. Per questo insisto nel definirmi un uomo di comunicazione piuttosto che un divulgatore. Penso di esserlo in tv, come nei quotidiani, che

“La scienza non è statica, è un divenire e come tale raggiunge traguardi, che sono notizie”

scriva o venga intervistato, nei libri come sul palco di qualche auditorium. Per lo stesso motivo credo nella scommessa di Global Science, una free press, dedicata alla scienza. Certo accompagnare i festival alla scienza con le sue prime apparizioni può apparire conservativo, è, in effetti, un pubblico già interessato. Ma solo interessato, come lo è chi legge di politica e guarda i confronti in tv. È un buon pubblico per misurare se promuovere e pubblicare Global Science sia stata o meno una buona scelta.

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OMMARIO

N.02 - OTTOBRE 2015

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“L’editoriale” DI GIOVANNI F. BIGNAMI

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“Global Science: il frutto dell’esperienza” DI CIPRIANI / REA

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“L’Italia del festival” DI ELEONORA FERRONI

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“La luce accompagna la vita” DI FRANCESCA ALOISIO

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“L’astronomia spaziale di HST compie 25 anni” DI ELEONORA FERRONI

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“Particelle da Nobel” DI REDAZIONE

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“Molecole di luce? La spada laser è vicina” DI MARCO MALASPINA

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“Il mondo sotto i riflettori dei LED” DI ELEONORA FERRONI

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“Quel 95% che non conosciamo” DI MARCO GALLIANI

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“Una concreta avventura marziana” DI DAVIDE MONASTRA

Global Science Supplemento d’informazione scientifica Media INAF in collaborazione con Globalist Reg. Tribunale Bologna n. 8150 dell’11.12.2010 4- global science

direttore responsabile Francesco Rea direttore scientifico Giovanni F. Bignami direttore editoriale Gianni Cipriani progetto grafico Paola Gaviraghi

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“Il 2015 celebra la luce” DI REDAZIONE

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“I programmi spaziali e l’uomo” DI LUCA PARMITANO

grafica Davide Coero Borga coordinamento redazionale Eleonora Ferroni redazione Media INAF - Globalist web www.media.inaf.it - www.globalist.it


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di Francesco Rea - direttore di Media INAF @francescorea

L’incontro tra Media INAF e Globalist è stato quasi naturale, due esperienze basate sulla voglia di fare e di dimostrare che, grazie alle nuove tecnologie, c’è spazio per fare buona informazione, generalista o scientifica che sia, superando le autorefenzialità che spesso caratterizzano i media classici. Non solo, le nuove tecnologie permettono di sfruttare al meglio le sinergie, anche tra testate differenti, molto differenti. A Globalist serviva una redazione scientifica, a Media INAF un via per raggiungere un pubblico più generalista. E la partnership ha funzionato e continua a funzionare. Non è l’unica partnership che ha Media INAF, né l’unica attività che caratterizza la comunicazione dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e non potrebbe essere altrimenti. La comunicazione di un ente deve avere una strategia univoca da raggiungere però con un raggio di azione ampio, il più possibile fatto di sinergie. Global Science è un esempio di questa ricerca di sinergie: è frutto infatti di una sinergia esistente come quella tra Globalist e Media INAF, accomuna l’esperienza del free press vissuta dalla direzione di Globalist alla specificità scientifica di Media INAF, si rivolge al pubblico dei festival della Scienza amplificando la comunicazione sulla presenza che ha l’INAF in queste manifestazioni, rafforzando i rapporti con gli organizzatori dei festival che possono vedere in questa nuova testata un ulteriore media per promuovere l’evento.

di Gianni Cipriani - direttore di Globalist @globalistIT

Il termine free press è stato spesso associato all’idea di un giornale di serie B, ossia un usa e getta di bassa qualità, capace di dare qualche notizia ma senza realmente informare. Questa concezione era stata superata dai cosiddetti high quality free press (in Italia lo straordinario fenomeno di E-Polis) che hanno dimostrato che anche il modello free avrebbe potuto garantire una informazione di alta qualità.

GLI EDITORIALI

Poi, come è noto, la crisi generale che ha particolarmente colpito l’editoria, la chiusura di molte testate, il ridimensionamento di alcune, la presenza di alcuni editori/pirata (non tutti, ovviamente) che ne hanno approfittato per portare il giornalismo nel far west e testate prestigiose ridotte in pillole pur di fare affari a buon mercato con buona pace della missione dell’informazione. Dire quindi che Global Science è il primo free press che si occuperà di scienza e vuole dare un contributo alla comunicazione scientifica non deve però far correre un brivido alla schiena dei lettori. Perché la nostra ambizione è quella di coniugare la “gratuità” con la “qualità”, che è poi qualcosa che – lo dico senza presunzioni – è nel Dna sia di Media INAF che di Globalist. Abbiamo scelto di partire a cantiere aperto e, a tutti gli effetti, questa edizione la potremmo tranquillamente definire un numero zero e per questo mi scuso in anticipo delle eventuali imperfezioni che correggeremo. Ma abbiamo scelto di partire perché il giornalismo si fa e non si teorizza. E questo, ovviamente, nonostante tutti sappiamo che senza un pensiero la sola prassi non basta. Grazie a Media INAF per aver accettato questa sfida insieme con noi. E grazie a tutti i lettori che con le loro osservazioni, i loro suggerimenti e le loro critiche potranno aiutarci a crescere. Il cammino è appena cominciato. Non sarà affatto facile ma: per aspera ad astra.

GLOBAL SCIENCE IL FRUTTO DELL’ESPERIENZA

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“Grazie a Media INAF per aver accettato questa sfida insieme con noi”


Philae è tornato

L'innovazione si chiama CTA www.globalist.it

Il Cherenkov Telescope Array sarà il più ambizioso sistema di telescopi per lo studio dei fotoni di altissima energia. INAF contribuisce con ASTRI

LA FORZA DELLA GRAVITà Philae, il piccolo lander della missione ESA Rosetta, è il primo strumento fabbricato dall’uomo a posarsi sul nucleo di una cometa

Estate con le stelle

Scoprite il cielo d'estate con gli eventi organizzati dagli osservatori e dagli istituti INAF

INAF

La straordinaria energia emessa da un buco nero affascina la comunità astronomica italiana e del mondo

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LA TUA FINESTRA SULL’UNIVERSO

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DAL CINEMA ALLA SCIENZA

L’ITALIA DEI FESTIVAL di Eleonora Ferroni @ele_ferroni

talia paese dei festival. Del cinema, della scienza, dei documentari, della matematica, della filosofia, del sociale, dell’ecologia, del giornalismo, dei fumetti. E poi altri dai temi improbabili e impensabili. I festival sono tanti e troppi da elencare, basti pensare che solo in Italia ogni anno vengono organizzati ben 30 festival del cinema (e nel mondo di importanti se ne registrano 360 – quasi uno al giorno). Insomma, abbondanza e confusione caratterizzano questo mondo. Ormai la parola festival è utilizzata per indicare qualsiasi manifestazione che riunisca diversi eventi attorno a un’unica macro tematica. Per questo il termine ha perso il suo significato originario legato a eventi eccezionali da celebrare in via del tutto eccezionale, ciò che quindi – almeno in teoria – non dovrebbe accadere tutti i giorni. Oggi non è così, e non parliamo soltanto dello sfavillante mondo della macchina da presa (tv o cinema): in ogni città (in Italia e nel mondo) e quasi ogni giorno dell’anno vengono organizzati festival con al centro un tema qualsiasi e la scienza è tra gli argomenti preferiti, anche perché richiama un gran numero di visitatori. A volte, però, sembra quasi che l’argomento passi in secondo piano: insomma, l’importante è organizzare un festival (la stessa cosa vale per i convegni). Detto ciò, sarebbe ingiusto non riconoscere la qualità e l’importanza di alcune di queste esperienze, come il Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, ormai famoso in tutto il mondo anche se nato solo da pochi anni (nel 2010). Come detto, tanti i festival della scienza in Italia, che di anno in anno si moltiplicano: sono molte le città che dedicano parte dell’agenda culturale alla divulgazione scientifica per bambini e adulti, esperti e non. Dopo il successo del Festival Internazionale della Scienza di Edimburgo (nato nel 1989 e oggi diventato uno dei più grandi festival scientifici d’Europa), l’aprifila in Italia è stato il Festival della Scienza di Genova, la cui prima edizione (quest’anno siamo alla 13esima) risale al 2003

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“La parola festival ha perso il suo significato originario”

(la seconda edizione avrebbe dovuto unire Genova e Torino). L’esito positivo di questa manifestazione è dimostrato dai numeri del 2014: oltre 180 mila visite in dieci giorni, quasi 300 eventi organizzati in 54 location, 350 relatori e centinaia di giornalisti e divulgatori che hanno raccontato la manifestazione. L’esperienza di Genova ha portato alla nascita di tanti altri piccoli (ma in crescita) festival scientifici nel resto del Bel Paese: Bergamo e Perugia (nati con Genova ma con un respiro decisamente più nazionale), Settimo Torinese (ormai alla terza edizione), Roma, Cagliari, Foligno, Civitanova Marche, Palermo e tante altre città. Alcune di queste manifestazioni, come quella di Genova, sono ormai un punto di riferimento da anni per il mondo della divulgazione scientifica, per i ricercatori, per studenti e famiglie e per tutti gli appassionati di scienza in Italia, ma limitate purtroppo dalla connotazione territoriale.


INAF www.globalist.it al festival L’Istituto Nazionale di Astrofisica è presente a Genova con diverse conferenze, installazioni e spettacoli. Come quelli messi in scena dai planetaristi dell’associazione Sofos di Bologna dal titolo “A cavallo di un raggio di luce” e “Il cielo d’ottobre”, nel planetario allestito a Palazzo Ducale nel cortile maggiore. Lunedì 26 ottobre alle ore 21, sempre a Palazzo Ducale, nella Sala del Maggior Consiglio, Giovanni Bignami (accademico dei Lincei già presidente dell’INAF) terrà un incontro dal titolo “Oro dagli asteroidi e asparagi da Marte. Realtà e miti dell’esplorazione dello spazio”. A moderare l’evento Francesco Rea. Mercoledì 28 ottobre alle ore 21, invece, non perdetevi lo spettacolo teatrale dal titolo “8558 Hack”, una produzione Inaf - Ferrara Off presso Palazzo Ducale nella Sala del Maggior Consiglio.

Cosa non bisogna perdere Una settimana di laboratori, mostre, incontri, caffè scientifici, spettacoli e tanto altro.

23 ott. 24 ott. ore 17 Coop -1 nov. Libreria Porto Antico Galata Museo del Mare Fotonica in gioco: le mani in pasta A cura di CNR Istituto di Fotonica e Nanotecnologie

La strana storia della luce e del colore. Da Keplero alla fisica moderna Incontro con Rodolfo Guzzi

25 ott.

ore 18:30 Palazzo della Borsa, Sala delle Grida Marte, l’ultima frontiera. Nuove tecniche per trasferimenti orbitali Incontro con Marcello Coradini e Francesco Topputo modera Fabio Pagan

27 ott.

ore 16:30 Palazzo della Borsa, Sala delle Grida Luce liquida. La fotonica: dallo studio dei cristalli alle applicazioni tecnologiche Lectio Magistralis con Alexey Kavokin introduce Andrey Varlamov

30 ott.

ore 14:30 Palazzo della Borsa, Sala delle Grida Luce per l’umanità. Dalla cosmologia agli smartphone: il secolo della fotonica Dialogo internazionale con Dame Jocelyn, Bell Burnell, Alessandro Farini, Fernando Quevedo e Linda Wamune modera Emilia Giorgetti

ore 18:00 Palazzo Ducale, Sala del Maggior Consiglio Equilibrio in assenza di gravità Incontro con Roberta Pinotti, Stefania Giannini, Samantha Cristoforetti, Luca Parmitano, Manuela Arata e Vittorio Bo

25 ott.

ore 14:00 Palazzo Ducale, Sala del Maggior Consiglio Equilibrio di luce e atomi. Tra onda e materia, la luce che dà forma al mondo Lectio Magistralis con Massimo Inguscio, introduce Manuela Arata

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a luce è stata un fattore determinante per l’evoluzione del genere umano, le tecnologie basate sulla luce vengono applicate oggi nei settori più disparati e nel corso della storia i collegamenti tra luce e cultura sono sempre stati sostanziali: l’Astronomia è forse la più antica tra le scienze umane e la luce è il suo primo motore. Il suo più remoto utilizzo è probabilmente quello fatto dai naviganti, per orientarsi grazie all’osservazione delle stelle, un’abilità che sembra risalire all’epoca preistorica. Lo scienziato greco Eratostene nel terzo secolo prima di Cristo, fu il primo a misurare la circonferenza terrestre grazie al suo genio e alla luce solare, avvicinandosi in modo sconcertante al valore corretto, 46.0076 km tutto questo in sella a un cammello. Eratostene fu anche il primo a calcolare la distanza tra Sole e Terra. Anche se nel mondo contemporaneo i trasporti aerei pubblici e commerciali dipendono da una complessa rete di segnali radio, satelliti, ed altri sistemi di navigazione se questi sistemi uno giorno dovessero tutti essere fuori uso, il cielo stellato rimarrebbe la nostra ultima risorsa. Le applicazioni di tecnologie basate sulla luce ci accompagnano in ogni momento della nostra vita quotidiana, ad esempio quando prendiamo un ascensore. Forse non a tutti è noto che Albert Eistein fu insignito del Nobel nel 1921 non per la sua Teoria Generale della Relatività, bensì per la sua scoperta riguardo l’effetto fotoelettrico, il fenomeno fisico caratterizzato dall’emissione di elettroni da una superficie, solitamente metal-

FATTORE DETERMINANTE PER L’EVOLUZIONE

LA LUCE ACCOMPAGNA LA VITA di Francesca Aloisio @pesciolinonero

Albert Einstein L’ipotesi quantistica di Einstein per diversi anni fu rifiutata da importanti esponenti della comunità scientifica, come Hendrik Lorentz, Max Planck e Robert Millikan. 10- global science

Secondo loro la reale esistenza dei fotoni era un’ipotesi inaccettabile. Perfino Max Planck, che per primo ipotizzò l’esistenza dei quanti, ritenne, per diversi anni che i quanti fossero un semplice artificio matematico e non un reale fenomeno fisico.

Robert Millikan dimostrò sperimentalmente l’ipotesi di Einstein sull’energia del fotone, e quindi dell’elettrone emesso, che dipende soltanto dalla frequenza della radiazione e nel 1916 effettuò uno studio sugli elettroni emessi dal sodio che contraddiceva la classica


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Rendering grafico delle ottiche di E-ELT Crediti: ESO.

“L’Astronomia è la più antica tra le scienze umane e la luce è il suo primo motore”

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I metri di diametro del disco di E-ELT

teoria ondulatoria di Maxwell. L’aspetto corpuscolare della luce fu confermato definitivamente dagli studi sperimentali di Arthur Holly Compton che nel 1921 osservò che, negli urti con gli elettroni, i fotoni si comportano come particelle materiali aventi energia e quantità di

moto che si conservano. Nel 1923 pubblicò i risultati dei suoi esperimenti che confermavano in modo indiscutibile l’ipotesi di Einstein. Per la scoperta dell’effetto omonimo Arthur Compton ricevette il premio Nobel nel 1927. Per i suoi studi sull’effetto fotoelettrico

lica, quando questa viene colpita da una radiazione elettromagnetica, ossia da fotoni aventi una certa lunghezza d’onda: tra le sue applicazioni spicciole quella che permette di tenere aperte le porte di un ascensore quando un corpo si frappone tra le due fotocellule. Il genio di Einstein riuscì a spiegare il motivo per cui il colore (o frequenza) della luce giocasse un ruolo fondamentale nel determinare la quantità di energia di cui fossero dotati gli elettroni prodotti e le conseguenze di questa intuizione, hanno portato allo sviluppo della meccanica quantistica, base per il mondo elettronico moderno. Ormai la luce, dal vicino infrarosso all’ultravioletto non ha più segreti per i moderni telescopi da terra, che sono oggi un vero e proprio esercito. Ma questo tipo di osservazione subisce i limiti dovuti alla turbolenza e alle distorsioni che l’atmosfera produce sulla luce osservata. Per questo motivo il telescopio migliore mai utilizzato nella storia dell’astronomia è un telescopio spaziale: l’Hubble Space Telescope. Quest’anno Hubble ha festeggiato i 25 anni di attività, innumerevoli le spettacolari immagini che ci ha regalato. Nel futuro dell’astronomia ottica ci sono due altri nomi, che impareremo a conoscere: il James Webb Space Telescope, erede evoluto di Hubble, e l’ E-ELT, l’European Extremely Large Telescope, un telescopio da terra di 39 metri di diametro, che sarà il più grande ed il più preciso del mondo, grazie alla tecnologia delle ottiche adattive, potendo quindi competere per qualità con i telescopi spaziali con un campo di osservazione ancora più vasto.

e la conseguente scoperta dei quanti di luce Einstein ricevette il Premio Nobel per la fisica nel 1921.

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Il CIFS ha contribuito nei 20 anni trascorsi in modo determinante ai principali progetti spaziali cui l’Italia ha partecipato. In totale i ricercatori attivi in campo spaziale in ambito CIFS sono oltre 70, con un totale di pubblicazioni pertinenti negli ultimi 3 anni superiore a 300; inoltre il personale tecnico impegnato in laboratori tecnologici e centri di elaborazione dati raggiunge le 100 unità. È importante ricor-

dare che la ricerca spaziale è sempre stata accompagnata da una consistente ricaduta tecnologica, a condizione che le istituzioni dedicate alla ricerca possano disporre di laboratori e attrezzature specializzati, moderni ed efficienti, come del resto avviene nei Paesi maggiormente industrializzati. Il CIFS ha contribuito al processo progettuale tecnologico attraverso ai laboratori delle sue unità messi

a disposizione dell’intera comunità, consentendo ai ricercatori afferenti una paritaria collaborazione con il settore industriale. Il CIFS, fin dalla sua istituzione, ha rivolto la sua attenzione alla formazione dei giovani nelle discipline spaziali, privilegiando in particolare la formazione nei settori sperimentali, tecnologici e di analisi dei dati legati allo sviluppo delle missioni e dei progetti spaziali.

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UN FOTOGRAFO SPAZIALE FRA POCO IN “PENSIONE”

L’ASTRONOMIA SPAZIALE DI HST COMPIE 25 ANNI

n 25 anni il telescopio spaziale Hubble non ha smesso un giorno di stupirci, di regalarci meravigliose immagini dell’Universo e di emozionarci con sensazionali scoperte. Ammassi globulari, regioni di formazione stellare, galassie vicine e lontane, nebulose planetarie, fino alle galassie primitive quasi alle origini dell’Universo. Sono questi alcuni dei protagonisti delle centinaia di migliaia di immagini pubblicate in questi anni dal team di HST (così lo chiamano gli addetti ai

di Eleonora Ferroni @ele_ferroni

lavori quando vanno di fretta). E quest’anno, lo scorso aprile, il telescopio ha festeggiato il suo 25° compleanno. Proprio il 24 aprile 1990, lo Shuttle Discovery (con la missione STS-31) partì dal Complesso di global science - 13


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1,5 mld 13,3 lancio 39, presso il John F. Kennedy Space Center (Florida), portando Hubble nello spazio e spingendosi fino a quasi 600 chilometri sulla superficie terrestre. Si tratta di una quota relativamente alta per uno Shuttle (la Stazione spaziale internazionale si trova a 400 chilometri di altezza), ma anche relativamente bassa tanto da poter consentire frequenti missioni di servizio per riparare guasti e per installare nuovi strumenti (ne sono state effettuate ben 5). Cronistoria di un successo – L’idea di costruire un telescopio orbitante va fatta risalire alla fine degli anni ’40, quando l’astronomo Lyman Spitzer (a cui poi venne dedicato un telescopio cacciatore di pianeti) scrisse una relazione sui vantaggi di un osservatorio extra-terrestre. Nel 1977, Il congresso americano approvò il finanziamento per il Large Space Telescope, quello che, molti anni più tardi, divenne l’Hubble Space Telescope, chiamato così negli anni ’80 in onore di quello che per molti è il più grande astronomo del XX secolo Edwin Powell Hubble, il quale dimostrò l’esistenza di altre galassie oltre la nostra e enunciò la teoria sull’Universo in continua espansione (Legge di Hubble – 1929). Lo specchio è difettoso – La missione Hubble ricevette l’ok definitivo nel 1990, ma già a pochi giorni dal lancio il team di HST apprese la prima notizia negativa. Un macigno sulle teste dei ricercatori che per più di dieci anni avevano lavorato al progetto: lo specchio primario di 2,4 metri di diametro era difettoso. La società costruttrice calibrò male lo specchio, che riportò un’imperfezione di 1/50 dello spessore di un foglio di carta, abbastanza da deviare la luce e da distorcere le immagini che venivano inviate a terra. Nel 1993, dopo 11 mesi di addestramento, un gruppo di astronauti partì a bordo dello Shuttle Endavour per la prima missione di servizio (STS-61) verso Hubble, portando in orbita il Corrective 14- global science

“Il costo in dollari del lancio, rimandato per ben 4 anni”

“Uno strumento per osservare il cosmo, fino alle sue origini” Nella pagina precedente: i Pilastri della Creazione. Sopra: Carena, 20 mila anni luce dalla Terra.

“La lunghezza in metri della sonda (come un grande autobus)”

4,8 mld “I chilometri percorsi lungo l’orbita bassa terrestre”

Optics Space Telescope Axial Replacement (COSTAR). La riparazione dello specchio primario in orbita (COSTAR introdusse un errore uguale ed opposto in modo da annullare il difetto) costò alla NASA circa 600 milioni di dollari. Grazie alla nuova ottica e alla Wide Field/Planetary Camera, WF/PC II, già nel 1994 HST mostrò diverse immagini nitide e dettagliate, come quella in cui si vede la cometa Shoemaker–Levy 9 schiantarsi contro Giove. I pilastri che hanno reso celebre HST – Dopo soli 5 anni in orbita, nel 1995, Hubble portò a casa una delle immagini che forse lo ha fatto conoscere più di tutte tra il grande pubblico. Parliamo dei famosi “Pilastri della creazione”, ovvero la Nebulosa dell’Aquila (M16), a 7000 anni luce da noi nella costellazione del Serpente e appartenente alla Via Lattea. Lo scorso primo aprile abbiamo festeggiato proprio i 20 anni di questa foto quando il team di Hubble ha regalato al

Tra le foto né Sole né Mercurio Hubble non riesce a osservare il Sole, perché troppo luminoso, né Mercurio, perché troppo vicino alla nostra stella madre. Inoltre non viaggia verso stelle, pianeti o galassie, ma resta ancorato all’orbita bassa della Terra, a circa 550 chilometri di altitudine. Tra gli scatti più famosi ammassi globulari, regioni di formazione stellare, galassie vicine e lontane, nebulose planetarie, fino alle galassie primitive quasi alle origini dell’Universo.

Il viaggio attorno alla Terra Hubble completa un’orbita intorno alla Terra ogni 97 minuti muovendosi a una velocità di circa 8 chilometri al secondo.


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Gli strumenti di Hubble

“Nel 2011 il team di Hubble ha festeggiato la milionesima fotografia”

HST è un telescopio ottico e con il suo specchio cattura la luce a diverse lunghezze d’onda usando camere e strumenti all’avanguardia.

mondo una nuova versione dello scatto. Come la prima volta, si vedono nitide nel cielo tre torri imponenti – lunghe anni luce – di gas e ciuffi multicolore di polvere cosmica, ma la nuova foto è ovviamente più nitida e profonda, grazie alla maggiore sensibilità dello strumento attuale WFC3 rispetto alla WFPC2 montata appunto 20 anni fa. Arrivano gli update – Dopo quella del 1993, come detto, ci sono state altre 4 missioni di servizio con cui gli astronauti hanno riparato e aggiunto di volta in volta nuovi strumenti ad Hubble, portando il suo peso iniziale di 11 mila a oltre 12 mila chilogrammi (800 kg sono dovuti al solo specchio). Nel 1997, con la missione STS-82, l’equipaggio dello Shuttle Discovery portò in orbita gli strumenti STIS (Space Telescope Imaging Spectrograph) e NICMOS (Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrograph). La terza missione del 1999 (STS-103) servì per la ripa-

A bordo: la Wide Field Camera 3 (WFC3), il Cosmic Origins Spectrograph (COS), l’Advanced Camera for Surveys (ACS), lo Space Telescope Imaging Spectrograph (STIS), la Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrometer (NICMOS), i Fine Guidance Sensors (FGS).

Per ruotare di 90° impiega 15 minuti Hubble ha una precisione di puntamento di 0,007 secondi d’arco, che è come essere in grado di puntare un raggio laser su una monetina a 320 chilometri di distanza. Hubble non ha dei propulsori e per cambiare gli angoli di puntamento utilizza i principi della terza legge di Newton facendo ruotare i giroscopi in direzione opposta.

Una missione piena di ostacoli Hubble sarebbe dovuto partire per l’orbita bassa della Terra già nel 1986, ma la missione venne rimandata dopo il tragico disastro dello Shuttle Challenger, esploso 73 secondi dopo il lancio. Nessuno degli astronauti sopravvisse all’esplosione. L’ultima missione di servizio venne compiuta a bordo dello Shuttle Atlantis. Originariamente prevista per il 2005, il lancio venne rimandato a causa del disastro dello Space Shuttle Columbia, esploso sui cieli del Texas, al rientro di una missione, causando la morte dei sette astronauti a bordo. Nel 2006 la NASA diede il via libera per una nuova missione, che partì l’11 maggio 2009.

Sopra: la Nebulosa Farfalla (NGC 6302). Nella pagina successiva: la Nebulosa della Carena. Tutte le immagini NASA/ESA.

razione dei sei giroscopi del telescopio, aggiungendo anche un computer di bordo. Nel 2002, l’equipaggio della missione STS-109 installò l’ACS (Advanced Camera for Surveys), il NICMOS Cooling System (NCS) e nuovi pannelli solari. L’ultima missione di servizio è la STS-125 ed è stata compiuta a bordo dello Shuttle Atlantis. Originariamente prevista per il 2005, il lancio è stato rimandato a causa del disastro dello Space Shuttle Columbia, esploso sui cieli del Texas, al rientro di una missione, causando la morte dei sette astronauti a bordo. La missione risale al 2009, quando gli astronauti – oltre alla manutenzione e all’installazione di alcuni strumenti – hanno celebrato anche il quarto centenario delle scoperte celesti di Galileo Galilei, puntando verso le stelle una replica del telescopio che permise a Galileo di scoprire le lune medicee, messa a disposizione dal Museo di Storia della Scienza di Firenze, dove è conservato lo strumento originale. Il coinvolgimento della comunità scientifica italiana ed europea è stato importante fin dall’inizio, soprattutto con la partecipazione alla costruglobal science - 15


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zione della Faint Object Camera dell’ESA. Molti sono i ricercatori coinvolti che ricoprono ruoli chiave presso lo Space Telescope Science Institute di Baltimora (USA) che gestisce le attività scientifiche di HST. Oltre un milione di osservazioni – Nell’estate del 2011 il team di Hubble ha festeggiato la milionesima osservazione (un’analisi spettroscopica dell’esopianeta HAT-P-7b) riuscendo a “riempire” ben 60 terabyte di archivio in totale. Ad oggi si contano oltre 1,2 milioni di analisi. Nel 2011 è stato anche pubblicato il paper numero 10 mila. Hubble è, infatti, uno degli strumenti più produttivi mai costruiti: ad oggi sono stati pubblicati quasi 13 mila studi scientifici sulle riviste di tutto il mondo. Uno sguardo alle origini dell’universo – Tra i diversi studi pubblicati negli ultimi anni ce n’è uno che ha reso Hubble ancora più famoso e importante: nel 2012 HST ha fotografato sette galassie primordiali appartenenti a una lontanissima popolazione che si formò ben 13 miliardi di anni fa. Si tratta di galassie fotografate quando avevano “solo” il 4% dell’età attuale. Qualche mese dopo, Hubble ha infranto il suo stesso record osservando un oggetto risalente a soli 470 milioni di anni dopo il Big Bang (quando l’Universo aveva il 3% della sua età attuale). Il futuro si chiama JWST – Gli esperti affermano che Hubble, ancora in perfetta “salute”, continuerà a funzionare almeno fino al 2020, sovrapponendosi – almeno per qualche anno – al suo atteso successore, il James Webb Space Telescope (di NASA, ESA e CSA). Il JWST è in fase di costruzione avanzata e il lancio in orbita è previsto per il 2018. Dopo il 2020, le componenti di Hubble cominceranno presto a smettere di lavorare, in maniera graduale, fino al completo spegnimento 16- global science

“L’erede di Hubble è il James Webb Space Telescope: il lancio in orbita è previsto per il 2018”

dell’intera macchina. Cosa succederà? Hubble continuerà a orbitare attorno alla Terra fino a quando non ne potrà più e così precipiterà inesorabilmente a spirale verso la Terra. Inizialmente la NASA ipotizzava di poter riportare Hubble sulla Terra con uno Shuttle, in modo da poterlo esporre al pubblico, ma oggi ovviamente non è più possibile (l’era degli Shuttle si è chiusa nel 2011 con l’ultimo volo dell’Atlantis dopo 30 anni di missioni). La fase di deorbita sarà operata da una futura missione robotica (almeno così dicono dalla NASA, ma il tutto è ancora in fase embrionale). Insomma, ci vorrà ancora qualche anno, ma un giorno dovremo dire addio ad HST.


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L’Agenzia Spaziale Italiana coordina gli investimenti nazionali nelle tecnologie satellitari, nell’esplorazione del cosmo e nelle scienze spaziali. Da oltre 25 anni la storia dello spazio passa dal nostro Paese. www.asi.it / www.asitv.it

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IL PREMIO PER LA FISICA A KAJITA E MCDONALD

PARTICELLE DA NOBEL di Redazione @mediainaf

l Premio Nobel per la Fisica 2015 è stato assegnato ai ricercatori Takaaki Kajita e Arthur B. McDonald per le loro scoperte sui neutrini, le elusive particelle neutre con massa piccolissime che popolano l’universo e che vengono prodotte nella reazioni nucleari che avvengono all’interno delle stelle, in particolare nel Sole ma anche nei decadimenti radioattivi, come quelli che hanno luogo all’interno della Terra. Gli studi condotti negli ultimi decenni da i due ricercatori hanno permesso per la prima volta di confermare un’ipotesi proposta negli anni Sessanta, cioè la possibilità che i neutrini non siano immutabili ma possono trasformarsi. Kajita ha scoperto che i neutrini generati come effetto dell’interazione dei raggi cosmici con gli atomi dell’atmosfera terrestre cambiano specie, cioè oscillano. McDonald ha invece rivolto le sue attenzioni a quelli provenienti dal Sole: con i suoi colleghi ha scoperto che i neutrini provenienti dal Sole non scompaiono nel percorso verso la Terra, ma assumono un’identità diversa. Quest’oscillazione implica che i neutrini debbano essere dotati di massa. Esperimenti sempre più accurati condotti negli ultimi anni, come OPERA e Borexino ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN (sotto un chilometro di roccia), aiutano i ricercatori ad ampliare la loro conoscenza su queste particelle, soprattutto di quelle che provengono dal Sole. Non è mai stato possibile effettuare un’osservazione diretta del nucleo che brucia elio nella nostra stella, almeno fino al 2007 quando è stato inaugurato l’esperimento Borexino. Si tratta di una grande collaborazione mondiale tra fisici e astrofisici, ma la guida è tutta “made in Italy”. Borexino ha realizzato la prima misura in tempo reale dell’energia della nostra stella, grazie all’osservazione dei neutrini prodotti nella reazione nucleare primaria che avviene nel cuore del Sole. L’energia rilasciata oggi al centro della stella corrisponde con quella prodotta 100 mila anni fa.

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Borexino l’acchiappa neutrini È un progetto a guida italiana a cui lavorano circa 80 ricercatori con importanti contributi internazionali.

“Ha realizzato la prima misura in tempo reale dell’energia del Sole”

È stato inserito dalla rivista Physics World nella classifica dei dieci risultati scientifici più importanti del 2014. Borexino è una grande sfera a “matrioska” riempita con 300 tonnellate di un liquido capace di fare un piccolo lampo di luce quando passa un neutrino. Lo studio è durato sette anni. I neutrini raggiungono il Gran Sasso dal centro del Sole in soli otto minuti. Tutto questo da quasi cinque miliardi di anni, cioè da quando esiste il nostro Sole.


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È

l’arma dei cavalieri Jedi. Non goffa o erratica come un fulminatore… è elegante invece, per tempi più civilizzati. Con queste parole Obi-Wan Kenobi illustrava al giovane Luke Skywalker la spada laser, impossibile oggetto dei desideri della nostra infanzia e non solo. Davvero impossibile? Forse no. E quale – fra tutti i “tempi civilizzati” – sarebbe più confacente a vederne la realizzazione se non questo nostro 2015, Anno internazionale della luce? Ebbene, se per stringere l’arma Jedi toccherà purtroppo attendere ancora a lungo, qualche significativo progresso in effetti è stato compiuto. A settembre, su Physical Review Letters, è uscito uno studio che dimostra come sia possibile far interagire due fotoni quasi fossero gli atomi d’una molecola biatomica. Così da creare una sorta di molecola di luce. Primo, importante, passo verso la produzione d’oggetti composti da nient’altro che fotoni. Già due anni fa Ofer Firstenberg e i suoi “collaboratori Jedi” di Harvard avevano mostrato, sulle pagine di Nature, che è possibile, rallentando la luce fino a un centinaio di metri al secondo, trasformare i fotoni in polaritoni. Così da manipolarli come se fossero mattoncini di materia. E l’anno successivo, grazie a una clessidra d’atomi di rubidio, dai laboratori del MIT già uscivano le prime “molecole di luce”: due fotoni in interazione talmente forte fra loro da poter essere considerati una coppia. Ora è stato compiuto il passo successivo. Guidati questa volta da Alexey Gorshkov e Mohammad Maghrebi del NIST, il National Institute of Standards and Technology, i ricercatori sono riusciti a dimostrare come, variando alcuni dei parametri che governano il processo che li tiene in interazione l’uno con l’altro, la funzione d’onda che ne risulta sia analoga a quella d’una molecola biatomica con i due polaritoni separati da una lunghezza di legame finita. Gorshkov, illustrando poi i potenziali campi d’applicazione di questi impalpabili oggetti del futuro prossimo, ha spiegato: «Sono tante le tecnologie moderne che si basano sulla luce, da quelle per la comunicazione all’imaging ad alta definizione. Molte di loro potrebbero essere notevolmente migliorate se potessimo progettare le interazioni tra i fotoni». Spade laser a parte, le possibilità d’utilizzo di molecole di luce formate da due – o meglio ancora tre o più – fotoni in effetti sono numerose. Anzitutto nei computer, con circuiti e processori di luce al posto di quelli attuali al silicio. Un notevole passo avanti non solo in termini di velocità ma, soprattutto, di consumi. Oggi, dopo aver percorso migliaia di

INTERAZIONI TRA FOTONI

MOLECOLE DI LUCE? LA SPADA LASER È VICINA di Marco Malaspina @malamiao

“È possibile far interagire due fotoni così da creare una sorta di molecola di luce”

chilometri alla velocità della luce all’interno delle fibre ottiche, una volta giunti a destinazione i messaggi di fotoni devono comunque essere trasformati in messaggi d’elettroni, se vogliamo poterli aprire e leggere. Un passaggio che comporta un notevole speco d’energia, che potrà essere evitato quando i computer saranno in grado di compiere le loro operazioni direttamente con bit di luce. Ma un campo d’applicazione ancora più immediato, seppur di nicchia, è quello dei calibratori per sensori di luce. Governare i fotoni come stanno imparando a fare al NIST consentirà di creare “candele standard” formate da un numero di particelle di luce ben definito, preciso fino al singolo fotone.

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a rivoluzione della luce del ventunesimo secolo: parliamo della lampadina a LED (Light Emitting Diode) blu, che è ormai diventata di uso quotidiano e che ha cambiato l’illuminazione sia delle nostre case che dei luoghi che necessitano illuminazione efficiente e a poco prezzo.

La tecnologia delle lampadine a LED è stata sviluppata tra il 1989 e il 1993 e ha migliorato la vita di tutti i giorni non soltanto perché sono più efficienti delle vecchie lampadine a incandescenza, ma soprattutto sono più efficienti delle recenti alogene o quelle a basso consumo. È stato un successo commerciale, soprattutto grazie all’affidabilità del prodotto e alla potenzialità di ottenere un’elevata luminosità (ben quattro volte maggiore rispetto alle classiche lampadine fluorescenti e a filamento di tungsteno). Ciò che ha portato alla ribalta i LED è stato anche il basso prezzo di vendita, oltre alla mancanza di circuiti di alimentazione complessi. Piccole lampadine dalle grandi prestazioni, quindi. Pensate che la durata delle lampadine a LED è di 100 mila ore, contro le 1000 delle lampade a incandescenza e del 10 mila ore di quelle a fluorescenza. Come funzionano i LED? Utilizzano tutta l’energia elettrica che consumano solo per emettere luce, senza disperdere calore e l’energia impiegata viene ottimizzata. In media con l’utilizzo dei LED si arriva a risparmi dell’ordine del 50-60 % di energia. La diffusione di questa tecnologia può dare un grande contributo al risparmio energetico non solo nello spazio, ma soprattutto sulla Terra. La tecnologia dei LED è stata anche celebrata l’anno scorso a Stoccolma dove il premio Nobel per la Fisica 2014 è stato consegnato proprio ai suoi inventori, i giapponesi Isamu Akasaki (85 anni) e Hiroshi Amano (55 anni) e l’americano Shuji 20- global science

IL FUTURO DELLA LUCE

IL MONDO SOTTO I RIFLETTORI DEI LED di Eleonora Ferroni @ele_ferroni

Nakamura (60 anni). E proprio la tecnologia dei LED sarà il futuro delle missioni di lunga durata come verso Marte e, chissà, anche più lontano. Gli astronauti dovranno essere – quanto più possibile – autosufficienti e questo potrà avvenire solo coltivando piante, non già per esclusivo esperimento scientifico (come quelli già in corso sulla Stazione Spaziale Internazionale) ma soprattutto per il loro sostentamento. Tra i maggiori ostacoli delle missioni esplorative di lunga durata nello spazio c’è proprio la neces-

sità di un ecosistema artificiale e autosufficiente che imiti la biosfera terrestre. Diverse sono le ricerche sull’argomento attualmente al vaglio della comunità scientifica, come quella della Purdue University dove un gruppo di ricercatori ha ipotizzato un metodo alterna-


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tivo per fornire abbastanza luce e quindi energia ai germogli: dei LED rossi e blu che potrebbero essere utili per coltivazioni all’interno dei moduli spaziali. Pensate a una serra sulla Luna. I ricercatori hanno scoperto che le foglie di lattuga crescono se illuminate da un insieme di LED (diodi ad emissione luminosa) per il 95% rossi e per il 5% blu. La tecnica potrebbe essere molto utile, soprattutto visto le ridotte scorte energetiche nello spazio: utilizzando i LED si risparmia circa il 90% di energia rispetto a una tradizionale forma di illuminazione per coltivazioni in serra. Finora la sfida principale per la creazione di un modulo per la coltivazione nel-

Il Nobel per la Fisica 2014 è stato consegnato agli inventori dei LED: Isamu Akasaki, Hiroshi Amano e Shuji Nakamura.

lo spazio è stato il costo energetico delle grandi e pesanti lampade ad alta pressione tradizionali a 6001000 watt, generalmente utilizzate per simulare la luce del Sole e stimolare la fotosintesi delle piante in ambienti sintetici. Oltre al dispendio di energia, il rischio è anche

quello di bruciare queste piante se le lampade vengono posizionate troppo vicino e questo richiede anche un sistema di raffreddamento. Quindi altra energia elettrica sprecata. Per questo è stato pensato un sistema più efficiente: i LED richiedono 1 watt l’uno e sono molto più piccoli e longevi rispetto alle lampadine che vengono utilizzate abitualmente. Inoltre i LED non emettono calore e quindi li si può posizionare molto vicini alle piante indirizzando meglio la luce e risparmiando spazio sul modulo senza il rischio di mandare in fumo un raccolto che nello spazio può essere vitale. Il segreto è quello di scegliere la giusta quantità di LED rossi e blu per l’apporto adeguato di luce per la fotosintesi e la crescita delle piante. global science - 21


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on la vediamo, ma ormai sappiamo che nell’universo c’è ed è pure tanta, anzi tantissima. Per ora così non possiamo darle un ‘nome’ specifico, ma ci limitiamo a chiamarla genericamente “materia oscura”. Gli astrofisici ritengono, pur con le dovute incertezze, che questa elusiva componente valga circa l’85 per cento di tutta la materia che riempie il cosmo. La caccia alla materia oscura è ormai aperta da alcuni anni e coinvolge trasversalmente i fisici che studiano l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Perché molto probabilmente la risposta alla domanda “ma di cosa è fatta la materia oscura?” forse si potrà trovare nei debolissimi segnali che provengono dagli angoli più remoti dell’universo, captati da giganteschi esperimenti per studiare le proprietà delle particelle elementari, costruiti nelle profondità della Terra. In un recente studio pubblicato sulla rivista Nature, alcuni ricercatori dell’Università di Southampton hanno proposto per la materia oscura l’esistenza di una nuova candidata, cioè una particella fondamentale, e ne hanno stimato la massa che dovrebbe essere pari allo 0,02 per cento di quella dell’elettrone. La particella non interagisce con la luce, e sorprendentemente, neanche con la materia ordinaria. Questa proprietà esclude però la sua rivelazione con strumenti a Terra. Convinti delle loro idee, i ricercatori stanno pensando quindi di spostarsi nello spazio per catturare la fantomatica particella. E propongono la missione Macroscopic Quantum

CIRCONDATI DA ENERGIA E MATERIA OSCURA

QUEL 95% CHE NON CONOSCIAMO di Marco Galliani

Gli ingredienti principali dell’Universo Non è facile dare una stima di quanta massa e quanta energia siano presenti in tutto l’universo. 22- global science

Ma gli astrofisici sono ormai convinti che la ricetta che lo componga, pur con tutte le dovute incertezze, sia più o meno questa. Partiamo da quello che conosciamo, ovvero la materia ordinaria, che è appena il 5 per cento del totale. Il 68 per cento è composto da

energia oscura, mentre il 27 per cento da materia oscura. Se quindi consideriamo il contenuto totale di materia, quella oscura rappresenta l’85 per cento del totale. Mentre il 95 per cento di tutti gli ingredienti che formano l’universo ci è, ancora, ignoto.


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La materia oscura, vista con l’occhio di Hubble Space Telecope. Crediti: NASA/ESA.

“La particella non interagisce con la luce, né con la materia ordinaria”

85%

È la percentuale della materia oscura rispetto a tutta la materia che compone l’universo.

Resonators (MAQRO), che coinvolgerà un consorzio di Istituti di Ricerca tra cui quelli dove già svolgono la loro attività. L’esperimento consiste nell’osservare il rinculo di una particella test sospesa nello spazio in un apposito contenitore ed esposta direttamente al flusso incidente di particelle di materia oscura che, in seguito agli urti, verranno a loro volta diffuse. In questo modo, gli strumenti sensibili alla posizione della particella test potranno fornire agli scienziati preziosi indizi sulla natura di questa nuova candidata, ammesso che esista davvero. «Il lavoro è molto interessante, soprattutto per il fatto che l’approccio sperimentale per riuscire ad osservare la materia oscura è nuovo: collisioni elastiche di una particella nota mesoscopica con la materia oscura, misurata attraverso tecniche optomeccaniche», commenta Matteo Viel, ricercatore INAF presso l’Osservatorio Astronomico di Trieste. «Pertanto, ogni sforzo non-standard, come quello compiuto dai ricercatori del presente lavoro, è sicuramente interessante. I dubbi riguardano il fatto che il modello in questione richiede una sezione d’urto non piccola per la particella di materia oscura con conseguenze non ancora ben comprese in termini di formazione delle strutture. Inoltre, per riuscire a descrivere in modo preciso il segnale che si aspettano bisognerà conoscere la distribuzione della particella all’interno del Sistema solare. Concludendo, mi sembra un esperimento molto promettente, ma con ancora molto lavoro da fare, anche in termini di modelli, per riuscire a produrre risultati scientifici solidi».

Il detective Darkside-50 Nel cuore del Gran Sasso, i laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ospitano anche Darkside-50, esperimento che cercherà di catturare le tracce lasciate direttamente dalle particelle di materia oscura. DarkSide è un rivelatore cilindrico riempito con 150 Kg di argon liquido

purissimo e ricoperto di fotomoltiplicatori, sensori ultrasensibili che raccolgono il segnale emesso nell’interazione delle particelle di materia oscura con l’argon. Finanziato dall’INFN, National Science Foundation e Department Of Energy, DarkSide nasce da una vasta

collaborazione internazionale, di cui l’INFN e l’Università di Princeton sono leader, e alla quale partecipano gruppi provenienti da Francia, Polonia, Ucraina, Russia e Cina.

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opo il deludente Prometeus, Ridley Scott torna dietro la macchina da presa, ancora desideroso di puntare il suo sguardo verso nuove avventure interstellari, per dirigere Matt Damon in Sopravvissuto – The Martian.

THE MARTIAN: IL FILM DI RIDLEY SCOTT

UNA CONCRETA AVVENTURA MARZIANA di Davide Monastra @davidemonastra

Tratto dal romanzo di Andy Weir, la pellicola racconta una storia di sopravvivenza sul Pianeta rosso: Mark Watney (Matt Damon) è considerato morto dopo una forte tempesta e per questo è abbandonato dal suo equipaggio. Ma l’astronauta è ancora vivo e si ritrova solo su Marte, un pianeta ostile. Con scarse provviste, Watney deve attingere al suo ingegno e al suo spirito di sopravvivenza per segnalare alla Terra che è vivo. A milioni di chilometri di distanza, la Nasa e un team di scienziati internazionali cercano di riportarlo a casa, mentre i suoi compagni si lanciano in un’audace, se non impossibile, missione di salvataggio. A supportare la difficile prova di Matt Damon – mai completamente solo sulla scena – è un cast di attori amatissimi dal pubblico. Il film è un avvincente viaggio in stile Robinson Crusoe che però, nonostante le potenzialità altamente drammatiche della storia narrata, vira bruscamente su toni più leggeri, nel desiderio di intrattenere lo spettatore divertendolo, mettendo da parte la suspence e i ritmi disperati che ci si aspetterebbe di trovare in un’opera del genere con un unico personaggio lost in space. L’azione è volutamente messa in secondo piano. Il regista, da una buona sceneggiatura firmata da Drew Goddard con supervisione NASA, ha messo in scena una cronistoria molto lineare senza grossi colpi di scena: una rassicurante avventura che non lascia indifferenti di fronte alle sfortunate sorti dell’astronauta che affronta le difficoltà con un ironico sorriso. Un merito che va riconosciuto al regista, che da più di 30 anni racconta lo spazio in quel di Hollywood, è che ha deciso di non concedersi troppe licenze visionarie, regalando allo spettatore un’immagine di Marte altamente realistica. 24- global science


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l 20 dicembre 2013 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato per il 2015 l’Anno internazionale della Luce e delle tecnologie basate sulla Luce (IYL 2015). L’iniziativa, coordinata a livello internazionale dall’UNESCO e da un gran numero di soggetti scientifici, è stata appoggiata in Italia dalla Società Italiana di Fisica (SIF) e dalla Società Astronomica Italiana (SAIT) che stanno collaborando attivamente alle celebrazioni, volte quasi ormai al termine. Ne parliamo con Luisa Cifarelli, presidente della SIF nonché professore ordinario presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna. Perché l’Anno Internazionale dedicato alla Luce? Il tutto è nato dall’iniziativa della Società Europea di Fisica nel 2011: è stato ritenuto che dedicare uno di questi grandi progetti di divulgazione della cultura scientifica a un tema così avvincente come la luce potesse essere una buona idea. La luce nel campo della scienza, e non solo, può essere un punto di raccordo per tutte le discipline: parliamo sia di luce nella ricerca scientifica che di luce per il benessere dell’umanità, sia di luce nell’arte che delle applicazioni tecniche per la medicina e in altri campi. È un tema molto trasversale e per questo l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha ritenuto di dover proclamare l’Anno della Luce aggiungendo il particolare delle “tecnologie basate sulla luce”. La luce come veicolo per i paesi in via di sviluppo... Le Nazioni Unite hanno posto espressamente l’accento su questo argomento. Sembra banale, ma nei paesi dove esiste l’illuminazione la vita è più sicura, si può studiare, si può girare di notte nelle città. Gli astronauti ci inviano dallo spazio le immagini della Terra che mostrano delle grandi zone scure, che sono gli oceani, vaste zone illuminate che corrispondono al Nord America e all’Europa, ma ciò che mi colpisce sono le zone paurosamente al buio che non sono solo i deserti, bensì regioni in cui non c’è luce perché non c’è sviluppo. Quindi l’inquinamento luminoso è un tema sacrosanto, sotto molti aspetti, ma va trattato a seconda dei contesti: ben venga il risparmio luminoso (usando lampadine a basso consumo e altri accorgimenti) e diciamo no all’illuminazione inutile, ma pensiamo anche a illuminare le zone più povere del mondo. La luce è sinonimo di progresso. La SIF è il contatto italiano con il Comitato Internazionale e centro di coordinamento tra diverse società scientifiche ed enti di ricerca. La Società Italiana di Fisica ha operato un ruolo di coordinamento in Italia con la SAIT, la Società Italiana di Ottica e Fotonica, la Società Italiana Luce di Sincrotrone, l’Associazione per l’insegnamento della Fisica, oltre alle società di storia della fisica e della scienza e ai diversi enti di ricerca: l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), l’Istituto Nazio-

INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA SIF

IL 2015 CELEBRA LA LUCE

di Redazione @mediainafi

“La luce come veicolo per i paesi in via di sviluppo: è sinonimo di progresso”

nale di Fisica Nucleare (INFN), l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e molti altri. Quali le iniziative più importanti organizzate quest’anno? L’Anno della Luce si è aperto l’inaugurazione ufficiale a livello internazionale il 19 gennaio a Parigi, presso la sede dell’UNESCO, e a ruota è seguita la cerimonia d’apertura in Italia a Torino nella Sala del Senato di Palazzo Madama il 26 gennaio. Si sono poi susseguite diverse iniziative in tutta Italia e continueranno fino a dicembre. Per esempio, il 16 ottobre si è tenuto un simposio presso la Edison, dal titolo “Luce e innovazione”, alla presenza del premio Nobel per la Fisica nel 2012 Serge Haroche, dalla Scuola Normale di Parigi.

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LA VITA A QUOTA 400KM

I PROGRAMMI SPAZIALI E L’UOMO di Luca Parmitano, Astronauta

n quasi tutte le occasioni in cui parlo di volo spaziale umano, il primo argomento che affronto è il perché esista un programma come la ISS. Normalmente do tre spiegazioni, riassumibili in altrettante parole: Scienza, Tecnologia, Esplorazione. La Scienza non ha bisogno di spiegazioni o giustificazioni: si basa su un bisogno, estremamente umano e che ci contraddistingue da tutti gli altri animali, di ricercare risposte ai misteri che ci circondano, e quando le abbiamo trovate, a cercarne altre ancora più complesse. Ebbene, la Scienza è al cuore della ricerca che si fa sull’ISS, l’unico laboratorio internazionale orbitante al mondo. È un tipo di ricerca che non può essere fatta in nessun altro luogo, perché le condizioni in orbita non possono essere riprodotte sulla Terra, se non per pochi secondi. Migliaia di ore di scienza, migliaia di dati distribuiti a scienziati in tutto il mondo – un esempio di cooperazione internazionale che non ha eguali. La seconda parola, Tecnologia, è strettamente legata alla Scienza: nuove tecnologie permettono di effettuare ricerca più raffinata e più puntuale, creando nuovi dati scientifici. Questi, opportunamente decifrati, permettono di creare nuova tecnologia, che in un circolo virtuoso permetterà di ottenere dati sempre più accurati. Ma è anche tecnologia applicata: molta della strumentazione che permetterà alle future generazioni di viaggiare e volare verso nuovi sistemi planetari deve essere sperimentata o inventata. La Stazione Spaziale Internazionale è un’ottima piattaforma di sperimentazione di queste future tecnologie. Infine, Esplorazione: anche questa parola è intimamente legata all’umanità, al desiderio primordiale di spingersi verso gli orizzonti che ancora non conosciamo, per superarli e trovarne di nuovi. Un ‘gene di Ulisse’ codificato nel nostro DNA. Ma l’ISS è vincolata su un’orbita fissa, a 51.6° di inclinazione, a cir-

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“L’esplorazione più importante è quella che conduce ai limiti delle capacità umane”

ca 400km dalla superficie della Terra. Che tipo di esplorazione ci permette di fare? Ho sempre pensato che l’esplorazione più importante, al momento, sia quella che ci conduce ai limiti delle capacità dell’uomo come organismo: possiamo inventare nuove tecnologie, possiamo viaggiare sempre più velocemente nello spazio, e rigenerare molte delle nostre risorse, ma non possiamo modificare la nostra natura. Quindi, se un giorno vorremo lasciare un’impronta umana sulle sabbie rosse di un pianeta inesplorato, dovremo prima definire in che modo il nostro corpo si adatta all’inospitale asprezza del volo interplanetario. E lo stiamo scoprendo oggi, giorno dopo giorno, astronauta dopo astronauta, sulla Stazione Spaziale Internazionale.


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“Rivolgo i miei migliori auguri a Global Science per questo nuovo progetto editoriale di comunicazione scientifica che, in un momento in cui è di grande importanza fare informazione accurata e rigorosa, ha deciso di impegnarsi per raggiungere un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo, per incuriosirlo e aiutarlo a districarsi nel complesso mondo della scienza e della conoscenza”

Fernando Ferroni Presidente Istituto Nazionale di Fisica Nucleare INFN

“Raccontare la scienza è una delle cose più importanti e più belle di chi fa il nostro lavoro. Si tratta di decodificare le parole dei mondi che indaghiamo e di tradurle nella lingua degli uomini. È per questo che salutiamo con grande piacere la nascita di Global Science e di tutte le iniziative che ci aiutano a spiegare in modo rigoroso e accattivante i risultati di quella grande avventura che è la ricerca scientifica”

Roberto Battiston Presidente Agenzia Spaziale Italiana ASI

“La diffusione della cultura scientifica è un valore fondamentale per il futuro culturale del nostro paese, dei nostri ragazzi. Abbiamo lavorato per una scuola diversa e ancora stiamo lavorando per rendere la nostra scuola sempre più capace di formare e una corretta formazione non può esserci senza cultura scientifica. Ben vengano tutte le iniziative che hanno lo stesso obiettivo”

Luigi Berlinguer, già Ministro dell’Istruzione Presidente del Comitato per la Diffusione della Cultura Scientifica e Tecnologica

“Da quando ho lasciato l’addestramento a Houston mi sono occupato sempre più attivamente di comunicare la scienza e ho toccato con mano quanto sia importante per i giovani. E anche per chi è diversamente giovane. Grazie alla diffusione delle conoscenze, il progresso scientifico può diventare sapere condiviso e contribuire a plasmare la cultura e i valori della società del futuro. La prima free press italiana interamente dedicata al mondo della scienza è un passo importante in questa direzione. In bocca a lupo a Global Science e alla sua redazione!” Umberto Guidoni Astronauta

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