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L’arte si fa solidale

Una nobildonna al tempo dei Santa Rosa: Luigia Ruffino di Gattiera aristocratica pittrice tra Restaurazione e Risorgimento

Iniziativa realizzata grazie al CSV SocietĂ Solidale

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con il sostegno di

2 luigia ruffino di gattiera Si ringraziano per l’aiuto nelle ricerche di documenti e di materiale: la dr. Mariagrazia Castiglione direttrice della biblioteca civica di Savigliano e tutto il personale; la dr. Silvia Olivero direttrice dell’Archivio Storico di Savigliano; la dr. Beatrice Zanelli per le ricerche presso l’Archivio Storico dell’Accademia di Belle Arti; la dr. Marta Golabek dell’Art Department del Wilanow Palace Museum (Polonia),; la Biblioteca della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici, Torino; il prof. Pierfederico Olmo, Fossano; l’avvocato Tomaso Giraudo, Savigliano; il dottor Alessandro Villa, Savigliano; i signori Marino Mondino e Nicola Saccione, collezionisti, Savigliano. Un grazie particolare a Walter Canavesio, Rossella Borra e a Claudia Morano Della Chiesa.

Crediti fotografici: archivio del Museo Civico di Savigliano, archivio Magau, Giangiacomo Calvi, Andrea Scarzello

Iniziativa realizzata grazie al CSV Società Solidale Non commerciabile

L’arte si fa solidale

Una nobildonna al tempo dei Santa Rosa: Luigia Ruffino di Gattiera aristocratica pittrice tra Restaurazione e Risorgimento

Museo Civico “A. Olmo” Savigliano

dal 29 ottobre al 20 novembre 2011

a cura di Alessandro Abrate e Rosalba Belmondo


Nota di presentazione Magau

I ringraziamenti dell’Amministrazione Comunale di Savigliano

Da quest’anno il Magau ha deciso di aprirsi maggiormente verso le fasce più deboli della società proponendo laboratori didattici rivolti a bambini, disabili, anziani, attraverso gli eventi proposti. Questa mostra, dedicata alla riscoperta di una donna pittrice attiva nel XIX° sec. (che ha vissuto in prima persona gli anni dell’Unità d’Italia) si profila come la prima occasione per il Magau di apertura verso queste nuove prospettive. Per l’occasione sono già stati individuati dall’associazione volontari che si occuperanno, attraverso i laboratori, di condurre, in particolare alunni, disabili e anziani verso una esperienza costruttiva e singolare che certamente ne arricchirà il bagaglio culturale. Ad esempio, uno dei temi proposti nei laboratori verterà sul paesaggio. Mettendo a confronto il paesaggio dell’800 (dipinto dall’artista analizzata) con quello contemporaneo prodotto dai fruitori insieme agli operatori, si metteranno in luce le differenze e si tenterà di affrontare una tematica tanto sentita ai giorni nostri, in modo da sensibilizzare coloro che partecipano ai laboratori. Tramite questa esperienza il Magau è convinto che, anche attraverso l’arte si possa fare volontariato. Questo opuscolo ne è l’utile strumento.

Aver promosso la mostra su Luigia Ruffino di Gattiera, raccontata sapientemente in questo catalogo, è per noi motivo di grande soddisfazione principalmente per due ragioni. In primo luogo perché in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, Savigliano, oltre ad approfondire la conoscenza del suo sindaco-uomo-eroe Santorre di Santa Rosa, ha potuto riscoprire la vicenda umana e artistica di una pittrice saviglianese, poco nota (sino ad oggi inedita) e di grande interesse, che ha vissuto in prima persona gli anni dell’Unità d’Italia. Luigia Ruffino di Gattiera con il suo gusto, la sua sensibilità e la sua pittura romantica e delicata rappresenta infatti un personaggio singolare nel panorama artistico-culturale del Piemonte sabaudo di primo Ottocento. In secondo luogo perché questa mostra di grande fascino non è stato un evento effimero, ma un’importante occasione per approfondimenti di studio e per una più capillare conoscenza del nostro straordinario patrimonio. Partendo dalle opere realizzate dall’artista si è voluto infatti contestualizzarle nel clima sociale-artistico-culturale del tempo in Piemonte con particolare riferimento a Savigliano, città che, tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX secolo, si presentava particolarmente vivace e stimolante. Desideriamo inoltre ringraziare i molti che a vario titolo hanno contribuito alla realizzazione della mostra: innanzitutto Alessandro Abrate che per primo ci ha fatto scoprire la figura di Luigia Ruffino di Gattiera e ci ha suggerito l’idea della mostra; Rosalba Belmondo, direttrice del Museo Civico “A. Olmo”, per gli interessanti approfondimenti sulla Savigliano del primo Ottocento che ha saputo proporre; la Regione Piemonte e il Centro Servizi per il Volontariato di Cuneo che hanno assicurato il loro pieno sostegno all’evento; la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, la Fondazione Cassa di Risparmio di Savigliano e la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino per l’indispensabile appoggio economico; le tredici artiste dell’Associazione Magau che, lasciandosi ispirare dalla vita e dai lavori di Luigia, hanno creato interessanti opere d’arte contemporanea; gli studiosi che tanto impegno hanno dedicato a questa iniziativa; i privati prestatori delle opere che con il loro contributo di disponibilità hanno accettato di condividere con i Saviglianesi la piacevole scoperta di Luigia e del panorama artistico della nostra città nel primo Ottocento, rendendo temporaneamente “visitabili” le opere in loro possesso. Si ringraziano, in modo particolare, per l’appoggio e la collaborazione all’iniziativa: Claudia Morano Della Chiesa e Walter Canavesio, funzionario della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte.

Le linee guida dell’associazione Magau, fissate nello Statuto, puntano l’attenzione alla valorizzazione del territorio cuneese ed al patrimonio culturale, alle varie forme dell’espressione antica e contemporanea, alla partecipazione attiva nell’ambito del volontariato. Nel corso degli ultimi dieci anni il Magau ha proposto mostre, incontri, dibattiti, pubblicazioni che hanno coinvolto città ed Istituzioni dell’intera provincia e collaborato con numerose associazioni culturali del territorio. Recenti le mostre SUBTERRANEA -2009- (mostra in Alba, eventi di rimando a Cuneo e Mondovì); DE PULCHRITUDINE -2010- (mostra in Cuneo, eventi di rimando a Savigliano e Fossano); la mostra e gli eventi ‘Dialoghi con una Valle’ (val Maira) -2011-.

In un anno in cui si festeggia il Risorgimento e in cui la scena è dominata perlopiù da eroi, patrioti, strateghi e generali, è stato importante accendere i riflettori su una figura femminile, aggiungendo al tricolore, il che non guasta, anche una “pennellata” di rosa. Chiara RAVERA Assessore alla Cultura di Savigliano

Sergio SOAVE Sindaco di Savigliano

Luigia Ruffino di Gattiera. La vita I Ruffino di Gattiera. ‘… E l’ombre i’ vidi de’ grandi Avi unite Rasserenarsi in volto, e le rugose Fronti spianar, ed impalmar giulive Le nodose lor man, e baciarsi in fronte… Qual nobile consesso? Eroi veraci Sacri alla gloria del Sabaudo Impero, Venerate memorie, e sempre grate All’itala virtù!... Loriche, ed armi, E bellici trionfi, e mitre, e stole, E lauri, e cetre in le paterne sale Splendon famose, e la remota etade, Se fiamma in petto di valore antico Atta è a serbar, con riverenza i nomi Bacierà, che trasmessi a lei verranno Dalla verace Clio, a cui sacrata E’ la memoria dei terrestri Numi; Ma torna, o Musa, alla ridente Sposa Vezzo, e splendor della Città Sabina Delizia dei congiunti, amor dell’Ava, Dell’attica Minerva alunna, e cura…’1

Manifattura Levantino (Savona, prima metà XVIII sec.) Piatto con stemma della famiglia Ruffino, post 1738 Maiolica, diam. cm 27 savigliano, museo civico (inv. 1388)

“Ravvolta fra una densa nube sta l’origine della famiglia Ruffino, la quale, da un albero genealogico, sarebbe proveniente da Roma ed avrebbe nel XI° secolo preso stanza in Savigliano”2. Questo quanto riferisce il Novellis, collocando l’origine della famiglia in tempi antichi e, con quel ‘ravvolta fra una densa nube’, circondandone l’origine di mistero. Sappiamo che i Ruffino consolidarono via-via il loro prestigio e giunsero, perlomeno dal XVII° secolo, ad essere considerati tra le famiglie nobili saviglianesi più in vista ed agiate. I Ruffino vissero stabilmente in Savigliano, dove avevano numerose proprietà agricole e immobiliari, tra cui ‘le case e i giardini’, acquistate nel XVIII° secolo dove abitavano, in via Gattiera 6 ‘segnate in mappa al Catasto ai n.ri 75, 76, 117, 118, 119, 120 e ai civici n.ri 6, 8 e 10 della complessiva superficie di are cento quattordici pari a giornate 2.99.11 fra le coerenze a ponente gli eredi di Anna Cardonat Allajola ed il Quartiere di Cavalleria, a giorno il viale pubblico, a levante il Dottore Domenico Riccardino, a notte la contrada pubblica’, proprietà che comprendeva un giardino ‘già dei frati di S. Francesco’ vincolato ‘dall’ossevanza delle condizioni e patti stabiliti dalla Santa Sede all’epoca dell’acquisto.’3 La famiglia era legata ad alcuni edifici religiosi della città, in particolare alla chiesa abbaziale di San Pietro, dove aveva patronato sulla cappella dell’Assunzione di Maria, nella quale, tra Seicento e Settecento, alcuni Ruffino erano stati sepolti.4 L’arma dei Ruffino si fregiava ‘di rosso, alla banda d’argento caricata di due stelle, alternate con due crocette, il tutto di nero; con un leone d’oro, illeopardito, passante nella banda’. Il loro motto recitava: ‘Pour l’endure’ – ‘nisi dominus aedificaverit’.5 1 Dal sonetto del conte Luigi Reviglio della Venaria (1798-1881), Agli Illustrissimi Sposi il conte Carlo Della Chiesa di Cervignasco, patrizio saluzzese, e Madamigella Luigia Ruffino di Gattiera, da Savigliano, Carmagnola 1824 (Tipografia di Pietro Barbiè), V, VI. Ne esistono copie in Archivi privati. 2 C. Novellis, “Biografia di illustri saviglianesi”, Marene, 1998, pag. 115. 3 Archivio privato, Testamento di Luigia Ruffino di Gattiera, contessa Della Chiesa, rogato Gandi. 4 C. Turletti, cit., vol. II, pag. 181. 5 Consulta Araldica, web.

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La giovinezza di Luigia Ruffino di Gattiera. La famiglia, la casa, le amicizie. ‘… E tra le rose, e i gigli oh! Come soave Sboccia il ligustro, e la pudente viola Sovra un letto d’amaraco lampeggia. Osserva, come su nel ciel, nell’etra, Sulla terra, nell’onde in mutua pace Con pensiero d’amor tutto discorre… … Dell’attica Minerva alunna, e cura… Deh! Tu lo narra, o del Tonante prole, Quanto ne’ studj tuoi largo cammino Apriasi al rezzo del celeste olivo? Taccio il gentil favellar, che vario Di suon di venustade esce ricolmo; Taccio l’industre maneggiar dell’ago, E le palme Aracnèe, e gli altri pregi Che comuni a Lei rese il genio a Palla, Solo rammento con dolcezza vera D’Alma geniale gli Appellei sudori…’6

gli slogans che propagandano ‘Fratellanza, Libertà, Uguaglianza’, con la sotterranea speranza che il ‘Buon Governo’ passato possa, prima o poi, essere ristabilito. Anche se, in via Gattiera numero 6, nell’avito palazzo saviglianese dei Ruffino, il ‘pendolo in bronzo portante la statua equestre di Napoleone, fregiato e guarnito in oro’11, l’incisione raffigurante San Napoleone, i ritrattini pendents (a mezzo busto e incorniciati) di Joséphine de La Pagérie e del Bonaparte Primo Console, alcune edizioni esaltanti le imprese dell’Eroe o la storia della grandezza del nuovo Regime (entrati a far parte dell’arredo e della biblioteca di casa)12, stanno a testimoniare –perlomeno– la curiosità di un uomo che amava leggere, informarsi e, soprattutto, aggiornarsi13; che forse nutriva, anche se mai espressa, una certa simpatia per quel Gran Corso che, indubbiamente e nel giro di breve tempo, aveva stravolto le coordinate della storia dell’intera Europa. I francesi suddividono il Piemonte14 in sei Dipartimenti: la città di Savigliano fa parte del Dipartimento della Stura e le famiglie abbienti ‘… dovettero concorrere ad un imprestito obbligatorio in proporzione al loro patrimonio…’15 Nel 1808, è nominato maire della città un ex aristocratico amico dei Ruffino, Annibale Santorre Derossi di Santa Rosa, personaggio emblematico e figura che, successivamente, avrà grande spicco durante i moti del ‘21. Egli traccia un sintetico profilo di Carlo Ruffino nelle Observations richieste dal Governo francese relative ai personaggi più in vista della città: ‘…si distingue per la sua nascita e la sua fortuna e ha diritti e stima pubblica per la sua condotta irreprensibile e il suo spirito di carità…’16 In Piemonte il periodo napoleonico porta vari cambiamenti, riscontrabili anche in Savigliano: la comunità, che nel 1810 conta 14.600 abitanti,17 è retta da una buona amministrazione che introduce importanti riforme in campo agricolo e sanitario, stimola i traffici, i commerci e le attività produttive, tanto che la città aumenta il suo prestigio presso le altre province18. Savigliano, Palazzo Ruffino di Gattiera verso il giardino, foto Carlo Pozzo, Savigliano, 1890 c.a.

Il conte Carlo Ruffino Diano di Gattiera e Angela Falletti dei conti di Rodello si uniscono in matrimonio nel 1801. Hanno due figlie, Enrichetta, nata nel 1803 e Luigia Thérèse Charlotte, nata a Savigliano il 15 marzo 18047. In seguito alla prematura morte di Enrichetta, avvenuta nel 1809, Luigia diviene l’unica figlia ed erede dei conti, crescendo in un contesto sociale e familiare colto e privilegiato.8 Allontanati i Savoia, il Piemonte è annesso alla Francia e proprio nell’anno di nascita di Luigia, Napoleone Bonaparte, già Primo Console della Repubblica Francese, diviene Imperatore (18 maggio 1804). Non sono emersi documenti che attestino una chiara presa di posizione, in particolare del capofamiglia Carlo, in relazione alla nuova situazione politica, certo non favorevole nel conservare quei privilegi che la classe aristocratica godeva durante l’Ancien Règime. Piuttosto sembra potersi intuire una certa prudenza ed una sorta di neutralità da parte dell’aristocratico Carlo nei confronti del nuovo clima politico9, che gli consentono di mantenere, nonostante la perdita dei privilegi feudali, un tenore di vita decoroso, anche sostenuto dalle rendite derivanti dai fitti delle proprietà agricole e immobiliari che la famiglia continua a possedere10. L’adattarsi al nuovo Regime, per Carlo, come per molte persone del suo ambiente, non è certo facile: le difficoltà ed i compromessi da superare sono molteplici; ma la consapevolezza di appartenere ad un casato antico e illustre che, nei secoli, ha segnato gloriosamente la storia della città di Savigliano, costituisce, nonostante le avversità, un punto d’onore da non scalfire, una responsabilità morale e civile da mantenere salda e di cui andare fieri. Se parrucche, abiti di seta, pizzi e merletti, così come aulici gesti di cerimonia, etichetta e privilegi devono essere accantonati (o usati, nostalgicamente, in ambiti circoscritti) a favore di nuovi costumi ‘borghesi’, la consapevolezza di appartenere ad una classe che ha consolidato un ruolo egemone, cova pur sempre sotto le ceneri di quel mondo calpestato e distrutto; l’orgogliosa identità aristocratica in qualche modo sopravvive nonostante 6 Dal sonetto del conte Luigi Reviglio della Venaria, Agli Illustrissimi Sposi…, cit. 7 Archivio Storico di Savigliano, atto di nascita n. 126 del 1804. Per Luigia Ruffino di Gattiera: A. Abrate, ‘Luigia Ruffino di Gattiera, la vicenda umana ed artistica di una aristocratica pittrice nel Piemonte della Restaurazione’, in Cuneo Provincia Granda, periodico, n.° 4, 2004, pagg. 43-49. Inoltre di L. Bagnasco, ‘Luigia Ruffino di Gattiera, aristocratica pittrice’, tesi di laurea, Accademia di Belle Arti di Cuneo, anno accademico 2009-10, relatore prof. Alessandro Abrate. Inoltre Casimiro Turletti,“Storia di Savigliano”, Savigliano, 1883-1888, cit., ne accenna nel Tomo II, pag. 867. 8 Archivio privato, Albero genealogico della famiglia Ruffino. 9 Un clima politico che la famiglia della moglie, i Falletti di Rodello, avversava, essendo fortemente legata a casa Savoia, cfr. C. Turletti,“Storia di Savigliano”, Tomo I, Savigliano, 1883-1888, 10 Archivio Storico di Savigliano, Categoria XII, Falcone 4/5, Tavola di statistica personale, dati compilati il 15 marzo 1811 dal sindaco di Savigliano Santorre di Santa Rosa.

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luigia ruffino di gattiera

Dopo gli sconvolgimenti politici del periodo francese19, il 14 maggio 1814, i saviglianesi con animo ricolmo di giubilo, suonando le campane a festa, accolgono il proclama in cui si annuncia la caduta di Napoleone, la fine della dominazione straniera ed il ritorno di casa Savoia, nella persona del Re Vittorio Emanuele I. E, quando il Re rientra in Torino, una immensa folla di cittadini saviglianesi si reca al Santuario della Sanità per ringraziare della ritrovata pace e della restaurata Monarchia. Nel giugno 1814 il Re e la Regina, diretti al Santuario di Vicoforte, si fermano a Savigliano: ‘…il Corpo decurionale, il Comandante, il giudice, il conte di Rodello, il reggimento, i titolati e numeroso stuolo di dame accolsero con un complimento le L.L.M.M. all’arco trionfale d’ingresso, salutandole uno sparo di mortaretti, il suono festivo delle campane ed una sinfonia di virtuosi saviglianesi…il tributo dei fiori a S. M. la Regina Maria Teresa dell’avvocato Fassini fu presentato con uno sceltissimo mazzo di fiori da sei donzelle, accompagnate dalla Contessa Galateri di Suniglia…’20 Tra i personaggi che accolgono i Sovrani c’è lo zio di Luigia, il conte Giacinto di Rodello, e non è da escludere che tra le sei donzelle che offrono l’omaggio floreale alla Regina, non ci sia la giovane Luigia. I Savoia, con il ripristino della legislazione vigente nel 1798, riportano il Piemonte allo “status quo”. Cosicché subito cominciano a diffondersi idee liberali, in aperta critica col vecchio regime restaurato, e parte della borghesia, ma anche dell’aristocrazia e del clero, alimentano tale spirito “tenendo desto un vivace fermento di idee”21. Il conte Carlo che, con la Restaurazione non rientra in possesso delle rendite feudali di Diano22, intorno agli anni ’20, regnando 11 Il pendolo è riferito nell’Inventario compilato in occasione della morte della contessa Luigia Ruffino nel 1885, rogato Notaio Luigi Gandi, Archivio privato. 12 Tuttora presenti in dimore private gli oggetti e gli stampati menzionati. 13 Archivio privato: raccolta di varie testate giornalistiche tra cui il Journal de l’Empire (1805. 1806, 1807), la Gazette Nationale ou Moniteur Universel (1803,1804) il Courrier de Tourin (1811, 1812, 1813), il Journal des débats (1804-1805), la Gazzetta Piemontese (1823, 1824), la Gazzetta di Lugano (1820), la Gazzetta Ticinese (1821). 14 A. Barbero, Storia del Piemonte, dalla preistoria alla globalizzazione, Einaudi, To 2008. 15 Casimiro Turletti, “Storia di Savigliano”, Tomo I, cit., pag. 1017. 16 Archivio Storico di Savigliano, Categoria XII, Falcone 4/5, Tavola di statistica personale, dati compilati il 15 marzo 1811 dal sindaco di Savigliano Santorre di Santa Rosa. 17 Casimiro Turletti, “Storia di Savigliano”, Tomo I, cit., pag. 1027. 18 Antonino Olmo, “Savigliano, guida storico artistica illustrata”, Edizione a cura della Cassa di Risparmio di Savigliano, 1970, pag. 115. 19 In Biblioteca privata è conservato il volume di L. D., L’anno 1815 ovvero gli ultimi mesi di Napoleone Bonaparte, Torino 1815. 20 Casimiro Turletti, “Storia di Savigliano”, Tomo I, cit., pag. 1039. 21 Antonino Olmo, “Savigliano, guida storico artistica illustrata”, Edizione a cura della Cassa di Risparmio di Savigliano, 1970, pag. 117. 22 Di M. Corrado, Diano, figli del grande castello, storia di Diano d’Alba dal seicento al novecento, ediz. Arabafenice, Bra 2008. Nel volume alcune notizie relative alla famiglia Ruffino sono riportate con frequenti inesattezze; si veda, ad esempio quanto riferito relativamente a Luigia Ruffino: ‘Angela Laura Teresa Carola Maria Gabriella è il nome della figlia di Luigi nata nel 1804 (morta ad 81 anni, 21 febbraio 1885), era andata sposa al conte Carlo della Chiesa di Cervignasco…’ (pag. 186). Tengo a precisare pertanto che la supposta Angela…(?)…figlia di Luigi (?), nata nel 1804 (?) non corrisponde alla Luigia Ruffino di Gattiera di cui si parla in questo intervento e, da quel che risulta non è

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Carlo Felice, è occasionalmente chiamato a ricoprire incarichi a Corte: da Torino alcune lettere alla figlia testimoniano le sue presenze a Palazzo Reale da cui emergono, accanto a note di costume, anche alcune sottili critiche, come in questo scritto dove racconta che ‘…domani si è la giornata da esercitar la pazienza di Giobbe, eppur bisogna ubbidire a chi comanda e star parecchie ore colla pancia vuota in mezzo alla calca ed un continuo bisbiglio. Oggi mi si porta il vestito di colore, e domattina alle ore sette una parrucca nuova: il nero lo aggiusta…’23 La madre di Luigia, Angela Falletti di Rodello, appartiene ad un importante casato: è figlia del conte Costanzo Falletti e di Irene Tapparelli di Lagnasco e vanta una lontana parentela con il ramo più illustre della famiglia, quello dei marchesi Falletti di Barolo, di cui l’ultimo rampollo, Tancredi, nel 1807, aveva sposato Giulia Colbert. I marchesi Falletti formano una coppia che diviene un modello indiscusso per la società del tempo: l’impegno profuso nelle opere di carità, assistenza, dedizione e solidarietà verso il prossimo ne fanno un riferimento ammirato, esempio di preclara virtù nel Piemonte della prima metà dell’Ottocento.24 Rimangono alcune lettere di Angela alla figlia, scritte subito dopo il matrimonio di questa, che la presentano come una donna assai devota, saggia25, attenta ai problemi e alla salute dei suoi familiari, sempre sollecita nel ricordare loro il suo affetto: lo stile dei suoi scritti è forbito, e sembra distillare note di quella politesse (condita di bienseance), che evoca sapori ancora tutti settecenteschi: ‘… ma tendre fille… en recevant la chere lettre, ma bonne amie e fille, ma comblé de joi en aprenant toujours que tu es si heureuse e tu te port bien… toutes les choses qui peuvent te rendre heureuse et faire ta fortune me sont d’un plaisir et d’une consolation… (1824 Savigl. 2 aprile)26 Oltre ai genitori, nell’ambito familiare27 della giovane Luigia costituiscono dei riferimenti importanti le zie Paolina e Felicita e lo zio Canonico28 Enrico di Gattiera, in qualche modo partecipi dell’educazione e della formazione della fanciulla. Si tratta delle sorelle e del fratello del padre Carlo: la zia Paolina, nubile, trascorre molto tempo nella casa di famiglia in Savigliano, pertanto la frequentazione con lei è assidua, partecipe del mènage quotidiano29. Lo zio Canonico, che vive a Torino, ha una particolare predilezione per la nipote, testimoniata da una puntuale corrispondenza; il Canonico, nei suoi scritti, pone in primo piano l’affetto nutrito per Luigia, consigliando quella buona condotta morale e religiosa che una fanciulla bien née deve quotidianamente coltivare: ..’il contento che sempre provai nel ricevere i vostri deliziosi caratteri, parmi sentir crescere in me in proporzione, che coll’età vostra oscuramente veggo crescere in voi un’assennato giudizio congiunto a più umili sentimenti…’30. Da diligente figlia di famiglia qual’é, Luigia risponde con sollecitudine allo zio, spesso accompagnando la lettera con doni, d’altra parte ricambiati con piccole somme di danaro. La zia Felicita, monaca, vive a Torino: il fratello Canonico, nella corrispondenza con la nipote, menziona i calorosi e cordiali saluti inviati dalla ‘chere tante’31. Sempre nell’ambito familiare la presenza della nonna materna, la Grand-Mère Rodello, con la quale Luigia d’estate è solita villeggiare a Canavere (una località fuori Savigliano verso Marene dove i Falletti hanno una proprietà ‘… notre campagne aux Canaveres’32) restituisce quel clima di affetti che circonda la ragazza, sola erede di un casato che con lei si estingue. Le frequentazioni di Luigia includono poi la vasta parentela, tra cui i Reviglio della Venaria, i Raymondi di Mongardino, i Falletti di Rodello, i Solaro di Monasterolo, in particolare il cugino Luigi Reviglio che, come emerge dallo stralcio di sonetto nuziale di seguito riferito, ha occasione di condividere con lei un precettore, il quale entrambi indirizza ‘per l’arti belle’33. mai esistita; anche alla foto riportata a pag. 185, che ritrae Luigia Ruffino in età avanzata, corrisponde una inesatta didascalia che recita l’ultima contessa: Angela Ruffino. 23 Lettera del conte Carlo alla figlia Luigia del 13 marzo 1822 da Torino, Archivio privato. 24 Sui marchesi Falletti di Barolo esiste un’ampia letteratura: S. Pellico, (Memorie di) La marchesa Giulia Falletti di Barolo nata Colbert, To, tipograf. S. Giuseppe degli Artigianelli, 1914; Disposizioni testamentarie della marchesa giulia Falletti di Barolo nata Colbert di Maulevrier, To, tipograf. Eredi Botta, 1864; G. De Montis, Nobiltà vera, La marchesa di Barolo, To, Scuola Grafica salesiana 1964. 25 Dal sonetto nuziale scritto da Luigi Reviglio, cit.: ‘…della tua saggia Madre…’, VIII 26 Archivio privato, lettere di Angela Falletti di Rodello alla figlia, 1824 Savigl. 2 aprile. 27 Archivio di Stato di Savigliano, censimento del 1808, Categoria XII, Falcone 147, Volume II, séction Tanaro, presidio, Foglio 10. Archivio Storico di Savigliano, Categoria XII, Falcone 4/5, Tavola di statistica personale, dati compilati il 15 marzo 1811 dal sindaco di Savigliano Santorre di Santa Rosa. 28 Archivio privato, Albero genealogico di Casa Ruffino: Enrico era Canonico della chiesa di San Giovanni, Torino. 29 Archivio di Stato di Savigliano, censimento del 1808, Categoria XII, Faldone 147, Volume II, séction Tanaro, presidio, Foglio 10. 30 Archivio privato, lettera dello zio Canonico Enrico di Gattiera alla nipote Luigia, da Torino il 23 dicembre 1821. 31 Ibidem, lettere del Canonico Enrico di Gattiera alla nipote; lettere di Luigia di Gattiera allo zio Canonico; lettere della zia Paolina alla nipote Luigia. 32 Ibidem, Lettere di Henriette de Berthoud de Malines a Luigia. 33 Vedere precedente nota 1.

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luigia ruffino di gattiera

‘Deh! Non ti faccian obbliar le tante Tracce segnate sull’eccelso monte: I’ Te ne prego pel fraterno amore Ch’ognor dolce mi fosti, e per le tante Cure del Precettor, che ancor bambina I rari pregi a coltivare il Padre Ti pose a fianco, e a cui pur io ben deggio, Se verace nel sen per l’arti belle Fiamma sent’io, riconoscenza eterna…’34 In casa Ruffino la ricca ed aggiornata biblioteca35 deve aver rappresentato, nell’educazione della fanciulla, un riferimento costante e puntuale cui attingere, un luogo da frequentare e condividere col padre, Commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Consigliere Municipale di Savigliano, già membro del Collegio elettorale dell’ Arrondissement, uomo colto, dai molti interessi che includono la storia, la storia militare, la musica, le scienze e la botanica, l’araldica, ecc., una figura che può stimolare e indirizzare la propensione artistica Luigia Ruffino di Gattiera, il marito Carlo Della Chiesa e la figlia Eulalia. di Luigia36. Accanto l’importante quadreria raccolta nel Dagherrotipo, primi anni ‘40 del XIX sec. palazzo, con opere (tra le altre) di Giovanni Antonio Molineri, di Giovanni Claret, di Sebastiano Taricco (nomi che segnarono in modo deciso la cultura figurativa saviglianese tra Sei e Settecento) e la nutrita collezione di incisioni a stampa antiche e moderne (tra cui la seconda edizione del Theatrum Sabaudiae, la raccolta di vedute di Bartalomeo Pinelli, ecc.), possono offrire spunti diretti, costanti per la formazione culturale (e artistica) della giovane Luigia. Allineati alle pareti delle stanze del palazzo, i ritratti degli avi rammentano poi il glorioso passato e le gesta della famiglia, di cui Luigia è l’ultima ed unica discendente diretta: con lei un antico nome si estingue, a lei ne è affidata la memoria.37 Numerosi nomi appartenenti a quell’élite sabauda che aveva segnato l’antica storia piemontese si possono riscontrare tra le persone con cui casa Ruffino intrattiene rapporti di amicizia e frequentazione: scambi epistolari, partecipazioni ad eventi lieti (matrimoni, nascite) o tristi (funerali) conservati nell’Archivio di famiglia li testimoniano38. Ne emerge una campionatura che, dalla cerchia più ristretta di Savigliano39 e del vicino territorio, si allarga a comprendere Torino e l’intero Piemonte. Personaggi 34 Dal sonetto del conte Luigi Reviglio della Venaria, Agli Illustrissimi…, VII, cit. 35 Nella ricca biblioteca di casa Ruffino alcuni volumi editi negli anni corrispondenti alla giovinezza di Luigia possono essere stati importanti per la formazione della ragazza: ad esempio di M. Berenger, Cours de geographie elementaire, Geneve 1810, di Sonzogno e Comp., Le bellezze della storia o quadro delle virtu’ e dei vizi, Milano 1815, di Lodovico Goudar, Nuova grammatica italiana e francese, Torino 1807, di William Guthrie, Abrege de la nouvelle geographie universelle, Paris 1811, di M. de Fenelon, les aventures de Telemaque fils d’Ulisse, Torino 1807, di Gio Batta Cipriani, I cinque ordini dell’architettura di Andrea Palladio, Roma 1801, di Descartes, Voyage du monde de Descartes, Paris 1790, di Poemer, Istruzione intorno l’arte tintoria, Milano 1821, di Adriano Navarotto, La Savoia dall’abbazia d’Altacomba alla gran Certosa, Vicenza 1803. Accanto a testi utili allo studio anche piacevolezze di lettura come di J.J. Rousseau, Lettres des deux amants, Geneve 1761, o di P. G. Vallardi, Sofia o la donzella istruita, Milano 1826. 36 E’ da segnalare l’importante biblioteca già Ruffino: testi antichi, del ‘600, del ‘700, accanto ad altri della prima metà dell’ottocento (argomenti vari) testimoniano gli interessi della famiglia Ruffino; in particolare molti volumi (per la maggior parte rilegati con cura) riportano agli anni del conte Carlo e della figlia Luigia; la biblioteca e l’archivio Ruffino sono d’altra parte menzionati dal Turletti, cit., come tra i più importanti e ricchi di documenti di Savigliano. 37 Molti materiali di Casa Ruffino (archivio, biblioteca, arredi) sono confluiti in dimore private, dove sono conservati tuttora. I puntuali Inventari, le precise disposizioni date nei documenti compilati in occasione di successioni ed eredità, restituiscono chiaramente la disposizione degli arredi, così come la qualità dei testi conservati nella biblioteca dell’antica casa saviglianese. 38 Archivio privato, documentazione varia. 39 Luigi Botta, “In un quadro statistico la vita di Savigliano nel 1826”, in “Natura nostra, numero 29-30 del 1983 ci informa che negli anni ’20 dell’800 vivevano in Savigliano circa 16.000 persone, distribuite tra il Borgo San Giovanni, il ‘Presidio’, la borgata Le Valdigi, il borgo della Pieve, il Macra e il borgo Marene. Elevato il numero dei mendicanti mentre solo 140 erano i capi di casa possidenti che vivevano unicamente col loro reddito, 93 le persone altolocate ‘capaci di far bella vita soltanto grazie ai loro capitali e ai vitalizi’.

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di casa Tapparelli d’ Azeglio, Tapparelli di Lagnasco, Galateri di Genola e Suniglia, Derossi di Santarosa, Reviglio della Venaria, Galleani d’Agliano, Berthoud de Malines, solo per citarne alcuni, sono in diretto rapporto con i Ruffino. Frequentazioni che, attraverso conversazioni, pranzi, ricevimenti, visite di cortesia, concerti e rappresentazioni teatrali, feste e cerimonie, impegni legati alla Corte, alla beneficenza, ricorrenze religiose, offrono, tra Savigliano e Torino, occasioni di scambi d’opinione, di interessi condivisi, di consolidamento di quei rapporti d’amicizia e solidarietà che mantengono vive le radici del Vecchio Piemonte. Savigliano è una delle città più popolose del territorio, sede di una importante guarnigione militare di Cavalleria40, e, posta com’è al centro della regione pedemontana, si presta ad essere luogo privilegiato di scambio, di passaggio, di convergenza di interessi commerciali, sociali, culturali, una vocazione peraltro consolidata nel tempo. Le chiese, il teatro in cui soprattutto si tengono concerti, i salotti privati, il vivace e frequentato Circolo Ufficiali sono luoghi deputati d’incontro, in cui la buona società si può ritrovare e confrontare. Nell’agosto 1822 giungono a Savigliano il Re Carlo Felice, la Regina Maria Cristina e la Duchessa del Chiablese: gli Augusti Viaggiatori, diretti al Santuario di Vico, sono accolti ‘… da universali evviva e brillante illuminazione…al padiglione formato innanti il palazzo Comunale, ove il Corpo civico, le autorità e i personaggi distinti dell’uno e dell’altro sesso stavano raccolti per fargli omaggio dei loro sentimenti di inalterabile fedeltà… entrarono dalla porta di Marene…degnandosi di scegliere alloggio presso l’Ill. mo maggiordomo di S. M. conte Falletti di Rodello vice-sindaco…’41 Ancora una volta il conte-zio Giacinto di Rodello ha un ruolo di primo piano nell’accogliere i Sovrani, ospiti nel suo palazzo di via S. Andrea; altra probabile occasione, per la damigella Luigia, di partecipare il clima di Corte che poco più tardi ritroverà a Torino. Una stretta amicizia lega i Ruffino alla famiglia di Giuseppe Gardet, ufficiale a riposo che abita in via Jerusalem 6, un uomo che ‘… racchiudeva in sé più di scienza e sapere di ciò che si possa supporre…’42: è questi il precettore indicato da Luigi Reviglio, mentre sua figlia Marianna, di poco più grande di Luigia, condivide con lei studi e interessi per il disegno e la pittura43. Poi, tra le amiche più care della giovane Luigia troviamo Henriette Berthoud de Malines, figlia del conte di Bruino (legato, per tradizione familiare, all’ambiente della torinese Accademia di Pittura e Scultura)44: una fitta corrispondenza (lettere di Henriette a Luigia spedite da Torino e Bruino, conservate in archivi privati) che parte dal 1817 e giunge sino ai primi anni ’20 testimonia un rapporto affettuoso, cordiale, tra le due fanciulle, consolidato dal ritrovarsi nelle lunghe villeggiature estive aux Canaveres45, luogo in cui le ragazze hanno modo di trascorrere molto tempo insieme. Dalle lettere che Henriette scrive a Luigia emergono notizie e informazioni soprattutto curiose delle ultime novità torinesi, ad esempio l’arrivo ‘… de la Princesse de Carignant … quelle est très jolie et elle est fort de son gout..’, o i festeggiamenti legati al Carnevale ‘… notre Carneval très brillant pour les grandes personnes ne l’a pas moins été pour les jeunes demoiselles…’46; emergono poi i resoconti delle sontuose cerimonie religiose che si svolgono nelle chiese della capitale47, degli incontri in società, sino ai saluti di amiche comuni come Louise de St. Rose o Paolina Avogadro…48. Dans les trois mois d’eté aux Canaveres, en Campagne, Louise e Henriette hanno modo di passeggiare49, di fare escursioni, di incuriosirsi delle chiassose feste paesane, di ‘… monter une petite anesse trés bien dressée qui s’est à nos ordres…’, di studiare la storia di cui entrambe sono appassionate, di fare musica, ricamare, leggere poesie e disegnare. Proprio su quest’ultimo punto è sempre Henriette, fin da una lettera del 1817 (quando Luigia ha 14 anni), ad esprimere un’incondizionata ammirazione per il talento dell’amica: ‘Non seulement ma chere Louise je te remercie de la grace avec la quelle tu a rempli la commission dont je t’avais priée, mais plus ancore, de la jolie lettre que tu as bien voulu m’écrire, et du petit fragment de tes ouvrages dont la modestie s’est servie pour en velope. Je te fais mon compliment sur ton de crayon pour le 40 Il quartiere di Cavalleria è ospitato nell’ex Convento di San Domenico, in quegli anni in piena trasformazione ed ingrandimento. 41 Casimiro Turletti, “Storia di Savigliano”, Tomo I, cit., pag. 1045. 42 Archivio privato, scritto di Luigia del 1852 (?) che commemora G. Gardet: dallo stile, sembra formulato per essere eventualmente pubblicato. 43 C. Turletti, Storia di Savigliano, cit., vol II, pag. 867. Gardet, nel 1824, in occasione del matrimonio di Luigia scrive un sonetto: ‘Anacreontica sopra di un vaso in cui scorgeasi amore in prigione’, tipograf. Giuseppe Daniele, Savigliano 1824. 44 I Malines avevano proprietà nel territorio di Savigliano e, nella tenuta di Canavere, vi trascorrevano i mesi estivi. 45 A Canevere i Malines avevano alcune proprietà agricole. 46 Archivio privato, stralci di lettere di Henriette Berthoud de Malines a Luigia. 47 Ibidem, Lettera del novembre 1818, arrivo a Torino del Patriarche de Gérusalem…il a célebré la messe au St. Suaire.. 48 Ibidem, lettera di Henriette Berthoud de Malines a Luigia, le 3 9bre 1817. 49 Ibidem, Lettera di Henriette non datata: “…lorsque dans plus parfaite intelligence nous nous promenions bras dessus bras dans son delicieux jardin…”.

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dessin et sur ton caractere pour l’écriture. Ces deux obyets seront pour moi des modeles interessants et le plaisir que j’eprouverai en les copiand me rapelleront de celle qui me les a donnez…’50 Altre lettere più tarde, sempre di Henriette, testimoniano quanto per Luigia continui ad essere importante il disegnare e il dipingere ‘dis moi chere Louise si tu avance toujours beaucoup pour le dessein et pour les autres études…si tu fais quelques jolies ouvrages main…’, un allenamento che emerge costante nel copiare gravures de marins, oppure particolari anatomici come pieds, mains, una tete de Rubens, une Vierge o comporre generici dessins. Cosicchè, molto saggiamente, in una lettera non datata Henriette scrive a Luigia che ‘…les vrais plaisir de Louise et d’Henriette…ne sont point les bals n’y les spectacles, et ce sont pour nous des divertissments secondaires, mais ce qui nous comble vraiment de joie à la fin de notre journée est de l’avoir emplojé à des choses utiles qui nous laisse quelque chose de bon dans la tete et qui nous met à meme de nous bien conduire selon Dieu…’51 Luigia trascorre la maggior parte della sua giovinezza nella casa di Savigliano, ad eccezione dei mesi estivi che passa, appena fuori porta, aux Canaveres; sporadici sono i soggiorni torinesi, in cui è ospite dello zio Canonico, della tante Birago o della tante Berzetti (parenti per parte Rodello). E a Torino, come suggerisce sempre Henriette de Berthoud, Luigia può anche recarsi a teatro, in particolare all’Opera, un genere da lei molto amato (‘…toi qui aime l’opéra…’). Il matrimonio con Carlo della Chiesa. Ma or tempo non è … Disdegna Amore Maturo senno, e lungo studio, e calma Di spirto intera… Più cocente brama Il sen Ti punge, ed impaziente il core De’ desiati corsier l’ugna non sente… No, non temer: regge le briglie il Nume Più possente d’Olimpo, e più tremendo: Ei qui fra breve dall’eccelse mura Ligio al tuo Carlo scenderà gradito… Al rimbombar della sonante biga Già lo sento, o Luigia, è desso, è desso: Su via t’affretta, e le paterne scale Vinci d’un salto, e dell’assidue suore, Nobil corteggio! L’auree grazie Teco Scendano ancor; di reiterati amplessi Il vestibolo echeggi, e d’alti evviva: Pianto di gioja ad irrorar le gote Del Genitor, della tua saggia Madre Frequentissimo sghorghi…52

Luigia Ruffino di Gattiera, il marito Carlo Della Chiesa. Studio fotografico Aug. Mejlan, Torino 1850 c.a. pagina di album.

Lunedì primo marzo 1824, nella chiesa di San Pietro, Luigia Ruffino di Gattiera va in sposa al conte Carlo Della Chiesa di Cervignasco e Trivero, Luogotenente nel Reggimento Savoia Cavalleria, patrizio saluzzese, città in cui era nato nel 1798. Pochi giorni prima delle nozze, il 16 febbraio 182453, è stipulato tra le famiglie Ruffino e Della Chiesa un ‘Contratto di matrimonio’ 54 (come era uso) in cui il padre della sposa s’impegna a versare la somma di lire cinquantaquattromila per la costituzione della 50 Ibidem, Lettera di Henriette Berthoud de Malines a Luigia, Le 5 7 n.bre 1817. 51 Ibidem, lettere di Henriette a Luigia, 1818, ‘19,’ 20, ‘21. 52 Luigi Reviglio della Venaria, Agli Illustrissimi Sposi…, cit. 53 Il 10 gennaio 1824 muore in Moncalieri il vecchio Re Vittorio Emanuele I: il lutto, che comporta varie cerimonie funebri, interessa l’intero Regno Sardo, e si protrae per mesi. 54 Contratto di matrimonio, con costituzione di dote e fardello della Damigella Luigia Ruffino di Gattiera, futura sposa dell’Ill.mo Sig. Conte Carlo Della Chiesa di Cervignasco e Trivero, 16 febbraio 1824, Giusiana notaio, fascicoletto manoscritto, Archivio privato.

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dote e lire seimila per il fardello, una cifra del tutto considerevole per quei tempi e che focalizza la condizione agiata della fanciulla. Carlo Gio Batta Della Chiesa di Cervignasco e Trivero, nasce in Saluzzo il 14 febbraio 1798, primogenito del conte Paolo Domenico (già Luogotenente nei Dragoni del Chiablese) e di Giuseppina Teresa Delfino dei conti di Trivero (il titolo passerà a Carlo dal prozio Gianbattista Delfino Trivero, conte e Commendatore55). Da archivi privati apprendiamo che i genitori di Carlo si erano uniti in matrimonio nel 1797; un figlio secondogenito, Paolo, nasce nel 1799; dal 1806 sino al 1811, anno in cui muore, la madre trascorre molto tempo a Cuneo, dove i Trivero hanno palazzo in città e la proprietà di Bonaria a San Pietro del Gallo (questa, più tardi, giungerà per eredità al figlio Carlo56). Carlo, insieme al fratello, cresce a Saluzzo seguito da un precettore, don Isnardi, che, nel 1806, riceve dalla madre dei bambini delle precise disposizioni scritte su come educare i suoi figli, in cui i valori cristiani e morali ed il rispetto per il Padre e la Madre emergono come riferimenti primari: ‘la Réligion doit etre le premier soin à leur inspirer… au Pere et Mere un respect et soumition à leur volonté… avoir una grande circonspection dans le choix que les Enfants chercheron toujour de faire des amis de son age afin qu’il ne prénent de mauvais…. le précepteur doit leur parler beaucoup afin de connaitre leur facon de penser… jamais les battres… les heures de la journée doivent etre toutes distribué, divise en deux parties, étude et récreation… avoir beaucoup de patience et douceur… j’éspere que nous vivrons tout bien d’accord avec la plus grande gayeté…’57 Carlo segue la tradizione militare di famiglia: diciottenne (nel 1816), lo si trova sottotenente nei Cavalleggeri di S.M.; con questo grado passa nel 1821 nel nuovo Reggimento Genova Cavalleria, quindi nel ’22 è promosso luogotenente nel Savoia Cavalleria. Subito dopo il matrimonio (1824) verrà nominato aiutante di campo del Governatore di Novara S.E. il conte Galleani d’Agliano.58 L’incontro tra Luigia e Carlo avviene tramite i Conti Paschale d’Illonza, cugini dei della Chiesa: la notizia si apprende da una lettera scritta da Carlo Della Chiesa di Cervignasco (Saluzzo 12 febbraio 1824), nonno di Carlo (futuro sposo) a Luigia: ‘… Cara Figlia… non dubito che a quest’ora avrete fatto la conoscenza di tutta la parentela, solo mi spiace, che la grande modestia di mio Cug. C. Pascale, di cui temo moltissimo (per la salute) non vi permetta di abbracciarlo, egualmente che sua Moglie,li quali ebbero una gran parte in questo matrimonio...’59 Alcune lettere scritte da Venezia (dove accompagna S. M.) dal promesso sposo Carlo a Luigia fermano i momenti di tiepida attesa precedenti il matrimonio e le promesse di futura felicità: ‘la douce penseé du moment heureux que nous ne devrons jamais plus nous separer… (Venezia 13 febbraio 1824); ’lorsque deux coeurs sont unis par les deux biens de l’amitié et de l’amour, seul moyen d’en faire rapporter avec patience la réparation c’est d’épancher son coeur avec la seule personne qu’il y est chere, oui, ma tendre amie, rien de plus agreable pour moi que de te répeter que je t’aime, et que ce sera toujours mon ètude de te le prouver, en faisant tout ce qu’il dependra de moi pour ton bonheur…’ (25 febbraio 1824)60 Intanto a Savigliano i preparativi fervono; la festa di nozze si tiene nella casa della sposa dove nelle cucine vengono cucinati i cibi per il ricco ricevimento e le cantine sono rifornite di botti di vini bianchi, rossi e di preziose bottiglie di Malaga; la variegata pasticceria ‘… pain d’Espagne, composte Savojarde, glacé, biscuits et marsapain, Nogal, meringues…’61, giunge in parte da Torino, scelta dal padre dello sposo. E sempre il padre dello sposo fa recapitare a Luigia alcuni preziosi gioielli, tra cui una collana di trentadue brillanti, un anello di brillanti, un bracciale, una spilla, un pettine d’argento dorato, un paio d’orecchini a tre goccie di brillanti acquistati per 750 L. dalla contessa Angelica di Samone nata Cigala e un orologio pour col guarni d’acquamarin gravé Gisselée, d’or comprato dal gioielliere torinese Musy, fornitore della Real Casa62. 55 Per i Trivero e in particolare Gianbattista si veda: L. Aime, Villa Bonaria a San Pietro del Gallo (Cuneo), un inedito progetto di Mario Ludovico Quarini, Tesi di Laurea, anno accademico 2005-2006, Politecnico di Torino, II Facoltà di Architettura, sede di Mondovì, corso di laurea specialistica per l’ambiente e il paesaggio, relatore prof. Laura Palmucci Quaglino, pagg. 57-73. 56 Per villa Bonaria e le altre proprietà Delfino e Della Chiesa cfr. L. Aime, cit. precedente nota 59. 57 Archivio privato, Disposizioni di Giuseppina Delfino Trivero al precettore don Isnardi. 58 Ibidem. 59 Archivio privato, lettera scritta da Carlo Della Chiesa di Cervignasco a Luigia Ruffino Gattiera, 18 febbraio 1824. Per ulteriori approfondimenti sul conte Pascal (Carlo Magno Pascal d’Illonza), che muore nel 1824, cfr. nota 31 del successivo capitolo relativo all’opera di Luigia Ruffino. 60 Ibidem, lettere, febbraio 1824, di Carlo Della Chiesa a Luigia Ruffino, da Venezia, da Torino, da Moncalieri. 61 Ibidem, pagamenti per varie forniture in occasione del matrimonio di Luigia e Carlo Della Chiesa, 1824. 62 Ibidem, pagamenti per varie forniture in occasione del matrimonio di Luigia e Carlo Della Chiesa, 1824. Con la ditta Musy il conte si impegna a versare l’importo dovuto

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Intanto la zia Pauline Della Chiesa a Torino si occupa di alcuni accessori dell’abito nuziale, scelti presso M.me Julie Vautier, e il 27 febbraio 1824 scrive a Luigia ‘tu recevra par ton Epoux un cartron qu’il contiendra trois robes avec une camisole de satin blanc que tu mettra sous la robe de barège, celle en blanc est pour le jour de mariage tu devrais te mettre le voile en blonde, ce qui accompagnerais très bien la robe, etant garni de même, coiffée en cheveux avec un bouquet de fleurs de citron, ici on a ce stil, j’gnore si a Savillan on a c’ert usage… y trouverais aussi ta parure pour la nuit qu’on m’a promis de me donner tout fait vendredi puor pouvoir mettre le tout a ton chere Epoux qui part d’ici samedi matin: j’espere d’avoir rencontrèe ton gout et que les robes t’irons bien…’63 E, ancora a Torino, sempre il futuro suocero, si occupa dell’arredo dell’appartamento che dovrà accogliere gli sposi novelli scegliendo (e pagando)64 oggetti (presso la ditta Giacomo Piatti, Magazzino d’oggetti di gusto e curiosità e nel negozio dei fratelli Millet), mobili moderni (eseguiti dai minusieri Gorbella, Giandolino, Medone), tappezzerie e il ‘… letto nuziale con corona e foglia parato in damasco giallo guarnito di frangia, pomi e flecie dorate…’ fornito dal mercante Carlo Benedetto65. Il ménage familiare, i figli. La carriera militare del marito Carlo. Dopo il matrimonio Luigia e Carlo vanno ad abitare a Torino, anche se frequenti sono i soggiorni a Savigliano e Saluzzo66: proprio in questa città nasce Angelica, la primogenita, che vede la luce il 24 dicembre 1824. Carlo su di un taccuino67, che continuerà ad usare in seguito per annotare alcuni fatti familiari, ci informa della ‘nascita d’una figlia alle ore 5 ½ di sera; il parto fu assistito dal Chirurgo Finela, zia Del Mele, M.me Ferraris, Catlinin ed io. Il 25 arrivo del Conte Gattiera alle 5 della sera, battesimo da D. Prati canonico, furon padrini mio Padre C. te Domenico e la C.ssa Gattiera la quale essendo malata in di lei vece deputò la sua sorella M.ma Birago’68. Angelica, come in seguito i suoi fratelli, viene data a balia e a tutti viene ‘inestato il vajuolo’. Carlo Domenico, il maschio primogenito, nasce in Savigliano nel 1825: sarà paggio a Corte e sottotenente nel Nizza Cavalleria. Sempre nel 1825 Luigia riceve una curiosa lettera spedita dalla baronessa di Teulada, Dama d’onore di S.M. la Regina: “Ill.ma Signora, S. M. avendo già da qualche tempo osservato che dopo l’epoca del ritorno della Real Corte ne Stati di Terraferma molte dame ammesse alla Corte si fanno lecito di comparirvi senza le divise di rigorosa etichetta, ed alcune fra di esse anche con vesti poco decenti, manifestandone la R. Sua disapprovazione mi ha ordinato, nella mia qualità di Dama d’Onore di S. M. la Regina di rinnovare alla memoria di tutte le Dame che, occorrendo loro di presentarsi in Corte, Essa vuole assolutamente che si adottino e si conformino alla foggia di vestire stabilita all’epoca sovra divisata, di cui si trasmette qui unito un esemplare. Intende inoltre la S. M. che le maniche delle vesti vengano prolungate sino a tre dita sopra il piego del braccio. S. M. nel dichiarar che non faranno parte dell’abito di etichetta le così dette mitaines, permette bensì che all’occasione di baciare la mano alla Regina, o di fare qualche servizio in Corte, le dame soggette ad incomodi di salute, oltre i guanti lunghi di pelle, possano anche calzare guanti lunghi a maglia, senza dita, ma di colore di carne, poiché in tal modo non risalteranno molto all’occhio. Nel rendere palesi a V. S. Ill.ma le Sovrane intenzioni anzidette mi pregio d’essere con ben distinta considerazione di V. S. Ill.ma Dev. ma e Obbig.ma Serva la baronessa di Teulada Dama d’Onore di Sua Maestà la Regina. Torino 30 giugno 1825”69 Uno scritto, quello sopra riferito, che indica la partecipazione agli impegni di Corte di Luigia e che comprova la rigida etichetta applicata dalla Regina Maria Cristina (e forse un comportamento un po’ disinvolto, ma simpatico, di una ventiduenne Luigia). Dal 1826, anno della morte della zia Paolina Ruffino, la coppia inizia a spostarsi e a risiedere in varie città del Piemonte, tra nel giro di tre anni. 63 Ibidem, lettera di Pauline Della Chiesa da Torino del 29 febbraio 1824. 64 Ibidem, pagamenti per varie forniture in occasione del matrimonio di Luigia e Carlo Della Chiesa, 1824. 65 Ibidem, pagamenti per varie forniture in occasione del matrimonio di Luigia e Carlo Della Chiesa, 1824. 66 Il 25 luglio 1824 (pochi mesi dopo il matrimonio) a Luigia viene dedicata, nella città di Saluzzo, una incisione in occasione della ‘solenne festa della gloriosa Madre di Maria Vergine Sant’Anna’, celebrata nella chiesa parrocchiale di San Bernardo dalla ‘Società dei capi-mastri da muro, e mastri capi fornaciaj e fornaciaj’ stampata a Torino presso la Stamperia Ghiringhello. L’incisione contiene un sonetto dedicato ‘alli singolari meriti dell’Illustrissima Signora Contessa Della Chiesa di Cervignasco e Trivero nata ruffino di Gattiera’. La parte superiore dell’incisione raffigura, all’interno di un cartiglio, Sant’Anna con la Vergine bambina; motivi floreali e fogliacei caratterizzano i bordi che racchiudono il sonetto, terminando, in basso, con due paesaggini raffiranti ‘rovine’. Non è stato possibile individuare i ‘meriti’ della contessa, celebrati dal sonetto e dall’incisione; si può forse avanzare l’ipotesi che il disegno raffigurante Sant’Anna sia stato realizzato da Luigia e offerto alla società dei capimastri (tratto da un dipinto autografo?). 67 Ibidem, piccolo taccuino rilegato in pelle, autografo del conte Carlo, in cui annota, in modo stringato e frammentario, a cominciare dal 1825 sino ca. agli anni ’50 dell’800 alcuni fatti relativi alla sua famiglia 68 Ibidem, dal piccolo taccuino rilegato in pelle del conte Carlo: Catlinin era la cameriera di Luigia. 69 Ibidem, lettera della baronessa di Teulada Dama d’Onore di Sua Maestà la Regina. Torino 30 giugno 1825.

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cui Novara, Pinerolo, Vigevano, Vercelli, luoghi dove Carlo è chiamato a svolgere incarichi militari. A Novara, il 30 dicembre 1826, Luigia ha un aborto, anche questo annotato da Carlo nel suo taccuino; sempre in Novara nel 1828 nasce la terzogenita Felicita e, nello stesso anno muore a Savigliano la Grand-Mère Rodello; Carlo, nel 1829, è nominato Capitano del Reggimento Piemonte Reale. Nel 1830 due eventi, uno lieto, l’altro triste, segnano la vita di Luigia e della famiglia: in Savigliano nasce la figlia Carolina Paola e, sempre in Savigliano, in agosto, muore il padre Carlo all’età di 74 anni. Per ricordarne la memoria i familiari (nel 1831) fanno eseguire alcuni lavori di abbellimento ‘…cassettoni e…nuova cancellata… ’70 nella cappella dell’Assunzione di Maria (chiesa di San Pietro), su cui hanno patronato. L’amico di famiglia Gardet, in questa triste occasione, dona a Luigia un suo disegno raffigurante la morte di Socrate in cui compare la scritta ‘Vos amis vous voient aujourd’hui pour la derniére fois. Dedièe à Monsieur le Comte Ruffin de Gattiera’.71 Nel 1832 un nuovo parto: Enrichetta Paola nasce a Pinerolo e, come gli altri fratelli, viene data a balia e gli viene ‘inestato il vajuolo’; a Vigevano, nel ’36 nasce Eulalia; negli anni successivi Irene Angelica e Luigi Paolo Maria, nati rispettivamente in Savigliano e in Vigevano, muoiono bambini e, in ultimo, Eugenio, nasce a Vercelli nel 1841. La vita dei conti Della Chiesa è movimentata dalle gioie e dai dolori arrecati da una numerosa figliolanza, scandita dai frequenti traslochi, dagli orari di caserma di Carlo, dalla vita di società che posizione e rango esigono, dagli impegni a Corte, dai concerti e dal teatro che sono occasioni di svago assai amati dai coniugi, dalle opere benefiche: di tutto ciò rimangono frammentarie testimonianze, lettere, inviti, libretti, appunti, partecipazioni che restituiscono echi di un mondo fatto di rigorosa etichetta, di riti formali, di obblighi, ma anche di risvolti di vita e spazi familiari in cui ritrovare e condividere svaghi, intimità, confidenze e affetti72. Savigliano e l’antica casa Ruffino divengono, col tempo, il luogo privilegiato di riferimento per la famiglia, il centro dei sentimenti più cari in cui tornare con sempre maggiore frequenza; in seguito alla morte del padre, la vedova Angela, madre di Luigia, va ad abitare in palazzo Taffini d’Acceglio73. Carlo e Luigia, nel 1831, diventano sostenitori e membri della ‘Società’74 che si occupa della ricostruzione del Teatro di Savigliano75, con diritto a tenervi un palco. La costruzione del nuovo Teatro segna un momento importante della storia culturale della città: il progetto è seguito dall’architetto e ingegnere saviglianese Maurizio Eula, le decorazioni ‘sono formate da Zaverio Frangi da Viggiù…ricchi, eleganti, variati e molteplici sono gl’interni ornamenti, e belle sono le pitture…opere del saviglianese pittore Pietro Ayres…varie scene vennero eseguite dal signor Gioachino Brero anche di Savigliano…’76 Cosicchè ‘…la musica, il canto, la commedia, la tragedia hanno nella Città tali mezzi di incremento che ripromettono un luminoso avvenire…’.77 I Della Chiesa saranno assidui frequentatori del Teatro, rinnovando annualmente le quote per sostenerne la gestione. La nomina di Carlo a Capitano del Reggimento Reale nel 1829, lo portano, con la famiglia, dapprima a Pinerolo, poi a Vigevano, parallelamente ad incarichi militari che lo chiamano anche a Torino, sino al ’39, quando passa al Nizza Cavalleria. Nella città di Vercelli, nel 1842, muore, ancora giovane e nubile, la figlia Angelica ‘crudelmente rapita da lunga malattia di languore…’ (nota del padre sul taccuinetto rilegato). Nel ’45 muore il padre di Carlo e viene sepolto a Cervignasco. Forse i lutti familiari, il senso della storia e della memoria sono gli spunti che portano Luigia a far erigere, nel corso degli anni ’40, nel giardino dell’avito palazzo di famiglia in Savigliano, un tempietto in cui raccogliere stemmi, lapidi ed epigrafi 70 C. Turletti, cit., vol II, pag. 181. 71 Il disegno, firmato composè dessiné par G. Gardet Off amateur è tuttora conservato in collezione privata. 72 Archivio privato, documenti vari. 73 Palazzo Taffini, dopo anni di sconvolgimento per la cattiva gestione operata da Camillo Taffini (1786-1846) morto in povertà in Francia, è affittato a molti inquilini; torna di proprietà degli eredi Taffini verso il 1825, ma essi non vanno ad abitarlo che nel 1850. 74 Archivio privato, locandina a stampa (Giuseppe Daniele in Savigliano) elenco dei soci del Teatro (era sindaco avv Oggero), Arrigo Felice medico in società col conte Regis, Ascheri Andrea sottotente d’Infanteria, Barel di Sant’Albano Giusppe cavaliere, Boetti Giuseppe conte, Bocchi maurizio e Alessandro proprietari, Borelli giacomo notajo, Città di Savigliano e contessa di Genola, Cravetta di Vllanovetta conte Carlo e cugino cavaliere Marcellino, Canalis Carlo avvocato e intendente, Costamagna Clemente propriet, Della Chiesa di Cervignasco e Triviè conte Carlo capitano di cavalleria, Denina Francesco proprietario, Falletti di Rodello Giacinto conte e maggiordomo di S:M:, Galateri di Genola e Suniglia conte Annibale magg di cavalleria, Grisi Rodoli luigi cavaliere senatore, Gatti Giovanni Domenico notajo, Gianti Francesco Balbino propriet, Gioelli Luigi quartier mastro, Novellis Vincenzo avvoc, Regis Giovanni conte collaterale e membro della R commissione superiore di Liquidazione in società col sovra nominato dottore Arrigo, Rossi Vincenzo proprietario, Sicardi Paolo dottore in medicina regio medico delle carceri e primario dell’Ospedale Maggiore, Tapparelli di Genola Lorenzo conte e luogotenente colonnello d’Infanteria, Trojano Bernardino capitano d’Infanteria. 75 A. Olmo, “Il civico teatro Milanollo”, Savigliano, 1984. 76 C. Turletti, Storia di Savigliano, cit., vol. II, pag. 894. 77 C. Turletti, Storia di Savigliano, cit., vol. II, pag. 895.

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appartenenti perlopiù a monumenti sepolcrali della famiglia Ruffino, già in precedenza recuperati dalle chiese di San Pietro e di San Domenico (che avevano subito danneggiamenti durante il periodo francese). Questa attenzione per la memoria famigliare, il gusto antiquario del recupero e della ricollocazione, fanno della contessa Luigia un personaggio singolare che include nei suoi interessi artistici un vivo senso della storia, della testimonianza da conservare e trasmettere. Un primo pensiero, non realizzato, del tempietto, è affidato a Edoardo Arborio Mella, che Carlo e Luigia, probabilmente, conoscono durante il soggiorno a Vercelli: l’archivio Della Chiesa conserva il disegno del Mella, di chiara ispirazione neogotica, interessante soprattutto se inteso come stimolo e proposta nell’ambito delle considerazioni valutate in fase di progettazione del singolare edificio. Ne descrive la realizzazione definitiva il Turletti ’…veggonsi il busto di Enrico Ruffino insieme colle quattro lapidi sepolcrali nel verziere della famiglia, connesse in un mausoleo protetto da un apposito peristilio’78, una costruzione in parte abbattuta, in parte modificata in tempi recenti. La Prima Guerra d’Indipendenza Nel ’46 Carlo viene nominato Gentiluomo di Corte e giura davanti al Re Carlo Alberto il 5 giugno 1847. Impegni di Corte e incarichi militari scandiscono la sua vita, mentre la moglie, da certe lettere scritte al marito ed al fratello di questi, Paolo, sembra mal sopportare gli avanzamenti di carriera del coniuge79, aspirando ad una vita più tranquilla nell’amata casa di Savigliano. Intanto si avvicina l’anno critico per il Piemonte ed il Regno di Carlo Alberto: il 4 marzo 1848 il Re concede la Costituzione, così come aveva fatto pochi giorni prima Leopoldo II in Toscana e farà di lì a poco il Papa. Il Regno delle Due Sicilie e Parigi erano già insorte: nel meridione d’Italia era stata concessa la Costituzione, in Francia avveniva la prima rivoluzione socialista della storia (come ebbero a dire Marx e Tocqueville). Insorge Vienna e l’Imperatore Francesco Giuseppe concede la Costituzione, insorge Berlino per l’unificazione della Germania, insorgono i liberali a Budapest guidati da Kossuth, i Boemi per ottenere l’indipendenza dall’Austria; Milano è in rivolta e Venezia proclama restaurato il governo della Serenissima, mentre a Parma e Modena vengono cacciati il duca Carlo II e Francesco d’Este. Le notizie rimbalzano, s’intrecciano, preoccupano e agitano gli animi, la velocità degli avvenimenti disorienta, ed è tale che risulta difficile, in quei giorni, seguire gli sviluppi degli eventi con obiettività critica: gli articoli dei giornali80 riportano, incalzanti, i fatti che stanno sconvolgendo mezza Europa. E si arriva al 23 marzo, data in cui Carlo Alberto dichiara guerra all’Austria: anche Carlo Della Chiesa deve partire per il fronte. Resta, nell’archivio di famiglia, una fitta corrispondenza che il conte, nominato in quel frangente colonnello, invia, dalle varie sedi in cui si sposta l’esercito piemontese, alla moglie Luigia ed al fratello Paolo. Quest’ultimo è a Torino, la moglie, con i figli, nella casa di Savigliano, dove la salute del primogenito Carlo Domenico la fa preoccupare; mentre le figlie Carolina ed Henriette, come testimoniano lettere scritte da Torino e da Abbadia alla madre e alla nonna, trascorrono parte del loro tempo in collegio. Di seguito il contributo di Luisa Bagnasco ricostruisce, attraverso le parole scritte da Carlo ed il suo particolare punto d’osservazione, le fasi della Prima Guerra d’Indipendenza, alcune colorate descrizioni delle battaglie, le vittorie, le sconfitte, l’umore dei soldati, dei vertici, le indecisioni del Re, le difficoltà quotidiane, anche le piccole gioie, come, ad esempio, il gusto provato nel bere del fresco latte d’asina. In aprile la notizia dolorosa della morte del figlio primogenito Carlo Domenico81, raggiunge Carlo a San Giorgio di Salice; nel suo taccuinetto annota ‘dopo lungo incomodo egli si trovava a Torino da un mese, essendovi andato per consultar medici…’82 e scrive alla moglie queste parole ‘…non ho la forza a prender la penna in mano per versar parte della mia tristezza nel tuo cuore che avrebbe bisogno anzi di conforto...’83. Carlo Domenico viene sepolto nella chiesa parrocchiale di Cervignasco. La guerra continua sino al 25 luglio quando Radetzky sconfigge l’esercito di Carlo Alberto a Custoza; questi ripiega su Milano, la evacua fra le proteste di una popolazione minacciosa e quasi ostile, ed il 9 agosto il generale Salasco firma l’armistizio con 78 C. Turletti, Storia di Savigliano, 1883, vol. II, pag. 181. 79 Cfr. di seguito la parte di Luisa Bagnasco. 80 Biblioteca privata, Gazzetta Piemontese, 1848, annata completa, collocazione B/2, libroni verdi rilegati. 81 Carlo Domenico, Paggio d’onore di Carlo Alberto, sottotenente del Nizza Cavalleria nel ‘44, muore ‘dopo lunga malattia di languore’ a Torino nell’albergo Londra, cfr. Archivio privato, taccuino rilegato manoscritto riferibile a più mani ed epoche, contenete varie notizie/appunti familiari. 82 Archivio privato, Taccuinetto del conte Carlo, cit. 83 Archivio privato, lettere di Carlo alla moglie, 1848, fronte della Prima Guerra d’Indipendenza.

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l’impegno a ritirare le forze piemontesi oltre il Ticino. Dopo la sconfitta, in Parlamento, a Torino, l’opposizione di sinistra si rafforza e la casta militare è pubblicamente attaccata, si respira un netto rifiuto verso la guerra e verso ‘i signori’ che l’hanno voluta. Il Governo si dimette e il Re incarica dapprima D’Azeglio, poi Gioberti di riformarlo, con esiti deludenti che non risolvono la crisi. Carlo Alberto decide quindi di riprendere la guerra, Radetzky contrattacca velocemente e sbaraglia i Piemontesi a Novara il 23 marzo del ’49: quella stessa sera il Re abdica. Suo figlio Vittorio Emanuele II gli succede. Anche Carlo Della Chiesa, nel ’49, compie la sua scelta e si ritira dal servizio militare, con diritto alla pensione. Di qui in poi casa Ruffino a Savigliano, con immaginabile gioia della moglie Luigia, diviene la residenza in cui definitivamente stabilirsi. L’approdo definitivo a Savigliano. Riferibile agli anni intorno al 1855 un olio su tela (che reca la scritta Ettà d’anni 21. Fatto nel Vercelli)84, autografo di Luigia, tuttora conservato in Casa Della Chiesa, ritrae parte della famiglia, un gruppo dove in primo piano compaiono la contessa ed il marito, alle loro spalle la figlia Eulalia ed il figlio Eugenio, divenuto, dopo la morte del fratello maggiore, l’unico erede maschio destinatario dei titoli e dei beni. Destano inoltre interesse documentario alcuni ritratti fotografici (stampe all’albumina montate su cartoncino), raccolti in albums e in scatole85, conservati in collezioni private, che restituiscono la fisionomia di Luigia, del marito, dei figli, di altri parenti e amici, utili anche per cogliere climi e atmosfere di quegli anni centrali dell’Ottocento in cui la nuova tecnica fotografica si va perfezionando, coinvolgendo un sempre più vasto pubblico.86 Precedente alla raccolta fotografica stampata su carta, un dagherrotipo, ritrae Luigia, il marito ed una figlia, probabilmente Eulalia: riferibile ai primi anni ’40, indica l’adesione, la curiosità ed il precoce interesse verso il nuovo mezzo fotografico, considerato rivoluzionario per quei tempi87. Molti gli interessi condivisi da Carlo e Luigia nella casa di Savigliano, di cui rimangono testimonianze materiali e documenti: ad esempio, tra le carte d’archivio88, risulta curiosa una lettera che i coniugi Della Chiesa inoltrano al Santo Padre Pio IX in cui richiedono la facoltà di leggere e di ritenere presso di sé libri proibiti: il permesso è accordato il 25 aprile 1855. E, pieno di stima ed affetto uno scritto di pugno di Luigia, siamo nel 1852, che ricorda l’amico e maestro Giuseppe Gardet89, morto in quell’anno:“Addi 11 corrente marzo moriva in Savigliano il Sig. Giuseppe Gardet nel età di anni…Quest’uomo se di modesti costumi e poco conosciuto racchiudeva in sé più di scienza e sapere di ciò che si possa supporre in una vita passata e fuori ignota e quasi oscura. Nato in Ivrea da onesti genitori, si diede per tempo alla carriera delle armi, che percorse onoratamente, e profittando dei momenti di riposo si diede il Gardet a coltivare con frutto il suo straordinario ingegno, che ben si può dire non sapere in cosa più si perfezionasse, poiché sia in meccanica che in pittura, scultura intaglio, insomma in qualunche genere di lavoro lasciò dei capi d’opera di cui sarebbe difficile il farne l’enumerazione; i due ultimi Sovrani nostri Carlo Felice e Carlo Alberto degnarono aggradire l’uno un vascello e l’altro un tavolino due egregii lavori di ben diverso genere. Stà il Gardet buon Cittadino e buon Padre, Caritatevole di cuore, poiché procurò di far allievi nella città in cui abitò per tanti anni, e chi ebbe a convivere con lui, ebbe luogo ad apprendere la delicatezza dei sentimenti e l’elevatezza del cuore: egli lascia un’infinità di cose sue, che faranno conoscere la rara sua abilità quasi sconosciuta.” In seguito alla morte del padre, Marianna Gardet, nubile, amica e compagna di studi di Luigia, è accolta in casa Ruffino, in cui vivrà sino al 1877.90 84 Il dipinto, è autografo di Luigia (anche se non firmato): quel ‘Ettà d’anni 21. Fatto nel Vercelli’, ad olio, parte inferiore dell’olio su tela, riprende chiaramente la calligrafia della contessa Luigia. Quel ‘d’anni 21’ si riferisce alla figlia Eulalia, nata nel ’36: pertanto il dipinto è riferibile al 1857. 85 Biblioteca e Archivio privato. 86 I ritratti fotografici di Luigia e del marito Carlo sono di ‘Aug. Meylan, Place Chateau n° 26, Turin, databili ca. al 1860. 87 Il dagherrotipo è conservato in collezione privata. 88 Archivio privato. 89 Archivio storico del comune di Savigliano, atto di morte anno 1852, numero 28. Sulla data di nascita vi sono notizie discordanti in quanto alcuni riportano Ivrea quale luogo in cui nacque, altri Susa. Sul medesimo atto di morte vi sono infatti scritte, l’una sopra l’altra, entrambe le località, rendendo poco agevole la comprensione del luogo di nascita del Gardet, 90 Archivio privato, varie: Marianna, figlia di Giuseppe Gardet era nata nel 1800; l’altra figlia, Luigia, sposa un Bongiovanni, mentre i due figli maschi diventano maggiori d’artiglieria.

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L’antico palazzo Ruffino in Savigliano è ormai il centro, il riferimento dei coniugi Della Chiesa che di qui si occupano dell’amministrazione delle proprietà, tengono rapporti di corrispondenza91 con le tante persone conosciute nei vari luoghi ove hanno abitato, qui ricevono, dedicano tempo alla lettura92, alla buona conversazione, si occupano di beneficenza, del Teatro, dell’Orfanotrofio dove, grazie alla passione per la musica di Carlo (che è anche membro della giunta municipale), è pagato un maestro per istruire un coro di fanciulle. Il palazzo è composto di alcuni alloggi, a piano terra, al piano nobile e al secondo piano, che in parte accolgono l’abitazione dei conti, mentre altri sono affittati ad ufficiali di Cavalleria, un capitano93, un colonnello ed un generale, di stanza nella caserma di Cavalleria della città. La dimora dei conti occupa, a piano terra, alcuni ambienti, una camera d’entrata, la sala da pranzo, una camera del domestico, una camera successiva alla predetta ed attigua alla cucina, la cucina, una camera detta bottigliera attigua alla sala da pranzo, che sono descritti in un dettagliato inventario. Nella sala da pranzo, ad esempio, troviamo il tavolo ovale a sei gambi muniti di ruote metalliche, allungabile, le nove sedie antiche col sedile coperto di tela americana ed i sei quadri ad olio, con cornice dorata, rappresentanti fiori e frutta, una chiara descrizione che restituisce il clima domestico e signorile della dimora, la quotidianità del rito di ritrovarsi a tavola. Al primo piano (seguiamo sempre l’inventario94) continua la descrizione degli arredi con la camera a levante della scala, cui segue la camera da letto della contessa, un camerino antistante la biblioteca, la camera destinata a libreria, una camera della cameriera attigua a quella della signora contessa, la camera della stiratrice, la camera del sig. conte, una camera da letto posta a notte e ponente, la camera da letto detta nuziale, un’altra camera da letto, e la sala di compagnia prospiciente dal lato di giorno presso il giardino. La sala di compagnia è il centro della dimora, il salotto buono fittamente arredato, in cui troneggia un sofà di legno noce scolpito coperto di tela a fiorami, che con sedie coperte di lana damascata, seggioloni, tavolini, piccoli mobili, una console di scoltura dorata con pietra di marmo verde antico e soprastante specchio a cornice scolturata e dorata, vari oggetti tra cui il vassoio per biglietti, un calamaio in bronzo, due pressepapier raffiguranti due cani, la campana di vetro coprente una fontana di vetro filato in parte e di luce a specchio con piedestallo sferico di legno95, definisce la sistemazione, un po’ sovraccarica e pienamente in linea col gusto di un’epoca, dell’ambiente; in cui, tra i tanti quadri di vario genere (soprattutto ritratti) appesi a parete, sono riconoscibili alcune opere eseguite dalla mano di Luigia ‘vedute, paesaggi, scali marittimi e figure, quasi tutti lavori e disegni a mano ad acquerello…’96 Molti arredi e oggetti provenienti dalla dimora di Savigliano sono tuttora presenti in collezioni private: mobili, ceramiche, vetri, cristalli, bronzi che restituiscono echi dell’atmosfera domestica che circondava Luigia e la sua famiglia, testimonianza di un clima e di un gusto circoscritto a quel determinato contesto. Da Savigliano, soprattutto nella bella stagione, la famiglia si sposta a San Pietro del Gallo nei pressi di Cuneo, nella tenuta Bonaria97, che, per eredità Delfino di Trivero, è pervenuta a Carlo: alcune decorazioni tuttora presenti sui soffitti di ambienti del piano terra e del primo piano, sono riconducibili, per gusto e stilemi, agli anni centrali dell’800, che coincidono con i soggiorni periodici di Carlo e Luigia. Nel 1850 la figlia Felicita sposa il nobile Marcello Curlo98 e sempre in quell’anno muore in Savigliano dopo lungo incomodo la figlia Enrichetta Paola. Un altro matrimonio, quello di Carolina Paola con il barone Federico Novellis di Coarazze99, si celebra nel 1852. E, nel ’56, anno della morte della madre di Luigia, si sposa Eulalia col cugino Costanzo Falletti di Rodello100. Il figlio Eugenio cresce e frequenta la scuola allievi ufficiali a Torino, città dalla quale invia lettere ai familiari.101 Nel 1862, 91 Archivio privato: lettere a Carlo di amici, tra cui alcune di Francesco Crotti di Costigliole, Angelo Solaro di Monasterolo, sacerdote luigi Pignone, c.te Cesare Sala di San Marcello, cte Cesare Cravetta di Villanovetta, cte Augusto Gromis, ecc. 92 In Biblioteca privata sono tuttora conservati i libri appartenuti a Luigia e al marito; tra questi destano interesse vari album delle Esposizioni della Società Promotrice delle Belle Arti, Torino, (alcuni stampati presso Vincenzo Bona) e relativi ad anni compresi tra il 1855 e il 1870. 93 Nel 1885 l’alloggio è affittato al capitano Rodolfo Puggi. 94 L’inventario emerge dal testamento di Luigia, Rogato Gandi, 1885, Archivio privato. 95 La ‘fontana di vetro’ è un bizzarro oggetto composto con vetri di Murano e frammenti di specchi assemblati, tuttora conservato in collezione privata: potrebbe essere un lavoro eseguito dal Gardet, eclettico costruttore di oggetti, inventore, e raffinato esecutore, forse il suo regalo di nozze fatto a Luigia e Carlo nel 1824. 96 Archivio privato. Tutti gli arredi riferiti nel testo emergono dall’inventario steso dal notaio Gandi, nel 1885, alla morte della contessa. 97 Cfr. precedenti note 52 e 54. 98 Di Marcello Curlo e della moglie Felicita, in collezione privata si conservano due ritratti fotografici (in album) eseguiti a Torino: da E. di Chanaz (via S. Francesco da Paola 18) il ritratto di Curlo, di Le Lieure (jardin public) il ritratto di Felicita. 99 Di Federico Novellis, in album (Archivio privato) ritratto fotografico Alinari, Firenze. 100 Archivio privato: ritratti fotografici di Eulalia (Le Lieure) e Costanzo Falletti (Meylan) in album fotografico. 101 Archivio privato, varia documentazione.

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ventunenne, compie un viaggio a Londra102, di cui rimane traccia tramite i biglietti ferroviari e marittimi, le ricevute di alberghi e ristoranti, ecc.: la meta principale del viaggio è l’Esposizione Internazionale che si tiene in quell’anno nella città, un evento che incuriosisce Eugenio soprattutto per le novità in campo tecnico e meccanico, per gli aggiornamenti relativi alla medicina e all’agricoltura, di cui conserva deplians, libretti e materiali pubblicitari.103 A Londra frequenta anche i teatri, in particolare il 14 luglio assiste ad uno spettacolo della Royal Italian Opera al Covent Garden dove si rappresenta Il Trovatore. Paolo della Chiesa, che si era laureato in legge nel 1820, aveva lavorato come procuratore generale e avvocato fiscale in Torino, celibe, era da sempre assai legato alla famiglia del fratello maggiore. Ritiratosi dal servizio sin dal 1841, delicato di salute, già nel 1857 redige un testamento in cui lascia erede universale dei suoi beni il nipote Eugenio. Muore, circondato dall’affetto del fratello e di Luigia, in palazzo Ruffino a Savigliano il 16 febbraio 1862.104 Di lì a poco, nel 1864, il 27 gennaio, anche Carlo muore, sofferente da tempo di una non precisata malattia. Così viene ricordato sul Corriere del Po: “Savigliano. Il 6 febbraio corrente nella chiesa delle orfane i Membri della Giunta Municipale e gli amministratori dell’Orfanotrofio assistevano a messa cantata a pro del benemerito sig. Conte Carlo della Chiesa di Cervignasco Colonnello di Cavalleria in ritiro, dolenti della perdita avvenuta il 27 gennaio ultimo, di personaggio così caro. Gentile nel conversare, franco nell’espressione dei suoi sentimenti diretti al pubblico bene e fornito di utili cognizioni rendeva interessante e desiderabile la sua presenza alle adunanze, sia come Assessore della Giunta Municipale, che Amministratore di Pii Istituti. Ufficiale nell’esercito era anch’esso alle battaglie 1848, 1849 e non lo trattenevano né le agiatezze della sua condizione, né il delicato temperamento. E in grembo poi alla sua famiglia, dopo il servizio militare attivo, era padre e consorte il più affezionato. Ciò tutto come non fosse sufficiente a farlo pregevole, egli amava pur anco le arti, in cui si mostrava intelligente, e in particolare modo nella musica. E qui sia bene il dirlo, le orfane di Savigliano gli resero un tributo, quantunque tristo pure dovuto. Esse, che riconoscevano da lui l’istruzione del canto, il quale a proprie spese le provvedeva di maestro nella persona del sig. Ferrero organista della Collegiata, impiegarono la loro musicale abilità cantando preci nella messa celebrata a di lui suffragio. E questa liberalità verso l’Istituto delle orfane coronò poi ancora prima del suo decesso con altra particolare disposizione. Valgano le buone opere, che intere famiglie sempre ricorderanno, e la virtuosa vita a consolare i congiunti nel loro lutto, scopo cui anche volgono questi brevi cenni. C.”105 Luigia può beneficiare della pensione del marito che corrisponde a lire 6.000 annue.106 Successiva alla vedovanza, resta una copiosa corrispondenza (che continuerà sino agli anni ’80) tra Luigia e le figlie accasate, fitta di informazioni che riguardano i parenti, i nuovi nati, i lutti, le curiosità, le ultime notizie, che da Torino, da Pinerolo, da Alessandria, da Albenga, ecc. raggiunge Savigliano107. Proprio nel 1864, anno di morte di Carlo, il cugino Luigi Reviglio108 fa dono a Luigia di un olio su tavoletta autografo, in cornice dorata, raffigurante un laghetto alpino, recante sul verso una dedica in cui è ricordata la fraterna amicizia che sempre lo ha legato alla coppia.109. Nell’ultima parte di vita la contessa Luigia esprime con sempre maggiore fervore la sua devozione religiosa. Dalle lettere ai familiari, elemosine ai bisognosi e presenza costante presso pii Istituti saviglianesi, si coglie quanto i suoi interessi siano tangibilmente orientati su questo fronte.110 Nel 1866 il figlio Eugenio Francesco Maria, venticinquenne, sposa Lidia Gazzelli dei conti di Rossana111, una giovane donna che conquista subito il cuore della ormai anziana contessa madre, e che con lei condivide la passione per il disegno e la pittura.112 102 Ibidem, viaggio a Londra di Eugenio, 1862. 103 Ibidem, viaggio a Londra di Eugenio, 1862. 104 Ibidem, varia documentazione. 105 Biblioteca privata, Corriere del Po anno VI, 10 febb 1864, n. 12 pag. 2. 106 Archivio privato. 107 Archivio privato, varia documentazione. 108 Luigi Reviglio della Venaria nato nel 1798, morto nel 1881, visse soprattutto a Bra. 109 La dedica recita: MDCCCLXIV Alla contessa Luigia Ruffino di Gattiera Al conte Carlo Della Chiesa suo dilettissimo consorte il loro cugino quasi fratello Luigi della Venaria questo lavoretto suo tenie tributo d’affetto cordialissimo. O.D.C. il dipinto è conservato in collezione privata. Per Luigi Reviglio: Cultura figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna 1773-1861, a cura di E. Castelnuovo e M. Rosci, catalogo della mostra. To 1980, vol. II, pagg. 542-545. 110 Archivio privato: lettere ai familiari, documenti sparsi; Biblioteca privata, volumi di argomento religiosi pubblicati dopo il 1850. 111 Archivio privato, varia documentazione tra cui il sonetto nuziale. Lidia, figlia del conte Callisto, era nata a Torino il 20 marzo 1847. 112 Di Eugenio e della moglie Lidia Gazzelli, in Archivio privato, sono conservati due ritratti fotografici eseguiti a Torino presso lo studio Le Lieure (photographie

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Un breve profilo della giovane donna emerge dal sonetto nuziale, da cui emerge anche un riferimento a Luigia: ‘…E’ qui colei che sin dal primo istante Su te, Eugenio, vegliò Madre amorosa, E da saggia, con opre e mire sante, Stende ai miseri pur man generosa; Qui son color cui sorridevi infante, E ch’or teco s’allietano che Sposa Tolt’hai sì vaga e d’alta Stirpe nata La mente e il cor di belle note ornata…’113 Gli sposi compiono in quell’anno un lungo viaggio che li porta da un capo all’altro d’Italia: sono a Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli conservando le ricevute e le fatture di alberghi, ristoranti e negozi, informando casa dei luoghi visitati, dei monumenti ammirati, delle persone incontrate114. Gli sposi si stabiliscono a Torino ma trascorrono parte del tempo a Savigliano, ed anche Luigia frequenta con maggiore assiduità, rispetto al passato, la città. Dal matrimonio nascono Carlo, Paolo ed Alberto115 e sono questi nuovi affetti, accanto alla mai perduta passione per l’opera ed il teatro, ad attrarre l’ormai anziana Luigia a Torino116. Tutti i nipoti, i figli di Carlo e Lidia, come quelli nati dai vari matrimoni delle figlie, intrattengono frequenti rapporti epistolari con la nonna, che spesso chiamano familiarmente Granda, raccontando i loro progressi scolastici, rinnovando l’affetto che nutrono per la veneranda Grand-Mère, che sperano di presto abbracciare a Savigliano, a Bonaria, a Torino. In una lettera scritta al prediletto nipote Carlo nel 1881 Luigia descrive, con apprensione117, alcuni lavori in corso nella caserma di Cavalleria, confinante con la casa di Savigliano: ‘… la manica nuova del Quartiere che è nella corte vicina al nostro giardino, è tutta terminata esternamente, e quando non vi sarà più il gelo, faranno le volte i pavimenti…’118 Altre lettere, sempre piene d’affetto, e sempre indirizzate al prediletto nipote Carlo119 sono ricche di notizie familiari, di raccomandazioni, consigli e considerazioni come questa in cui ‘… i tuoi Superiori ti permisero di andare con essi a veder il Lago Maggiore, luogo amenissimo, che ho anch’io parisienne, Le Lieure, jardin public, Turin). Eugenio, nel 1867, è socio della Società Promotrice delle Belle Arti, Torino, Elenco dei Soci, stampato del gennaio 1867. 113 Dal Carme nuziale scritto per Eugenio della Chiesa di Cervignasco e Trivero e Lidia Gazzelli di Rossana dal Cav. Balestreri, stampato in Savigliano, Tipografia Racca, 1866. Ne esistono copie in Archivi e Biblioteche private. 114 Archivio privato: varia documentazione relativa al viaggio di nozze di Eugenio e Lidia. 115 Archivio privato. Carlo Callisto Luigi nasce a Torino nel 1867, dottore in legge, sposa nel 1892 Clotilde Claretta, figlia del barone Gaudenzio; a lui passerà il titolo comitale; muore nel 1943. Paolo Marcello Fortunato nasce a Savigliano nel 1869, capitano di Cavalleria, sposa Anna Petrino nel 1899 e muore nel 1931. Alberto Massimiliano nasce a Savigliano nel 1872, tenente di Cavalleria, sposa nel 1904 Maria Bosco di Ruffino. Notizie tratte dall’albero genealogico della famiglia della Chiesa di Cervignasco e Trivero, desunto dalle genealogie conservate in Archivi privati e confrontate sulla base di notizie ricavate da A. Manno, Il Patriziato Subalpino, vol. II (inedito presso la Biblioteca Reale di Torino), pagg. 86-91 e V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana ecc. vol II, Milano 1929, pag. 446. Archivi e Biblioteche private conservano numerose fotografie che ritraggono, in età differenti, i tre ragazzi: in particolare i tre bambini della Chiesa sono ritratti insieme nello studio Schemboche, piazza Castello 25, Torino (1875 ca.). 116 Quando è a Torino Luigia abita in via della Rocca 21, dove affitta alcune camere dalla baronessa Visconti. 117 L’apprensione deriva dagli eventuali danni che i lavori possono arrecare alla proprietà Ruffino: Archivio privato, corrispondenza di Luigia col nipote Carlo. 118 Archivio privato, cit., lettere di Luigia al nipote Carlo, lettera da Torino, 2 febbraio 1881. 119 Nella lettera al nipote Carlo spedita da Savigliano a Monaco (Montecarlo) dove il nipote è in collegio dai Gesuiti (college de la Visitation), datata 16 ottobre 1869, Luigia chiede ‘…desidererei anche di sapere se il Castello o Borgata di Gattiera, si trovi vicino a Monaco poiché questo titolo mi viene da una mia Bisavola che era ereditiera, che ha portato questo titolo nella mia famiglia…’; il 26 ottobre 1869 una successiva lettera precisa: ‘…non so capire come nessuno in quelle vicinanze non sappiano dirmi niente del luogo di Gattiera, che era scritto Gattiers. Mio padre vi fu una volta, e mi disse che era al di là del Var verso la Francia, credo che vi fosse un Castello. Vi sarà forse qualche vecchio di Nizza che se ne ricorderà ancora almeno di averne sentito parlare, poiché quelli che possedevano quel feudo avevano anche delle case a Nizza che mio Padre ha vendute…’ Archivio privato.

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Un nuovo, doloroso lutto, colpisce Luigia e l’intera famiglia nel 1878: muore, in seguito a malattia, il figlio Eugenio, che lascia vedova la giovane Lidia e orfani i tre figlioletti123. Per ricordare il defunto vengono ordinati alcuni lavori di decorazione nella cappella dell’Assunzione di Maria in San Pietro, una abitudine legata a casa Ruffino e che si rinnova in simili, tristi, circostanze. Di lì a pochi anni, il 21 febbraio 1885, all’età di ottantadue anni, muore Luigia, la quale, nel testamento redatto sin dal 1881 precisa che: ’…desidero di essere sepolta decentemente, ma prego i miei eredi di farlo senza pompa avendo io sempre disapprovato le soverchie spese che si sogliono fare in questi tempi. Se fosse possibile desidererei di essere sepolta a Cervignasco dove riposano le ceneri di mio marito’124, stringate, chiare parole, espresse con grande dignità.125 Il notaio Luigi Gandi stende un dettagliato inventario di tutto ciò che la casa contiene assistito da alcuni testimoni e dalla contessa Lidia Gazzelli, moglie vedova del figlio di Luigia: ‘Eredi universali di ogni sostanza i tre figli del defunto Conte Eugenio, Conte Paolo e Cavalieri Paolo ed Alberto, minori d’età, amministrati dalla loro madre e tutrice legale Contessa Lidia’.126 Dal dettagliato documento emerge una descrizione del palazzo di Luigia Ruffino, stanza per stanza, in cui quadri, mobili, oggetti, specchi dorati, l’argenteria conservata in cassaforte, i gioielli, i libri preziosi, la spada di corte con impugnatura in madreperla del defunto conte, la toelette da donna di legno noce con coperchio mobile nella camera della contessa, una vettura a quattro ruote coperta detta Brougnon, in buono stato tanto d’imbottitura che di vernice del valore di lire 300 (parcheggiata nella rimessa), ma anche trapunte in cattivo stato tarlate, raccontano nobiltà e miserie di una dimora aristocratica dell’800. Nella giovane moglie del figlio Eugenio, Lidia Gazzelli di Rossana (di cui rimane un interessante album di schizzi e disegni127) la contessa Luigia trova una interlocutrice attenta, una donna che come lei è sensibile alle problematiche sociali, impegnata nelle opere di beneficenza verso i bisognosi128, ma anche una sorta di ‘collega pittrice’, venuta a confortare e rasserenare gli ultimi anni della sua lunga vita, segnati dai tanti lutti che hanno ostinatamente colpito la famiglia. Nei disegni della nuora (pieni di tepori romantici), in quella giovane donna madre dei suoi tre nipoti, la vecchia nobildonna può forse riconoscere (e affidare) quel sottile filo che riesce a legare le generazioni, i fatti familiari, le inclinazioni, gli eventi. E così la memoria, il ricordo possono sopravviverle. Alessandro Abrate 120 Archivio privato, lettera della contessa Luigia al nipote Carlo da Savigliano 28 sett. 1880. 121 Archivio privato, lettera della contessa Luigia al nipote Carlo. 122 Torino e l’Esposizione Italiana del 1884, Cronaca illustrata dell’esposizione nazionale industriale ed artistica del 1884, Torino-Milano fratelli Treves editori. 123 Archivio privato, varia documentazione. 124 Archivio privato, Testamento della Contessa Luigia Della Chiesa di Cervignasco nata Ruffino di Gattiera. Nel testamento sono annotati i lasciti in denaro, tra cui lire 1000 all’Orfanotrofio femminile, i gioielli destinati alle figlie, alle nipoti, ecc. 125 “Il Saviglianese”, anno XII, del 27 febbraio 1885, consultabile sul sito www.periodicicuneesi.it. Il necrologio così recita: “le dimostrazioni date alla cara defunta hanno recato una vera consolazione ai desolati superstiti della famiglia, che di tutto cuore attestano la loro riconoscenza”. 126 Nel testamento la contessa dispone inoltre, quale legittima, la somma di lire 30.000 per ciascuna delle tre figlie: Felicita, Carolina, Eulalia. Lascia alle tre nipoti, Maria Novelli, Eulalia ed Emilia la somma di lire 6.000, mentre ‘la biancheria personale ed il vestiario della defunta, giusta le di lei disposizioni testamentarie, date in dono alle persone di servizio, ad eccezione di due scialli di antica fabbricazione del valore di lire 50 l’uno e di lire 25 l’altro; e un mantello di panno con sottana di seta del valore di lire 50’. Archivio privato. 127 Archivio privato. 128 Molto ebbero in comune le due nobildonne. Entrambe nobili, di sangue e d’animo, provviste di spirito caritatevole, mai mancarono di compiere gesti di beneficenza verso i meno fortunati. Basta scorrere le pagine de “Il Saviglianese” (consultabile sul sito www.periodicicuneesi.it) per scoprire che innumerevoli furono le oblazioni in favore dei bisognosi che le due donne concessero. Come quando nel 1882 aiutarono, per mezzo di una elargizione in danaro, gli inondati delle province Lombardo Venete (“Il Saviglianese”, anno IX, del 10 giugno 1882, pag. 2, consultabile sul sito www.periodicicuneesi.it).

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Luigia Ruffino di Gattiera. Le opere La passione per il disegno e la pittura di Luigia. Il Precettore Giuseppe Vittorio Gardet. ‘… Taccio il gentile favellar, che vario Di suon di venustade esce ricolmo; Taccio l’industre maneggiar dell’ago, E le palme Arachnèe, e gli altri pregi, Che comuni a Lei rese il genio e Palla; Solo rammento con dolcezza vera D’alma geniale gli Appellei sudori Sparsi sull’ara del valore acheo, Quanto m’è dolce il memorar quell’ore, Che nel sagro a’ tuoi studj almo ritiro In te mia mente figurar godea Angelica pingendo amori, e ninfe Sull’auree carte con felice ingegno…’129

Carlo Magno Pascale d‘Illonza (1761-1824), Le repas du pasteur, disegno a china su carta, 1795

ammirato, or son tanti anni: sono cose come queste che non invecchiano mai, le bellezze della natura sono perenni, ma col tempo vi si aggiungono ville…’120; o un’altra in cui si apprende di un viaggio, fatto da Luigia probabilmente col marito in data non precisata, ricordato per i tanti monumenti visitati, una sorta di citazione didattica centrata sull’importanza della conoscenza, dell’apprendimento, del piacere, dell’emozione che si può provare davanti alla bellezza.121 Desta interesse, tra i volumi appartenuti a Luigia e tuttora raccolti in collezioni private, la presenza della ‘Cronaca illustrata’ relativa all’Esposizione italiana del 1884 che si svolge a Torino, a confermare l’aggiornamento, la curiosità dell’anziana contessa circa gli eventi culturali e artistici del tempo.122

Carlo Novellis nella Biografia di illustri saviglianesi130, Casimiro Turletti nella Storia di Savigliano131 e Antonino Olmo nel volume Arte in Savigliano132, con puntuale dovizia descrivono quanto vivace e ricco di stimoli fosse il clima culturale e artistico della città tra la fine del XVIII° secolo e la prima metà dell’Ottocento. In un clima dove ‘i saviglianesi dè nostri giorni sono molto inclinati ed hanno una particolare disposizione non solo alla nobil arte della pittura, ma eziando alla musica, e si contano in entrambi eccellenti soggetti’133, favorita dalla condizione sociale che le permette contatti privilegiati con l’ambiente culturale della città, sollecitata da una famiglia particolarmente sensibile all’arte, e da una inclinazione naturale, Luigia Ruffino compie la sua formazione, seguita, sin dall’adolescenza, da un ‘maestro’ di singolare carattere, Giuseppe Vittorio Gardet (1776-1852)134. Menzionato (anche se non espressamente) da Luigi Reviglio della Venaria nel sonetto nuziale (‘…per le tante cure del Precettor, che ancor bambina/ I rari pregi a coltivare il Padre/ Ti pose a fianco, e a cui pur io ben deggio,/ Se verace nel sen per l’arti belle/ Fiamma sent’io, riconoscenza eterna…’)135, il Gardet, amico del conte Ruffino, è invece chiaramente indicato da Casimiro Turletti136 come colui che segue la formazione artistica della giovane Luigia: ‘A quel tempo il disegno e la pittura erano studiati 129 Sonetto del conte Luigi Reviglio della Venaria, Agli Illustrissimi Sposi il conte Carlo Della Chiesa di Cervignasco, patrizio saluzzese, e Madamigella Luigia Ruffino di Gattiera, da Savigliano, Carmagnola 1824 (Tipografia di Pietro Barbiè). Ne esistono copie in Archivi e Biblioteche private. 130 C. Novellis, Biografia di illustri saviglianesi, presso Giovannini e Fiore, Torino, 1840. 131 C. Turletti, Storia di Savigliano, Tipograf. Bressa, Savigliano, 1879-1888, 4 voll. 132 A. Olmo, Arte in Savigliano, L’Artistica 1987. 133 G. Eandi, Statistica della Provincia di Saluzzo, volume I, Saluzzo 1983, pag. 27. 134 Per Giuseppe Vittorio Gardet: A. Olmo, cit. pag. 132 e pag. 256. A pag. 132 è riportata l’immagine di un medaglione realizzato dal Gardet che raffigura, di profilo, l’abate di Sant’Andrea Teologo collegiato Giovanni Pietro Losana, Vescovo in Partibus e Vicario Apostolico in Aleppo, 1827 ca. A pag. 256, in nota, sono riferite alcune notizie biografiche. A. Olmo a pag. 223 riporta un disegno del Gardet raffigurante Piazza Santa Rosa (Savigliano) nel 1835. Giuseppe Vittorio Gardet fu Pietro nacque probabilmente a Susa (o a Ivrea) nel 1776 e morì a Savigliano nel 1852. Sposò Felicita Migliore da cui ebbe quattro figli, di cui due maschi, Giuseppe Pietro e Carlo (che seguirono la carriera militare) e due femmine, Marianna e Luigia. Egli militò in epoca francese e ottenne il grado di tenente e, poco più che trentenne, abbandonò la carriera militare. Di qui in poi si dedicò in modo costante alle arti ed in questo periodo frequentò il Bonzanigo, abitando Torino e poi stabilmente a Savigliano. Casimiro Turletti scrisse di lui che possedeva grande ingegno sia “d’iniziativa e d’intrapresa” e “tutto intraprendeva e ben eseguiva” (Turletti, cit. Tomo II, pag. 818). Innumerevoli le opere che eseguì, tra cui: la statua di “San Luigi” nella parrocchia di San Giovanni in Fossano, la statua della “Concezione” nella Chiesa di San Pietro in Savigliano, un laborioso vascello realizzato in ebano che il Gardet intendeva presentare al Re Carlo Felice e ancora, il ritratto realizzato in stucco di monsignor Pietro Losana che fu abate di Sant’Andrea in Savigliano. Certo ‘ Giuseppe Gardetto di Savigliano’ (da identificare col nostro) è indicato come autore del disegno della balconata per l’organo realizzata in legno scolpito intorno al 1840 nella chiesa parrocchiale di Carrù, Archivio Storico della chiesa Parrocchiale di Carrù, minuta di spesa relativa alla fabbrica della chiesa. 135 Sonetto del conte Luigi Reviglio della Venaria, Agli Illustrissimi Sposi il conte Carlo Della Chiesa di Cervignasco, patrizio saluzzese, e Madamigella Luigia Ruffino di Gattiera, da Savigliano, Carmagnola 1824 (Tipografia di Pietro Barbiè). Ne esistono copie in Archivi privati. 136 C. Turletti, considerati gli anni in cui vive e scrive, sapendo che vi furono frequentazioni, dello studioso con i Della Chiesa, poté avere informazioni dirette da Luigia Ruffino e dalla sua famiglia.

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da molti, e le meglio educate donzelle la coltivavano con amore a matita, ad acquarella ed in miniatura. Noveransi fra esse la nobile Luigia Ruffino di Diano, poi contessa della Chiesa, la quale dal 1825 e per parecchi anni apprendeva quotidianamente dal Gardet a disegnare e a dipingere a lapis ed a stuppino, sicchè ebbe a lasciare nel suo palazzo molti quadri da essa egregiamente condotti, i quali dimostrano la innata di lei gentilezza ed il rigore dell’arte…’137 La data ‘1825’ indicata dal Turletti, sottolineata a matita in una edizione appartenuta a Luigia (conservata in una Biblioteca privata) con accanto l’annotazione manoscritta (sempre a matita) ‘assai prima’, vuole rimarcare un errore (forse di stampa) e chiaramente indicare che Gardet iniziò a dare lezioni di disegno e pittura a Luigia in anni precedenti il ’25 (probabilmente il ’15)138. Cosa che tra l’altro emerge ed è confermata da quel ‘…per le tante cure del Precettor, che ancor bambina/ I rari pregi a coltivare il Padre/ Ti pose a fianco…’139 riscontrabile nel sonetto nuziale di Reviglio140. ‘…Gardet, dimorante a Savigliano, imparò l’arte del disegno e della scultura dal Bonzanigo -fu abile scultore in legno, ossa e avorio-. Fu un eclettico, dedito con passione alla scultura, alla pittura, alla miniatura e alla litografia, con una fecondissima produzione artistica, coadiuvato anche dalle due figlie, brave disegnatrici.’141 Con Gardet e la sua famiglia i conti Ruffino coltivano rapporti di cordiale amicizia, ribadita in alcune lettere del padre Carlo, della madre Angela, della stessa Luigia, che contengono pensieri d’affetto a loro espressamente indirizzati. Marianna Gardet, figlia di Giuseppe, poco più grande di Luigia e sua amica, segue con la contessina le lezioni del padre (e quando, dopo la morte di questi si ritrova sola e nubile, è accolta come una di famiglia in palazzo Ruffino).142 Giuseppe Gardet è un personaggio singolare, eclettico: non solo disegnatore, scultore, pittore, litografo, miniaturista, ma anche meccanico e inventore, questo quanto emerge da un elogio del 1826 che lo indica artefice di una siringa fumigatoria, con l’uso della quale ‘si ottengono li più felici risultati a prò dell’umanità sofferente, massime nei casi penosi e difficili di ernie incarcerate, coliche, asfixie, annegamenti, come pure, agendo in senso inverso, può assorbire mirabilmente sostanze nocive e velenose introdotte nel ventricolo…’143 A testimonianza dell’eclettica produzione del Gardet resta in collezione privata una miniatura in avorio, realizzata con rara perizia e singolare raffinatezza, che restituisce il profilo di Luigia, ritratta con una elaborata acconciatura; la fisionomia mostra una donna dal florido aspetto e non più giovanissima, Giuseppe Gardet (1776-1852), particolare che conduce a datare il lavoro tra il 1830 e il 1840144. miniatura in avorio raffigurante il profilo di Luigia Ruffino, 1830-1840 137 C. Turletti, cit., tomo II, pag. 867. 138 L’annotazione fu probabilmente apposta dal nipote di Luigia, Carlo della Chiesa di Cervignasco. 139 Sonetto nuziale di Luigi della Venaria, vedere precedente nota 7. 140 Un ritratto fotografico di Luigi Reviglio della Venaria è conservato tra le foto conservate in Archivio privato; la fotografia lo ritrae molto anziano e proviene dallo studio B.G., ‘Fotografia Subalpina’ Torino, via Cernaia n.° 18. 141 A. Olmo, cit., pagg. 132 e 256. 142 Archivio privato, varia corrispondenza (non ordinata). Di Louise Gardet in cartella, due disegni, una Sainte Vierge (matita) del 1837 e un Cristo (volto a matita) da Guido Reni, 1837. 143 Gazzetta piemontese, Torino 17 luglio 1826, pag. 525: ‘Savigliano, 15 luglio, Giuseppe Gardet, Officiale in riposo qui dimorante, già conosciuto per vari distinti lavori meccanici da esso inventati ed eseguiti, diede recentemente una luminosa prova del suo particolare ingegno, colla formazione d’una siringa fumigatoria, che da due anni addietro aveva immaginato, mercè cui, con nuovo e facile metodo, si ottengono li più felici risultati a prò dell’umanità sofferente, massime nei casi penosi e difficili di ernie incarcerate, coliche, asfixie, annegamenti, come pure, agendo in senso inverso, può assorbire mirabilmente sostanze nocive e velenose introdotte nel ventricolo. Di questa utilissima macchina ne fece generoso dono allo Spedale degli Infermi, il quale gliene rende un doveroso pubblico attestato di sua viva riconoscenza. A.C.’ Ne esistono copie in Biblioteche private. 144 Il piccolo oggetto, racchiuso in cornice dorata e applicato su di un fondo scuro, è firmato nel bordo inferiore Jh. Gardet; inoltre sulla carta verde del verso è chiaramente indicato Contessa Luigia Della Chiesa Ruffino di Gattiera; è conservato in collezione privata. Il laboratorio di restauro Cesare Pagliero (Savigliano) ne ha eseguito una perizia finalizzata al restauro, da cui: “Cornice modanata e dorata a foglia, con applicazioni a pastiglia ai quattro angoli e pannello interno rifinito in graniglia dorata, con funzione di passe-partout di un cammeo in avorio raffigurante un profilo femminile, protetto da un vetro convesso e montatura metallica”.

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La menzionata esperienza maturata a Torino nella bottega del Bonzanigo avvicina Gardet al gusto di Corte, soprattutto nel sviluppare una sensibilità artistica singolare, in cui il dettaglio, la preziosità, l’eleganza si possono distinguere come elementi di assoluto rilievo145: il piccolo cammeo sopra menzionato lo testimonia. Gardet è indicato inoltre da Olmo, in un rapido passaggio di frase (da considerare con attenzione, ma da valutare nell’ambito di eventuali approfondimenti) come ‘discepolo dell’Ayres’.146 Questi riferimenti, da soli, definiscono una personalità di deciso carattere e delineano la figura di un precettore sicuramente capace di stimolare, orientare e trasmettere ottimi e mirati insegnamenti ad una giovane allieva.147 La formazione, le fonti d’ispirazione di Luigia. A conferma della precocità artistica della contessina, una lettera dell’amica Henriette de Malines, del 1817 (Luigia ha 14 anni), contiene chiare espressioni di ammirazione: ‘…je te fais mon compliment sur ton de crayon pour le dessin et sur ton caractere pour l’écriture. Ces deux obyets seront pour moi des modeles interessants et le plaisir que j’eprouverai en les copiand me rapelleront de celle qui me les a donnez…’148, parole utili per meglio focalizzare la propensione ed il talento artistico di Luigia. Era uso, all’interno del milieu aristocratico, che il gentil sesso si dedicasse alla musica, alla pittura, al disegno, al ricamo, alla letteratura: per quanto riguarda la pittura e il disegno, i cataloghi delle esposizioni (che, soprattutto a Torino, avvenivano con una certa frequenza), alcune edizioni ed altre fonti documentarie ci informano che dai primi decenni dell’800 era piuttosto diffusa l’attività di ‘pittrici’ nel Regno Sardo, addirittura più intensa se rapportata ad altri Stati, ad esempio il vicino LombardoVeneto149. ‘A parte la presenza della professionista affermata Sofia Giordano Le Clerc a tutte le esposizioni tra il 1805 e il 1820, si registra con una certa frequenza la partecipazione alle mostre e più genericamente alla vita artistica, di donne, per la maggior parte ‘figlie d’arte’. E’ il caso delle tre figlie di Giacomo Pregliasco: Teresa, Angela e Clementina; di Felicita Chiantore, nata nel 1797 dal pittore regio Stefano e definita dal padre, nel lamentarne la prematura scomparsa, ‘famosa pittrice’; e ancora di Ottavia Masino di Mombello… A questo gruppo di figure semiprofessionali si affianca un notevole numero di dilettanti, spesso aristocratiche, che un catalogo del 1832 così presenta: “lusinghiero si è parimenti il rimarcare, che il gentil sesso e varii Dilettanti, distinti per merito e per la chiarezza dei loro natali, gareggiarono con gli Artisti Professori in questo onorevole arringo”.150 Si tratta di aristocratiche artiste attive negli stessi anni in cui si forma Luigia, che si distinguono per una particolare inclinazione alla produzione pittorica: è il caso di Adele di Sellon Benso di Cavour, della Marchesa Laforest de Mourinais, di Elena Balbiano di Colcavagno sposata Faussone di Clavesana, persino delle principesse Maria Anna, Maria Teresa e Maria Cristina di Savoia. Una produzione ‘aristocratica’ di tutto rispetto, accanto alla quale si allinea quella sino ad oggi inedita di Luigia Ruffino, 145 Si veda a proposito il medaglione del teologo Giovanni Pietro Losana, riferimento nella precedente nota 8, a cui si rimanda. 146 A. Olmo, Arte in Savigliano, L’Artistica 1987, pag. 218. 147 Tra gli arredi conservati tuttora in collezioni private e provenienti da casa Ruffino, potrebbero trovarsi oggetti, mobili, curiosità usciti dall’atelier del Gardet. Ad esempio è conservata una piccola collezione di medaglioni (in legno scolpito) raffiguranti profili di personaggi e scenette mitologiche (due ‘medaglie’ tonde in legno minuziosamente scolpito l’una raffig. Iosephus I. D., G. Hungaria Rex, l’altra raff. Elios ornat Aristas) che potrebbero rientrare nella produzione del Gardet (un gusto accostabile a lavori eseguiti da Bonzanigo e da A. Lavy); piccoli oggetti che hanno stretta analogia con un medaglione autografo del Gardet pubblicato in A. Olmo, Arte in Savigliano, cit., pag. 183, raffigurante Giovanni Pietro Losana. Inoltre alcune microsculture, cornici, ecc. ed anche l’inginocchiatoio in legno con dipinte scene bucoliche, inventariato nel 1885 nella camera da letto di Luigia potrebbero accostarsi alla produzione del Gardet. 148 Archivio privato, Lettera di Henriette Berthoud de Malines a Luigia, Le 5 7mbre 1817 149 Cfr. ”Arte di Corte a Torino da Carlo Emanuele III a Carlo Felice”, a cura di Sandra Pinto, ed. Cassa di Risparmio di Torino, 1987; F. Dalmasso, “La pittura in Piemonte nella prima metà dell’Ottocento” in “La pittura in Italia: l’Ottocento” a cura di M. Castelnuovo, Electa, 1990, Vol I, pag. 45 e seguenti. Durante il periodo di dominazione francese tre furono le principali esposizioni di arte organizzate a Torino, tutte si svolsero per celebrare Napoleone; l’una nel 1805 organizzata al passaggio del Bonaparte che si recava a Milano per essere incoronato Re d’Italia, le altre inaugurate il 15 agosto del 1811 e 1812 si svolsero, invece, per festeggiare l’anniversario della nascita e l’onomastico di Napoleone. Parallelamente si svilupparono nello stesso periodo occasioni espositive minori, che servirono soprattutto a creare più stretti rapporti tra gli artisti e il pubblico. Proprio in tali occasioni si registrò una crescente partecipazione dei dilettanti di buona famiglia, per i quali il disegno fu una materia da non omettere per una buona educazione. Negli anni successivi, in epoca Restaurazione, tali iniziative non si interruppero, anzi, si moltiplicarono. La prima esposizione pubblica dopo il ritorno dei Savoia si ebbe nel 1820, fu promossa da Prospero Balbo e allestita in quattro sale del Palazzo dell’Università. Fu esclusivamente dedicata a opere di pittura e scultura e divisa in due sezioni: una dedicata ai “pittori antichi”, l’altra dedicata alle “opere di artisti viventi”. Un cambiamento si registrò dal 1829 allorché venne organizzata la Pubblica Triennale Esposizione nelle sale del Castello del Valentino, la prima di una lunga serie di analoghe rassegne torinesi. Per un approfondimento: Vittorio Natale, “Le esposizioni a Torino durante il periodo francese e la Restaurazione”, in “Arte di Corte a Torino da Carlo Emanuele III a Carlo Felice” a cura di Sandra Pinto, Cassa di Risparmio di Torino, 1987, pag. 250 e seguenti. 150 Cfr. M. C. Gozzoli, ‘il gentil sesso’, in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna 1773-1861, a cura di E. Castelnuovo, M. Rosci, catalogo della mostra, Torino 1980, I vol., pagg. 445. Inoltre M.Florio, “Le grandi donne del Piemonte”, Daniela Piazza Editore, pag. 197.

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verosimilmente informata del paesaggismo arcadico di Vittorio Amedeo Cignaroli, e aggiornata su certi lavori di Giovanni Battista de Gubernatis, di Pietro Giacomo Palmieri e di Giuseppe Pietro Bagetti, artisti molto in voga in quegli anni, che emergono come riferimenti prossimi. Va infine sottolineato che la produzione pittorica di Massimo D’Azeglio -i D’Azeglio frequentano i Ruffino e i Della Chiesa- oltre ad essere certamente conosciuta da Luigia, s’ispira per molti versi allo stesso clima culturale151. In Archivi e Biblioteche private sono conservati alcuni disegni152 (studi di nudi e di parti anatomiche) riferibili alla prima metà dell’800, altri realizzati in epoca precedente (fine ‘700), che possono essere stati utilizzati da Luigia come modelli da copiare. Si tratta di esercitazioni e disegni accademici, alcuni di buona esecuzione, riconducibili all’ambito culturale torinese che gravita intorno a Lorenzo Pécheux e Ignazio Collino, chiaramente indicativi di un gusto che privilegia modelli di ispirazione classica.153 Tra questi lavori (matita, carboncino, rare lumeggiature a biacca) alcuni (non firmati, né datati) sono riferibili alla mano di Luigia: ad esempio le copie di piedi e di mani che cita l’amica Henriette in una lettera, consentono di avanzare ipotetiche corrispondenze con lavori di tale soggetto tuttora conservati in collezioni ove sono approdati arredi di casa Ruffino e Della Chiesa154. E, sempre cercando tracce relative alla formazione di Luigia155, desta interesse un album di incisioni, rilegato, dall’aspetto assai vissuto, che contiene paesaggi e vedute con rovine popolate di personaggi: è un’edizione, non datata, olandese, di Abraham Bloemaert156, da cui Luigia trae, ad esempio, spunto per un disegno che raffigura una donna con brocca. Tra le fonti di ispirazione per la giovane Luigia vanno poi considerate alcune opere a firma Pascal, tuttora presenti in collezione privata, di cui troviamo copie autografe tra i disegni della contessa conservati in cartella. Pascal157 ‘fu detto uno dei migliori pittori che al principio di questo secolo vivessero in Piemonte, sebbene le sue tavole in gran parte non siano che riproduzioni, eseguì in Savigliano per la famiglia Ruffini di Diano e Gattiera una decina di quadri ad olio cioè teste di molto carattere’.158 Questo quanto riferisce Turletti, specificando la tecnica dei dipinti, l’olio. Tenendo presente quanto riferito dallo studioso (la presenza di opere del Pascal in casa Ruffino), ma spostando l’attenzione dalle dieci teste di molto carattere menzionate (di cui è ardua una identificazione con quanto disperso e ad oggi conservato in collezioni private159), ad altri disegni autografi presenti nella raccolta (firmati ‘Pascal inv. Del. & fecit 1795’) di soggetto pastorale-bucolico, affini a certi lavori di Luigia, si riscontrano stringenti corrispondenze e plausibili fonti d’ispirazione.160 Troviamo infine chiari riscontri dell’applicazione di Luigia al disegno nella già citata corrispondenza dell’amica Henriette de Malines, in cui sono colti i progressi, il costante impegno, così come una incondizionata ammirazione da parte di Henriette 151 Vittorio Natale, “Le esposizioni a Torino durante il periodo francese e la Restaurazione”, in “Arte di Corte a Torino da Carlo Emanuele III a Carlo Felice” a cura di Sandra Pinto, Cassa di Risparmio di Torino, 1987, pag. 314; F. Dalmasso, “La pittura in Piemonte nella prima metà dell’Ottocento” in “La pittura in Italia: l’Ottocento” a cura di M. Castelnuovo, Electa, 1990, Vol I, pag.48; Michele Florio, “Le grandi donne del Piemonte”, Daniela Piazza Editore, pag. 19; M.C. Bozzoli, “Il gentil sesso”, in “Cultura figurativa e architettonica negli stati del Re di Sardegna 1773-1861”, a cura di M. Castelnuovo, Vol. I, Torino, 1980, pag. 444 e seguenti. 152 Archivio privato, raccolta di disegni in cartelle. I disegni raffiguranti nudi maschili recano quasi tutti (sul retro) la firma Carlo Della Chiesa (da identificare non col marito di Luigia bensì col nipote), non perché eseguiti da Carlo, bensì per attestarne la proprietà. 153 F. Dalmasso, P. Gaglia, F. Poli, L’accademia Albertina di Torino, ediz. S. Paolo, To 1982, pagg. 18, 19, 20. 154 Una sorta di catalogazione di opere (disegni) di Luigia è svolto dal nipote Carlo che raccoglie in cartella ed indica a matita su questa ‘disegni di Luigia Ruffino di Gattiera Contessa Della Chiesa’, Archivio privato. 155 Anche se tardo, rispetto agli anni di formazione, ma interessante per ribadire gli interessi in campo artistico di Luigia il Cours de dessin, par Ch. Bargue, avec le concours de J.L. Gérome, membre de l’Institut Professeur à l’Ecole des Beaux Arts de Paris, Modeles d’après La Bosse, 70 planches sur Raisin Ingres, Teinté, Paris Goupil et C. Editeurs, MDCCCLXVIII, un grande album conservato in collezione privata e proveniente da casa Ruffino in Savigliano. 156 Fondament der Teecken-Konst aerdigh geinventeert door, Abraham Bloemaert, Biblioteca privata. La stampa del volumetto, che reca chiari segni d’uso, dovrebbe risalire alla seconda metà del XVIII° sec. 157 Da identificare con Carlo Magno Pascale d’Illonza (1761-1824), figlio di Enrico e di Marianna Cordero di Belvedere, Capitano delle Regie truppe di Fanteria nell’ottobre 1814, amico di famiglia e parente dei Della Chiesa, del quale la chiesa parrocchiale di San Pietro del Gallo (Cuneo) conserva un dipinto religioso autografo (pala d’altare) ed un ritratto (ambito piemontese, olio su tela). E’ annoverato tra le persone ‘le plus marquants du Canton de Coni’ nel 1813, Ha un ruolo importante nella costituzione della Diocesi di Cuneo: nel 1814 è infatti delegato dal Municipio, insieme al Marchese di Clavesana, per trattare l’erezione della Diocesi. Fu, insieme alla moglie, colui che fece conoscere a Luigia il futuro marito Carlo: la notizia si apprende dalla lettera scritta da Carlo Della Chiesa di Cervignasco (Saluzzo 12 febbraio 1824), nonno di Carlo (futuro sposo), a Luigia: ‘…Cara Figlia…non dubito che a quest’ora avrete fatto la conoscenza di tutta la parentela, solo mi spiace, che la grande modestia di mio Cug. C. Pascale, di cui temo moltissimo (per la salute) non vi permetta di abbracciarlo, egualmente che sua Moglie,li quali ebbero una gran parte in questo matrimonio...’ (Archivio privato, lettere). Ringrazio per le notizie relative a Carlo Pascal Laura Marino e don Michele Gazzola (parroco di S. Pietro del Gallo), che stanno compiendo ricerche sul personaggio. 158 C. Turletti, cit. vol. II, pag. 869. 159 Probabilmente le ‘teste di molto carattere’ sono andate disperse in occasione delle divisioni ereditarie della famiglia. 160 I disegni del Pascal (firmati e datati Pascal inv. Del. & fecit 1795) raffigurano: le repas du pasteur, la bergere dépitée, la surveillance du berger, le repos du berger. La tecnica usata, matita e inchiostro di china, riproduce effetti simili all’incisione, ulteriormente rafforzata dall’effetto di una finta cornice che inquadra ogni scena. Di Luigia Ruffino, in cartella, copia del ‘repas du pasteur’ (disegno replicato fronte e retro dello stesso foglio).

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per la buona qualità dei risultati ottenuti nelle quotidiane161 esercitazioni da Luigia: ‘… dis moi chere Louise si tu avance toujours beaucoup pour le dessein et pour les autres études…si tu fais quelques jolies ouvrages main…’. Un allenamento, quello della contessina, che emerge progressivo, costante, nel copiare gravures de marins, particolari anatomici come pieds, mains, una tete de Rubens, une Vierge o comporre generici dessins.162 Una applicazione che rivela metodo e rigore, e da cui emerge altresì una passione autentica, sentita, ribadita dalle parole di elogio scritte nel sonetto nuziale del cugino Reviglio (dove, tra l’altro, si coglie un riferimento alla celebre pittrice Angelica Kauffman): ‘…Quanto m’è dolce il memorar quell’ore, Che nel sagro a’ tuoi studj almo ritiro In te mia mente figurar godea Angelica pingendo amori, e ninfe Sull’auree carte con felice ingegno…’163 E sono proprio le parole evocative, i rimandi eruditi e incalzanti di Reviglio164, cuciti in una forma poetico/ letteraria di indubbia eleganza, a restituire il ricercato clima di formazione di Luigia, l’ambiente colto cha la circonda, la presenza educativa dei familiari e del Gardet, un contesto elitario e circoscritto, ma vivace di stimoli. Il periodo in cui si forma Luigia coincide col ritorno dei Savoia, col regno di Vittorio Emanuele I e di Carlo Felice, in cui si passa da una prima fase statica e poco incline, istituzionalmente, alla ripresa delle arti, ad un momento (con Carlo Felice) di investimenti e aperture culturali dinasticamente programmate. D’altra parte i primi pensieri politici mirano alla riorganizzazione generale dello Stato e solo successivamente comprendono decisi investimenti e aggiornamenti in ambito artistico-culturale: viene riorganizzata, ad esempio, la Regia Accademia, e sono aperti cantieri come quelli dell’abbazia di Altacomba o dei castelli di Govone e Agliè, istituito il primo nucleo del Museo Egizio, riferimenti, tutti, di primo piano per l’orientamento delle scelte culturali e del gusto in territorio pedemontano165. Nel 1820 a Torino, nel palazzo dell’Università, viene allestita una mostra voluta dal ministro Prospero Balbo, curata da Lodovico Costa, bibliotecario dell’Università e segretario di Stato, in cui le due principali sezioni sono dedicate ai ‘pittori antichi’ e alle ‘opere di artisti viventi’166. Tra gli artisti viventi, mentre taluni sottolineano la continuità culturale con l’ancien régime (L. Pecheux, G. Bagetti, ecc.), altri appartengono alle nuove generazioni (ad es. M. D’Azeglio). Nella mostra la pittura di paesaggio è uno dei generi più rappresentato e, tra gli autori, sono presenti Luigi Brambilla, Giuseppe Pansoia, Giovanni Peirotti con opere improntate ‘al gusto del terribile e della rovina che richiama il Palmieri e il Vernet’167. Fra i dilettanti aristocratici che s’ispirano a questo genere di pittura sono esposti quattro guazzi di Giuseppe Ripa di Meana; significativa, inoltre, la presenza di artiste quali Sofia Giordano Le Clerk, Teresa Nuytz Boccardi, Teresa Borghese Quaglia, le sorelle Teresa Sevesi Pregliasco e Clementina Pregliasco. Tra gli artisti che espongono compare Luigi Baldassarre Reviglio168, e destano interesse le sezioni dedicate alle copie (soprattutto di giovani allievi dell’Accademia) e all’incisione, con lavori di Palmieri (Educazione 161 Sonetto nuziale di Luigi della Venaria, cit.; C. Turletti, cit. ‘…qutidianamente apprendeva dal Gardet…’ 162 Archivio privato, lettere di Henriette a Luigia, 1818, ‘19,’ 20, ‘21. 163 Sonetto nuziale di Luigi della Venaria, cit., vedere precedente nota 7. Nel sonetto, in nota, è precisato il riferimento alla Kauffman. 164 E’ singolare notare, nel sonetto di Reviglio, le tante citazioni erudite che vanno soprattutto a confrontarsi con la mitologia greca: ad es. Aracne per ricordare la mitica tessitrice che sfidò Atena nella sua arte (vinse e la dea la trasformò in ragno), citata per ricordare la bravura nella stessa arte di Luigia. 165 Cfr. ”Arte di corte a Torino da Carlo Emanuele III a Carlo Felice”, a cura di Sandra Pinto, ed. Cassa di Risparmio di Torino, cit., pag. 102. 166 Per i cantieri sabaudi: Arte di Corte a Torino da Carlo Emanuele III a Carlo Felice (a cura di Sandra Pinto), To 1987. Per la mostra del 1820: V. Natale, in Arte di Corte a Torino, cit. pagg. 248-310. 167 R. Maggio Serra, Appunti sulla pittura di paesaggio, To 1980, pag. 524. 168 Da non confondere con Luigi Reviglio della Venaria, cugino della Ruffino, più volte menzionato in questo studio. Luigi Baldassarre è tra i pittori ritenuti interessanti nel panorama figurativo del XIX° sec. in ambito piemontese, mentre Luigi della Venaria rimane circoscritto tra i dilettanti.

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d’Amore), Giuseppe Ponte di Pino (Amore vincitore della Forza), Luigi Valperga (immagini devozionali), e Saverio Chianale (vedute).169 Un evento come la mostra del ’20 diviene occasione che favorisce, allargandolo, il dibattito artistico-culturale, agendo, inoltre, come una sorta di termometro che sonda l’orientamento del gusto. Non accertata, ma ipotizzabile una visita compiuta dalla giovane Luigia all’esposizione torinese, o perlomeno un interesse trasmesso tramite i familiari (il padre, lo zio, il cugino Reviglio) o il Gardet, persone tutte che si muovono con una certa frequenza tra Savigliano e Torino. Luigia affina dunque precocemente il gusto per il disegno e la pittura170, lo stesso interesse, la stessa inclinazione che proprio il cugino Luigi della Venaria, pittore dilettante, coltiva con buoni risultati. Sul catalogo Cultura figurativa e architettonica negli Stati del re di Sardegna,171 sono riprodotte alcune opere a tempera su carta e su tela di un altro Reviglio, Luigi Baldassarre, riconosciuto tra i più interessanti artisti attivi in Piemonte nella prima metà del XIX° secolo, tutte di non grande formato: paesaggi con figurine ispirate ad una cultura principalmente ‘derivata da due fonti, quella di Bagetti e quella di César Van Loo’172. Molte analogie si possono riscontrare tra i lavori di Luigi Baldassarre Reviglio e Luigia Rufino: affiora, in entrambi, una decisa capacità di impostare l’immagine paesistica per campi lunghi, con l’orizzonte quasi sempre ribassato: l’occhio è attirato verso il fondo dallo snodarsi quasi topografico del paesaggio in cui corsi d’acqua, coltivi, profili di colline, con sempre primi piani di alberi a formare simboliche quinte, sono descritti con dovizia di particolari; minuscole scene di vita quotidiana punteggiano i paesaggi, popolati di figurine all’olandese filtrate dai modelli di Palmieri attraverso Bagetti. In Luigia emerge simile una sensibilità alle temperie atmosferiche: la vaporosa descrizione di acque, certe architetture d’ispirazione classica o altre di ruderi, portano verso esempi alla Van Loo, una cultura ancora intrisa di riferimenti settecenteschi. Le opere di Luigia. Di Louise Ruffin de Gattier, questo il suo modo di firmare ricorrente, resta un omogeneo corpus di opere, soprattutto disegni su carta173, alcuni colorati ad acquarello, altri monocromi (matita, inchiostro), rari gli oli su carta e tela e che andremo a considerare successivamente, anche perché -per la maggior parte- realizzati in una seconda fase di attività. La sua cultura espressiva è accostabile a quella prima descritta, la stessa che ha ispirato il cugino Reviglio (con Gardet ‘Precettore’ di entrambi) e che circola nel Piemonte restaurato (in parte già presente in epoca francese); forse nel caso di Luigia si avverte una più marcata inclinazione al fantastico, qualcosa di intenso, vibrante, colto e partecipato da occhio e animo tutti femminili, se femminile si può intendere un certo delicato ‘sentire’. Ed esprimersi. Sta di fatto che la produzione riferibile a Luigia nella fase giovanile della sua attività (una quarantina di opere in tutto174) spicca per singolare qualità, per deciso carattere, per piacevolezza descrittiva ed ancora per indubbia abilità tecnica175. Alcuni suoi disegni a matita e penna ritraggono volti di personaggi (soprattutto femminili) ispirati alla classicità, in alcuni casi identificabili con divinità, ninfe ed eroine del passato176: piena adesione dunque ad un gusto archeologico che guarda al mito e alla storia, gli stessi modelli che circolano nelle Accademie, negli ateliers di molti pittori, un gusto in stretta sintonia con una cultura europea largamente diffusa. Altri disegni raffigurano paesaggi, che sembrano essere i soggetti più cari a Luigia, sempre popolati da figurine e animali immersi in accattivanti atmosfere; spesso sono descrizioni al limite del fantastico in cui il gusto delle rovine, le forre e le chiome agitate di alberi, le acque turbolente e le nuvole gonfie paiono suggerire effetti speciali, e stati d’animo vissuti sul filo dell’emozione. Sono piccoli brani paesistici d’invenzione, costruiti traendo spunto da incisioni, in cui a rocce, specchi o corsi d’acqua, cespugli ed alberi, sono accostati profili di borghi colti in lontananza e costruzioni diroccate. Qui Luigia usa a volte l’acquerello con delicati effetti coloristici (disegno di base con interventi a pennello e tampone), in taluni sceglie gradazioni 169 Cfr. Arte di Corte, cit., la parte di V. Natale, pag. 272. 170 In collezione privata sono conservate le scatole (in legno) che contendono matite, pennelli, gessetti e colori (in boccette di vetro) appartenute a Luigia; sono inoltre conservati il suo cavalletto e la sua tavolozza. 171 Cultura figurativa e architett., Cit., vol. II, pagg. 542-545 (schede di R. Maggio Serra). 172 R. Maggio Serra, Cultura Figurativa e architett., cit., pag. 242. 173 Alcuni disegni sono eseguiti su carta prodotta nella cartiera di Fossano, di cui recano la sigla, se visti in controluce (1801, Cartiera di Fossano, nodo sabaudo). 174 Le opere sono conservate in collezione privata. 175 La raccolta di opere di Luigia Ruffino di Gattiera è conservata in collezione privata. 176 Ne restano cinque, collezione privata.

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seppiate o grisaille monocrome (penna, inchiostro, pennello e tampone), in altri ancora applica una singolare ricerca tecnicocompositiva dove la preparazione del fondo a stoppino, il tratteggio scavato dal pennino e rapide lumeggiature a biacca conducono a rese ispirate alla tecnica dell’incisione. A matita, firmati, esegue una serie di disegni di soggetto mitologico o storico, tra cui, in cornice dorata, la morte di Cleopatra e Garde vous, il primo ripreso dalla celebre opera di Guido Reni, il secondo da Angelica Kauffman, entrambi di particolare raffinatezza esecutiva. Altri lavori hanno per tema Deiamira e Nesso, Ercole ed Admeto, Hibé (Ebe, da Gavin Hamilton), il rapimento delle Sabine, la Carità romana (da Rubens), tutti ripresi, o comunque ispirati da opere celebri. Vi sono inoltre due disegni, sempre a matita, intitolati il primo Study, una allegoria della musica rappresentata da una figura femminile che sfiora con la mano destra una lira suonata da un putto, con la sinistra tiene una tromba, mentre un’altro putto legge uno spartito; il secondo disegno, Composizione, è una allegoria della pittura, raffigurata da una donna assistita da due putti, colta nell’atto di dipingere all’interno di un ambiente definito da colonne e drappeggi. Il cospicuo lavoro di applicazione e sperimentazione di Luigia è indubbiamente riferibile agli anni precedenti il matrimonio (ante 1824) in cui, istruita e seguita dal Gardet, con accanto Marianna (la figlia di questi, compagna di apprendimento e lavoro) Luigia mette insieme una produzione artistica destinata all’ammirazione ed alla fruizione familiare; possibili le opere donate a parenti ed amici, per cui eventualmente rintracciabili nell’ambito di frequentazione dei Ruffino, mentre non sono segnalate né documentate eventuali esposizioni pubbliche. Quasi tutte le opere recano la firma M.lle Luoise Ruffin de Gattier, confermando chiaramente una produzione avvenuta in anni precedenti il 1824; altri lavori che non recano firma sono comunque accostabili, per soggetto, dimensioni, tipo di carta usata, conduzione e taglio esecutivo, alle prime. Un inventario, rogato Gandi 1885, stilato nei giorni successivi la morte di Luigia, può offrirci interessanti riferimenti circa la produzione artistica della contessa: infatti, la precisa ricognizione che elenca, stanza per stanza, gli arredi conservati a quella data nel palazzo di Savigliano, annota alcune opere identificabili, vuoi per soggetto, vuoi per dimensioni o per firma autografa, con quelle di Luigia:‘… Due quadri fatti a mano rappresentanti scene campestri, con cornice dorata, alti centimetri 60, larghi 70 del valore di lire diciotto’… ‘sei quadri a cornice dorata rettangolare fregiate agli angoli rappresentanti vedute, paesaggi, scali marittimi e figure, quasi tutti lavori e disegni fatti a mano ad acquerello, lire trentasei’…‘sei quadri a cornice nera rappresentanti disegni fatti a mano su carta lire nove’… ‘quadri con lavori a mano della defunta rappresentanti personaggi mitologici con piccola cornice in legno noce, lire una e centesimi cinquanta caduno, e così per cinque quadri lire sette e centesimi cinquanta’…‘due quadri a mano Luigia Ruffino di Gattiera, La carità romana, da P. P. Rubens, disegno a matita su carta, 1820 c.a. con cornice semplice…’177

177 Archivio privato, Testamento della Contessa Luigia Della Chiesa di Cervignasco nata Ruffino di Gattiera, rogato Gandi 1885. Nel testamento sono annotati i lasciti in denaro, tra cui lire 1000 all’Orfanotrofio femminile, i gioielli destinati alle figlie, alle nipoti, ecc.

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Della produzione pittorica della Ruffino restano poi sei dipinti ad olio che hanno per soggetto tre paesaggi178, una composizione di volatili inseriti in un paesaggio, un ritratto del 1850 della figlia Felicita, ed un gruppo di famiglia, riferibili, soprattutto per una certa adesione a composizioni pittoriche più tarde, ad un periodo compreso tra gli anni ’40 e ’50 dell’800. Tra la produzione giovanile e quella della maturità di Luigia si possono cogliere sostanziali differenze, forse anche stimolate dal vivace dibattito (in particolare sul paesaggio, ma anche sul ritratto) che, a Torino in special modo, è portato avanti da artisti e intellettuali a partire dal terzo decennio dell’800179 e che Luigia può sviluppare con il cugino Reviglio e col Gardet, aggiornati sui fatti artistici torinesi. Negli oli della maturità più forte si avverte una adesione a suggestioni romantiche, le atmosfere evocate sembrano come cogliere ‘attimi sospesi’, gli impasti cromatici (con predilezione per i toni scuri) sono resi con effetti che prediligono la morbidezza e l’effetto sfumato, ma si coglie anche una certa grevità, in contrapposizione con la freschezza e la leggerezza compositiva delle opere giovanili, intrise di reminescenze (e luci) settecentesche. Nei paesaggi ad olio si può d’altro canto cogliere una concezione naturalistica che ricerca l’immediatezza, la spontaneità e che porta Luigia ad ‘avvicinarsi al vero come guidato dal sentimento della natura’, in linea con quanto ebbe a scrivere Massimo D’Azeglio in una pagina autocritica. Ancora precedenti alla produzione tarda e accostabili al corpus di opere giovanili, vi sono quattro singolari pannelli su tela (dipinti a tempera), in origine accostati a formare un paravento, che rappresentano due figure femminili e due mezze-colonne sormontate l’una da un elegante vaso con fiori, l’altra da un cartiglio impreziosito da una ghirlanda floreale e uccellini. Il gusto pittorico-compositivo, la leggerezza cromatica, accanto agli abiti (di gusto tardo-impero) delle fanciulle raffigurate (forse da interpretare come un doppio autoritratto di Luigia), conducono a riferire l’opera ai primi anni ’20 dell’800180.

quello di Luigia, che possiamo comunque immaginare vissuto con l’occhio dell’osservatrice curiosa, della pittrice e della studiosa di argomenti legati all’arte e alla storia, in cui de visu può riscontrare opere, architetture, monumenti conosciuti attraverso i libri, le incisioni, i disegni studiati e copiati nei suoi anni giovanili. Nella produzione artistica di Luigia di Gattiera una forte, pregnante componente romantica emerge come leit motiv, un gusto che indubbiamente rimanda a quella formazione letteraria e musicale che Luigia coltiva accanto al disegno, di cui si nutre e che costituisce parte determinante della sua espressione. C’è carattere, c’è sentimento e partecipazione; e ci sono chiare suggestioni da Goethe, da Foscolo, da Alfieri e Stendhal, da Beethoven e Rossini, che sottilmente traspaiono.

Biblioteche e Archivi privati consentono di ricostruire, con una certa attendibilità, seppure parzialmente, la vita di Luigia. Emerge chiaramente che la contessa, negli anni giovanili precedenti il matrimonio, non si sposta da Savigliano se non per sporadici quanto brevi soggiorni a Torino e trascorre le sue vacanze estive in campagna, aux Canaveres, subito fuori città verso Marene. Successivamente al matrimonio risiede a Torino e, accanto al marito impegnato nella carriera militare, vive a Vercelli, Novara, Pinerolo e Vigevano. In questi anni ha modo di visitare Milano (vede il duomo) e il lago Maggiore, come rammenta, ormai anziana, in alcune lettere indirizzate al nipote Carlo182; da queste si apprende inoltre di un viaggio fatto in epoca imprecisata in altrettanti imprecisati luoghi italiani di cui ricorda la bellezza dei monumenti visitati. Infine, in una lettera sempre indirizzata al nipote, in collegio a Monaco, chiede a questi di cercare notizie e, se possibile recarsi, nel villaggio di Gattiera nella regione del Var, antico feudo della sua famiglia, meta di un viaggio che il padre Carlo Ruffino, molti anni prima, aveva compiuto: questa richiesta sta ad indicare che la contessa non si è mai recata in quei luoghi, che sono, comunque, per lei, oggetto di curiosità�. Il lago Maggiore con le sue bellezze, il duomo di Milano, l’imprecisato viaggio in Italia, sono riferimenti che testimoniano l’occasionale e sporadica frequentazione di alcuni luoghi visitati dalla contessa in anni successivi il matrimonio. Un Grand Tour,

A ben vedere, una sorta di Grand Tour tutto virtuale Luigia già lo compie proprio negli anni giovanili attraverso la quotidiana applicazione allo studio e al disegno: nella biblioteca di casa, appassionandosi alla lettura di tanti libri, di racconti, con occhio attento alle incisioni, ha modo di viaggiare con la mente e la fantasia sulle carte geografiche di Tobie Conrad Lotter183, di coltivare il gusto del pittoresco di una Arcadia senza tempo, di entrare nei musei, nelle chiese e nelle collezioni d’arte ed ammirare le opere in essi custodite. Gli orizzonti della piana saviglianese, la catena alpina, l’osservazione di erbe e di fiori, il contatto col mondo rurale fatto di paysans e animali, gli antichi monumenti della cittadina costituiscono, da un lato, i riferimenti reali della sua vita quotidiana. Accanto c’è il mondo evocato dai libri, dai familiari, dagli amici, che trova riscontri visivi, e spunto di approfondimento, nella collezione di incisioni della biblioteca di casa184. Luigia Ruffino di Gattiera, Paesaggio, Dispiace non aver riscontrato, tra i volumi appartenuti alla disegno a china acquerellato, 1820 c.a. Ruffino, testi come il Voyage en Savoye, en Piémont, à Nice et à Gènes di Aubin Luois Millin, o il Viaggio romantico pittorico di Modesto Paroletti o acora i Voyages pittoresques et romantiques di Nodier, Taylor e Cailleaux, la cui eventuale presenza avrebbe potuto ulteriormente rafforzare il milieu culturale di formazione della giovane Luigia185; sappiamo però che, nelle varie divisioni ereditarie avvenute tra fine ‘800-primo ‘900, molti volumi della biblioteca furono dispersi, lasciando pertanto spiragli di dubbio sulla presenza o meno di tali edizioni. Restano comunque, a testimonianza della costante curiosità artistico-culturale di Luigia e del marito, varie edizioni successive al matrimonio,

178 Il laboratorio di restauro Cesare Pagliero (Savigliano) ne ha eseguito una perizia finalizzata al restauro, da cui: “I quattro dipinti sono realizzati con la tecnica ad olio su fogli di carta a loro volta incollati su supporti in cartone piuttosto spesso; non è chiaro, al momento, se tale applicazione sia avvenuta prima o dopo l’esecuzione delle pitture. Le opere sono inserite in cornici lignee dal profilo piano e con semplice modanatura lungo il perimetro interno; la superficie lignea a vista è trattata a cera”. 179 P. Astrua, in Cultura figurative e architettonica negli Stati del Re di Sardegna 1773-1861, catalogo della mostra, cit., vol. I, pag. 281. 180 Il laboratorio di restauro Cesare Pagliero (Savigliano) ne ha eseguito una perizia finalizzata al restauro, da cui: “Si tratta di quattro tele ad armatura rada montate su altrettanti telai di tipo fisso che, attraverso delle cerniere, componevano un separè a soffietto, attualmente smantellato in quattro elementi indipendenti. La tecnica di esecuzione delle pitture è quasi certamente quella della tempera a calce, simile a quella delle pitture murali, anche se non si possono escludere a priori delle analoghe tecniche dall’aspetto magro quali la tempera a base di colla animale o di gomma arabica. In ogni caso pare che le tele siano stata preventivamente apprettata con una stesura di gelatina animale, considerata la ridotta presenza di materia pittorica migrata attraverso gli interstizi del tessuto. Non sono presenti strati di protettivi originali o aggiunti”. 181 William Gilpin, Three Essays: On Picturesque Beauty; and on Sketching Landscape; to which is added a poem, on Landscape Painting, London 1794, p. 53. 182 Archivio privato, cit., lettere di Luigia al nipote Carlo.

183 Archivio privato. 184 Nella ricca biblioteca appartenuta a Casa Ruffino si riscontrano alcuni volumi editi negli anni corrispondenti alla giovinezza di Luigia che possono essere stati importanti per la formazione della ragazza: ad esempio di M. Berenger, Cours de geographie elementaire, Geneve 1810, di Sonzogno e Comp., Le bellezze della storia o quadro delle virtu’ e dei vizi, Milano 1815, di Lodovico Goudar, Nuova grammatica italiana e francese, Torino 1807, di William Guthrie, Abrege de la nouvelle geographie universelle, Paris 1811, di M. de Fenelon, les aventures de Telemaque fils d’Ulisse, Torino 1807, di Gio Batta Cipriani, I cinque ordini dell’architettura di Andrea Palladio, Roma 1801, di Descartes, Voyage du monde de Descartes, Paris 1790, di Poemer, Istruzione intorno l’arte tintoria, Milano 1821, di Adriano Navarotto, La Savoia dall’abbazia d’Altacomba alla gran Certosa, Vicenza 1803. Accanto a testi utili allo studio anche piacevolezze di lettura come di J.J. Rousseau, Lettres des deux amants, Geneve 1761, o di P. G. Vallardi, Sofia o la donzella istruita, Milano 1826. 185 Di Modesto Paroletti in Biblioteca privata (provenienza Ruffino) si conserva Turin et ses curiositès etc., 1819. Inoltre, interessante, del Cavaliere C.C. Della Chiesa Benevelli, Miscellanea pittorica, da un viaggio in Italia, edizione a stampa non datata (riferibile ca. al 1820) contenente note relative a monumenti (Sepolcro di Cicerone, Velletri, Capo di Circe, Rovine dell’antica porta di Capua, ecc.) e alcune litografie tirate a Torino presso Lit. D. Festa.

Il Grand Tour di Luigia. ‘La prima fonte di divertimento per un viaggiatore alla ricerca del pittoresco è l’inseguimento di ogni sorta di bellezza, quando la novità lo sorprende ad ogni passo, e ogni distante orizzonte promette una fresca gratificazione. Dopo l’inseguimento raggiungiamo l’obiettivo estetico, poi analizziamo gli scenari che abbiamo scoperto, li esaminiamo come un tutt’uno: la composizione di colori e luce sotto una visione completa… ma il nostro più grande diletto sorge nel luogo in cui lo scenario si apre agli occhi e blocca ogni facoltà dello spirito, ed è allora che prevale l’emozione dell’osservazione.181’

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1848. Corrispondenza dal fronte.

aggiornate alle frequenti esposizioni d’arte che si tengono a Torino, Milano, Roma; accanto sono raccolte numerose opere monografiche relative ad autori ed opere celebri; infine, a testimoniare l’interesse per la geografia, la storia, le culture del mondo, i monumenti che caratterizzano regioni italiane e straniere, rimangono alcuni volumi e volumetti (anche in edizione tascabile)186, con argomento ‘il viaggio’, itinerari, resoconti, dal taglio spesso narrativo, che possono restituire l’interesse ed il gusto per questi soggetti. In conclusione. Successivamente al matrimonio, per stare vicino al marito che la carriera militare porta a risiedere nelle città di Pinerolo, Vigevano, Vercelli, Rivoli, Torino, Novara, a causa delle nove maternità, degli impegni legati alla vita di società e al mènage familiar-domestico, non è più consentito alla contessa di applicarsi al disegno e alla pittura con quella frequenza e metodo che caratterizza la produzione artistica degli anni giovanili: solo sporadici exploit, espressi sostanzialmente dalle opere ad olio prima accennate. D’altro canto Luigia indirizza la numerosa prole alla tecnica del disegno (rimangono alcuni fogli e schizzi condotti con taglio ‘accademico’, riferibili alle figlie Angelica, Carolina, Felicita): Luigia ne segue con occhio attento, anche con suggerimenti e probabili ‘ritocchi’, le esercitazioni. E’ inoltre accertato che il ricamo, accanto ad altre attività manuali legate alla lavorazione di stoffe e filati, occupano l’ultima parte di vita della contessa: lavori condotti con raffinata perizia che sono tuttora conservati in collezioni private. L’arrivo in famiglia, nel 1866, di Lidia Gazzelli di Rossana, moglie del figlio Eugenio, sembra rinvigorire lo spirito dell’ormai anziana contessa (dalle lettere si avverte una considerazione positiva e ammirata nei confronti della giovane donna): un preciso interesse condiviso per l’arte (il disegno in particolare), sembra stimolare tale empatia. Si conserva un album di schizzi e disegni187 autografo di Lidia Gazzelli, che riporta a soggetti cari a Luigia, paesaggini con figure, scorci di luoghi dal sapore tardo-romantico, dimore rurali, ponticelli che scavalcano ruscelli, profili alpini e strade che si perdono nei campi a rievocare, ancora una volta, un’Arcadia ritrovata: non più quella, piena di freschezza, limpida e un po’ sognante che aveva ispirato la giovane Luigia, ma una più reale e definita immersione nei soggetti di ‘paesaggio’, in quegli anni sempre più contesi (alla pittura) e oltremodo sviluppati dall’avanzare della tecnica fotografica. Alessandro Abrate 186 Biblioteca storica geografica e di amena letteratura, vari volumetti, Torino 1829; vari volumetti rilegati, Il Palmaverde, edito a Torino nel corso del XIX° sec.; Musée de famille, vari volumi anni ’30-’4050-60-70 del XIX° sec., Paris; Teatro Universale, raccolta enciclopedica e scenografica, alcuni volumi (anni ’40 del XIX° sec.), Torino. 187 Archivio privato, Album rilegato contenente disegni di Lidia Gazzelli di Rossana.

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Luigia Ruffino di Gattiera, Scene bucoliche, disegni a china e acquerello su carta, 1820 c.a.

“Ma tres chere…” questo l’incipit di alcune delle numerose lettere che il conte Carlo Della Chiesa di Cervignasco e Trivero invia dal fronte della Prima Guerra di Indipendenza alla consorte, la contessa Luigia Ruffino di Gattiera. Questa fitta corrispondenza, insieme all’abbonamento alla Gazzetta Piemontese, informa pressoché quotidianamente la contessa Luigia circa l’andamento della guerra, sull’umore e la salute del marito. Si tratta di un corpus di lettere (Archivio privato) che vanno dall’aprile all’agosto del 1848 scritte dal conte Carlo, militare di professione impegnato a combattere sul fronte; le lettere raggiungono Luigia nella casa di Savigliano, mentre altre sono scritte a Torino al fratello Paolo. Questa raccolta epistolare rappresenta una testimonianza importante di chi, vivendo quotidianamente i fatti relativi alla guerra del ’48 e scrivendo ai propri cari, racconta anche a noi, oggi, l’avvicendarsi dei fatti, le battaglie, gli umori e le decisioni del re, le speranze, le aspettative, le delusioni di chi partecipa un periodo critico quanto formativo per le sorti della futura Nazione. Caos, tumulti, battaglie, scontri, rivolte, fermenti, un concatenarsi di eventi di notevole ampiezza si susseguono in nome della libertà, caratterizzando il clima di questo singolare momento storico. È su un’istanza di libertà che il 23 marzo 1848 il re Carlo Alberto decide di sfidare l’Impero Asburgico. I democratici e i liberali sono infatti convinti che il dominio dell’Austria sia un ostacolo sulla via delle riforme costituzionali indirizzate all’unificazione della Penisola: è pertanto necessario liberarsi dal dominio straniero. Meno convinto e di conseguenza assai indeciso è il re Carlo Alberto che, tergiversando, finisce per dichiarare una guerra di fatto già aperta. Lo spirito di esitazione e il clima di incertezza che di fatto guida l’intera campagna di guerra si percepisce - anche se forse non in modo così esplicito - in alcune delle lettere del conte Carlo. “.… non so quando avremo scioglimento, ossia quando termineranno le nostre fatiche perché una pace trattata è impossibile a combinare e la cacciata totale dei Tedeschi non è cosa tanto facile .… molti danno ordini e disposizioni isolatamente, anche il Re col portarsi ed esporsi troppo assai cagiona alterazioni non previste nelle combinazioni precostituite; sotto Verona avanzandosi Sua Maestà al centro, l’attacco fu precipitato in quel punto senza attendere l’arrivo delle truppe” (Querni, 19 maggio 1848, lettera al fratello Paolo). Così come “Si dice che Milano abbia proclamato la Repubblica chiamando i francesi, cosa faremo noi non lo sapiamo, dai proclami sembra che si voglia far testa, ma siccome gli eventi vanno per mistero altri dicono che partiamo ancor di questa sera. Tutto è confusione massima“ (Camairago, nei pressi di Castiglione, 30 luglio 1848, lettera alla moglie Luigia); e ancora “… temo che l’Armata perda l’ottima riputazione che fin ora si è meritata se fosse spinta al fuoco con sentimenti talmente contrari come tanto generalmente si manifestano” (Romentino 8 agosto 1848, lettera al fratello). Come non percepire da queste testimonianze dirette che, non essendoci ” mai nulla di così certo” (questo confessa Carlo alla moglie da Lazise il 31 maggio 1848) e, mancando l’unità necessaria all’armata, risulti assai difficile farsi valere ed avere il sopravvento su un nemico di fatto in netta maggioranza numerica e strategicamente meglio impostato. All’incertezza si unisce poi l’ambiguità dello Stato Pontificio che il 29 aprile ritira le proprie truppe dal campo di battaglia, prontamente seguito da altri sovrani quali Ferdinando II e il Granduca di Toscana, mentre le truppe sabaude sperano ardentemente “… nel concorso dei Papalini e Napoletani che non staranno sempre alla finestra lasciando ai soli Piemontesi il peso di cacciare un nemico contro il quale non bastano … per il Primato d’Italia le speranze d’Italia e tante belle polemiche di infiniti giornali” (Querni ?, 13 maggio 1848, lettera al fratello Paolo). Nonostante le difficoltà e l’incertezza, le truppe di Carlo Alberto ottengono alcune vittorie negli scontri di Goito, Monzambano e Valeggio in cui - tra l’altro - il generale La Marmora viene ferito ad una mandibola; l’episodio è riportato in una lettera di Carlo alla moglie, “… La Marmora dei Bersaglieri una palla entrata in bocca le sortì verso le mandibole….” (Castel Goffredo 9 aprile 1848); e poi ancora a Pastrengo il 30 aprile, a Goito con la caduta di Peschiera il 30 maggio. Scrive Carlo a tale riguardo “…Peschiera se serait positivement rendue, on ne sait pas encore positivement les conditiones, mais celles-ci honoirables pour tous. Je pense qu’un estafette portera la nouvelle a Turin, car il est tres interessant.” (Lazise 31 maggio 1848, lettera alla moglie). Tuttavia, verso la metà di giugno la situazione si rovescia a favore di Radetzky che vince Carlo Alberto a Custoza respingendolo fin sotto le mura di Milano; ma anche in quel momento le truppe piemontesi resistono tenacemente “… lo spirito del armata nel momento non è consolante, ma sta gente cangia presto, e si ben nutriti ed un poco riposati riprenderanno il primero ardore; impossibile per ora venir ad un accordo troppo umilianti essendo le pretese, dimani forse ci dirigeremo a nuovamente affrontarlo, l’onor della nazione lo esige …” (Ardole 29 luglio 1848, lettera alla moglie). Interessanti sono poi alcuni accadimenti del tutto personali e che nulla o poco hanno a che fare con la guerra se non per il fatto che il maggiore - poi colonnello comandante - Carlo Della Chiesa li vive dal fronte. Ad esempio il tragico evento della morte del figlio primogenito, è vissuto col dolore di un padre e marito lontano dalla propria famiglia in un momento tanto drammatico: “non ho

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la forza di prender la penna in mano per versar parte della mia tristezza nel tuo cuore che avrebbe bisogno anzi di conforto ….” sono le parole di Carlo alla moglie; un mese dopo Carlo chiamerà il Cappellano di campo per far celebrare una messa in memoria del figlio col rispetto e la comprensione dei compagni che ”…fortunatamente … sono meco discreti come ne ho bisogno, lo fu pure il Re mentre molto ne temevo il contrario.” (Castelnuovo, 26 maggio 1848, lettera alla moglie). “Il Capo dello Stato Maggiore Generale reca con piacere a cognizione dell’esercito, essersi S.M. degnata con decreto in data del 16 del mese volgente, di fare le promozioni e le nomine seguenti: …. Il Conte Della Chiesa di Cervignasco, ora maggiore nel Reggimento Nizza Cavalleria, a colonnello comandante il Reggimento Piemonte reale cavalleria”, siamo a Sommacampagna, 18 maggio 1848, il maggiore Carlo Della Chiesa di Cervignasco e Trivero viene promosso colonnello comandante del Reggimento Piemonte Reale Cavalleria. Certo, questa promozione che tanto avrebbe dovuto inorgoglire anche la consorte Luigia, sembra in realtà sortire un effetto diverso nell’animo di quest’ultima, che vorrebbe in cuor suo un’unica cosa: il ritorno del marito. Scrive infatti Carlo: “Mi è sensibile le continue lagnanze che fu contro di me mettendovi ingiustamente di cattivo umore perché non ho ancora abbandonato il servizio …. resta inutile il dire a Luigia di non alterarsi che tutti sono convinti non potersi più far guerra dopo che il Presidente del governo francese M. de Cavaignac si è dichiarato di non voler intervenire con la forza armata nelli affari d’Italia, ma solamente con l’intervento diplomatico, dunque bisognerà accettare qualunque patto, essendo ora più che mai impossibile di far la guerra da noi soli; ciò non toglie che si debba far sembianze di esser disposti a ricominciarla e preparare ogni cosa come se si volesse fare, questo è assolutamente necessario per limitare le pretese delli austriaci.” (Vigevano 24 agosto 1848, lettera al fratello Paolo). Ma c’è altro, altre testimonianze emergono leggendo le numerose lettere. Vi troviamo, ad esempio, certe descrizioni della quotidianità “… io trovai entrando una buona bottiglia di latte colla quale mi feci una zuppa deliziosa trangugiata prima delle 6 con buonissimo appetito” (Torre di Goito 13 aprile 1848, lettera alla moglie); ancora “..oggi non ho potuto che avere del pane e un uovo duro, andai or ora girando li alberghi .. vi trovai assolutamente niente e dovetti contentarmi di una tazza di caffè nero, i nostri soldati non hanno avuto che il pane e i cavalli pochissima razione.” (Mantova - vicinanze - 3 giugno 1848, lettera al fratello) e poi “Non so ancora se terrò qui Gioanni che ieri volendomela intendere mi chiese 3 lire al giorno ciò che io trovo indiscreto, e vorrei darne due tutto compreso cioè anche il gaggio, credo ciò ragionevole poiché il vivandiere mi chiese una lira per mantenerlo, ma lui dice che usa maggior roba, dormendo come capita, insomma vuol trar profitto dalla circostanza che per lui è più di divertimento che di fatica, e se non piega alla mia idea lo tengo solo qualche giorno per rispetto umano e poi mando lui e cavalli a Savigliano massimo che non sono niente meglio servito” (Castelnuovo 2 maggio 1848, lettera alla moglie). Emergono poi le atrocità prodotte dalla guerra, come a Castelnuovo “… li orrori di quel villaggio, grande quasi come Moncalieri, non si possono immaginare, tutto fu incendiato, uccidendo quanti non furono fuggiti, nella chiesa fecero orrori, vicino ad un confessionale si vede ancora un lago di sangue.” (San Giorgio di Salice, 3 maggio 1848, lettera al fratello) così come: “… già si saprà che il generale La Vierne l’altro ieri è stato trucidato …. l’ufficiale Groy di Savoia Cavalleria ieri è stato ucciso da un colpo di fucile … mi manca ancora il Sottotenente Battaglia che mi dicono si sii fatto male cadendo da cavallo, Morelli ha una ferita alla coscia leggera” (Villafranca 23 luglio 1848, lettera al fratello Paolo). Il carteggio fra Carlo e i suoi cari, fulcro di questo breve scritto, ci porta direttamente dentro la guerra descrivendone alcuni momenti “… essendovi questa mattina dalle ore 7 un cannoneggiare terribile, qui mentre scrivo i vetri e fino le cose tremano al rimbombo continuo, sentendo perfino il fischio delle palle che son però a distanza legale.” (21 maggio 1848, lettera alla moglie); e ancora “ … alle 10 precise abbiamo sentito incominciare il bombardamento, questa mattina vi regna un silenzio perfettissimo ….” (Castelnuovo 28 maggio 1848, lettera alla moglie). Ma a tutto ciò si oppongono i momenti positivi pieni di vitalità “… hier soir meme nos troupes sont èntrèe dans Peschiera avec le musiques en tete et que nous avons fait entrer 800 rations de vivres pour les trouppes….” (Lazise 31 maggio 1848, lettera alla moglie); così come “… i nostri fecero prodigi e la giornata fu felicissima, qui vi è una quantità di prigionieri immensa … Io sono stato contento dei miei che si comportarono con valore.” (Villafranca 23 luglio 1848, lettera al fratello). Curiose sono poi certe descrizioni del Re, il modo in cui la figura di S.M. viene percepita “….. jamais en Italie il n’y a un cri de viva Carlo Alberto, jamais on parle de lui …. on va joue de lui et de nous …” (Stradella 7 aprile 1848, lettera alla moglie), “ … abbiamo incontrato S.M. che si portava a vedere sul sito i movimenti del Armata ma ciò sul tardi. La figura del Re è di un vero ammalato, mai l’ho visto cotanto distrutto … “ (un parco presso Goito 20 aprile 1848, lettera al fratello), “Les assiegès aurait mit le drapeaur blanc en criant viva Carlo Alberto.” (Lazise 31 maggio 1848, lettera alla moglie), “ .. il re è tenuto come prigioniero dalla ciurmaglia di Milano - e aggiunge - … si temeva un assassinio” (nei pressi di Magenta 6 agosto 1848, lettera alla moglie). Infine, come non considerare le note più intime a comporre le lettere, le dolci parole con cui il conte Carlo tenta di rassicurare la moglie “ ... starai tranquilla sul conto mio essendo io stesso moltissimo, i miei cavalli son buoni, so far mio dovere con quella prudenza che si conviene ….” (Ardole presso Cremona 29 luglio 1848, lettera alla moglie); e gli sfoghi personali come l’amarezza per l’armistizio “Non ti parlo della convenzione di pace che vedrete nella Gazzetta, mi ratrista al sol pensarvi; il denaro, la fatica, la vita ai tanti ufficiali distrutti e buon soldati fu tutto gettato via inutilmente per imperizia prima dei generali e dopo dei negoziati … Fra le pene di una conclusione così sfavorevole mi consola il ridonar la tranquillità alle tante famiglie, e penso con alta compiacenza alla mia.” (Gagliate 11 agosto 1848, lettera al fratello).

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Luisa Bagnasco

Luigia Ruffino di Gattiera, La morte di Cleopatra, da Guido Reni, disegno a matita e penna su carta, 47 x 59, 1820 c.a.


Luigia Ruffino di Gattiera, Scalo marittimo, disegno a matita, china e acquerello su carta, 60 x 46, 1820 c.a.

Luigia Ruffino di Gattiera, Scalo marittimo, disegno a matita, china e acquerello su carta, 60 x 46, 1820 c.a.


Luigia Ruffino di Gattiera, Scena agreste, disegno a china e acquerello su carta, 23 x 43, 1820 c.a.

Luigia Ruffino di Gattiera, Garde Ă vous, da Angelica Kauffmann, disegno a matita e penna su carta, 47 x 59, 1820 c.a.

Luigia Ruffino di Gattiera, Paesaggio con rocce e figure, disegno a china su carta, 28 x 39, 1820 c.a.


Luigia Ruffino di Gattiera, in senso orario: Allegoria della pittura; Study, allegoria della musica; Ercole ed Admeto; HibĂŠ (da Gavin Hamilton); disegni a china e matita su carta, 1820 c.a.

Luigia Ruffino di Gattiera, a sinistra Deiamira e Nesso; a destra Il ratto delle Sabine, disegni a matita su carta, 32 x 41, 1820 c.a.


Nel Gruppo di famiglia Luigia Ruffino esegue un suo autoritratto ccanto al marito Carlo ed ai figli Eugenio ed Eulalia

Luigia Ruffino di Gattiera, Ritratto della figlia Felicita, olio su tela, 34 x 41, 1850 c.a. (sul retro del dipinto: Sposata il 27 9bre 1850 al Cavaliere Curlo - Fieschi. In rosso sul dipinto la data 1850.

Luigia Ruffino di Gattiera, Gruppo di famiglia, olio su tela, 57 x 88, 1857 c.a.


Luigia Ruffino di Gattiera, Paesaggio, olio su carta applicata su cartoncino, 56 x 44, 1850 c.a.

Luigia Ruffino di Gattiera, Paesaggio, olio su carta applicata su cartoncino, 56 x 44, 1850 c.a.

Luigia Ruffino di Gattiera, Paesaggio, olio su carta applicata su cartoncino, 56 x 44, 1850 c.a.

Luigia Ruffino di Gattiera, Volatili, lepri e paesaggio, olio su carta applicata su cartoncino, 56 x 44, 1850 c.a.


Vivere a Savigliano tra Carlo Felice e Carlo Alberto La situazione politico amministrativa Nel 1804, quando nasce Luigia Ruffino contessina di Diano e Gattiera, Savigliano è una cittadina discretamente ben posizionata nella maglia amministrativa territoriale di quella nuova provincia francese che è ormai il Piemonte dopo l’annessione plebiscitaria del 1802. Nell’ambito del Dipartimento della Stura, del quale fa parte, la città è capoluogo di circondario, sede di sottoprefettura e di tribunale di pace con giurisdizione su venticinque località dei dintorni. Ospita due battaglioni della Guardia Nazionale e sotto la spinta dell’ambizioso sottoprefetto nativo di Scarnafigi Carlo Capello (fondatore tra l’altro della sezione locale della Loggia massonica intitolata “La Reunion”) affronta problemi vecchi e nuovi di ordinaria e straordinaria amministrazione: dal denominare strade e piazze, individuate fino al 1805 solo dal cognome della famiglia più distinta che vi aveva palazzo, e dare numero civico alle case, al costruire ponti resistenti e di moderna concezione sui torrenti; dal trovare nuove destinazioni d’uso ai complessi conventuali dopo la soppressione degli ordini religiosi, a cercare risposte concrete al pauperismo e all’accattonaggio acuitisi in modo esponenziale dopo decenni di guerre e di rovesci di fortuna anche tra i ceti più abbienti. Dare una risposta razionale ai problemi sociali: questa è la motivazione che sta alla base ad esempio al grande progetto del “Dépôt de mendicité” di Savigliano, esperimento grandioso ma fallimentare, ancora poco indagato, ma curiosamente moderno sotto molti aspetti.1 Anche l’operato di Santorre di Santa Rosa “maire” della città dal 1808 al 1812 fu improntato all’apertura verso le novità ed il progresso. Giovane, animato da sincero desiderio di servire la Patria, rampollo di un casato nobiliare non inviso alla causa filofrancese, costituì un punto di riferimento moderato per le famiglie nobili locali e contemporaneamente guardò ai problemi sociali dei concittadini, occupandosi ad esempio di incentivare l’assistenza offerta dall’Ospedale, migliorare il baliatico, favorire la preparazione delle levatrici, aiutare i meritevoli allo studio, come fece per Marco Nicolosino che grazie a lui poté recarsi a studiare a Parigi.2 Se tra il 1802 ed il 1814 la sfera di influenza di Savigliano come capoluogo di circondario si era estesa fino a Cherasco, Racconigi e Fossano, assai brusco fu il risveglio dei Saviglianesi al ritorno sul trono dei Savoia nel 1814. Non solo Savigliano non tornò ad essere capoluogo di provincia quale era stata fino al 1749, ma non restò neppure capoluogo di circondario. Perse il tribunale, la sede dell’Intendenza, e tra il 1822 e il 1829 anche le scuole superiori. Restò capoluogo di un “micro”mandamento, formato solo dalla comunità di Genola e dalla comunità di Savigliano stessa, mentre come capoluogo di provincia l’Amministrazione sabauda scelse Saluzzo. Se si presta fede alla quantità di suppliche che l’Amministrazione Civica inviò a Corte tra il 1821 ed il 1847 rivendicando un ruolo amministrativo più dignitoso3, si deve arguire che i Saviglianesi si sentissero ingiustamente penalizzati, colpiti negli interessi e nell’orgoglio. Per oltre venticinque anni il nocciolo delle suppliche non cambia: Savigliano vuole essere capoluogo di provincia, non perché è stata importante in passato, ma perché lo è ancora, per la posizione geografica, il numero ed il reddito degli abitanti, ed il conseguente gettito fiscale. In effetti a fine anni Trenta, ad esempio, per il gettito fiscale la città si collocava nel Regno Sardo subito dopo Torino, Alessandria, Cuneo e Novara. Genova e tutta la sua Provincia portavano all’erario introiti fiscali per 77.000 lire annue contro le 89.800 lire di Savigliano. 4 A fronte di questo alto “peso specifico” fiscale ed del numero di abitanti (circa 16.000) alla città “non erano stati restituiti” il tribunale, l’Intendenza, le scuole superiori, non c’erano sbocchi per i figli dei nobili ed erano sottovalutati dal Governo Centrale gli sforzi enormi compiuti dai Saviglianesi per dotarsi di un quartiere di cavalleria in grado di ospitare un intero reggimento. C’era mortificazione anche per la mancanza di una sede più decorosa ove trasferire il Palazzo Civico; il Consiglio Comunale aveva fatto fin dal 1814 richiesta al Regio Economato dell’ex monastero di Santa Monica, ma nel cenobio avevano fatto ritorno dopo il 1817 le monache, rendendo inattuabile il progetto. Tutte le suppliche inviate alle “Sacre Reali Maestà” in un quarto di secolo non produssero il ritorno degli uffici pubblici persi e c’è da credere che veramente gli abitanti dai 18.000 del periodo francese fossero nel 1847 scesi a 15.500 dei quali “la terza parte consta di poveri che subentrarono alle famiglie agiate trasferitesi altrove per non saper reggere all’aspetto della continua decadenza della Patria” 5. Tuttavia la città reagisce e a partire dagli anni ’30 non manca di dare segni di vivacità. In piena aderenza alla politica urbanistica di Carlo Alberto, sembra pensare a sé in modo moderno, autofinanziando le trasformazioni con l’unica leva in mano ai Municipi ossia l’aumento dei dazi. Si ampliano le zone mercatali, si lastricano le strade coprendo i canali, si punta ad accasermare un reggimento intero di cavalleria per dare sbocco alla produzione locale di foraggi e per offrire una carriera militare ai figli dei nobili. Individuato l’architetto saviglianese Maurizio Eula (1806-1879) come tecnico comunale di fiducia, a lui viene affidata la redazione del

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Piano Regolatore e del Regolamento d’Ornato (tra il 1832 e il 1841). 6 Contemporaneamente l’Amministrazione gli richiede i progetti per la Piazza d’Armi, il nuovo cimitero, il mercato coperto. Una Società di privati cittadini gli affida il progetto ed il coordinamento operativo del cantiere di un nuovo teatro. Tutti questi stimoli giovarono al contesto sociale ed economico locale ed il quadro della Savigliano e dei suoi servizi nel 1847 non è troppo sconfortante: la città ha 15.500 abitanti, sei parrocchie, quattro case di religiosi, due ospedali (uno per malattie acute, l’altro dal 1825 per malati cronici), un orfanotrofio femminile, un ospizio maschile, il Monte di Pietà, un Ritiro Regio (ossia le Rosine), un Collegio ed un Convitto Regio per gli studi superiori, un Riformatore agli studi, una Casa di pubblici bagni, un Comandante militare, le carceri. Il Reggimento di Cavalleria, composto o da quattro o da cinque squadroni, garantisce la presenza dai 480 ai 600 militari.7 Passo a passo la città affronta i grandi nodi dell’istruzione e dell’assistenza: là dove non arriva la mano pubblica, si organizzano i benefattori privati e gli ambienti religiosi. Così nel 1848 è istituito il primo Asilo Infantile, nel 1850 nasce la Società di Mutuo Soccorso ed Istruzione tra Operai. Nel 1853 l’arrivo della Strada Ferrata (linea Torino - Savigliano) e, subito dopo, la nascita delle Officine Ferroviarie sanciscono per Savigliano una nuova centralità in fatto di comunicazioni e uno sbocco prospero per l’economia locale - non più trainata solo dal settore primario - ma avviata ad una identità industriale e artigianale di alta qualità nel settore della falegnameria, carradoria e delle lavorazioni meccaniche.

Società e cultura Già il medico Giovanni Antonio Marino lamentava a fine Settecento che tra i possidenti saviglianesi andasse scemando la componente aristocratica.8 L’emorragia non si arrestò nei decenni successivi; il turbinio di fortune e vicende personali del periodo napoleonico significarono ad esempio la rovina quasi totale di antichi casati, quali i Taffini ed i Cravetta, il trasferimento in Francia di altri, quali i Solere: anche per questa ragione i componenti del Consiglio Municipale furono sempre più spesso borghesi e non aristocratici. C’è da chiedersi quali forme abbia assunto la vita sociale e relazionale tra la superstite nobiltà locale e la borghesia agiata, nel momento del “redde rationem” ossia del ritorno dei Savoia con la Restaurazione, ma soprattutto dopo il marzo 1821. Una delle conseguenze locali - mai indagate - dei moti del 1821 fu che a Savigliano, patria del cospiratore Santorre di Santa Rosa, si scavarono sicuramente profondi solchi tra le diverse famiglie. Benché i Derossi di Santa Rosa fossero casato stimato, che aveva annoverato vari sindaci, la sconfitta della causa di Santorre portò senza dubbio molti benpensanti a prendere le distanze dalla “testa calda” che aveva trascinato alla rovina economica anche la moglie ed i figli. Non corse certamente molta cordialità tra famiglie filo-sabaude schierate con la reazione, quale ad esempio, quella dei Galateri di Genola e Suniglia o dei Santa Rosa ramo Filippo, zio del patriota, e quelle che per parentela o adesione sommessa al costituzionalismo di Santorre non contribuirono a screditarlo, quali i Cravetta, gli Arrigo, i Ripa di Meana, i Malines di Bruino. Si dà qui per la prima volta una riprova pressoché inedita del clima pesante che in città si percepì per circa 10 anni e che solo la morte di Carlo Felice (1831) disvelò parzialmente. Il 19 maggio 1831 il monaco cassinese Francesco Piatti commemora in San Pietro il re Carlo Felice in una messa solenne di esequie ed il suo discorso, fortunatamente dato poi alle stampe, ha alcuni passi assai significativi: /…/ in mezzo ai disordini di una malconsigliata ribellione, prima che si tingessero questi campi di sangue cittadino/…/ senza rammendare i disordini del 13 marzo 1821 che tanto indebolendo in appresso i legami dell’umana comunanza, resero sì angosciosa la vita coll’isolarci; e senza incrudire da temerario delle piaghe non ben rimarginate ancora e dolorose /…/. 9 Parole che sono come un lampo di luce su un periodo molto difficile per la città e che coincide con gli anni di regno di Carlo Felice. C’è da chiedersi se i Ruffino di Diano e Gattiera si schierarono e da quale parte. Il nonno di Luigia, Giambattista Ruffino era soprattutto noto come appassionato di musica, organista volontario in S. Filippo; il padre di Luigia, Carlo, era ritenuto da Santorre quand’era sindaco persona corretta e stimata. 10 Non aveva cariche amministrative importanti ma era apprezzato come benefattore. In quanto al coinvolgimento di figli nei moti del ’21, non avendone di maschi, il casato non ebbe dispiaceri di sorta; a porre in buona luce i Ruffino presso Carlo Felice ci pensò sicuramente il cognato Falletti di Rodello, vicesindaco della città e Maggiordomo di Corte, che nel 1822 ospitò nel suo palazzo di via Sant’Andrea le Reali Maestà di passaggio a Savigliano “splendidamente accolti”.11 In un contesto locale così dilaniato, la vita di relazione per molti anni si restrinse ai salotti di famiglie politicamente affini. Non è un caso che il tema della riattivazione del teatro, spazio di vita sociale e di intrattenimento molto più aperto e libero, si sia riaffacciato solo agli inizi degli anni ’30 dell’Ottocento, quando guardando al nuovo re Carlo Alberto parve ai Saviglianesi che fosse ora di voltar pagina, e di ridare vigore alla vita sociale e culturale.

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Nel 1833 il viceintendente Giovanni Eandi sintetizza la situazione: “I saviglianesi dei nostri giorni sono molto inclinati e hanno una particolare disposizione non solo alla nobil arte della pittura, ma eziandio alla musica e si contano in entrambe eccellenti soggetti” /…/ “Evvi anche un pubblico teatro capace di contenere 450 spettatori; questo locale essendo troppo vetusto, senza volta, e non compìto di muratura, sarà ora ingrandito e perfezionato a spese di una Società di privati cittadini guidati dal desiderio di abbellire ed ornare la Patria loro di una migliore sala e di procurarle il comodo di un onesto e pacifico trattenimento”.12

Savigliano e la passione per il teatro Fin dal 1745 una”Società di Cavalieri” aveva fatto nascere a Savigliano un teatro per lo svago della nobiltà. Era l’epoca in cui ovunque in Europa il piacere del trattenimento e del confronto in campo letterario, musicale, teatrale spingeva gli aristocratici fuori dai palazzi signorili; qualche decennio dopo la Rivoluzione Francese non abolì i teatri ma li interpretò come luoghi atti “all’educazione permanente”, alla laicizzazione della vita sociale, all’acculturazione del pubblico meno abbiente. Queste motivazioni sopravvissero anche nel periodo della Restaurazione ed il rinnovamento a metà anni ’30 del teatro di Savigliano si basa in modo emblematico su questi presupposti. Infatti, la rinata “Società degli Azionisti” è composta da nobili ma anche da molti borghesi. La nuova sede resta nel centro città, perché si riconosce al teatro un ruolo di rilievo non solo per la cultura, ma anche per l’attrattività cittadina nei confronti dei forestieri, degli ufficiali della guarnigione, degli studenti… La forma architettonica è semplice: una grande sala ellittica senza accessori non indispensabili quali ingressi sontuosi, sale di rappresentanza, terrazze o pronao sull’esterno. L’essenzialità favorisce l’inserimento dell’edificio nel tessuto urbano. Domina il razionalismo funzionale del teatro d’opera tradizionale: due ordini di palchi, una galleria e l’ultima galleria (loggione) destinato al pubblico meno abbiente, in una coabitazione ben compartimentata ma che comunque non esclude più nessuna classe sociale. La sobrietà ha da essere il dato estetico caratterizzante, non a caso il cantiere che ruota Giuseppe Gardet (1776-1852) intorno al nuovo teatro tra il 1834 e il 1836 Prospetto della piazza vecchia di Savigliano nell’anno 1835, disegno, Museo Civico di Savigliano. è costituito da un sodalizio di artisti che ha accettato completamente l’invito della committenza a guardare all’antichità classica. La selezione di artisti (partita dall’individuazione di Maurizio Eula come architetto e coordinatore del cantiere) ha come pregiudiziale l’aderenza piena al Neoclassicismo. Pittori, scultori, stuccatori, ornatisti e scenografi hanno come riferimento formativo le Accademie di Belle Arti, specialmente Milano, Roma e l’Accademia torinese che ha da poco attivato anche i corsi di “scenografia e prospettiva”. 13 Del ruolo di coordinamento di Maurizio Eula e dei rapporti con i pittori Pietro Ayres, Gioachino Brero, lo scultore Giuseppe Gardet e le altre maestranze artistiche hanno già trattato vari studi e pubblicazioni, ai quali si rimanda. 14 In questa sede interessa piuttosto di cogliere il rapporto tra la nuova struttura e la città. Dal punto di vista culturale, la presenza rinnovata del teatro dà la stura ad un grande fermento, che investe anche la letteratura e la musica. Siccome le rappresentazioni teatrali erano soprattutto melodrammi, il ruolo del canto e della musica erano sostanziali. La necessità di un’Accademia Filarmonica, intesa a favorire lo studio della musica, fu subito evidente ed essa funzionò quasi ininterrottamente dal 1836 al 1879, favorendo la carriera di molti artisti locali. Corposo l’elenco dei musicisti formatisi in città che Casimiro Turletti cita in ordine sparso nella sua storia: dai cultori - compositori come l’avvocato Giacomo Novellis ed il conte G.Battista Ruffino,

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appassionato organista, a Domenico Musso, Natale Paoletti per il pianoforte, G.A.Borra,violinista e compositore, Giacomo Filippa violinista,Giovanni Ferrero contrabbassista, ed i fratelli Cuniberti. Il marito di Luigia Ruffino, Carlo Della Chiesa, fu un estimatore e sostenitore del canto corale. Per non dire del caso, anzi del fenomeno delle due bambine prodigio Teresa e Maria Milanollo: nate entrambe a Savigliano, l’una nel 1828 e l’altra nel 1832, la maggiore Teresa fu avviata qui ai primi studi di violino presso Giovanni Morra ed il Ferrero, ma ben presto, necessitando di maestri ben più capaci, esse emigrarono in Francia con l’intera famiglia, acquisendo poi un’immensa fama in tutta Europa ed irradiando un po’ della loro gloria anche sulla città natale15. Ma la presenza del teatro fu curiosamente di stimolo a passioni letterarie latenti in proprietari e professionisti, basti ricordare Carlo Novellis (1803-1855) medico e storico locale che scrisse per la recitazione nove testi editi ( e molti altri inediti) ed una riflessione critica “Discorso sui teatri di Torino” (Torino,1841) sulla situazione del teatro di prosa in Piemonte; Casimiro Gandi (1818-1898), possidente terriero e agronomo, che fu autore di una decina di commedie di tradizione goldoniana, il teologo Michelangelo Cuniberti che fu autore tragico, il cavaliere Tristano Galateri drammaturgo per diletto. 16 Soprattutto, la presenza del teatro introdusse Savigliano alle forme di svago della grande città: ad esempio per gli intrattenimenti musicali non si doveva più cercare di essere accolti nella ristretta élite dei salotti signorili oppure frequentare i concerti di musica sacra occasionalmente ospitati nelle chiese di Sant’Andrea o di San Pietro o presenziare agli appuntamenti delle bande militari17: il teatro offriva appuntamenti operistici, di recitazione, di ballo, (le attesissime soirées danzanti) particolarmente graditi agli ufficiali del reggimento Dragoni del Genovese, che era di stanza in città dal 1829.

Le arti figurative Il cantiere del teatro fu soprattutto uno stimolo forte per la categoria degli artisti, pittori, scultori, indoratori, miniaturisti, dei quali molti, seppur nati a Savigliano, erano stati costretti a trasferirsi altrove, in quanto per alcuni decenni la città aveva offerto ben poche occasioni di lavoro. Infatti, nel periodo napoleonico, le peripezie delle famiglie aristocratiche, la chiusura dei conventi, le difficoltà della Chiesa avevano creato un contesto di debolezza dei tradizionali committenti, e gli artisti cercarono a Torino o in grandi città i propri punti di riferimento formativi e lavorativi. Le ultime figure di spicco erano state Giuseppe e Stefano Chiantore, padre e figlio, attivissimo in città il primo, noto il secondo solo per il medaglione in chiaroscuro sulla facciata della chiesa dell’Assunta. Non a caso Giuseppe muore nel 1824 a Torino, dove era stata trasferita l’attività18. Non diversa la vicenda dei Pittatore, G. Stefano padre e Michelangelo figlio. Il primo studiò pittura a Torino e poi si trasferì ad Asti, e pur eseguendo vari lavori per chiese saviglianesi, campò più come indoratore che come pittore. Il figlio invece si affinò e acquisì molta notorietà ad Asti ed in Piemonte nel periodo della Restaurazione. 19 Ancora poche certezze abbiamo intorno a Ferdinando Cavalleri (1794-1865), secondo Turletti nativo di Savigliano, secondo altri racconigese o torinese, che si divise tra Torino ove era professore dell’Accademia e pittore di corte, e Roma, dove acquisì larga fama e divenne direttore del Pensionato del Re di Sardegna. 20 Di altri artisti di ambito strettamente locale quali Domenico Arò, Marchetti, Angelo Vacca, Borra restano solo stringate citazioni degli storici Novellis o Turletti. Il primo pittore di fama che visse abbastanza a lungo per riannodare i legami con la città natale fu Pietro Ayres (Savigliano 1794 Torino1878). La sua vita avventurosa ha avuto un estimatore coevo in Casimiro Turletti, che forse lo conobbe di persona, e certamente con lui condivise conoscenti comuni. Lo studioso accenna alle grandi tappe della carriera artistica di Ayres, ma non approfondisce alcuni passaggi importanti, quali la formazione giovanile, le vicende artistiche tra Russia e Polonia, i rapporti con l’Accademia di Belle Arti di Torino, della quale indica Ayres come professore ma non come allievo, e soprattutto tace riguardo ad un particolare che non poteva essergli ignoto, ossia l’esistenza di un altro pittore a Torino chiamato Pietro Ayres “di Cagliari”, operativo negli stessi anni e spesso negli stessi cantieri. Questa compresenza ha generato disorientamento nella attribuzione della produzione artistica di entrambi, anche per variazioni di qualità esecutiva che non erano attribuibili al saviglianese, ma che forse in seguito ne danneggiarono l’immagine. Gli storici dell’arte che più volte in tempi recenti si sono trovati di fronte non a uno, ma a due Ayres, senza riuscire a stabilire il rapporto reciproco tra i due, sarebbero stati molto grati a Turletti se egli avesse rivelato che l’Ayres saviglianese era zio di quello sardo del quale fu, oltre che maestro, protettore e sostenitore presso la Corte sabauda, come chiarisce Elena Scarrone nell’approfondimento pubblicato in questo catalogo. 21

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Ai fini di questo saggio basti ricordare che negli anni del cantiere del teatro (1834-1836) Ayres era già stimato e noto abbastanza da essere specificatamente richiesto per gli interventi pittorici più importanti, ossia il sipario, la volta della platea e la volta del ridotto. Ayres a quel tempo lavorava sia a Palazzo Reale a Torino, che alle residenze di Pollenzo e Racconigi, sotto la direzione di Pelagio Palagi, ed aveva già eseguito alcuni dei suoi migliori ritratti, quello alla famiglia Ferrero dei marchesi della Marmora (1828) e quello del conte G. F. Galeani Napione (1830). Questa fama gli procurò committenti anche in patria: in quegli anni secondo Turletti, si fecero da lui ritrarre tra gli altri il banchiere G.B. Cardellino, Francesco Denina proprietario, Carlo Bianchi, Carlo Novellis, i coniugi Enrichetta e Annibale Galateri. É attribuibile al nostro artista anche l’inedito ritratto ancora conservato in città dell’avvocato Carlo Oggero, sindaco di Savigliano dal 1833 alla morte, avvenuta nel 1835, che sicuramente conobbe Ayres nel cantiere del teatro e che gli commissionò il ritratto ufficiale del re Carlo Alberto per il Palazzo Civico nel 1834. 22 Con certezza sappiamo che il pittore disegnò l’effige della Madonna con il bambino del Santuario della Sanità (1841), un’altra effige dell’Immacolata, e per l’amico saviglianese G.B. Abate il proprio splendido autoritratto che gli spedì da Roma e che passò nel 1885 di proprietà di Maurizio Villa. Molto resta da mettere a punto sul saviglianese Pietro Ayres, specialmente un catalogo completo della sua produzione, separata da quella del nipote nato in Sardegna, ma qui basti ricordare che le sue molteplici esperienze, il suo sapersi adeguare sia ai canoni algidi e formali del neoclassicismo che all’espressività romantica nel genere del ritratto furono di stimolo alla generazione successiva di pittori locali; dal Domenico Cardellino autore della ancona di Santa Cecilia, eseguita nel 1836 per l’Accademia filarmonica, a Domenico Riccardino, Matteo Marcellino, Pietro Masino pittori ad olio e frescanti molto richiesti per chiese, cappelle o piloni, per ritratti di benefattori, per lavori decorativi di portata limitata, tutti diligenti artisti, di seconda fila, ma fieri di essere concittadini del grande Pietro Ayres. Altri importanti personaggi nel panorama artistico locale della prima metà dell’Ottocento furono Giuseppe Gardet, Marco Nicolosino, Gioachino Brero. Del primo tratta ampiamente in questo volume Alessandro Abrate a proposito delle frequentazioni della famiglia Ruffino e dei precettori di Luigia. Basti aggiungere che in Savigliano e città vicine non pochi privati conservano parte dei suoi innumerevoli lavori (disegni, mobili, curiosità), meritevoli in futuro di una catalogazione critica, ed esercitazioni e studi accademici assai gradevoli delle due figlie, Luigia e Marianna. Il nome di Marco Nicolosino (Savigliano 1797 – Torino 1856) è collegato all’adozione in Piemonte della tecnica litografica nata in Baviera, che Nicolosino avrebbe appreso a Parigi, durante il suo soggiorno per studi tra il 1812 e il 1813, e per la quale non riuscì ad ottenere il privilegio di privativa dal Re nel 1817 perché fu preceduto di poco da Felice Festa. Nicolosino subito dopo lasciò Savigliano, prese casa e moglie a Torino e lavorò moltissimo come disegnatore per edizioni pregiate arricchite da tavole disegnate e litografate, in particolare nelle opere di Modesto Paroletti. Per la città natale occorre almeno citare le tavole riferite al Santuario della Sanità e dell’Apparizione, e soprattutto l’eccezionale “Piano in rilievo della città di Savigliano” fedele riproduzione tridimensionale della Savigliano degli anni 1817-1835, oggi conservato nel Museo Civico. Testimonianza concreta e minuziosamente realistica del suo affetto per il luogo natale, il piano in rilievo venne acquistato per una somma simbolica dal Comune, su indicazione di Maurizio Eula, che intendeva utilizzarlo per la predisposizione del Piano Regolatore. Non meno interessanti per ricostruire l’aspetto di Savigliano intorno al 1817-1820 sono le dodici vedute conservate presso la Biblioteca Reale di Torino e recentemente pubblicate. 23 E’ certamente da collegare all’amicizia con Nicolosino l’esperienza del teologo saviglianese Andrea Denina che intorno al 1820 “ si distinse tra i dilettanti/…/ impegnati nei primi saggi litografici presso lo stabilimento di Felice Festa/…/”24 e l’attività del litografo Giacomo Arghinenti, anch’egli di origine saviglianese, che compare spesso come collaboratore di Nicolosino in tavole delle quali quest’ultimo è disegnatore25; nello stesso modo è documentata la collaborazione per quanto riguarda l’incisione in legno, con un altro saviglianese, l’incisore Giovanni Volpe26. Si può quindi dire di Nicolosino che, procuratosi rispetto e fama a Torino, contribuì a creare un piccolo sodalizio di lavoro di artisti saviglianesi e concorse come nessun altro a diffondere tramite illustrazioni l’immagine della città natale, mettendo a frutto, là dove erano carenti le qualità di pittore vedutista, la sua abilità di topografo. Gioachino Brero è un altro di quegli artisti nati a Savigliano dei quali gli storici ottocenteschi più che scrivere hanno favoleggiato. Nelle sue “Effemeridi storiche saviglianesi”, in parte manoscritte, Casimiro Turletti ha lasciato scritto nel 1879: “19 maggio 1839. Morte del Gioachino Brero, pittore distinto per le prospettive e per genio romanzesco. Dipinse in Savigliano sua patria, in Nizza dove venne nominato professore di disegno, d’ornato e d’architettura, e pittore del teatro; lasciò squisiti lavori in Francia, in Firenze, Napoli ed in Roma. Ovunque fu amato ed accrebbesi fama. Caro a Re Carlo Alberto ed alla Regina, al granduca Michele di Russia ed al car-

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dinale Ruffo, il quale ospite suo il tenne nell’alma città”. In realtà Turletti non fa che riferire quello che prima di lui avevano scritto Giovanni Eandi nel 1833, Goffredo Casalis intorno al 1840 e Carlo Novellis nel 1844; a tutt’oggi non sappiamo aggiungere molto di più, mentre dei periodi vissuti in Francia pochi altri particolari biografici si rintracciano in un articolo scritto sul Brero nella rivista Nice Historique del 191127. Volendo tracciare una sorta di provvisorio quadro biografico riassuntivo, il Brero, nato a Savigliano nel 1807 e dimostratosi precocissimo nel disegno, se ne allontana nel 1829. Vive dapprima a Nizza Marittima, poi a Firenze; nel 1833 è a Napoli, poi di nuovo a Nizza, dove viene presentato a Carlo Alberto, cui fa dono di una veduta della città; viene nominato professore di disegno e d’ornato; intanto è incaricato delle pitture per il teatro di Grasse, che poi non viene realizzato, e per il teatro di Nizza. Nel 1837 lavora per il granduca Michele di Russia - non è chiaro dove - ed infine cade infermo e muore a 32 anni a Roma. Amico di Nicolò Paganini, ne avrebbe realizzato il ritratto “ che riuscì somigliantissimo”(Novellis). Che fosse “abilissimo nella prospettiva”è provato dal fatto che nel cantiere del teatro proprio a lui erano state affidate “le scene” ossia i fondali, ma essendosi allontanato dalla città, la Direzione dei lavori dovette farli ultimare da altri. Barety su Nice Historique nel 1911 ha lasciato scritto che in città si conservavano ancora da privati e dagli allievi del Brero delicati acquerelli e guaches con vedute di Nizza, Saorge, Le Ponchettes, mentre gli affreschi di sua mano siti su molte case in via Segurane ed in Rue de France erano ormai tutti persi. Forse il carattere ribelle o i tempi avventurosi non gli permisero il consolidamento dei risultati raggiunti, la morte precoce fece il resto ed è oggi difficile riconoscerne la mano o catalogarne l’opera. Occorrerebbe sottoporre a verifica la copiosa produzione che gli attribuisce Turletti nei suoi farraginosi appunti manoscritti dedicati agli artisti saviglianesi, conservati nel museo Gioachino Brero, Obio, ossia l’acero abitabile di Savigliano, civico di Savigliano, luogo dove purtroppo non sono confluite molte opedisegnato dal vero, 1833, collezione Museo Civico. re originali del Brero, solo il disegno del 1833, litografato dal Denina, del celebre “Obio”, ossia l’acero abitabile della tenuta Matibò presso Savigliano ed uno schizzo, autografato e datato, dell’esterno del santuario della Sanità nel 1831, bozzetto di grande freschezza, appartenuto proprio allo storico saviglianese28.

Il tempietto di palazzo Della Chiesa e altre memorie dei conti Ruffino A margine di queste note dedicate alla città e all’arte, sembra opportuno riservare un piccolo spazio al cosiddetto “tempietto” di casa Della Chiesa, che per molti decenni ha rappresentato un elemento molto originale nell’ambito dei giardini di palazzi privati nella cerchia urbana, e che in alcune sue parti esiste ancora costituendo, con pochi altri reperti storici, le uniche tracce della presenza per secoli in città del potente casato dei nobili Ruffino.29 I conti Ruffino di Diano e Gattiera avevano avuto abitazione in zone più centrali della città, ma nei primi decenni del Settecento, come altri notabili locali, avevano approfittato dello spianamento dei bastioni ordinato da Vittorio Amedeo II per occupare un’area diventata edificabile in direzione sud e costruirsi una dimora spaziosa e confortevole, dotata di un notevole terreno di pertinenza, in grado di ospitare un ampio parco e ambienti di servizio degni del rango dei proprietari. Il palazzo Ruffino in via della Corsica, ora via San Francesco, ebbe fin dall’origine un aspetto imponente ma non sfarzoso, da dimora borghese piuttosto che aristocratica. All’edificio, originariamente costituito dal solo corpo di fabbrica parallelo a via della Corsica, a due piani più mezzanino, si aggiunsero successivamente l’ala perpendicolare, verso sud, ed infine nell’Ottocento le scuderie neogotiche. E’ molto probabile che parte del

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muro di cinta della proprietà abbia inglobato spezzoni delle antiche fortificazioni; l’ampia proprietà confinava da un lato con l’orto dei frati di S. Francesco ( circa due giornate di terreno), dall’altra dapprima con gli orti dei padri di S. Domenico, e poi con i successivi occupanti dell’area, diventata caserma di cavalleria. Quest’ultima costituiva una tipologia di vicinato un po’ rumorosa, che offriva però il vantaggio di trovare facilmente tra gli ufficiali degli affittuari per i vari alloggi dati in affitto nel palazzo, quando mutati i tempi, nell’Ottocento, anche la nobiltà si adattò a spazi di abitazione limitati, riducendo ad alloggi a pigione altre parti dei palazzi aviti. Pochi sulla facciata esterna gli elementi estetici distintivi dell’edificio: alcune aperture ellissoidali, un androne profondo, il portone principale sormontato - ancora oggi - dallo stemma gentilizio in marmo. “Architettura dignitosa ma non monumentale”, secondo definizioni di anni recenti30. Alcune fotografie di fine Ottocento documentano una estrema semplicità anche sulla facciata interna della parte padronale : due balconi profondi al piano nobile, sottolineati, insieme alle aperture del piano terreno sul parco, da robuste strutture centinate destinate a sorreggere nella bella stagione una cornice imponente di rampicanti (glicini? roseti?). Ma la sorpresa del palazzo era in fondo al parco, all’estremità sud-ovest, a ridosso del muro di cinta in direzione del fabbricato dell’Ospedale; in quel punto dalla metà dell’Ottocento agli anni ottanta del Novecento ebbe sede una costruzione del tutto insolita: un mausoleo dedicato alla memoria del casato Ruffino, ricordato da un gruppo nutrito di iscrizioni funerarie, lapidi e busti di personaggi dei sec. XVII e XVIII, provenienti Il Tempietto fatto costruire da Luigia Ruffino dai sepolcreti di famiglia delle chiese di S. Domenico e di S. nel giardino della casa di Savigliano intorno al 1840. Pietro. Quando le chiese vennero smantellate dai filofrancesi ad inizio Ottocento, questi spezzoni di storia familiare furono messi in salvo dai Ruffino di allora, ma toccò a Luigia, ultimo ceppo del casato, dare ai frammenti una sistemazione degna. Accantonata l’idea di un monumento sepolcrale di ispirazione neogotica, secondo il progetto fornito da E. Arborio Mella cui si accenna in catalogo nel saggio già citato di A. Abrate, la contessa si orientò verso una costruzione assai semplice: una struttura a tumulo, di forma quadrata, in muratura, in grado di sorreggere in modo ordinato le lapidi ed iscrizioni di quattro avi: Ottavio ed Enrico, Carlo ed Enrico II, tutti vissuti tra Cinquecento e Seicento, forse i quattro personaggi Ruffino che in assoluto hanno pesato di più nella storia antica di Savigliano, anche per le loro cariche presso i Savoia. Le lapidi, gli stemmi ed il busto di Enrico II furono accostate nel tumulo in modo accurato, e adattate grazie all’inserimento di elementi di raccordo (cornici modanate, piedistalli, lesene,cariatidi, testine di angioli) alcuni dei quali eseguiti ad hoc, altri - a giudicare dalle fotografie - forse coevi alle iscrizioni. Luigia completò l’opera con un’ultima iscrizione, dalla quale si apprende che fu suo padre Carlo a mettere in salvo le lapidi, e che il mausoleo fu da lei edificato nel 1842 (anno della morte precoce della figlia Angelica: fu certamente il dolore cocente per quella perdita che spinse la madre a pensare alla forza della memoria familiare e a farle riprendere l’idea del mausoleo). Il tumulo quadrato aveva dimensioni contenute: circa 160 cm. di lato e 120 di altezza, cui si deve aggiungere l’altezza del busto di Enrico II. La contessa pensò però ad uno spazio di rispetto, che favorisse il raccoglimento, e volle dall’ignoto progettista quasi a protezione un peristilio di forma classica, alto oltre tre metri, costituito da otto colonne in sarizzo sorreggenti la cupola ottagonale di circa quattro metri sui lati lunghi31. La forma solenne del colonnato, il colore grigio del materiale, i segni del passaggio dei secoli imposero rispetto per la costruzione, benché insolita, per quasi 150 anni; ma negli anni Ottanta del secolo scorso i Della Chiesa vendettero la proprietà e lasciarono de-

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finitivamente Savigliano; si intraprese allora la riconversione dell’immobile in molte unità immobiliari con frazionamento anche del parco, ed il mausoleo con le memorie dei Ruffino cominciò ad apparire - come era naturale - fuori posto e di impiccio. Il tumulo fu smontato, parte dei pezzi finì nel museo civico, parte rimase nel parco, molti elementi di raccordo andarono persi, di fatto rendendo assai difficile e problematico ricostruire il mausoleo in altro luogo. Il peristilio è rimasto al suo posto, e la sua forma elegante - ora che le memorie dei sepolcri sono state allontanate - concorre alla bellezza del giardino. Il museo civico si è trovato ad accogliere, tra i ventitre spezzoni che gli sono arrivati nel 1986, uno stemma Ruffino molto imponente, due cariatidi, alcuni angioletti barocchi di buona fattura, l’iscrizione del 1842, tutte pietre che parlano, a chi le sa ascoltare, della caducità delle cose umane, che non risparmia neppure le lapidi riciclate. D’altra parte non sono molte le altre memorie che la città conserva del casato Ruffino: l’intitolazione di una breve via che coincide con parte del tracciato dell’antica via della Corsica, alcuni epitaffi nella cappella di patronato dell’abbazia di S. Pietro, dedicata alla Assunta, due busti con iscrizioni sulla facciata dell’ex Conservatorio delle Orfane, fondato e sempre protetto dai Ruffino, altre epigrafi nell’Ospedale SS. Annunziata. Nel museo civico, oltre alle parti del tempietto, restano alcuni ritratti di benefattori, un bel piatto in maiolica con stemma gentilizio che fu parte di un servizio da tavola realizzato su ordinazione nel secondo quarto del Settecento dalla Manifattura Levantino di Savona, donato da un conte Della Chiesa al museo nel 191432, e una copia della “ Relatione Della solenne Entrata fatta nella città di Savigliano dalle regali altezze/.../” scritta nel 1668 da E. F. Panealbo, completa delle quattro splendide incisioni di Giovenale Boetto, che fu donata dai conti Della Chiesa perché la famiglia nella ricchissima biblioteca ne possedeva più copie…. D’altronde il Turletti nel raccontare che il palazzo Ruffino, ai suoi tempi già passato ai Della Chiesa “contiene molti buoni quadri, quantità di ritratti, mobilio squisito /.../ e le più antiche pergamene che ancora trovinsi in città”33 ci rammenta come la storia locale vada cercata sia nella documentazione ufficiale di mano pubblica che nelle memorie scritte o artistiche fortunatamente ancora conservate dai privati. Rosalba Belmondo 1 Il “ Dépôt de mendicité ” collocato negli spazi capienti dell’ex monastero di Santa Monica e in parte nell’ex San Domenico, avrebbe dovuto accogliere fino a 600 individui poveri di tutto il circondario, applicando una formula ibrida tra casa di detenzione, ospizio, opificio per attività artigianali. L’esperimento, tentato anche in altre località piemontesi, si risolse in un fallimento perché dal 1808 al 1814, anno della chiusura, il rapporto costi-benefici fu costantemente negativo. Cfr. C. Turletti, “Storia di Savigliano corredata di documenti”, Savigliano 1879-1888, vol. I, pag.1088; vari riferimenti anche nel vol.II parte Religione e parte Beneficenza . A Biella è stato studiato l’analogo caso, si veda “I miserabili a San Sebastiano.1808-1818: da convento a deposito di mendicità” Biella, Fondazione Museo del Territorio, 2003 2 Cfr. A. Olmo,”Savigliano capoluogo del Dipartimento della Stura. Una ambiziosa proposta del sindaco Santorre di Santa Rosa all’imperatore Napoleone I”, in Studi Piemontesi, marzo 1974 vol. III. p.175-179 3 Le suppliche ripetute che la città invia a Torino sono conservate nell’Archivio Storico Comunale di Savigliano (d’ora in poi ASCS) nei volumi di Ordinati, a partire dalla supplica del 19 marzo 1821, vol.373 pp.221 e ss. fino alla più dettagliata ed esasperata del 9 settembre 1847, vol.345 pp.209 e ss. 4 I dati statistici sul gettito fiscale sono contenuti negli allegati alla supplica del 1847. Vi si evidenzia che 35 località degli stati sardi, pur essendo capoluogo di provincia, pagavano un Tributo Regio inferiore a quello di Savigliano, e che delle città capoluogo di provincia ben 13 erano meno popolate di Savigliano. Il gettito fiscale alto era legato all’imposta fondiaria per suoli altamente produttivi. 5 Supplica a Carlo Alberto del 9 settembre 1847, cit. Anche C. Novellis nel 1844 definisce la condizione di Savigliano “non invidiabile” pur confidando che prima o poi “verranno restituiti i tolti favori grazie alla posizione geografica e ai pregi naturali” (Cfr. C. Novellis, “ Storia di Savigliano”, Torino,1844, pag.175). Dietro la sordità dell’apparato governativo in merito alle suppliche non è da escludere del tutto una volontà vendicativa di Carlo Felice per essere stata Savigliano covo di filo-francesi e patria del ribelle Santa Rosa. 6 Su Maurizio Eula: voce a cura di Luca Signorelli, in ”Dizionario Biografico degli Italiani” versione on line e G. Sereno,” Maurizio Eula architetto e ingegnere in Savigliano dal 1832 al 1851, Tesi di laurea, Facoltà di Lettere e filosofia, Torino,a. a. 1991-1992 7 L’elenco delle istituzioni è contenuto nella supplica del 1847 sopracitata, integrata dalle notizie su Savigliano tratte da G. Eandi “Statistica della Provincia di Saluzzo” Saluzzo, 1833, vol.I, pagg.239 e ss. 8 G. A. Marino, “Corografia della Città e del territorio di Savigliano”, manoscritto inedito, 1788-1795 ca., ASCS. 9 F. Piatti, “Orazione detta in Savigliano il 19 maggio 1831 nella chiesa abbaziale di San Pietro dei RRPP Benedettini Cassinesi in occasione delle solenni esequie a sua maestà il Re Carlo Felice dal sacerdote Piatti Francesco professore di Retorica e prefetto del Regio Collegio di Savigliano”, coi tipi di Giuseppe Daniele, 1831, pagg.12,14. 10 ASCS, Categoria XII, Faldone 4/5, Tavola di statistica personale, dati compilati il 15 marzo 1811 dal sindaco di Savigliano Santorre di Santa Rosa. Occorre precisare che esiste una certa confusione sui nomi dei personaggi maschili di casa Ruffino di quel periodo; ad es. Turletti cita spesso come vivente ad inizio Ottocento e come ex conte un Giambattista Ruffino; il Manno dà informazioni sui Ruffino di Gattiera discordanti in molti punti dai dati tratti dagli archivi privati ed utilizzati da A. Abrate in questo stesso volume (cfr. Manno on line, sito Vivant) 11 F. Piatti, cit., pag. 27. L’opuscolo ricorda anche le benemerenze di Carlo Felice nei confronti della chiesa abbaziale di San Pietro, che il Re contribuì a far restaurare e a rimettere nelle mani dei benedettini nel 1829. 12 G. Eandi, Statistica/... / cit., 1833, v.I°, pagg. 242, 247

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13 L’articolo 9 dei “Capitoli e condizioni dalla cui base si accordano a favore delli signori Moja e Rusca le pitture occorrenti per l’ultimazione del nuovo teatro” dice “si prevengono gli intraprenditori che gli ornamenti saranno nello stile antico o per meglio dire delle migliori accademie d’Italia ad esclusione di qualunque altro stile caduto in disuso o coltivato in esteri di cui sia incerto il buon gusto in dette arti belle” doc. originale nell’Archivio del Teatro Milanollo presso ASCS, in copia presso il Museo Civico. 14 Particolarmente documentato è il volume di A. Olmo “Il Civico Teatro Milanollo” Savigliano, 1984, e la tesi sopra citata di G. Sereno. Per il confronto con altri casi di teatri piemontesi, AA.VV. “ Il Teatro Municipale di Casale Monferrato”, Casale Monferrato,1979 15 Natale Paoletti scrisse la musica per l’opera buffa “L’Orfano della selva” rappresentata nel teatro di Savigliano con grande successo nel 1839. Sui musicisti saviglianesi cfr. C. Turletti,”Storia /.../”, cit. vol. II, pagg.881 e ss.; sulle sorelle Milanollo, vol.III, pagg.838-844. I biografi locali di Teresa Milanollo riportano che all’età di tre anni la bimba fu folgorata dal suono del violino durante il concerto funebre a San Pietro per la morte di Carlo Felice. 16 Esaustivo su questi temi è lo studio di M. G. Rizzo “Teatro e spettacolo nel cuore della Provincia Piemontese: Saluzzo Savigliano (1830-1860)”, Tesi di laurea, Facoltà di Lettere, Università di Torino, a.a. 1994-1995 17 La passione per la musica in città era alimentata anche dai frequenti concerti delle bande militari del locale reggimento di cavalleria. 18 I pittori della prima metà dell’Ottocento furono utilizzati in modo spesso anonimo come ritrattisti (o copisti di ritratti) di benefattori per gli istituti di beneficenza. Ad esempio sappiamo essere di Stefano Chiantore il ritratto del canonico Enrico Ruffino di Gattiera (zio paterno di Luigia) conservato tra i ritratti dei benefattori dell’ex Conservatorio delle Orfane, firmato e datato 1822 19 C. Turletti, Storia/…/, vol.II, pag.863. A Michelangelo Pittatore il Comune di Savigliano commissionò il ritratto ufficiale di Vittorio Emanuele II, oggi in Museo. 20 C. Turletti, “Storia/…/ cit.,vol.II, pagg. 836, 837; “Arte di corte a Torino da Carlo Emanuele a Carlo Felice, a cura di S. Pinto, Torino, 1987, pagg.320-323 21 La ricerca dei precettori di Luigia Ruffino ha anche comportato la necessità di approfondire i nodi della vita di Pietro Ayres, con conseguenti ricerche su fonti edite e documentali di Cagliari , su fonti saviglianesi, sui registi dell’Accademia Albertina e dell’Armeria Reale. Si ringrazia vivamente Beatrice Zanelli per l’aiuto prestato nelle ricerche sui documenti dell’Accademia Albertina. Si ringrazia Silvia Olivero per le sollecite ricerche nell’Archivio Storico Comunale di Savigliano in merito alla famiglia Ayres e all’autoritratto. 22 Il ritratto ufficiale di Carlo Alberto fu commissionato ad Ayres nel marzo 1834, al prezzo pattuito di lire 250. Ayres lo consegna finito nel mese di agosto, precisando che “non è dal vero per essere difficilissimo ottenere la seduta”. Cfr. ASCS, Armadio 32 v.s., faldone 290, Lettere ricevute anno 1834. Era sindaco l’avvocato Carlo Oggero; la buona qualità del ritratto di costui, di proprietà privata ed ancora conservato a Savigliano, gioca a favore dell’attribuzione all’Ayres. 23 A. Peyrot, “Cuneo e la sua provincia”, a cura di Attilio Lorenzato, Marene, 2005, vol .II, pp. 654-663, schede di dodici vedute di Savigliano, con disegni inediti attribuiti a Marco Nicolosino, commentate da Rosalba Belmondo. Il disegno con la veduta del santuario della Sanità fu pubblicato nell’opera di M. Paroletti, “Descrizione dei santuari del Piemonte/…/”Torino,1825, mentre la veduta del santuario dell’Apparizione fu realizzata da Nicolosino per la “Storia di Savigliano” stampata nel 1844, dell’amico ed estimatore Carlo Novellis. 24 F. Mazzocca, Scheda su Andrea Denina in “Cultura figurativa ed architettonica”, cit. vol. III, pag. 1434 25 Era questo Giacomo Arghinenti nipote forse del saviglianese Giovanni Antonio Arghinenti (1745?-1816), incisore allievo di Porporati e collaboratore di Palmieri, artista sfortunato e senza mezzi, che si presentò all’Esposizione torinese del 1811 con “2 gravures représentant des animaux d’aprés les dessins de Palmiéri le père”, come si legge nell’ opuscolo cartaceo dell’Esposizione, pubblicato a Torino nel 1811, conservato nel Museo civico di Savigliano 26 Di Volpe Giovanni incisore in legno (1819 - 1859) Turletti a p.820 del vol.II della Storia di Savigliano scrive: “Ha lasciato alle chiese, istituti, società e tipografie, un gran numero di stampe che si usano tutt’ora”, intendendo probabilmente le matrici in legno di quadretti devozionali, augurali, celebrativi…Il Museo civico conserva numerose xilografie di Volpe. 27 Su Gioachino Brero cfr. C.Novellis, “Storia di Savigliano”, cit., 1844, pag. 313 -314;. C. Turletti, Effemeridi storiche , 1875- 1890 ca., manoscritto conservato nel museo civico di Savigliano e “Storia /…/”cit, vol.II, pag.894.; in Nice historique anno 14°, 1° aprile 1911, pagg. 121 e ss., articolo di Alessandro Barety “Brero Gioachino, de Savigliano, artiste peintre. Sa vie et ses œuvres niçoises” 28 Ecco un saggio del quadro confuso della produzione artistica locale di Gioachino Brero che nei suoi appunti Turletti ha lasciato: “/…/Brero Gioachino saviglianese nato nel 1807, morto nel 1839 dipinse due quadri di paesaggi di cui fece dono alla contessa Viterbo di Genola e sono in nostra casa sopra fornello ed in camera etc…In casa del S. Gio. Barolo avanti S. Andrea in contrada laterale stata venduta in ottobre 1876 alla Banca Popolare Agricola, i quattro sopraporta della casa Arò contrada di S. Domenico. Nel teatro di Savigliano V. Eandi Statis. V. 2 /…/ Sopraporta del Con. Ascheri. La facciata ed i dintorni del Santuario della Sanità presso lo stesso. La caccia di Diana posseduto dal S. Filippo Arrigo di Savigliano che l’ha a Torino (7 ottobre 1876). I lavori del Brero sono in gran pregio per loro genere pel distacco e naturalezza d’ogni parte. N. 4 paesaggi presso l’ Ab. di S. Andrea. Due altri presso il parr. della Pieve ? Brero disegnò la prospettiva del Santuario della Sanità tenuto da me” Manoscritto conservato nel Museo civico di Savigliano, Fondo Marcarino, Faldone 3, Fasc. 1 manoscritto“Artisti illustri /…/” pag. 13 29 Al tempietto si è già accennato in questo catalogo nel saggio di Alessandro Abrate dedicato ai Ruffino. 30 La definizione è riportata nella “Relazione descrittiva del Piano di Recupero per l’isolato sito in via San Francesco”, pratica anno 1986 ca, Archivi dell’Ufficio Urbanistica, Comune di Savigliano. 31 La descrizione dettagliata del mausoleo si deve all’appassionato di storia locale Agostino Fruttero che nel 1943, abitando in palazzo Ruffino Della Chiesa, esaminò personalmente l’opera misurandola e lasciandone uno schizzo e la trascrizione fedele delle lapidi. Cfr. Museo civico di Savigliano, fondo carte Agostino Fruttero. In museo è inoltre conservata la documentazione fotografica a colori, prodotta dall’Ufficio tecnico del Comune, relativa al momento dello smontaggio del tumulo nel 1986. 32 Cfr. scheda n.55 di Maria Paola Soffiantino in “Realismo caravaggesco e prodigio barocco. Da Molineri a Taricco nella Grande Provincia” a cura di Giovanni Romano, Savigliano, 1998,pagg.258-259 33 C.Turletti,”Storia /…/ cit. vol.II, pag.1014.

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Pietro Ayres, il problema degli omonimi. Pietro Ayres da Savigliano o da Cagliari? Il più grande dei pittori viventi non solo in Piemonte, ma in tutta l’Italia, e goder egli giustamente una fama europea. C. Novellis, 1844 La figura di Pietro Ayres (1794-1878) (utilizzeremo la forma del nome Ayres con la lettera “y” perché più utilizzata e riscontrata anche in alcune firme autografe, nei documenti dell’epoca il nome è scritto indistintamente nelle tre versioni Aires, Ajres, Ayres) di Savigliano è stata a lungo legata ai giudizi ed alle testimonianze di illustri storici locali quali Casimiro Turletti nella sua Storia di Savigliano1 ed Antonino Olmo in Arte in Savigliano2; a far uscire questo artista dalla cerchia di studi strettamente localistici è stato Enrico Castelnuovo nel 19803 (già prima di lui ne aveva scritto Andreina Griseri4), seguito da studiosi come Franca Dalmasso. Nonostante l’interesse suscitato ed il riconoscimento dalle sue indubbie qualità pittoriche, nessuno studio approfondito è stato ancora portato avanti sulla sua figura e molte erano fin’ora le lacune di informazione per quanto riguarda la sua biografia ed il suo operato. Egli appare particolarmente interessante per lo studio del clima culturale saviglianese nel periodo fervido che dall’inizio dell’Ottocento condurrà all’Unità d’Italia ed anche per comprendere in quale orbita più allargata la città e gli artisti operanti in essa gravitassero. Ricollocare Pietro Ayres ed il suo operato nello spazio e nel tempo vuol dire anche poter ridare giusto lustro alla temperie culturale che animava la provincia collegata ai grandi sconvolgimenti internazionali. Pittore di corte operante a Palazzo Reale, a Pollenzo, a Racconigi, ma anche artista attivo sul territorio, a Moretta, a Savigliano a Vigone. Grande ritrattista, autore dalla felice mano, caratterizzante, ma mai caratterista, elegante, immerso nel clima culturale del suo tempo, ma non sopraffatto da esso, composto nella sua arte ispirata e precisa nell’esecuzione. Figure dolci ed armoniose che non rinunciano alla loro eleganza pur nel loro essere reali, come quelle mitologiche del Medagliere a Palazzo Reale e quelle compenetrate di grazia dell’Educazione della Vergine di Moretta. Pietro Ayres è pittore d’historia, ma anche di mitologia si distingue per una ricerca accurata di empatia e di un certo realismo nelle figure che mantengono sempre un richiamo alla classicità ed un’aura vorremo dire romantica dal gusto “francese”. La figura di Pietro Ayres da Savigliano è stata sottomessa a lungo alla scansione cronologica dettata da Casimiro Turletti5, con un corpus di opere enorme poco chiaro, un cursus di studi e lavorativo confuso. Soprattutto un problema ha depistato molti studi: la sua omonimia con un certo Pietro Ayres da Cagliari presente anche lui negli stessi anni del saviglianese come studente presso l’Accademia Albertina di Torino e poi autore dei disegni per la prima Guida illustrata dell’Armeria reale6. È Enrico Castelnuovo in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna 1773-18617, per primo a sollevare il caso di omonimia tra il Pietro Ayres da Savigliano e quello da Cagliari emerso grazie allo studio dei registri dell’Accademia Albertina. Volendo ammettere che gli storici contemporanei, ed in particolare locali, non citassero il caso di omonimia attribuendo tutte le opere al saviglianese per una sorta di campanilismo innocente, appare però strano che i due artisti non avessero voglia di contraddistinguersi l’uno dall’altro (nessuno dei due si firma citando la provenienza) una volta che iniziarono ad operare negli stessi luoghi. Il giallo riguardante questa strana omonimia, oltretutto di un cognome non tipicamente piemontese quale Ayres (che ancora oggi non risulta diffuso se non in Sardegna), è stato l’oggetto che ci siamo ripromessi con questo studio di indagare per tentare di sbrogliare la matassa storica. Per fugare i nostri dubbi i registri dell’Accademia Albertina, i regesti dell’Armeria, corrispondenze ed i dati emersi dai censimenti effettuati a Savigliano conservati nell’Archivio Storico comunale sono state le nostre preziose fonti. Accanto ad alcuni dati già noti in pubblicazioni precedenti, abbiamo fatto emergere nuove notizie riguardanti la cronologia della biografia dell’artista e la sua carriera. Abbiamo inoltre fugato ogni dubbio sull’esistenza dell’Ayres cagliaritano riuscendo al contempo ad identificare la sua ristretta produzione. L’atto di nascita di Pietro Ayres “sardo” lo testimonia nato il 24 dicembre del 1806 a Cagliari da Domenico e Teresa Pescetti. Teresa è fiorentina, mentre Domenico è detto lombardo (nell’atto di nascita del fratello di Pietro, Michele, viene specificato di Viù). Il cagliaritano ebbe cinque fratelli: Michele, Vittorio, Nina, Giuseppe e Monica, e sappiamo che risedette a Cagliari (in via Genovesi tra il 1811 ed il 1812 e tra il 1813 ed il 1815 in via San Giuseppe)8. Pietro Ayres saviglianese nasce nel 1794 da Nicola Ayres (di 29 anni) e Margherita Faudone (di 27 anni), quinto di cinque figli (Giò Tommaso, Maria Margherita, Teresa e Battista Alessio). Dai censimenti appare vivere presso la signora Aires Margherita (riportiamo la scrittura del nome con la i, secondo il documento originale), vedova di Antonio e fabbricatrice di candele di cevo, di cui è detto nipote, in località Borgo San Giovanni. Questo nucleo familiare appare essere, nei censimenti dal 1790 in poi, l’unico con cognome Ayres in tutta Savigliano, fino al 1804 anno nel cui censimento non appaiono più famiglie con tale appellativo. Nicola Ayres risulta essere nato nel comune di Viù e sembra fosse nel momento del trasferimento préposé aux fourages, un incarico che potremmo pensare come logistico

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legato alla milizia9. Ci spingiamo a proporre, in base ai dati emersi, una tesi che, seguendo l’idea della parentela, giustificherebbe alcuni comportamenti e ricomporrebbe il quadro del rapporto tra i due artisti omonimi contemporanei. Nicola Ayres (padre del saviglianese) e Domenico Ayres (padre del cagliaritano) potrebbero essere fratelli, nati entrambi a Viù, trasferitisi dalla città (forse orfani?) ed entrambi con occupazioni o relazioni politiche o militari. Dopo il 1804 possiamo supporre che gli Ayres di Savigliano si siano trasferiti probabilmente in Sardegna. A Cagliari Ayres avrebbe conosciuto lo zio ed anche il cugino suo omonimo Pietro più giovane di dodici anni, sviluppando verso di lui un affetto fraterno. C. Turletti ci informa che già a diciassette anni Pietro faceva ritratti a Fossano, ma la notizia non trova conferma. Con certezza possiamo però affermare che nel 1812 partì per andare a combattere in Russia a seguito della campagna napoleonica. Non siamo in grado di ricostruire le vicende che si verificarono in Russia, abbiamo però notizia di un suo accreditamento come pittore presso lo zar Alessandro I al quale fece un ritratto e per il quale realizzò diversi quadri della casa regnante. Dopo questo periodo oscuro passò a lavorare in Polonia presso il palazzo di Wilanów per il conte Stanislao Kostka Potocki, aristocratico, illuminista, politico, mecenate, scrittore. La Descrizione dei dipinti della Galleria e del Palazzo di Wilanòw di Antoni Blank10 riporta che nella Galleria “Aperta” del Palazzo erano presenti degli affreschi sul soffitto e probabilmente anche dei dipinti realizzati ad olio rappresentanti scene mitologiche. Questa notizia sarebbe confermata dalla guida illustrata di Władysław Czajewski Ilustrowany przewodnik po Warszawie i okolicach, Wilanów, Czerniaków, Morysin, Gucin, Natolin wraz ze szczegółowym spisem 1000 obrazów z Galeryi Willanowskiej11 del 1893, dove vengono citate per la galleria principale delle opere ad olio rappresentanti le Muse probabilmente attribuibili ad Ayres, un pittore italiano. Purtroppo i restauri successivi alla Seconda Guerra Mondiale non hanno lasciato traccia di queste opere. Sappiamo, però, di un dipinto ad olio, ancora presente in Palazzo, attribuito ad Ayres intitolato Paesaggio con Cascata, originariamente dal titolo Ritorno di Sileno dalla festa di Bacco12 presentato insieme ad un altro quadro dal titolo Tramonto del sole (andato distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale) all’esposizione di Belle Arti di Varsavia nel 1819. La data riportata da Antoni Blank del 1816 per la realizzazione dei dipinti per la Open Gallery non sembra attendibile: è probabile che l’Ayres operasse in Polonia intorno al 1820 (anni in cui è attestato anche in Russia). Questa datazione stravolge di poco quella che sinora è stata data, ovvero che il pittore sarebbe tornato in patria tra il 1815-1816 e ci permette però di collocare la sua attività all’estero nell’arco di anni 1815-25 che rimaneva sinora oscuro. Il successo che ottenne furori dai confini della penisola conferma una sua preparazione giovanile ed una sua esperienza già avviata nel campo artistico ampliata dal contatto con il fervido ambiente polacco dove aveva potuto godere anche della visione di opere del Poussin. Tornato in Italia fu allievo presso l’Accademia Albertina13 dove si trova iscritto nei registri contemporaneamente al suo omonimo, ma in due classi differenti. Il dubbio si potesse trattare di una cattiva trascrizione del nome o di una cattiva calligrafia male interpretata è stato fugato dalla consultazione diretta delle carte dell’Accademia. A partire dal 1823 si ritrova nei registri dell’Accademia il nome Pietro Ayres, in alcuni documenti è esplicitamente citata la provenienza “da Cagliari”, mentre in molti altri casi si fa riferimento al solo nome. Possiamo supporre con una certa sicurezza che l’Ayres menzionato come iscritto nella stessa classe di Gonin sia il nostro saviglianese, di cui abbiamo la prima attestazione certa in accademia solo dal 1828, quando vince il Primo Premio in Nudo della classe Superiore. Nel 1829 sono citati nel medesimo documento dal Professor Biscarra: “Venendo ad esame degli allievi più distinti nella prima classe della pittura nominerò particolarmente Ayres Pietro abilissimo nei ritratti....Gonin Francesco assai distinto” ...”E quanto alle classi seguenti in quella del disegno specialmente del nudo, devesi onorevolmente menzionare Ayres Pietro di Cagliari”14. Nel momento in cui Ayres di Savigliano si trovava iscritto alla classe superiore con Gonin, l’Ayres “sardo” era iscritto alla Classe Inferiore di Disegno. Di notevole interesse è anche il fatto che quest’ultimo venga sempre lodato per “le pieghe in disegno” e, neanche successivamente, per la pittura. Altra circostanza data come certa nella biografia dell’Ayres era quella legata ad un viaggio a Roma che il pittore avrebbe fatto in seguito all’elargizione da parte di Carlo Alberto di una pensione regia dopo che il re aveva visto ed apprezzato il ritratto realizzato da questi del Conte Galeani Napione. Nei documenti presso l’Accademia non c’è testimonianza di una vittoria dell’Ayres del concorso per il viaggio a Roma, né della suo conseguimento di una Pensione Regia. Lo stesso Biscarra dichiara, però, in una seduta del 1830 l’Ayres assente per una viaggio di formazione a Roma (nello stesso anno l’Ayres di Cagliari è a Firenze a studiare incisione)15. Sappiamo dunque che questo viaggio ci fu, ma non ne conosciamo la precisa durata, né quale fu il movente, è probabile, però, seguendo la tesi di F. Dalmasso, che questo avvenne in seguito alla realizzazione di un’opera eseguita per l’Abbazia di Altacomba, commissionatagli da Carlo Felice. Questa notizia anticiperebbe il viaggio a Roma prima del 1831, anno dell’incoronazione di Carlo Alberto, andando a collimare con la sicura informazione del maestro Biscarra (che colloca il soggiorno a Roma nel 1830). Quando nel 1839 giunge in visita a Torino lo Zar Alessandro vengono realizzati una serie di disegni dei festeggiamenti organizzati, tra cui una giostra equestre, per l’opera Giostra corsa in Torino addì 21 febbraio 1839 nel passaggio di S. A. I. E R. Alessandro Granduca Principe ereditario di Russia 16 litografata poi da F. Gonin. Gli acquarelli in questione sono 8 con numero di inventario di A. Angelucci del 1890.

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Questi acquerelli sono improntati al gusto troubadour e, benché ricordino certa ritrattistica dell’Ayres di Savigliano come il Ritratto di Amedeo VI 1840 nella Galleria del Daniele a Palazzo Reale, sono oggi attribuiti all’Ayres cagliaritano (poniamo in questa sede il dubbio sull’attribuzione). Sappiamo che per la stessa occasione l’Ayres saviglianese realizzò due ritratti colossali dell’Imperatore e dell’Imperatrice su tela trasparente da mettere nei giardini reali in occasione dell’illuminazione che sarebbe stata allestita per l’occasione. Il fatto che l’Ayres saviglianese avesse lavorato per lo Zar (nel suo soggiorno in Russia) e la collaborazione con F. Gonin rendono molto particolare la coincidenza. Nel 1840 esce per lo stabilimento Tipografico Fontana il volume l’Armeria Antica e Moderna di S. M. Carlo Alberto, opera di Vittorio Seyssel d’Aix che elencava e illustrava 1.554 pezzi seguendo un ordine topografico dell’allestimento esistente. Il volume era accompagnato da tavole fuori testo disegnate da Pietro Ayres di Cagliari. Contemporaneamente Carlo Alberto decise di voler illustrare con tavole litografiche le opere più belle dell’armeria stessa. Il primo pagamento a P. Ayres di Cagliari è del 19 genn. 183917. Felice Romani in un articolo sulla Gazzetta Piemontese il 22 apr. 1840 dice che sono in corso di incisione 4 scudi tra i più importanti del Museo. 16 giugno 1840 P. Ayres di Cagliari è assunto come disegnatore dell’Armeria Reale, viene pagato 1.000 lire per alcuni disegni già eseguiti18. I disegni sciolti raccolti oggi in cartelle presso l’Armeria appaiono stranamente di mano diversa, più abile e dal gusto più romantico, rispetto alla illustrazioni realizzate per la “Guida”, sembrano far pensare ad una diversa esecuzione. Potremmo supporre che questo lavoro di disegno delle opere di pregio fosse stato preso da Ayres di Cagliari con un certo occhio di maggiore riguardo o, come vorremmo proporre, che queste tavole siano state realizzate da un altro Ayres precisamente quello saviglianese. Fatto curioso riportateci dal Biscarra19 è legato ad un altro Ayres di nome Vittorio di cui si ha notizia riguardo ad una lite avvenuta nel 1827 con un altro compagno a nome Giuseppe Martossi. Il Prof. Biscarra scrive al Consiglio proprio in difesa di Vittorio coinvolto nella lite suo malgrado. Vittorio potrebbe essere uno dei fratelli minori del cagliaritano (nome che ritorna tra i fratelli del Pietro da Cagliari). La famiglia doveva essersi tutta trasferita a Torino se Biscarra dice che verranno contattate le famiglie dei due alunni come provvedimento disciplinare. Questo fatto concorderebbe con l’ipotesi di un trasferimento della famiglia e di un possibile ricongiungimento tra fratelli. Il capitolo Ayres riserva ancora molte zone da indagare come i suoi lavori a Pollenzo e quelli realizzati in Russia ed in Polonia, così come ancora da capire la sua formazione iniziale. Questa nostra pagina ha cercato di metter ordine tra le tante notizie, verificarle e chiarirne la veridicità, così da fissare dei punti e delle tappe sicure del suo percorso oltre che a chiarire la doppia identità degli omonimi e la posizione ed i meriti di ciascuno. L’obiettivo non era quello di fugare ogni dubbio, ma di proporre delle tesi attendibili e di conoscere meglio un personaggio che va a collocarsi come importante tassello sulla scena artistica saviglianese e piemontese negli anni del Risorgimento. Elena Scarrone 1 C. Turletti, Storia di Savigliano, Savigliano, Tip. e Libreria Bressa, 1879-1888 2 A. Olmo, Arte in Savigliano, Cassa di Risparmio Savigliano, 1978 3 E. Castelnuovo, M. Rosci, a cura di, in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna 1773-1861, Torino, 1980 4 A. Griseri, Dizionario Biografico degli italiani, vol. IV, Treccani, 1962 5 C. Turletti, op. cit. 6 V. Seyssel d’Aix, Armeria Antica e Moderna di S. M. Carlo Alberto, Torino 1840 7 E. Castelnuovo, op. cit., 1980 8 F. Dalmasso, Di Pietro Ayres nel Medagliere, di un suo omonimo nell’Armeria, e una nota sul Pelagi, in F. Mazzini, Torino, 1977; M.G. Scano, Pittura e scultura dell’Ottocento, Illisso, Nuoro, 1997 9 Dati emersi dalla consultazione dei censimenti custoditi nell’Archivio Storico di Savigliano. Arc. St. Savigliano, Cat. XII . 137-146 anni 1790-1807 10 A. Blank, Descrizione dei dipinti della Galleria e del Palazzo di Wilanòw, Varsavia, 1834 11 W. Czajewski, Ilustrowany przewodnik po Warszawie i okolicach, Wilanów, Czerniaków, Morysin, Gucin, Natolin wraz ze szczegółowym spisem 1000 obrazów z Galeryi Willanowskiej, Varsavia, 1893 12 Pubblicato su Pittori dell’Ottocento in Piemonte, Arte e Cultura Figurativa 1800-1830, Unicredito Italiano, 2002 13 Faremo riferimento a dati tratti dall’Archivio St. Accademia Albertina 14 Arc. St. Accademia Albertina, AA BA TO 65, Relazione del sottoscritto prof. Direttore della scuola di pittura, 28 aprile 1829 15 Relazione di Gio. Biscarra sugli andamenti dell’Accademia, con accenno ad abbandono degli studi da parte dei refrattari...” 1830, Seduta del 20 dicembre, 1830 16 Giostra corsa in Torino addì 21 febbraio 1839 nel passaggio di S. A. I. E R. Alessandro Granduca Principe ereditario di Russia, Torino,1839 17 Già pagato nel 1837 anno di realizzazione della litografia che illustra l’Armeria Reale nella Galleria Beaumont. 16 febbraio, pagamento di 1800 lire a Pietro Ayres per la litografia dell’Armeria. F. Mazzini (a cura di), L’Armeria Reale riordinata. Rapporto dei lavori 1969-1977. Ricerche storiche, Torino 1977; F. Mazzini, “L’Armeria di Carlo Alberto”, in 1982 Mazzini F. (a cura di), Torino, 1982 19 gennaio, pagamento di 2.800 lire all’incisore Lasinio per l’incisione di due scudi disegnati da Pietro Ayres, da M. Di Macco, 1882 18 M. Di Macco, 1982. Regesto dell’Armeria 19 Faldone AA BA TO 332, Atti Accademici, seduta del 10 Luglio, 1827, Archivio Accademia Albertina

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Pietro Ayres

(Savigliano 1794 –Torino 1878)

Autoritratto, Olio su tela, ca. 1830, 41 x 52 cm. Collezione privata

Esposizioni: Savigliano, 1948, mostra allestita nel Palazzo Municipale in occasione del Centenario dello Statuto Albertino; Torino, 1980 mostra“Cultura figurativa ed architettonica negli Stati del Re di Sardegna 1773-1861” scheda n.464 Sul retro del dipinto era presente un bollo tondo, ora non più visibile “Città di Savigliano mostra giugno luglio 1888”, senza altre indicazioni.

Pietro Ayres realizzò il suo autoritratto negli anni in cui risiedeva a Roma, perché - dicono le fonti - è da Roma che inviò il dipinto all’amico Giovanni Battista Abate, musicista saviglianese. Nel 1878, alla morte del pittore, nel necrologio che compare su “Il Saviglianese” del 21 giugno, Casimiro Turletti dice che “la famiglia / degli eredi di Giovanni Battista Abate / va lieta di possederlo”. Tuttavia solo due anni dopo il dipinto venne da Stefano Abate posto in vendita; offerto in un primo momento al Comune di Savigliano e presentato “de visu” al Consiglio comunale, la transazione subì rallentamenti ed intoppi forse legati alla richiesta economica (150 lire), mascherati sotto forma di dubbi sull’autenticità, come prova quanto verbalizzato in Consiglio “ sempre quando consti che detto ritratto sia realmente opera propria dell’autore” (ASCS, atti del Consiglio Comunale anni 1879-1880, cat. I, fasc. 439 /361, foglio 669) Era sindaco Maurizio Villa, benestante saviglianese appassionato di arte, musica e teatro. La pratica si arenò e forse per evitare l’allontanamento dell’autoritratto da Savigliano il sindaco decise di acquisirlo personalmente. Turletti data questo passaggio di proprietà al 1885 (C.Turletti, Storia/…/ vol.3° p.834) L’autoritratto ha importanza sotto vari punti di vista. Benchè Ayres non abitasse più questa città nel 1812 quando fu arruolato per la campagna di Russia (i registri delle consegne della popolazione non segnalano più alcun Ayres residente in Savigliano dal 1804), esso testimonia un legame forte con la città natale che l’aveva visto crescere in una famiglia di artigiani, ove “capo di casa” non era suo padre, ma una zia “fabbricatrice di candele” prima che il padre stesso cambiasse mestiere intorno al 1803 per occuparsi di rifornimenti ai militari come “préposé aux fourages”. E’ anche testimonianza visiva di un artista dalla forte personalità. Se l’autoritratto è stato eseguito a Roma, può collocarsi intorno al 1830 nel momento in cui Ayres mette a frutto l’esperienza in Russia e Polonia, gli studi a Torino, la frequentazione dell’ambiente stimolante romano, in particolare di quella Accademia di Francia diretta da Horace Vernet alla quale guardavano decine di pittori italiani, compressi dalle maglie di un Neoclassicismo che stava diventando di maniera. L’autoritratto non è convenzionale: benché l’abbigliamento sia alla moda ed elegante, i ricci neri scomposti ma non trascurati, non vi è alcuna volontà di idealizzazione, l’attenzione è incentrata sul viso, calamitata dall’intensità dello sguardo. E’ il volto serio di un giovane alle soglie della maturità che guarda diritto alla vita, forte di esperienze importanti, ma che non vive più gli stenti di un artista oscuro. La piccola dimensione della tela, adatta ad essere portata con sè e poi spedita, non ne pregiudica l’efficacia: un precoce sentore romantico accompagna il dato introspettivo; il disegno sicuro si avvale di accesi effetti di colore: ne risulta un’immagine viva, palpitante, che allontana lo stereotipo di un pittore vincolato a soggetti mitologici e formali. Benchè fonti locali parlino di un secondo autoritratto di Ayres in età matura, ricerche dirette non ne hanno confermato l’esistenza; si sa invece che esistono varie fotografie di Ayres anziano e canuto, che ne attestano la corporatura ancora robusta, i tratti regolari ed intelligenti. Rosalba Belmondo

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L’arte si fa solidale

Di stanza in stanza ad incontrar Luigia Di stanza in stanza ad incontrar Luigia è il titolo, suggerito da Maria Silvia Caffari, della sezione della mostra dedicata a Luigia Ruffino di Gattiera (1804-1885) che accoglie le opere di alcune artiste d’oggi che, in qualche modo ispirandosi ai lavori, alla vita, al clima romantico respirato della contessa saviglianese, metaforicamente l’accolgono nella contemporaneità. La figura di Luigia, mentre ne inseguivo tracce biografiche e opere, era argomento di conversazione con amici ed artisti, i quali, anche loro affascinati dall’inedita pittrice vissuta nell’ottocento, ne volevano sapere di più. Proprio questa curiosità ha condotto al pensiero che una sezione della mostra sull’inedita artista saviglianese fosse destinata ad accogliere opere contemporanee elaborate sulla linea del contrappunto, della rivisitazione, dell’omaggio, del colloquio tra quel ieri che avvolge la figura di Luigia e quell’oggi in cui la sua vita ed i suoi lavori riemergono dalle pieghe della storia. Un filo sottile raccorda le generazioni e i pensieri, il palpito di cuori antichi e moderni può scandire all’unisono il ritmo del tempo, la bellezza quando vera riemerge e può produrre nuova bellezza: di qui, da una semplice traccia, con affetto, con pudore, direi con religioso rispetto e partecipazione sono nate le opere delle tredici autrici che, in punta di piedi, si sono introdotte nel piccolo mondo antico di Savigliano, di stanza in stanza ad incontrar Luigia. Forse quel mondo l’hanno guardato e immaginato come riflesso in uno specchio, un grande specchio racchiuso in una ricca cornice dorata; forse l’hanno colto dalle pose di un ritratto ad olio o da quelli che erano i primi scatti fotografici; l’ombra estiva di un cortile silenzioso, di un antico giardino o l’atmosfera di interni d’antan, gli echi di memorie risorgimentali, trepidi palpiti d’amore e riti familiari di cui resta memoria, possono, evocati, continuare a suggerire emozioni. E affascinare. Queste le opere di Adriana Giorgis, Carla Siccardi, Marina Falco, Anita Olivetti, Danila Ghigliano, Paola Meineri Gazzola, Valeria Vaccaro, Cristina Bollano, Elena Monaco, Monica Bruero, Gemma Asteggiano, Gloria Fava, Valentina Quarona. Alessandro Abrate Luigia Ruffino di Gattiera, a sinistra Studio di nudo, a destra Studio di gamba, disegni su carta, prima del 1820

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è rosso l´eterno paesaggio dell’anima, oggi turbato dal senso di impotenza, solitudine e morte. Il corpo è il taccuino sul quale memoria, passione e vanità annotano i segni del tempo e del peccato originale. Vorrei volare sull’“Isola che non c´è”, ma come Icaro ho disobbedito al destino e cado giù!

“Tracce”, Stampa fotografica su tela e gesso, 2 elementi, 90 x 35 x 20 circa; 2011

60 luigia ruffino di gattiera “Rosso. Traccia indelebile di un viaggio interiore”, Tecniche miste su carta (grafite, inchiostri, acrilico, matite colorate), 50 x 70; 2011

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Un ragno ed una ragnatela si ispirano al mito di Aracne. E il mito era tra i soggetti prediletti dell’aristocratica Luigia Ruffino di Gattiera. Ancor oggi, quando si vede un ragno tessere la sua tela, si ripensa alla sorte toccata alla tessitrice della Lidia condannata per il resto della sua vita ad un triste destino perchè aveva osato sfidare in abilità la dea Atena.

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“Il ricordo”, cartone, pigmenti, specchio, 160 x 65; 2011

La figura stilizzata del personaggio femminile rappresenta il ricordo che si lascia negli altri, che col trascorrere del tempo pian piano svanisce; più che una figura dai contorni definiti resta un’evanescente traccia preservata dalla memoria. Tante più azioni o creazioni significative ha compiuto, tanto più il ricordo e la nostalgia permangono.

“Aracne”, mix media (tondino di ferro, fil di ferro, legno, lastra di metallo), ragno 65 x 50 x 30, ragnatela 150 x 150 x 3; 2011

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carla

cristina

siccardi

bollano

Louise Ruffin de Gattier sposandosi nel 1824, secondo le regole dell’epoca, per contratto porta con sé “dote e fardello”. Le fanciulle d’epoca romantica, si applicavano alle arti come il disegno, la pittura, la musica ed il ricamo e, come consuetudine di famiglia, avevano una vera ritrosia nell’eliminazione di corredi lisi, conservando un po’ tutto, anche lenzuola strappate, rattoppate. L’accumulo di tessuti, tovaglie, lenzuola, camiciole, elaborati ricami impreziositi da fili di seta, paillettes e cifre ricamate in rilievo, mi ha indotta a soffermarmi su una divagazione dalla realtà come se il ricamo di una farfalla lentamente prendesse il volo staccandosi dal tessuto.

“Per cieli e per mari”, acquerelli su cartoncino, dacron e filo d’argento, installazione 100 x 200, 2011.

Dialogando attraverso il tempo due figure femminili si sedettero insieme davanti alla finestra e quella che per più tempo era vissuta disse all’altra: “In certe mattine limpide di sole e di vento piccole nuvole attraversavano il cielo, veloci, e mi portavano lontano ma poi la rotta si invertiva, tornavano indietro e impigliandosi alle fronde del mio giardino mi racchiudevano in trame di dolce tenerezza; ed io restavo”.

1) “Sogni ricamati”, ricamo, uncinetto, stoffe cucite, parte di tessuto sfilacciato, 150 x 80; 2011 2) “Intreccio patriottico”, stoffe intrecciate su supporto rigido forato, 121 x 62; 2010

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