Un padre - Maria Teresa Pantani

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UN PADRE

Lo squillo del telefono interruppe Aurelio mentre tentava inutilmente di azionare la lavatrice. - E’ l’ospedale - pensò, e un caldo brivido d’ansia lo percorse lungo la schiena. Sua moglie Loretta era stata ricoverata il pomeriggio precedente con le doglie; presto avrebbero avuto un figlio, il primo (infatti, entrambi si trovavano d’accordo, desideravano averne almeno due). Circa due ore prima, poiché questo figlio tanto atteso sembrava non avere alcuna fretta di venire a confrontarsi col mondo, la coppia aveva convenuto sull’opportunità che Aurelio si recasse a casa per qualche ora, il tempo di farsi una doccia, mangiare un boccone, e sbrigare alcuni piccoli affari domestici rimasti in sospeso. La loro abitazione peraltro distava pochi chilometri dall’ospedale che si trovava all’altro capo della città. Un’infermiera gli aveva assicurato che se le cose avessero preso una certa piega l’avrebbero avvisato immediatamente, per consentirgli di essere presente al momento della nascita. Ed ora, durante il percorso dalla lavatrice al telefono, mille e uno pensieri e altrettante domande occupavano la mente del futuro padre. Quando raggiunse l’apparecchio rapidamente lo sollevò, e il “Pronto” che gli uscì dalle labbra gli parve pronunciato da altri. - Buonasera, signor Danini, sono un’infermiera del reparto maternità, volevo avvisarla che sua moglie sta entrando in sala parto.- Vengo subito - rispose Aurelio tutto d’un fiato e riagganciò veloce dirigendosi poi verso l’ingresso. Adesso doveva solo indossare la giacca,


spegnere le luci e chiudere a chiave la porta, nonché spegnere il fornello che stava riscaldando lo spezzatino avanzato il giorno prima. Ma Aurelio non riusciva a coordinare le azioni, per cui prima spense la luce dove gli occorreva d’entrare, poi si indirizzò verso l’ingresso dimenticando di spegnere il fornello. Insomma, a un certo punto dovette fermarsi in corridoio imponendo a sé stesso ordine e metodo. - Calma - si disse, ed allora riuscì a concludere le operazioni; ricordò persino di chiudere la porta a doppia mandata come facevano di solito. Il tragitto in auto per attraversare la città non gli era mai parso così lungo, e sì che quella strada la percorreva ogni giorno per tre quarti per giungere all’ufficio in cui lavorava. Oggi tutti i semafori, chissà perché, diventavano rossi non appena Aurelio si avvicinava, e gli automobilisti imbranati sembravano essersi dati tutti appuntamento sulla sua strada, in quel giorno e a quell’ora, come accade nei raduni degli alpini o delle auto d’epoca. Se l’uso del clacson consumasse il medesimo, come succede per la benzina, ora Aurelio sarebbe stato sicuramente in riserva. Ormai era partito da casa da dieci minuti, altri cinque o sei li aveva impiegati in casa dopo la telefonata. Chissà Loretta come stava! E se suo figlio fosse nato prima che arrivasse in ospedale? No, impossibile, per quanto ne sapeva lui, trattandosi del primo figlio avrebbe impiegato ancora tempo a nascere. (Ma perché quell’imbecille non partiva, visto che il verde era scattato da un pezzo?) E se qualcosa non fosse andato per il verso giusto? Loretta era giovane e sana però, e la gravidanza era andata bene, così bene che la futura mamma aveva continuato a fare quasi tutto ciò che faceva prima di restare incinta; certo, mangiava un po’ di più, e le ultime


settimane iniziava a sentirsi stanca e affaticata, cosa normale... Ma ormai era quasi arrivato, mancava l’ultimo incrocio, al quale Aurelio avrebbe svoltato a destra per trovarsi davanti all’ospedale duecento metri più avanti. La loro vita sarebbe cambiata d’ora in poi e Aurelio già immaginava il rientro a casa: loro due che reggevano la cesta coi fiori gialli, trasformabile in culla o carrozzina a piacere, acquistata un mese prima con grosse difficoltà di scelta. E dentro la cesta ci sarebbe stato Daniele, se maschio, o Laura, se femmina. Aurelio parcheggiò il più vicino possibile all’ingresso dell’ospedale e vi si precipitò dentro. Qualcuno gli rivolse un saluto in portineria, ma egli tuttora non ricorda chi fu. Laura è nata da tre mesi ed ora è bellissima e sorride. Le donne, che di queste cose se ne intendono, dicono che cresce bene: le nonne e le amiche di Loretta, ma anche Carla e Francesca, sorelle di Aurelio, che se la spupazzano spesso e sostengono all’unanimità che abbia uno sguardo intelligente e che pertanto mi assomigli poco. Ma la bocca, tutti possono verificarlo, assomiglia alla mia: grande, carnosa e ben segnata. Non arrivai in tempo quel giorno, e non me lo sarei perdonato se Loretta non fosse riuscita a convincermi che la colpa non è stata mia, che ho fatto ciò che ho potuto. Quando giunsi in ospedale Loretta era già nella sua stanza e pochi minuti dopo un’infermiera mi porse la piccola che avevano appena finito di ripulire e vestire: ci comprendemmo al volo io e Laura; lei mi riconobbe e mi offrì una piccola smorfia come a dire: - Potevi arrivare prima, ma se sarai un padre in gamba ti perdonerò.


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