L' Argine

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Luciano Cicogna Sud Africa, Gennaio 2011

L’argine

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- I-

Enzo Costa strinse gli occhi per meglio ammirare le iridiscenti ali dell’elicottero risplendenti nel sole tiepido di Aprile. La testa appoggiata sulle braccia nell’erba, il naso solleticato dal salmastro lagunare mescolato con l’odore dolce dei papaveri ondeggianti, lo sguardo scivolava sulle corolle verso la casa contadina diroccata che si specchiava su due vasche d’accumulo rettangolari piene d’acqua, la casa era più bella nel riflesso acquarellato cangiante che nella realtà. A due piani, la bassa mansarda, la linea del colmo del tetto ormai sempre più incerta, le tegole stinte dal sole, qualche finestra tappata ed altre buie come i denti di una bocca molto mal curata. Da che si ricordava, dall’infanzia, dalla prima scampagnata lungo gli argini dedicata alla gioia delle donne della famiglia per raccogliere erbette ed asparagi selvatici, quella casa era sempre stata abbandonata e l’aveva da subito catturato e fatto volare la sua immaginazione. Niente di suggestioni gotiche, la casa era solida e di linee troppo squadrate, piuttosto gli ispirava tristi storie: del pianto disperato di una bimba per un cavallo che si era rotto una zampa, di un figlio alpino mai tornato perso nel bianco della Siberia e così avanti in perfetto stile Cuore De Amicis che era stato uno dei suoi primi libri; oggi non avrebbe mai consigliato quel genere di letture pregne di perbenismo borghese, anche se sincero, all’infanzia: diamine, viva la positività! E poi l’argine, l’argine che divideva il mondo straniero della terra ferma dallo specchio della laguna, la terra così vicina e così remota, e fin da piccolo ed ancora adesso, volgeva di tanto in tanto uno sguardo verso l’acqua come a chiedere soccorso e conforto a reti da posta e velme, per confermare che l’isola era sempre lì e che in serata ci sarebbero ritornati. Appena arrivati con i fratelli veniva naturale giocare alla guerra, fingersi una pattuglia di incursori paracadutati dietro le linee in territorio nemico e spingersi di soppiatto verso la casa silenziosa da dove in ogni momento poteva spuntare il fucile di un cecchino o per sorprendere una riunione segreta dello stato maggiore e carpire i nuovi piani degli spiegamenti delle truppe. La casa non gli aveva mai fatto veramente paura. La libellula color carminio ronzò più vicina al suo viso e la scostò automaticamente soffiandole leggermente addosso. - Quì, quì, vieni nonna, asparagi. Ce ne sono tanti, vieni, vieni subito – gli giunse il richiamo eccitatissimo di uno dei due nipotini, come se le piantine potessero scappare. - Arrivo, non ti muovere - replicò serena e cantilenante la nonna strappando beata vicino alla radice un altro bel mazzo di erbette. E poi, poco dopo, l’immancabile: - Ma no, non sono asparagi. Cerca meglio, prova lì, vicino all’ombra di quelle canne. Enzo aveva perso da tempo la speranza di identificare le specie commestibili, non era portato per la botanica si diceva, ed era anche un po’ pigro, però, si rincuorava, sono bravo per pesca e barche. Stefania, sua moglie, sotto la guida della suocera, era invece diventata subito esperta nella raccolta e riempiva una borsa dopo l’altra. Ma Enzo non se ne doleva, gli bastava pregustare la delicata zuppa con crostini ed il fresco amarognolo degli asparagi sulle uova che sarebbero arrivati per cena ed ‐ 2 ‐


intanto lasciava divagare i pensieri mentre per qualche ora pomeridiana l’età matriarcale riprendeva il sopravvento. L’urlo disperato di Stefania ruppe di schianto la quiete: - Un serpente, un serpente. Enzo, Enzo! - Arrivo, non ti preoccupare che non ti fa niente. Calma, stai ferma, che ti vengo a prendere. – - E’ li, vedi. – Immobile e tremante sull’orlo del pianto, Stefania continuò terrorizzata. - Ma si, dai è solo una biscia. Ha più paura lui di te se continui a gridare così. Dai dammi la mano. Ecco, brava. Visto, non è successo nulla. – Le disse accompagnandola sulla sicurezza dell’asfalto. Non era la prima volta che succedeva ma ancora i serpenti annichilivano Stefania, non ci poteva fare niente. Ogni volta lei concludeva con un: - Non ci vengo più! – e poi al primo allegro incitamento della suocera: - Andiamo per argini? – era la prima, quanto mai insolitamente, ad essere pronta per la partenza della spedizione. Ed a spiegarle che nella zona non c’erano mai state vipere e che i serpenti erano bestiole tranquille. Non le aveva certo raccontato, come suo padre a lui da bambino per insegnarli il senso della prudenza, che potevano dare scudisciate tremende sulle gambe o rincorrerti facendosi ruota e girando più veloci di una motocicletta. Belle storie comunque, dal sapore antico dei miti delle strane creature della laguna, dotate di poteri soprannaturali ma non proprio molto cattive, più che altro burlone, scherzose, anche se pesantemente a volte, di certo non crudeli ed incombenti come i loro terribili parenti delle aspre montagne carniche. I nipoti erano già sul posto cercando il serpente, agitatissimi, saltellando con bastoni in mano, un passo avanti ed uno indietro.. - Via, via di qua, andiamo adesso. – arrivò la mamma, Sandra, la sorella di Enzo. - Dai, che fra un po’ torniamo a casa se non fate i bravi. E l’intermezzo finì come sempre, Enzo salutò col pensiero il serpente che si stava allontantanando lentamente verso una macchia e si girò nuovamente verso il prato. Voltandosi, uno sprazzo di colore gli balzò nella coda dell’occhio. Osservò meglio e notò qualcosa di rosso nell’erba alta. Si chinò separandola e sbiancò vedendo spuntare una mano. - Ma cosa fai, attento al serpente. – gli gridò di scatto Stefania con la voce ancora spezzata per il recente spavento. Con uno sforzo Enzo si riprese, si voltò già prendendo il telefonino e le disse, cercando di mantenere calma la voce: - Non chiedermi niente e non preoccuparti. Ma raduna tutti e portali a casa, poi ti spiego. - Ma cosa c’è, dimmi. – - Dopo, dopo, tranquilla, niente di grave, fidati. – I carabinieri arrivarono in pochi minuti, erano solo a qualche chilometro, nei pressi dell’ingresso allo stradone lagunare controllando le bolle di trasporto dei camion. Il maresciallo Giorgio Spano si catapultò dalla vettura e lo raggiunse al piede dell’argine. ‐ 3 ‐


- E allora Enzo, che cosa c’è stavolta? – esordì con un fare un po’ seccato. - Lì - indicò con la mano, - in mezzo all’erba, guarda tu. Mantenne la mano puntata nella direzione del cadavere quasi volesse compassionevolmente stringerne la sua per l’ultima volta. Poco discosti dalla scena, col sottofondo dei flash della scientifica, Giorgio chiese nuovamente ad Enzo: - Ma allora è stata Stefania che ha visto per prima il corpo? - No, lei ha gridato solo perchè si è impaurita per il serpente ed allora sono corso io. L’ho visto per caso, era quasi invisibile nell’erba non fosse stato per quel rivolo di sangue. - Va bene allora. - replicò comunque dubbioso il maresciallo. - E non l’hai toccato, mosso? - Guarda Giorgio, come ti ho già detto, mi sono solo chinato per capire di cosa si trattava ed appena ho visto la mano ti ho chiamato. Niente di più. - Vabbuò, dovrebbe bastare per adesso. Domani mattina passa in ufficio per firmare la dichiarazione, magari il tenente vuole sentirti pure lui. Avevano tagliato l’erba attorno ed ora il corpo non inquietava più, ispirava solo desolazione e tristezza. La faccia a terra, un braccio disteso avanti verso l’alto e l’altro in fuori, una gamba di lato, come se la morte l’avesse sorpreso salendo a fatica sull’argine. Il sangue veniva da una ferita sullo stomaco ed una striscia, nemmeno tanto grande, si era allungata verso il basso. L’uomo era di razza bianca, di altezza media, dimostrava una sessantina d’anni, ben vestito con giacca di lino beige e jeans. Lo voltarono e vide la camicia inzuppata ormai quasi marrone, radi capelli grigi, la faccia: bianchissima sporca di terra con qualche filo d’erba, gli occhi chiari... chissà cosa avevano visto per l’ultima volta. Si arrampicava verso l’alto per poter chiedere aiuto ad un veicolo passante, per andare a vedere il mare per l’ultima volta sapendo che stava morendo, si trascinava per un istinto animale, per rabbia, per disperazione, per... - E cosa stai a guardare! Giorgio interruppe bruscamente il corso dei suoi pensieri. - Appuntato, accompagni il signore al paese. Non disse: - Levamelo di torno. - ma il tono era quello. - Arrivederci, a domani. - Chiuse Enzo e docilmente si avviò verso la vettura di servizio. Imbruniva ed all’orizzonte il profilo del paese era disegnato dalla bassa linea segnata dalle luci dei fari stradali lungo i moli e le rive, più in alto quella del campanile, dovette sforzarsi per trovarla, quasi affogata fra le masse oscure degli edifici attorno, più in su le lucine sui bracci delle gru a torre. - Quante sono. - sospirò e guardò un po’ più a destra per rincuorarsi con i lampi regolari verdi e rossi dei fanali di segnalazione, vecchi amici che non tradivano mai. In un altro giorno sarebbe stata proprio una bella serata. Ritornò con il pensiero all’argine e con rimpianto concluse che lì, fra la terra ed il mare quel posto non sarebbe più stato lo stesso per nessuno di loro. ‐ 4 ‐


- II -

L’indomani alla stazione dei carabinieri, dove fremeva un’insolita attività, non trovò nè Giorgio nè il tenente. - Sono tutti fuori, non so quando tornano. – Gli disse un’agente all’ingresso. - Ma il maresciallo mi ha convocato per firmare il verbale del fatto di ieri; io ho ritrovato il corpo. - Senta, non so cosa dirle, torni più tardi che intanto m’informo, ora abbiamo troppo da fare. - Ma si sa chi è il morto e sono stati informati i famigliari? Da quanto tempo era lì? Chiese Enzo. L’attendente lo guardò dal basso in su senza muovere la testa con una espressione severa di rimprovero senza dire una parola. Enzo si diresse sovrappensiero verso il porto. Un voce allegra lo chiamò all’improvviso distogliendolo a malincuore dalle sue riflessioni. - Eccolo qua, l’uomo del giorno. – era Elia da un tavolino fuori dal bar con l’ennesimo caffè ed il quotidiano, il suo primo ufficio mattiniero di rappresentanza. Di corporatura massiccia, quasi strabordante, il viso un po’ rovinato da malattie infantili, occhi celesti screziati di grigio, attenti, vivaci e con un briciolo di sogno che a volte prendeva il sopravvento con un velo di quasi lacrime; gli occhialini alla moda sul nasone che non riuscivano comunque a sopraffarre il piglio rustico isolano. Elia era un politico locale che respirava la strada, benvoluto dalla gente per la simpatia e le maniere amichevoli tutto sommato sincere, o quasi. In quel periodo, con le imminenti elezioni comunali presidiava regolarmente tutti i bar-uffici strategici in giro, i principali nodi del Web paesano. Enzo si chiese come si regolava con tutti quei caffè ed in serata con tutti quei bicchieri di vino. Ah, i sacrifici intestinali della politica! - Ma dai siediti qui con me. Cosa mi racconti allora. Ma l’hai proprio trovato tu quel morto? Così si dice in giro. - Se già lo sai perchè me lo chiedi? – rispose Enzo sedendosi. - Comunque si e non è stato facile. Ho quell’immagine sempre davanti agli occhi. - E dimmi, gli hanno sparato? - chiese Elia. - Si, no, non lo so e poi senti, e lo sai bene, sono un testimone, sono legato al vincolo istruttorio. - Eh si, speriamo risolvano presto il caso, poi non fa bene all’immagine del paese, fra un po’ arrivano Pasqua ed i primi stranieri. Almeno è avvenuto in terra ferma, in campagna, non credo c’entri nessuno dei nostri. - Così penso sempre anch’io. Ma parliamo d’altro dai. Dimmi, come va con la campagna elettorale, ti candidi a sindaco o no? Quando ti vorrai mai decidere, anni che ne parli e sempre lì un passo indietro. Non è che ti trovi meglio a criticare che ad essere criticato no? - Buttò lì Enzo, tanto per cambiare discorso. - Ma quando mai, paura io? Piuttosto è perchè preferisco mandare avanti qualche giovane, io ho già una certa età e c’è bisogno di forze nuove, di nuove idee, tu mi capisci vero? - Rispose Elia con gli occhi verso la fase sognante. ‐ 5 ‐


- Si, per poter restare dietro le quinte dove si decide veramente. Dai, non fare il saggio della montagna con me. - Replicò Enzo e continuò: - Ma non vorranno davvero tirare giù l’ultima villa liberty, quella vicino all’ ingresso principale della spiaggia sai, per metterci uno scatolone, ma non è vincolata? Ieri sono passato di là ed era già ingabbiata in ponteggi per manutenzione, una spallata di troppo e via, finita la villa e finito il vincolo, lo conosciamo il trucco. - Non so, non credo ci provino, è rischioso; certo gli interessi in gioco sono grandi; ma grazie per l’informazione, metterò qualcuno sull’avviso e poi... - Si fermò. - Toh, eccolo lì che passa, parli del diavolo e. Una Mercedes color antracite nuova sfavillante costeggiava il molo lentamente, in giro di quel modello senza una D sulla targa non ce n’erano molte. Il Grande Affarista andava a prendere l’aperitivo ed a sondare l’aria pre-elettorale. Elia sollevò la tazzina nella sua direzione a mo’ di brindisi sogghignando scherzoso; con la sua faccia smunta l’altro in risposta lo gratificò di una mezza smorfia. Si scambiarono un’occhiata d’intesa. - Beh, io dovrei andare. - disse Enzo. - Ma no dai, non lo prendi un caffè? Aspetta un momento che sta arrivando Antonio. Il pescatore, ancora in indumenti di lavoro, prese posto con un sospiro di soddisfazione scrollandosi di dosso qualche alga sparsa e rilassandosi dai capelli bianchi agli stivali di gomma verde, ed esordì: - Ed allora si offrono ancora caffè o siamo arrivati ai bianchi? Forza che il sole mangia le ore. - Sempre a branzini al nautofono? Preso qualcosa stanotte? - chiese Elia. - Poca roba, poca roba. - rispose con la formula rituale. - E cosa ne pensi del morto? - continuò Elia suscitando il disappunto di Enzo. - Morti sugli argini. - rispose. - Mi sembra di ritornare ai tempi della guerra, dopo la ritirata in fretta e furia dei tedeschi, quando ci si poteva muovere di nuovo, ne trovavi in giro come trovavi bombe inesplose. I tedeschi avevano postazioni di osservazione per tutti i lati, dal bosco al canale industriale, gli aerei degli Alleati bombardavano in continuazione, anche a casaccio secondo me; ricordi le bombe in viale? i colpi sulla corriera che andava su in campagna? Hanno anche mitragliato in laguna barche di pescatori: mia mamma, una bambina allora, con le amichette guardando il cielo distese sui giunchi in un’isoletta, si era alzata per salutare festosa un Pippo in arrivo, e poi invece arrivarono il dubbio ed infine il pianto vedendo i globi di fuoco divorare rabbiosi le vele; ma che pericolo rappresentavano per loro? E se ne sono trovati anche dopo, di morti, a guerra finita. E quelli erano i peggiori. Ma lasciamo stare. Andiamo avanti con questo bicchiere o no? - Guerra, guerre. - Disse Elia. - Ce ne sono sempre, differenti, grandi o piccole, che si chiamino mondiali, prime, seconde o terze, mafie, investimenti o droghe sempre guerre sono. Ti ricordi del povero Tarcisio qualche anno fa? - E chi se lo dimentica. - Antonio si pose triste e scambiò velocemente uno sguardo con Enzo. - Adesso devo proprio andare. - disse Enzo.

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- Fatti vedere. - Lo salutò Elia. - Dobbiamo ancora parlare della strada romana. Ti ricordi? Mi hai promesso un studio preliminare per la sua rivalutazione. Voglio inserire questo progetto nel programma politico. - Ma veramente? – domandò dubbioso Enzo, alzandosi dal tavolino. - Va ben, metterò giù qualcosa. Ci vediamo. - E se ne andò. Elia stava già scrutando attorno per altri amici da invitare all’ufficio-bar. Si incamminò, per un po’ distolto dall’idea della strada romana che anticamente univa la terra ferma all’isola ricalcando il percorso dello stradone attuale ed oggi era sotto il fondo lagunare di un buon metro. Ah i romani, gli nasceva sempre un moto di ammirazione ricordando le loro opere: per rifare quel collegamento erano passati quasi duemila anni. E lui non riusciva ancora a trovare un collegamento fra l’argine ed il morto.

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- III -

Il maresciallo chiamò personalmente Enzo per convocarlo alla stazione a firmare il verbale della sua testimonianza del ritrovamento, con un tono particolarmente gentile. Decisero di vedersi prima da Mimì per uno spritz, già che era sulla strada. Enzo interpretò questa offerta come una scusa per rompere ll leggero gelo che si era creato fra di loro. E servì. Giorgio si alzò dal tavolino ed lo accolse cordialmente, chiamò un altro bicchiere e: - Beh, come andiamo. E’ un po’ che non ci si vede. Ti sei ripreso? - Ma si cosa vuoi, la vita continua. - rispose Enzo banaleggiando. - E sapete adesso di chi si trattava? - continuò. Giorgio sorrise sornione con un’espressione del tipo: - E volevo vedere se non mi chiedevi qualcosa! – e rispose a bassa voce: - Non qui, dopo in ufficio. - No, non sappiamo ancora chi fosse, non gli abbiamo trovato addosso nessun documento, stiamo esaminando altri aspetti: vestiti, sedimenti, ed altre analisi; le avremo a giorni. Al momento nessuno ne ha ancora denunciato la scomparsa, o veniva dall’estero o non aveva parenti, amici. Propenderei per la seconda ipotesi, vista anche l’età, comunque per prudenza abbiamo diramato foto segnaletiche anche ad altri paesi, tipo Argentina ed altri dove la comunità italiana è numerosa. Perchè sul fatto dell’origine italiana non si scappa e crediamo sia proprio della nostra regione. Sono confidente che in poco tempo avremo dei risultati. Giorgio smise di parlare, zittì con fare dubbioso per qualche istante e poi si decise, prese un rapporto dal cassetto e lo lanciò sul tavolo verso Enzo: - Ecco, questo è il rapporto forense. Dagli un’occhiata ma rapido, prima che entri qualcuno. Enzo prese il documento e ne scorse velocemente i punti essenziali. Così l’uomo era morto per la ferita allo stomaco con arma da fuoco, una pallottola di calibro 9mm corto gli aveva straziato il fegato. Una brutta ferita, era morto a causa dell’estesa perdita di sangue e sicuramente con dolore, un immediato intervento chirurgico avrebbe potuto senz’altro salvarlo. Nessun altro particolare degno di nota, eccetto il segno di una leggera contusione sulla testa dovuta forse alla caduta in seguito allo sparo. L’autopsia aveva determinato che la morte era avvenuta da circa due settimane, l’erba aveva fatto in tempo a raddrizzarsi ed a nascondere il corpo alla vista, la tempistica era quindi doppiamente confermata. Sulla camicia non c’erano tracce di bruciature e quindi il colpo non era stata esploso da vicino. Non era stato ritrovato il bossolo e con un’arma di così grande diffusione, senza combinare le rigature del proiettile ed i segni di percussione, non c’erano speranze di poter identificare l’arma e risalire al proprietario. Lo rimise chiuso sulla scrivania ed appoggiò le spalle alla sedia, chiuse gli occhi per qualche istante. Giorgio aspettava. Enzo provò a delineare un quadro: - Non erano professionisti, criminali si, ma non professionisti. Hanno preso i documenti, cercato il bossolo, magari fatto sparire la macchina del morto, ma una ferita in pancia. Non si spara così se vuoi ammazzare qualcuno. ‐ 8 ‐


Richiuse gli occhi e riprese: - E’ sera o notte, hanno parcheggiato sul lato della strada per incontrarsi con il tale, non si può sapere se li aspettasse o meno e quindi se li conoscesse. Loro invece sapevano esattamente chi era e cosa faceva, ma lui, anche se non li conosceva, ha capito subito di essere in pericolo. Sono uno o due, non credo di più. Stanno parlando con lui vicino all’argine, una discussione accessa, lui si rifiuta di fare o dargli qualcosa, lo minacciano con una pistola. Una spinta, lui reagisce scompostamente, una collutazione, parte il colpo. Che stupidi! Senza la sicura su. Cade a terra, i due si guardano. E adesso? Giorgio lo interruppe: - Hai detto fatto sparire la macchina, vero? Quale macchina? - Non lo so – rispose Giorgio. - L’ho detto così, senza farci caso, non credo, a meno che costretto e di brutto uno non viaggerebbe con dei criminali. - Mm... - Commentò l’altro, prendendo un appunto. - Una vettura da cercare. - Avete cercato impronte di pneumatici? Per parcheggiare fuori strada lì si va nello sterrato, magari è rimasto qualcosa. - Certamente. - Replicò Giorgio sollevato di potere mettere un punto a favore dell’arma. - E come, no. E’ stata una delle prime cose che abbiamo cercato, fa parte del protocollo. Ma no, nessuna traccia di pneumatici. - Ma non possono avere parcheggiato sulla strada, è stretta, non c’è spazio. Avete proprio controllato bene? – Chiese testardo Enzo. - Ma come te lo devo dire, a Enzo mio bello? Lascia fare il lavoro a chi lo sa fare. Le avrà cancellate la pioggia. - Rispose seccato il maresciallo toccato sul vivo. - Ma adesso vai avanti ancora, per favore, và. E riprese: - Uno gli fruga i vestiti e gli prende il portafoglio, telefonino e chiavi della macchina, l’altro sta cercando il bossolo. Il primo lo lascia lì a lamentarsi e va ad aiutare l’altro. Non è facile nell’oscurità, uno accende i fari. Trovato! Si girano e non vedono più l’altro. Ma dove è finito? Scrutano attorno, dietro il fosso, verso l’erba alta. Lui è lì fermo giù disteso nell’erba, li sente camminare vicino, smuovere le canne, trattiene il dolore ed il fiato. Arriva una macchina. Un contadino di ritorno da una cena, un ritardatario, c’è poco traffico in quel posto isolato, ma qualcuno arriva. Si guardano, saltano l’argine e si nascondono dietro. Passa. Ritornano, ora più agitati; non se la sentono di restare nel luogo del delitto, vogliono allontanarsi al più presto. Si parlano: - Morirà sicuramente, hai visto quanto sangue perdeva. Andiamo adesso, prendi tu la sua macchina. - E si allontanano. - Non c’erano impronte dietro l’argine, abbiamo controllato. Non può essere andata così. - Disse Giorgio, anche lui con fare assorto, le mani allacciate dietro la testa. - Allora ancora: parte il colpo per sbaglio e lui si accascia tramortito, realizzano cosa hanno fatto e perdono la testa, vogliono andarsene da lì al più presto ma non prima di cancellare le tracce più evidenti o quantomeno per rallentare le investigazioni: l’identità dell’uomo, la macchina. Neanche pensano ad occultare il cadavere, non sono duri a quel livello. O pensano che anche se venisse alla fine identificato non si potrebbe risalire a loro. -

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- Questo mi convince di più. - replicò Giorgio. - In più anch’io avevo già eliminato l’ipotesi di un’organizzazione su per giù per gli stessi tuoi ragionamenti. Piccoli delinquenti, è lì che dobbiamo puntare, ma delinquenti di cosa? Enzo salutò. Camminando si grattò la nuca, era ora di tagliarsi i capelli. Si diresse verso la barberia di Andrea ed al pensiero si rilassò: una rivista, il torpore dell’attesa, due chiacchere leggere. Ma cambiò bruscamente idea e direzione: le chiacchere di Andrea sarebbero state peggio di un terzo grado con il tenente dei carabinieri.

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- IV -

Enzo voleva togliersi dalla testa o meno che l’uccisione era avvenuta in quel posto per caso. In quella stagione, quando ancora non avevano aperto gli immensi campeggi, quella via secondaria non era molto frequentata. Il posto poteva perciò essere stato scelto proprio per quel motivo anche se di siti fuori mano e più appartati ce n’erano diversi altri e di migliori, per incontri lontano da orecchie od occhi indiscreti. Perciò se c’era un motivo specifico quale poteva essere? La casa era la prima possibilità: un’eredità, di nuovo il veloce e facile ritorno economico del mattone, un socio o un membro famigliare che non era d’accordo con i termini della vendita? Di chi era quella proprietà da tanti anni lasciata andare? Oppure un vincolo non necessariamente connesso con la proprietà che bloccava un investimento lì vicino, uno diritto di passaggio, di sversamento d’acque superficiali, di vista? Chi poteva saperlo in quella terra antica dove gli editti dei dogi, attraversando i secoli da Napoleone a Francesco Giuseppe a Vittorio Emanuele II alla Repubblica erano stati riconfermati da ogni trattato di pace. Diritti di pesca, itticoltura? No, una morte non poteva derivare da ciò. La mala, un appuntamento per illeciti di qualsiasi tipo? la scelta era ben ampia: rifiuti tossici, usura, tratta, azzardo, traffico di organi, di prodotti non certificati, un pezzo rappresentativo di tutto l’immenso male dell’umanità era presente in scala ridotta anche nella regione, altresì più tranquilla di molte altre. Ma no, di nuovo, questo non avrebbe avuto relazione con il posto. Non riusciva a smettere di arrovellarci sopra. Scese da casa, prese la macchina e si diresse lungo lo stradone verso l’argine. Vi salì lentamente bagnandosi i pantaloni con la rugiada dell’erba alta. - E chi le sente adesso le urla di Stefania! - Qualche insetto disturbato ronzava poco convinto ma altrimenti la quiete era assoluta, il tempo sembrava sospeso. Era bassa marea e le secche, barene e velme adesso evidenziavano nettamente la rete vitale dei canali. Le fanerogame affioranti gi portavano un odore acre ed una spatola solitaria affondava cadenzata il grande inconfondibile becco alla caccia di molluschi e pesciolini. - Anche le spatole adesso. - pensò. - L’altr’anno il fenicottero ed ora questi. Se non è per il cambio climatico, per cosa? Suggerirò ad Elia di inserire anche questo capitolo nel programma elettorale: qualcuno dovrà pensarci seriamente prima o poi anche a livello locale, se no addio a tutto il resto. Almeno per prudenza. Davanti l’acqua era quasi ferma, quell’ansa era incassata nell’estremo settentrionale della costa e non c’erano corsi vivi e gorgoglianti, il ricambio delle maree era molto basso; non per niente i pescatori avevano chiamato quella zona Palude della carogna. - Gran brutto nome, e più brutto ancora adesso. - Non ci andava nessuno ed ora, con l’acqua al suo minimo, l’ansa era costellata da piccoli affioramenti con grappoli di cozze abbarbicate a delle pietre. Erano i resti di fondazioni, probabilmente di una villa romana, nella terza linea di insediamento lagunare, secondo le ultime interpretazioni territoriali degli archeologi, più indietro ‐ 11 ‐


verso costa rispetto alla seconda, quella delle costruzioni per il culto e la prima degli insediamenti produttivi, magazzini, scali e moli verso il mare. Chissà, forse questo posto era ideale per una villa anni fa, l’acqua scorreva, un cinghiale arrostiva, si sorseggiava il Falerno o il Terrano carsico, lo stesso dei giorni nostri, con un po’ di miele. - Ma le zanzare dovevano essere in forza. - pensò. - Il DDT degli Americani non era ancora arrivato! Una solitaria vettura passò rombando lungo la stradina. Si girò verso terra. Di qua dopo la bonifica del Ventennio, era arrivata la casa ora abbandonata, poco discosta la cascina, la ridotta esterna, da un lato della casa, faceva capolino più in là un alto con un folto gruppo di pini marittimi, sul fondo le Alpi degradanti ad oriente, più bruscamente dopo l’altura del Monte Re. Anche questa vista dava piacere, rilassava. - Il genius loci vale sempre. – riflettè. - Cavalcando la storia, per i romani come che per gli italiani di oggi e per tutti gli altri prima ed a venire. Mise in moto e tornò verso il paese, con in mente la bellezza del posto: dal ridente richiamo del boschetto alla marea dei papaveri all’immenso specchio lacustre. Si sentiva meglio degli ultimi giorni e con voglia di vedere degli amici. Stava già imbrunendo e sapeva dove trovarne qualcuno, in una delle piazzette centrali del centro storico veneziano. Calli strette, numerosi slarghi irregolari, scale esterne, passaggi coperti, giochi di luci ed ombre, chiazze verdi di edere che si arrampicavano sui muri in mattoni, mezzi archi romani, scorci che si aprivano all’improvviso sulle chiese che gli ricordavano l’impatto all’uscita del canyon di Petra in Giordania. Ah, era un gran bel passeggiare e godere della vista; va bè, Venezia era un’altra cosa, una meraviglia del mondo, ma questa era casa sua, dei suoi antenati e della sua gente, un baluardo contro il peso chiassoso del turismo e del traffico, un’oasi per i sensi stressati. E resisteva qualche buona trattoria, l’odore dei fritti e dell’aceto sfriggendo nei brodetti di pesce ti portava a destinazione ad occhi chiusi. Damiano era seduto fuori al tavolino di una bottiglieria, al solito preso in un’animata discussione; il quadro tipico di diversi nativi ed uno, massimo due turisti, rigorosamente una coppia in questo caso, accettati al convivio solo per certificato pluriannuale attaccamento al paese ed alle sue regole non scritte, felice di comprendere anche uno striminzito dieci per cento dello stretto dialetto ed azzardando un’osservazione di tanto in tanto nella discussione, ma con molta attenzione. Lo chiamò: - Oh Enzo, quanto che non ci si vede, credo che hai qualcosa da raccontarmi. Ma adesso vieni, siediti per conoscere questo austriaco, sono più di dieci anni che viene da noi per le ferie, ha un bel motoscafo e non lo conoscevo ancora, lui intendo, non il motoscafo, quello non parla. Magari ci accordiamo per il rinnovo della tappezzeria di bordo. - Damiano, anche fuori dall’orario di lavoro, anche se rilassato, non rinunciava al pronunciato senso degli affari innato nella sua profonda anima istriana. Possedeva un piccolo ma ben fornito negozio di accessori per motoscafi vicino al cantiere navale del porticciolo settentrionale. Per la professione e passione era diventato un discreto meterologo dilettante ma le previsioni non le sparava solo ‐ 12 ‐


sul tempo, brillante, canzonatorio, informatissimo e pratico, tagliava le gambe a tutti in due e due quattro, una capatosta avrebbe detto Giorgio. Non potevi andare d’accordo con lui se raccontavi palle o ti perdevi in lungaggini, e non dimenticava niente. L’aveva aiutato nel caso della scomparsa di Tarcisio e quell’episodio aveva rafforzato il loro legame. Ora sicuramente si aspettava di conoscere qualcosa sul fatto nero del giorno di prima mano, Enzo non sapeva come metterla giù e di cosa e quanto raccontargli senza compromettere il proprio stato legale per l’inchiesta in corso. Va bè per intanto avrebbero brindato con un bel Pinot bianco, e quelle belle sarde marinate con cipolla che aveva adocchiato subito al banco avrebbero fatto una brutta fine, o bella, secondo i punti di vista. E magari più tardi sarebbe anche arrivato il risotto di mare per i clienti affezionati o un assaggio di goulash appena piccante. Ma nell’ipotesi del goulash sarebbe andato meglio un Pinot nero, che fare? Si sedette contento di avere un così gran problema da risolvere. Una mano gli diede un buffetto sulla spalla. - Ah, sei qui! – Elia lo salutò. – Disturbo? Ciao Damiano. - E proseguì, rivolto ai convitati: - Vi porto via Enzo per due minuti, poi ve lo ritorno, non vi preoccupate. - A malincuore Enzo si alzò guardando il barista arrivare con piattini fumanti, quella sera era andata per il risotto, e seguì Elia che lo aspettava poco discosto con il Grande Affarista, che si stava guardando in giro con la faccia annoiata. Anche se a pelle gli era antipatico, per dire poco, non potè evitare di provare ammirazione per la classe e la cura dell’abbigliamento: dal sottile Piaget d’oro ai colori tenui dell’arabescato fazzoletto leggermente fuori dal taschino della leggera giacca di lana, cammello od alpaca, uno dei due. - Ecco Franco, volevo presentarti un mio carissimo amico, un vero paesano innamorato delle tradizioni, lo conosci già? Esordì Elia al solito esageratamente. – No. - Replicò, poco interessato e porgendo una mano leggera, lo sguardo svagato alla ricerca di referenti e belle donne. Enzo non sapeva proprio cosa dire a quello che riteneva uno degli ingranaggi della disgrazia del mattone, ma se non lui, alla fine sarebbe stato un’altro. Il meccanismo si autoregolava automaticamente senza intoppi, sempre in quarta con l’innarrestabile spinta dell’economia di mercato, l’abbagliante sviluppo ed il falso veloce benessere che avevano ingannato da decenni più o meno tutti, tante pedine inconsapevoli senza prospettiva. Quello schema che lui assieme ad altri cercava di migliorare con un cambio culturale verticale. Cosa poteva dirgli? - Buttò lì un generalistico: - Come va con la vendita di tutti gli appartamenti vuoti? Sono centinaia, quasi mille. La crisi finanziaria ha colpito pesantemente, eppure i prezzi sono calati solo di poco. Non c’è fretta e si prevede che la domanda ritorni? Invece di costruire ancora non sarebbe meglio trovare un approccio differente, riqualificazioni, convenzioni? Per compensare la bassa capacità di acquisto. Un brillio negli occhialini, un barlume d’interesse: - Convenzioni? E con chi? Con chi si dovrebbero fare addirittura convenzioni, se per una variante da quattro soldi passano anni. Qui non decide niente nessuno e chi la porta avanti l’economia del paese? Lasci stare i sogni, su. -

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- Eppure abbiamo degli esempi che sono stati adottati con successo, non dico di andare fino ai paesi nordici, ma anche da noi ce ne sono di casi virtuosi anche in regioni vicine, basta copiare, perchè non farlo? - Insistette Enzo. L’affarista si accese una sigaretta alla menta e sbuffò, chissà se per la boccata di fumo o il fastidioso argomento sociale e non economico. - Ma di queste cose deve parlare con il suo amico Elia, mica con me. Lui è un rappresentante della classe politica, non lo faccio mica io il piano regolatore. - Ma lo predisponi, cerchi di arrangiarlo. - Si tenne per sè Enzo. - Si, va bene, ne parleremo. - Rispose Elia un po’ incomodo. - Ma dimmi, qualche novità di quell’uomo? Sai. - Disse rivolgendosi a Franco. - Enzo ha avuto la sfortuna di scoprire il morto sull’argine. - Ah, quello nella frazione comunale, vicino all’ex idrovora della bonifica. - Si. - confermò Enzo e cambiò subito leggermente il tema: - Ma non è mai stato previsto da quelle parti un investimento turistico? La zona non è malaccio, grande tranquillità ed allo stesso tempo vicina alla direttrice principale di traffico, poi vicino ai campeggi, che ne so: un maneggio, agriturismo, ce ne sarebbe ancora da fare. Nessuna possibilità? - Macchè! - replicò Franco. - Ci avevamo dato un’occhiata diversi anni fa. Tutto bloccato, non ci si capisce niente sulla proprietà. Un consorzio mezzo pubblico, rimpalli di responsabilità, un idiota girotondo burocratico come solo noi italiani sappiamo fare al meglio. Sono stato mesi per riuscire ad avere una piantina con le demarcazioni dopo aver girato fra impiegati deficienti di uffici sparsi per tutta la regione. Nessuno che ne sappia un minimo di qualcosa. No, niente da fare. Enzo riflettè rapido. Aveva già ripassato i blog del paese e gli articoli dei quotidiani per aggiornarsi ricercando con alcune parole chiave come: edilizia, speculazione, a novanta gradi, mattone, sempre in quel posto, condomini, mille anni de cason, poteri forti, contributi elettorali, urbanistica, colate di cemento, golf. Ma non aveva trovato niente che già non conoscesse e poi l’interesse degli utenti, di quei tempi, era tutto per la campagna elettorale: dichiarazioni, programmi, alleanze, nuove liste civiche ed alla via così. Neanche nessuno scoop di quelli ottimi guastatori dell’anguilla in quanto ad indiscrezioni, varianti; neppure i conoscenti impegnati in edilizia avevano saputo dirgli qualche parola al riguardo dei lotti nella zona della casa abbandonata. Ed ora aveva la conferma di prima mano dell’affarista, niente di eredità, di questioni famigliari o di vincoli, solo un’altro ennesimo andazzo di cattiva gestione. La casa come valore in sè od in prospettiva infine non c’entrava niente. - Quindi, - concluse fra sè. - Questo non poteva essere stato il movente del delitto, non c’era nessuno più informato di quel pescecane di Franco. - Vieni, che il risotto si raffredda, chiaccherone! - Lo salvò Damiano chiamandolo. - Beh, devo andare, il risotto mi chiama. A presto. - Salutò Enzo e si allontanò sollevato. Franco gli dette uno sguardo fra l’inquisitorio ed il commiserevole e si incamminò con Elia a braccetto verso un’altra congrega. Si rimise finalmente al tavolo ascoltando distratto degli ultimi tessuti nano tecnologici super idrorepellenti, super anti strappo, super tutto infine a detta di Damiano, assaporando la fusione magica della manteca ariosa fra i chicchi di riso ed il mare ‐ 14 ‐


delle vongole con il sottofondo del leggerissimo amaro del prezzemolo. - Un pizzico di pepe di troppo. - Pensò. - Se nò era perfetto. E si voltò di scatto per la sensazione di essere osservato. L’uomo sparì in un lampo in una calle di lato ed un secondo dopo non era neanche più sicuro di averlo visto. Ma la pelle del collo gli stava ancora bruciando. Qualcuno lo stava controllando.

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- V-

Paolino frenò bruscamente la bici ad un millimetro dal ginocchio di Enzo, suonando allegramente il campanello. Quegli si girò bruscamente e l’imprecazione gli morì in bocca davanti alla faccia impertinente di Paolino in sorniona attesa dello scatto d’ira. Non era un ragazzino, aveva figli sposati ma, per quell’aspetto di eterno monello, quel diminutivo gli era rimasto addosso per tutta la vita. Lui stesso aveva dimenticato il suo vero nome tant’è che quando si era sposato aveva dovuto rimandare di un giorno la luna di miele per ritornare in parrocchia a correggere la firma sul libro dei matrimoni. - Allora, che mi racconti? Ci sono già molti asparagi sugli argini? - Esordì. L’altro si trattenne e riuscì anche a tirar fuori un mezzo sorriso; che si poteva fare con lui? - Dimmi di te piuttosto, caro vecchietto: ti sei già immerso quest’anno o le bombole sono ancora in soffitta? - Stai buono, caro uomo di finta mezz’età superata da un pezzo. - Rispose. Ed entusiasta, con un tono di voce più caldo: - Ho trovato una zona di vongole grandi come il fondo di un bicchiere a sette metri a non più di un miglio. - E come fai con la finanza e le nuove leggi? - Tutto in regola, adesso mi sono messo in ordine: partita IVA, licenze e permessi. Non per me, cosa vuoi, ma la donna non stava mai in pace ogni volta che tiravo fuori la muta. Questa era proprio una novità, Paolino stava proprio invecchiando e finalmente gli era entrato un briciolo di maturità. Quante storie gli aveva raccontato eccitato del guardiacosta che lo puntava senza mai beccarlo, di quella volta che il motoscafo dela finanza nella nebbia gli aveva squarciato una rete e lui gli aveva anche gridato dietro protestando, di quando era rimasto in immersione fino al limite aspettando che la vedetta finisse di girare intorno e se ne andasse. Era uno di quelli che hanno bisogno di un pizzico di rischio per vivere, pescare in nero era un modo. Fosse nato su per le montagne sarebbe stato un piccolo bracconiere mettendo trappole per i conigli e quaglie, un bambino, Paolino appunto. - Ma dimmi. Di anfore ne hai trovate ancora? – - Ma no, con i fondali che si muniscono continuamente di sabbia, le nuove correnti al largo per il movimento dei dossi esterni... non si vedono quasi più neanche i pietroni dei moli romani: prima sporgevano più di un metro ed adesso sono appena sopra il livello del fondo. Ormai, a meno di un giro subacqueo dopo un sciroccale, e sperando di trovarne intere poi, per tirarle su bisogna equipaggiarsi minimo con una piccola sorbona. Infine, impossibile. E poi, ti ho detto che ho messo la testa a posto no? - Ho capito, ma dimmi, e ti puoi fidare, in tutta la tua carriera o meglio, in tutta la tua ex-carriera qual’è stato diciamo, il tesoro più prezioso che hai trovato o quale sarebbe stato quello che avresti voluto sempre trovare, qual’era il tuo sogno? – - Bella domanda. - Paolino ci pensò su per un minuto. - Tornare a vent’anni per andare a tedesche come un pazzo! - replicò ridendo. - Ma dai, fai il serio. Hai capito cosa volevo dire. - Riprese Enzo. - Mah... Sesso, soldi e rock&roll, si dice così no? – ‐ 16 ‐


- Non proprio. - Enzo sogghignò. - Ma va bene lo stesso. - Bene. - Riprese Paolino. - Avrei voluto diventare un riccone sfondato di soldi; piccoli lingotti, monete antiche d’oro, gioelli, quello avrei voluto trovare. Si vendono, scusa, si vendevano bene, occupano poco spazio e si nascondono facilmente, ben commerciabili e per valutarli che non ti freghino, ci sono i valori di riferimento nei capienti cataloghi di numismatica. - Ma sì. - Pensò Enzo, come nelle fiabe: il secchio pieno di monete ad un estremo dell’arcobaleno, le sardine d’oro delle Varvuole, l’oro nel pozzo, dobloni spagnoli, l’oro degli Atzechi. Cos’altro di più scontato? - Mi ha fatto piacere rivederti. E grazie di tutto. - Grazie di che? - Replicò Paolino. - Piuttosto quando ne hai voglia fammi un fischio che ti porto in mare. Proprio quando vuoi, sono in pensione adesso. - Va bene, ti chiamo. - E si lasciarono. - E quindi se l’uomo ucciso avesse trovato un tesoro? Tesori.– Quella parola magica che affollava i sogni infantili gli era entrata in testa e non lo lasciava. Lo riportava alle mappa di L.R. Stevenson, a quella che aveva fotocopiato da bambino in biblioteca dei resti romani in laguna, al passaggio segreto che univa le due chiese principali nel quale si doveva trovare la spada di Attila difesa da minacciosi scheletri dei cavalieri unni, alla carovana dei forzieri di Carlo Magno ereditati dal Patriarca in viaggio da Aquisgrana, chiese ed imponenti moli scomparsi nei maremoti, relitti con carichi d’ambra dalla lontanissima Scandinavia e poi imbarcati per l’oriente. Ma in zona c’era anche qualche riscontro storico di tesori, non solo leggende: non ultime le capselle d’oro ritrovate sotto l’altare o un bronzetto impigliatesi nelle reti al largo, gli anelli e le ambre luccicanti nei campi arati nella campagna vicina dopo le piogge. D’altronde nell’antichità, in occasione di guerre ed incursioni una delle prime misure per mettere in salvo quanto di più prezioso si possedeva senza rischiare trasporti in lande poco controllate e pericolose, era quella di seppellire tutto, profondamente. Ma per un’assassinio doveva essere stato un tesoro di valore commerciale, trasportabile facilmente come diceva Paolino, non certo un tesoro di valore storico o culturale, come una nuova anfora che ribaltasse la classificazione di Dresser o un mosaico giudaico fuori epoca, che avrebbero fatto dibattere per anni la comunità scientifica a furor di convegni. Qualcosa da vendere a spregiudicati collezioniosti privati, gallerie d’arte, case d’asta e conniventi musei stranieri che li battezzavano con l’eufemismo “reperti di origine sconosciuta”. In zona non c’erano molti reperti che attirassero i cosiddetti tombaroli o cavatori, magari un certo piccolo mercato di non grande valore per monili, vasi, eleganti anfore vinarie, qualche razzia per i campi di notte a fari spenti. Non erano mancati negli anni sessanta furti di teste tagliate alle statue, di mosaici, di una volta gloriosi capitelli per appoggiarci dei gerani; ma poi i controlli erano via via diventati più stringenti come anche la collaborazione internazionale. Oggi sui quasi novecento furti d’arte all’anno in Italia, mentre nella regione non erano più di cinque. E il lavoro del corpo speciale dei carabinieri portava a più di mille indagati e decine d’arresti, questi dati davano un’idea delle grandi dimensioni del continuo assalto al patrimonio culturale. ‐ 17 ‐


Alla fine la regione non era molto esposta a questi misfatti e di archeomafia, una rete criminale ben strutturata con connessioni internazionali in grado di sfruttare gli stessi sistemi e canali dei traffici delle armi, della droga e degli esseri umani, falsificare i documenti. Da noi non se n’era mai molto parlato. Chissà se il maresciallo ne sapeva qualcosa. Un’organizzazione senza scrupoli, questa si, sarebbe arrivata all’assassinio. Ma allora cosa ci poteva essere di così prezioso da attirare l’attenzione del crimine. Doveva pensarci, tratteggiare un quadro che legasse l’argine ad un tesoro. Enzo scosse la testa, non ne era convinto veramente. Accarezzò i dorsi dei libri ben ordinati per argomento nella biblioteca di casa: la sezione della storia era fra le più complete, almeno per la parte locale; ne scelse un due volumi, scorse le pagine del primo apprezzandone il fruscio, l’odore e si concentrò nella lettura per un paio d’ore. A momenti sospendeva per fissare un pensiero svagando lo sguardo nel turchino del cielo e bevendo a piccoli sorsi un gintonic. Alla fine si stiracchiò, cambiò di posizione, accese il computer e fece qualche ricerca in rete prendendo qualche appunto copia-incolla. A causa della potente dominazione di Roma che aveva cancellato od integrato le antiche civiltà e per la mancanza di fonti storiche che non fossero le poche epigrafi o scritti di storici latini, non si sapeva molto delle popolazioni preromane. A grandi linee, nella regione, prima di loro, nell’età del bronzo c’erano gli Euganei o Paleo-Veneti, di cui restavano i castellieri del Carso, poi, nel 1000 a.C., nell’età del ferro dall’Est erano arrivati i Veneti - Illirici, la leggenda narrava che venissero da Troia. Difficilmente erano passati da quelle parti gli Etruschi come sostenuto da qualche studioso, presenti più ad ovest ma sconfitti dall’ondata celtica che si impadronì di tutta la pianura padana nel IV a.C. Fu in quell’epoca che arrivarono i leggendari Celti, i Galli Carni, Norici, Taurisci; dal Danubio e dall’Est e convissero con i Veneti fino all’occupazione romana che ci ha lasciato le poche testimonianze scritte a loro riguardo. Enzo aveva simpatia per i Celti: fra i tanti aspetti lo colpiva la sacralità della musica: la lira stava per il sistema nervoso, il flauto per lo spirito e il tamburo per il battito del cuore. Accostarsi ad uno strumento era una cosa profonda, anni luce dal commerciale odierno. E poi la solidarietà del gruppo, il coraggio indomabile assieme alla mancanza di bellicosità, lo sprezzo della morte, il misticismo, le creazioni mitologiche: elfi, nani, orchi, troll che nei secoli si erano trasformate nei popolari Macarot, Catez, Orcul e Orcule, Sbilf, Massariol, Mostro Balarin. Ed a noi moderni globalizzati, internauti, viaggiatori dell’ulltimo minuto in ogni angolo della terra avevano lasciato tradizioni, folkolore, toponimi, di cui neanche immaginiamo la provenienza, come le uova colorate ed il coniglio pasquali. In noi convivevano quelle radici, mescolate con quelle latine, longobarde, austriache e via dicendo, antichi europei in una regione multietnica da millenni, per la buona pace degli xenofobi inculturati. Ed alla fine un pensiero sempre alla birra, senza di lei la pizza non sarebbe servita a niente. Kurm, questo nome epico era come i Celti chiamavano la Bassa, e identificava un’area acquitrinosa, i voraci cormorani ne tramandavano ancora oggi il ‐ 18 ‐


nome. Sulle isole si erano trovate tracce dei loro culti, come Beleno poi Apollo romano, soppravvisuti alla loro scomparsa fino naturalmente all’imperatore Costantino. E con qualcuno dovevano pure commerciare Greci e Romani dato che al largo erano stati trovati relitti di navi antecedenti all’arrivo di questi ultimi, ed un varco alle acque interne, oggi insabbiato, era stato quello accanto all’isola di Morgo, al limite del mare, che in celtico significa orlo, appunto. C’era anche chi sosteneva che il nome del nostro paese venisse non dalle radici romane di scalo o acque degradanti ma da quella celtica di ghiaia, grava per greto alluvionale, mucchio di sassi, come le varie Gravellone, Gravedona, assieme a tante altre località sparse in tutta la pianura padana. E la stella a cinque punte tracciata dal primogenito sulla sabbia con il coltello senza staccarne la punta, la recita delle formule magiche ormai cristianizzate e tramandate da generazioni a cui ricorrevano i pescatori per dissolvere le minacciose trombe d’aria. E le antiche cifre come il cinque ed il cinquecento più simili a quelle celtiche che a quelle etrusche. C’è n’era da pensare. Nel passato storici e studiosi avevano spesso teso a ricondurre tutto a Roma, trascurando le altre civiltà, per non parlare dell’esaltazione romana nel periodo fascista che aveva enfatizzato agli estremi aquile e littorii. Negli anni settanta si era invece risvegliata nell’opinione pubblica l’attenzione per le più remote radici ed i loro aspetti come architettura, tradizioni, dialetti ed altri, ed aveva portato alla loro rivalutazione. Questa corrente di pensiero aveva poi contribuito a dare il via alla formazione di partiti politici con alla base la rivendicazione dei valori della periferia contro quelli centrali della capitale. In questi partiti il senso culturale era via via scemato e ridotto a simboli propagandistici, sconfinando a volte nel ridicolo. Ma del buono ne era rimasto, eccome: dalla rinnovata attenzione nel campo scientifico, letterale, folklorico alla fortificazione di baluardi contro l’appiattimento e mercificazione della globalizzazione. E per i Celti erano nate diverse società di ricerca, anche sulla spinta del successo mondiale dei film ispirati dai libri di Tolkienn. I Celti erano grandi orefici ed in zona erano già state trovate loro monete, tetradrammi e dramma padane; a volte assieme a monete romane a dimostrare la contemporaneità dei rapporti fra le due civiltà, non tante come nell’ area montana e collinare, dove erano stati anche trovati corredi funebri, spade spezzate e c’erano resti di templi, ma significative della presenza dei Celti anche nella Bassa. Preferivano, come dai toponimi, le zone alte, ma avevano senz’altro stabilito qualche insediamento vicino al mare, qualche scalo strategico in prossimità delle isole più alte, e l’acqua fresca non mancava: a quei tempi la falda era molto più alta e la linea costiera era molto più a sud. Però per la variabilità storica della morfologia: i movimenti chilometrici dei fiumi, il bradisismo della costa, era difficile trovare dei resti comprovanti dei loro abitati e non erano stati fatte neanche molte campagne, molto costose poi, in quel contesto. Senza contare le successive invasioni, colonizzazioni, sovrapposizioni che avevano cancellato le tracce degli insediamenti più antichi. Una decina d’anni fa aveva fatto scalpore nell’ambiente archeologico e regionale il ritrovamento di un paiuolo pieno di monete romane e celtiche, diverse centinaia e tutte d’argento, romane e celtiche. Un ritrovamento notevole tanto da venire chiamato tesoretto e da essere esibito poco dopo addirittura alla platea ‐ 19 ‐


mondiale dei G8 nel capoluogo. L’aveva trovato un onesto appassionato e diversi musei se ne contendevano ora l’esposizione, per il valore storico e culturale, per non parlare delle radici, degli avi dove allora il tesoro assumeva anche connotati politici. E qui Enzo si fermò. Ancora un sorso lento dal bicchiere, la calma pervadeva l’ambiente. - Ho pensato abbastanza, ed anche divagato, ci ritornerò sopra più tardi. Adesso basta, mettiamo su della musica. - Si disse alzandosi e andando verso lo stereo. - Ravel o Mingus? - Invece si decise per Summit di Piazzolla e Mulligan. Non ricordava quante volte l’aveva risentito: quel suono triste del bandeon con il controcanto del sax baritono, la passione argentina appena raffreddata dalle note roche e basse che punteggiavano le melodie, gli strumenti si alternavano e raccontavano lo stesso motivo con differenti punti di vista, di retroterra. Si allontanavano, si congiungevano, si arrabbiavano per scherzo fra di loro. In una parola: divino! Ed un flash lo scosse. Ricordò la posizione dell’uomo: un braccio disteso verso l’alto e l’altro in fuori, una gamba di lato. Riflettè: in fuori, non ci si arrampica così. E’ una posizione innaturale, è uno spasmo, è... una K. L’antica parola di Kurm gli rimbombò di colpo nel cranio.

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- VI -

In primavera di mattina presto non c’erano molti avventori per il caffè ed i primi scambi di opinioni. Il gruppetto vivace delle sei si sarebbe ricomposto solo verso giugno; mancavano il cuoco, l’autista, il fotosensibile; restavano i pensionati, il benzinaio e gli insonni di sempre. Gli mancavano le loro battute lapidarie sui fatti del giorno prima, quasi un genuino editorale sui generis ma a volte più veritierio e centrato di quelli di grandi testate. In vantaggio, il quotidiano era un preda meno contesa e poteva leggerlo con più calma senza contravvenire alle regole di cortesia che imponevano un tempo di lettura dello stesso ordine di grandezza delle trequattro sorsate per il caffè più una sigaretta. Come di recente faceva, saltò direttamente alla cronaca locale. “Il mistero dell’uomo nell’erba. Dopo due settimane di indagini, ancora senza nome il cadavere scoperto sul limitare della laguna che, ricordiamo ai lettori, è stato ritrovato per caso da un nostro concittadino.”

- Ancora, perchè mi deve nominare in ogni articolo! E basta, no? Pensò Enzo. – Deve seguire arrabbiato di brutto perchè non gli ho voluto rilasciare nessuna dichiarazione. “Le forze dell’ordine, in coordinamento con il comando regionale e l’Interpol, dato che non si esclude che l’uomo sia straniero, stanno battendo ogni pista per l’identificazione della vittima. E’ stato già confermato che non si tratta di un suicidio. Ancora ignoto il movente anche se la polizia propende per motivi legati alla sfera personale dell’individuo,”

- Ma da dove hanno tirato fuori questa, se nemmeno si sa ancora chi è. - commentò Enzo. - Di sicuro non era un paesano, non l’aveva mai visto. D’accordo non poteva conoscere tutti ma al contrario i caramba l’avrebbero scoperto in quattro e quattro otto. “anche se al momento si stanno considerando diverse ipotesi.”

- Per non sbagliare, tutte le carte sul tavolo: non si sa mai. “ Il paese è sospeso ed angosciato a causa di questa situazione e tutti, dal sindaco alle rappresentanze politiche, al clero, al settore alberghiero e ricettivo,

- Ma li avrà davvero senititi tutti, uno per uno? – Si chiese. “auspicano che l’investigazione si concluda al più presto. La stagione è alle porte e questo triste evento non fa bene all’immagine cittadina. Si ricorda che in zona le cause di morte violente nel passato sono state rarissime e si vuole rassenerare il clima del distretto turistico tradizionalmente caratterizzato dall’ alto grado di sicurezza pubblica che hanno sempre incontrato i villeggianti.”

- E su questo non si sbagliava. Magari non addirittura il “paradiso che ognuno ama, tante stelle nel cielo e nel mare” come nelle vecchie canzoni da cartolina, ma ancora un bel posticino tranquillo. Ci vuol poco a far scattare la diaspora dei turisti con l’agguerrita concorrenza di tante offerte alternative sempre ad offrire sconti e novità, mentre da noi da questo punto di vista...Beh, lasciamo stare. In ogni modo è vero, se cominciano a mancare la basi, e la storica sicurezza era una di queste, possono essere dolori. ‐ 21 ‐


Di sigarette ne aveva fumate tre, ma nessun cliente l’aveva guardato di traverso. Uscì. Aspirò il tenue profumo dei primi fiori violetto chiaro sugli alberi di fronte che si aprivano alla prima tiepida luce primaverile e poi girò deciso verso destra per evitare quello prepotente delle brioches appena sfornate dalla vicina panetteria. Era goloso di dolci, che ci poteva fare? Più tardi ne avrebbe portato qualcuno a Stefania, a letto, per il risveglio più bello del mondo. E anche lui aveva proprio bisogno di qualche coccola. Ma era ancora presto, sarebbe intanto andato da Damiano a scambiare qualche idea. Di sicuro stava contando le ore da quando gli aveva promesso di vederlo. - Alla buonora. - Disse appena lo vide. - E’ questo il modo di trascurare gli amici? - Ma se ci siamo visti ieri sera. - replicò Enzo facendo il finto offeso. - E prima di ieri sera, che poi non abbiamo quasi scambiato una parola, tu sempre in giro a parlare con i Signori, da quanto non mi venivi a trovare, eh? – - Dai non farla tanto lunga su, come va? Erano nel cortile dietro al negozietto che si apriva su una minuscola darsena, e Damiano stava armeggiando con delle piastre metalliche per la protezione catodica di un’elica. Si sollevò sulla fronte gli occhiali di protezione, si sfilò i guanti di lavoro e: - Bene, bene. Guarda che bel tempo e che bella brezza. Fino alla prossima luna siamo a posto.- Respirò profondamente fino ai calcagni. - Caffè corretto brandy? – - E come no? - commentò Enzo, il fegato grugnì: la mattinata era ancora lunga. - E il corpo era lì, come ti ho spiegato. - Enzo concluse il racconto omettendo qualche dettaglio. - Ma percè uno va a farsi dare un tiro in fegato alla Palude della Carogna? - Si chiese Damiano. - Ci sono tanti posti migliori. Non so, sicuro un forestiero, e come ci è arrivato? Solo che in macchina. Hanno trovato impronte di battistrada per risalire al modello? - Non te lo dovrei dire, ma no, non le hanno trovate. - ‘Sti deficenti, sicuro che ci devono essere, chissà come hanno cercato! - Ed il poverino si è tirato su in mezzo all’erba per nascondersi, chissà pensava anche di farcela, ma deve aver avuto pochi minuti per spostarsi prima che se ne accorgessero, va beh, era notte, scuro. Stringendosi le mani sulla pancia, poveraccio. Damiano sospirò. - Non ha mica scritto qualcosa con il sangue no? Scusa eh, tanto per dire. Troppo comodo e succede solo nei gialli di ultimissimo ordine. - No, purtroppo no. – Rispose Enzo. - Era magro, medio? - Ma, direi quasi un metro e ottanta, sugli 80-85 chili. - Robusto. - Sentenziò deciso Damiano. - Per una ferita così non si muore subito, ci vuole da una mezz’ora ad un ora e fa un male cane. Se fossi stato nei suoi panni, dopo che se ne sarebbero andati, sarei tornato sulla strada. Perchè poi avrei dovuto andare più in su sull’argine? Sempre che se ne siano andati subito, ma credo di si, spaventati, se no cercando bene lo avrebbero beccato e finito. -

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Continuò: - Fossi stato io, con le forze che mi abbandonavano, sapendo di morire, avrei fatto comunque uno sforzo per indicare l’assassino, non so cosa, ma l’avrei fatto. - La “K”. - pensò Enzo. - Ma in mezz’ora forse aveva fatto tempo a lasciare un altro segno. E se si, quale? Ed ad alta voce: - Bravo Damiano, concordo con te completamente. Ma adesso devo proprio andare, devo svegliare Stefania, è già tardi. E l’austriaco si è rivisto? - Abbiamo appuntamento di nuovo in piazzetta ‘sta sera, se non mi dà la commessa almeno pagherà un altro giro di bicchieri. Ci vediamo. Se ne andò guidato dal profumo delle brioches. Aveva proprio bisogno di coccole.

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- VII -

Lo aveva visto: si nascondeva in mezzo alla folla del viale alberato tenendosi indietro di qualche decina di metri, lo stava inseguendo. Aveva sentito un prurito alla nuca, si era voltato all’improvviso e l’aveva intravisto mentre dissimulava. Era alto, dai movimenti decisi, vestito con colori neutri; la faccia non l’aveva vista bene, ma era scura, un lampo giallo degli occhi, la bocca piccola, quasi senza labbra. Non l’aveva mai visto prima. Salutò brusco Stefania che gli disse: - Che fai, dove vai? – e scattò di corsa verso lo spiazzo della fontana, entrò nel bar di Franco, - Ciao - e uscì dal retro. Corse per la strada parallela al viale fino all’ufficio postale. Deviò per il porto ed entrò nelle viuzze del centro storico, in quel labirinto si sentiva più protetto ed in ogni slargo c’era un amico, un bar, un negozio. Corse dal primo, chiuso; ma che ore sono? Le sette. Non può essere. L’esposizione d’arte di Gianni, non chiude mai fino a molto tardi, si spostò al fondo della piazza, chiuso. Ma dove sono tutti? Fermò un passante, lo conosceva. – Dove...? – Nemmeno lo guardò, continuò diritto e scostante, era vestito di nero, di nero? D’estate? Ne fermò un’altro, uguale. All’imbocco della piazza vide spuntare la sagoma scura dello sconosciuto, era più vicino adesso ma ancora non lo distingueva bene; non lo rincorreva, stava fermo osservandolo, non aveva fretta come se la sua preda non avesse scampo. Girò a destra e si infilò verso il passaggio che solo pochi conoscevano, una stradina strettissima, meno di un metro di larghezza che collegava la piazza del secolare castagno con quella della Madonnina nera. L’avrebbe seminato. Passò sotto un’androne e davanti ad un giardinetto. Un vecchio con la pipa stava seduto fuori, era una persona gentile, gli domandò aiuto con gli occhi e l’altro lo guardò con disprezzo; svuotò la pipa e sbarrò la porta. Affannato si girò, nessuno lo seguiva, bene. Proseguì per la stradina, cosa? Il varco era murato, colpì forte con le mani l’inaspettata chiusura ed ora, dietro a pochi metri, stava lui. Terrorizzato, mise le spalle al muro e, il muro non c’era più. Si era sbagliato prima, per la fretta, una speranza. Si infilò nella calle col cuore in gola e davanti gli si parò la sagoma scura, ma come ha fatto? Si voltò rapido e ritornò verso l’albero ma non riusciva ad avanzare, ma che? Le pareti della calle si stavano stringendo e gli premevano sulle spalle. Si girò di fianco, gli mancava l’aria ed il cuore batteva a mille. Dietro, l’ombra avanzava ed ora non poteva più muoversi, guardò in alto verso la striscia di cielo, le stelle, poche e indifferenti al suo dramma. Nessuno che l’aiutasse, gridò e non uscì nessun suono, i polmoni compressi. Cercò di liberarsi strisciando, dimenandosi, si stava graffiando dappertutto sull’aspro intonaco che si chiudeva implacabilmente. Gli occhi gialli inespressivi e gelidi del leone con la criniera nera erano ad un palmo, gridò ancora e finalmente la voce uscì, disperata. Adesso qualcuno lo stava tirando per liberarlo dalla morsa dei muri. – Tira, tira, rapido. Lui sta arrivando. O mio Dio. Ha allungato la zampa, sento il fiato. Tira, più forte! Stefania gli diede un’altro forte scossone ed Enzo al fine risalì dal pozzo di terrore in cui era precipitato; si svegliò fradicio di un sudore freddo, tremante di brividi, il respiro corto. - Enzo calmati, calmati che non è niente, è solo un sogno. Mi ‐ 24 ‐


hai fatto prendere uno spavento. Ma che incubo! Mi hai svegliata che non stavi fermo e gridavi chiedendo aiuto. Stai tranquillo adesso. Si sedette al bordo del letto e mise i piedi a terra massaggiandosi le spalle e tornando lentamente in sè, il moto del petto stava rallentando. Le immagini del sogno stavano sparendo velocemente: le stelle gialle, no erano gli occhi dello sconosciuto che erano gialli, o era un leone? il muro che si chiudeva inesorabilmente, ne sentiva ancora la pressione. Questa storia stava diventando pericolosa. La sua razionalità e serenità di fondo erano minate ed il suo subconscio glielo stava comunicando. Non era più solo un esercizio di intelligenza, logica applicata, adesso ne andava anche dell’incolumità sua e, guardò Stefania che andava a mettere su il caffè, dei suoi famigliari. Doveva andare al più presto dal maresciallo e dirgli quello che sapeva, a scapito di essere deriso in malo modo. Ma era combattuto, avrebbe voluto ancora trovare quale riscontro più solido alla sua teoria ma capiva che non c’era più molto tempo, il suo istinto non l’aveva mai ingannato. Chiamò Giorgio ma il suo telefonino non dava segnale. – Sarà in servizio. Lasciò passare una mezz’ora e richiamò: - Possiamo vederci? Avrei qualcos’altro da dirti. - Anch’io. - Replicò l’altro. - E si accordarono per il bar sul porto. Come lo vide, buio in viso, senza il piglio divertito del solito, Enzo si chiese perchè aveva voluto incontrarlo. Ora non era più sicuro di niente, che poteva dirgli? Ma Giorgio lo aiutò esordendo: - Siamo tornati sul luogo del delitto. - E come mai? Chiese Enzo. - Mah, così, la scientifica ha chiesto di fare altri prelievi, esami. - E? - Chiese Enzo. - E, e. - Il maresciallo fissò Enzo con una faccia brutta, sbuffò: - Abbiamo trovato le impronte di pneumatici, abbastanza lontane dal corpo, per quello non le abbiamo trovate prima, credevamo dovessero essere più vicine, per forza. Ma non commentare e non dire niente. Che già è bastata la sgridata del tenente, non ti azzardare. - Ma no, dai. - Disse Enzo. - Cosa vuoi che sia, non era proprio logico, concordo con te. - E stette in silenzio. - Non abbiamo ancora identificato il veicolo, ma per la tipologia riscontrata ed altri dati potrebbe essere un’Audi, o un Mercedes. - O una Pegeout? - Enzo si ricordò del veicolo che aveva visto. - Si, può essere. Perchè me lo chiedi? Tu non t’intendi di macchine, non te ne sei mai comprata una. – Lo guardò sospettoso. - Mi è venuto in mente così, tutto qua. - Vabbuò, andiamo avanti. Che mi dovevi dire tu invece? Enzo cercò di dire una parte dello schema che aveva elaborato, senza indicare troppo e, sperò, con qualche senso: - Avete considerato fra i moventi il traffico di reperti, l’archeomafia? ‐ 25 ‐


- Senti questa, e da dove ti è venuta fuori? Ma dai, quelli sono organizzati, è una cosa seria. E qui in regione non ci sono mai state segnalazioni di un’attività criminale di quel livello. Ma non avevi detto anche tu che deve trattarsi di piccoli deliquenti, di balordi? - Si. - confermò Enzo. - Non di professionisti, e lo penso ancora. Proprio per questo, vedi, dato che in regione non ci sono e per non scoprirsi, la mala potrebbe aver dato l’incarico a qualcuno del posto, a qualcuno della deliquenza comune. – - Il diritto ed il rovescio, tutto ed il contrario di tutto. Non so, non è del tutto impossibile, ma non ci credo molto. E quale sarebbe stato il reperto degno di attenzione dell’archeomafia? Siamo distanti dalle tombe etrusche da queste parti direi. - Ma non ci sono solo quelle in Italia poi, ad esempio, per furti di opere preziose non è la Toscana la prima in classifica, ma il Piemonte. E lì davanti, in laguna ci sono i resti di una villa romana. - E bravo, bravo, ti sei anche documentato, Ma vuoi diventare carabiniere pure tu? Scherzò Giorgio. - Non prendermi in giro, cerco di aiutare e poi non riesco a pensare ad altro, questa storia mi perseguita. - Ti capisco. - disse Giorgio sincero e con gentilezza. Enzo continuò: - Non lo so di cosa possa trattarsi, ma per arrivare ad un assassinio dev’essere qualcosa di valore, o dovevano credere che di ciò si trattasse. - E dato che l’acqua non è abbastanza profonda per i bronzi di Riace, se c’è questo qualcosa dev’essere sottoterra. Vorresti che andassimo a perlustrare la zona per trovare tracce di scavi, ora che ci hai fatto trovare le tracce dei pneumatici? - No, meglio di no. - Disse Enzo. - Se questa teoria fosse vera, sono ancora in giro. Sanno che non sappiamo di cosa si tratta e per adesso si sentono al sicuro. Non vogliono ancora mollare la presa. Se tornate lì per scavare prendono il volo e non li beccate più. - Leggi troppi libri Enzo. Anche questo sarebbe un bel romanzo. – Rispose il maresciallo, ma la voce non era lieve come le parole. - Non credo tu abbia altro da dirmi. - Continuò guardandolo. - E mi sembri anche stanco. - Perchè non ti fai una bella dormita che ti passano ‘sti cattivi pensieri eh? - Già, un’altra dormita come quella di prima. - Pensò Enzo. Si alzò: - Grazie per starmi a sentire Giorgio. A presto. - E se ne andò.

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- VIII -

Più tardi chiamò Paolino: - Ciao, come sei messo? Sempre valida la tua offerta per il giro in barca? - Chiariamo subito le cose. - Replicò. - La mia non è una barca, ma uno spiffero superleggero, entrobordo diesel da ottanta cavalli, fuoribordo di riserva, sonar, GPS, verricello elettrico, attrezzato per immersioni profonde. Chiamiamo le cose come stanno. - Sarei onorato di approffitare della tua offerta e sfruttare la tua superboat per un escursione marina unica con la mia consorte. - Si adeguò Enzo. - Suona meglio, anche se non ho capito proprio tutto. Felice se venisse anche Stefania, è lei quella roba lì, la consorte, no? Enzo sorrise, L’altro continuò: - Per le tre è tutto pronto, Va bene? E dove andiamo? - Perfetto. Un giretto, te le dico dopo dove. - Rispose Enzo. - Comunque non troppo lontano. - Signora buon giorno. Ma come le va. E’ un piacere vedere questa bellezza nella mia modesta barca. - Paolino salutò Stefania con enfatica deferenza. - La barca ci sta adesso. - Pensò Enzo. - Ecco, mi dia la mano. Dai che la tengo io non si preoccupi. - Stefania, poco confidente con il mare e timorosa: - Ma è stabile con le onde? - Ma si, è il più stabile cabinato dell’Adriatico, coraggio, andiamo. - E l’accompagnò a bordo, lei tremava ancora un po’, poi le sarebbe passato. - Bene Enzo, per che direzione? - Passiamo sotto il ponte ed andiamo a ovest. - Agli ordini, armatore. Si tenga signora, si parte. Dopo qualche minuto arrivarono al limite del canale principale e Paolino: - Su per la laguna o fuori in mare? - Ancora avanti al largo. - Vuoi andare alla trattoria? Ma l’ora di pranzo e gìa passata da un po’? - Prosegui dai, poi vediamo. Dopo un po’ all’ultimo faro: - E adesso, ancora avanti? Non ti capisco. - Gira e torna indietro - Indietro? - Paolino sbuffò: - Ma che giro è questo, e adesso? - Su verso il santuario - Senti, io con i preti non è che ci vada molto d’accordo, brave persone ma mi basta vederli una volta all’anno. - Dai, abbi fede, dritto così, e poi gira su per il canale delle anime. - Bene, ora vai verso costa. - Ma per vedere cosa? E poi non so se ci arriviamo, la barca pesca più di mezzo metro. - Ora Paolino si stava quasi per arrabbiare, pensava ad una bella gita e non facevano che girovagare senza senso. - Ci arriviamo, ci arriviamo, ho visto il diagramma delle maree. -

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E finalmente ormeggiarono, discosto dalla riva di qualche decina di metri, a terra bisognava arrivarci a piedi, fra pietre, fango ed alghe, qualche granchiolino agguerrito tirando su in guardia le chele. - Ma dove mi hai portato? E poi io con quelle alghe non scendo. - Sentenziò subito Stefania. E le tremava la voce, stavolta non per le onde. - Io nemmeno. E per cosa? – Si aggregò Paolino sempre più immusonito. C’è un motivo, ve lo spiegherò un giorno. Vado da solo, non preoccupatevi. Datemi cinque, dieci minuti al massimo. Camminò prudentemente sul fondo limoso, oltrepassò la bassa scogliera e salì in cima all’argine. Se lo stavano spiando, si dovevano essere convinti che la sua destinazione non era quella. Era sicuro di averli ingannati con il cambio di rotta. Su questo si sentiva tranquillo. Pensò al motivo della visita: - Robusto, da mezz’ora ad un’ora di tempo prima di morire. - aveva detto Damiano.

Percorse lentamente la stradina scrutando il terreno attorno e, non molto discosto dal ciglio notò alfine le tracce dei pneumatici: erano a più di cento metri della posizione del morto. Si spostò e, giunto al luogo del rinvenimento, ben distinto per l’erba tagliata più bassa di quella attorno, guardò nuovamente in giro: la casa, la cascina, lo scorcio del boschetto di pini marittimi che spuntava da un lato della casa e si ricordò. Si ricordò dell’apparizione della medusa bianca merlettata di viola sulle pietre del molo romano. Stava inseguendo per divertimento, pinanndo ad un cinque metri di profondità, delle ombrine che si erano poi infilate in un buco fra i massi coperti di lunghe alghe ondeggianti; l’acqua era, caso raro d’estate, di cristallo ed in alto era apparsa quella forma aliena ondeggiante alla deriva. Non avrebbe mai dimenticato quella magia. Ed era stata anche la prima volta che si era immerso in quella zona perchè, per trovarla, era finalmente riuscito a triangolare in superficie con due rette, una data dal trampolino ed il bosco al fondo e l’altra con il moderno condominio sul mare ed il campanile che spuntava da un lato. Già, il campanile spuntava come il boschetto. I’uomo era andato a morire in un punto preciso per indicargli una retta con lo spigolo della casa. Lungo quella retta c’era qualcosa di importante, qualcosa che aveva a che fare con Kurm, con i Celti, forse con il loro tesoro. Adesso poteva andare dai carabinieri. Non si fermò di più e tornò velocemente alla barca, adesso doveva recuperare con gli altri, ormai dovevano essere proprio di cattivo umore e non era giusto rovinargli la giornata. Saltò a bordo: - Se tagliamo dietro l’isola dei Suri ci possiamo imboccare su per il canal piccolo? - Si, sicuro. – Rispose Paolino, sopreso per il cambio di tono. - Ma vorresti andare dal Generale? - Certo, salame fresco, due pezzi di Asiago e speriamo sia in vena di prepararci un piatto di tagliatelle al fagiano, o all’oca, o tutti e due, che ne dite? – - Adesso si comincia a ragionare. Avanti tutta. – Paolino ritornò subito di buonumore; mise in moto, manovrò velocemente, ritirò l’ancorino e si immise nella corrente. Stefania invece era ancora seria e guardava preoccupata l’argine. ‐ 28 ‐


Enzo le si avvicinò e l’abbracciò dolcemente. Lei sciolse un po’ la rigidità e gli si accomodò contro. Venere bassa stava dando il suo veloce saluto serale ed il santuario scorreva in lontananza. - Guarda che pace. Ci sono molte più cose belle che brutte nella vita, no? - Le disse. E poi più forte verso Paolino: - Rallenta mentre passiamo davanti alla chiesa, che io e Stefania pregheremo per la tua animaccia. - Ma va a quel paese, su. -

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- IX -

Lo svegliò lo squillo del telefono, lo volevano in caserma. Un agente lo accompagnò all’ufficio di Giorgio che lo fece accomodare. - Eccoti qua, hai scritto un altro capitolo del romanzo? Qui invece noi abbiamo cose più serie. - Fece una pausa ad effetto per impressionarlo e: - Lo abbiamo identificato! Grazie alle foto segnaletiche che abbiamo inviato in tutte le caserme della regione. Alla fine un mezzo conoscente se ne è ricordato.- Il profilo che avevi intuito era giusto: sessantatrè anni, pensionato, viveva da solo, a Tarmass, un paesino della Carnia; pochi parenti, taciturno, non partecipava granchè alla società locale, giornale, non molto di più che buongiorno e buonasera, tesserato in biblioteca, nessun aspetto particolare, eccetto uno: era un grande appassionato... - Di archeologia. - lo gelò Enzo. - Questo non me l’avevi detto. - rispose l’altro balbettando confuso. - Ed appassionato in particolare della civiltà celtica. - continuò implacabile Enzo. - E in qualche scritto che aveva sulla scrivania, da qualche parte in casa, avete trovato il nome di Kurm. - Archeomafia! Mammasantissima! Aspetta qui, non ti muovere, adesso chiamo subito il tenente. - Quasi gridò il maresciallo alzandosi di scatto dalla sedia. Venne anche il capitano, lo lasciarono parlare con poche interruzioni. Da qualche occhiata d’intelligenza che si scambiarono, ad Enzo sembrò che quanto stava dicendo confermasse delle ipotesi di lavoro investigativo. - Grazie signor Costa. – Disse alla fine il capitano. Ed il tenente: - La informo, e le ribadisco, che non può divulgare assolutamente nulla di quando detto o sentito qui, nè parlarne con chicchessia, neanche con sua madre. Si tratta di un’inchiesta estremamente delicata. - E lanciò al maresciallo uno sguardo assassino. Ma Giorgio stava già guardando interessato la finestra. - Se ne torni a casa e non si intrometta ancora altrimenti dovremo prendere provvedimenti: non si scherza più. L’abbiamo vista tornare in barca all’argine con sua moglie, ma cosa crede che sia, un gioco? - Oltre che dai criminali sono sorvegliato anche dalle forze dell’ordine – Pensò Enzo. Ed era abbastanza seccato per l’atteggiamento altezzoso e scortese del tenente. Credeva di avergli dato delle dritte non da poco, stava rischiando e lo trattava così? Non aveva nessuna voglia di dire qualche parola proforma e quanto meno di scusarsi. Lo ignorò e si rivolse direttamente al capitano:- Avrei altro da dire, non ho finito. - Va bene, ma sia conciso, per favore. Adesso dobbiamo attivarci. - E’ proprio a questo riguardo. - rispose Enzo. Li convinse. Enzo parcheggiò, percorse per un po’ lungo la stradina perlustrando il terreno, poi imboccò il viottolo di accesso e girò attorno alla casa abbandonata. Non alzò gli occhi alle finestre buie, semmai un cecchino vi fosse appostato, in questo momento ‐ 30 ‐


la casa gli faceva paura. Ciondolò verso il boschetto guardandosi ogni tanto indietro, come per controllare qualcosa o per confermare un pensiero. Poi ritornò alla vettura e ripartì. A notte fonda era di nuovo là, dal bagagliaio scaricò una potente torcia elettrica e un badile, si era vestito di scuro. Si incamminò deciso verso la casa in direzione dei pini marittimi. Dopo pochi minuti arrivò ad alta velocità una grossa macchina, i freni stridettero e due uomini saltarono fuori e presero subito a rincorrerlo, non avevano pistole in mano. Enzo scattò a destra ricordandosi del fosso che aveva visto nel pomeriggio e preparandosi a saltarlo, sperava li ritardasse, doveva guadagnare solo qualche minuto per non rischiare. - Fermo, siamo armati. E’ inutile scappare. – Gli urlò uno da dietro. Cambiò ancora direzione, di nuovo verso il boschetto. Li sentì imprecare alle prese con il fosso. Corse ancora, fasci bianchi gli balenavano davanti. Si voltò, accidenti erano parecchio veloci, inciampò, cadde a terra, ora gli erano quasi addosso. Altri freni stridettero ed i fari della polizia illuminarono la scena della caccia a giorno, gli altoparlanti rimbombarono, un elicottero arrivò minaccioso dal nulla. - Ehi, hanno fatto le cose in grande. - pensò Enzo che non si era mosso da terra come concordato con il capitano.

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- X-

Questa volta non dovette sfogliare il giornale fino alla cronaca locale, la notizia era in prima pagina: “Catturati pericolosi deliquenti nella Bassa. Una brillante operazione delle forze dell’ordine ieri notte, con un ingente spiegamento di mezzi, ha condotto alla cattura dei due criminali ritenuti responsabili dell’uccisione del cosidetto uomo nell’erba, di cui nel frattempo è stata accertata l’identità; un caso che ha fatto grande scalpore recentemente nella Bassa. Il paese esce dallo sconcerto suscitato dal delitto. E’ anche stato ormai riscontrato che l’ambiente in cui è maturato ed i personaggi coinvolti non hanno alcuna relazione con la località marina. Si respira sollievo anche per lo scongiurato pericolo di impatto sulla stagione turistica per il danno d’immagine che ne sarebbe potuto conseguire. Approfondimenti a pag. 23.”

Enzo lesse tutto fino in fondo, stavolta senza curarsi del numero delle sigarette e soddisfatto verificò che il capitano aveva mantenuto la promessa: non era stato nominato, neppure un accenno ad una collaborazione esterna nella vicenda. Passarono alcune settimane e tutto, o quasi, era stato dimenticato; alla fine non era stato trovato nessun tesoro nell’alto dei pini marittimi, neanche una monetina. Probabilmente l’uomo si era così convinto della sua ricerca che ne aveva purtroppo convinto anche quelli della mala. - Peccato, - pensò, - però sono sicuro che i Celti lì ci sono vissuti, magari a cercare meglio, chissà? Chiuse gli occhi un minuto e ritornò da bambino quando cercava appassionatamente i suoi tesori in laguna. Ricordava ancora qualcuno dei frammenti strappati dal riposo millenario ed ognuno con la sua storia: un manico intero marrone rossiccio lavorato con una scanalatura al centro trovato nel fango nero vicino all’isola del Martin, un grande frammento convesso rigato di colore grigio recuperato nella fredda aria della Tramontana dalla spiaggia, un quarto di un piatto con una microscopica traccia di decorazione floreale di tralci neri e fiori celesti su fondo bianco trovato in una gita domenicale di tarda primavera sui dossi di S.Luca. Immaginò di tenerne uno fra le dita e si riaccesero i ricordi dorati dell’infanzia. E di suo padre, che aveva scarpinato per le campagne fino a trovare una moneta romana di bronzo che aveva fatto inserire in un braccialetto per la mamma. - E poi. - Gli aveva chiesto mille volte da bambino. - Perchè non ne hai cercate altre? Lui rispondeva: - Alla mamma ne bastava una. Riaprì gli occhi e sorrise, avrebbe dovuto anche lui mettersi a cercarne una per Stefania.

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