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Come affrontare

l’esame di stato per psicologi Piccola guida per togliersi un po’ d’ansia Giorgio Blandino

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Come affrontare

l’esame di stato per psicologi Piccola guida per togliersi un po’ d’ansia Giorgio Blandino

Indice

Premessa

L’editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari dei diritti sulle immagini riprodotte, laddove non sia stato possibile rintracciarli per chiedere la debita autorizzazione. ©2011 ESPRESS EDIZIONI srl via Po 14 – 10123 Torino tel. 011 19501623 www.espressedizioni.it info@espressedizioni.it Prima edizione: novembre 2011 ISBN 978-88-97412-205 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.

100% riciclata 100% ambiente Questo libro è stampato con carta riciclata ed ecologica, orientato alla sostenibilità e prodotto attraverso un processo a basso impatto ambientale.

Fotocopie per uso personale (cioè privato e individuale) nei limiti del 15% di ciascun volume possono essere effettuate negli esercizi che aderiscono all’accordo SIAE – AIE – SNS e CNA, Confartigianato, CASA, Confcommercio del 18 dicembre 2000, dietro pagamento del compenso previsto in tale accordo. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Immagine di copertina: Freud a puntini di Laura Manfredi Coordinamento editoriale: Elisa Santini Impaginazione: Rossella Borra Stampa: CDM – Torino

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La situazione attuale della psicologia

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Aspetti psicologici dell’esame

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Ansie, preoccupazioni e fantasie

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L’accesso all’esame di stato

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La composizione della Commissione

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Le prove

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Prima prova: lo scritto

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Seconda prova: il progetto Terza prova: discussione di un caso

Premessa 77 89

Quarta prova: il colloquio

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Problemi di valutazione

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Come prepararsi

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Conclusione

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Ai candidati (abilitati e non) e ai colleghi con i quali in questi anni ho condiviso l’esperienza degli esami di stato e che mi hanno insegnato sulla psicologia molte più cose di tanti libri.

A cosa serve questo testo, che si legge in due ore?

A fornire qualche consiglio ai candidati dell’esame di stato all’abilitazione per psicologi (d’ora innanzi chiamato ESP1), per aiutarli a comprenderne le logiche intrinseche, in modo da meglio padroneggiarle e da esserne meno spaventati. Non è dunque un testo che va ad aggiungersi ai molti che già ci sono, alcuni ottimi e consigliabili (li indicherò nel cap. 12) o alle molte indicazioni che si possono reperire negli innumerevoli siti di psicologia e in particolare in quelli dedicati agli studenti: basta digitare «esami di stato per psicologi» e vi si rovescia addosso una cascata di più di 450.000 link! Sotto questo profilo queste pagine sarebbero inutili.

Cos’è allora? È altro, cioè non concerne tanto la preparazione agli ESP quanto gli aspetti psicologici e gli atteggiamenti, le preoccupazioni che gli studenti hanno. Infatti i dubbi, le confusioni, le interferenze sono innumerevoli. Allora questo piccolo libro vuol discutere i pro1 | Il fatto che questo acronimo, che ho coniato per economicità discorsiva (nei siti studenteschi è invece «eds», ma a me non piace perché è generico mentre qui invece parliamo dell’esame di stato per psicologi), sia coincidente con l’altra sigla ESP che significa extrasensory perception e riguarda la precognizione, la chiaroveggenza e la telepatia, è un puro caso e non vuol dire che gli esami di stato abbiano a che fare con il paranormale anche se qualche candidato lo pensa! Voglio dunque rassicurare che gli ESP appartengono al campo della psicologia e non della parapsicologia!

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blemi dei candidati a partire dal punto di vista di una persona che ha fatto ripetutamente il commissario. L’idea di dare qualche consiglio ai candidati, per far diminuire la loro ansia in vista di questo esame, nasce dalla quantità di richieste di chiarimento e rassicurazioni che giungono da parte loro, giustamente desiderosi di meglio conoscere i contenuti e le modalità di svolgimento delle prove.

In queste pagine vorrei dunque rispondere, in modo molto semplice e colloquiale, alle domande che frequentemente vengono rivolte a me e ai miei colleghi, in funzione sia di dare quelle informazioni che talvolta mancano, sia di chiarire meglio alcuni aspetti su cui non sempre le conoscenze sono precise, e sia infine di smontare alcuni pregiudizi: insomma semplici suggerimenti, quasi di buon senso, sperando di togliere un po’ la paura che, non sempre a ragione, attanaglia gli esaminandi e li spinge a produrre una quantità incredibile di fantasie, con conseguenti preoccupazioni e ansie, e a trasmettersele reciprocamente, in una sorta di profluvio di identificazioni proiettive che li porta a dar vita a vere e proprie invenzioni o mitologie sull’ESP, su questo o quel commissario, su questa o quella prova. La lettura dei siti studenteschi al riguardo è istruttiva. È molto negativo che si diffondano così tante paure, spesso fondate su informazioni errate, anche perché – è bene non dimenticarlo – l’esame di stato non è un obbligo bensì una prova che devono sostenere e superare solo coloro che, laureati in Psicologia, desiderano accedere alla professione di psicologo per poterla svolgere secondo le norme di legge. Chi non desidera operare professionalmente nel campo della psicologia non è obbligato a sostenere l’esame di stato.

Sembra una cosa scontata ma non lo è sia perché esiste un numero, ristretto ma non insignificante, di giovani laureati che si dedicano alla ricerca nel settore psicologico e non hanno interesse allo svolgimento della professione, sia perché, per quanto possa sembrare sorprendente, non sono pochi coloro che non intendono sostenerlo perché non intendono svolgere la professione e addirittura, pur partendo da una laurea in psicologia, si dedicano ad altro. Anzi, a dirla tutta, il numero dei

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laureati che non sostiene l’esame di stato è in aumento tanto vero che nelle ultime due sessioni – a partire dal 2010 – il numero dei candidati si è dimezzato. Questo calo credo dipenda da due ordini di motivi tra loro connessi, vale a dire che molti laureati in psicologia sanno che è ormai molto difficile (non impossibile, sia chiaro, ma molto difficile) trovare lavoro nel settore. E purtroppo la cosa, oggigiorno, vale per tutti i giovani, in qualsivoglia settore. Per tale motivo molti utilizzano la laurea in Psicologia come una sorta di laurea a largo spettro, accedendo anche ad altri lavori o professioni, un po’ come succede per altre lauree quali quelle tradizionalmente umanistiche o perfino quella in giurisprudenza in seguito alla quale si può fare l’avvocato o il magistrato, ma anche – per dire – il manager o il capo del personale, l’insegnante o altri mestieri ancora. Un po’ così sta capitando per la psicologia, ed ecco spiegato, a mio parere, il motivo per cui molti laureati non sono interessati a svolgere la professione psicologica e quindi non danno né mai daranno l’esame di stato.

In secondo luogo non è scontato ricordare che l’ESP finalizzato al raggiungimento dell’abilitazione a svolgere l’esercizio professionale psicologico è un obbligo di legge. Per questo motivo sono impropri commenti quali «È un’assurdità questo cavolo di esame», «È fatto apposta per distruggere psicologicamente ed emotivamente i candidati». Così come mi pare del tutto fuori luogo leggere sui vari siti, o sentir dire nei commenti informali, un crescendo che va dal, tutto sommato accettabile, «rito di passaggio» attraverso un già più inquietante «pratiche di sottomissioni», per «gratificare il sadismo dei commissari», a veri e propri commenti terroristici fatti di «forche caudine», «calvario», fino al definitivo: «martirio». Un po’ esagerato mi pare!

Meno male che qualcuno poi si accorge che le cose non sono così terribili e commenta che «la commissione è stata gentile» o rileva che «alla fine non era così terribile» e via consolando. Aggiungo che quanto dico, fatte salve le differenze tra facoltà, vale non solo per la sede di Torino, che conosco direttamente, ma anche per le altre sedi sia perché

Premessa

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i problemi di prestazione e valutazione sono abbastanza simili, sia perché ho avuto modo di confrontarmi con molti altri colleghi e verificare significative convergenze al riguardo.

Ciò detto è vero che gli esami di stato, così come sono, presentano molti aspetti criticabili, molti lati discutibili e sicuramente dovrebbero essere profondamente riformati perché non favoriscono una valutazione adeguata delle capacità dei candidati, in particolare di quelli che vogliono «fare gli psicologi». Infatti restano legati a modelli valutativi molto vecchi, intrinsecamente pedagogici, centrati prevalentemente sulle conoscenze oggettive e oggettivabili e, in definitiva, conformati al modello delle professioni tradizionali. È in questo senso, ma solo in questo, che le preoccupazioni e certe proteste dei candidati per come è strutturato e organizzato l’esame han fondati motivi d’essere. Tuttavia queste sono le norme e questa è la legge, neanche tanto facilmente emendabile, cui bisogna attenersi. D’altra parte, se si osservano i suoi dettami per quanto concerne le varie prove, si capisce che sono stati formulati da qualcuno del ministero con una conoscenza quantomeno discutibile di cosa sia la psicologia professionale. Dico queste cose senza presunzione ma a partire dalla conoscenza della pratica psicologica, che rivendico, non solo avendo io fatto la professione per tanti anni, in molteplici settori della psicologia, non solo avendo scritto molti articoli e libri sul lavoro dello psicologo, ma anche avendo fatto parte dell’Ordine per ben tre consiliature diverse in tempi diversi, per un totale di 12 anni circa, con ruoli di responsabilità (segretario e vicepresidente). Penso perciò di avere qualche conoscenza di ciò di cui parlo. Però dura lex sed lex. O forse sarebbe meglio dire: strana lex sed lex. E dunque: hic Rodus, hic salta, non solo per i candidati ma anche per i commissari.

Così stando le cose, e lasciando da parte i motti latini, cercherò di spiegare al mio lettore come si fa a «saltare» in modo adeguato, circoscrivendo però il campo perché la bibliografia specifica sugli ESP è sufficientemente ampia e più che adeguata. Mi occuperò perciò non dei

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contenuti che bisogna studiare e sui quali bisogna prepararsi, ma piuttosto sul «come» prepararsi, soprattutto psicologicamente.

Cosa mi autorizza ad assumermi questo compito di consigliare, rassicurare ecc? Compito che, in generale, tanto nella mia vita – professionale, accademica e personale – detesto e cerco con cura di evitare, ma che in questo testo, senza presunzione, pratico?

In primo luogo il fatto che negli ultimi dieci anni, ovvero a partire dal 2000, ho partecipato a ben sette commissioni di ESP – sia in qualità di membro che di Presidente – che, moltiplicate per due sessioni annuali, fanno la cospicua cifra di ben quattordici sessioni. Calcolando che il numero dei partecipanti si è aggirato fino al 2009 intorno alle duecento unità che, moltiplicate per due sessioni, ammontano a quattrocento unità; e calcolando dunque le varie sessioni a cui ho partecipato posso dire di aver visto più di duemilacinquecento candidati (molti dei quali di fuori Torino) cosa che – mi si darà atto – mi permette di ragionare sul tema sulla base di una esperienza diretta. Se a ciò aggiungiamo la quantità di studenti con cui ho dialogato sia negli appositi incontri che la nostra facoltà di Torino ha indetto al riguardo (mediamente 200 per 4 anni per un totale di più di 800), sia individualmente – per non parlare del profluvio di mail con richiesta di informazioni che ricevo, in particolare in primavera, in vicinanza delle prime sessioni di ESP – posso ben dire che le informazioni, le indicazioni e i consigli che do in questo testo partono tutti dalla mia esperienza diretta.

Un altro motivo dipende dal fatto che molti studenti, laureandi e abilitandi, si rivolgono a me perché, avendo partecipato a un così alto numero di commissioni e incontri, vengo identificato, a torto o a ragione, come uno che può dar loro informazioni attendibili. E quindi vorrei sintetizzare i molti consigli, più o meno saggi e utili, che ho finora trasmesso, per cercare di risparmiarmi un po’ o almeno ridurre la quantità di richieste di colloquio in merito a questi argomenti.

Ma molte richieste mi vengono anche rivolte in quanto Presidente della Commissione paritetica Ordine-Università per la gestione dei ti-

Premessa

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rocini, dal 2000. Poiché i tirocini sono contigui all’ESP, anzi ne costituiscono la conditio sine qua non, il collegamento tra i due momenti è praticamente inevitabile. Dunque questo breve testo l’ho scritto anche come una sorta di guida, un po’ come una FAQ, per dirla con il linguaggio informatico oggi di moda. Ma se questo è ciò a cui dovrebbe servire il libro che avete per le mani, l’ESP invece, a cosa serve? A ottenere l’idoneità all’abilitazione professionale che consente di poter accedere all’Albo professionale.

E cosa valuta? Non certo la capacità di «saper fare» lo psicologo, nel senso che non si può pretendere che un giovane appena laureato sia già in possesso di tutte le competenze tecniche necessarie allo svolgimento della professione che si acquisiscono, si sviluppano e si perfezionano col tempo e con l’esperienza, come per qualunque professione.

Neppure valuta il possesso di conoscenze psicologiche perché si suppone – anche se non sempre è così – che queste già ci siano essendo che i vari candidati sono stati proclamati «dottori magistrali».

L’ESP valuta invece soprattutto le potenzialità del candidato a svolgere questa professione e il possesso della basi culturali, metodologiche, cognitive su cui essa si fonda nonché dei vincoli e delle implicazioni etiche e deontologiche che comporta l’appartenenza a una comunità professionale.

Tuttavia un problema c’è ed è anche molto serio, ovvero la qualità delle prestazioni d’esame. La preparazione dei candidati infatti ultimamente è molto calata tant’è vero che sono proporzionalmente aumentate le percentuali di «bocciature». Mi ha molto colpito, per esempio, rilevare che nelle due sessioni dell’ESP del 2010, le due commissioni, senza consultarsi previamente, hanno avuto la stessa identica percentuale di respinti, il 30%. Non eccessiva in assoluto e rispetto a esami di stato di altre professioni, ma pur sempre significativa rispetto alle percentuali di alcuni anni fa che si aggiravano intorno a un risibile 10% anche se poi, via via, sono salite al 20% per finire al 30% attuale, con il rischio concreto di aumentare ancora. Si tenga anche presente che le differenze tra promossi/bocciati (abilitati/non abilitati), tra le varie sedi italiane

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sono minime, il che conforta su una certa qual implicita omogeneità di giudizio di fondo, al di là delle possibili differenze concettuali o organizzative dei vari contesti accademici e ordinistici.

Cos’è accaduto? Sono le commissioni diventate più severe o i candidati peggiorati? O, come io penso, tutte e due le cose, vale a dire che, a fronte di un palese peggioramento della preparazione dei candidati vi è stato un conseguentemente aumento della severità delle commissioni e, viceversa, questo aumento di severità – a mio parere giusto e responsabile – ha messo maggiormente in luce le lacune, talvolta gravi, che molti candidati attuali mostrano di avere.

Dunque ciò che le varie commissioni e i vari commissari hanno osservato in questi ultimissimi anni, indipendentemente gli uni dagli altri, e senza alcun pregiudizio negativo, è un pauroso abbassamento del livello di preparazione dei candidati. Probabilmente, se è vero quello che ho appena detto, e cioè che l’ESP è una cartina di tornasole per verificare la bontà o meno dei percorsi fomativi di base, questo peggioramento così vistoso è un indicatore di qualcosa che non funziona nella formazione di base stessa e nell’università. E, a ben guardare, non stupisce più di tanto perché è simmetrico al peggioramento delle prove d’esame degli studenti durante i due corsi di laurea e in particolare nella triennale.

Ma indica anche qualcosa che non funziona nel reclutamento e nelle aspettative di chi vuol fare la professione psicologica, quasi fosse intesa e vissuta come qualcosa di intimistico e personalistico che non abbisogna di un duro lavoro preparatorio di studio e impegno preliminare.

Questo peggioramento si iscrive, non va dimenticato, nel quadro di un generale peggioramento attuale rilevato da tutti i docenti in tutte le facoltà universitarie e di cui le cause sono molteplici e troppo complesse per essere discusse in questa sede.

Non è complesso né superfluo però ricordare ai candidati questo fatto e, quindi, invitarli a preparasi molto bene non spaventandosi inutilmente per la prova che devono sostenere ma neppure sottovalutandola.

Premessa

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Non è un esame difficile in sé, è piuttosto una esame che mette alla prova la propria maturità professionale e dunque è bene che i candidati ne siano consapevoli e siano consapevoli sia dei loro punti di forza sia delle loro lacune.

Questo rimanda al discorso più di fondo che concerne le competenze che uno psicologo dovrebbe avere a fronte della situazione attuale della psicologia a cui dunque dedicherò le considerazioni introduttive del primo capitolo.

Nei successivi affronterò invece dettagliatamente tutti i vari aspetti degli ESP e delle singole prove.

Nota Bene 1. Nel corso della mia esposizione riporto molti casi tratti dalla mia esperienza, sia per esemplificare quanto dico sia per dare al lettore, che si accinge a sostenere l’ESP, un’idea «dal vivo» di cosa sono in pratica e che problemi presentano.

Mi corre tuttavia l’obbligo deontologico di chiarire che tutti i casi riportati sono precisi nella sostanza del problema che illustrano, ma sono stati camuffati nei dati personali, in modo da rendere irriconoscibili i protagonisti. Al riguardo segnalo che, a volte, il lettore troverà il termine «persona» o il termine «soggetto», per indicare la/il candidata/o.

La scelta di questi termini, neutri, è dettata proprio dalla necessità di occultare anche l’identità sessuale. Quando invece mantengo la qualificazione esplicita «candidato» o «candidata» è perché il commento che riporto fu già discusso direttamente e pubblicamente con i soggetti in questione.

2. Questa guida, anche se è totalmente autonoma, si collega al testo, sempre pubblicato da Espress edizioni, Esame di stato per psicologi. Linee guida per i commissari, a cura di Luigi Spadarotto, che raccoglie il lavoro della Commissione Esami di Stato dell’Ordine degli psicologi del Piemonte. Il libro curato da Spadarotto, diversamente da questo che è rivolto agli studenti, è diretto specificamente ai commissari. Tuttavia se ne consiglia vivamente la lettura anche ai candidati i quali, in tal modo, possono avere un quadro completo della situazione anche dal punto di vista istituzionale.

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1 La situazione attuale della psicologia Prima di addentrarci nel vivo della trattazione intendo spendere due parole sulla situazione attuale della psicologia perché i candidati sappiano in quale contesto andranno a operare e quali problemi incontreranno, la qual cosa potrà tornare loro utile anche nel riflettere sulla psicologia e i suoi aspetti allorché glielo si chiederà in sede d’ESP. Al riguardo segnalo anche il recentissimo testo di Bosio, Fare lo psicologo.

Snodi, percorsi e prospettive di una professione appena pubblicato a Milano da Raffaello Cortina (2011) – nell’ambito di una collana professionale promossa dall’Ordine degli psicologi del Piemonte dal titolo «Il lavoro psicologico» – che fornisce il più aggiornato quadro della situazione professionale della psicologia e pertanto a esso rimando i miei lettori anche perché questo testo potrà risultare loro utile anche in rapporto alla prova scritta.

Qual è dunque, per grandi linee, la situazione della psicologia oggi, in particolare della professione psicologica? è una situazione in divenire, ma anche molto critica e bisognosa di aggiornamenti a tutti i livelli. Infatti oggi la psicologia, specialmente nelle sue ricadute pratiche, attraversa un momento che potremmo definire problematico, di profonda trasformazione e, per certi aspetti, di vera e propria crisi. Tale trasformazione può essere considerata, e quindi gestita, come tale, oppure può essere negata o sottovalutata. Nel primo caso la psicologia verrà aiutata a modernizzarsi, nel secondo caso ne resterà danneggiato lo statuto scientifico e anche la pratica professionale polverizzata in mille rivoli. I motivi di questa crisi o trasformazione, che dir si voglia, sono, a parere di chi scrive, molteplici e vado a elencare quelli che mi paiono più evidenti e che ho cercato di riassumere, a scopo meramente esplicativo, in dieci punti:

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1. Fisiologici. Essendo la psicologia inserita nel quadro delle scienze moderne, è perennemente sottoposta a tutti gli stress strutturali che toccano tutte le scienze e le attività umane in un mondo in così continua, rapidissima mutazione. In questo senso elementi di crisi sono appunto fisiologici e inevitabili.

2. Intrinseci alla disciplina. Com’è noto la psicologia vive, fin dalle sue origini, una dicotomia costitutiva tra un’anima naturalista e un’anima umanista che l’ha iscritta, di volta in volta, o nell’ambito di quelle che Dilthey chiamava «scienze della natura», o nell’ambito di quelle che chiamava «scienze dello spirito», le prime centrate su una comprensione dell’oggetto dall’esterno, le seconde su una comprensione dall’interno. Questa doppia anima della psicologia, che attraversa tutta la sua storia, è sempre stata fonte di conflitti e di problemi di varia natura e dimensione (che non sto qui a elencare perché ci porterebbero fuori tema) ma che al tempo stesso ne sono stati anche la ricchezza, talvolta misconosciuta o non completamente riconosciuta nella sua portata. In questo quadro non si può parlare di psicologia, ma di psicologie e quindi le cose si complicano ancora di più.

3. Scientifici e connessi alla molteplicità dei saperi. La poderosa, spettacolare e inarrestabile marcia delle neuroscienze obbliga la psicologia a confrontarsi e interrogarsi con le nuove scoperte. Le stesse tecniche di neuro-imaging costituiscono un rivoluzionario strumento di indagine paragonabile, come giustamente è stato detto, alla scoperta del microscopio, poiché permettono, letteralmente, di vedere «dentro il cervello».

E si sa che nella scienza, quando si inventano nuovi strumenti di ricerca, quasi immediatamente ne conseguono nuove scoperte e, per conseguenza, cambiamenti e/o rivoluzioni dei paradigmi teorici esplicativi.

Ma la psicologia, come tutte le scienze, si trova oggi a doversi necessariamente confrontare non solo con i progressi delle neuroscienze, ma anche con i progressi e i contributi continui e inarrestabili che derivano dalle altre scienze umane quali la sociologia, l’antropologia, la linguistica, la semiologia ecc. Pensare di accampare diritti di primogenitura o di

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esclusività, nel campo delle mente e del comportamento, prima ancora che essere frutto di ignoranza, è frutto di miopia. Pertanto così come la psicologia non può evitare di confrontarsi con le neuroscienze, non può evitare di confrontarsi con tutte le altre scienze umane contigue.

4. Epistemologici. Indipendentemente dalla fondatezza dell’egemonia del dato empirico non si possono comunque ignorare le richieste di prove di evidenza che vengono mosse alla psicologia e in particolare alla psicoanalisi e agli interventi psicoterapeutici (ciò che va sotto il nome di «ricerca sull’outcome»). La psicologia si trova dunque, volente o nolente, a dover rispondere a questa sfida e molta si muove in questa direzione.

Ma, anche laddove si voglia contestare la preminenza del dato oggettivo statisticamente verificabile e misurabile, quale prova della validità di una teoria e di un metodo – come può accadere per esempio per la psicoanalisi – la psicologia deve tuttavia trovare e fornire risposte epistemologiche convincenti che al momento paiono inadeguate. Dunque la strada da fare è innovativa ed è lunga da percorrere perché, sotto questo profilo, siamo appena agli inizi.

5. Sociologici. Oggi si assiste, direi inevitabilmente, a un mutamento del panorama sociale e delle concomitanti problematiche che comporta il dover dare nuove risposte, affrontare nuovi problemi e financo il dover fronteggiare se non delle vere e proprie nuove patologie (individuali, gruppali, organizzative, comunitarie o sociali) quantomeno delle diverse versioni o forme di patologie precedentemente descritte, diagnosticate e interpretate in un altro modo. Un aspetto particolarmente rilevante è conseguente alle migrazioni epocali da culture altre che comportano non solo difficoltà di comprensione strettamente linguistiche ma anche, se non soprattutto, schemi di riferimento diversi, tali per cui l’intervento del tecnico che ha un suo proprio schema di riferimento storico culturale, antropologico, prima di entrare nel vivo delle problematiche dell’interlocutore, deve incontrare, confrontarsi e mediare con schemi culturali di riferimento completamente diversi.

Per esempio, sotto un profilo strettamente clinico, ci si trova di fronte a

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problematiche e relazioni familiari che comportano di dover rivedere e ripensare il problema dell’Edipo, ma non nel senso di eliminarlo bensì nel senso di considerarlo nel suo nuovo modo di essere declinato.

6. Professionali. Tra i motivi della crisi della psicologia ce n’è infine uno che ci porta direttamente nel cuore del nostro tema, ovvero gli ESP. Si tratta dell’elevato numero degli psicologi, almeno per quanto riguarda l’Italia, che è in costante crescita e non accenna a diminuire (al momento siamo 80.000). Questo problema ha molteplici motivazioni, tuttavia è innegabile che, anche laddove gli standard di formazione fossero i più qualificati e omogenei possibili, la quantità di psicologi, a fronte della molteplicità delle teorie, dei metodi e dei percorsi formativi personali richiesti, produce una popolazione professionale molto diversificata. Questa diversificazione si tocca clamorosamente con mano proprio in occasione degli ESP e se, da un parte, costituisce una ricchezza in base al fatto che la pluralità delle opinioni va sempre considerata positivamente, da un altro punto di vista pone problemi di omogeneizzazione degli standard minimi di qualità della formazione e dei servizi psicologici, nonché problemi deontologici talvolta drammatici e attualmente in clamorosa crescita, come sa chi ha esperienza dirigenziale negli organi ordinistici. A livello professionale inoltre, a fronte di nuove possibilità, si scontano alcuni vincoli geografici, culturali, di immagine non sempre facili da modificare.

7. Femminilizzazione della professione. Un ulteriore problema è quello della femminilizzazione della popolazione professionale nella quale ormai più dei due terzi degli psicologi sono donne per cui qualcuno parla di professione rosa. Per evitare incresciosi equivoci definisco questo aspetto come problematico non in quanto costituisca fattore di crisi della professione – ci mancherebbe! – ma in quanto non è riconducibile a fattori puramente sociologici. Si tratta insomma di una connotazione della professione di psicologo sempre più netta che, come tale non può essere più ignorata. In altri termini, se la psicologia continua a essere una professione in cui la stragrande maggioranza dei rappresentanti

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sono donne, bisognerà pur domandarsi prima o poi qual è il motivo di questa così netta caratterizzazione di genere. Tentativi di risposta a questo problema ne sono stati forniti nel corso del tempo, tuttavia sempre in termini di interpretazione psicologica del problema, una spiegazione questa che, a mio parere, non appare sufficiente.

8. Pregiudiziali (in negativo e in positivo). Sussistono poi motivi di crisi della psicologia come professione che sono più direttamente connessi alle aspettative del pubblico, quali atteggiamenti pregiudizialmente ostili, preconcetti o errati, spesso fondati su vera a propria ignoranza.

Sono le forme in cui si manifestano le – comunque inestirpabili, perché fondate su motivi squisitamente psicologici – resistenze alla psicologia.

E tuttavia le resistenze alla psicologia, a parte queste sacche di ostilità preconcetta e grossolana, assumono oggi forme molto più sofisticate, e talvolta occulte, configurandosi, per esempio, non più come rifiuto della stessa psicologia ma come adesione acritica. Insomma il paradosso è che il modo attuale per svalorizzare la psicologia è inflazionarla, psicologizzando banalmente tutto, cioè il paradosso è che tutto questo straparlare di psicologia, anche quando non è il caso, è la conseguenza del rifiuto della medesima che si camuffa da adesione. Insomma il nemico si è travestito da amico. Per conseguenza permangono aspettative irrealistiche in base alle quali se, per un verso, nei confronti della psicologia l’utenza in genere ha ormai acquisito un bagaglio di conoscenze, aspettative, richieste più consapevoli e precise, e dunque più elevate e specifiche, è altresì vero che, per un altro verso, un’ampia fetta dell’utenza continua a nutrire aspettative magiche verso la psicologia in questo spinta da molte rappresentazioni mediatiche della stessa del tutto confusive ed errate.

9. La formazione di base degli psicologi. In tutto questo quadro il settore più sensibile è quello che concerne la formazione di base dei giovani psicologi. I corsi di laurea scontano la funesta scelta del tre più due e le difficoltà di tornare al ciclo unico. I tirocini, il cui monitoraggio di qualità non è sempre agevole, costituiscono un momento fondamentale nel-

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la formazione dei giovani psicologi ma sono molto variegati, cosicché è facile rilevare che, a fronte di una buona esperienza, il superamento dell’esame di stato è assai facilitato mentre, tra quelli che non lo superano, è spesso osservabile la presenza di un pregresso, insufficiente, tirocinio. Quanto agli stessi ESP, chi ha avuto modo di parteciparvi in più di una sessione non può che esprimere sentimenti di insoddisfazione per come sono strutturati, cosa della quale si parlerà diffusamente nel corso del testo. Per parte loro le scuole di specializzazione post-lauream si sono moltiplicate e – absit iniuria verbis – una certa disparità degli standard formativi è sotto gli occhi di tutti.

10. Carenza di respiro filosofico e prospettiva storica. A mio parere, il vero problema nella formazione di base degli psicologi è la quasi totale carenza di prospettiva storica e filosofica nello studio della psicologia, delle sue varie teorie, metodi, correnti e tecniche, nonché le scarsità di spazi/tempi di riflessione. Per quanto riguarda la mancanza di prospettiva storica, è davvero curioso che una disciplina (e una professione) che sottolinea, come elemento fondante dell’identità e della salute psichica individuale e collettiva, il ruolo delle esperienze precoci di vita, della storia, dell’ambiente e delle vicissitudini dei soggetti, quando si occupa di se stessa e della formazione dei suoi giovani professionisti se ne dimentica, come se si potesse essere psicologi senza avere ben chiaro in testa com’è nata e come si è sviluppata la nostra scienza, poiché è evidente che ciò che facciamo è il frutto di questa stessa storia.

Per quanto riguarda la limitatezza degli spazi di riflessione, la prima annotazione che va fatta è che i nostri giovani psicologi, ma spesso anche quelli meno giovani, non hanno una sufficiente formazione e un sufficiente respiro filosofico, quel respiro che non ha lo scopo di spostare l’asse della psicologia verso la dimensione umanistica bensì, da una parte, di aiutarci a riflettere sulla nostra professione in una prospettiva non meramente tecnicistica, dall’altra di mostrarci come molte delle idee, tecniche, metodi e finalità, hanno, nel passato anche lontano, dei significativi antesignani la cui dimenticanza non fa torto ai maestri del

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passato, ma a noi moderni. Prospettiva storica e spazi di riflessione etico-filosofica dovrebbero dunque essere due momenti basilari nella formazione, nel bagaglio e nell’operare dello psicologo al punto che, se vengono a mancare, non avremo più psicologi, ma quelli che ho chiamato, e senza nessun disprezzo, «badanti della psiche»2 e che, similmente, sono stati definiti da altri «dentisti della mente».3 I badanti sono necessari, svolgono un lavoro spesso indispensabile, ma in un’ottica meramente assistenzialistica, finalizzata a gestire al meglio lo status quo di chi è in sofferenza, non certo a produrre trasformazioni. Anche i giovani psicologi che fanno, a volte per necessità, lavori assistenziali, educativi o interventi di supporto ad altre mansioni o professioni svolgono compiti che, se pure necessari e apprezzabili, relegano tuttavia la psicologia in una dimensione subalterna e non così decisiva come invece è intrinseco allo statuto stesso della disciplina intesa nel suo senso più alto. Assistono, appunto, e non promuovono apprendimenti, sviluppi, pensiero.

In un quadro di questo genere, così delineato per sommi capi, la psicologia si trova, come si vede, a confrontarsi con nuove sfide non più eludibili. In altre parole: è pensabile cioè che uno psicologo possa operare in un settore così primario come quello della vita e del comportamento delle persone affrontandolo solo da una prospettiva specifica senza sapere inserire il suo operato in un quadro di riferimento più vasto? È pensabile dunque che la formazione degli psicologi possa esaurirsi nell’acquisizione più o meno accurata e approfondita di teorie e tecniche, anche se, ovviamente, queste rimangono una conditio sine qua non di ogni ulteriore discorso?

2 | Blandino G. 2006, Un futuro nel passato. Radici culturali del lavoro psicologico, Antigone, Torino.

3 | Steiner R. 2005, Le neuroscienze, in Person E.S., Cooper A.M., Gabbard G.O. 2006, Psicoanalisi. Teoria, clinica, ricerca, tr. it. Raffaello Cortina, Milano.

La situazione attuale della psicologia

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E infine, come si colloca l’ESP? Qual è o dovrebbe essere la sua funzione? Di mera ratifica di competenze potenziali? Di selezione professionale? O altro ancora?

Sgombriano subito il campo da tentazioni o idee malsane. L’ESP, a mio parere (ma siamo in molti a pensarla così) non è – e non deve essere – un momento di selezione, che finirebbe per sconfinare in un’occasione di corporativismo più proprio di altre professioni, dove però circolano anche molti più denari e dove allora la selezione, durissima in occasione di esami di stato, serve a mantenere la corporazione. Dunque l’ESP per psicologi, si rassicurino i miei candidati lettori, non serve a selezionare né a indagare la preparazione, ma a verificare le potenzialità. È la prova richiesta per poter entrare a far parte di una comunità professionale. Ed è una prova impegnativa, certamente, ma non impossibile, non aleatoria in cui gli errori, sempre possibili, sono però minimi e le valutazioni sono sempre fatte, come cercherò di dimostrare, con grande scienza e coscienza da parte di commissari.

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2 Aspetti psicologici dell’esame In un certo senso è curioso pensare che in una prova per psicologi si debbano prendere in considerazione gli aspetti psicologici, ma ben sappiamo che un conto è la grammatica e un conto la pratica, vale a dire che non è perché si è psicologi che non si patiscano tutte le problematiche psicologiche proprie degli esami, che chiunque sperimenta. E questo lo si osserva quando capita di imbattersi in certi candidati di cui si chiede come abbiano fatto ad arrivare fino all’ESP, mal messi mentalmente come appaiono. Fanno coppia con quelli che invece appaiono mal messi culturalmente dei quali anche ci si chiede come abbiano fatto a ottenere la laurea. O forse dipende dal fatto che, come si dice, in Italia una laurea non si nega a nessuno?

Tuttavia sarebbe superficiale pensare che il solo studio sia sufficiente perché la conoscenza dell’argomento e la preparazione teorico-pratica del candidato non garantisce automaticamente la sua riuscita (come, viceversa, la riuscita non garantisce la sua preparazione) in quanto, a fronte di un analogo livello di preparazione, alcuni ottengono risultati brillanti, mentre altri rendono poco o addirittura fanno fiasco. Questo capita perché in una situazione emotivamente impegnativa, come è un esame, le conoscenze apprese e le esperienze fatte, anche quelle meglio elaborate, non sono tutto, in quanto entrano ampiamente in gioco altri fattori che potremmo definire di ordine relazionale e psicologico.

Sono fattori molto importanti che incidono così tanto nella interazione esaminatore-esaminato da determinare la qualità della prestazione e la conseguente valutazione.

Le possibilità di superare con successo una prova come l’ESP dipendono, quindi, non solo dal grado di preparazione – il quale, in-

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tendiamoci bene, resta il requisito di base – ma anche, in larghissima misura, dal modo che il candidato ha di vivere psicologicamente la prova e l’autorità esaminatrice, dal significato che gli attribuisce nonché dall’atteggiamento che assume di fronte a questa esperienza, per certi aspetti unica.

Nell’ESP, infatti, come in ogni esame, non sono messe in causa solo le conoscenze, ma qualcosa di più profondo, e cioè l’immagine di sé e le proprie aspettative. In molti casi poi si aggiungono le attese di tutta la famiglia, fatto, questo, che carica di ulteriori responsabilità il soggetto.

In secondo luogo bisogna tener conto che quando si deve interagire con un interlocutore, o un gruppo di interlocutori, con cui non si è mai interagito prima, si prova sempre paura, come capita normalmente quando siamo di fronte a qualcosa di sconosciuto: possono essere timori, di coloritura persecutoria, del tipo che i commissari siano ostili o non capiscano o addirittura tengano un atteggiamento pregiudizialmente critico, più attenti a rilevare punitivamente le mancanze che a cogliere l’effettiva maturità di giudizio e capacità di elaborazione critica e personale di ciò che si è studiato.

Questo spiega anche perché si producono così tante fantasie: sono modi per cercare di colmare l’assenza o la mancanza d’informazione sul commissario, la commissione e la possibile interazione con loro. È un esempio del principio scoperto dalla Gestalt per cui, di fronte a una figura incompleta, tendiamo a completarla noi. Ed è anche, sia detto en passant, la logica del pettegolezzo che nasce e si sviluppa quando mancano dati certi. In questo caso, appare perfino una reazione più che normale e naturale, dovuta all’esigenza di saperne di più su qualcosa o qualcuno che, per qualche motivo, ci sta a cuore. Ricerche sperimentali statunitensi – gli americani, si sa, studiano e misurano tutto – hanno dimostrato che la tendenza a spettegolare aumenta quando si è in una situazione di ambiguità, confusione o carenza di informazioni; cioè il pettegolezzo nasce tanto più facilmente quanto meno si hanno informazioni certe e sicure su una data persona o situazione. Per tale moti-

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vo, quando abbiamo dati il cui significato non è completamente chiaro, tendiamo ad aggiungere una quota d’informazione in più, per dare un senso compiuto al messaggio, ed è quindi evidente che così si apre la strada al pettegolezzo e a tutte le possibili distorsioni. D’altra parte, se ci pensiamo, ci accorgiamo che tutti noi, ogni volta che ne sappiamo poco su qualcosa che ci sta a cuore e che ci tiene in apprensione, sia una persona per noi importante e che vorremmo conoscere, o il passaggio di carriera o la presenza di un concorrente pericoloso per il nostro lavoro, tendiamo a produrre o ricercare pettegolezzi, non necessariamente in malafede, ma per saperne qualcosa di più, in via informale.

Un terzo elemento di ordine psicologico, da considerare, è se il fatto di essere obbligati a sottostare a un processo valutativo, un esame appunto, viene accettato o rifiutato, magari inconsciamente, perché allora questo obbligo diventa fonte di rabbia, per cui ci si avvia a sostenere la prova con una disposizione, magari inconsapevole, di protesta o di rifiuto aprioristico.

Per converso, il candidato può anche assumere un atteggiamento troppo ottimistico o illusorio e nutrire speranze, non solo, ovviamente, di passare l’ESP, ma di trovare commissari comprensivi e buoni, disponibili ad aiutarlo durante i colloqui o addirittura commissari-pigmalione che sappiano riconoscere in lui qualità non viste precedentemente.

Ma è anche possibile che provi l’angoscia di essere inadeguato come psicologo (alcuni si sentono tali anche come persone), di non essere strutturalmente pronto, di valere poco, o addirittura di essere disturbato o comunque incapace, rischiando così di recepire le eventuali critiche alla prestazione come critiche al proprio modo di essere. Questo tipo di ansia, quando è troppo massiccia o non può essere elaborata è uno degli ostacoli principali a comunicare le proprie conoscenze poiché un possibile errore non potrà essere tollerato. Il problema è serio perché si sa che elevati stati d’ansia sono invalidanti per le prestazioni.

Infine tra le fantasie e le paure sugli ESP, vanno anche inserite quelle relative al confronto con i colleghi/compagni (che evocano tutte le

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dinamiche di gelosia, competizione e rivalità vissute con i fratelli, siano questi reali o immaginari) e che non possono essere ignorati nel predisporre il contesto valutativo.

Naturalmente esistono anche candidati che si pongono in modo più realistico di fronte all’esame, senza troppa paura, ma anche senza negare, tramite un atteggiamento di superiorità o di denigrazione, l’ansia che – inevitabilmente e sempre – questo comporta. Essere consapevoli delle proprie paure non è un segno di debolezza, ma di maturità, che non solo aiuta a verificare se i timori sono davvero realistici, ma permette alle parti più adulte della mente di sorvegliarli e gestirli meglio, con minor rischio di farsi sopraffare e quindi, per quanto riguarda l’esame, con maggior possibilità di fornire un buon rendimento.

I candidati che hanno consapevolezza di questi aspetti sono quelli che si pongono rispetto alla prova e agli esaminatori non come se fossero di fronte a dei giudici severi, pronti a coglierli in fallo per punirli, né, viceversa, come se fossero al cospetto di mamme buone pronte a tollerare tutto (anche una preparazione sommaria e superficiale). Sono quei candidati che hanno una percezione realistica – e dunque «sana» – della prova e perciò si predispongono a interagire con la commissione o i singoli commissari come di fronte a quello che realmente sono: persone più esperte (come spiego nel cap. 5) con le quali entrare in relazione per mostrare ciò che si è appreso e riflettere sul significato che ha avuto per la propria evoluzione mentale ciò che si è studiato.

Tuttavia lo stato mentale con cui ciascun candidato si appresta all’esame non è cosa solo volontaria, anzi lo è solo parzialmente in quanto dipende dalla sua storia personale, dalle sue vicissitudini interiori e dalle precedenti esperienze scolastiche e universitarie in particolare: laddove sono state buone esperienze il candidato avrà la capacità di porsi di fronte all’esame con un atteggiamento più fiducioso di un altro sottoposto a esperienze frustranti che ne hanno minato il senso di sicurezza nelle proprie capacità e la fiducia in sé. La possibilità di fare bene all’esame dipende quindi molto dalla fiducia della persona in

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se stessa che, a sua volta, si fonda sulla somma delle buone esperienze affettive e scolastiche precedentemente fatte e conservate nella sua mente. Viceversa se un candidato ha avuto esperienze formative in cui non è stato sufficientemente compreso, aiutato, assistito troverà anche l’ESP particolarmente difficile, allo stesso modo di un candidato molto insicuro delle proprie capacità, che non è riuscito a gettare le basi per la costruzione di una solida identità professionale o che ha subito vicende personali traumatiche. Quindi le possibilità di insuccesso aumentano e si portano dietro un corteo di ulteriori frustrazioni.

Stati d’animo non sereni caratterizzano anche i candidati troppo competitivi, cioè quelli che si pongono di fronte all’ESP come a una gara, o di fronte ai commissari come se fossero avversari da battere; candidati che si apprestano alla prova con una quota eccessiva di aggressività, in una logica rivendicativa del tipo: «Gliela faccio vedere io!» che non favorisce certo il sereno svolgimento della prova.

Per questi e altri motivi, diversi da persona a persona, ci sono candidati dei quali si potrebbe dire che, per merito del loro modo di affrontarlo psicologicamente, hanno «già passato» l’ESP prima ancora di darlo, mentre altri rischiano di fallire (o di rendere meno di quanto potrebbero) prima ancora di aver cominciato.

Come si vede da questi esempi, il carico emotivo non è affatto indifferente, tant’è vero che c’è da evidenziare che il significato profondo dell’ESP non sta solo nella verifica delle competenze già acquisite e delle potenzialità professionali ma anche in un «mettersi alla prova» interiore cui è chiamato il candidato che deve confrontarsi con una situazione così impegnativa. Anche perché l’insuccesso non è solo spiacevole per le complicazioni pratiche che ne conseguono e i costi economici che si sono sostenuti, ma è anche psicologicamente doloroso, perché instilla nel soggetto dubbi sulle sue capacità di saper rispondere adeguatamente alla richieste che gli farà la vita in futuro. Come pensava quel candidato così scoraggiato da scrivere in un forum: «Mi hanno bocciato, sono sconfortato, anni e anni di studio per nulla». Forse però

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il nostro giovane aspirante collega avrebbe anche potuto pensare che tutta la fatica universitaria non era stata fatta per superare l’ESP ma per formarsi. A meno che sia così narcisista e presuntuosamente sicuro di sé da pensare che l’insuccesso non sia dettato da sue carenze o quantomeno da suoi errori ma da incapacità dei commissari.

Anche coloro che vedono coronato da successo il loro ESP possono però nutrire dubbi: per esempio il timore di non essere all’altezza delle nuove esigenze che si presenteranno successivamente a livello professionale. Tuttavia tali timori, in chi dovrebbe gioire per la buona riuscita della prova, non sono segni di debolezza, ma al contrario ci dicono che siamo di fronte a una persona riflessiva, conscia dei propri limiti e non onnipotente: un bell’esempio di capacità psicologiche.

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Giorgio Blandino Insegna Psicologia dinamica presso la facoltà di Psicologia dell’Università di Torino, dove è anche presidente del corso di laurea triennale in Scienze e tecniche psicologiche.

Come affrontare l’esame di stato per psicologi Per chiarire la quantità di erronee informazioni che circolano sull’esame di stato per psicologi, l’autore risponde in modo semplice e colloquiale, con molti esempi e un po’ di ironia sdrammatizzante, alle domande più frequenti dei candidati.

Fornisce loro consigli utili per meglio comprendere e padroneggiare la logica intrinseca dell’esame, in modo da eliminare la paura che, non sempre a ragione, li attanaglia e li spinge a produrre una quantità incredibile di fantasie, vere e proprie mitologie sull’esame di stato, i commissari e le loro valutazioni.

Il testo illustra come vengono formate le commissioni, quali sono gli aspetti più problematici delle quattro prove di cui è costituito l’esame, quali sono i criteri di valutazione e come vengono formulati e comunicati i giudizi. Sono inoltre indicati preziosi riferimenti bibliografici per prepararsi alle prove.

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