il silenzio della solitudine (fatti non fummo per restare soli)
Solo come un cane, sulla strada di casa: mani in tasca, silenzio intorno, solo il suono del mio passo. Maledettamente solo, ma cosa sono adesso non lo so, come un uomo in cerca di se stesso. Nei miei occhi c’è l’inverno, e sull’asfalto la mia ombra, la silenziosa amica che non posso perdere mai, che mai potrà lasciarmi. Presto arriverò a casa. Stanotte prenderò il largo, arriverò fino al mare, dove tutto può finire o ricominciare, dove tutto può accadere. O forse no, è un’idea bizzarra, e anche un po’ strampalata. Meglio starsene in casa, solo soletto, col profumo di casa nelle narici. Magari mi scrivo un bel racconto malinconico, magari con la penna stilografica. Lo scriverò come se rammendassi un mantello, da leggere con le orecchie, non con gli occhi. E scriverò pensando a lei, appesa al pendolo della sua lunga spiaggia: con le suole di vento starà volando via lontano, come Mercurio dai sandali alati o il Dio Pan della foresta di betulle. In quei cinquanta metri quadri d’Italia, che è casa mia, stasera voleranno i miei pensieri, la mia fantasia e le mie emozioni. La sua voce calma, le pause infinite, i suoi occhi di mare, così la ricordo. Ed ora sono semplicemente e orribilmente solo e vi chiedo come ci si sente, come ci si sente, avvolti e soffocati dal silenzio angosciante della solitudine? Scriverò come sulla sabbia, tanto poi l’acqua vi scorrerà sopra, perché no. Leggetemi – ancora – con le orecchie, vi prego. Leggete tra le righe del mar di levante e dell’homme atlantique. Leggete sulle righe biancazzurre del mio pigiama solitario. Eccomi a casa, giro la chiave nella toppa, c’è la house, ma non c’è la home, ma pur sempre e semplicemente casa mia. È andata male perché passavo e vivevo da una carezza all’altra, da un’emozione all’altra: poteva forse andare meglio? Invece a lei non succederà mai nulla, perché ha l’anima di una fanciulla, è lei che contiene il ron ron del gatto, lei è tutto un continente nel mare degli zingari. A volte di notte mi accade di raccontarmi e di stare a guardare cos’è che succede ai mille azzurri dei suoi occhi. Li ho intravisti in una piega di un sogno, li ho visti infuocarsi in una pennellata di nero, nel fervore mirabile di un’idea o di una sorpresa. Li ho visti impallidire in una pennellata di bianco per… non so… per la chiaroveggenza del numero sette.
La fantastico così ed è come se snocciolassi il desiderio: mi sta davanti, scolpita nella bellezza, nella sensualità e nella dolcezza della terra plasmata dal sole e dalla pioggia. Scrivo come sull’argilla, tanto poi l’acqua vi scorrerà sopra e tornerò all’arida realtà. Guardo l’apparecchio telefonico: eccolo il muto testimone del mio desiderio, come la risacca dell’onda, come la risacca del sangue. Non ci sono discussioni, la Scrittura ha sempre ragione. Restano soltanto queste mie vane parole, appese al filo dell’orizzonte, è impossibile competere col suo filo a piombo. Tremendo come essere costantemente davanti ad una telecamera. Bene. Rammendi sopra rammendi, alcuni vengono bene, belli come ricami; è un andarsene a zonzo nei vicoli della fantasia, pensando a lei, lei che non mi ha mai donato il momento della grande tenerezza. La solitudine è una brutta bestia, e vengono a galla pensieri bui, come quando si è rovesciato d’un tratto il mio mare in un catino: la mia mammona mi ha lasciato solo in questa casa, di cui era regina. Serro gli occhi e lancio un pugno all’aria, maledizione, si deve pure morire! Ma ecco riapparire la mia bella fata dallo sguardo turchino, come un cielo normanno, indaco forse di pioggia e bianco: il temporale che stavo aspettando. Il suo sguardo, il suo profumo, la nostra eccitazione mentale, sono ancora qui presenti nei miei occhi, nel mio naso, dentro la testa. Le piaceva scandire il suo gioco di nuvole di ‘sì’ e di ‘forse’, ed io mi compiacevo e mi beavo al pensiero di essere stato scelto da lei. Da lei! Si sta facendo mattino. È generosa la mia finestra questa mattina. Mi hanno detto che al mattino presto il vento si traveste da spazzino e Dio da straccivendolo. Lei, invece, si trasforma di notte nel mio angelo tentatore. La mia mano amava la sua mano, le mia labbra amavano le sue, credevo che le nostre anime fossero un’anima sola. La mia felicità amava la sua felicità. Ora posso solo inventarmi per me stesso il nostro amore. Per quel che rammento, io la sentivo come un’isola neonata, non più nel mare degli zingari. Prima o poi quest’isola minuscola si doveva pure trovare… e l’ho trovata io! << Eureka! >>, mi dicevo tornando a casa dai nostri primi incontri. Peccato che ora sia soltanto nelle mie fantasie. Se fosse qui, questo racconto lo potrebbe leggere lei: per lei sarebbe semplice. La sua voce… Avrebbe potuto leggere anche piano, o pianissimo, o senza che si potesse sentire. Oppure forte o fortissimo, avrebbe potuto farlo: sarebbe stato uno dei suoi colpi di genio. Come quando le parole la toccavano… e certe parole la toccavano molto: lei reagiva così, apparentemente quasi senza sentimento. Ma io lo sapevo che dentro era tutto un fermento, era tutta un’emozione, come Jacob davanti alla vela fluttuante, come Hemingway davanti all’oceano sterminato, come Yukio davanti alla geisha ammiccante. Lei andava oltre, col suo gesto morbidissimo e incalcolabile, andava oltre a questa particolare capacità di piacermi. È così che è diventata indimenticabile e irresistibile.
Sono veloci e leggere queste parole, vorrei smussarmi gli angoli tra i solchi del vento dei ricordi. So che sono accaldato, e un poco eccitato, sento in me una docilità, una disponibilità, e so da dove viene: mi fa struggere di desiderio desiderarla per questo. Per questa docilità quasi sconveniente… sentirmi succube di chi non c’è più, di chi mi ha lasciato. Per quanto tempo mi ritroverò l’impronta di lei? E voi lo sapete come ci si sente, come ci si sente ad ascoltare l’assordante silenzio della solitudine? Fino a quando lei sarà dentro di me, non potrò guardare in viso nessun’altra donna senza opporle questa dolcissima sfida. Lei mi ha dato il gusto della conquista impossibile. Lei amava il buio, perché con il buio poteva far luce con un fiammifero… e se faceva luce con un fiammifero, allora poteva vedere, e se vedeva, vedeva me e diceva: <<Oh, eccoti qua.>> e aggiungeva: << Antonio è tanto buono e tenero, assomiglia tutto al miele. >> Così lei ed io eravamo tutti contenti e ridevamo a squarciagola, come due bambini. Un penny per i suoi pensieri, un miliardo per riaverla qui, tutto il mio mondo per il suo amore. Se la conosceste come la conosco io, direste: << Oh, che ragazza!>>.