Primo Piano - Febbraio 2022

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In copertina: Don Alberto Debbi, appassionato scalatore, sulla vetta del Monviso (mt. 3.841). È parroco di Correggio. articolo pag. 10

PRIMO PIANO Direttore Lorenzo Soldani Redazione Francesca Amadei, Fabrizia Amaini, Barbara Berretti, Emiliano Bertani, Marilena Bertani, Giacomo Bigliardi, Luisa Cigarini, Claudio Corradi, Tosca Covezzi, Sara Culzoni, Matteo De Benedittis, Mauro Degola, Giulio Fantuzzi, Luisa Gabbi, Liviana Iotti, Laura Losi, Viller Magnanini, Adriana Malavolta, Maria Chiara Mantovani, Francesca Manzini, Francesca Nicolini, Maria Chiara Oleari, Luciano Pantaleoni, Maria Paparo, Guido Pelliciardi, Federica Prandi, Gian Paolo Rinaldi, Erik Sassi, Lorenzo Sicomori, Nadia Stefanel, Gabriele Tesauri Hanno collaborato Marco Belpoliti, Lucio Bigi, Andrea Munari, Pietro Oleari, Simone Testi Impaginazione grafica Studio il Granello Stampa Tipografia San Martino snc San Martino in Rio (RE) Editore e proprietario Circolo Culturale Primo Piano, Correggio Registrazione: Aut. Trib. di RE. n. 437 del 23/05/79 Iscritto al Registro Operatori Comunicazione (R.O.C.) con il n. 34700 Direttore responsabile: Liviana Iotti Segretaria di redazione: Tosca Covezzi Sede legale: via Santa Maria, 1 - Correggio tel. 0522 691875 info@primo-piano.info Abbonamento annuale: Ordinario 20 € Sostenitore 30 € Fuori comune 30 € On line (maggiorazione di 2 € Paypal) Digitale 10 € Come abbonarsi: Presso una delle seguenti sedi: - Berretti ferramenta e casalinghi P.za Garibaldi 11 - Caffè Mini Bar - C.so Mazzini, 30 - Edicola Andreoli Luisa - P.za Garibaldi - Edicola La Dolce Vita - P.le Aldo Moro (Espansione sud) - Edicola Porta Reggio - P.za Porta Reggio - Libreria Ligabue - via Conciapelli 16 - Libreria Moby Dick - C.so Cavour 13 - Tabaccheria B&B - via Repubblica 14/A - Tabaccheria Catellani - C.so Mazzini 15/b - Tabaccheria del Centro - P.za S.Quirino 10/b - Tabaccheria Mille Idee - via Tondelli 2/o (Espansione sud) - Tabaccheria Nuvola di Fumo - via Carlo V 8/a oppure - on line www.primo-piano.info - bonifico bancario BPER Banca filiale di Correggio IT 76 Z 05387 66320 000002937443 Chiuso in redazione: martedì 25 gennaio 2022

LORENZO SOLDANI

Una rivoluzione per Primo Piano

Solitamente non provo grande interesse per l’autocelebrazione, ma stavolta devo fare un’eccezione. L’uscita che state per sfogliare rappresenta un grande salto in avanti per Primo Piano: inauguriamo il nuovo anno sfoggiando una veste grafica completamente rinnovata, ariosa e moderna, frutto del grande lavoro di Studio il Granello. La stessa svolta è stata applicata al nostro sito, una vetrina fondamentale nell’informazione del terzo millennio: troveranno spazio online tanti nuovi contenuti, come la registrazione integrale dell’evento “Un mondo più umano, senza frontiere”, organizzato da Primo Piano Incontri in occasione della Giornata della Memoria. Non ci siamo tuttavia limitati a guardare al futuro: www.primo-piano.info fungerà anche da archivio digitale del nostro mensile; potrete navigare fra gli articoli storici, filtrandoli per autore, per tema o per comune di riferimento. Insomma, una vera e propria rivoluzione. Speriamo che sia di vostro gradimento. Una cosa è certa: questa non è un iniezione di botox volta a mascherare l’età che avanza. La forza di Primo Piano sono e rimarranno i contenuti, le storie virtuose della nostra comunità. Cinquantadue pagine che raccontano Correggio e i suoi “vicini”, in modo onesto e trasparente. I titoloni acchiappa-click li lasciamo agli altri. Ogni rivoluzione ha bisogno di rivoluzionari, e a noi certo non mancano. Colgo l’occasione per ringraziare di cuore la redazione e tutti i volontari, che nonostante i due anni di pandemia hanno continuato a fornire il loro prezioso contributo a questa causa. Un’ultima nota: a pagina 18 ci interroghiamo sul difficile futuro delle edicole e della carta stampata. Beh, vi assicuro, Primo Piano continua a resistere e a crescere. Non mi resta che ringraziarvi del vostro sostegno e augurarvi buona lettura, promettendovi toni più modesti per il futuro.

ERRATA CORRIGE La lettrice Eles Ruscelli ci segnala un refuso nel numero di Dicembre 2020 - Gennaio 2021: l’evento descritto nell’articolo “Dobbiamo liberarci della violenza di genere” a pag. 8 non si è svolto al Centro Sociale 25 Aprile, come recita la didascalia della foto, bensì all’hotel President. Ci scusiamo per l’errore.


ARTICOLI SANITÀ

COMMERCIO

Pensionati Pro vax in prima linea

Il commercio al dettaglio ha tenuto

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GOVERNO LOCALE

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Rio Saliceto: la bellezza della comunitá

CULTURA

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La voglia di imparare sia sempre con noi

PERSONAGGIO

CITTÀ

La strada di un prete in salita

C’era un’ edicola in Piazzale Carducci

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SPORT

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Il Circolo Tennis San Martino si tinge d’oro

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Il tiro dinamico sportivo, questo sconosciuto

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La Correggese? A metà stagione, niente male!

Bruto Terrachini, artista estroso e originale

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Cerco nel passato remoto le soluzioni per il nostro futuro

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La Correggio che vorrei, un sogno comune

COMUNITÀ

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Andare oltre l’io

IMPRESA

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Progettare per un pianeta migliore si può

CURIOSITÀ

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Viva gli “amigos” del Parmigiano Reggiano

RUBRICHE OPINIONI D’AUTORE

AMBIENTE E AGRICOLTURA

La giusta memoria, per agire sul presente

Ma a Correggio la pioggia è un po’ stanchina?

APPUNTAMENTI CULTURALI

Film sul grande schermo e spettacoli dal vivo

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NOTIZIE IN BREVE

INTERVISTE IMPROBABILI

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Alta tensione

COME ERAVAMO

UNA MOSTRA AL MESE

CORREGGIO IN GIOCO

Quell’antico ospedale per “li poveri infermi”... ma non tutti

Anticipazioni 2022

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foto Guglielmo Scollo Photos’ Print - Correggio

FAUSTO NICOLINI è stato per dieci anni Direttore Generale dell’AUSL di Reggio Emilia

ANTONELLA MESSORI è stata Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera S.Maria Nuova di Reggio e Direttore Generale del S. Orsola di Bologna 4

GIULIANA TURCI è stata per diciassette anni Direttore del Distretto AUSL di Correggio


LIVIANA IOTTI

Sanità

PENSIONATI PRO VAX IN

PRIMA LINEA Ex dirigenti Ausl impegnati nei vaccini contro il Covid

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on sono pochi i dirigenti già in pensione dell’AUSL di Reggio Emilia che si sono messi a disposizione per vaccinare contro il Covid. Abbiamo parlato con alcuni di loro, sono tre correggesi: Antonella Messori, Giuliana Turci e Fausto Nicolini. Li incontriamo poco prima dell’inizio del loro turno, nel Centro Vaccinale del Distretto Sanitario “Augusto e Vittorio Lodini”. Ci raccontano della loro decisione di aderire all’appello dell’AUSL. Hanno un contratto di collaborazione coordinata e continuativa a tempo determinato, che si rinnova di tre mesi in tre mesi. Inizialmente si erano proposti a titolo di volontariato, ma non è risultato possibile anche per motivi assicurativi. Il contratto prevede un compenso di 35 euro lordi/ora, sui quali si paga il 43% di tasse e il 10% di trattenute previdenziali. Coprono turni di 6 ore: un paziente ogni cinque minuti, complessivamente 70/80 persone per ciascuno. «Ho incontrato – racconta Antonella Messori – uno spaccato rappresentativo del 90% della nostra comunità: persone di tutte le età dagli ultraottantenni all’inizio ai bambini dei 5 anni in su da poche settimane, italiani, immigrati, espressione di tutte fasce

sociali». Gli anziani sono apparsi a tutti e tre come la categoria più grata. Giuliana Turci ricorda la gioia nei loro occhi per essere stati “chiamati” e la loro serenità nell’affrontare la vaccinazione, “affidandosi” alla scienza e ai professionisti. «Gli anziani sono stati straordinari – sottolinea Fausto Nicolini – sono venuti ai nostri box “vestiti a festa”. Alcuni lasciavano trasparire un sentimento, oltre che di riconoscenza, di commozione e felicità per essere di nuovo al centro delle attenzioni e delle cure della società. Molti ci hanno ringraziato in modo sincero, come non ci capitava da tempo. Qualcuno si è perfino scusato di poter fruire del vaccino prima di persone più giovani. È stata una grande lezione di dignità e civiltà che ha colpito molti miei colleghi, a partire dalle generazioni più giovani». Dall’esperienza di questi mesi emergono anche incontri con persone timorose, poco o male informate. Antonella Messori si è sentita chiedere “Ma adesso sono contagioso?”, oppure “È vero che ora sono radioattivo?”. Giuliana Turci si è imbattuta in diverse persone che hanno fatto il vaccino soltanto per avere il Green Pass; alcuni di loro hanno manifestato rabbia nei confronti di norme che non ri-

tenevano giuste. Fausto Nicolini spiega la diffidenza che ancora esiste verso i vaccini con quella che tecnicamente si chiama “dispercezione del rischio”, uno squilibrio tra la sovrastima dei rischi dell’atto vaccinale e una sottostima di quelli legati alla patologia. Tra chi si sta vaccinando in quest’ultimo periodo non mancano coloro che mostrano stanchezza per questi due anni estremamente difficili: «Alcuni - racconta Giuliana Turci - appaiono sfiduciati, si vaccinano sperando di non ammalarsi, ma non vedono la fine del tunnel». “Più che pessimismo - precisa Antonella Messori - traspare l’incertezza per il futuro», «ma c’è anche molta consapevolezza aggiunge Nicolini - che abbiamo due sole vie d’uscita, la vaccinazione e la responsabilità individuale e collettiva». Turci, Messori e Nicolini hanno speso molti anni della propria vita professionale al servizio del nostro sistema sanitario nazionale. Turci e Messori sono andate in pensione prima dello scoppio della pandemia, Nicolini ha vissuto come direttore generale dell’Ausl di Reggio la prima fase, senz’altro la più dura. Tutti e tre comunque considerano questo drammatico periodo come un’occasione per

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riflettere sulla necessità di migliorare. Per Fausto Nicolini occorrerà investire maggiormente nella prevenzione primaria, per promuovere stili di vita sani; responsabilizzare i cittadini sulla gestione attiva della propria salute; potenziare e riqualificare i servizi territoriali e in particolare le cure primarie, per adeguarle al cambiamento epidemiologico in atto. «La pandemia – precisa - ha evidenziato che la tutela della salute non è una competenza esclusiva della sanità, ma passa attraverso la responsabilità individuale e

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collettiva. Le politiche di tutela della salute riguardano e interessano tutti i settori della società: economia, lavoro, scuola, cultura». Secondo Giuliana Turci, la pandemia ha dimostrato che solo un sistema sanitario pubblico può sostenere uno tsunami di questa portata in modo equo e universalistico: «Mi auguro che una volta finita non si continui a disinvestire, com’è accaduto negli ultimi anni». Anche per Antonella Messori il nodo degli investimenti è fondamentale: «la carenza di fondi ha

comportato riorganizzazioni che hanno reso il sistema sottodimensionato di fronte ai bisogni legati all’invecchiamento della popolazione e al dilagare delle malattie croniche e degenerative che, non dimentichiamolo, non sono sparite anche se oggi si parla solo di Covid. E il Covid ha drammaticamente riportato alla ribalta la pericolosità delle malattie infettive, che pensavamo sconfitte. Le prossime pandemie dovranno trovarci preparati».


LAURA LOSI

Commercio

IL COMMERCIO AL DETTAGLIO HA TENUTO Via col web, ma il rapporto umano è prezioso

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l periodo delle festività da poco concluse non è stato indenne da difficoltà per il nostro commercio. Il perdurare della pandemia ha provocato un Natale più sobrio, che ha nuovamente messo a rischio il momento più fiorente sotto il fronte dei consumi. Le statistiche delle associazioni di categoria ci dicono che per il commercio reggiano il 2021 è stato mediamente un anno di tenuta; un po’ su, un po’ giù, nessuno è stato immune da alti e bassi. I costi fissi (imposte, tasse e affitti) incidono non poco sul bilancio delle imprese commerciali. C’è poi la concorrenza dell’e-commerce, con i colossi del web che erodono parte delle vendite dei negozi e al quale i consumatori, ormai fidelizzatI, si rivolgono. La classifica dei beni più ricercati e venduti su Amazon ci mostra un fenomeno che riguarda tutte le tipologie di articoli, dal cibo all’elettronica. Per capire com’è stato il trend delle vendite abbiamo incontrato alcuni titolari di negozi del nostro centro storico. Nel mese di settembre ha riaperto lo storico punto vendita Benetton, dopo circa due anni di chiusura. La titolare del Benetton per bambini situato da anni a Porta Reggio, Samantha Davolio, attiva da 30 anni prima come commessa, poi come socia e ora titolare, ha trasferito il negozio al civico 48/A di Corso Mazzini, unendo anche l’adulto (per ora solo donna). «Le vendite di settembre e ottobre sono state positive, novembre ha risentito di un calo e dicembre è andato bene, posso dirmi soddisfatta. Amo il mio lavoro e cerco di portarlo avanti con grande attenzione verso il cliente. Nel periodo Cristina Bondavalli con i figli Nicholas e Jessica

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Samantha Davolio, a destra, con le due commesse Chiara e Veronica

del lockdown generale ricevevo gli ordini tramite Facebook; non dispongo di un sito esclusivo per le vendite on-line, adesso ricevo ancora qualche ordine via social ma si tratta di una parte minoritaria. Piuttosto, noto il piacere dei miei clienti nel venire in negozio di persona, di riscoprire le relazioni interpersonali». L’importanza della socialità è rilevata anche da Katia Di Silvestro, titolare di Ottikatia in Corso Mazzini 9: «Il mio settore non ha perso la clientela nemmeno durante il lockdown, però in quel periodo ho riscontrato un calo delle vendite di lenti a contatto, che i clienti magari si procuravano autonomamente

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Rita Tondelli

acquistando sui siti internet specializzati. Dopo la riapertura, il trend delle vendite è stato positivo e così anche nel recente periodo natalizio. Sono soddisfatta, anche se devo dire che ho notato poco passeggio qui sotto al portico. Utilizzo Facebook per qualche ordine; è un servizio che è bene poter offrire ai clienti, ma sono proprio loro che vogliono riscoprire la socialità e dare valore al contatto con il proprio negoziante di fiducia. Un aspetto del mio lavoro che apprezzo molto». In via Santa Maria si trova la sede di Arredamenti Bondavalli, attività avviata cinquant’anni fa dal signor Renzo e ora gestita dalla figlia Cristina Bondavalli, con la collaborazione dei figli Nicholas e Jessica. La collocazione in centro storico è inconsueta per tale tipo di attività; in realtà, colpisce la cura della mostra, che sfrutta ogni angolo con una luminosità inaspettata da fuori. Cristina dispone anche di un proprio sito internet: «per rinnovare l’attività, sei anni fa abbiamo iniziato a proporci anche sui canali social e questo ci ha fatto conoscere fuori, in Comuni vicini, dove abbiamo numerosi clienti. Grazie alla pagina Google, durante il lockdown non ci siamo mai fermati; ora il trend delle vendite è positivo, in una fascia di prodotti media. Prestiamo la massima attenzione alla cura del cliente, dal primo contatto sino a tutto il post-vendita. Lavorare è anche allacciare rapporti umani positivi; mi capita spesso di restare in contatto anche quando il lavoro è ultimato, solo per il piacere di scambiarci un saluto o un pensiero. Questo è molto importante per la qualità della vita». I rapporti umani sono molto importanti anche per Rita Incerti, titolare del negozio Norma in Corso Mazzini 35/A. Rita è attiva con il profilo Facebook tramite il quale riceve ordini, ma ci segnala che «durante il lockdown la popolazione ha riscoperto, anche suo malgrado, il negozio di paese per fare acquisti in sicurezza. Noi esercenti dobbiamo ringraziare la cittadinanza, perché ci è rimasta fedele anche quando ha avuto nuovamente la possibilità di fare acquisti nei grandi centri. Certo, al giorno d’oggi per lavorare dobbiamo essere sempre riforniti e presentare al cliente un’ampia scelta di prodotti, però le vendite durante il periodo natalizio sono andate molto meglio dell’anno precedente. Dobbiamo anche ringraziare l’Amministrazione comunale, che si è impegnata per proporre un programma di attività per ravvivare il centro, una su tutte la pista di pattinaggio in Piazzale Carducci che ha contribuito molto ad animare questa zona. È importante che Comune ed esercenti condividano i progetti, questo va a beneficio di tutti». Anche Rita Tondelli, titolare di Guardaroba abbigliamento e calzature donna, con due punti vendita in Corso Mazzini 19/A


Rita Incerti

e 20/A, conferma la particolarità del periodo: «Le vendite natalizie sono state buone, anche se nel corso del 2021 ho visto momenti assolutamente positivi intervallati con altri di calo; un anno di compensazione. Nel sito internet presento le nuove collezioni e ricevo ordini, i clienti lo utilizzano, anche se le vendite in negozio sono la maggior parte. Perché l’e-commerce funzioni a pieno ritmo è necessario che il sito sia molto sponsorizzato: un negozio singolo non riesce certo a competere con i colossi del web, quindi occorre dare valore ad altri punti di forza, come l’assortimento. Il cliente è diventato più esigente, non si accontenta di scegliere tra i canonici due o

Katia Di Silvestro (a destra) con la sua collaboratrice Nicoletta

tre modelli, vuole trovare una scelta più ampia e noi dobbiamo puntare su questo». Tutti i negozianti intervistati, e siamo certi anche gli altri qui non citati, sono animati dalla passione per il proprio lavoro e da una grande tenacia, anche in un periodo storico non certo privo di imprevisti. Sono uniti dalla convinzione che, anche nell’era del web, la cosa più importante resta la valorizzazione dei rapporti umani. Come dare loro torto? Basta un sorriso per trasformare un semplice giro per acquisti in un momento di arricchimento reciproco. Non dimentichiamolo e sosteniamo il commercio locale.

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PIETRO OLEARI

Personaggio

la strada di un prete in salita Don Alberto Debbi è il parroco di Correggio

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uovo parroco di Correggio: è toccato a don Alberto Debbi. Già vicario di don Sergio Pellati da tre anni, è lui il nuovo parroco di San Quirino, San Prospero, Madonna di Fatima, San Biagio e Fazzano-san Pietro, le parrocchie che, insieme, costituiscono l’unità pastorale della Beata Vergine delle Grazie. Don Alberto è a Correggio dal 2016 ed è una presenza molto stimata per la sua autenticità spirituale. È noto, specie ai più giovani, per le sue passioni di sportivo, escursionista di alta quota e ciclista. La sua vocazione sacerdotale è stata pienamente vissuta da uomo adulto e medico affermato. Nel 2020, nel momento più critico della pandemia, è tornato a vestire il camice medico e si è dedicato all’assistenza ospedaliera ai malati di covid nell’Ospedale di Sassuolo: una scelta coraggiosa che ha dato buona testimonianza e che lo ha portato anche alla notorietà in campo nazionale.

Non è consueto che il curato diventi parroco, ti aspettavi questa nomina? «Immaginavo di diventare parroco presto. Ce n’è sempre più bisogno e io sono già bello “stagionato”. Non pensavo a Correggio, ma ci speravo anche un po’». Si dice che il parroco debba creare relazioni di comunione. Cosa s’intende con questa espressione? In particolare nei confronti di chi non va in chiesa, di chi vive in modo laico? «Credo sia il punto centrale dell’operato di un parroco, rispetto ad altri ministeri sacerdotali. Significa facilitare il cammino e la crescita delle comunità con relazioni il più possibile belle, significa stemperare gli attriti, i litigi e le diversità. Significa creare un ambiente dove ognuno si senta accolto, a

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Coi giovani a Roma in bicicletta

casa e in cammino con gli altri. È come la Chiesa dovrebbe essere, riflesso della Comunione Trinitaria; in ultima analisi, di Dio. Credo non ci siano confini nell’operare in questa maniera. Certamente c’è un gruppo di persone più impegnato e presente nella vita della comunità ma è difficile (e nemmeno compito nostro) valutare i cammini di fede particolari di ogni persona. Per tutti c’è una strada che va verso Dio. Cercherò di creare occasioni di incontro o comunque di mantenere la porta aperta a tutti. Già da questi primi mesi mi sono accorto di quanto sia aumentata la mia relazionalità e come sia necessario saper camminare con tante realtà diverse». Dalla cura dei malati alla cura delle anime; l’essere medico ti spinge nella direzione giusta? Chi sono i “malati” che hanno bisogno del prete? «Spero proprio che mi spinga nella direzione giusta. Sicuramente ha influito su di me. Mi ha aiutato a lavorare sulle mie infermità e le mie rigidità mentali. Gli anni di medicina mi hanno insegnato tanto sulla capacità di adattarsi e sull’accettare di tutto. Un po’ tutti siamo “malati” che hanno bisogno del prete. Essere sacerdoti significa aiutare le persone a creare ponti verso Dio, a mettersi in comunicazione con Dio. Chi può dire di non averne bisogno?». Tu sei esperto del camminare in cordata per i sentieri di montagna. Forse è lì la formula per mettere d’accordo cinque parrocchie, con le variegate opere, associazioni e sensibilità? «Sì, la cordata deve essere unita. Bisogna camminare tutti allo stesso passo e accorgersi di chi è più in difficoltà, fermarsi e ripartire tutti insieme verso una meta comune, altrimenti è

un disastro». Una domanda, dopo cinque anni vissuti a Correggio: una cosa che ti piace molto ed una cosa che ti piace meno dei correggesi. «Mi piace la voglia di puntare in alto e di essere esigenti in tutto. Dall’altra parte mi piace meno che, a volte, ognuno sia convinto che la strada per farlo sia solo la sua». Un parroco in salita: la più bella cima conquistata e quella che vorresti conquistare? «Se parliamo di montagne, sicuramente la vetta del Monte Bianco è la cima che più mi ha segnato, ma anche il Monviso perché partii da solo e lungo la strada trovai compagni da aiutare ma che, a loro volta, mi aiutarono. Quella che manca è sicuramente il Cervino. Se parliamo di vita la più bella cima è stata riuscire ad abbandonarmi nelle braccia del Signore attraverso la scelta di diventare sacerdote. Quello che vorrei è riuscire a farlo in tutte le occasioni della mia vita. A volte continuo a procedere un po’ di testa mia». Un’escursione in montagna o una lunga pedalata in bicicletta: quali emozioni provi? Cosa consigli ai lettori di Primo Piano? «In ogni caso qualcosa di duraturo e faticoso. È palestra di vita. L’escursione in montagna è sicuramente più contemplativa, meditativa e spirituale. La pedalata può essere più adrenalinica, veloce e sportiva». Simpatico, sapiente, sportivo: quale S ti piacerebbe? «Ne aggiungerei una quarta un po’ più ardita e che fa paura solo a dirla: santo. È la santità a cui dobbiamo puntare, no?».

Don Alberto, chi è?

Nato a Scandiano nel 1976 e cresciuto a Salvaterra, in una bella e numerosa famiglia: papà, mamma e sei figli. A diciotto anni, rimasto orfano di papà, morto per una malattia, matura la decisione di studiare Medicina: si laurea a Modena nel 2001 e nel 2005 consegue la specializzazione in Malattie Polmonari. Esercita come medico negli ospedali di Scandiano, Castelnovo Monti e, dal 2007, nell’ospedale di Sassuolo, reparto di Pneumologia. Nel 2013 lascia l’ospedale per studiare Teologia in Seminario a Reggio e seguire la vocazione sacerdotale, rinunciando, con piena consapevolezza, alla carriera medica ed alla possibile formazione di una sua famiglia. Nel 2017 è ordinato diacono ed assegnato a Correggio, in appoggio a don Sergio. Il 15 dicembre 2018 è ordinato sacerdote, rimanendo sempre a Correggio come vicario. Nel marzo 2020, d’accordo col vescovo e col parroco, rientra come medico nello stesso reparto di Sassuolo dove aveva lavorato in precedenza, per dare un aiuto concreto nell’emergenza della pandemia. A settembre 2021 diventa parroco a Correggio dell’unità pastorale Beata Vergine delle Grazie.

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Opinioni d’autore

La giusta memoria, per agire sul presente

Da Primo Levi e Tzvetan Todorov moniti preziosi MARCO BELPOLITI Reggiano di origine, scrittore, giornalista, critico letterario e accademico ha curato per Einaudi le Opere Complete di Primo Levi, il riferimento indiscusso a cui si appoggiano tutti gli studi critici sul grande scrittore e testimone dell’Olocausto.

Nel 1992 Tzvetan Todorov viene invitato dalla Fondazione Auschwitz a Bruxelles a tenere un discorso in occasione del convegno “Storia e memoria dei crimini nazisti”. Il titolo che lo scrittore bulgaro, naturalizzato francese, sceglie è emblematico: Gli abusi della memoria. Diventa ben presto un saggio che circola tra gli studiosi e non solo. Todorov esordisce ricordando come i regimi totalitari del XX secolo abbiano manifestato un pericolo sconosciuto nel passato: la cancellazione della memoria.

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Non che non sia avvenuto in precedenza, poiché ci sono esempi storici di damnatio memoriae negli antichi imperi, compreso quello bizantino, di cui restano tracce nei mosaici ravennati. L’oratore di quella giornata a Bruxelles cita una frase emblematica di Himmler a proposito della Soluzione Finale: “Questa è una pagina gloriosa della nostra storia, che non è mai stata scritta e non lo sarà mai”. E di rincalzo un’altra tratta dal più importante libro della seconda metà del XX secolo, I sommersi e i salvati di Primo Levi: “L’intera storia del breve Reich millenario può essere letta come una guerra contro la memoria”. Analizza con anticipo di decenni quello che ora è una delle evidenze del nostro presente: ogni aspetto della nostra società, compreso il consumo, è sempre più veloce e rapido, a partire dall’informazione. Ci stiamo rapidamente allontanando dalle memorie del passato, afferma Levi, “tagliati fuori dalle nostre tradizioni e abbruttiti dalle esigenze della società edonista, privi di spirito curioso come di familiarità con le grandi opere del passato, saremo condannati a celebrare allegramente l’oblio e ad accontentarci delle vane glorie dell’istante”. Quel momento è ora arrivato e la memoria è minacciata non tanto dalla cancellazione delle informazioni, ma proprio dal contrario: la sovrabbondanza. Todorov non aveva allora visto sorgere il web 2.0 e neppure i social network, o le fake news, ma il tema è già ben presente nel suo intervento. Siamo diventati dei volonterosi attivisti dell’oblio, non tanto e non solo nelle dittature, dice. Nei regimi democratici, o presunti tali, la meta, insiste, diventa la medesima: cancellare la memoria. Chi ha letto le pagine iniziali de I som-

mersi e i salvati ricorderà una frase di Levi che colpisce immediatamente: “La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace. È questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, o al suo stesso comportamento. I ricordi che giacciono in noi non sono incisi sulla pietra; non solo tendono a cancellarsi con gli anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando lineamenti estranei”. Pronunciata dal testimone dei Lager nazisti per eccellenza l’affermazione fa sobbalzare, e ovviamente riflettere. La seconda questione che Todorov pone è quella del culto della memoria. Non la memoria della deportazione o del genocidio praticato dal nazismo, ma di tutte le forme identitarie che egli vede sorgere agli inizi degli anni Novanta del XX secolo in Europa, e non solo lì. In modo fulminante ricorda una frase pronunciata da Louis Farrakhan, il capo della nazione dell’Islam: “L’olocausto del popolo negro è stato cento volte peggiore dell’olocausto degli ebrei”. Non c’è una gara nel peggio, sembra suggerire Todorov, che scrive una frase emblematica: “C’è sempre qualcuno più vittima degli altri”. La questione che pone l’ultima parte del discorso riguarda il titolo stesso della conferenza: l’eccesso di memoria. Si tratta dello stesso problema affrontato da Levi nel capitolo “La memoria dell’offesa”. L’intento del chimico torinese non era di criticare la “memoria letterale” delle vittime, bensì quello delle derive della memoria, come le chiama. A Todorov, che vittima non è stato, almeno in modo diretto, interessa invece l’uso strumen-


tale della memoria, persino l’eccesso di memoria che non riesce a trasformarsi in “memoria generale”. “Il culto della memoria – scrive – non serve sempre la giustizia: non è nemmeno favorevole alla memoria stessa”. Vuole intendere che le vittime non debbono restare fissate alla “memoria letterale”. Lo dice verso la fine del suo intervento: “Oggi non ci sono più rastrellamenti di ebrei, né campi di sterminio. Noi dobbiamo tuttavia mantenere viva la memoria del passato: non per chiedere risarcimenti per l’offesa subita, ma per essere attenti a situazioni nuove e tuttavia analoghe. Il razzismo, la xenofobia, l’esclusione che colpiscono gli altri non sono identici a quelli di cinquanta,

cento o di duecento anni fa; nondimeno dobbiamo, in nome di questo passato, agire sul presente”. Lo diceva nel 1992, e poi c’è stata la guerra fratricida e interreligiosa nella ex Jugoslavia, e ai giorni nostri la strage dei migranti nel Mediterraneo, e altre vicende cui, spesso impotenti o inerti, abbiamo assistito e ancora assistiamo in questi anni che ci separano dal discorso di Bruxelles. Il suo è perciò un doppio invito: non fissare la memoria su un aspetto letterale ed evolvere verso la “memoria generale”, come Levi stesso ci ha insegnato. Ne deriva la necessità di agire rispetto al razzismo e alla xenofobia in Europa, oggi più di ieri ritornante, com’è accaduto ne-

gli anni Settanta, quando il neofascismo si è riaffacciato in modo deleterio e pericoloso nel paesaggio dell’Europa scossa dal conflitto sociale e politico. Oggi le cose sono molto diverse: il fascismo si è travestito di altri abiti e forme, ma è pur sempre presente, come l’antisemitismo strisciante. Il genocidio del popolo ebraico è stato uno dei culmini della damnatio memoriae invocata da Himmler; tuttavia testimoni come Levi l’hanno iscritto con la propria vita ed opera nella memoria della storia umana. Quello che è avvenuto una volta può ripetersi nella medesima forma, e anche in altre diverse. E già si sta ripetendo.

Il verbo “Memoria”: agire nel presente guardando al passato di FRANCESCA NICOLINI Memoria. Possiamo interpretare questo termine in due modi: passivo, considerandolo un nome comune di cosa, oppure attivo, considerandolo un verbo. “Fare memoria”, ossia agire riportando all’oggi qualcosa di accaduto nel passato attraverso i sensi. Mediante una foto, una canzone, un luogo, un oggetto, un profumo, una lettera, qualcosa torna a vivere. Fare memoria è fare i conti con la propria sensibilità. Rappresenta un modo di essere e di pensare, poiché scavare nel passato aiuta a comprendere e migliorare il presente. Non basta una giornata l’anno per fare memoria, perché è necessaria una presa di coscienza che può e deve essere educata e allenata quotidianamente. Fare memoria non è solo ricordare quanto accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale alla comunità ebraica e a tutti coloro che sono stati perseguitati e uccisi per la sola colpa di esistere. Fare memoria è ricordare che se non si educa all’uguaglianza, al rispetto dell’altro e alla solidarietà, si finirà per creare sempre un’asimmetria che genera dolore. Quello che procura il “forte” al “debole”, non riconoscendolo più come uomo e spogliandolo di ogni dignità e diritto. Le conseguenze sono evidenti anche oggi nelle guerre in Medio Oriente, nei naufragi del Mediterraneo, nella miseria dei centri profughi, in qualsiasi luogo in cui venga a mancare umanità e bellezza. Si può pensare che per natura l’uomo di fronte ad interessi e potere sia incline a scegliere il male, ma si tratterebbe di una futile generalizzazione.

In tutti i micro mondi in cui si continua incessantemente a fare memoria, da sempre esiste l’esempio di qualcuno che ha deciso da che parte stare. A dimostrazione che nella medesima situazione, ognuno la vive dal proprio punto di vista, o meglio, dal proprio punto di essere. Non dobbiamo mai semplificare, poiché finiremmo per vivere la Memoria come un mero rituale. Memoria è ogni microstoria di coraggio, solidarietà e amore con cui entriamo in contatto. Come quelle testimoniate alle Carceri “Le nuove” di Torino, nelle ultime parole dei condannati nei sotterranei in cui avvenivano le esecuzioni a morte durante il Secondo conflitto mondiale. C’è chi con ironia si preoccupa del proprio cappotto, chi è contento di aver servito la Patria, chi sogna la propria amata, chi si preoccupa per i genitori, chi si riduce a quattro potentissime parole: “Padre, mi stia vicino”. Parole diverse, semplici e fragili, accomunate da una instancabile e incrollabile voglia di libertà e amore. È proprio sull’utilizzo delle parole che oggi dovremmo ragionare, perché si è perso il loro senso più autentico. Partendo dal termine libertà, troppo spesso travisato. Fare memoria è sentire vicino chi, nei modi più diversi, ha saputo declinare la voce del verbo “essere umano”. Dobbiamo continuare a ricercare questi mondi, perché solo così potremo fare in modo che certe cose non accadano più. L’uomo deve rappresentare per il proprio simile un nuovo inizio, non una tragica fine.

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MAURO DEGOLA

Governo locale

RIO SALICETO: LA BELLEZZA DELLA COMUNITÁ Conversazione col sindaco Lucio Malavasi


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ra ritenuto dai Longobardi nient’altro che “terra, ronchi e prati”, frequentati da pochi contadini. Nel 1860 è diventato, con un plebiscito, Comune autonomo dal resto del territorio che fu dei principi Da Correggio. Ma che “paese” è oggi Rio Saliceto? Ne parliamo col sindaco Lucio Malavasi, che ci riceve nel municipio, un edificio di stile palladiano di fine ottocento, recentemente trasformato in un modello di funzionalità e modernità. «Con poco più di seimila abitanti Rio è un paese “piccolo” (nel bene e nel male), ma ha una sua originale identità che forse sfugge a chi proviene dai comuni vicini. La sua agricoltura d’eccellenza ha generato un’offerta sia di prodotti che di gastronomia tale da richiamare clienti da altri paesi: pasta fresca, forni, carni, caseifici, salumerie, ristoranti, fino ad una pescheria di elevato livello. Nel periodo del COVID a Rio Saliceto il commercio, pur soffrendo, non ha perso nemmeno un negozio. Le attività industriali si sono notevolmente evolute ed oggi sono presenti aziende che competono oltre i confini nazionali. Rio Saliceto annovera rilevanti poli industriali, dalla plastica alla meccanica alla carpenteria di precisione, oltre che nel tessile. La crescita di questi poli ha consentito di assorbire in parte la perdita di occupati generata dalla “Manifattura Riese” (a cui è sopravvissuto solo il marchio “Navigare”) e dalla “Goldoni” (che invece si è ristrutturata sotto una nuova proprietà). Insomma, un equilibrio che in questi anni ha permesso di non avere un aumento delle povertà. Certo, nel periodo della pandemia, come tutte le Amministrazioni Comunali, anche Rio Saliceto ha cercato di gestire l’emergenza aiutando le attività economiche con contributi o defiscalizzazioni, così come le fasce più deboli o in momentaneo disagio. Va riconosciuto il grande cuore dei riesi: le somme devolute nel conto COVID aperto dal Comune a favore delle persone in difficoltà sono state pari a quelle di Comuni con il doppio degli abitanti! Dopo anni di intensa attività pubblica, la pandemia ha ritardato alcuni interventi, come nell’edilizia pubblica e nella mobilità sostenibile, che sono rimasti allo stadio progettuale. Tuttavia il paese ha preservato il modello di integrazione sociale di cui sono attori i cittadini ed ha continuato a curare la sua memoria storica e a progettare un futuro di comunità.»

senza dubbio “Riomania”, la quale conta un radicamento altissimo tra i giovani del nostro Comune. Questi ragazzi negli ultimi dieci anni hanno donato in beneficienza al territorio locale e reggiano ben 700.000 euro! Abbiamo realtà davvero encomiabili come “Auser” e tante altre, soprattutto a livello sportivo: dal calcio, al volley, al tennis, alla danza fino al Taekwondo, dove abbiamo atleti che hanno vestito la maglia azzurra e si sono aggiudicati medaglie e trofei. Un lavoro importante (quest’anno è il loro ventesimo anno di presenza a Rio) lo svolge il Centro Giovani grazie alla cooperativa “La Lumaca”. Oggi auspichiamo di utilizzare risorse rese disponibili dal PNRR per un progetto di “rigenerazione urbana” che parte dalla ristrutturazione dell’ex maglificio “Delfino”. L’immobile acquisito dalle precedenti amministrazioni comunali diventerà la casa comune del volontariato, in parallelo al centro sociale, ma soprattutto luogo per i giovani, con un “fab lab” (una piccola officina che offre servizi personalizzati di fab-

Malavasi è a metà del secondo mandato di Sindaco, ma non si limita a tracciare un bilancio. È concentrato sul futuro, sui tanti progetti in corso. Nella nostra conversazione non dice quasi mai “io”, ma piuttosto “noi”. Come quando parla della vocazione dei Riesi alla socialità e a impegnarsi per il benessere della comunità. «Il patrimonio di volontariato è costituito da un numero incredibile di associazioni che, negli anni ottanta, avevano la cooperativa Centro Sociale come punto di riferimento. Tuttavia le associazioni sono ben presenti e la più importante è

«Come un corpo complesso. Solidarietà, integrazione, ambiente, sport, urbanistica, commercio di prossimità, formazione, cultura: sono tutti elementi che vanno tenuti insieme se gli amministratori “pro tempore” di un Comune vogliono tramandarli rafforzati ai prossimi amministratori. I riesi preferiscono il “noi” all’ “io”, ma non è detto che sarà sempre così. Rio Saliceto ha il 15% di popolazione proveniente da paesi esteri. L’immigrazione ci ha portato tante etnie e culture diverse (soprattutto indiani, pakistani e cinesi) e queste persone non hanno la nostra stessa esperienza di comunità. Per

“Gran cuore quello dei riesi, siatene certi” bricazione digitale) insieme alla fondazione “Dopo di noi”, e una formazione-lavoro, rivolta a giovani e meno giovani, grazie alla convenzione stipulata con il “Centro studio e lavoro La Cremeria”. La sua collocazione in pieno centro, alle spalle del Municipio, renderà ancor più vivo il paese. Un paese che cambia volto, perché anche piazza Carducci è oggetto di un progetto urbanistico che ne prevede l’armonizzazione. Queste iniziative sono il frutto di sondaggi approfonditi attraverso il web che hanno visto la partecipazione di molti cittadini. I riesi sono persone pratiche: quello che si progetta poi lo si realizza, altrimenti è tempo perso.» Chiediamo a Lucio Malavasi in conclusione come vede oggi la sua “comunità”.

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dare futuro ai nostri valori bisogna conquistare questi nuovi cittadini e favorirne l’inclusione: noi vi aiutiamo, ma anche voi dovete fare la vostra parte rispettando i nostri principi e le nostre leggi. Per questo cerchiamo di “usare” la scuola, la formazione e la cultura: dobbiamo comprendere la loro identità e fargli conoscere la nostra. Faccio un esempio. Rio ha un teatro che da quaranta anni non è più usato come sala cinematografica. La struttura è un gioiello del primo novecento (tra l’altro vi è ambientato un famoso romanzo di Gianni Celati), con una sua efficace stagione teatrale grazie all’associazione “Quelli del 29”. Ebbene, tra pochi mesi riprenderemo anche questa veste cinematografica, non solo per una programmazione generica ma scegliendo proiezioni (in collaborazione col comune di Carpi e altre realtà che condivideranno i progetti) su temi che riguardano l’interculturalità. Un altro esempio: la grande acetaia costituita nel sottotetto del Municipio grazie all’aiuto di imprenditori locali e appassionati del balsamico. Lo scopo è creare occasioni di formazione e di promozione, ma anche quello di fornire alla scuola, mediante visite guidate, la possibilità di collegare i propri studi ad un’eccellenza del territorio, allargandoli ai caseifici del parmigiano reggiano e alla produzione del lambrusco. Da qui il progetto sulla memoria storica con le scuole e i giovani, perché conoscere e amare il proprio territorio è la cosa più importante che ogni cittadino può fare per custodire l’ambiente e la cultura.» Lucio Malavasi, sindaco di Rio Saliceto

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Ringraziando il Sindaco Malavasi per l’intervista, gli confermiamo la disponibilità di Primo Piano a seguire il divenire dei programmi della sua Amministrazione.


FRANCESCA NICOLINI

Sport

Il Circolo Tennis San Martino si tinge

d’oro

La coppia Muci-Pianzi vince i regionali under 18

L

’11 dicembre il Circolo Tennis San Martino ha visto trionfare i propri atleti Matteo Muci e Fabio Pianzi nel campionato regionale under 18. La fase finale è iniziata con la splendida vittoria di Pianzi per 7-6, 6-4 contro il forte 2.6 Galazzetti. Mentre Muci, un po’ sottotono, non è riuscito a sovvertire i pronostici contro il 2.8 Mazzoni, uscendo sconfitto per 6-3, 6-3. Così si è dovuto disputare il doppio per decretare i vincitori del torneo. I ragazzi, capitanati dal coach Fabrizio Bedeschi, si sono imposti per 10 a 8, dopo un tie-break al cardiopalma, giocato sul campo dell’At Borgotrebbia di Piacenza. Nell’ultima pausa a disposizione, Fabrizio ha detto loro: «in doppio si vince solo osando e giocando aggressivi, non si devono attendere gli errori altrui. Questa è l’ultima occasione che avete per vincere un campionato giovanile perché il prossimo anno uscirete dalla categoria juniores. Dopo le sconfitte in finale nel 2017 e nel 2019, questo è il vostro momento. Portiamola a casa». E così è stato. Una prova di maturità importante da parte dei ragazzi, che non partivano certo come favoriti contro i padroni di casa. La vittoria è solo la ciliegina sulla torta di un movimento che da tempo continua a crescere e non accenna a fermarsi. A proposito commenta il presidente Marcello Malagoli: «i ragazzi sono stati molto bravi, hanno dimostrato una certa maturità, soprattutto in fase di svantaggio. E’ un premio meritato per l’impegno profuso in questi anni». Continua: «Attualmente il nostro primo obiettivo è quello di ritrovare una sorta di normalità. Soprattutto per i bambini più piccoli, che si sono avvicinati al mondo del tennis, negli ultimi due anni non ci è stato possibile organizzare per loro nessun tipo di attività al di fuori delle due ore di allenamento settimanali. Chi fa agonismo ha avuto molte meno possibilità di partecipare a gare e tornei. Per quanto riguarda l’attività dei più grandi ci stiamo preparando alla disputa dei due campionati di serie C, maschile e fem-

da sinistra: Fabrizio Bedeschi (coach), Matteo Muci e Fabio Pianzi minile a squadre, che rappresentano il fiore all’occhiello della nostra società. Partecipiamo con tutti giocatori provenienti dal nostro vivaio, cosa non da poco ad un livello così alto. Da sempre teniamo molto anche agli amatori del nostro Circolo, che è la componente più numerosa. Abbiamo ripreso ad organizzare tornei sociali e corsi per adulti che attualmente vedono circa 140 partecipanti». La recente apertura del campo da padel e la nuova gestione del bar vengono a riempire due vuoti che il Circolo sentiva di dover colmare. E’ un momento d’oro per il Tennis San Martino, che nonostante le difficoltà date della pandemia continua a fare progetti e a guardare il futuro, grazie al talento dei propri giovani.

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GIULIO FANTUZZI

Città

C’ERA

UN’ EDICOLA IN PIAZZALE CARDUCCI

Ha chiuso, dopo una lunga e onorata carriera

di Piazzale Carducci 1L’edicola 8


Romano Riccò con il nipotino Andrea Giardina

A

nche a regalarla, non ho trovato nessuno disposto a rilevare l’attività» mi dice sconsolato Salvatore Giardina, il titolare dell’edicola di Piazzale Carducci, le cui serrande si sono abbassate per sempre dal 31 dicembre scorso. Una signora edicola, longeva, spentasi dopo sette decenni di interrotta ed onorata carriera. Subito dopo la metà del secolo scorso aveva le fattezze di un massiccio cubo di faesite scura, appoggiato sotto il portico di Corso Mazzini, quasi di fronte al portone del Municipio. Con cigolii e scricchiolii, l’armatura lignea accompagnava ogni mossa di Romano Riccò, l’edicolante indimenticato degli anni ruggenti del novecento correggese: baffi, pizzetto e chioma fluenti, occhio vispo; il suo triciclo lì fuori, spinto a bastone, inseparabile compagno di lavoro e d’avventura. In quel tempo il covid non c’era, ma la poliomielite sì; una bestiaccia che a Romano ragazzo aveva tolto l’uso delle gambe. Non però il sorriso e la voglia di gustarsi la vita in buona compagnia. Dall’edicola svettava una bandiera, quella del grande Torino, che aveva in Romano un capo tifoseria impareggiabile, scomodissimo per i rivali juventini. Le sue dita ingiallite di fumatore accanito, scovavano miracolosamente ciò che chiedevi fra quegli enormi castelli di carta. Se mi vedeva uscire dal Municipio pensieroso, da sindaco alle prime armi, eccomi servito: copertina di Playboy e qualche battuta per tirarmi su. Alla morte di Romano, nel 1987, subentrò come titolare la sorella Gabriel-

la, coadiuvata dal marito, Salvatore Giardina, originario di Erice e nostro concittadino da una vita. Nel 2007 Salvatore, rimasto vedovo (davvero sfortunata la famiglia Riccò), diventa titolare dell’edicola che, nel frattempo, ha traslocato e cambiato fisionomia. Così piazzale Carducci, dopo il trasferimento delle corriere, trova nell’edicola Giardina una presenza viva, permanente. Salvatore ha un figlio, Andrea, ingegnere, libero professionista, e va per i settantacinque. Confessa che per uno della sua età il mestiere è diventato insostenibile. «Dodici ore di lavoro, tra un andirivieni di pacchi e di carta da sistemare, tutti i santi giorni, domeniche alterne; un sacrificio non ripagato da un compenso mensile dignitoso». In più di trent’anni di attività, Salvatore ha visto cambiare il mondo. «I giornali hanno subito un drastico calo di vendita, dell’ordine di due terzi in pochi lustri. I giovani non li comprano, leggono gratis le notizie sui telefonini. Per le riviste il fenomeno è simile: sai, le trovi nei supermercati, quando fai la spesa. Poi c’è la concorrenza di internet. Se penso ai tanti fascicoli settimanali che facevo rilegare in enciclopedie per i miei clienti! Tutto cambiato, si sta stretti». Conclude Salvatore con un velo di tristezza. Anche il piazzale sarà più triste. Mancherà quel crocchio di habitué, che a metà mattina stazionava davanti agli strilloni dei giornali: una piccola “accademia del commento quotidiano”, Salvatore partecipe, su calcio e cose fresche di giornata.

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Le edicole: cronache di una morte annunciata? di GIACOMO BIGLIARDI Le edicole sono sempre più rare e vendono sempre meno giornali. Dall’inizio degli anni Duemila, sul territorio nazionale il loro numero si è praticamente dimezzato: dalle 40mila di vent’anni fa siamo oggi a circa 25mila punti vendita di giornali, e questo numero continua a diminuire. Capire perché questo stia succedendo è, come sempre, complicato. C’entrano i cali delle vendite dei quotidiani, le diverse abitudini d’acquisto degli italiani, la generale crisi di negozi e attività dei centri storici, specialmente nelle piccole città. Rendere conto di tutto questo in una pagina è impossibile, ma possiamo fare alcune considerazioni. Andiamo con ordine. I giornali vendono sempre di meno, specialmente nella loro forma cartacea. Dall’arrivo del digitale, i giornali tradizionali hanno migrato sempre di più verso il web, non perché convenisse economicamente a loro, ma perché a migrare erano stati in primo luogo gli stessi lettori. Internet e i social media sono diventati in brevissimo tempo il luogo (virtuale) in cui le persone guardano film, fanno acquisti, lavorano e, infine, si informano. Tutte le testate che siamo abituati a vedere in edicola hanno dovuto trovare il proprio posto sul web, con diverse forme e caratteristiche, con più o meno successo, perché lì è dove le persone passano il tempo. Se i giornali fossero rimasti fuori dal mondo dell’online, in difesa di una supposta superiorità o tradizione, sarebbe stato catastrofico per due motivi: da un lato, i giornali avrebbero perso un’enorme quantità di ricavi, perché le stesse inserzioni pubblicitarie da cui dipendono si sono

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spostate sempre più sul web; dall’altro lato, l’inevitabile diffusione delle informazioni online non avrebbe potuto contare sui suoi attori più competenti ed esperti. In poche parole, l’informazione è sempre più digitale. Non che questo sia particolarmente positivo per i giornali, che si trovano a competere non più con gli altri quotidiani dell’edicola, ma con i post dei gatti su Facebook. Oltre al maggiore utilizzo del web, che garantisce la possibilità di fruire di fonti d’informazione gratuite e sempre disponibili, si riscontra anche la diffusione di un ritmo di vita serrato, che non lascia tanto spazio allo sfoglio del giornale: questi aspetti hanno indebolito il ruolo dei giornali di carta e, risalendo a monte, delle edicole che li vendono. La reazione delle edicole è stata di non vendere più solo giornali, ma anche giocattoli per bambini, snack, ricariche telefoniche. Oggi possono perfino ricevere i pacchi di Amazon, guadagnando circa 20 centesimi per ogni pacco, nella speranza che questo possa far circolare più clienti nei loro esercizi. Questa strategia sembra funzionare in alcuni casi, ma non in tutti, specialmente per quanto riguarda i piccoli centri storici. A perderci non è solo il singolo edicolante, ma tutta la comunità, per la quale l’edicola ha sempre rappresentato un punto di riferimento importante. Siamo in un momento di grandi cambiamenti. Come le cose saranno tra qualche anno è, per certi aspetti, davvero imprevedibile.


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LUCIANO PANTALEONI

Personaggio

Bruto Terrachini, artista estroso e originale Il caricaturista scomparso cinquant’anni fa

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Quell’uomo si era messo in testa di ritrarre in scultura tutti i personaggi di Correggio. La sua casa aveva davanti un orto; ai rami degli alberi e degli arbusti appendeva i suoi lavori; quello era il suo studio… Dotato di una formidabile memoria visiva, coglieva in pieno la fisionomia del soggetto, ricordando il suo volto, la sua sagoma, soltanto per averlo visto per strada, nessuno aveva mai posato per lui, né aveva bisogno di aiutarsi con fotografie. L’orto delle crete in Bruto Terrachini Cesare Bono Luciano Melli - FGT 1984

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sattamente cinquant’anni fa, il 5 febbraio del 1972, moriva Bruto Terrachini. Era nato a Rio Saliceto il 10 agosto del 1891. Il padre Pier Giacinto è stato un uomo vulcanico: ingegnere, architetto, geometra. Ha realizzato diverse abitazioni e architetture di pregevole fattura. Era dotato di qualità artistiche che ha trasmesso ai due figli, Bruno e Bruto. Fu fondatore della prima cooperativa enologica d’Italia e sindaco socialista di Rio Saliceto. La madre era la contessa reggiana Maria Teresa Malaguzzi Valeri. Bruto frequentò da ragazzo la scuola d’arte di Reggio Emilia “Gaetano Chierici”, ma non aveva la pazienza e il rigore per svolgere gli studi con continuità. Abbandonata la scuola iniziò una vita errabonda. Inforcata la bicicletta, cominciò a vagare per l’Italia e per l’Europa inseguendo il suo bisogno di conoscenza e la sua curiosità. Gli venivano assegnate commesse per eseguire fregi in cotto o in cemento, utilizzati per decorare le abitazioni. Realizzato il lavoro e ricevuto il compenso ripartiva: Germania, Austria… dai più svariati luoghi inviava lettere e cartoline alla moglie e alla sorella. Ha eseguito anche diversi lavori in zona che testimoniano le sue indubbie capacità esecutive e creative come le decorazioni del Torrione, l’edificio progettato e costruito dal padre sulle mura del bastione di Carlo V°, o le centine in cotto del cornicione e delle finestre del Palazzo dei Principi, gli ornati di molte ville e case della zona, i busti di personaggi illustri ad ornamento di edifici e cancellate. Col passare degli anni i suoi lunghi viaggi si diradarono, fino a cessare quasi completamente: si ritirò a vivere a Correggio. Nella sua casa di Via Marconi, dotata di un giardino su Via Cesare Battisti, si dedicò alla attività che più gli piaceva e che lo rese famoso. Bruto ritraeva i personaggi, prevalentemente correggesi, con bassorilievi in creta; poi, con dei fili di ferro, li appendeva in giardino dando vita ad un originalissimo museo open air. Bruto dedicava tutto il suo tempo a questa attività, andava a prendere la creta nella fornace di Mandrio, plasmava ogni giorno nuove formelle (faciot, come lui li definiva), le faceva essiccare e poi le portava alla fornace per la cottura. Era molto orgoglioso del suo lavoro e diceva: “i miei sono veri e propri ritratti”. A volte a fianco della figura scriveva il nome della perso-

na o una battuta che la caratterizzava. In alcuni suoi bassorilievi aveva inciso: Bruto Terrachini caricaturista. Gli piaceva bere a casa e all’osteria “Bar Sole” dove, in attesa del pranzo, faceva schizzi sui tovaglioli o sulle carte del menù. Amava il lambrusco, che prendeva in bottiglioni da 2 litri, e ancora di più la grappa. A chi gli chiedeva da cosa nascesse questa sua passione, raccontava di “essere stato cresciuto col pane intinto nel vino”. Portava sempre la cravatta rossa da Socialesta ed Prampulein e in testa il purillo.

Aveva allestito un giardinomuseo con i ritratti in terracotta dei correggesi Alle sue opere si interessarono diversi artisti tra cui il bolognese Cleto Tomba; gli furono dedicati diversi articoli di giornale e un servizio televisivo di “Cronache Italiane”. Bruto esprimeva spesso il desiderio che i suoi lavori potessero essere ammirati da molti visitatori, attratti dalla bellezza dei suoi ritratti in creta e dalla originalità della esposizione. Dopo la sua morte i parenti hanno donato le sue opere alla Amministrazione Comunale affinché potessero essere esposte nel Museo che era in allestimento. Gli sono state dedicate diverse mo-

La formella che ritrae Rodolfo Zanichelli, storico sindaco di Correggio

stre temporanee ma non si è mai trovata una sistemazione definitiva e strutturata del suo ampio lavoro. Un vero peccato, perché è stato artefice di un’esperienza artistica assolutamente originale. Con ironia e leggerezza ha ritratto in terracotta le persone che lo circondavano o lo interessavano, cogliendo i tratti essenziali della loro identità senza distinzioni di classe, di età, di sesso. Era affascinato dalla gente e dalla possibilità di poterla plasmare con il suo personale stile ed esporla nel suo originalissimo giardino-museo personale. È probabilmente giunto il momento di abbattere alcuni steccati, come quello tra “cultura alta” e “cultura popolare”, e di superare il concetto pomposo di “Museo”… Sarebbe opportuno dare vita ad una serie di musei minimi o ancora meglio a luoghi meravigliosi: scenari informali, capaci di accogliere queste espressioni artistiche preziose e interessanti.

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SIMONE TESTI

Città

Correggio sogno

La che vorrei, un comune

L’urbanistica tra immaginazione e progetto

Simone Testi, architetto, libero professionista. Si è laureato in architettura al Politecnico di Milano nel 1998 con una tesi sulla periferia, quale potenziale luogo del vivere contemporaneo. Dopo aver collaborato con lo Studio Lugli di Modena su progetti urbanistici ed architettonici di rilievo, ha aperto nel 2004 il proprio studio a Correggio, in Corso Mazzini. Ha progettato spazi di abitazione e di lavoro e ristrutturato edifici di valore storico. www.simonetesti.it

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in dai primi studi di urbanistica all’università e, successivamente, ogni volta che mi sono occupato di pensare e disegnare pezzi di città, mi tornava spesso in mente il “modulo trasportabile” di Renzo Piano. Si trattava di una struttura prefabbricata smontabile da lui ideata nel 1979, in occasione di un programma Unesco di riqualificazione dei centri storici, che servì per attivare i laboratori di quartiere per il recupero del centro urbano di Otranto. L’idea di trasportare dei moduli da una città all’altra per allestire di volta in volta spazi temporanei, utili a studiare la città ospitante e incontrare i cittadini, mi affascinava. In quel periodo si riteneva preziosa la crescita culturale per costruire le scelte politiche, sociali e urbanistiche; si coinvolgevano figure disparate e multidisciplinari, perché l’urbanistica era sentita come materia anche artistica ed emotiva, che doveva scavare fin nell’intimo delle persone. C’era un altro aspetto che trovavo molto interessante: i “piani progetto” di Bernardo Secchi. Questo grande urbanista stava sperimentando un metodo nuovo di ripensare la città, studiando a fondo singole parti ed ipotizzando una progettazione degli spazi che avesse già un carattere architettonico e dettagliato, per integrare ogni singola parte di una città intera. Si tentava di superare le logiche progettuali astratte e inevitabilmente più generiche dell’urbanistica razionale, quella fatta con indici, numeri e funzioni, che non coinvolgeva la forma dello spazio e, quindi, non progettava con materiali, colori e prospettive. In quegli anni c’era chi pensava che l’urbanistica non avesse più valore e che la città fosse fatta solo delle sue parti, indipendenti dalla loro relazione. Ciò dava più libertà progettuale, ma non si preoccupava di un progetto complessivo, fatto di idee e soluzioni che potessero migliorare la vita delle persone, trasformandole in una comunità. Intanto, negli Stati Uniti, l’immensità di zone urbane fatte di strade piene di automobili, che arrivavano a servire ogni singolo e distinto lotto senza alcuna immaginazione e progetto urbano, convinceva un gruppo di architetti e urbanisti a ipotizzare nuove città, basate sulla realizzazione di centri sociali e commerciali di servizio a distanza massima di seicento metri, corrispondenti ad una passeggiata di quindici minuti. Ripensare lo spazio con questo criterio obbliga ad individuare una rete di percorsi, spazi verdi e alberature che ne rendano piacevole l’uso, in modo che siano occasione di relazione, una volta usciti dall’individualismo delle proprie automobili. Potrebbe essere la città a misura di bambino, visto che, se lo fosse, potrebbe accogliere tutti. Mi piacerebbe un giorno uscire dalla porta dello studio e trovare il corso centrale di Correggio vuoto di automobili, perché pieno di passanti e ciclisti, spazio di gioco per bambini e spazi di lettura ai tavolini di un bar. Un giorno ho sognato che ogni locale del centro possa piantare davanti a sé un albero

tra i ciottoli della piazza. Sotto distribuirebbe qualche tavolo e qualche sedia. La piazza sarebbe così alberata in base alla quantità di locali e bar aperti. Il centro diventerebbe sempre più accogliente e fresco, sostituendo il rombo e l’arroganza delle automobili con il fruscio delle foglie e qualche cinguettio. Potrebbe servire qualche sogno per fare spazio all’immaginazione, rendendosi conto che certi sogni sono più concreti di quello che si crede. Molte piazze urbane sono state in effetti alberate nel tempo. In occasione del ripensamento del Piano Regolatore Generale di Correggio, sarebbe bello un giorno uscire dallo studio e trovare il modulo trasportabile del Laboratorio di quartiere di Otranto nella piazza piena di passanti e ciclisti. Sarebbe interessante riattualizzare queste esperienze passate, proprio quando si stanno ipotizzando interventi pubblici su edifici chiusi da tempo, affinché diventino luoghi della comunità. Saranno necessariamente da ripensare anche gli spazi davanti alle scuole perché possano diventare spazi a misura dei bambini e non delle automobili che li portano e li ritirano. Se non ci fosse un’automobile ad attenderli potrebbero indossare un paio di pattini o giocare a rincorrersi con i propri compagni di scuola, vicini di casa, con i quali fare il percorso di ritorno. Non sarebbe neppure necessario un vigile. Potrebbe così essere una città di pedoni e di biciclette che in soli quindici minuti arriverebbero a casa, avendo anche la precedenza sulle automobili, costrette a rallentare e fermarsi ad ogni loro passaggio. Non sarebbero neppure necessari i dossi. In un laboratorio di progettazione sarebbero illustrate e discusse sperimentazioni e scelte già messe in pratica in altri contesti simili. Diventerebbe un’occasione per rendersi conto di quante possibili diverse soluzioni allo stesso problema siano ipotizzabili e le conseguenze di ciascuna scelta progettuale. Il laboratorio potrebbe anche acquisire una forma semi-permanente operativa, se si allestisse uno spazio di lavoro. Ogni giorno questo spazio potrebbe essere gestito e utilizzato da un progettista locale diverso, in quel momento alle prese con la trasformazione di un pezzo di città, anche piccolo come una casa. Sarebbe il suo studio per un giorno, lasciando alla fine della giornata appunti di lavoro e considerazioni progettuali a qualsiasi scala di dettaglio. Ogni giorno si avvicenderebbero sensibilità diverse nel costruire una mappa d’interventi, perché possano poi diventare un intrico di relazioni e problematiche specifiche che, viste però in una prospettiva urbana generale, diventano potenziali strategie e risposte comuni per costruire un’idea di città condivisa e partecipata. Un sogno comune.

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pesso parliamo di volontariato, generalmente in termini positivi con sentimenti di ammirazione e gratitudine, ma qual è il senso dell’essere volontari, la direzione di questa particolare forma di impegno, la scintilla che muove? Ho incontrato e intervistato tre correggesi impegnati in varie realtà del volontariato locale per poter andare più a fondo, per poter scavare nella domanda sul senso dell’essere volontario, ed esserlo non nelle forze armate o in una serata in discoteca, ma in associazioni che si fanno incontro agli altri. Ed ecco che il gesto gratuito implica un interesse nei confronti dell’altro, non un tornaconto personale ma una propensione al dono. Alla base dell’azione gratuita c’è proprio il concetto di andare incontro all’altro, di costruire relazione. Adriano Giuberti, una vita spesa per gli altri e per la comunità anche in termini numerici: per trent’anni volontario in Croce Rossa, per ventun’anni nell’associazione SiAmo con Te, per dieci anni in Caritas Correggese, per ventisei nell’AVO. «Sono sempre stato bene tra le persone, ho scelto il volontariato per rimanere concretamente tra la nostra gente, che ho sempre apprezzato ritenendola brava, laboriosa e parsimoniosa». Lorenzo Bonini, da oltre dieci anni in ProLoco, non si tira mai indietro quando c’è bisogno di organizzare feste di quartiere, cene di vicinato, raccogliere iscrizioni per le associazioni sportive locali, lavorare alla realizzazione del carro per il palio e via discorrendo. «Ritagliarsi del tempo per la comunità, tra lavoro e famiglia, richiede un grande interesse per quello che fai, deve anche piacerti e divertirti, altrimenti rischi di essere poco costante, mentre il volontariato organizzato è impegno costante per definizione». Giovanni Iemmi, responsabile della locale sezione dello SPI – CGIL che riunisce tutti i pensionati, le pensionate e le persone anziane aderenti alla Cgil. A

Correggio lo SPI ha sede presso la Camera del Lavoro, in Piazzale Finzi, sopra la COOP, e i pensionati di Correggio iscritti sono circa 2.700. Aperti tutte le mattine dal lunedì al venerdì, svolgono attività come volontari e si alternano, nelle giornate di apertura della sede, con la presenza di alcuni pensionati: in particolare Eles, Emanuela, Giuseppe, Fabrizio e Giovanni. «Tutti noi dedichiamo parte del nostro tempo al servizio di quegli anziani che hanno bisogno di assistenza e consulenza, in merito ai diversi problemi che devono affrontare e che hanno difficoltà a capire o risolvere». Adriano ricorda con commozione i momenti in cui cercava di avvicinarsi al let-

si ritrova un po’ quella dimensione del lavoro per qualcosa di bello per la città, per gli altri e per se stessi». Oggi gli aspetti organizzativi ed economici di un’associazione sono complessi da seguire e da gestire, per questo è importante avere un gruppo che si trovi bene, che sia guidato da persone carismatiche e che sappiano avvicinare e includere chi ha desiderio di mettere un po’ di tempo e competenze a disposizione della comunità. «Gli ambiti d’intervento del Sindacato pensionati della Cgil sono tanti – racconta Giovanni – tutti incentrati sulla necessità di aiutare e di tutelare nel miglior modo possibile i pensionati: prestiamo assistenza e consulenza indi-

“Nel volontariato si lavora per qualcosa di bello per la città, per gli altri e per se stessi” to di un paziente in Ospedale: «Ti chiedi, come posso avvicinarmi? A volte con timore ma poi ti rendi conto che la presenza è importante, non sono sempre necessarie le parole, il silenzio abitato dalla presenza e dalla vicinanza crea un legame, un contatto. È stato difficile accompagnare persone all’Hospice, in un momento in cui non hanno più speranza, a volte sai che non le rivedrai più ma sei con loro, li accompagni fin dove puoi. Sono tutti molto gentili con noi volontari, non fanno mai mancare un saluto cordiale e rispettoso». «Ricordo quando ero piccolo – aggiunge Lorenzo – a casa dei miei genitori in campagna, il giorno della trebbiatura i vicini venivano ad aiutare e dopo si mangiava e si stava insieme, non c’era bisogno di chiamarli o di chiedere aiuto, era spontaneo ed era la bellezza di aiutarsi e di stare insieme; nel volontariato

viduale su pratiche previdenziali, sanitarie e fiscali, informazione e formazione, aggregazione, solidarietà, ascolto, accoglienza e inclusione sociale». «Che dire dei giovani? Ne conosco molti che si impegnano – afferma Giuberti – sono rispettosi e capaci, ascoltano e cercano di imparare». «Certo, non sempre sono costanti, il loro impegno è un po’ volatile – aggiunge Bonini – ma è importante saperli accogliere, guidarli, dar loro uno spazio perché uno dei problemi del volontariato oggi è poter garantire un ricambio generazionale e la continuità delle attività». «Il nostro ruolo è anche quello di fare advocacy: ci confrontiamo con le istituzioni locali, esercitando la contrattazione territoriale con il Comune ed il Distretto Sanitario, per ottenere e promuovere un’assistenza più efficiente

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Adriano Giuberti

ed inclusiva, e servizi socio-sanitari di qualità, tali da rispondere ai bisogni dei cittadini e delle cittadine anziane e non autosufficienti; il volontariato ha anche il compito di dare voce a chi è più debole», aggiunge Iemmi. Questi esempi raccontano come ad alimentare relazioni tra persone è proprio

Lorenzo Bonini

il dono gratuito del proprio tempo, delle proprie competenze e del proprio lavoro. Nella reciprocità che nasce dal dono, l’apertura all’altro (un’apertura che può assumere le forme più varie, dall’aiuto materiale a quello spirituale) determina una modificazione dell’io che, nel suo rientro verso la propria interiorità, si trova più ricco per l’incontro avvenuto.

Ecco, l’identità propria del volontariato è nel dono gratuito che genera reciprocità. L’uscita dell’io verso un tu di cui sempre si ha bisogno è davvero ciò che definisce la gratuità dell’azione volontaria. Il volontario non riesce a definirsi se non sentendosi responsabile nei confronti del diverso, dell’altro, della comunità.

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Cultura

La voglia di imparare sia sempre con noi Nuova iniziativa del Circolo Culturale Primo Piano

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oglia di essere attivi, di ritrovarsi insieme per approfondire, imparare, confrontarsi. Chi non si è fatto deprimere dalla pandemia, mai come in questi due anni ha sentito la necessità di uscire, ritrovarsi insieme per ascoltare cose interessanti, stimolanti. Ecco cosa vogliamo proporvi nei prossimi mesi, se la situazione si metterà al meglio. La nuova iniziativa del nostro Circolo Culturale si chiama “Primo Piano-FormAzione”, nata dall’idea di un gruppo di correggesi capitanati da Marcello Rossi, per tanti anni professore all’Istituto Luigi Einaudi di Correggio. Organizzeremo momenti di approfondimento culturale su diversi temi, anche legati all’attualità e alle iniziative pubbliche promosse dal Circolo, per incentivare la divulgazione e soddisfare il desiderio di conoscenza che i nostri lettori ed i cittadini ci hanno espresso più volte. Per sviluppare questa attività abbiamo ritenuto di fare una scelta culturale molto significativa: coinvolgere le professionalità esistenti sul nostro

territorio. Insegnanti, esperti, ricercatori, appassionati che non sempre sono valorizzati e considerati ma che sono portatori di specifiche conoscenze, di professionalità in grado di accrescere il panorama culturale del nostro territorio. Saranno chiamati in cattedra ad approfondire tematiche di interesse collettivo. In questo contesto, siamo anche a sollecitare quanti sono portatori di idee, di suggerimenti a prendere contatto con il nostro Circolo e fare proposte che potrebbero tradursi in specifiche iniziative. Gli incontri, ovviamente pubblici, si svolgeranno, di solito, il giovedì pomeriggio alle 17; le prime iniziative si terranno nella Sala del Centro Sociale 25 Aprile. L’attività di “Primo Piano-FormAzione” sarà inaugurata da alcuni incontri dedicati a Pier Paolo Pasolini (1922-1975) di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita (5 marzo 1922). Si tratta di due lezioni tenute dalla prof.ssa Claudia Correggi, docente presso il Liceo Ariosto di Reggio Emilia:

1A LEZIONE Giovedì 24 febbraio 2022 Centro Sociale 25 Aprile ore 17 “Romanzi. La narrativa di Pier Paolo Pasolini tra realtà e finzione” 2A LEZIONE Giovedì 3 marzo 2022 Centro Sociale 25 Aprile ore 17 “Immagini. Lo sguardo di Pasolini tra cinema e teatro” Relatore Claudia Correggi

Nel prossimo numero di Primo Piano sarà pubblicato il programma delle altre iniziative. Per partecipare agli incontri occorre essere soci del Circolo Culturale Primo Piano (il costo della quota associativa è di 10 euro). L’ingresso alle lezioni su Pasolini è gratuito ma, in seguito, si potrebbe decidere di chiedere un piccolo contributo per le spese organizzative ed il compenso al relatore. Siamo convinti che i correggesi abbiano voglia e bisogno di stimoli culturali, cercheremo argomenti e temi che possano soddisfare una esigenza fondamentale per tutti: continuare ad imparare.

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LORENZO SICOMORI

Impresa

PROGETTARE PER UN PIANETA MIGLIORE SI PUÒ Fluid System, la termotecnica per un’edilizia sostenibile

Da sinistra: Luca Ciroldi, Elisa Dazzi, Stefano Pompeo, Paolo Ferraguti, Matteo Ciroldi, Maurizio Marani.

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a terra si sta surriscaldando. Lo stravolgimento del clima rischia di provocare danni incalcolabili. La causa è dovuta alle emissioni di gas a effetto serra in atmosfera. Il principale è l’anidride carbonica, che proviene in gran parte dall’uso di combustibili fossili (carbone, metano, petrolio) per produrre energia elettrica e calore. Gli accordi internazionali fissano gli obiettivi di contenere il riscaldamento globale al di sotto dei due gradi entro la fine di questo secolo. Per raggiungere questo obiettivo, lo strumento principale è la transizione energetica cioè il passaggio all’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili (fotovoltaico, eolico, geotermico e così via). Vi sono tuttavia altre azioni che possono influire sensibilmente sulle emissioni: il risparmio e la riqualificazione energetica dei fabbricati, che consiste nell’effettuare una serie di interventi funzionali e strutturali

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su un edificio con l’obiettivo di contenere i consumi e migliorarne l’efficienza. Abbiamo voluto approfondire questi argomenti con i fondatori dello Studio Associato di progettazione termotecnica Fluid System, con sede a Correggio: i tecnici Maurizio Marani di Correggio e Luca Ciroldi di Novi di Modena. Nella sala riunioni dello studio fa bella mostra un grande manifesto, con dedica, che raffigura l’ex Presidente del Turkmenistan e viene spontanea la domanda. Come mai avete lo avete conosciuto? «Gli impianti della monumentale villa, in stile palladiano, dell’ex presidente è stato l’ultimo lavoro che abbiamo eseguito per conto della Giza SpA di Bagnolo in Piano.» Continua Maurizio: «la nostra esperienza lavorativa è iniziata in Giza, una grande azienda di progettazione.


La presenza all’interno di tecnici e ingegneri di elevate competenze ne faceva una delle realtà più importanti in Italia. Venivano progettati allevamenti, stabilimenti industriali, impianti, in particolare rivolti all’agricoltura e alla zootecnia per conto di committenti soprattutto esteri e realizzati “chiavi in mano”. Quindi spesso eravamo all’estero e in particolare nei paesi dell’est e in medio oriente a seguire la realizzazione delle opere progettate a Bagnolo. Quando Giza ha chiuso, forti dell’esperienza maturata, abbiamo deciso di continuare l’attività di progettazione in proprio e nel 1993 abbiamo fondato lo Studio; per qualche anno abbiamo seguito l’ultimazione di diversi lavori che Giza aveva in corso, tra cui la villa in Turkmenistan e un impianto di irrigazione per un grande uliveto in Siria». Poi avete continuato a lavorare in Italia, vero Luca? «Si, la collocazione a Correggio, tra le province di Reggio e Modena, territori ad alta concentrazione industriale e forte sviluppo edilizio ha favorito il consolidamento della nostra attività, particolarmente rivolta ad una clientela privata e industriale. A metà anni ’90 si iniziava a parlare di risparmio energetico, di isolamento termico e acustico, di fonti energetiche rinnovabili e anche il raffrescamento estivo iniziava a diventare un elemento sempre più richiesto. Sulle nuove abitazioni le installazioni di questi impianti divennero preponderanti. Anche l’industria, per limitare la bolletta energetica, iniziò a considerare l’installazione di impianti per il risparmio energetico e il raffrescamento estivo. In particolare oggi, con la diffusione di macchinari a controllo numerico sempre più sofisticati, è necessario un rigoroso controllo della temperatura soprattutto nei mesi estivi, con impianti adeguati ai bisogni.» Continua Maurizio: «Stiamo lavorando per importanti aziende correggesi, per conto dell’AUSL di Reggio Emilia in relazione alla realizzazione della centrale termica dell’ospedale di Correggio, per conto della Diocesi di Reggio Emilia per quanto riguarda gli impianti di riscaldamento e condizionamento relativi alla costruzione del nuovo Seminario. Abbiamo da poco ultimato la riqualificazione energetica delle scuole nel quartiere Espansione Sud a Correggio. L’evoluzione tecnica degli impianti è continua: negli stabilimenti industriali, ad esempio, per ridurre le polveri generate dal riscaldamento ad aria si installano sempre più delle termostrisce radianti ad altezze opportune che evitano in gran parte il problema, oppure si utilizzano i collaudati impianti a pavimento. Ci occupiamo inoltre di prevenzione incendi e impianti antincendio con la progettazione di impianti idrici, la progettazione di impianti di rilevazione ed allarme incendio oltre che delle relative pratiche presso i Vigili del Fuoco. Nel frattempo lo studio si è ampliato e attualmente, oltre a me e Luca, sono presenti altri quattro giovani tecnici (i loro nomi sono riportati nella foto, NdR) tra cui un ingegnere energetico». Luca, nella situazione attuale in cui i prezzi del gas metano e dell’energia elettrica hanno raggiunto vette mai viste, con

l’introduzione delle norme sull’Ecobonus del 110% e le materie prime difficili da reperire, cosa potrebbe fare il cittadino per limitare i costi della bolletta e quindi ridurre l’inquinamento? «Le nuove abitazioni, da dieci/quindici d’anni a questa parte, adottano, anche per legge, tecniche costruttive che prevedono il “cappotto” come isolamento esterno e il fotovoltaico per la produzione di elettricità: questi rappresentano due elementi fondamentali nel risparmio energetico. Il patrimonio edilizio italiano costruito precedentemente, sul piano energetico, sarebbe tutto da riqualificare; anche l’Ecobonus, che ha impresso una forte accelerazione degli interventi di riqualificazione, alla fine avrà interessato una minima percentuale dei fabbricati. Tenendo presente che circa i due terzi dei consumi di energia in una abitazione tradizionale sono relativi al riscaldamento e al raffrescamento, gli interventi principali diretti a ridurre questa componente sono: l’involucro esterno come prima cosa, il fotovoltaico

“Con piccoli accorgimenti si possono ridurre i consumi energetici delle nostre abitazioni” con pompa di calore, il solare termico, caldaie ad alta efficienza, il riscaldamento a pavimento, i serramenti a tenuta d’aria, il ricambio d’aria con recupero di calore. Questi interventi, realizzati con moderne tecnologie, possono rendere l’abitazione “zero gas” e quindi non richiedere nemmeno l’allacciamento alla rete, con riduzioni dei consumi energetici fino all’ottanta per cento». Sul restante un terzo dei consumi come si può intervenire, Maurizio? «Anche i comportamenti individuali e l’attenzione ai particolari possono fare una sensibile differenza. In primo luogo fare attenzione alla classe energetica degli elettrodomestici; il costo degli apparecchi di classe A è un po’ più alto ma viene velocemente ammortizzato dai risparmi; far funzionare gli elettrodomestici nelle fasce orarie meno costose; usare lampadine a LED; evitare di mantenere apparecchi elettrici in stand by (TV, stereo, computer, caricabatterie)». La scienza e la tecnologia, quando sono ben indirizzate, possono fare grandi cose. Intanto io uscendo dagli uffici dello Studio non prendo l’ascensore; qualcosa ho già risparmiato.

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VILLER MAGNANINI

Sport

IL TIRO DINAMICO SPORTIVO, QUESTO SCONOSCIUTO Barbara Franchini, nostra concittadina, è campionessa italiana

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e diciamo Tiro Dinamico Sportivo riuscireste ad immaginare di che sport stiamo per parlare? Se poi aggiungiamo che Correggio annovera tra i suoi cittadini una campionessa italiana di questa specialità, cominciate ad incuriosirvi? Allora eccoci qui a svelare il doppio mistero. Il qui sta per via Europa n. 4, Villaggio Industriale; più precisamente la sede della FM s.r.l., una bella azienda del nostro distretto della plastica fondata da Gian Carlo Franchini nel 1974. Al posto di comando di FM siede, come CEO, la nostra campionessa di tiro dinamico sportivo: Barbara Franchini. La signora Franchini ha conquistato il titolo di numero uno in Italia tra quattrocento tiratori a Magione Trasimeno, nell’ambito del National HADGUN 2021, l’evento internazionale che si svolge ogni anno alla fine dei campionati di questa disciplina e che decreta i campioni nazionali di ciascuna divisione. Quella di Barbara è la categoria Open Lady. È lei stessa a descriverci lo sport in cui eccelle: «Il tiro dinamico sportivo è una disciplina mista in costante crescita; è molto diffuso negli U.S.A e praticato in varie parti del mondo. È caratterizzato dall’utilizzo di pistole e fucili all’interno di circuiti definiti. La disciplina mette alla prova varie caratteristiche: agilità di movimento del concorrente,

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mobilità dei bersagli, varietà di distanze e tipologie degli stessi, libertà di interpretazione del tiratore per risolvere i vari percorsi di tiro, sfida continua contro il tempo per svolgere la gara. Sono caratteristiche che lo rendono uno sport completo, che non guarda solo alla forma fisica e per questo aperto a tutti i generi e fasce di età». Ma chi è Barbara Franchini? Correggese doc, imprenditrice, con un passato da nuotatrice e pallavolista, nel 2013 inizia a frequentare il tiro a segno di Carpi grazie alla passione del marito, che la contagia. Consegue subito l’abilitazione al maneggio dell’arma e un anno dopo il bronzo necessario per praticare lo sport, dove inizia nella divisione standard per poi passare a quella open nel 2016. Alla prima partecipazione all’Extreme Euro Open, gara di importanza internazionale in Repubblica Ceca, si classifica tra le prime sei dell’Open Lady e partecipa poi alla finale, piazzandosi quarta. In quell’occasione viene notata dalla azienda israeliana di armi Bul Armory che le chiede di entrare nel loro team, di cui fa tuttora parte. Negli anni ha partecipato a gare in tutto il mondo tra cui un “Level 4” in Sudafrica nel 2018 e gli europei a Belgrado nel 2019, ottenendo buoni piazzamenti. Fino al 2021 dove ha vinto il titolo di campionessa nazionale.

Barbara Franchini: @lady.ipsc Federazione Italiana di Tiro Dinamico Sportivo, aderente al CONI: www.fitds.it


Quali tipi di eventi esistono a cui poter partecipare per le varie categorie? «Esistono varie categorie di eventi, con gradi di difficoltà diversi che contemplano dai sei ai trenta esercizi da svolgere in poligoni dedicati. Qui nelle vicinanze sono a Gualtieri, Sassuolo, Guastalla e Frassinoro, dove vado molto volentieri per il bellissimo contesto naturale dell’appennino». In cosa consistono le prove e i bersagli? «Le prove sono seguite da un arbitro che dà il via con un segnale sonoro. Muovendoti velocemente spari a sagome di carta o metallo, fisse o mobili, in numero variabile in base al tipo di gara e percorso. Il tutto in tempi ridottissimi: ogni esercizio dura dai sei ai trenta secondi. È adrenalina pura! Terminato l’esercizio si calcola il totale dei punti fatti e si divide per il tempo impiegato». Barbara, come ti sei avvicinata a questo sport? Ti piacevano le armi? «No! Mio marito frequentava il poligono di Carpi, mentre io ho sempre giocato a pallavolo: a causa di problemi fisici avevo smesso e non praticavo più nessuno sport. Così dietro sua insistenza ho voluto provare: corso per il maneggio in sicurezza dell’arma, teorico e successivamente pratico. Da principiante ho mandato tutti i colpi a bersaglio, gli istruttori rimasero increduli, quasi risentiti, come se avessi voluto prenderli in giro bluffando su di me. Invece era vero, non avevo mai sparato in vita mia. Avevo evidentemente, a mia insaputa, un’attitudine naturale! Da lì è cominciato tutto e mi sono innamorata di questo sport». Quanti appassionati, praticanti e tesserati ci sono in Italia? «Premesso che sono quasi tutti agonisti, parliamo di numeri ancora ridotti, dell’ordine di alcune migliaia. Ma conoscendolo meglio come sport completo, che implica tante caratteristiche fisiche e psicologiche sfatando così certi oscuri preconcetti sui praticanti, speriamo di allargare la base degli appassionati». Esistono divisioni per categorie? «Sì. Si parte dagli junior che in Italia partono da venticinque anni, visto il vincolo del porto d’armi dai diciotto (ma nel resto del mondo iniziano molto prima), poi ci sono i regular (dai venticinque ai cinquanta), che sono la maggior parte, poi i senior dopo i cinquant’anni, i super senior sopra i sessanta e poi le lady, che sono purtroppo ancora pochissime».

Immagino che gli sponsor facciano parte della galassia di produttori di armi. «È così. Avere uno sponsor che ti sostiene è un bel vantaggio. Lo sponsor dota l’atleta dell’arma da gara e ciò attenua molto l’impatto dei costi, che, per praticare questo sport, sono elevati. Il costo dell’arma è uno di quelli più rilevanti». A proposito, che armi e che proiettili usate? «Io personalmente uso la pistola Bullesteros del mio sponsor BUL. Per quel che riguarda i proiettili, preparo in prima persona i miei. Ne serve un gran numero e allora, alla fine di ogni gara o allenamento, raccolgo i bossoli vuoti e, una volta puliti, lavati, asciugati, li riutilizzo per preparare i proiettili per la volta dopo». Ora in che momento ti trovi della tua performance sportiva? «In questo momento sono super concentrata sul Mondiale in Thailandia, dove spero di poter andare, se si farà, dato che è già stato rinviato due volte per la pandemia. Spero di partecipare come componente della squadra Nazionale Italiana. Vi lascio immaginare che grande motivo di orgoglio sarebbe per me poter rappresentare in prima persona la mia nazione laggiù. Ed aggiungo: per una che ha cominciato nove anni fa per curiosità, beh, modestamente, non mi sembra poco». Grazie alla nostra campionessa per averci svelato uno sport dove lei eccelle, ma sconosciuto ai più. E tanti auguri Barbara: che questa straordinaria mira sempre ti accompagni!

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ADRIANA MALAVOLTA

Personaggio

Cerco nel passato remoto le soluzioni per il nostro futuro Giacomo Benati, tra scavi archeologici e ricerca scientifica

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orreggese, classe 1985, ha cominciato a girare il mondo da quando aveva vent’anni, avendo come base l’Università di Bologna. Il suo curriculum è fittissimo, quasi indecifrabile per un profano: fondamentalmente è un archeologo esperto nelle civiltà me-

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sopotamiche, specializzato in economia. Giacomo Benati ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Torino, Dipartimento di Studi Storici. Il dottorato di ricerca italiano, equivalente al titolo di PhD, Doctor of Philosophy, è nella maggior parte delle nazioni il più alto

titolo accademico riconosciuto. Ha svolto ricerche presso il British Museum, scritto numerosi saggi e articoli, segnalati e premiati. Nel 2016 ha vinto un premio internazionale per il miglior articolo scritto dopo il dottorato nell’ambito della ricerca sulle civiltà del Vicino Oriente antico.


Durante le festività di fine anno ho avuto l’opportunità di intervistarlo e ho ritrovato il ragazzino che conoscevo, semplice e disponibile, nonostante la sfilza di titoli e pubblicazioni, quello che giocava in cortile e che mamma Francesca chiamava dall’alto della finestra. Nel febbraio dello scorso anno, porta a termine insieme all’economista Carmine Guerriero una ricerca dal titolo “Cambiamento climatico e costruzione dello stato nei paesi più agricoli del mondo”. Suscita immediatamente molto interesse, non solo negli ambienti accademici: questo suo ultimo lavoro di ricerca risulta in straordinaria sintonia con la sensibilità attuale, che collega in modo imprescindibile le crisi dovute al cambiamento climatico con la costruzione del futuro. Gli chiedo se questo rapporto sia frutto del caso. «Certo che no. É il risultato di un percorso cominciato già anni fa», mi risponde. Racconta di essersi reso conto, a un certo punto, che ci sono mondi accademici che non si parlano tra loro, che spesso gli storici rinunciano a spiegare il perché degli avvenimenti a causa dell’alto numero di fattori che entrano in campo, come se fosse troppo complicato e quindi, alla fine, inspiegabile. Dopo la laurea triennale, la specialistica e il dottorato, ha avvertito che rimanere archeologo e storico di un periodo e un ambito precisi era una situazione statica, che non poteva dare risposte alle “grandi domande”, al perché delle disuguaglianze economiche, alle conseguenze delle crisi climatiche, alla disparità di genere: in un mondo sempre più volatile, le sfide dell’attualità devono essere affrontate in modo trasversale, cioè facendo dialogare discipline che solitamente non si parlano. Molto più banalmente, la ricerca viene finanziata se può dare delle risposte; ne risulta che la ricerca di base, che spesso si avvita su se stessa, è penalizzata. Quindi ha pensato di mettere in comunicazione tra loro le scienze umanistiche e quelle esatte, passando per quelle sociali. Si è perciò occupato di economia e ha trova-

to, prima a Bologna e poi all’Università di Tubinga, gruppi che lavorano in questa direzione. Parlando delle crisi climatiche del passato, la ricerca storica e archeologica ha sempre messo in evidenza gli eventi negativi; la cattiva gestione delle risorse, anche in passato, ha portato a dei disastri ambientali (l’esempio più macroscopico è l’Isola di Pasqua, o il collasso della civiltà dei Maya). Le correlazioni tra cambiamento climatico e cambiamenti sociali non possono essere dimostrate in maniera credibile dalle metodologie delle discipline umanistiche; bisogna andare a ricercare cause e fattori con dati “raffinati” e dimostrabili. L’enormità dei dati amministrativi degli stati mesopotamici, che sono lì, scritti su tavolette d’argilla, sono stati un egregio materiale per applicare alla storia i metodi delle scienze economiche. La domanda è stata: “Il cambiamento climatico ha sempre portato catastrofi?”. Abbiamo potuto rispondere con precisione scientifica, raffinando i dati e sincronizzando il cambiamento climatico coi cambiamenti socio-politici e rispondere che “non è stato sempre così”: nell’età del bronzo - terzo e secondo millennio a.C -, le crisi climatiche portarono in quegli stati, già strutturati e basati su una forte componente agricola, una rivoluzione istituzionale, consistita in un allargamento dei diritti della popolazione, che fu strumentale per creare più cooperazione tra diverse classi sociali e organizzare investimenti produttivi comuni. Ciò su cui si arenano gli storici è la constatazione dei disastri nel breve termine, ciò che intendiamo fare noi è andare a vedere cosa è successo dopo, nel medio e lungo periodo, con dati precisi e verificabili alla mano. Allora mi interrogo: questo valeva nel terzo millennio a.C, ma può essere di ispirazione anche per la ricostruzione post Covid-19? Se non erro, puntano in questa direzione “ecologica” molti progetti che verranno finanziati dall’Unione Europea, quindi anche dal nostro piano naziona-

le di ripresa e resilienza. Con un sorriso gentile, continua dicendo che hanno fatto un salto cronologico, mettendo sullo stesso piano gli stati in via di sviluppo che si trovano attualmente in condizioni non troppo dissimili dalle società agrarie del passato (ce ne sono diversi in Asia e Africa). Facendo questo “test”, e prendendo in esame gli anni dal 1960 al 2010, si può provare che le crisi climatiche hanno preceduto ondate di “democratizzazione”: dopo le crisi, l’allargamento della partecipazione politica – il passaggio da regimi autocratici a sistemi di democrazia rappresentativa – è stato coadiuvato da uno spostamento degli investimenti della spesa pubblica dagli armamenti alla sanità e all’educazione, interventi che hanno poi portato un effetto economico benefico nel breve termine. Anche il decentramento amministrativo e l’allargamento della partecipazione politica a livello locale, se si ritiene che siano cambiamenti positivi, sono risposte alle crisi ambientali. Quindi, per assurdo, ben vengano le crisi? No, e non è compito né degli storici né degli economisti “prevenire” le crisi ambientali. Altri scienziati dovranno farsi venire delle idee e darsi da fare, ma facendo sposare la ricerca economica con le discipline storiche e ambientali si possono trarre, dallo straordinario campionario di esperienze umane che è la storia, alcune lezioni che possono informare i protocolli di risposta alla crisi climatica, uno sforzo a cui finora storici e archeologi hanno partecipato solo in minima parte. Quanto ai progetti e ai “finanziamenti”, vista la tendenza e gli stimoli che vengono dall’UE (che ha cambiato la valutazione sulla qualità delle ricerche) tutto l’ambiente universitario sta cambiando: insomma, i dipartimenti che hanno svolto le ricerche più innovative e più interdisciplinari hanno più finanziamenti. Misurarsi con le grandi domande paga.

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CLAUDIO CORRADI

Curiosità

Viva gli “amigos” del Parmigiano Reggiano Niente equivoci, suvvia, sullo spot TV del nostro Re!

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a recente programmazione pubblicitaria del Parmigiano Reggiano, che nei giorni scorsi è passata su tutti i canali televisivi, ha lasciato il segno. Per originalità ed eleganza, si intende: non certo per le polemiche suscitate dall’ultima puntata dello spot/serie circa un fantasioso sfruttamento dei lavoratori che qualcuno ha voluto leggere fra i fotogrammi. Addirittura in tanti si sono precipitati a rispolverare il vecchio ritornello “che se ne parli bene o che se ne parli male, l’importante è

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che se ne parli”, ipotizzando addirittura un confezionamento ad arte di quella che è stata considerata una grande gaffe. Se così fosse, dovrebbe essere considerata pubblicità indiretta anche la recente trasmissione di Rai 3, Report, che ha messo sotto accusa il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano senza verificare se i fatti a cui hanno fatto riferimento comportino effettivamente un reato od un danno di immagine per uno dei marchi più conosciuti d’Italia. Ma questa è un’altra storia.


Il fatto vero è che sempre più spesso cerchiamo forzatamente di vedere un lato differente della medaglia ed in ogni azione, altrui si intende. In altre parole facciamo sempre prevalere la teoria della malafede. A causa di questo, purtroppo, i recenti spot televisivi del Parmigiano Reggiano, talmente originali ed innovativi che negli anni a venire faranno scuola, verranno ricordati per il nome del giovane casaro, unico piccolo neo della narrazione. Innanzitutto, per chi ancora non lo sapesse, ricordiamo che i sei differenti spot del Parmigiano Reggiano, interpretati dal rassicurante e gioviale attore Massimo Fresi, sono stati tratti da un film. Un mediometraggio del noto regista Paolo Genovese, della durata di venticinque minuti, dal titolo “Gli Amigos”. Lo potete facilmente recuperare in rete nella sua versione integrale e vi consigliamo di farlo, poiché risulta essere un racconto unico che vale veramente la pena di essere guardato. A maggior ragione per noi che la terra del re dei formaggi la abitiamo e ci fa quotidianamente da cornice.

È fondamentale comprendere come il film sia un racconto molto più complesso di quanto si intuisca dai soli sei spezzoni utilizzati come spot che, per forza di cose, sono il frutto delle esigenze della pubblicità televisiva e dei soli trenta secondi disponibili. Questo ha imposto il sacrificio di tante parti di un racconto completo, pur se essenziale, oltre che moderno e coinvolgente. A Genovese va dato il merito, senza voler spoilerare, di aver saputo rappresentare tutto e bene: il latte di due munte, i batteri (gli amigos), il caglio, le proteine, il taglio delle due forme, la stagionatura e via di seguito. Ha saputo utilizzare l’arte anche per dire che dietro alla produzione di Parmigiano Reggiano c’è serietà, impegno, sacrificio e senso di responsabilità: il formaggio lo si fa tutti i giorni dell’anno, sì, tutti, domenica e festivi compresi. Nel film integrale troverete un altro passaggio che si riferisce a questi aspetti... ma purtroppo, evidentemente, certi messaggi non sono comprensibili a tutti.

Il casaro, un artista e con buona compagnia È una professione di grande responsabilità e sacrificio. Il casaro che sbaglia il formaggio, così come l’enologo che sbaglia il vino, molto spesso perde il posto di lavoro. Allo stesso tempo però, quello di dar vita ad una forma di Parmigiano Reggiano è un mestiere di grande soddisfazione. Nel 1960, quando in ogni frazione c’era un caseificio (se non due), a Correggio i caseifici dell’intero territorio comunale erano ventiquattro, mentre oggi ne è rimasto una solo; il casaro e la sua famiglia, la moglie in particolare, erano veramente impegnati tutti i giorni dell’anno e, fungendo anche da custodi, non abbandonavano mai la latteria. Da molti anni invece le cose sono notevolmente evolute: con la crescita di dimensione dei caseifici, anche l’organizzazione e la suddivisione dei ruoli è decisamente migliorata. I cosiddetti “garzoni” sono sempre più di uno ed il capo casaro generalmente è affiancato da un’equipe di casari che gli assicurano momenti di respiro. Ma è giusto che il casaro di Genovese sia chiaramente felice di fare il suo mestiere e che il regista dipinga un quadro realistico. è un ragazzo molto giovane e soddisfatto di avere fatto una gavetta che lo ha portato ad essere il pilastro dell’azienda, con una grande responsabilità sulle spalle: quella di concretizzare il duro lavoro sia dei campi che della stalla. Ogni giorno lavora con fatica sia fisica che intellettuale, ma come minimo vedrà il risultato della sua opera d’arte solo dopo due anni. È felice di continuare ad imparare ma è stato criticato perché lavora troppo, quasi come se il forte senso di responsabilità, lo spirito

di sacrificio, la passione e l’entusiasmo profusa in un lavoro che lo appassiona fossero dei difetti. D’altro canto, nelle stalle e nei caseifici gli orari di lavoro e le responsabilità sono quelle, c’è bisogno di gente disponibile, responsabile, diligente, affidabile e costante: i contratti di lavoro riconoscono, anche economicamente, il sacrificio richiesto dal mestiere. Il fatto che i lavoratori cosiddetti nostrani non siano attratti da questo lavoro può essere comprensibile, mentre è incomprensibile il fatto che quando si parla di queste cose si finisca sempre per tirare in ballo lo sfruttamento degli extracomunitari. Sarebbe bello riuscire a far comprendere ai più scettici che fra il proprietario della stalla e gli addetti alla mungitura, o fra il casaro ed il presidente della latteria, si arriva inevitabilmente ad instaurare un rapporto di stima e fiducia reciproca, che da solo vale mille contratti: questo rapporto di riconoscenza, tuttavia, è comprensibile solo per chi lo vive dall’interno. Allora diciamo che la diligente applicazione dei contratti di lavoro, sia per le aziende agricole che per i caseifici, è totalmente garantita: per poter dar corso a qualsivoglia pratica burocratica, queste realtà sono assoggettate a controlli incrociati interminabili proprio a partire dalle giornate di lavoro, il numero di addetti e via di seguito. Questo vale sia per gli autoctoni che per gli extracomunitari. Questi ultimi non sono chiamati a fare quel lavoro perché costano meno, ma perché accettano mansioni che altri rifiutano. Questo Genovese non lo ha raccontato.

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ANDREA MUNARI

Sport

LA CORREGGESE? A METÀ STAGIONE, NIENTE MALE!

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on metà campionato alle spalle, è ora di stilare un primo bilancio di questa Correggese. Dopo un avvio altalenante, nelle settimane prima di Natale la squadra ha messo la quinta, vincendo tre gare consecutive e portandosi a ridosso della zona playoff, nonostante le incognite di inizio stagione: una rosa allestita in fretta e furia, la preparazione partita in ritardo, il livello dei giocatori tutto da scoprire, le carenze di organico da colmare nel mercato invernale. Un cantiere sempre aperto, che a fine lavori speriamo esponga ancora il cartello: Serie D. La tribuna del Borelli piena, in una fredda domenica durante il derby con l’Atlethic Carpi dell’ex presidente Lazzaretti, ha dato un importante riscontro sulla fiducia dei tifosi. Con il direttore sportivo, Andrea Rossetti, entriamo nel merito della situazione: «in pochi giorni abbiamo dovuto allestire una rosa per disputare un campionato importante come la Serie D, in una piazza da

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sempre abituata ad essere protagonista. Crediamo di aver messo insieme una buona squadra, ma sappiamo bene che, per ora, il nostro primo pensiero deve essere la salvezza. In corso d’opera abbiamo fatto degli aggiustamenti per innalzare il livello della rosa: col mercato di gennaio sono arrivati innesti rilevanti. Siamo arrivati nel migliore dei modi alla pausa natalizia e non vogliamo abbassare la guardia nel girone di ritorno, che sarà ancora più difficile: i punti inizieranno a diventare molto pesanti». Con il Presidente Marani una battuta al volo: bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? «Sicuramente mezzo pieno, visto tutto quello che abbiamo passato in estate. La trattativa per rilevare la Correggese è stata più lunga del previsto: questo ci ha costretti a fronteggiare tante incognite, che inevitabilmente hanno condizionato la prima parte della stagione. Nelle prime partite i risultati faticavano ad arrivare, ma ho sempre detto ai giocatori di avere

grande fiducia nel loro potenziale. Con un impegno costante si possono ottenere obiettivi importanti: questa squadra l’ha dimostrato nella seconda parte del girone d’andata, ottenendo splendide vittorie che ci hanno fatto gioire e risalire in classifica, portandoci dove forse nessuno avrebbe pensato. Il percorso della nuova Correggese è ancora lungo, ma siamo convinti della bontà della scelta». Concludiamo con una battuta dell’allenatore, Gabriele Graziani: «la squadra ha fatto uno step mentale importante, credendo sempre di più nelle proprie potenzialità. Ho sempre detto ai ragazzi che la nostra è una squadra forte, ma sono loro i primi che devono esserne consapevoli. Abbiamo iniziato la preparazione un mese dopo gli altri, perciò l’inizio altalenante è comprensibile; poi ci siamo rimessi in carreggiata, arrivando anche a vincere partite sporche. Il nostro obiettivo è arrivare il prima possibile a 45 punti, che credo sia la soglia per la salvezza diretta; solo allora potremo ambire a qualcosa di più. Con i trascorsi di inizio stagione, la permanenza in Serie D rappresenterebbe un grande traguardo. Con la ripartenza dopo la sosta natalizia ed il rinvio di molte partite per Covid ci sono molte incognite: chi sarà più bravo ad attaccare subito la spina potrà avere molti benefici, perché il calendario diventerà molto fitto. Dal mercato sono arrivati rinforzi ulteriori: ora dobbiamo solo dare il massimo in campo, a Correggio abbiamo tutto per fare bene». Ci sarà da soffrire, presumibilmente fino alla fine del campionato, ma restiamo ottimisti: gli ultimi interventi sul mercato hanno sanato certe carenze di organico. Speriamo di ritrovarci in tempi migliori festeggiando la permanenza in categoria, intanto buon anno a tutti. Addetto stampa della Correggese Calcio


Ambiente e agricoltura

Ma a Correggio la pioggia è un po’ stanchina? di CLAUDIO CORRADI

Le piogge del mese di Dicembre, preziosissime per il territorio correggese, sono servite soprattutto ad evitare che il 2021 risultasse l’annata più siccitosa degli ultimi 15 anni. Una magra consolazione: l’anno appena concluso si è attestato a 540 litri di acqua per metro quadro, lievemente al di sopra del 2016 e del 2017, che hanno totalizzato rispettivamente 538 e 524 l/mq. Le considerazioni suggerite dall’analisi di questi valori, rilevati negli ultimi 15 anni dalla stazione Arpa Metro Emilia Romagna ubicata a Fazzano, sono molteplici e devono far riflettere: la piovosità complessiva di quest’anno è stata del 23% inferiore alla piovosità media del più recente quindicennio. Rispetto allo scorso anno è piovuto il 30% in meno; la piovosità media del correggese si sta abbassando al ritmo di 6 millimetri ogni 10 anni; se si osserva il periodo di 15 anni, una piovosità così scarsa si sta verificando mediamente 1 anno su 4; negli ultimi 10 anni

questo è successo ben 4 volte, quasi un anno sì e uno no; il mese più siccitoso dell’anno è stato Marzo con precipitazioni nulle, come mai era avvenuto in passato; il mese più piovoso è stato Novembre, come anche lo era stato nel 2008 e nel 2010; è piovuto di più nel secondo semestre che nel primo; è piovuto più o meno tanto nei sei mesi autunno-invernali che nei sei primaverili-estivi; i giorni complessivi di pioggia sono stati 66, dei quali ben 15 nel mese di dicembre. Nel 2020 i giorni di pioggia sono stati 99, il 50 % in più; il giorno più caldo è stato il 14 Agosto, quando il termometro è salito a 38,5° gradi centigradi. Tutto il periodo dal 12 al 16 agosto ha viaggiato con le massime a livelli molto simili; la temperatura minima assoluta è stata di -7,4°C, registrata il 16 febbraio.

Come piove? Ecco la domanda giusta

La singolare anomalia climatica di un 2021 particolarmente siccitoso è rappresentata dalla clemenza che la natura ha avuto nel distribuire le piogge in modo sufficientemente equilibrato fra i vari mesi dell’anno; Luglio e Agosto non sono rimasti all’asciutto come da qualche tempo invece accadeva. Di fatto quest’anno sono scomparsi gli eccessi, i valori da record che tanto piacciono a chi nelle anomalie climatiche vuole a tutti i costi cercare l’unicità di una circostanza. Ed è così che anche per quanto riguarda le piogge, una volta tanto, si potrebbe finalmente parlare di pioggia reale e pioggia percepita come si fa per le temperature. Per pioggia reale andrà intesa quella effettivamente caduta al suolo e cha va a rigenerare le falde nel terreno: quella che quest’anno è mancata. Per pioggia percepita invece considereremo quella che osserviamo nel verde che ci circonda e nello stato fisiologico delle piante: un impressione scollegata dal dato analitico. Piogge scarse ma frequenti e ben distribuite temporalmente possono, com’è accaduto quest’anno, essere molto più utili ed appaganti per le piante rispetto ad eventi copiosi ma molto concentrati, che magari si verificano in un periodo non ideale. Al di la di queste considerazioni è fuori discussione che sempre più frequentemente saremo chiamati non solo a valutare quanto piove ma anche come piove. Il come piove ci servirà per capire se le circostanze permettano di risparmiare acqua. Il quanto piove per valutare quanta autonomia potremo avere in futuro. Prendiamo ad esempio questo 2022, che esordisce con un deficit di pioggia di ben 230 litri per metro quadro: a questo punto, anche se c’è bagnato ovunque, bisogna sperare che piova.

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Notizie in breve

da Correggio e dintorni

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Anniversario di matrimonio

Ricordo di Silvano Bonori

Congratulazioni a Marisa e Dino Nanetti, che il 19 Dicembre hanno festeggiato 50 anni di matrimonio. Augurando tanti altri anni di felicità, un abbraccio dagli amici di sempre: Marisa e Mauro, Marilena e Tullio, Elisa e Gilberto, Tiziana e Oscar.

Silviano, il tempo passa ma sei sempre con noi. Nadia, Elena, Barbara, Vito, Marzia


Solo Sindaco Libro di Marzio Iotti

Dallo scorso dicembre è nelle librerie e nelle edicole correggesi “Solo Sindaco”, il libro di Marzio Iotti per Etabeta editore. In 130 pagine l’ex primo cittadino di Correggio ricostruisce dal proprio punto di vista la vicenda di ENCOR, che gli è costata la sfiducia del Consiglio Comunale nel novembre 2013 e poi la condanna esecutiva della Corte dei Conti per danni al Comune, imponendogli un risarcimento in solido di quasi sette milioni di euro, con Luciano Pellegrini, amministratore della società stessa e direttore generale del Comune. Con questa pubblicazione Iotti, oltre a ripercorrere i fatti che hanno portato al fallimento imprenditoriale e a fornire le proprie valutazioni personali, ripercorre anche la sua storia di ambientalista e di vent’anni di impegno prima come assessore nella Giunta guidata da Claudio Ferrari e poi come Sindaco. Ne esce una testimonianza sullo scomodo “mestiere” di amministratore pubblico. Fa da sfondo la stagione amministrativa che a Correggio, in quegli anni, è stata caratterizzata da una vivace progettualità municipale (parchi urbani, piste ciclabili, interventi sull’ambiente, riconversione dell’Ospedale, costruzione di nuovi asili, tentativi di rivitalizzazione del centro storico, ricostruzione dal terremoto), che il crack di ENCOR ha poi in gran parte oscurato.

3 dicembre 2021

Sala gremita al Palazzo dei Principi per la conferenza del giudice-capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, organizzata da “Noicontrolemafie”

13 dicembre 2021

Correggese cinquantenne finisce in carcere direttamente dai domiciliari, dove era recluso per cessione di droga; avrebbe continuato a spacciare guadagnando circa centomila euro in due anni e integrando con il reddito di cittadinanza.

15 dicembre 2021

Raro esemplare di “Ibis sacro” avvistato per la prima volta in zona a Mandrio di Correggio; con i cambiamenti climatici questo uccello dal lungo becco ricurvo, originario dell’Africa subsahariana (in Egitto, dove era venerato come simbolo del dio Thot, si sta estinguendo), è in rapida espansione nelle zone umide della pianura padana, come le risaie in USA; il suo valore è stimato tra i 4,5 e i 5,5 milioni di dollari.

17 dicembre 2021

A Rio Saliceto, dopo aver perso il controllo del mezzo a causa della fitta nebbia, un’auto è uscita di strada rimanendo in bilico su un canale di scolo profondo circa due metri; la conducente, una pensiona-

ta di 87 anni, ha dato l’allarme al 112 con il proprio cellulare.

19 dicembre 2021

Il trentaseienne cantante metal Giacomo Voli (nato a Correggio, ma residente a Mantova) vince l’edizione 2021, la quarta, di “All Together Now” in onda su Canale 5 con la sua versione di “Somebody to Love” dei Queen; porta a casa il montepremi di 110mila euro e la possibilità di incidere un proprio brano. Sono ripresi i lavori al ponte del Vettigano; la sospensione, che ha causato a lungo disagi sulla provinciale Carpi-Guastalla, era dovuta al lockdown del 2020, a focolai di Covid tra il personale dell’impresa aggiudicataria e più recentemente alla scarsità e ai ritardi nella consegna dei materiali; la ditta aggiudicataria, la “Ceragioli Costruzioni” di Camaiore, assicura che le opere nell’alveo del Naviglio termineranno entro marzo, in tempo per la ripresa della stagione irrigua, ma le code al semaforo sono destinate a rimanere ancora a lungo.

26 dicembre 2021

Sono stati oltre 50 i controlli sul rispetto delle regole relative al Green Pass svolti dalla Polizia Locale dell’Unione Comuni Pianura Reggiana nel corso del weekend natalizio, soprattutto all’interno di pubblici esercizi e attività di ristorazione; dodici

le sanzioni emesse. Vigili del fuoco al lavoro anche nella notte di Natale per spegnere un incendio che ha distrutto due auto con alimentazione a Gpl, parcheggiate in via Bondione a Rio Saliceto, di proprietà di cittadini pakistani; l’allarme è scattato alle ore 1,30; stando ai primi accertamenti, il rogo sarebbe doloso.

5 gennaio 2022

La ditta Fol.Vez. di Campagnola e l’associazione “Angeli in moto” hanno donato alla Riabilitazione respiratoria dell’ospedale di Correggio attrezzature per un valore di 7000 €, che comprendono anche un tablet da utilizzare per le videochiamate dei pazienti e per documentazioni fotografiche di rilievo clinico, oltre che uno spirometro per valutazioni funzionali respiratorie di livello specialistico.

14 gennaio 2022

Un dipinto ad olio su tavola di Antonio Allegri andrà all’asta da Sotheby’s a New York; il dipinto, “Santa Maria Maddalena che legge”, ritenuto perduto, è stato ritrovato di recente in un’aristocratica collezione familiare negli USA. A Rio Saliceto è morto, a soli 61 anni, Tiziano Manfredini, popolare gestore del bar del locale Circolo Tennis, organizzatore di eventi e arbitro di tennis

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Interviste improbabili

Alta tensione di MAURO DEGOLA

I ♥ CORREGGIO dice la scritta-monumento. Incontro l’Informatore Scientifico seduto dentro al cuore di uno di quegli arredi urbani che si mormora siano stati messi lì dall’Assessorato alla Felicità per ricordarti, nel caso ti fossi distratto, che sei a Correggio. Come il famoso stendino azzurro, che da trent’anni appare e poi scompare nei dintorni del negozio di casalinghi di via Cavour; e l’esercito di vecchie biciclette, che da mezzo secolo esce a inizio giornata e poi rientra la sera presso il meccanico di via Vittorio Veneto: sono segnali precisi, è impossibile sbagliarti, sei proprio a Correggio! L’Informatore cerca di vendermi il suo prodotto, sembrerebbe un registratore come quello di Plutone, il cercatore di voci ultraterrene nel film “Radiofreccia”. Ma non si tratta di fantasmi, per lo meno non dei soliti.

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L’Informatore fa il suo mestiere: «Ti propongo questo antropo-amperometro miniaturizzato, tecnologia tedesca. E’ un misuratore di tensione umana. Per l’estenuante trascinarsi della pandemia tra ondate di varianti, alternarsi di allarmi e speranze, opinionisti menagrami e la varia disumanità che la TV ti porta in casa, nella gente sono aumentate ansia e frustrazione, spesso associate ad aggressività. Invece di un farmaco è meglio prevenire: ora c’è questo strumento che ti avverte per tempo dell’insorgenza del fenomeno, così puoi allontanarti dai contesti più insalubri. Infatti l’antropo-amperometro misura il campo magnetico negativo che la relazione tra individui genera nell’ambiente, grazie ad una mappa emozionale radioattiva su cui convoglia ciò che capta intorno: il volume delle voci, l’emissione di testosterone, il grado di sudorazione, le pressioni arteriose… Alla misurazione dei fenomeni fisici


associa la valutazione di quante volte vengono pronunciate alcune parole-chiave quali “io”, “voi”, “un mio diritto”, “ladri”, “ingiusto”, “complotto” “basta”… in una scala di valori indicativa della forza d’urto con cui vengono emesse».

preso in mano la situazione, e poi “Tutti fuori!”. Ordine super-

Lo strumento si presenta in una pratica valigetta con tracolla. L’Informatore intercetta il mio sguardo e precisa: «Il primo risultato l’ottieni subito: la consegna di un pacco-Amazon è l’unico avvenimento che di questi tempi può illuminare la tua giornata». Va bè, dico io, ma a Correggio non serve, siamo gente che pensa positivo. E, per di più, aggiungo, di indole romantica: in piazza Garibaldi e davanti all’Allegri altre installazioni dell’Assessorato alla Felicità sintetizzano “I ♥ C”, come una volta l’adolescente che criptava sul muro “Iolanda ama Cesare”. «Perdonami, quale “penso positivo”? Anche qui il virus ha cambiato gli umori delle persone. Senti questa, all’inizio di dicembre eravamo una trentina di persone al CUP di via Circondaria. Andava in scena la terza dose di vaccino per over, insegnanti e fragili. I pazienti stanno in compagnia dei loro pensieri. Un giovane contempla il suo smartphone quando di colpo sbianca, s’irrigidisce e si rovescia alla sua sinistra, dove siede una ragazza che fa “oh... ooh… oooh!”. Un’altra signora urla “Marco Marco cosa ti succede?!” e tutta la sala si volta verso quell’unico punto e mormora “sta male? di cosa sta male?” La ragazza rimasta sepolta sotto l’uomo immobile chiede “Aiuto!” e la sala come un sol uomo implora “Aiutatelo!” Attimi concitati. “Non muovetelo!” ordina l’infermiera. La ragazza sommersa non è d’accordo e insiste “Aiuto!” La sala urla “E’ stato il vaccino? Un medico presto!”. E l’infermiera dichiara “Oggi non c’è nessun medico” “Non c’è nessun dottore??” inorridisce la sala e di colpo tutti, sgomenti, si alzano in piedi. “Chiamate un’autoambulanza!” decide un infermiere che ha

plesso un sacerdote, anch’esso in attesa degli eventi, mentre

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fluo: compatta, la sala è già da tempo scattata verso l’uscita e si è precipitata all’esterno. “Guardate che sarà un calo di zuccheri, visto che non si era ancora vaccinato” osserva peri due barellieri, arrivati dall’ospedale di fronte, soccorrono il giovane. “Non l’avevamo ancora vaccinato? Tutti dentro!” urla allora l’infermiere. Troppo tardi. Una parte dei pazienti verrà recuperata dispersa nel parcheggio e faticosamente convinta a rientrare, ma una buona metà risulterà contumace, fuggita frettolosamente il più lontano possibile dalla terza dose del vaccino.» In effetti oggi ci sono tutti i motivi per essere nervosi. É stato un Natale precario, guardiamo all’anno nuovo con sospetto perchè abbiamo esaurito le scorte di ottimismo. Come funziona questo aggeggio? «La prima volta che lo utilizzi devi tarare lo strumento su te stesso: mentre stai cercando di prenotare un esame medico per il prossimo secolo o, a tua scelta, mentre interpreti le 17 pagine del nuovo contratto di fornitura di luce e gas. Ed eccoti pronto per usarlo in famiglia, nella discussione tra amici, in fila davanti alla farmacia, dal gommista in attesa del cambio dei pneumatici, frequentando le chat in rete... Senti il ticchettio? Se aumenta vuol dire che sta crescendo il rischio ambientale. Però, prima leggi le avvertenze. La più importante è “TENERE L’ANTROPO-AMPEROMETRO FUORI DALLA PORTATA DI NO-VAX, POTREBBE ESPLODERE CON VIOLENZA E FARE VITTIME ANCHE INNOCENTI”.»

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Appuntamenti culturali in Febbraio

Film sul grande schermo e spettacoli dal vivo di GUIDO PELLICIARDI

Cine+ Martedì 1 / ore 21.00

SCOMPARTIMENTO N.6 Film di Juho Kuosmanen. Finlandia-Estonia-Germania-Russia 2021. Durata 107 minuti. Tratto dal romanzo omonimo di Rosa Liksom e Gran premio della giuria al 74esimo Festival di Cannes, il film è la storia del viaggio di Laura, in spazi immensi e sconfinati della Russia, in fuga da una storia d’amore sbagliata per ritrovare, in un nuovo incontro, una persona finalmente in grado di offrirle nuova umanità. giovedì 3 e martedì 8 / ore 21.00

FRANCE

Film di Bruno Dumont. Francia-Germania-Italia 2021. Durata 133 minuti. France de Meurs è una stella del giornalismo priva di scrupoli. Quando tampona Baptiste, un biker che fa consegne a do-

micilio, il suo piccolo circolo mediatico collassa. La sua vita sarà travolta da una nuova esistenza. giovedì 10 e martedì 15 / ore 21.00

NOWHERE SPECIAL Una storia d’amore

Film di Uberto Pasolini. Italia-Romania-Gran Bretagna 2020. Durata 96 minuti. John, lavavetri 35enne, abbandonato dalla moglie assieme al figlio di quattro anni si ammala e cerca una famiglia che possa adottare il piccolo prima della sua scomparsa. Il regista affronta il tema della morte per parlare di vita e di amore assoluto tra un padre e un figlio. giovedì 17 e martedì 22 / ore 21.00

LA SCELTA DI ANNE - L’ÉVÉNEMENT Film di Audrey Diwan. Francia 2021. Durata 100 minuti.

Dal romanzo omonimo di Annie Ernaux il film ha vinto il Leone d’oro come miglior film al Festival del cinema di Venezia. Anni Sessanta in Francia, Anne è una giovane talentuosa, nella scrittura e nel ballo, che dovrà fare i conti con una maternità non voluta e dove il diritto all’interruzione volontaria non è riconosciuto e perseguito. giovedì 24 e martedì 26 / ore 21.00

LA PERSONA PEGGIORE DEL MONDO Film di Joachim Trier. Norvegia 2021. Durata 121 minuti. Julie ha trentanni e non ha ancora trovato la sua strada finché non incontra Axel, autore di fumetti underground. Nasce una storia d’amore anomala e complessa, tra ironia nordica e afflato romantico, in un vortice di nuova femminilità inquieta che vive senza finzioni la propria emotività.

Teatro Asioli martedì 1 / ore 20.30

domenica 13 / ore 17.00

Spettacolo teatrale dall’opera di Primo Levi con Valter Malosti. Lucrezia Forni e Giacomo Zandonà. Condensazione scenica di Domenico Scarpa e Valter Malosti. Produzione ERT – TPE – Teatro Stabile Torino – Teatro di Roma. Per la prima volta in scena, la voce di Primo Levi, del suo romanzo più noto e importante, sa restituire la babele del campo di Auschwitz: i suoni, le minacce, gli ordini, il rumore della fabbrica di morte. Uno spettacolo nitido, una immersione nel male di grande utilità civile.

di Claudio Milani

SE QUESTO È UN UOMO

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CUORE

Spettacolo di narrazione e animazione che segue le emozioni e i passi di Nina in un bosco incantato, che grazie a lei riprenderà vita e colori. Per bambini dai 3 anni. martedì 15 e mercoledì 16 / ore 20.30

STORIA DI 1

Spettacolo teatrale di Lucia Calamaro e Daniele Finzi Pasca, con Stefano Accorsi. L’incontro di un uomo qualunque, Angelo, con la “grande storia” d’Italia dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni Ottanta. Un passato che non molla, che abita come un fantasma nell’immaginario delle nostre vite.

sabato 26 / ore 20.30

WHEN THE RAIN STOPS FALLING (Quando la pioggia finirà) Spettacolo teatrale di Andrew Bovell, regia di Lisa Ferlazzo Natoli. Produzione ERT - Teatro di Roma - Fondazione Teatro Due. Una saga familiare che ci porta vorticosamente dal 2039 al 1959 alle soglie di un diluvio torrenziale. L’incontro tra quattro generazioni, narrato come un thriller, dove i figli sembra paghino le colpe dei padri e dove le madri paiono aver lasciato orfani i figli perché incapaci di parlargli.


Pro Loco

Tre serate di comicità dialettale al Teatro Asioli

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“NA NOV LIT PER PACEFIC E LA GONDA”

“VACA RAGAS TOUR 2022”

“L’È ORA ED RÈDER”

Sabato 5 febbraio / ore 20.30

Compagnia “Coi dal Capot” con Gigi Accorsi, Sara Simonazzi e Luca Accorsi

Sabato 5 marzo / ore 20.30 di Marco J Mammi

Per partecipare rivolgersi alla biglietteria del Teatro Asioli nei seguenti orari: Lunedì 18-19 Martedì 18-19 Mercoledì 18-19

Venerdì 18-19 Sabato 10.30-12.30

Data da definire

Compagnia Teatro Buovo

Altri eventi ancora da definire Carnevale a Febbraio Fiera dei Fiori a Marzo

Valerio Cerati

333/2901347 vcerati@fideuram.it Ufficio di Reggio Emilia Via A. Gramsci 88/B

Un unico interlocutore per la cura dell’intero patrimonio 45


Come eravamo

Quell’antico ospedale per “li poveri infermi”... ma non tutti di FABRIZIA AMAINI

L’antico Ospedale di San Sebastiano Fino alla seconda metà del Seicento, entro le mura correggesche non esisteva un ospedale destinato alla cura dei malati, anche se Correggio era stato provvista fin dall’antichità di qualificati ospedali esterni alle mura cittadine. Poiché questi veniva-

no spesso devastati da furti e saccheggi, che ne minavano la sopravvivenza, fu necessario ripensarne la collocazione. Il 13 aprile 1683 la Confraternita di san Sebastiano di Correggio, a cura del suo Priore Girolamo Arrivabene, inviò una richie-

sta al Duca Francesco II d’Este di Modena perché concedesse un “guasto di case per la fabbrica dell’Ospedale che si è determinato di erigere in questa Città per li poveri infermi”. Il guasto di case era posto nella cosiddetta “contrada delle Ca’ nove”, tra

L’antico Ospedale di San Sebastiano di Correggio, funzionante dal 1700 al 1915. Foto Bassi, 1880 circa.

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l’attuale via Marconi e via del Carmine. Il Duca concesse l’area a patto che l’erigendo stabilimento restasse laico e soggetto in tutto alla Giurisdizione secolare. L’edificazione venne finanziata dalle offerte dei benefattori del luogo, tra i quali la nobildonna Lucrezia Bernieri che donò un orto contiguo, e la Confraternita che mise a disposizione due case. I lavori iniziarono nel 1689 e terminarono nel 1700, e l’ospedale venne nominato “San Sebastiano”. Il fronte principale si affacciava sulla “contrada delle Ca’ nove” (attuale via Marconi), il fronte minore sulla “Piazza Castello” (attuale corso Cavour) e il lato a nord-ovest su “via della Montagna” (attuale via del Carmine). La facciata, in stile barocco, mostrava sopra il portone d’ingresso la scritta “Aegrotantium saluti” (per la salute delle persone malate), che è tuttora visibile. Inizialmente la fabbrica era composta da due grandi corsie per uomini e donne, con al centro un Oratorio al quale poteva accedere anche il pubblico. Nessuna memoria ci fa conoscere per certo il nome dell’architetto, anche se il disegno pare doversi attribuire ad Antonio Mota, Vicepriore della Confraternita e amico confidente di Francesco Contarelli, commissario a Ferrara per il Duca di Modena. Con l’andare del tempo i locali principali vennero man mano ampliati. Intorno al 1770 la Confraternita acquistò gli ultimi edifici fatiscenti della contrada

per ricavare complessivamente mq. 2000 di orti, prova di quanto fossero importanti all’epoca. Alla fine del Settecento tutta la zona della contrada era occupata dallo stabilimento ospedaliero, che copriva un’area di mq. 7300. Il regolamento del 7 maggio 1777 disponeva che l’ospedale fosse aperto ai “poveri” della Città e del Principato e, solo in caso di necessità, ai forestieri. Le regole per accedervi erano severe e, nonostante la laicità richiesta dalla Giurisdizione ducale, si doveva rispettare il primato dell’assistenza religiosa. Del vitto e delle cure, unico responsabile era il medico che doveva visitare gli infermi due volte al dì. A titolo di curiosità, si riportano alcune direttive per l’ammissione al ricovero: possono accedere solo gli infermi di Correggio città e del Principato (Rio Saliceto, Campagnola e Fabbrico), salvo qualche forestiero che vi si trovi, privo di ogni necessario sostentamento e a discrezione degli Ufficiali; non si ricevono quei poveri che siano afflitti da mali incurabili (ciechi, storpi) e “cancerosi” (malati contagiosi), non potendosi sostenere la spesa; all’entrata il povero infermo dovrà spogliarsi dei suoi abiti e beni, consegnandoli all’assistente di turno. Se risanato, gli verranno riconsegnati all’uscita. Nella degenza dovrà vestire una camicia bianca e un berrettino bianco; saranno accettati solo i “poveri” infermi

che all’ingresso si confesseranno al sacerdote residente nel luogo, il quale vigilerà affinché non manchi loro il religioso sollievo per l’anima, sia in caso di guarigione che di passaggio all’altra vita; i malati meno gravi dovranno assistere alle funzioni religiose tenute nell’oratorio interno all’ospedale, fare la Comunione e pregare in favore dei benefattori che, con le loro offerte, hanno contribuito e continuano a sostenere la cura dei malati. L’antico ospedale di San Sebastiano restò in funzione fin dopo un quinquennio dalla costruzione del nuovo ospedale, che fu inaugurato il 14 novembre 1915 (per chi voglia approfondire si rimanda al volume: “14 novembre 1915, Solenne inaugurazione del nuovo Ospedale di Correggio” curato da Fabrizia Amaini, Iames Amaini e Giulio Bursi). Nei primi anni, infatti, il nuovo ospedale fu esclusivamente addetto all’accoglienza dei feriti della Grande Guerra. Il vecchio fabbricato ospedaliero, con case annesse, fu messo all’asta dalla Confraternita per affrontare, col ricavato, le spese necessarie per l’avviamento del nuovo ospedale che, pur costruito dal Comune, fu ad essa dato in gestione. La conduzione del nuovo ospedale prese avvio il 30 aprile 1920.

Con il Cristianesimo, le sofferenze dei malati divennero un tema centrale. Il primo concilio di Nicea, nel 325 d.C., spinse la Chiesa Cattolica a provvedere anche ai poveri, alle vedove e ai forestieri, stabilendo la costruzione di un Ospedale (hospitale) in ogni città dotata di Cattedrale. Venendo l’hospitale inteso come ostello (hospitium) per viaggiatori e pellegrini, o dispensario per soccorso dei poveri, o ambulatori per feriti, o case per ciechi, zoppi, anziani e malati di mente, si ubicava spesso lungo le strade principali o ai crocevia di esse.

Preposti al servizio ospedaliero erano spesso le Confraternite di Misericordia di san Sebastiano (soccorritore dei martirizzati e dei sofferenti) che provvedevano anche alla sepoltura dei miseri soli. La funzione principale degli ospedali medievali era quella dell’adorazione di Dio. La maggior parte di essi comprendeva un Oratorio dotato di un ecclesiastico o di monaci, che avevano il compito di aiutare il sofferente tramite la preghiera. L’adorazione era in molti casi una priorità più alta delle cure, e serviva come modo per alleviare i disturbi dei malati e assicurare

la loro salvezza in caso di morte. La funzione secondaria degli ospedali medievali era la carità ai poveri, ai malati e ai viaggiatori. La carità fornita dagli ospedali si manifestava col mantenimento a lungo termine degli infermi, l’assistenza a medio termine dei malati, l’ospitalità a breve termine ai viaggiatori e la distribuzione regolare di elemosine ai poveri. Nel XVIII secolo, sotto l’influenza dell’Illuminismo, iniziò a prevalere il moderno ospedale laico, che provvedeva esclusivamente alle esigenze terapeutiche e disponeva di medici e chirurghi qualificati.

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Soluzione gioco / dicembre 2021

La Dama di Antonio Allegri Cruciverba di LUCIO BIGI Testo di ADRIANA MALAVOLTA

Fino all’8 Marzo del 2020, era ancora possibile vedere, esposta ai Chiostri di San Pietro, a Reggio Emilia, la tela con “La Dama” di Antonio Allegri, concessa dall’Ermitage di San Pietroburgo. Il quadro, di incredibile bellezza, presenta caratteristiche tanto speciali da far nascere sempre nuovi interrogativi negli studiosi e nel pubblico. La tela ha una dimensione eccezionale per un ritratto dell’epoca: vi compaiono scritte, cosa rara, in lingua greca, cosa ancora più rara; si trovava in Russia in una collezione privata fino al 1900 ed è stato definitivamente attribuito al Correggio molto tardi. Grazie alle tre conferenze sul Correggio che si sono tenute a Palazzo dei Principi tra novembre 2019 e gennaio 2020 (“Ritratti e parole nel Rinascimento europeo” col Professor Claudio Franzoni, curatore della mostra di Reggio Emilia, “Gentildonne a Correggio nel primo ‘500” con Gabriele Fabbrici e “Il Ritratto di Giovane Donna dell’Ermitage, un’altra prospettiva”, ancora con Claudio Franzoni), cominciano le ipotesi relative alla donna ritratta. È il ritratto di qualche nobildonna o di una donna ideale? Restano aperte le ipotesi che identificano la dama con Veronica Gambara, oppure con Ginevra Rangone, Signora di Correggio la prima, nobildonna la seconda, o altre ancora. Potrebbe essere la

moglie di Antonio Allegri? È una nobildonna di Parma? La “dama” è una ragazza giovane, scollata, con sguardo e accenno di sorriso seducenti, nell’atto di offrire un piatto dorato, con su scritta l’incisione in greco “nepènthes”. Il termine nepente è un hapax, cioè è presente solamente in un passo omerico in tutta la letteratura greca arcaica (Odissea, Libro IV, v. 219-22) e significa “farmaco” che, mescolato al vino, toglie il pianto, l’ira e fa dimenticare ogni preoccupazione. Il paesaggio alle spalle può anche essere quello del nostro Appennino e, sul tronco di un albero, in vista, la firma dell’Allegri, abbreviato e in latino: LAETUS. Quando si passa all’analisi dell’abbigliamento, risaltano due oggetti: il copricapo intrecciato e il cordone con un nodo. I colori dominanti sono il bianco, il marrone della veste e il grigio-perla della cuffia. Scollata e ammiccante, colta? Vista la ciotola dorata con una citazione in greco incisa sopra, si direbbe di sì... La nuova “prospettiva” del Professor Franzoni è l’inattesa considerazione (con le dovute prove a dimostrazione) che quella dama offra agli uomini delle corti del ‘500 ciò che toglie veramente il dolore e l’ira: la possibilità di conversare di cultura con una ragazza avvenente.

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Una mostra al mese

Anticipazioni 2022 di NADIA STEFANEL

1.

Venezia: finalmente rieccola… la 59esima Esposizione Internazionale d’Arte diretta da Cecilia Alemani si svolgerà dal 23 aprile al 27 novembre e si intitolerà Il latte dei sogni/The Milk of Dreams, da un libro di Leonora Carrington che descrive un mondo magico nel quale la vita è costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione e nel quale è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altri da sé. La Mostra infatti proporrà un viaggio immaginario attraverso le metamorfosi dei corpi e delle definizioni dell’umano e sarà caratterizzata dalle Partecipazioni Nazionali con proprie mostre nei Padiglioni, ai Giardini e all’Arsenale, oltre che nel centro storico della città e tramite alcuni eventi collaterali.

2.

Milano, Palazzo Reale: da febbraio a maggio verrà allestita “Tiziano e l’immagine della donna” una mostra dedicata all’immagine femminile che, a Venezia, nel ‘500, acquista un’importanza forse mai vista prima nella storia della pittura. Nella stessa location verrà realizzata, da novembre, l’esposizione “Hieronymus Bosch e l’Europa meridionale”, con una presentazione dell’artista come creatore di visioni fantastiche in relazione alle tendenze del collezionismo del tempo e della ricezione artistica da parte del Rinascimento spagnolo e italiano.

3.

Firenze, Palazzo Strozzi e Museo nazionale del Bargello: la mostra “Donatello, il Rinascimento” (da marzo) si preannuncia come fondamentale per avere una panoramica completa sulla produzione del grande artista attraverso un dialogo con musei, collezioni e istituzioni italiane oltre che tramite fondamentali collaborazioni internazionali, mirando ad allargare la riflessione su questo Maestro nel tempo e nello spazio, nei materiali, nelle tecniche e nei generi, e ad abbracciare finalmente le dimensioni dell’universo donatelliano. Occasione rara per ammirare anche opere solitamente esposte all’estero e di godere del “percorso” completo che mette a confronto i suoi con capolavori di artisti come Brunelleschi, Masaccio, Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Raffaello e Michelangelo.

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Correggio in gioco (Lucio Bigi)

Le definizioni evidenziate si riferiscono al velocista correggese nella fotografia, il cui nome si leggerà al 34 orizzontale.

ORIZZONTALI 1. Un fiore e un’opera lirica - 4. Campo di lavoro forzato nell’Unione Sovietica - 7. Formano, assieme al sindaco, la giunta comunale - 14. In mezzo alla salita - 15. I confini del Turgaj - 17. Spencer, indimenticato attore... italiano - 19. Lo indossano i fedeli nella liturgia ebraica - 20. Una gustosissima... crème - 25. Donna servile e accondiscendente nei confronti di un superiore - 29. Si gusta con i pasticcini - 30. L’Olimpiade del 1972 a cui ha partecipato - 32. Idonea, appropriata - 34. Il personaggio correggese nella fotografia - 36. Con CISL e CGIL - 37. Richiamare in vita - 38. Decreto del Presidente della Repubblica - 40. Cosa latina - 41. L’Argento figlia d’arte - 42. Le hanno poche e molte - 44. La Korbut ginnasta - 46. Titolo per parlamentari (abbr.) - 47. Se è... à porter, riguarda la moda - 48. Iniziali della Vanoni - 50. Risiedono all’estero - 53. Padiglione espositivo - 55. Un celebre velocista italiano con cui ha stabilito nel 1972 il primato mondiale nella staffetta 4x200 - 57. Una capitale coreana - 59. Il cuore dei compaesani - 60. Vede con difficoltà gli oggetti vicini - 61. La città turca in cui nel 1971 ha vinto l’oro nella staffetta 4x100 ai Giochi del Mediterraneo - 62. Lo dice spesso il megalomane - 63. Chiari e indiscutibili.

VERTICALI 1. Trillo in centro - 2. Una vernice che protegge - 3. Vetro arricchito di piombo che assomiglia al diamante - 5. Iniziali di Branduardi - 6. Regione che fa parte sia del Venezuela che del Brasile - 8. Religiose che hanno preso i voti - 9. Questa ... in breve - 10. Lo è la donna che non ha bisogno del medico - 11. Poco oltre - 12. Lo sono gli angoli di 90° - 13. Aspirazioni di natura morale - 16. Punto a maglia basato su disegni geometrici - 18. Tessuto corroso in alcune parti per creare motivi decorativi - 21. La Nin scrittrice americana - 22. Dolce al cucchiaio a base di tuorli d’uovo - 23. E’ propria del vorace - 24. La Silvi, attrice dei telefoni bianchi - 26. Tutela autori ed editori - 27. Un posto immenso per... navigatori - 28. Satinata come può esserlo una superficie verniciata - 31. Unità di informazione per il computer - 33. Ivan, grande scrittore russo dell’Ottocento - 35. Adatti allo scopo 39. La parte inferiore della base della colonna - 40. Un colore del semaforo - 42. Un sacco di pelle per liquidi - 43. Consumati dal tempo e dagli agenti atmosferici - 45. Altari sacrificali dell’antichità - 47. Prodotto Nazionale Lordo - 48. Lo è il torneo in cui si possono iscrivere... tutti - 49. La sigla di Vicenza - 50. La località veneta con Villa Pisani - 51. Una giocata al lotto - 52. Incontri di vocali - 54. Un capo del dilemma - 56. In mezzo alla steppa - 58. Inizio di impiego - 59. Le prime lettere in arrivo.

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