Global Science 12/2017 - Cosmorama

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DICEMBRE 2017

ARTE Gravity: immaginare l’universo dopo Einstein. La nuova esposizione al Maxxi. CINEMA Lo spazio sul grande schermo e il docufilm sulla missione Vita.

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OMMARIO

N.09 - DICEMBRE 2017

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“Il commento” DI ROBERTO BATTISTON E FERNANDO FERRONI

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“Gravity, una guida all’uso” DI GIUSEPPINA PICCIRILLI E FULVIA CROCI

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“Intervista a Giovanna Melandri: Gravity emblema di un nuovo umanesimo” DI FRANCESCO REA

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“Quando lo spazio ricompone la cultura” DI FRANCESCO REA

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“Costruire il futuro del pianeta rosso” DI MANUELA PROIETTI, FULVIA CROCI E GIULIA BONELLI

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“Il cinema per lo spazio, un anno dopo” DI FRANCESCO REA

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“Life, ovvero Alien reloaded” DI MARCO SPAGNOLI

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“Donne che hanno fatto la storia” DI MARCO SPAGNOLI

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“Blade Runner 2049: il ritorno dei replicanti” DI MARCO SPAGNOLI

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“AlienItaliani: cinque film da vedere in Asi” DI MARCO SPAGNOLI

Global Science TESTATA GIORNALISTICA GRUPPO GLOBALIST Reg. Tribunale Roma 11.2017 del 02.02.2017 online www.globalscience.globalist.it

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“Expedition: dietro le quinte del docufilm” DI ILARIA MARCIANO

direttore responsabile Gianni Cipriani direttore Francesco Rea coordinamento redazionale Manuela Proietti grafica Davide Coero Borga

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“Spazio ai libri” DI VALERIA GUARNERI E GIULIA BONELLI

progetto grafico Paola Gaviraghi redazione Asi - Globalist pubblicità Laureri Associates Milano, via Juvara 26 - Como, via Volta 40 tel. +39 022362500 | 3356962477


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di Roberto Battiston - presidente Asi @Rb_Bat

Quando abbiamo iniziato a pensare a una mostra per raccontare come la visione di Albert Einstein avesse modificato la cultura globale introducendo gli elementi per una nuova cosmogonia, mi sono trovato di fronte a una autentica sfida intellettuale. E non poteva che essere così, pensando soprattutto alle parole di Einstein sul tema della crisi: «Non possiamo far finta che le cose cambieranno se continuiamo a fare le stesse cose. Una crisi può essere una vera benedizione per qualsiasi persona, per qualsiasi nazione, perché tutte le crisi portano progresso». In altri termini, in tutte le attività umane, la ricerca di nuove frontiere è un bene. Per questo la mostra è suddivisa in tre sezioni: Crisi, Spaziotempo e Confini. Tre coordinate per orientarci in ciò che accomuna lo scienziato e l’artista. La crisi definisce il sentimento di insoddisfazione che porta alla reazione di fronte a un modello scientifico che non è più in grado di spiegare la realtà e che è quindi allo stesso tempo fonte d’ispirazione artistica; il concetto di spaziotempo, in continua evoluzione rispetto anche al pensiero scientifico e filosofico dell’uomo; i confini, che sono un’attrazione irresistibile per quegli uomini incuriositi dai bordi, attratti dalla discontinuatà che esiste tra il ciglio e l’abisso, tra il nuovo e il vecchio, tra il sapere e l’ignoranza. Il pensiero artistico ed il pensiero scientifico, non sono altro che due strade diverse nel cammino dell’indagine, utilizzando due linguaggi diversi ma altrettanto universali, quello della scienza e quello dell’arte. Sia il pensiero dell’artista che quello dello scienziato sono, nel metodo e nella proiezione, particolarmente adatti all’esplorazione dello spazio e del tempo, ambiti dove più che mai è necessaria l’interdisciplinarietà della conoscenza, delle competenze e delle sensibilità. In questo consiste l’importanza del progetto che riunisce Maxxi e Miur con Infn e Asi, nella misura in cui ci aiuterà ad aprire varchi attraverso cui il nostro pensiero potrà esplorare nuovi orizzonti.

di Fernando Ferroni - presidente Infn @INFN_

Arte e scienza non sono mai stati universi completamente separati. Da sempre è accaduto che idee e risultati scientifici ispirassero gli artisti, così come che alcuni di questi influenzassero i percorsi della scienza. Oggi, la possibilità di condividere in modo rapidissimo e potenzialmente infinito esperienze e conoscenze è un catalizzatore ancora più formiIL COMMENTO dabile di nuove sintesi al confine tra questi mondi. Del resto abbiamo assistito nell’ultimo secolo a progressi straordinari delle nostre conoscenze sull’origine e sull’evoluzione cosmica, sulla natura della coscienza e dell’intelligenza umane o sui meccanismi che regolano la vita. E inevitabilmente le risposte della scienza a queste grandi domande hanno interpellato la ricerca dell’arte. Così come la tecnologia, che, con le sue implicazioni sempre più pervasive nelle nostre vite, è divenuta un tema naturale e ricorrente dell’indagine artistica e al tempo stesso uno strumento al servizio di nuove forme espressive. Da parte loro gli scienziati intravedono nel dialogo con gli artisti contemporanei la possibilità di esprimere in modi nuovi e più immediati quei risultati, che faticano a entrare nell’immaginario collettivo e a diventare effettivamente patrimonio di conoscenza comune. Come raccontare al grande pubblico i paradossi della meccanica quantistica o la visione del cosmo che ci ha regalato la Relatività generale, se non prendendo in prestito anche i linguaggi dell’arte o affidandosi alla sua forza evocativa? È su questa frontiera che si gioca probabilmente una delle sfide più appassionanti e decisive della cultura contemporanea: quella di dare una forma universalmente accessibile alle idee, che più radicalmente hanno trasformato il mondo, la società e le nostre vite nell’ultimo secolo. Sono convinto che nei prossimi anni artisti, pensatori e intellettuali affronteranno con sempre maggiore determinazione questa sfida. Gravity. Immaginare l’universo dopo Einstein è sicuramente un passo in questa direzione.

LE COORDINATE: CRISI, SPAZIOTEMPO E CONFINI

“Arte e scienza non sono mai stati universi completamente separati”

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l bianco dell’antenna della sonda Cassini e l’argento di Aeroke, l’installazione di Thomás Saraceno composta da due palloni aerostatici specchianti che captano i suoni impercettibili dispersi nell’atmosfera, fanno da preludio alla penombra, che ricorda il vuoto dello spazio, della mostra innovativa e percettiva dedicata allo spaziotempo: Gravity. Immaginare l’Universo dopo Einstein.

DENTRO IL PENSIERO CREATIVO DI ARTISTI E SCIENZIATI

GRAVITY, UNA GUIDA ALL’USO

di Giuseppina Piccirilli e Fulvia Croci @ASI_spazio

I visitatori del museo Maxxi di Roma saranno avvolti dai quattro metri di diametro dell’antenna di Cassini che ci ricorda come lo spazio tanto lontano è così vicino e in mezzo a noi. Mostrandoci che una macchina spaziale è anch’essa una creazione artistica capace di donarci emozioni sensazionali al pari delle consuete installazioni d’arte. La mostra è frutto della collaborazione tra il museo romano, l’Asi e l’Infn ed è a cura di Luigia Lonardelli per il Maxxi, Vincenzo Napolano dell’Infn e Andrea Zanini di Asi, con la consulenza scientifica di Giovanni Amelino-Camelia. Installazioni scientifiche, reperti storici e simulazioni di esperimenti, come il Cannocchiale di Galileo e lo Specchio di Virgo (l’interferometro laser che capta le onde gravitazionali), dialogano con opere di artisti moderni e contemporanei: da Marcel Duchamp ad Allora & Calzadilla, Peter Fischli e David Weiss, Laurent Grasso, Thomás Saraceno, in questa occasione nella duplice veste di curatorial advisor e autore. La grande e complessa installazione Cosmic Concert di Saraceno, dove suoni, vibrazioni e segnali visivi interagiscono tra loro e con i movimenti dei visitatori, ingloba l’intero percorso ed esplora tre concetti chiave: Spaziotempo, Confini, Crisi. È una costellazione

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In questa pagina: Laurent Grasso, Horn. Per gentile concessione dell’artista e della Galerie Perrotin. Nelle pagine successive: Tomás Saraceno, The Cosmic Dust Spider Web Orchestra e Aerocene Explorer Backpack. Per gentile concessione dello studio Tomás Saraceno.

di opere: Echoes of the Arachnid Orchestra with Cosmic Dust, dove tecnologie audio e video rendono visibili le interazioni del pubblico con la polvere cosmica in cui siamo immersi, al centro un ragno, la Nephila Senegalensis, tesse la sua tela amplificato da microfoni capaci di captarne il lavorio. Il Social Supernova Catcher, realizzato con un modello di interferometro modificato dall’artista, rende visibili le vibrazioni del ragno sulla tela e dei visitatori nella sala. E a seguire la palla di tungsteno con tutti i suoi specchi del satellite scientifico Lares, poi il KM3NeT che rivela i suoni filtrati dagli abissi, captati dal telescopio sottomarino Km3 collocato a 3500 metri di profondità a largo di Capo Passero, in Sicilia, e il video 163.000 Light Years ci restituisce l’immagine della Grande Nube di Magellano, la galassia distante dalla Terra 163.000 anni luce e teatro di violenti fenomeni avvenuti milioni di anni fa, filmata nel Salar de Uyuni (Bolivia), il più grande deserto di sale della Terra. Il suono fossile del Big Bang, eco remota che permea ancora oggi l’universo, è protagonista dell’opera di Laurent Grasso The Horn Perspective: una ricostruzione dello scheletro del radiotelescopio di Penzias e Wilson che quel suono captò all’inizio degli anni Sessanta. Accanto alla Buca gravitazionale, in cui sperimentare le dinamiche gravitazionali, si incontra la video installazione interattiva Curvare lo spazio, in cui il visitatore entra nello spaziotempo e, con la sua massa, ne determina la deformazione. In esposizione la Sfera Armillare del XVII secolo che serviva a studiare le traiettorie dei pianeti, l’edizione del 1632 del Dialogo sopra i due massimi sistemi di Galileo, il modello del satellite Lisa Pathfinder, la Barra di Nautilus, entrambi utilizzati nella ricerca sulle onde gravitazionali, e Ams (Alpha magnetic spectrometer), attualmente a bordo della Stazione spaziale internazionale alla ricerca di particelle di antimateria primordiale e di possibili tracce di materia oscura. Completano il video The Way Things Go di Peter Fischli e David Weiss e l’installazione video The Great Silence di Allora & Calzadilla, realizzata dagli artisti in collaborazione con lo scrittore di fantascienza Ted Chiang.

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Laurent Grasso «Il fatto che il tempo e lo spazio siano relativi mi interessa moltissimo. Ciò porta con sé un invito a ridefinire la nostra visione dell’universo e la nostra collocazione all’interno di esso». Con queste parole Laurent Grasso, artista concettuale francese, racconta del suo interesse per la storia dell’Antenna Horn, costruita nel 1959 dai Bell Telephone Laboratories per esigenze legate alle telecomunicazioni, in collegamento con il satellite Echo. Nel 1964, due radioastronomi americani, Arno A. Penzias e Robert W. Wilson, decisero di utilizzare questa antenna dotata di un riflettore di sei metri per misurare la potenza delle onde radio emanate dalla nostra galassia. L’antenna Horn captò un rumore misterioso e persistente. L’ipotesi avanzata dai due scienziati, e che presto sarebbe stata confermata, fu che tale frequenza fosse un residuo risalente agli inizi dell’universo, una realtà proveniente dal passato che, tuttavia, poteva essere avvertita nel presente. L’antenna è così diventata un congegno mitologico in grado di farci viaggiare nel tempo rivelando il residuo di una radiazione del Big Bang. Le sue implicazioni simboliche e filosofiche aprirono nuove prospettive per la nostra comprensione del cosmo, ampliando il campo della nostra realtà. È proprio questo caratteristica dell’evoluzione del sapere umano che è indagata nell’installazione The Horn Perspective dell’artista, una riflessione sul sottile confine tra scienza e finzione, che suggerisce le difficoltà incontrate da chi interpreta i messaggi del Cosmo.

Tomàs Saraceno Tomàs Saraceno, artista, architetto e performer argentino è autore dell’opera Cosmic Concert che cattura l’attenzione degli spettatori con una proiezione ingrandita di un ragno sulla sua tela, ricalcando una struttura che secondo le attuali teorie cosmologiche rispecchia la trama dello spazio. Mentre osservano l’opera, i visitatori partecipano come un vero e proprio ‘coro respirante’ al concerto cosmico che si rivela come un insieme di suoni prodotti da un mix tra le vibrazioni amplificate che il ragno produce sulla tela e le frequenze raccolte da strumenti scientifici che ascoltano l’Universo. «In questo concerto – racconta Saraceno – noi non mandiamo un messaggio nello spazio dalla nostra prospettiva centrata sull’essere umano, cadendo di nuovo nel paradosso epistemologico di proiettare la nostra sintonizzazione su esseri inimmaginabili. Al contrario, suoniamo insieme in una sincronicità sconosciuta, in cui anni luce possono diventare frazioni di secondi. Noi non siamo gli unici musicisti: forse terremoti, balene, ragni e polvere stanno già suonando assieme all’universo; il concerto cosmico è il nostro piccolo omaggio a questa possibilità». Negli ultimi decenni, scienziati e scrittori hanno elaborato molte risposte al paradosso di Fermi, che indaga l’apparente contraddizione tra l’assenza di prove e la prevista alta probabilità che esistano civiltà extraterrestri. Una delle teorie più diffuse immagina l’universo come una foresta buia, e ogni civiltà come un cacciatore silenzioso.

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on è un caso che la mostra Gravity. Immaginare l’Universo dopo Einstein abiti gli spazi del Museo nazionale delle Arti del XXI secolo: è il luogo naturale di questo esperimento. Con Global Science abbiamo incontrato Giovanna Melandri, presidente della fondazione Maxxi e che fortemente ha voluto questo allestimento. Come definirebbe o definisce il Maxxi? Immagino qualcosa più di un museo... Noi sentiamo il Maxxi come una piattaforma di Futuro. Ogni giorno siamo impegnati con tutta la nostra “squadra” a costruire un museo vivo, un laboratorio dove le arti contemporanee siano chiamate a cogliere ed esprimere i campi diversi della creatività in un dialogo con la scienza, la filosofia, le scienze sociali. Del resto, il genio di Zaha Hadid immaginò il Maxxi, perfino dalle sue stesse linee così intrecciate e sinuose, come una piattaforma aperta, libera. Il Maxxi oggi è questo: è un luogo dove si viene per pensare e per farsi trasformare dalla bellezza della ricerca INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE MAXXI, GIOVANNA MELANDRI artistica, una piattaforma in cui si incontrano e contaminano talenti, saperi, vocazioni.

GRAVITY EMBLEMA DI UN NUOVO UMANESIMO

La mostra Gravity nasce in collaborazione con Asi e Infn, e lei l’ha definita un nuovo umanesimo. Cosa intende? Quando proposi al presidente Battiston e al presidente Ferroni di mettere l’Agenzia Spaziale e l’Istituto di Fisica Nucleare fianco a fianco con il Maxxi, avevo in mente una sfida: far dialogare l’arte, l’esplorazione e la ricerca scientifica. Il risultato è una mostra splendida, di forte impatto visivo, emotivo e culturale. Maxxi, Asi e Infn sono davvero riusciti a compenetrarsi creando qualcosa di inedito. Prendo in prestito parole di Roberto Battiston: il pensiero artistico e il pensiero scientifico utilizzano, sì, linguaggi diversi, ma altrettanto universali. Con Gravity offriamo non solamente una mostra di rara bellezza, ma un percorso attorno a interrogativi cruciali della nostra epoca. Diamo un contributo di pensiero critico. Ho usato la parola umanesimo perché vedo in Gravity il contributo di Maxxi, Asi e Infn allo sviluppo di un dialogo davvero fecondo tra arti, scienze, filosofia, spiritualità. Dalla cosmologia, dalla ricerca, dai suoi traguardi, non ci vengono soltanto più conoscenza e tecnologia applicata alla nostra vita quotidiana. Ci vengono, se posso dir così, “onde gravitazionali” di pensiero, nuove domande di senso, altre idee di futuro sostenibile. La mostra Gravity sembra voler superare la divisione tra lettere classiche e materie scientifiche prodotte dall’impostazione di Benedetto Croce, è così? Arte e scienza in Gravity non sono mondi separati. I curatori Luigia Lonardelli, Vincenzo Napolano, Andrea Zanini e il consulente scientifico Giovanni Amelino-Camelia sono riusciti a intrecciare esperienze, lin12 - global science

di Francesco Rea @francescorea

“Il pensiero artistico e il pensiero scientifico utilizzano linguaggi diversi ma altrettanto universali”

guaggi, codici espressivi diversi e perfino lontani, dando forma a una narrazione condivisa. Ascoltare il suono delle galassie. Percepire la polvere cosmica. Accostare l’interferometro laser che capta le onde gravitazionali. La nostra mostra porge al visitatore, metaforicamente, due lenti bifocali: lo sguardo della conoscenza, della ricerca e della scienza e l’intuizione dell’arte, la visione della bellezza. In Gravity i reperti storici dell’esplorazione, gli esperimenti simulati, le scoperte della fisica, della matematica e dell’astronomia “si parlano” con le opere degli artisti. Gravity dà uno stimolo, un contributo, per farci uscire tutti dai rispettivi recinti, dagli specialismi. Per ricomporre i grandi filoni della cultura umanistica italiana. Omaggiando Leonardo.


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Alla fine del 2015 fui avvicinato da una collega di vecchia data (la data non la collega), con cui avevo lavorato, seppur su fronti diversi, spesso insieme su progetti comuni. Il triennio 20162018 presentava alcune prospettive interessanti per quanto riguardava la comunicazione: il 2016 il lancio della missione dell’Esa ExoMars, il 2017 il lancio della Missione Vita (in quel momento ancora non aveva quel nome) e nel 2018 era prevista la seconda parte della missione ExoMars, ora pianificata per il 2020, come potete leggere in altre pagine di questo numero di Global Science. LE CINQUE ARTI PER LO SPAZIO: DA MARTE A GRAVITY AL TERZO PARADISO E la sua proposta andava in quella direzione: la contaminazione. Stiamo uscendo a fatica (sono ottimista) di Francesco Rea @francescorea da una zavorra culturale che la maggior parte del pensiero del novecento e del duemila attribuisce a Benedetto Croce, come concetto, e a Giovanni Gentile come attuatore: la separazione culturale tra l’umanesimo e la scienza, la cultura delle due culture, quella di serie A, le lettere e la filosofia per sintetizzare, passando per le arti, architettura, pittura, cinema, musica, contrapponendole alla matematica, alla fisica, all’astronomia e tutto ciò che è scienza. Come se il sapere fosse categorizzabile in classi di serie A e serie B. Sarebbe come considerare Leonardo da Vinci da serie A per i suoi dipinti e da serie B per lo studio anatomico eccezionale del corpo umano che fece. E ovviamente sto fache fosse in latino o in italiano. Global Science, che non a caso si cendo un banale esempio nel citare il genio più Quella proposta, l’idea di una intitola Cosmorama. versatile della storia dell’umanità. esposizione sul pianeta Marte e la Quella mostra che abbiamo inauNon ci sarebbe il duomo di Firenze se Brunellesua esplorazione che ne fornisse gurato alla Sala Ottagona del Muschi non avesse accompagnato la sua arte con la un quadro complessivo di come il seo delle Terme di Diocleziano, sua conoscenza della fisica e dell’ingegneria. E pianeta rosso fa parte della cultu- mostrava il pianeta rosso sotto Galileo Galilei come avrebbe potuto cambiare la ra umana, rientrava in uno spirito diversi aspetti: la rappresentaziovisione del cosmo se non avesse accompagnato di relazione che viene largamente ne artistica della divinità che rapil suo ingegno astronomico all’arte della parola, esplicitato in questo numero di presentava, Marte per il popolo

QUANDO LO SPAZIO RICOMPONE LA CULTURA

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Milano Marte. Incontri ravvicinati con il Pianeta Rosso sarà esposta al Museo Nazionale di Scienza e Tecnologia fino a fine maggio 2018. Inaugurazione fissata per l’8 febbraio.

Matera A Matera la mostra è stata accolta a Palazzo Ridola grazie al sostegno della direttrice del Polo Museale della Basilicata Marta Ragozzino. Chiude il 14 gennaio 2018.

romano, il Dio della Guerra, per il suolo colore rosso, universalmente identificato come tale in culture assai diverse tra loro. L’identificazione con la fantascienza, con l’alieno, che non a caso per decenni si è identificato con la parola marziano. Quel pianeta così relativamente vicino da permettere le fantasie più varie in attesa che la tecnologia ci permettesse di entrare nei suoi segreti. Fanta-

Tracce di acqua sulla superficie marziana in una rielaborazione grafica. Crediti: Hirise, Mro, Nasa.

sie permesse anche da traduzioni avventate confondendo channels con canals e aprendo all’esistenza dei marziani. E così il via alla fantasia, alla letteratura, alle cronache marziane, fino ad oggi che si conosce un pianeta arido, privo di aria, ma con un passato che potrebbe fornire

un futuro extraterra all’umanità. Già perché gli alieni saremo noi, potrei affermare mutuando il titolo di un caro amico e soprattutto grande scienziato. Rimanendo sulla mostra su Marte posso dire che è stata a Roma, fino a fine anno a Matera, poi Milano e in futuro negli States per chiudere a Torino, nel 2020, quando la parte seconda della missione partirà alla volta del pianeta rosso. Per i dettagli leggere più avanti. Questo numero rappresenta quell’approccio, che ci era proprio e ha saputo trovare interlocutori sensibili: non solo per la mostra Marte, ma per Gravity, Expedition, Spazio Cinema, il Terzo Paradiso, C’è spazio per tutti, Spazio Musica. E le sorprese non sono finite.

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In queste pagine: Andrew Becraft, Mars Rover Family Portrait. Licenza Creative Commons. Trattamento grafico: Davide Coero Borga.

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ella storia delle osservazioni al cannocchiale e al telescopio e poi dell’esplorazione planetaria, il Pianeta rosso non ha mai avuto rivali. Non c’è corpo celeste che abbia stimolato il nostro immaginario e la nostra curiosità scientifica quanto Marte.

Per una lunga serie di motivi, il Pianeta rosso ci chiama. Se un secolo fa lo credevamo un mondo abitato dagli alieni, oggi ci chiediamo se sotto le sue polveri vi siano tracce di vita passata. Dove prima vedevamo canali artificiali costruiti da marziani, oggi pianifichiamo di costruire un avamposto terrestre. Ma prendere Marte non è mai stato facile ed è tuttora una sfida. Come ci ricorda il recente insuccesso del lander Schiaparelli, le missioni marziane hanno un altissimo tasso di fallimento. MARTE A RISCHIO OVERBOOKING FRA SONDE, LANDER E ROVER Circa i due terzi dei veicoli diretti al Pianeta rosso non hanno completato gli obiettivi. Alcune spedizioni hanno fallito ancor prima di arrivare. Se atterrare è la parte più difficile, sopravvivere alle radiaziodi Manuela Proietti, Fulvia Croci e Giulia Bonelli @ASI_spazio ni sembrerebbe però più facile del previsto. Almeno per i rover Spirit e Opportunity. Costruiti per operare 90 giorni marziani, hanno battuto e determinarne la natura, liquida il suolo rosso per anni. Oppy, a dire il vero, è ancora vivo e vegeto e o solida. Prima dell’ingresso in atmanda resoconti dal cratere Endeavour. Insieme a Curiosity, entrambi mosfera marziana InSight rilascerà realizzati dalla Nasa, sono i due coloni terrestri al momento operativi due cubesat. I due satelliti gemelli sul suolo di Marte. Il cielo del pianeta rosso è invece molto più affollato. chiamati Marco scorteranno il lanE vanta un paio di sonde storiche ancora all’opera: Mars Odissey di der durante tutte le fasi di avviciNasa e l’europea Mars Express, in orbita marziana rispettivamente dal “ExoMars namento al suolo, trasmettendo a 2001 e dal 2003. A queste si aggiungono il Mars reconnaissance orbiter, 2020 comterra in tempo reale informazioni Maven, l’indiana Mars orbiter mission e il Trace gas orbiter dell’Esa. binerà lo sulla telemetria. Successore diMa vediamo cosa c’è nel futuro di Marte. studio della retto del lander Phoenix, InSight atterrerà sulla Elysium Planitia, superficie Insight nei pressi dell’equatore marziano, Ci sono terremoti su Marte? Un’informazione da non trascurare per chi marziana posizione che garantirà ai pannelli dovrà progettare i primi avamposti marziani. Scoprirlo sarà compito di con quello solari un’esposizione alla luce tale InSight, lander Nasa in partenza nel 2018 con l’incarico di effettuare uno del sottoda fornire l’energia necessaria nei due anni di vita operativa prevista studio approfondito della struttura interna di Marte e dei processi che lo suolo” per la missione. Dopo aver mancahanno plasmato. InSight sarà una sorta di stazione sismica che, grazie a to la finestra di lancio del 2016 a una dotazione scientifica ad hoc, potrà registrare spostamento, velocicausa di un problema al sismogratà e accelerazione del suolo. Un sensore termico alloggiato all’estremità fo, InSight è finalmente prossimo di un braccio estensibile, permetterà al lander di effettuare delle misual decollo, attualmente previsto per razioni di temperatura del flusso del calore proveniente dall’interno del il 5 maggio prossimo, dalla base pianeta, fino a una profondità di 5 metri. InSight sarà la prima sonda a di Vandenberg in California. Con effettuare misure dettagliate del nucleo di Marte, per stimarne la taglia

COSTRUIRE IL FUTURO DEL PIANETA ROSSO

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Robot marziani

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Fra sonde, orbiter, lander e rover il futuro dell’esplorazione extraplanetaria vede protagonisti indiscussi i robot.

Come la missione europea ExoMars, InSight si servirà di strumenti di ultima generazione per esaminare il sottosuolo marziano.

InSight sbarcheranno su Marte oltre due milioni di passeggeri. Non saranno, ovviamente, uomini e donne in carne e ossa, ma nomi e cognomi, registrati su un microchip, di tutti coloro che, nell’ambito del programma Nasa per frequent flyer spaziali, hanno richiesto la propria boarding pass per il pianeta rosso. Se avete mancato l’occasione e siete a caccia di miglia, tenetevi pronti per l’apertura del gate dell’Exploration mission 1 di Orion con destinazione Luna. ExoMars 2020 Lo sviluppo di ExoMars 2020, parte della seconda fase dell’omonima missione realizzata da Esa e Roscosmos, procede secondo i piani a 21 mesi dal lancio della sonda Trace gas orbiter, attualmente in orbita intorno al pianeta rosso. La missione è composta da un rover che funge da vero e proprio laboratorio mobile per lo studio del sottosuolo marziano. Controllato da terra dal Rover operation control center (Rocc) di Altec a Torino ed equipaggiato con un trapano realizzato in Italia, avrà il compito di perforare il terreno fino a 2 metri di profondità in cerca di possibili tracce di vita microbica, presente o passata. Nella missione l’Italia ha un ruolo di primo piano, con l’Agenzia Spaziale Italiana, l’industria (Thales Alenia Space e Leonardo) gli enti di ricerca (Infn e Inaf) e diverse università. Il nostro Paese vanta anche un importante contributo scientifico: la fornitura di quattro strumenti con compiti che spaziano dall’analisi dell’atmosfera a quella dell’evoluzione geologica di Marte. A maggio dello scorso anno, il direttore generale Esa Johann-Dietrich Woerner e quello della Roscosmos Igor Komarov, hanno deciso di rinviare il liftoff alla successiva finestra di lancio del 2020. Il parere dei due direttori è stato formalizzato dopo aver ascoltato i pareri del Tiger Team, un gruppo di esperti riuniti a Mosca in occasione dell’ExoMars Joint Steering Board. Nel det18 - global science

“InSight sarà la prima sonda a effettuare misure dettagliate del nucleo di Marte”

taglio, il team ha basato la propria decisione tenendo conto dei ritardi accumulati in una serie di attività e nelle consegne dei payload russi ed europei. Inoltre, per evitare ulteriori rallentamenti nei piani di sviluppo del rover, i due enti spaziali hanno acconsentito all’adozione di ulteriori misure volte a mantenere uno stretto controllo sulle attività fino al lancio. Dopo il via libera per la nuova finestra di lancio in occasione della Ministeriale del dicembre scorso a Lucerna, l’Esa ha approvato un contributo pari a 440 milioni di euro necessari al rifinanziamento della missione. Un segnale decisivo: infatti 167 milioni del totale sono stati forniti dall’Italia mentre altri 100 provengono dal bilancio ordinario dell’agenzia che comprende le risorse dei 22 paesi aderenti e non dei soli 13 che partecipano alla missione. Il 2017 ha confermato l’andamento positivo dell’anno precedente, con la scelta dei due siti candidati per l’atterraggio del rover: Oxia Planum e


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Mars 2020

ExoMars

Fra gli obiettivi della missione c’è anche lo stoccaggio di campioni geologici per una futura missione di recupero e analisi a Terra.

Lo sviluppo del rover della missione di Esa e Roscosmos va avanti in attesa del lancio in programma per il 2020.

Mawrt Vallis. Entrambe le aree presentano caratteristiche fondamentali per la buona riuscita della missione, anche se la decisione finale verrà presa solo a un anno dal lancio.

2020, Marte da bollino rosso Se avete in programma di partire per Marte, evitate il 2020. Oltre ad Europa e Stati Uniti, a sfruttare la stessa finestra di lancio saranno anche Cina ed Emirati Arabi. I piani di Pechino prevedono l’invio al pianeta rosso, in un solo colpo, di un orbiter, di un lander e di un piccolo rover. La missione fa parte del programma spaziale autonomo che la Cina ha avviato in seguito al fallimento congiunto con la Russia della missione Phobos-Grunt. Lo scopo principale della spedizione sarà testare le tecnologie utili alla missione successiva di sample return, che prevede il ritorno di campioni di suolo a terra. ‘Al Amal’, in inglese Hope, è invece il nome scelto dagli Emirati Arabi Uniti per la propria missione marziana. Costituita da un orbiter per lo studio dell’atmosfera, sarà la prima missione di un paese arabo verso Marte.

“Mars 2020 affronterà il grande capitolo dell’abitabilità marziana”

Mars 2020 A InSight ed ExoMars, nel giro di circa tre anni, dovrebbe aggiungersi anche la navicella Mars 2020. Obiettivo primario, abitabilità: la missione punterà a trovare segni di antiche forme di vita su Marte, e a sondare la possibilità che il mondo rosso possa un giorno ospitare nuovi organismi viventi. Nasa sta lavorando alla costruzione della nuova creatura, il cui hardware è attualmente in fase di sviluppo presso il Jpl in California. A prima vista il rover che costituirà il cuore della missione assomiglia parecchio al predecessore Curiosity; ma a un’analisi più approfondita ci si accorge che le differenze ci sono, e molte. Sette nuovi strumenti, ruote ridisegnate per una maggiore autonomia di movimento, una sofisticata trivella e un braccio robotico miniaturizzato: sono solo alcuni degli ‘ingredienti’ che renderanno Mars 2020 una missione unica. Diversi sono poi gli obiettivi scientifici delle due missioni. Se Curiosity si è concentrato soprattutto sull’ipotesi – ormai accettata dagli astronomi – del passato acquoso del pianeta rosso, Mars 2020 affronterà il grande capitolo dell’abitabilità marziana. A tal proposito, il nuovo rover utilizzerà analisi spettroscopiche e a raggi X, in modo da ricostruire la composizione minerale e organica delle antiche rocce di Marte con un livello di dettaglio corrispondente allo spessore di un capello umano. L’ideale sarebbe avere un ‘pezzetto di Marte’ da analizzare con calma nei nostri laboratori. Per questo la Nasa sta lavorando a un progetto per il ritorno di campioni marziani sulla Terra: chiusi ermeticamente in contenitori in titanio e depositati in un luogo sicuro sul pianeta rosso. In attesa di essere recuperati, un giorno, da future missioni. global science - 19


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SERATA CONCLUSIVA CON L’ANTEPRIMA DEL DOCUMENTARIO EXPEDITION

IL CINEMA PER LO SPAZIO UN ANNO DOPO di Francesco Rea @francescorea

l cinema in Asi non ci è entrato in sordina. Anzi. Lo ha fatto con i dovuti onori. Mostrando in anteprima in Italia l’ultimo successo di Ridley Scott, The Martian. Un film agli onori delle cronache non solo per le sue fatture cinematografiche, dalla regia all’interpretazione degli attori e in particolare del suo protagonista, quel Matt Damon reso famoso dal film L’uomo della pioggia e celebrato con la serie Bourne, ma soprattutto perché tratto dal romanzo di un biologo che sulla rete ha cominciato a raccontare la storia di un astronauta rimasto solo su Marte e come avrebbe dovuto fare per sopravvivere. Al di là del giudizio sul romanzo piuttosto che sul film, io personalmente ho delle perplessità sulla sua sceneggiatura cinematografica, la storia si inserisce in una nuova tendenza che presenta la fantascienza sempre più vicina alla scienza. Cioè un mondo di scienza e tecnologia oggi così vicina alla conquista di Marte che la si può immaginare capace, come fece Werner Von Braun nella prima parte del suo romanzo The Mars Project, di giungervi e sopravviverci senza necessariamente trovare mediazioni fantastiche. In questo filone si erano già inseriti i film Gravity e Interstellar, che pur cedendo a forme fantascientifiche mantiene ferme le premesse scientifiche. E oggi la scienza e la tecnologia spaziale è così avanti e comune tra noi che tutto o quasi della filmografia di fantascienza può essere tema di approfondimento, anche in un film come Life, che pone il tema della vita altra, come potrebbe essere in un ambiente diverso dal nostro e come noi potremmo adattarci. Per questo motivo l’Asi, grazie anche ad un auditorium cinematografico 3D con una capacità di 400 posti, ha deciso di avvicinarsi al grande pubblico offrendo cinema e scienza in una iniziativa chiamata Spazio Cinema. Una iniziativa nata in collaborazione con il Giornale dello Spettacolo,

“Una nuova tendenza presenta la fantascienza sempre più vicina alla scienza”

un modo di raccontare il cinema da due punti di vista, quello cinematografico grazie al regista e critico Marco Spagnoli e quello scientifico, con gli esperti dell’Asi o di altri enti di ricerca a seconda del tema affrontato. E ai titoli di Moon, Wall-E, Sunshine, Gravity, per citarne alcuni, si sono aggiunte le anteprime di Il Diritto di Contare, Life e Blade Runner 2049, a conferma di una interlocuzione tra scienza, spazio in particolare, e cinema che sembra avere parti comuni del loro codice genetico culturale. L’anteprima all’Auditorium Parco della Musica del documentario Expedition è parte di Spazio Cinema, la targa ai fratelli Manetti e alla regista di Expedition Alessandra Bonavina, ne sono la conferma. Una iniziativa che vedrà documentari in co-produzione con il Giornale dello Spettacolo e che saprà offrire realtà del cinema scientifico e fantascientifico nella rassegna 2018, cercando di favorire il pubblico con un orario più adeguato ai problemi del sacro Gra. global science - 21


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critto dagli sceneggiatori di Zombieland e Deadpool, Rhett Reese e Paul Wernick, Life è una storia spaziale più horror che scientifica o fantascientifica, con il limite di un racconto – alla fine – prevedibile, nonostante i momenti molto interessanti e perfino divertenti di cui è costellato.

UN HORROR SPAZIALE

LIFE, OVVERO ALIEN RELOADED

di Marco Spagnoli @Marco_Spagnoli

Diretto dallo svedese Daniel Espinosa ed interpretato da un cast internazionale tra cui Jake Gyllenhall, Rebecca Ferguson, Hiroyuki Sanada, Ryan Reynolds, il film racconta di un gruppo di astronauti sulla Stazione spaziale internazionale alle prese con una forma di vita aliena che da piccola e carina diventa, mano a mano, sempre più minacciosa, innescando tutti i crismi del classico horror in cui, uno dopo l’altro, tutti i protagonisti se la dovranno vedere con l’ospite indesiderato fino al redde rationem finale dove, un po’ maldestramente, solo lo spettatore più distratto e per nulla smaliziato non potrà intuire con largo anticipo la fine. Life ha il grande merito di contaminare il film spaziale moderno ovvero osservante le leggi della fisica e del buon senso narrativo, con un horror molto classico in cui uno spazio chiuso anziché essere una difesa, diventa lo sfondo per un racconto claustrofobico e inquietante su una creatura venuta dallo spazio profondo. Un essere che è bene ricordarlo – per nessun motivo al mondo – deve potere raggiungere la Terra, perché in quel caso l’umanità potrebbe rischiare di finire in virtù della forza per colpa di questo mostro apparentemente invulnerabile e, bisogna riconoscerglielo, sufficientemente intelligente da ingaggiare una vera battaglia con gli occupanti dell’Iss piena di colpi di scena e di non poche furbate. I riferimenti cinematografici sono molteplici e tutti piuttosto inevitabili, anche se quello di Alien è il più forte di tutti per un film comunque godibile e di intrattenimento. 22 - global science


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IL DIRITTO DI CONTARE

SPAZIO ALLE DONNE CHE HANNO FATTO LA STORIA di Marco Spagnoli @Marco_Spagnoli

ulla scorta di altri film storici legati alla conquista dello spazio come The Right Stuff e October Sky, Il Diritto di contare è incentrato su una storia non molto nota, ovvero, come alcune matematiche afroamericane della Nasa abbiano contribuito in maniera determinante ai calcoli che hanno permesso di raggiungere la Luna. Equazioni fatte a mano per una matematica tanto complicata quanto essenziale per raggiungere i gradi più alti dell’atmosfera, in un’epoca in cui i computer si affacciavano ancora timidamente e in maniera goffamente ingombrante sulla soglia dell’astronautica. Un film pieno di emozioni in cui le luci del progresso della storia umana, sono contornate dalle terribili ombre del pregiudizio e della segregazione. Ad una donna come Katherine Johnson (interpretata da Taraji P.Henson), in grado di fare calcoli complicatissimi, infatti, pur potendo mandare un uomo nello spazio, non poteva, invece, andare in un bagno per le bianche. Un’aberrazione di cui, nel film, si libera il personaggio portato sullo schermo da Kevin Costner, ovvero il capo del programma spaziale, Al Harrison che demolirà letteralmente a mazzate i cartelli che indicavano i bagni segregati, ovviamente, lontanissimi gli uni dagli altri. Pur con una certa levità, Il Diritto di Contare è un film che non la manda a dire a nessuno: diretto, essenziale, descrive la vita di tre donne nere che provano ad avere un’esistenza serena e che – come il San Francesco descritto dal cantautore canadese Leonard Cohen – hanno i piedi nel fango della Storia e la testa nei cieli dei viaggi spaziali. Il gioco di parole del titolo originale, ovvero quelle ‘figure nascoste’, ma anche ‘numeri’ che bisogna trovare per realizzare davvero il sogno della conquista spaziale, fa pensare gli spettatori, messi davanti alla forza e alla potenza dell’intelligenza di tre donne in gamba in grado di farsi apprezzare dagli uomini e dalle donne loro colleghi. Bianchi e, spesso, nonostante gli studi, pieni di riserve e, soprattutto, di gravi pregiudizi.

“Una lezione civile su scienza e diritto allo studio”

Un film interessante e coinvolgente, ma anche una lezione civile su scienza e diritto allo studio. Un parallelo importante tra la conquista di livelli più alti di conoscenza scientifica, ma anche di umanità e civiltà. Una celebrazione dell’America di Barack Obama, dei suoi valori, della bellezza e ricchezza della sua diversità, che oggi – nel buio demenziale e post verità di Trump – risuona con maggiore forza e potenza nei nostri cuori e nelle nostre menti. Il Diritto di Contare, oggi, è, infatti, importante come allora per tutti quelli che sotto il Cielo non hanno ancora potuto esprimere il proprio talento e la propria intelligenza a causa del colore della pelle e delle proprie idee. Soprattutto per coloro che non hanno ancora potuto dimostrare chi sono davvero e che devono potere riuscire a cogliere un’occasione per farlo. In fondo, però, la chiave è sempre la stessa: laddove non ci sono pregiudizi, ecco, lì c’è l’intelligenza per cogliere la vera identità delle persone e conquistare anche il cielo.

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IN QUESTO FILM NESSUNO SA CHI È DAVVERO

BLADE RUNNER 2049 IL RITORNO DEI REPLICANTI di Marco Spagnoli @Marco_Spagnoli

lade Runner è un film che come pochi altri ha influenzato l’immaginario collettivo di un’intera decade e ha lanciato nell’Olimpo del cinema il suo regista Ridley Scott, che, in questa versione intitolata Blade Runner 2049 ha lasciato la sedia del regista al canadese Denis Villenevue. Interpretato da Harrison Ford, Ryan Gosling, Robin Wright, Jared Leto, Sylvia Hoeks con il ritorno di Edward James Olmos nei panni di Gaff, il sequel del film del 1982 inizia esattamente trenta anni dopo gli eventi raccontati nella prima storia. Blade Runner, è bene ricordarlo, ha avuto diverse versioni cinematografiche che, in qualche maniera, riflettevano diversamente sul significato profondo della trama ispirata dal racconto di Philip K. Dick. Se, infatti, Ridley Scott si è sempre detto convinto che anche il protagonista Deckhard (il personaggio interpretato da Harrison Ford) fosse un replicante, proprio l’attore ha sempre voluto insistere sull’umanità del suo personaggio, ritenendo fuori discussione la possibilità che non fosse un essere umano. In questo seguito l’agente K della Polizia di Los Angeles (Ryan Gosling), un replicante dichiarato, scopre un segreto sepolto da tempo che potrebbe far precipitare nel caos quello che è rimasto della società civile. La scoperta di K lo spinge verso la ricerca di Rick Deckard, l’ex-blade runner della polizia di Los Angeles sparito nel nulla da tanto tempo. Ci sono voluti diversi anni prima che Blade Runner avesse un seguito: un’idea che il regista Ridley Scott accarezzava da tempo (si è parlato a lungo di una sceneggiatura intitolata Metropolis, che sarebbe stata ambientata nei mondi delle colonie citati nell’originale e anche in questo film). Tony Scott, recentemente scomparso, ha lavorato per qualche tempo insieme al fratello Ridley al progetto di un prequel intitolato Purefold; è stato, però, solo all’inizio di questa seconda decade degli

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“Per Ridley Scott Deckhard è sempre stato un replicante”

anni Duemila, che il nuovo Blade Runner ha avuto uno sviluppo prendendo le mosse da quella che era la storia originale ispirata al lavoro e alla visione di Philip K. Dick. Blade Runner 2049 ricrea le atmosfere dell’originale grazie ad un lavoro molto affascinante sulla fotografia. Il direttore della fotografia del film originale Jordan Croneweth èscomparso prematuramente nel 1996, così Villenevue si è affidato dal DP preferito dei Fratelli Coen e di Skyfall, Roger Deakins con cui aveva già collaborato per due dei suoi ultimi film per estendere l’atmosfera dell’originale alla Los Angeles del 2049. Un lavoro interessante che soprattutto nella sua versione Imax conquista lo spettatore per la qualità delle immagini e la potenza del suo racconto, a dispetto di alcuni momenti della sceneggiatura che si affidano troppo ad un racconto di salvazione, certamente meno interessante dell’eterno tema della ricerca dell’identità.


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RASSEGNA SPAZIO CINEMA 2018

ALIENITALIANI: CINQUE FILM DA VEDERE IN ASI di Marco Spagnoli @Marco_Spagnoli

L’Italia e la fantascienza hanno un rapporto antico che al cinema si declina in maniera molto peculiare. Come nel caso della ‘visione’ degli extraterrestri in film molto diversi e originali tra loro diretti – in epoche differenti – da registi che hanno poco in comune se non uno sguardo unico ed originale. Alle volte lo spazio e la scienza c’entrano poco, ma la metafora dell’alieno scatena idee e racconti molto italiani e pieni di sorprese. Il disco volante (1964) di Tinto Brass con Alberto Sordi, Silvana Mangano, Monica Vitti, Eleonora Rossi Drago, Carlo Mazzarella, Lello Bersani. Un Alberto Sordi che si moltiplica in diversi personaggi è al centro di un film scritto da Rodolfo Sonego e che affronta le suggestioni degli Ufo in un paesino del Veneto a metà degli anni Sessanta. Le reazioni degli abitanti sono molto variegate e inattese: un brigadiere dei carabinieri è, infatti, incaricato delle indagini. Comincia così ad interrogare i testimoni ma questi, compreso lui stesso, finiranno in manicomio: il caso verrà presto dimenticato a fronte di una qualche perversione che coinvolgerà, invece, i poveri alieni e che è la cifra beffarda del Tinto Brass regista di un cinema che già lascia intravedere una certa vocazione verso l’erotismo. Una satira dolce amara dove gli alieni sono un alibi per la presa in giro della vita di provincia. L’arrivo di Wang (2011) di Marco e Antonio Manetti con Ennio Fantastichini, Francesca Cuttica, Juliet Esey Joseph, Antonello Morroni, Carmen Giardina, Massimo Triggiani, Li Yong, Jader Giraldi. Gaia, un’interprete di cinese, viene chiamata per una traduzione urgentissima e segretissima. Si troverà di fronte Curti, un agente privo di scrupoli, che deve interrogare un fantomatico signor Wang. Ma per la segretezza l’interrogatorio viene fatto al buio e Gaia non riesce a tradurre bene… Quando la luce viene accesa, Gaia scoprirà perché l’identità del signor Wang veniva tenuta segreta. Una scoperta che cambierà per sempre la sua vita… e non solo la sua. Fantascienza intelligente e anche divertente quella dei Fratelli Marco e Antonio Manetti da sempre affascinati dal cinema di genere e – in particolare – dalle possibilità di contaminare e rileggere i film del passato. A.L.B.E. A life beyond Earth (2018) di Elisa Fuksas. Otto personaggi di Roma e dintorni, testimoni diretti e indiretti di eventi eccezionali, si stanno preparando per un appunta-

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mento indifferibile: uno skywatching che li vedrà insieme riuniti a guardare il cielo per salutare i “fratelli cosmici” . Evento che cambierà per sempre le loro piccole vite terrestri. «È stato un viaggio nella trascendenza e insieme in un’Italia inedita, anomala, di commedia, sublime», spiega la giovane regista romana. «Un gruppo di romani di tutte le età alle prese con gli alieni – avvistamenti, abduzioni, riconoscimenti– tutto vero, tutto sentito, tutto ripreso. Un film su Dio, travestito da ufo o più semplicemente sul sacro. Il tono è, però, sempre il mio, provvisorio e autoironico». Il film è prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci alla sua seconda collaborazione con la regista dopo il film d’esordio Nina. Addio Fottuti Musi Verdi (2017) di Francesco Ebbasta con Francesco Ebbasta, Ciro Priello, Fabio Balsamo, Beatrice Arnera, Roberto Zibetti, Simone Ruzzo, Fortunato Cerlino, Salvatore Esposito. Il protagonista è Ciro, super qualificato grafico pubblicitario, specializzato in porte in faccia e collezionista di delusioni che, dopo averle provate tutte, decide di partecipare ad un concorso e mandare il suo curriculum nientedimeno che agli alieni. Tanto quelli figurati se rispondono. E invece… Addio Fottuti Musi Verdi è un film che rivela tutta la carica surreale e lo spirito dissacrante del gruppo creativo. E quindi Napoli, ma anche astronavi, alieni ed effetti speciali. Un’odissea sulla terra e nello spazio, per raccontare l’amore e l’amicizia ma soprattutto la voglia di esprimere il proprio talento e di realizzare i propri sogni. Dovunque e a qualunque costo. Perché le vie dello spazio sono infinite. Tito e gli Alieni (2017) di Paola Randi con Valerio Mastandrea, Clémence Poésy, Luca Esposito, Chiara Stella Riccio, Miguel Herrera, John Keogh. Il Professore (Valerio Mastandrea) da quando ha perso la moglie, vive isolato dal mondo nel deserto del Nevada accanto all’Area 51. Dovrebbe lavorare ad un progetto segreto per il governo degli Stati Uniti, ma in realtà passa le sue giornate su un divano ad ascoltare il suono dello Spazio. Il suo solo contatto con il mondo è Stella, una ragazza che organizza matrimoni per i turisti a caccia di alieni. Un giorno gli arriva un messaggio da Napoli: suo fratello sta morendo e gli affida i suoi figli, andranno a vivere in America con lui. Anita 16 anni e Tito 7, arrivano aspettandosi Las Vegas e invece si ritrovano in mezzo al nulla, nelle mani di uno zio squinternato, in un luogo strano e misterioso dove si dice che vivano gli alieni...

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ato da un’idea dell’Agenzia Spaziale Italiana, ha come narratore l’astronauta italiano dell’Esa Paolo Nespoli che racconta il suo viaggio dietro le quinte della missione Vita dell’Asi. Expedition è il primo docufilm dedicato alla preparazione di una missione spaziale umana. L’autrice è la regista Alessandra Bonavina, che ne è anche la produttrice con la società Omnia Gold Studios Production. Alessandra, da cosa nasce la scelta di essere in prima persona dietro la telecamera? Vengo da tanti anni di RaiCinema, ho realizzato diversi documentari sia da sceneggiatrice che da regista e ho sempre lavorato dietro la telecamera. Nei documentari, la figura di chi scrive il soggetto e di chi dirige coincide poiché non esiste una sceneggiatura e quindi bisogna essere sicuri che quello che viene girato è esattamente ciò che si è pensato di voler realizzare.

INTERVISTA AD ALESSANDRA BONAVINA

EXPEDITION: DIETRO LE QUINTE DEL DOCUFILM

Com’è stato Paolo Nespoli nelle vesti di attore durante questi lunghi mesi di riprese? All’inizio non è stato semplicissimo convincere Paolo… Si chiedeva cosa avremmo potuto fare di diverso dagli altri documentari sugli astronauti. Quando abbiamo iniziato le riprese ho cercato di spiegargli che la mia intenzione era quella di raccontare attraverso la sua figura il lavoro di tutte le persone che stanno dietro a una missione spaziale, la fatica e 28 - global science

di Ilaria Marciano @ASI_spazio

l’impegno per la ricerca. La sua spontaneità e la grande capacità di affabulare e di spiegare cose complesse in modo semplice hanno dato un grande apporto al docufilm. Durante le riprese hai potuto vedere posti che nell’immaginario collettivo non sono facilmente accessibili: dalle strutture di Colonia, a Houston e Star

City. Che impressione ti hanno fatto? Non solo nell’immaginario collettivo… Alcuni posti non sono proprio accessibili! Sono effettivamente zone militari in cui non è facile entrare, ed è stato un privilegio potervi accedere attraverso specifiche autorizzazioni ottenute grazie all’Agenzia Spaziale italiana e all’Agenzia Spaziale Europea.


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è un po’ più limitata e ho dovuto fare i conti con la ‘verità scientifica’, però ci si può divertire utilizzando le sperimentazioni di tecnologie e strumentazioni avanzate per raccontare le storie.

Che cosa ha portato una start up come la tua ad occuparsi di un settore così particolare e se vogliamo anche un po’ di nicchia come quello spaziale? La mia è una società innovativa ed ha nel dna l’attenzione verso la tecnologia. Per questo motivo lo spazio, che è l’emblema del futuro e della tecnologia avanzata, è un settore di riferimento e di interesse assoluto per me. La tecnologia è applicabile

in diversi settori e questo lo insegna soprattutto la ricerca spaziale.

Paolo Nespoli alla base di addestramento russa di Star City. Crediti: Esa

Avendo realizzato altri documentari, pensi che possano esistere delle differenze vista la particolarità di questo settore? Lo spazio è un settore molto tecnico e particolare, quindi è importante documentarsi per poter raccontare in modo corretto le cose. Diciamo che la libertà creativa

Quale sarà il futuro di Expedition? Il documentario è stato assolutamente apprezzato, sia nel mondo della scuola che in quello cinematografico. Oltre ad essere stata contattata da presidi ed insegnanti interessati a mostrare il documentario ai loro studenti, Expedition è iscritto a tre festival internazionali: il Tribeca di New York, il Festival internazionale di Toronto e il Copenhagen Film Festival. Inoltre, sono in trattativa con diverse case di distribuzione internazionali.

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VIAGGIO NEGLI STUDI DI HAWKING

STORIA DELLA FILOSOFIA ‘PERICOLOSA’

BIG BANG TEMPO E COSMO

TUTTI GLI ERETICI A FUMETTI

di Valeria Guarnieri @ASI_spazio

di Giulia Bonelli @giulia_bonelli

Ha compiuto 75 anni all’inizio del 2017, la maggior parte dei quali dedicati ad affrontare i grandi interrogativi sull’Universo e i suoi inizi, sui buchi neri e sul tempo, cercando degli strumenti per migliorare la comprensione di queste realtà. Stiamo parlando di Stephen Hawking, uno dei più noti fisici teorici della nostra epoca, il cui pensiero è il protagonista di Hawking. Universo - Spazio - Tempo, curato dal giornalista scientifico Rudiger Vaas ed edito per i tipi di Libreria Geografica. Il volume affronta, in maniera accattivante e spiritosa, le principali aree di ricerca su cui si è concentrata l’attività di Hawking: il Big Bang, le caratteristiche dell’Universo, il rapporto spazio-tempo, la materia, i buchi neri e le prospettive future che attendono l’umanità. Argomenti di grande impatto, connessi a quelle domande cruciali su cui spesso capita di meditare. Le riflessioni dello scienziato, evidenziate in rosso, accompagnano il lettore in modo tale che sia la sua ‘viva voce’ a illustrare i passaggi più complessi; al termine di ogni capitolo viene proposto, unendo leggerezza e rigore scientifico, un quiz di verifica. Il volume ha una veste grafica armoniosa e un apparato iconografico che illustra in maniera chiara e briosa gli argomenti trattati. Si tratta, quindi, di una lettura istruttiva e gradevole, adatta ad una vasta platea e al pubblico giovanile.

“Ciaone!” esclama nel 1683 il filosofo inglese John Locke, mentre lascia in fretta e furia Londra per sfuggire all’accusa, molto probabilmente infondata, di aver cospirato per assassinare Carlo II d’Inghilterra e suo fratello Giacomo Duca di York. Si rifugerà ad Amsterdam, dove completerà i suoi trattati sul governo civile che sfidano l’antico ‘diritto divino’ dei re. Ecco un assaggio dello stile utilizzato da Steven e Ben Nadler nel raccontare gli albori della filosofia moderna. Quella inizia nel XVII secolo e considerata da molti pericolosa. Eretici! è un’avvincente storia a fumetti (edita per i tipi di Carocci nella collana Sfere) che attraversa l’Europa e copre 155 anni, ricostruendo per battute e immagini le teorie dei grandi pensatori che hanno gettato le basi per una filosofia e una scienza nuove. Da Galileo a Newton passando per Cartesio, Spinoza, Hobbes e Leibniz: questo ‘eterogeneo e litigioso gruppo di filosofi’, come viene definito dagli autori, era accomunato dalla sfida all’autorità e dalla ricerca di un modo diverso di immaginare l’universo e l’uomo. La collaborazione tra i due Nadler, padre e figlio, sfocia in un fumetto dinamico e divertente, che racconta in modo originale quelle ‘idee scandalose’ responsabili di aver forgiato la moderna conoscenza.

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“Un eterogeneo e litigioso gruppo di filosofi accomunato dalla sfida all’autorità”


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