La guasà d’San Svan - Silvana Artioli

Page 1

La guasà d’San Svan La rugiada di San Giovanni Il 24 giugno , festa di San Giovanni, anche quell’anno si era presentato come un giorno di una calura memorabile ma sembrava lasciare il posto ad una serata piacevole; come tutti gli anni c’era un gran fermento per i preparativi per la sera. Non andavamo come facevamo frequentemente mio padre, mio fratello ed io a pescare i pesci gatti nel canale che faceva da confine al nostro podere, il mattino successivo mia mamma li preparava e li metteva in concia con aglio, rosmarino e sale per friggerli poi la sera per cena. Mio papà e Bruno, l’altro contadino della casa si affrettavano a mungere le mucche per andare a portare il latte al caseificio, quando mio papà usciva dalla stalla con il secchio pieno di latte per vuotarlo nel bidone di alluminio lucidato come fosse argento, io ero già pronta con il mestolo in mano , soffiavo sulla schiuma per spostare qualche eventuale pelo di mucca e mi bevevo quella tiepida , dolce, delizia bianca. Accompagnavo volentieri mio papà al caseificio, andavamo in bicicletta, Lui con la sua trainava un cariolino a due ruote con sopra il bidone del latte e dopo averlo messo sulla pesa il casaro Agide mi faceva l’occhiolino invitandomi a seguirlo e da una forma fresca ritagliava una piccolissima strisciolina di tosone , un sapore unico tra il latte ed il formaggio stagionato. Arrivati a casa gli uomini prendevano ognuno uno dei secchi che erano serviti per la mungitura , lo riempivano di acqua tirata su dal pozzo sotto il portico e tenendolo ben stretto con il braccio sinistro con la mano destra attingevano acqua a manciate per buttarla sulla terra battuta del cortile dove non c’era più l’erba per i tanti passaggi, perché non si sollevasse molta polvere. Intanto le donne erano indaffarate ad apparecchiare una bella tavola grande sotto un bersò di gelsomino che emanava un delicato profumo, mia mamma affettava salame, mortadella e cicciolata, tagliava in tanti spicchi una formina di formaggino bianco e tenero che era produzione di mia nonna Faustina fatto con il latte della Gigia e della Marisa, poi andavano nella cucina della Tina dove sul tagliere c’era già pronto l’impasto del gnocco, mia mamma lavorando con il matterello faceva un bel cerchio poi con la rotellina dentata tagliava dei pezzi a forma di rombo ,Tina li raccoglieva e li faceva scivolare nello strutto bollente in una padella di rame stagnata con sopra un manico che la faceva sembrare un cesto; mi piaceva guardare ma stavo fuori della porta per non prendermi gli schizzi di strutto, vicino ad una piccola damigiana posizionata sul marciapiede vicino al muro, in pieno sole. Il mattino Tina era andata a raccogliere nel noce dietro casa dove c’erano i pollai delle galline le noci ancora verdi poi le aveva tagliate in quattro parti , messe nella damigiana ed aggiunto l’alcool, le avrebbe lasciate al sole per 40 giorni , aggiunto acqua e zucchero lasciando ancora la damigiana al sole fino a fine estate, ne sarebbe uscito un liquore dolce e forte “ il NOCINO “ che con molta parsimonia avrebbe fatto assaggiare ai vicini la sera di San Martino dopo aver mangiato le caldarroste. . Tutto era pronto ,la mamma mi metteva il vestito della festa ed un bel nastro in testa , perché dopo Natale, Pasqua e la sagra del paese era la festa più bella dell’anno.


Il figlio della Tina e Bruno , William , era un po’ più grande di mio fratello ed aveva già il giradischi , perciò finito di cenare si dava inizio alla musica che nella quiete della serata estiva si diffondeva anche in lontananza, arrivava sempre qualche vicino per fare filos: Michele che all’età di ottant’anni aveva ancora una voglia sfrenata di ballare, la Lisetta per fare un valzer con William, il figlio del casaro Alfio con la sua giovane moglie Gina arrivavano con il Guzzi Galletto, nuovo , lucido fiammante , giallo come un canarino ,preso in prestito da papà Agide per una serata speciale ed iniziavano le danze sull’aia e sotto la luna. Quella sera anche a Bill , il cane da caccia di Bruno era permesso di stare libero e non alla catena come di solito. Quando gli uomini dicevano che era ora di andare a letto perché l’indomani sarebbe stata una giornata di duro lavoro ed i giovani si attardavano ancora per un’ultima canzone io raccoglievo i pochi avanzi rimasti e li portavo nel recinto del maiale che stava dormendo ma il mattino successivo uscendo all’aperto avrebbe gradito molto. Ancora c’era il chiacchierio degli ultimi saluti della buonanotte, mia nonna Faustina mi toccava il naso affettuosamente e mi sussurrava una filastrocca : E la festa l’è finida , tait al nes e fag na piva. Io già avevo voglia che arrivasse l’anno prossimo …. La guasà d’San Svan - La rugiada di San Giovanni Filos – stare in compagnia E la festa l’è finida , tait al nes e fag na piva – La festa è finita,tagliati il naso e fanne una trombetta


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.