Un tabarro ed un campo di zucche - Elena Filippi

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Un tabarro e un campo di zucche Era una mattina di ottobre come tante, con il chiarore dell’alba che ancora indugiava nell’aria rugiadosa prima di lasciare spazio al giorno: ben presto si sarebbe levato da qualche casolare l’allegro canto del gallo mattiniero che, mostrando alla luce novella i suoi colori sgargianti, avrebbe reso più viva la campagna dando l’impressione di trovarsi in uno dei dipinti di Antonio Ligabue. Il signor Alfonso osservava lieto dalla finestra il destarsi del sole e meditava placidamente su come occupare il suo tempo: anche se pensionato doveva pur mantenersi attivo! Mentre scendeva le scale il suo sguardo cadde sulla vecchia bicicletta abbandonata dal nipote che, sbadato come sempre, l’aveva lasciata proprio in fondo alla rampa. “Benedetti giovani” pensò Alfonso con un sorriso “lasciano sempre tutto dove capita…” e inforcata la bicicletta pensò che non sarebbe stato male farsi un bel giro di prima mattina. Dunque, dopo essersi sistemato il grande tabarro sulle spalle, si affrettò ad uscire di casa calcandosi un cappello sulla testa stempiata. L’umidità, ricordo della notte da poco trascorsa, lo avvolse in una lieve foschia che sembrava ansiosa di mutarsi in nebbia per poter ovattare i verdi campi della pianura padana in un soffice velo di bianco perlaceo. Il signor Alfonso salì sul suo “destriero a ruote” e si avviò per la stretta stradina di terra battuta che si snodava dal suo cancelletto verso le vicine distese erbose; uno dei suoi vicini coltivava da molto tempo un grande campo di granoturco che come ogni anno al momento del raccolto gli aveva fruttato parecchi sacchi di farina e ora, con quella preziosa polvere dorata conservata nella dispensa, si poteva tranquillamente gustare di quando in quando un buon piatto di polenta insieme alla sua famiglia e ai suoi amici. Spesso anche Alfonso e sua moglie venivano invitati a questi ritrovi di vicinato in cui ognuno portava le sue specialità per poter a sua volta assaporare le delizie di questo o quel vicino: una vera e propria gioia per il gusto e per la vista! In men che non si dica tutti quanti dimenticavano i loro affanni e si dedicavano a mangiare e a conversare “perché è proprio bello fare amicizia davanti a una montagna di ciccioli” pensò il signor Alfonso ricordando con affetto tutti i suoi compagni di scorpacciate. La bicicletta si muoveva sferragliando ad ogni sasso che incontrava mentre il suo passeggero osservava, con una vista superba per un uomo oltre la cinquantina, il mondo intorno a sé in cui predominava la tinta cenerina del cielo e il verde variegato dell’erba, interrotto dal passaggio della sua ombra che, come una fugace compagna d’avventure, lo seguiva in ogni dove attraverso quella mistica atmosfera, nelle nebbie che andavano celando ogni cosa per poter poi rivelare ad un occhio attento e fantasioso l’essenza di quelle forme indefinite di pioppi o le alte canne degli stagni capaci di mutarsi in curiose suggestioni o buffe creature di sogno.


Il signor Alfonso aveva sempre percorso quelle strade da quando ne aveva memoria e spesso e volentieri ripensava alla sua fanciullezza trascorsa in quei luoghi: era in uno di quei giorni spensierati, in una calda e assolata giornata d’estate, sulla riva di un laghetto dalle acque di un verde limpido e punteggiato di ninfee e lenticchie d’acqua che aveva conosciuto Ada, la bimba che avrebbe poi sposato dopo anni di tenera amicizia e con cui tuttora voleva continuare a trascorrere tutta la sua vita. Perso in simili pensieri il signor Alfonso quasi non si era reso conto che erano già le otto e sentendo risuonare la campana di una chiesa in lontananza decise che era ora di fare dietro front e ritornare da sua moglie; più tardi era prevista anche la visita di sua figlia e della sua famiglia: suo nipote avrebbe voluto ritrovare la sua bicicletta! Poi avrebbero pranzato tutti assieme e sua figlia si sarebbe superata cucinando tante prelibatezze aiutata dalla piccola Veronica che, sotto la vigile supervisione di nonna Ada, era l’addetta nel servire i celebri cappelletti in brodo, uno dei suoi piatti preferiti. Dopo suo nipote Giorgio lo avrebbe aiutato a dare da mangiare alle galline ed entrambi sarebbero andati a saccheggiare i meli dei dintorni, tornando a casa carichi di quei pomi destinati ad essere cotti nella stufa a legna che avrebbe restituito loro i frutti fumanti e gustosi. Intanto, pedalando con lena, il signor Alfonso era quasi giunto a casa dove sua moglie Ada stava certamente facendo colazione in attesa del suo ritorno e anche se il suo giro in bicicletta gli era parso piuttosto breve era contento di rincasare; la nebbia intanto, veloce come quando si era manifestata, si dileguò. Quando si trovò di fronte alla sua abitazione scese dalla bicicletta perché ci teneva sempre molto a camminare nel sentiero abbozzato che attraversava il suo bel campo di zucche “E queste sono proprio delle signore zucche” meditò non senza soddisfazione Alfonso contemplando quei larghi globi arancioni che facevano capolino tra le foglie. “Del resto sono necessarie per cucinare i prelibati tortelli della mia Ada, quindi devono essere per forza delle zucche sopraffine!”.


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