La Rivista Futurista

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UniversitĂ degli Studi di Venezia FacoltĂ di Design e Arti Corso di laurea magistrale in comunicazioni visive e multimediali

Laboratorio di design della comunicazione 1 a.a. 2011/2012 docenti Leonardo Sonnoli, Gabriele Toneguzzi, Thomas Bisiani ricerca antologica a cura di Rita Petrilli, Graziana Saccente caratteri tipografici Universe Std, Caslon Std stampa e legatura Al Canal - Venezia


Indice

Prefazione

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Sezione uno

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RIVOLUZIONE TIPOGRAFICA

. Scrivere futurista . Tavole parolibere

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MANIFESTI

. Il manifesto del futurismo . L’arte di fare manifesti . Manifesti celebri: immagini

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STORIA DELLA GRAFICA EDITORIALE FUTURISTA

. Il ruolo delle riviste . La grafica dei periodici futuristi . Le riviste e la grafica razionalista . Gli anni eroici: 1909-1915 . Guerra e dopoguerra . Anni Venti . Movimeno e giornali a Gorizia . Anni Trenta . Epilogo

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Sezione due

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RIVISTE FUTURISTE

. Elenco dei giornali futuristi . Poesia . Lacerba . La Balza futurista . Vela Latina . L’Italia Futurista . Noi . Roma futurista . Dinamo . L’ Aurora . 25 . Futurismo . Dinamo futurista . Sant’Elia . Stile futurista . Artecrazia

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TESTATE FUTURISTE

. Raccolta delle principali testate: immagini

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

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Prefazione Questa antologia è una raccolta di materiali, testi e immagini, sul futurismo, unico movimento d’avanguardia storica in Italia. I futuristi si occuparono di ogni forma di espressione: pittura, scultura, letteratura, musica, architettura, teatro. La ricerca antologica, però, si concentra sulla rivoluzione tipografica attuata dal movimento, e quindi sulla produzione editoriale, in particolar modo riviste e manifesti teorici contenuti all’interno di esse. Attraverso lo studio di questi documenti, considerati oggetti di culto e spesso di non facile reperibilità, si è cercato di ricostruire le tappe più importanti dell’avventura futurista, che va dal momento in cui il movimento decolla (1909) fino alla morte del fondatore Marinetti (1944). Oltre che sul contenuto delle pubblicazioni, ci si è soffermati sull’aspetto grafico e tipografico, in quanto l’elemento visivo costituisce parte integrante della poetica futurista. Il libro si compone, dunque, di due parti principali. La prima è una raccolta di testi e informazioni inerenti la storia della grafica editoriale futurista, mentre la seconda è una sezione iconografica delle principali testate.



Sezione uno Barattin, Dino; De Grassi, Marino; Scudiero, Maurizio. 1992. Parole in libertà: libri e riviste del futurismo nelle Tre Venezie. Monfalcone : Edizioni della Laguna. Baroni, Giorgio. 2005. Il Futurismo sulla rampa di lancio. «Poesia», 1905-2005, Atti del convegno internazionale. Milano: Università Cattolica del Sacro Cuore. Bonito Oliva, Achille. 2009. Futurismo Manifesto 100x100, 100 anni per 100 manifesti. Electa. Bove, Giovanni. 2009. Scrivere futurista: la rivoluzione tipografica tra scrittura e immagine. Roma : Nuova cultura. Fanelli, Giovanni. 1988. Il futurismo e la grafica. Milano: Edizioni di Comunità. Lista, Giovanni. 1984. Le livre futuriste. Modena: Panini. Salaris, Claudia. 1980. Marinetti editore. Bologna: il Mulino. Salaris, Claudia. 1985. Storia del futurismo: libri, giornali, manifesti. Roma: Editori riuniti. Salaris, Claudia. 1992. Artecrazia: L’avanguardia futurista negli anni del fascismo. Firenze: La Nuova Italia. Salaris, Claudia. 2001. La rivoluzione tipografica. Introduzione di Claudia Salaris. Milano, Edizioni: Sylvestre Bonnard.


RIVOLUZIONE TIPOGRAFICA


Scrivere futurista Io inizio una rivoluzione tipografica diretta contro la bestiale e nauseante concezione del libro di versi passatista e dannunziana, la carta a mano seicentesca, fregiata di galee, minerve e apolli, di iniziali rosse a ghirigori, ortaggi, mitologici nastri da messale, epigrafi e numeri romani. Il libro deve essere l’espressione futurista del nostro pensiero futurista. Non solo. La mia rivoluzione è diretta contro la così detta armonia tipografica della pagina, che è contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa. Noi useremo perciò in una medesima pagina, tre o quattro colori diversi d ‘inchiostro, e anche 20 caratteri tipografici diversi, se occorrerà. Per esempio, corsivo per una serie di sensazioni simili e veloci, grassetto tondo per le onomatopee violente. Con questa rivoluzione tipografica io mi propongo di raddoppiare la forza espressiva delle parole.

Così scrive F. T. Marinetti in Distruzione della sintassi. Immaginazione senza fili. Parole in libertà (11 maggio 1913). Con una simile ‘rivoluzione’ la tipografia viene utilizzata in funzione lirico-espressiva e, emancipatasi dal ruolo di ancella della scrittura, svolge un compito essenziale nella costruzione di un’opera letteraria. Salaris. La rivoluzione tipografica. 5

F. T. Marinetti, L’immaginazione senza fili e le parole in libertà, pag. 34

[...] Per il loro specifico carattere grafico, i testi futuristi derivati dalla pratica della cosiddetta rivolu-

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F. T. Marinetti, Lo splendore geometrico e la sensibilità meccanica, in “Lacerba”, pag. 167

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zione tipografica avviata da alcuni scritti di Filippo Tommaso Marinetti, il leader del movimento, possono essere considerati come una sintesi esemplare di due modalità espressive radicalmente diverse: la scrittura e l’immagine. [...] La riflessione sulla letteratura e sulle forme espressive che essa andava assumendo in quel periodo maturò attraverso tre scritti firmati da Marinetti e orientati a trasformare radicalmente il sistema espressivo alla base del fare letterario: la scrittura. Questi scritti, riconosciuti per il loro carattere non solo teorico ma anche tecnico, sono indicati come pilastri del paroliberismo futurista: Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), Distruzione della sintassi-Immaginazione senza fili-Parole in libertà (1913), Lo Splendore geometrico e la sensibilità meccanica (1914). Dopo la diffusione di questi manifesti, Marinetti continuò a teorizzare e praticare la nuova letteratura futurista. [...] L’esposizione di alcuni punti teorici di questi scritti risultano così utile per comprendere il nesso tra la tecnica tipografica prevista da Marinetti e il risultato in termini di rappresentazione con un linguaggiodell’attività artistico-letteraria di coloro che scelsero di “scrivere futurista”. Nel Manifesto tecnico della letteratura futurista si legge: [...] bisogna fondere direttamente l’oggetto con l’immagine che esso evoca, dando l’immagine in scorcio mediante una sola parola essenziale». Sebbene la terminologia marinettiana non si sia mai chiaramente soffermata sulla definizione del concetto di immagine, è opportuno rilevare che il trattamento previsto per il sistema della scrittura finì per generare aspetti plastico-visibili fortemente ancorati alla tecnica di realizzazione del testo.


[...] nella prima fase del Manifesto tecnico (1912), si esplicita che principi e regole di composizione del testo saranno il bersaglio prescelto dagli scrittori futuristi: si tratta allora, di riconoscere «[...] l’inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero [...]» per cui «Bisogna distruggere la sintassi disponendo dei sostantivi a caso, come nascono». Di conseguenza, diversi punti programmatici di questo manifesto introducono gradualmente il trattamento da riservare a sostantivi, verdi, aggettivi, avverbi e congiunzioni. Inoltre, il potere evocativo e di “stupefazione” che può essere veicolato attraverso un linguaggio letterario maturato da particolari scelte stilistiche, è presentato con tutta la sua carica novatrice: il manifesto, infatti, si chiude introducendo le parole in libertà derivate dall’assenza di punteggiatura e quindi dalla «[...] continuità balia di uno stile vivo che si crea da sé, senza le soste assurde delle virgole e dei punti». [...] Nell’impianto teorico-letterario tracciato da Marinetti le parole in libertà possono essere associate non solo al «[...] bisogno furioso di liberare le parole» ma anche alla suggestiva possibilità di non pensare le composizioni liriche attraverso le scelte stilistiche in senso stretto e la carica linguistico-eversiva implicitamente vincolata dalla volontà di un rinnovamento radicale. Questo aspetto e emergerà con ulteriore enfasi in altri scritti tecnici, a partire dalle Risposte alle obiezioni pubblicate pochi mesi dopo il Manifesto tecnico del 1912. Ecco uno dei passaggi più importanti: Le parole liberate dalla punteggiatura irradiando le une sulle altre, incroceranno i loro diversi magnetismi, secondo il dinamismo ininterrotto del pensiero. Uno spazio bianco, più o meno lungo,

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indicherà al lettore i polsi ai sogni più o meno lunghi dell’intuizione. Le lettere maiuscole indicheranno al lettore i sostantivi che sintetizzano un’analogia dominatrice.

E ancora dallo stesso scritto: La distruzione del periodo tradizionale [...] e della punteggiatura determineranno necessariamente il fallimento della troppo famosa armonia dello stile, così che il poeta futurista potrà finalmente utilizzare tutte le onomatopee, anche le più cacofoniche, che riproducono gli innumerevoli rumori della materia in movimento.

Le Risposte marinettiane amplificano non solo il senso di libertà lirico-compositiva che deriva dalla distruzione della sintassi ma predispongono anche alla possibilità di immaginare un tipo di relazione fra l’intuizione lo spazio bianco della pagina-o meglio della superficie-su cui comporre (o forse “disporre”) le parti del discorso. Per la prima di queste ultime due citazioni, in effetti, si potrebbe riconoscere un’origine remota in un punto del Manifesto del 1912: «siccome ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto dell’intelligenza cauta e guardinga bisogna orchestrare le immagini disponendole secondo un maximum di disordine». Tuttavia, sebbene quest’ultimo sia ormai convalidato come uno dei capisaldi della teoria parlolibera, il riferimento alla spazialità non risulta tanto evidente quanto nel passato estratto dalle Risposte alle obiezioni. Continuando, nel secondo scritto tecnico dal titolo ancora più esplicito Distruzione della sintassi. Immaginazione senza fili. Parole in libertà (1913) si ritrovano due sezioni destinate a sancire definitivamente il

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passaggio dalla distruzione dell’armonia dello stile a quella dell’armonia tipografica della pagina. Nella prima, dal titolo Rivoluzione tipografica, compaiono alcune indicazioni per l’uso di caratteri tipografici destinati a «[...] raddoppiare la forza espressiva delle parole». Nell’altra, sull’ortografia libera espressiva lo stesso passaggio è reso in maniera ancora più incisiva inquadrandolo fin dall’inizio nella seguente considerazione: «Da necessità storica dell’ortografia libera espressiva è dimostrata dalle successive rivoluzioni che hanno sempre più liberato dai ceppi e dalle regole la potenza lirica della razza umana». Infine l’ultimo punto della sezione sull’ortografia si dimostra molto significativo. Oggi non vogliamo più che l’ebrietà lirica disponga sintatticamente le parole prima di lanciarle fuori coi fiati da noi inventati, ed abbiamo le parole in libertà. Inoltre la nostra ebrietà lirica deve liberamente deformare, riplasmare le parole, tagliandole, allungandone, rinforzandone il centro o l’estremità, aumentando o diminuendo il numero delle vocali delle consonanti. Avremo così la nuova ortografia che io chiamo libera espressiva. Questa di deformazione istintiva delle parole corrisponde alla nostra tendenza naturale verso l’onomatopea. Poco importa se la parola deformata, diventa equivoca.

[...] Nell’affinare ulteriormente l’attacco alla sintassi, nel terzo manifesto tecnico Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica (1914) Marinetti introduce un nuovo fondamentale concetto per valorizzare la pratica e gli effetti delle parole in libertà: si tratta della “multiforme prospettiva emozionale” destinata a distruggere quella prospettiva scientifica e fotografica ancora contenuta nel periodo sintattico.

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Soprattutto, questo manifesto include fondamentali osservazioni che stimolano il mutamento tecnico-formale che “lascerà slittare” agli scrittori futuristi verso la realizzazione delle tavole parolibere. In particolare: Con le parole in libertà, noi formiamo talvolta delle tavole sinottiche di valori lirici, che si permettono di seguire leggendo contemporaneamente molte correnti di sensazioni incrociate o parallele. Queste parole si noti che non devono essere uno scopo, ma un mezzo per aumentare la forza espressiva del lirismo. [...] il parolibero Cangiullo in Fumatori IIa, fu felicissimo nel dare questa analogia disegnata [...] Le parole in libertà [...] si trasformano naturalmente in auto-illustrazioni, mediante l’ortografia e tipografia libere espressive, Le tavole sinottiche di valori lirici è le analogie disegnate. [...] Le tavole sinottiche di valori sono inoltre la base della critica delle parole in libertà.

La situazione introduce dunque l’idea che gli scrittori futuristi possono realizzare, in qualche modo, forma di rappresentazioni che permettono di leggere, seguire, carpire contemporaneamente “sensazioni incrociate”. Ancora, dallo stesso documento: L’ortografia e tipografia libere e espressive servono inoltre ad esprimere la mimica facciale e la gesticolazione e del narratore. Così le parole in libertà giungono ad utilizzare (rendendola completamente) quella parte di esuberanza comunicativa e di generalità epidermica che è una delle caratteristiche delle razze meridionali. Quest’energia d’accento, di voce e di chimica che finora si rivela soltanto in tenori commoventi e in conversatori brillanti, trova la sua espressione naturale nelle sproporzioni dei caratteri tipografici che riproducono le smorfie del viso e la forza scultorea e cesellante dei gesti.

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L’importanza che può assumere la sproporzione dei caratteri tipografici, dunque, è testimoniata anche nel terzo scritto tecnico. In effetti, sulla genesi delle tavole parolibere ci sono pochi studi. Relativamente all’approccio tracciato in questo contributo, è interessante riportare alcune dichiarazioni di Francesco Cangiullo, uno dei massimi esponenti del movimento futurista: La madre delle tavole parolibere- e del calligrafa (avanti lettera) fu La mia firma-Panorama che adottai da che avevo 15 anni. Nel 1912 [...] questa mia firma era nota [...], è chiaro, a chiunque io scrivevo: fra i più entusiasti Marinetti e Boccioni, in Italia, Apollinaire e Cocteau a Parigi. Da questa firma [...] cominciai a scherzare con l’alfabeto e pensare che con le lettere sapientemente disposte si possono fare, comporre, paesaggi e figure fantastici. [...] L’appellativo di tavole parolibere, per estensione, dalle sue parole in libertà, glielo azzeccò Marinetti. Come si vede, il nome... non è azzeccato soprattutto poiché è per comporre queste tavole bisogna saper disegnare, (Boccioni scoprì l’altarino), altrimenti si corre il rischio di fare... Le tavole parolibere. Le mie (non tengo affatto a menar vanto) dovrebbero chiamarsi tavole cangiulliane.

[...] Il manifesto La Musica Futurista scritto da Pratella nel 1911 mostra chiaramente il valore espressivo già accordato al verso libero, associandolo alla possibilità di rendere con efficacia le parole umane: L’ombra polifonica della poesia umana trova nel verso libero tutti i ritmi, tutti gli accenti e tutti i modi per potersi esuberantemente esprimere, come in un’ affascinante sinfonia di parole. [...] L’uomo e la moltitudine degli uomini sulla scena non debbono più imitare unicamente il comune parlare, ma debbono cantare,

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come quando noi, inconsci del luogo e dell’ora, presi da un’ultima volontà di espansione e di dominio, prorompiamo istintivamente nell’essenziale ed affascinante linguaggio umano. Tanto naturale, spontaneo, senza la misura dei ritmi o degli intervalli, artificiosa limitazione dell’espressione, che ci fa qualche volta rimpiangere l’efficacia della parola.

In un articolo di Luigi Russolo, pubblicato nel 1916 e intitolato Rumori del linguaggio (le consonanti), le osservazioni sulle possibilità fonico-espressive che potrebbero realizzarsi attraverso scelte stilistiche e formali si spingono fino a riflettere sul valore comunicativo delle consonanti delle vocali: «[...] nelle parole in libertà futuriste, la consonante che rappresenta il rumore è finalmente adoperata per se stessa e serve, come una musica, a moltiplicare gli elementi dell’espressione dell’emozione». È interessante aggiungere che nello stesso intervento Russolo si rifà anche ad alcuni risultati emersi dal primo congresso internazionale di fonetica sperimentale: [...]così al primo congresso internazionale di fonetica sperimentale, è stato provato anche che non solo la musica ma pure il rumore esercita un’influenza sulla voce. [...] Da ciò quindi l’influenza che esercitano i rumori naturali come le cascate d’acqua, le onde del mare, i venti, ecc. sul timbro e l’intonazione della voce di chi è esposto quest’influenza. [...] Si tratta di una tendenza involontaria e incosciente che ha il carattere di un fenomeno fisiologico di natura generale.

Prendendo spunto da queste osservazioni, Russolo

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aggiunge delle riflessioni dirette ad arricchire quanto lui stesso aveva già sostenuto nel suo manifesto L’arte dei Rumori del 1913. Ancora dall’articolo del 1916: [...] Ma è del rumore come elemento stesso del linguaggio, che io voglio parlare, elemento che fino ad ora non è stato considerato con l’importanza che ha. Le vocali rappresentano, nel linguaggio, il suono, mentre le consonanti rappresentano indubbiamente il rumore. [...] La consonante cioè va pronunciata, e non solo chiamata col suo nome. Sono irrinunciabili benissimo le seguenti consonanti: R,S,F,Z,V, e C; molto Meno Le B, D, G, M, N, P, Q, T, ecc.

L. Russolo, L’ Arte dei Rumori in “Dinamo”, pag. 225

La volontà di indagare i meccanismi per la “resa sonora” degli elementi del linguaggio svelerà in effetti il suo aspetto tecnico-lirico in molteplici composizioni parolibere nel primo decennio di vita dell’avanguardia futurista. Nel suo insieme, La battaglia per il rinnovo in letteratura mirava ribaltare non solo le competenze formali degli scrittori, ma anche le tecniche di produzione materiale dei contenuti e delle espressioni artistiche idonei a veicolarli. [...] In conclusione, dunque, per la storia letteraria tracciata e desiderata da Marinetti, da un lato l’accostamento del lirismo alla macchina tipografica si sarebbe presentato come un’istanza di “innovazione funzionale” all’ispirazione lirica futurista; dall’altro, le scelte tecnico-letteraria degli scrittori paroliberi avrebbero portato a sconvolgere definitivamente i modi di rappresentare e concepire la scrittura stessa. Bove. Scrivere futurista. 33-44

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Tavole parolibere Il primo stadio del paroliberismo, verificabile non solo nella storia del movimento ma anche nell’itinerario di ogni poeta futurista, fu quello dell’ortografia libera espressiva a cui appartiene anche Zang Tumb Tuum di Marinetti. [...] Una delle ripercussioni immediate dell’innovazione paroliera fu comunque una nuova tematizzazione del lavoro di composizione tipografica che già Mallarmé aveva assimilato ad un “rito”. [...] Dopo la componente sonora, era ora componente la grafica della poesia che balzava in primo piano. Ma veniva anche problematizzata l’efficacia stessa del sistema alfabetico come mezzo di espressione del vissuto sensoriale. Nel corso delle prime declamazioni parolibere Marinetti aveva già tentato di integrare effetti rumoristi, e soprattutto immagini disegnate, nel flusso delle parole in libertà. La più celebre delle sue declamazioni fu, in questo senso, quella che ebbe luogo nell’aprile 1914 a Londra. Egli stesso ricordava: «in tre punti della sala erano preparate tre lavagne alle quali mi avvicinavo alternativamente, camminando o correndo, per disegnarvi in modo effimero, concesso un’analogia». Tentando di rendere il continuum di una lettera puramente sensoriale della realtà, il paroliberismo mimava la visualizzazione cinematografica. Ma erano i segni della poesia stessa che tendevano ormai a darsi come nuovo linguaggio visivo. Le prime innovazioni tipografiche di Marinetti furono prontamente adottate da Cangiullo, Carrà, Jannelli, Binazzi, i quali pubblicarono su Lacerba diverse composizioni

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parolibere e da un grande risalto alla plasticità delle lettere tipografiche combinandole liberamente fino alla trasgressione del modello lineare. Lo spazio bianco della pagina diventata così un campo agravitazionale entro cui segni tipografici potevano ubbidire ai magnetici diversi. [...] In luglio la rivista fiorentina pubblicava una composizione di parole di forme e seguita da Severini intitolata Danza serpentina. Appena 15 giorni dopo, Marinetti scriveva a quest’ultimo, a Parigi, proponendogli di definire “disegno o dipinto parolibero” questa nuova forma d’arte. E aggiungeva: «Carrà, che ha avuto contemporaneamente, e senza saper nulla di ciò che facevi, la stessa idea di fondere il dinamismo plastico con le parole in libertà, trova eccellente questa denominazione». Il quadro di Carrà Festa patriottica, poema pittorico era pubblicato in agosto su Lacerba. [...] Malgrado le diversità delle scelte formali, tutte queste composizioni obbedivano infatti ad una sola volontà che era quella di raggiungere la fusione tra scrittura e pittura, cioè di conferire una dimensione più estesamente iconografica al poema parolibero. Carrà realizzava perfino un’opera di scrittura, pittura e collage come I Rumori del caffè notturno in cui delle forme plastiche uscivano letteralmente dalla superficie del quadro coinvolgendo lo spettatore. Si tratta di un’opera significativa in quanto evidenzia anche il processo parallelo che portava allora la pittura astratta ad integrarsi la parola scritta come strumento di concettualizzazione della forma. Questa svolta fondamentale del paroliberismo si compiva dunque in funzione della pittura. I poeti stessi ne erano coscienti. Apollinaire riprendeva una fare celebre: «E anch’io son

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Govini, Cangiullo, Buzzi, Parole consonanti vocali numeri in libertà pag. 38

pittore!». A sostegno della stessa idea Masnata citava Leonardo da Vinci: «La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca». […] L’abolizione del modello lineare e della scrittura in poesia equivaleva al superamento della figurazione bidimensionale in pittura. Nemmeno un anno dopo questa svolta del paroliberismo tipografico verso le tavole parolibere, Marinetti riprese l’iniziativa nell’intenzione di pubblicare un’antologia di queste nuove opere futuriste. Un volantino manifesto venne così diffuso nel marzo 1915, datato però dell’11 febbraio, dal titolo Parole, consonanti, vocali, numeri in libertà. Vi si annunciava la prossima uscita del libro fornendo quattro esempi di tavole paroliere firmati da Marinetti, Cangiullo, Govoni, Buzzi. Il manifesto fu accolto molto duramente su Lacerba da Palazzeschi e su La Voce da De Robertis. Ambedue vedevano nelle tavole parolibere una negazione dell’arte e una ulteriore manifestazione della superficialità del confusionismo dell’ultimo gruppo dell’avanguardia, ormai arroccato, si pensava, intorno Marinetti e al futurismo milanese. Lo scoppio della guerra impedì la pubblicazione dell’antologia. Solo più tardi ebbero luogo nuove personali codificazioni del paroliberismo. Lista. Le livre futuriste. 43,44 [...] Esiste un indubbio legame tra la scrittura verbo-visiva futurista e il mondo della grafica applicata, che si presenta sotto un duplice aspetto: da un lato le prime creazioni parolibere hanno avuto non solo modelli “alti”, come quello mallarmeano, ma anche “bassi”, facendo i conti con le trovate di tipografi, cartellonisti, illustratori, i rebus, i titoli e caratteri espres-

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sivi dei giornali; d’altro canto le idee futuriste sul rinnovamento della composizione tipografica ben presto hanno suscitato l’attenzione di coloro che maggiormente si sono impegnati nella modernizzazione della stampa. Uno dei primi è stato Terenzio Grandi, che ha inquadrato il fenomeno perolibero in un’ottica evoluzionistica, ricollegandola alla tradizione simbolista, e ha introdotto un tema destinato a divenire ricorrente nella storiografia futurista, quello del rapporto tra parole in libertà e arte reclamistica. [...] Verso la fine degli anni Trenta [...] si assiste a una ripresa del paroliberismo, applicato alla poesia murale, o in vista di un’utilizzazione pubblicitaria. Per esempio, le Tavole parolibere (Edizioni futuriste di Poesia, Roma 1932) di Pino Masnata, Così con un genere di poesia architettonico-plastica, assai vicino, nella sintesi del messaggio visivo, al codice della reclame. Sulla scia di queste osservazioni, prende piede l’idea del superamento del libro, ritenuto da alcuni futuristi un contenitore troppo angusto per la poesia, che invece dovrebbe confrontarsi con nuovi mezzi modalità di comunicazione. Salaris. La rivoluzione tipografica. 11

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MANIFESTI


Il manifesto del futurismo Il lettore abituale del giornale parigino Le Figaro la mattina del 20 febbraio 1909 si trovò di fronte ad una bella sorpresa: in prima pagina il suo quotidiano riportava un manifesto tanto bizzarro quanto incendiario, Le futurisme. L’uso di pubblicare manifesti letterari su testate importanti non era infrequente in Francia. La vera meraviglia di quel sabato consisteva invece nel fatto che l’insolito proclama travalicava il semplice obiettivo di fondare una nuova scuola letteraria per porsi come appello non convenzionale e anticonformista, indirizzato dalle pagine del più autorevole foglio della borghesia parigina all’universo mondo. Prudentemente tuttavia in una nota introduttiva la redazione manteneva le distanze dalle idee che ispiravano lo scritto, definendole singolarmente audaci. Salaris. Storia del futurismo. 14 Ma forse non tutti sanno che la data del debutto ufficiale del movimento futurista non è il 20 febbraio 1909 con la pubblicazione del manifesto di Marinetti su Le Figaro. Sei giorni prima, il 14 febbraio, La Tavola Rotonda, rivista piedigrottesca delle Edizioni Bideri, anticipava qui a Napoli quel documento. [...] La grande deflagrazione innescata dal futurismo, tuttavia, è innanzi tutto di natura comunicativa.

F. T. Marinetti, Manifesto del Futurismo, pag. 32

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Già il primo, già citato manifesto di Marinetti suona come un “editto” di carattere estetico che, presupponendo una vasta platea di ascoltatori, diventa mezzo di propaganda, diffuso per le strade e fra la gente, “vera e propria arma di guerriglia”! Capace di scuotere alla radice il clima conservatore e accademico dell’epoca, in virtù dei contenuti forti e del linguaggio aggressivo, di immediata presa sui pubblico. «Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità - recita il primo degli undici punti posti in programma - il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia», e così fino all’inno del nuovo simbolo della moderna bellezza: «Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo ... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, e più bello della Vittoria di Samotracia». Il plurale majestatis utilizzato nel manifesto è virtuale, nascondendo l’elaborazione pressoché individuale del documento: Marinetti, a questa data, è ancora isolato nella battaglia che diventerà la sua missione di vita, ma non tarderà a circondarsi di giovani intellettuali e artisti, conquistati dall’entusiasmo travolgente del fondatore del futurismo. Bonito Oliva. Futurismo Manifesto 100x100. L’arte di fare manifesti La storia del futurismo è legata in modo inalienabile al Manifesto, che assume sin dalla prima uscita entrambe le valenze di genere letterario e di strumento

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mediatico. Tale recupero storico va valutato non soltanto in relazione alla sperimentazione creativa che i futuristi fanno con i nuovi media, quanta nell’approccio comunicativo di tipo esplosivo che predispone a un’esuberanza dell’esperienza comunicativa. Questa per Marinetti passa per la poesia visiva, il teatro, il cinematografo, la “radia”, la pubblicità ma prima ancora per “l’arte di fare manifesti” . Già l’impronta cosmopolita della rivista Poesia in cui Marinetti si sperimenta dal 1905 fino al lancio del futurismo, aveva rivelato la felice intuizione in merito al funzionamento delle strategie comunicative, con l’avvio di uno stile promozionale inusuale ed efficace imperniato su concorsi e inchieste che fungevano da richiamo per il pubblico. Ma è al manifesto come genere che Marinetti consegna il compito di essere fondamento e forza di sfondamento della vecchia guardia, “spina dorsale” della sua avanguardia. Questa nuovo strumento, insieme letterario e mezzo mediatico, assume un ruolo militante per la riformulazione di pensiero e lessico nuovi, applicabili alle molteplici sfere dell’immaginazione creativa. [...] Pur avvalendosi di un genere già apparso tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo (il Manifesto del simbolismo di Jean Moreas e del 1886, quello del naturismo di Saint-Georges de Bouhelier del 1897, l’unanimismo di Jules Romains del 1905), il proclama di Marinetti si presenta subito come testo dotato di grande originalità nell’impostazione poetica e funzionale alla strategia della comunicazione mediatica, capace di adattarsi ai più disparati supporti cartacei, dalla rivista al volantino, dal catalogo di mostre alla pubblicazione

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di libri futuristi come premessa teorica. [...] «La produzione costante di “Manifesti” - scrive Luciano Caruso - è il documento più probante, malgrado cadute e ritorni, di un continuo atteggiamento creativo, che traduce ed espone la volontà dichiarata di reinventare il quotidiano, sia pure con abbagli, confusioni e contraddizioni e spesso per avvenimenti e produzioni marginali». [...] I manifesti futuristi senza dubbio esprimono principalmente idealità di comportamento, indicato attraverso pubblici proclami e poi magari contraddetti nel quotidiano e nella propria vita privata. Il superamento di ogni modica quantità, l’amore per il pericolo e l’azzardo, l’apologia della macchina e dell’industria, la pubblicazione del primo manifesto su un quotidiano della città più cosmopolita d’Europa, ci segnalano una modernissima ansietà di comunicazione: oltrepassare il recinto del linguaggio e bucare l’immaginario collettivo di una società di massa magari disattenta. [...] Solo tra il 1910 e il 1920, nell’arco di quello che è stato definito “periodo eroico”, la formazione, in continuo divenire, darà alle stampe oltre cento tra manifesti, dichiarazioni di intenti e altri scritti teorici assimilabili a tali generi letterari - con l’impressionante frequenza di quasi uno al mese - argomentando di volta in volta su ciascuna sfera dell’arie e dell’esistenza stessa. [...] Attraverso gli apodittici messaggi lanciati dalla “Direzione del Movimento”, infatti, Marinetti e i suoi sentenziano non soltanto sulle infinite rivelazioni della creatività umana, che vanno, assecondando l’anelito futurista all’opera d’arte totale e assoluta, dalla pittura alla scultura, dal cinema alla fotografia, dalla plastica

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murale alla ceramica, dalla poesia al teatro, dalla prosa alla musica, dalla danza alla scenografia; pretendono di descrivere i luoghi abitati dal divino nel mondo contemporaneo (La nuova religione-morale della velocità , 1916), immaginano il paesaggio urbano e l’habitat del domani (L’Architettura Futurista, 1914), propongono un nuovo modo di vestire (II Vestito Antineutrale, 1914), di mangiare (Cucina Futurista, 1930), di rapportarsi all’altro sesso (Manifesto futurista della Lussuria, 1912) e alla natura (Manifesto del naturismo futurista,1934); indirizzano il principio dell’agire, completandolo teoricamente, verso un’unica dimensione estetica, fino alla suggestiva ipotesi della Ricostruzione Futurista dell’Universo: «Noi futuristi, Balla e Depero, - ascritto nell’omonimo manifesto del 1915 - vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente .... Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione... ». [...] Il primo documento programmatico futurista destinato a uno specifico indirizzo artistico, dopo l’esordio intenzionalmente letterario del movimento, è il Manifesto dei pittori futuristi, redatto nel febbraio del 1910, seguilo, nell’aprile della stesso anno, da La Pittura Futurista - Manifesto tecnico, ai quali aderiscono Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Gino Severini, Giacomo Balla e Luigi Russolo. Nel 1911 il più agguerrito tra i promotori del futurismo pittorico, Umberto Boccioni, diffonde il Manifesto tecnico della scultura futurista, dove vengono postulati i concetti alla base della nuova arte plastica. La scultura, svincolandosi finalmente dall’uso dei soli materiali

Balla, Depero, Ricostruzione Futurista dell’Universo, pag. 39

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convenzionali, dovrà rinascere polimaterica. I propositi del Manifesto, integrati e approfonditi dalla successiva pubblicazione del volume Pittura scultura futuriste: dinamismo plastico (1914), trovano un’immediata risposta nella ristretta ma assai significativa produzione scultorea dell’artista, concentrata nel quadriennio 1912-1915. [...] L’anno dopo, a corredo della presentazione dell’antologia I poeti futuristi, Marinetti rende noto il Manifesto tecnico della Letteratura futurista, scaturito come sempre, stando al racconto dell’autore, da una folgorazione avuta sperimentando l’ebbrezza della modernità. In aeroplano, seduto sui cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla testa dell’aviatore - riferisce - io sentii l’umanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino!

Articolato in undici punti, più tre aggiuntivi (Il rumore, Il peso, L’odore) e un supplemento (Risposte alle obiezioni, 11 agosto 1912), il documento fissa i termini di una nuova sensibilità letteraria nell’utilizzo di alcuni accorgimenti “tecnici”: la distruzione della sintassi, l’uso del verbo all’infinito, l’abolizione dell’aggettivo, dell’avverbio e della punteggiatura, il raddoppio del sostantivo. Riguardo ai contenuti, prescrive in prima istanza l’eliminazione dell’io psicologico, sostituito «con l’ossessione lirica della materia» e con la ricerca di una rete di analogie «che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni». Marinetti allega al testo una serie di esempi, ma si può dire che le potenzialità del poema parolibero delineate nella scritto si

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dispieghino in una prima, concreta applicazione solo nel romanzo Zang Tumb Tumb (1914), che riporta, a introduzione, l’ancora più calzante Distruzione della Sintassi - L’immaginazione senza fili e le parole in libertà (11 maggio 1913). Al 1913 risale anche L’arte dei rumori, annuncio redatto da Luigi Russolo con dedica all’amico musicista e compositore Francesco Balilla Pratella. Il rumore diventa paradigma della civiltà attuale, la civiltà delle macchine, in netto contrasto con l’ordine naturale e taciturno delle case.

L. Russolo, L’ Arte dei Rumori in “Dinamo”, pag. 225

Oggi, il Rumore trionfa e domina sovrano sulla sensibilità degli uomini. Per molti secoli la vita si svolse in silenzio, o, per lo più, in sordina ... Poiché, se trascuriamo gli eccezionali movimenti tellurici, gli uragani, le tempeste, le valanghe e le cascate, la natura è silenziosa.

[...] La musica del futurismo è una combinazione sperimentale di suoni e rumori, ricavati da strumenti mai visti prima: gli “intonarumori”, casse rettangolari in legno contenenti diversi motori e munite di grossi amplificatori a forma di imbuto. II primo concerto futurista aperto al pubblico si svolge nell’aprile del 1914 al Teatro Dal Verme di Milano con un’orchestra di diciotto “intonarumori”, suddivisi in gorgogliatori, crepitatori, ululatori, rombatori, sibilatori, ronzatori e stropicciatori. È il delirio: gli spettatori fischiano, urlano, lanciano verdure e scoppiano violenti tafferugli, sedati solo dall’intervento energico delle forze dell’ordine. [...] Un aspetto certamente indagato dalla critica ma non ancora sufficientemente percepito nella sua portata e centralità riguarda la teatralità sottesa al ge-

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nere “manifesto”. Al di là della componente oratoria e più precisamente declamatoria, la teatralità emerge nella stessa gestualità spesso connaturata al lancio del manifesto/volantino. Si pensi in tal senso ai diversi proclami scritti contro le città passatiste e in particolar modo Contro Venezia passatista. [...] L’esperienza teatrale per i futuristi, e per Marinetti in particolar modo, non è riconducibile in senso stretto alla produzione specificamente destinata al teatro. Essa è una vocazione che si declina perfettamente con il voler essere precursori della comunicazione mediatica. [...] Una vicenda che attesta l’andamento dell’officina marinettiana e quella relativa alla stesura del manifesto Le analogie plastiche del dinamismo su cui lavora Severini dalla fine del 1913, testo che infine non fu mai pubblicato. La scrittura fu con grande probabilità più laboriosa perché coincidente con un momento prolifico nella produzione di testi teorici. L’aspetto interessante di questa mancata pubblicazione è lo scambio epistolare tra Marinetti e Severini che rivela come il caposcuola del futurismo si sentisse chiamato in prima persona a controllare forma, contenuti e tempi di uscita dei proclami. Appare evidente come ognuno di essi fosse un caposaldo di un’imponente architettura, che insieme andava a comporre una vera e propria “rete” teorica di riferimento. Indispensabile, quindi, era assicurare un’assoluta coerenza ed evitare inutili sovrapposizioni, poiché l’uscita di un proclama doveva essere in corrispondenza sinergica con la sfera di riferimento di pensiero che il futurismo stava nel tempo elaborando. Bonito Oliva. Futurismo Manifesto 100x100.

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I manifesti della direzione ufficiale sono caratterizzati da un formato standard (cm 29x 23), con quattro facciate, e recano in calce la firma dell’autore, o di più autori, seguiti dalla data e dall’indirizzo del movimento, che coincide con l’abitazione di Marinetti. Dal 1909 fino al 1912: Milano, via Senato 2; dal 1912 al 1924: Milano, corso Venezia 61. In seguito: Roma, piazza Adriana 30. Nelle date ricorre il numero 11, che è la cifra scaramantica di Marinetti. In alcuni casi il formato è più piccolo. I titoli evidenti, il senso architettonico della costruzione grafica, nel giusto rapporto tra piombo e spazio bianco, inoltre l’uso di numeri, cassetti, corsivi e corpi differenti nel testo sono elementi che dimostrano un’attenzione spiccata per quella tipografia espressiva, che è uno dei cardini delle parole in libertà. Tra i manifesti più rilevanti dal punto di vista grafico ricordiamo: L’Antitradizione futurista. Manifestosintesi di Guillaume Apollinaire (29 giugno 1913); L’architettura futurista. Manifesto di Antonio Sant’Elia (11 luglio 1914); il Vestito antineutrale. Manifesto futurista di Giacomo Balla (11 settembre 1914); Ricostruzione Futurista dell’Universo di Balla e Fortunato Depero (11 marzo 1915); Parole consonanti vocali numeri in Libertà di F. T. Marinetti, Corrado Govini, Francesco Cangiullo e Paolo Buzzi (11 febbraio 1915); Sintesi Futurista della guerra di Marinetti, U. Boccioni, C. Carrà, L. Russolo e Ugo Piatti (20 settembre 1914). [...] In tutto si tratta di un materiale cartaceo che in tutto supera i duecento titoli. Salaris. La rivoluzione tipografica. 82, 83

G. Apollinaire, L’ Antitradizione futurista in “Lacerba”, pag. 165

A. Sant’Elia, L’ Architettura futurista in “Lacerba”, pag. 167

Govini, Cangiullo, Buzzi, Parole consonanti vocali numeri in libertà pag. 38 Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo, Piatti, Sintesi Futurista della guerra pag. 36

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Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, in “La Tavola Rotonda�, 14 febbraio 1909

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Filippo Tommaso Marinetti, L’immaginazione senza fili e le parole in libertà , 11 maggio 1913

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Giacomo Balla, Il Vestito Antineutrale, 11 settembre 1914

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Marinetti, Boccioni, CarrĂ , Russolo, Piatti Sintesi futurista della guerra, 1914

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Marinetti, Govoni, Cangiullo, Buzzi, Parole consonanti vocali numeri in libertĂ , 11 febbraio 1915

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Balla, Depero, Ricostruzione Futurista dell’Universo, 11 marzo 1915

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STORIA DELLA GRAFICA EDITORIALE FUTURISTA


Il ruolo delle riviste Le riviste hanno svolto un ruolo essenziale nella storia del futurismo, fungendo da luogo d’aggregazione per inutili e gruppi disseminati in quasi tutte le regioni italiane. Oltre alle testate principali, si contano molti fogli dalla vita più o meno effimera, numeri unici, a circolazione limitata; si tratta, complessivamente, di circa 170 titoli, cui va aggiunta una settantina di riviste d’area parafuturista o modernista. Questo fenomeno di proliferazione si registra soprattutto a partire dalla Grande Guerra. Salaris. La rivoluzione tipografica. 70

Anche i periodici sono sottoposti a quel procedimento di ridefinizione che investe tutti i settori della produzione e della comunicazione artistica, le cui leggi, modalità e codici vengono “reinventati” dai futuristi [...] La tradizione precedente è azzerata: i fogli futuristi rispecchiano i comportamenti e le norme dell’avanguardia che si traducono in aggressività linguistica e grafica. Pubblicano testi e manifesti ma contemporaneamente divengono il luogo privilegiato per cronache di manifestazioni futuriste, appuntamenti per esposizioni e presentazioni. Un oggetto da mandare in omaggio, come i libri, a uomini di cultura, giornalisti e personaggi famosi.

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Le testate futuriste proliferano in tutt’Italia e nel mondo: solo negli anni “eroici”, fino cioè alla prima metà degli anni venti, fra riviste maggiori e fogli minori sono oltre 160 ma il numero cresce di molto se si considerano anche i periodici d’avanguardia. La rivoluzione in campo grafico, attraverso la parola-immagine, che il movimento futurista compie a partire dalle sperimentazioni parolibere, una radicale reazione antipassatista e antidannunziana «diretta contro la così detta armonia tipografica della pagina, che è contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa», come proclama Filippo Tommaso Marinetti nel manifesto L’immaginazione senza fili e le parole in libertà, investe sotto vari aspetti anche le pubblicazioni periodiche, spazio privilegiato di diffusione e dibattito del pensiero-azione futurista. Così le riviste futuriste da un lato incarnano l’organo di diffusione stesso del movimento (pensiamo al numero di manifesti che vi vengono pubblicati), dall’altro sono esse stesse campo aperto di sperimentazione tipografica, dove la pagina, non più intesa come schermo passivo e vincolato a rigide regole di armonia, viene percepita, al contrario, come campo dinamico da utilizzare in funzione lirico-espressiva. E non è un caso che il manifesto sopra citato venga pubblicato per la prima volta proprio sulla neonata Lacerba, il 15 giugno 1913, testata che incarna un modo nuovo di pensare la funzione e il peso specifico delle riviste dopo i fogli vociani, dai quali gli avanguardisti Giovanni Papini e Ardengo Soffici si sono allontanati polemicamente. Nell’Introibo, il manifesto programmatico che funge da premessa al primo numero della rivista fiorentina (1 gennaio 1913), si legge un implici-

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to attacco ideologico di Papini contro il ruolo assunto da La Voce di Giuseppe Prezzolini: Queste pagine non hanno affatto lo scopo né di far piacere, né d’istruire, né di risolvere con ponderatezza le più gravi questioni del mondo. Sarà questo un foglio stonato, urtante, spiacevole e personale. Sarà uno sfogo per nostro beneficio e per quelli che non sono del tutto rimbecilliti dagli odierni idealismi, riformismi, umanitarismi, cristianismi e moralismi.

Introibo, in “Lacerba”, pag. 150

La rivista diviene con il Futurismo luogo privilegiato e «personale» di accesi dibattiti culturali, un organismo vivo che incide sulla realtà artistica italiana e internazionale e non semplicemente specchio di ciò che accade nel circostante universo culturale. Il periodico si rinnova, tipograficamente e concettualmente. Parafrasando Marinetti, la rivista deve essere l’espressione futurista del pensiero futurista, così come avviene per il libro. La lettura del fenomeno avanguardista di primo Novecento non può essere dunque separata dal confronto costante con i suoi organi privilegiati di diffusione. Gubert. Il Futurismo sulla rampa di lancio: «Poesia» 1905-2005 La grafica dei periodici futuristi Tracciando un bilancio del contributo futurista alla grafica del libro del periodico, Enrico Crispolti osserva che «quando all’elaborazione della pagina stampata, gli esiti più significativi restano nell’ambito che scon-

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fina […] con il “paroliberismo” e l’ampia intrusione di elementi comici espliciti nel contesto della scrittura verbale, mentre meno originale è l’invenzione complessiva dell’impaginato dei periodici». E infatti l’elemento della stampa futurista che ha prodotto l’effetto di choc sul pubblico, che è stato percepito come novità, non è rappresentato da soluzioni di messa in pagina sovvertitrice dei canoni di architettura tipografica vigenti nelle pubblicazioni periodiche, ma dall’invadente e caratterizzante presenza di parole in libertà, e peraltro raramente rompono la ricorrente orditura delle colonne. Un dato che accomuna la maggior parte degli organi di stampa del movimento futurista, a partire dalla fiorentina Lacerba, è la scelta della veste tipografica (ma non sempre del formato) del quotidiano, piuttosto che della rivista. Tra i giornali culturali e d’avanguardia non è questa una novità: nella stessa Firenze si deve ricordare il presidente de il Marzocco e, tra i periodici più prestigiosi dell’avanguardia internazionale, quello di Der Sturm, fondato nel 1910. Hanno ancora ritroso nel tempo si potrebbe citare un lungo elenco di riviste di scienza, di tecnica e di cultura dal Settecento all’Ottocento. Sebbene suggerita da ragioni di economia, questa opzione risulta tuttavia la più coerente con alcune affermazioni fondamentali dell’ideologia futurista e con i contenuti stessi e le finalità di questi giornali. Per comprenderne le motivazioni è superfluo scomodare ancora una volta Mallarmé e le sue riflessioni sulla presentazione materiale del libro, pubblicate in The National Observer (11 giugno 1892) ne La Revue Blanche (luglio 1895), dove è insinuata la profezia che il giornale possa un giorno soppiantare il libro. La scelta della veste del quotidia-

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no è innanzitutto espressione emblematica dell’anticulturalismo del futurismo: è la più appropriata divisa di battaglia di una stampa antiaccademica, che all’universo statico dei valori consolidati oppone la transitorietà della ricerca in atto. Offrendosi a un rapido consumo, la forma del quotidiano esprime il rifiuto di divenire storia ricorrente nella polemica futurista, fin dal manifesto di fondazione, ed è esaltazione dell’effimero contro l’imperituro. Essa è dunque funzionale a quell’ideologia del divenire che assurge alla dimensione di un culto del transeunte, ma è anche la forma tipografica organica della prosa futurista. Il quotidiano non è il luogo del saggio dotto e ponderoso, ma la sede di una prosa essenziale, improntata alla concisione, alla sintesi, all’immediatezza comunicativa. Un pensiero che non può essere detto in poche parole non merita d’esser detto.

Introibo, in “Lacerba”, pag. 150

Questo motto inneggiante alla laconicità non figura forse nell’editoriale del primo numero di Lacerba? E anche Marinetti, in diverse occasioni, non manca di riconoscere nel giornalismo una scuola di stile fondato sulla “concisione essenziale” e sulla “sintesi”, su un “laconismo” che risponde alle leggi di velocità dei tempi moderni e anche ai “rapporti multisecolari” tra capo e pubblico. D’altronde la veste del quotidiano ben si addice a organi di stampa che rifuggono dalla specializzazione, che aspirano a svolgere un’azione politica oltre che culturale, che intendono proporsi come strumenti di provocazione del pubblico e di reclutamento di nuovi adepti. La scelta della veste tipografica di periodi-

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ci è in definitiva coerente con quella di mimesi delle forme di comunicazione con il pubblico proprie delle organizzazioni partitiche che, pur costituendo esperienza comune dei gruppi d’avanguardia, caratterizza in modo particolare lo sforzo del movimento futurista di costituirsi come avanguardia di massa. Come le serate futuriste mimano i comizi, come i manifesti imitano i volantini di propaganda politica, così i periodici del movimento si modellano sui quotidiani dei partiti e assumono una forma che si presta all’affissione sui muri o alla vendita per mezzo di strilloni. Nella grafica dei giornali futuristi sono individuabili - come giustamente suggerisce Crispolti - due filoni: «l’accentuazione un po’ enfatica del messaggio, che è una linea tipicamente d’impostazione grafica futurista [...] e uno invece di notevole controllo costruttivo e razionale, che è una linea originariamente tipica dell’estetica meccanica futurista, ma che finisce per rapportarsi alla grafica “razionale”». Il primo indirizzo comincia a delinearsi nel novembre 1913 con la pubblicazione delle parole in libertà di Boccioni e Cangiullo in Lacerba, la cui grafica è affidata ad Ardengo Soffici, autore anche delle testate. È però nei primi mesi del 1914 che la pratica parolibera caratterizza in maniera determinante il giornale, conferendogli un aspetto che critici malevoli definiranno da «magazzino da rigattiere». In verità l’accresciuta presenza di parole in parole in libertà non produce effetti dirompenti sulla gabbia tipografica, distruggendo la tradizionale orditura su due colonne dei testi, diversamente da quando avverrà in Vela Latina e ne L’Italia Futurista. Stampata a Napoli con la veste e il formato del quotidiano, Vela Latina ospita dal N. 41 del 14 otto-

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bre 1915 al N.8 del 4 marzo 1916 due “pagine futuriste” curate da Cangiullo, che rappresentano colonne di diverse giustezze tipografiche (mentre le altre pagine del giornale conservano un impianto di cinque colonne uguali), la cui disposizione muta da un numero all’altro. Nei numeri del 1916 compaiono anche composizioni paroliere che occupano un’intera pagina oppure una metà o un quarto. In Lacerba invece solo Messina di Guglielmo Jannelli ( n. 4, 15 febbraio 1914) e Cd’hArcOUrtFÉ di Carlo Carrà (n. 13, 1 luglio 1914) debordano con il testo su due colonne, interrompendo la linea verticale che le separa, e poche sono le parole in libertà stampate a piena pagina. Le soluzioni grafiche che meritano di essere segnalate nel periodico fiorentino, e in particolare nella seconda annata (1914), figurano la dilatazione delle dimensioni della testata, la cui altezza supera la metà del foglio dandosi come richiamo pubblicitario di efficace effetto, e la forte evidenza conferita ai titoli realizzati perlopiù con caratteri del tipo lineare, talvolta di grande corpo. Maggiore di formato rispetto a Lacerba, L’Italia Futurista pure pubblicata a Firenze dal giugno 1916 al febbraio 1918 presenta, come Vela Latina, una veste tipografica del tutto assimilata a quella del quotidiano. La presenza di composizioni parolibere risulta più accentuata che nei giornali futuristi che l’hanno preceduta. Le parole in libertà, tra le quali prevalgono quelle che - secondo una distinzione formulata da Marinetti - manifestano «una sensibilità più pittorica che musicale rumorista», finiscono con lo svolgere una funzione di surrogato dell’illustrazione, che pure è presente come riproduzioni di disegni di Boccioni,

G. Jannelli, Messina, in “Lacerba” pag. 152 C. Carrà, Cd’hArcOUrtFÉ, in “Lacerba”, pag. 158

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A. Martini, copertine di “Poesia”, pag. 137

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Balla, Depero, Gino Galli, Lucio Venna, Rosa Rosà, Emilio Notte, Achille Lega e altri, e con caricature sintetiche e vignette di satira politica di Neri e Vieri Nannetti, Arnaldo Ginna ed Emilio Settimelli. Alle parole in libertà sono riservate pagine speciali, caratterizzate da un’estrema libertà e varietà di soluzioni di impaginazione, che talvolta si presentano come un inserto suscettibile di piegatura diversa da quella del resto del giornale. Il modello de L’Italia Futurista, la cui impaginazione è curata da Ginna, è ricalcato da Roma Futurista che, pubblicata nella capitale dal settembre 1918 al maggio 1920 e nata come giornale prevalentemente politico, nel 1920 comincia a concedere maggiore spazio ad argomenti artistici e alle parole in libertà. I periodici futuristi che hanno assunto la veste tipografica della rivista risultano più convenzionali nell’impaginazione e nella grafica. Fondata a Milano nel 1905, Poesia che appartiene alla preistoria del futurismo e che rivela, pure nelle scelte grafiche che la contraddistinguono, il proprio inserimento nella cultura simbolista. Il disegno della copertina, dovuto ad Alberto Martini, ha, come annota Lista, «un contenuto allegorico di un’ispirazione molto affine alle morfologia della simbolica infernale che si riscontrano nell’opera grafica di Ensor degli ultimi anni del secolo». Nella sua produzione pittorica e grafica, come del resto anche in quella letteraria, il futurismo non reciderà mai in maniera definitiva i legami con le proprie origini simboliste, che periodicamente riaccenderanno a distanza di anni. Particolarmente convincenti risultano, a tal proposito, gli argomenti addotti da Lista a sostegno di una continuità di linea di gusto tra la


prima e la seconda serie (1920-21) di Poesia. [...] tra le riviste futuriste che rivelano la permanenza di un gusto simbolista va ricordata Haschisch (stampata da Catania nel 1921), le cui copertine sono dovute a Giuseppe Marletta. Pubblicato a Roma tre 1917 e il 1920 e diretta da Bino Sanminiatelli e da Enrico Prampolini, che ne cura la veste grafica, la prima serie di Noi risulta emancipata da indulgenze simboliste. Stampata su carta che a qualche critico malevolo poteva sembrare “di lusso”, questa rivista si segnala innanzitutto per il suo carattere di prodotto di un artigianato di qualità, sottolineato dalle copertine con xilografie di un Prampolini impegnato a prendere le distanze dalla cultura figurativa tardo Liberty-simbolista dei suoi esordi di pittore e di illustratore. La scelta delle quattro incisioni delle copertine rivela un percorso ancora incerto, che si muove tra scomposizioni dinamiche d’ascendenza futuriste e suggestioni cubiste, oppure entra una simbiosi di figurazione e di astrazione meccanica. Anche nelle pagine interne Noi adotta talvolta la tecnica xilografica per riprodurre disegni di Hans Arp, Marcel Janco, Nicola Galante e altri artisti. L’impaginazione presenta una controllata varietà di soluzioni, risultante dall’alternanza di pagine a una, due o tre colonne, e dal dosaggio di spazi bianchi, ma non riesce evitare di incorrere in alcune ingenuità, rivelatrici di una non ancora raggiunta maturità professionale, come la presenza di illustrazioni a cavallo di due pagine o la tendenza a costipare testi diversi in una colonna. Nel composito panorama della stampa futurista, il modello di un artigianato di qualità di Noi non è rimasto privo di emulatori. A esso può essere riferita la

E. Prampolini, copertine di “Noi”, pag. 201

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E. Prampolini, copertine di “Noi”, pag. 201

rivista L’Aurora (1923-24), pubblicata a Gorizia e diretta da Sofronio Pocarini, che all’accurata scelta di carte di diverso colore e composizione abbinava la ricca presenza di linoleumgrafie e xilografie di Giorgio Carmelich. Non va tuttavia dimenticato, come altro precedente della rivista goriziana, che lo stesso Carmelich, prima di collaborarvi, aveva dato vita assieme a Emilio Mario Dolfi a un’iniziativa editoriale, la Bottega di Epeo, all’insegna del puro artigianato, per produrre libri e riviste con tiratura dattiloscritta di otto o dieci esemplari e illustrazioni disegnate a mano. Quando, dopo un’interruzione di tre anni, riprende le pubblicazioni nel 1923, Noi presenta una grafica radicalmente rinnovata, che, come ha fatto notare Crispolti, registra il mutato clima di poetica ormai aperto agli apporti del purismo de L’Esprit Nouveau e dell’estetica meccanica. Accantonato il carattere artigianale della prima serie, nell’illustrazione adottata la riproduzione fotomeccanica mentre la grafica della copertina (uguale per tutti numeri, anche se stampata con colori diversi su carte di differente colore) è risolta mediante una composizione tipografica nella quale sono inseriti caratteri appositamente disegnati del titolo, è ancora lasciano trasparire in filigrana un forte accento di gusto Déco. Nonostante questa permanenza la seconda serie di Noi inaugura una fase nuova nella grafica delle riviste futuriste, aperta a sviluppi destinati a incontrarsi con le tendenze razionaliste. Chiari segni di tale rinnovamento sono già avvertibili nel 1925 nella rivista triestina 25, diretta da Carmelich e presentata come «sintesi pubblicitaria dell’arte contemporanea». Fanelli. Il futurismo e la grafica. 23-27

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Le riviste e la grafica razionalista Tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, è riscontrabile nei periodici del movimento futurista, e in particolare in quelli del gruppo torinese, un orientamento verso formule grafiche di matrice razionalista. Questo ritorno all’ordine, e impaginazioni di più chiara immediata leggibilità, è già individuabile nel giornale La Città Futurista, di cui escono solo quattro numeri del 1928 del 1929. La testata, disegnata da Diulgheroff, è giuocata sull’effetto negativo-positivo e denota, anche nella scelta dei caratteri, impressioni di gusto riferibili a prodotti dell’area Déco piuttosto che alla tipografia d’avanguardia. È soprattutto nella quarta pagina, riservata alle inserzioni pubblicitarie, che si può rilevare la permanenza di echi del paroliberismo futurista, sia pur ricomposti entro un’orditura ortogonale di linea. Sarà sufficiente questa sommessa presenza a dare ancora una volta adito alle critiche-peraltro non del tutto prive di fondamento di Giulio I. Lagoni, e dalla pagina di pubblicità de L’Italia Futurista trarrà pretesto per denunciare ancora una volta, dalle colonne di Graphicus, l’inapplicabilità dell’esperienza paroliera futurista al campo della tipografia: A chi guarda la pagina nel suo assieme, manca quell’impressione di cose finite completa [...] ove gli annunzi sono fatti e collocati in modo da farli risaltare singolarmente e da costituire collettivamente un complesso omogeneo, cioè una pagina estetica. La pagina che riproduciamo, invece, oltre a non presentare nel suo assieme l’aspetto [...] di una cosa armonica, è [...] per i suoi fini

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pubblicitari, un disastro. Infatti, in tutta pagina figurano ben 14 annunzi, mai si sono composti con tale uniformità di stile e forza di caratteri da sembrare quasi una cosa sola; difetto peggiorato dal fatto di mancare fra i vari avvisi una netta, 20 a divisione, sì che fra essi si confondono. Chi sarà quell’industriale o commerciante che vorrà pagare un avviso che [...] non sarà letto da alcuno o tutt’al più dagli amatori di rebus.

A questo attacco replica Farfa rivendicando l’efficacia pubblicitaria della libertà futurista dalla costrizione delle regole: Che gioia divertirsi a mandarle con le gambe all’aria perché l’annuncio giustifichi l’effetto pel quale è nato di pugno nell’occhio, precisamente quale... frutto di fantasia, altro che ventata di armonia!

Negli anni trenta la linea più ortodossa della tipografia futurista è perpetuata dei periodici romani fondati e diretti da Mino Somenzi: Futurismo (1932-33), Sant’Elia (1933-35), Artecrazia (1934-39). In questi periodici, che hanno informato del quotidiano, permangono scelte tipografiche tipiche della tradizione futurista: uso di inchiostri colorati, alternanza di carta ruvida patinata, presenza caratterizzante di composizioni paroliere, ecc. Inoltre non infrequenti sono le sovrapposizioni di testo e disegno. La permanenza di formule di gusto futurista e anche rilevabile nel lettering delle testate di periodici pubblicati nella prima metà degli anni Trenta, come Supremazia futurista o Il lampo futurista. All’opposto i periodici di emanazione del gruppo futurista torinese, diretti da Fillia, cioè La Città Nuova

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(1932-34), La terra dei Vivi (1933), Stile Futurista (193435), La Forza (1935), tendono vieppiù ad assimilarsi ai prodotti della grafica razionalista. La diversità di impostazione della veste tipografica di questi due gruppi di periodici bene riflette i loro diversi orientamenti culturali, nel composito arcipelago del movimento futurista degli anni Trenta: da un lato la rigida, e talvolta un po’ ridicola, tutela dell’ortodossia futurista di Somenzi, dall’altro la disponibilità al dialogo e alla collaborazione con altre tendenze artistiche, e in particolare quelli architetti del razionalismo, di Fillia e del gruppo torinese. Tale è la compostezza dell’impianto tipografico delle riviste torinesi che a qualcuno esse sembrano addirittura prive di un’identità futurista. Antonio Chiattione, su Il Risorgimento Grafico (n.7, 1935), giunge ad accusare Stile Futurista di essere «quasi passatista» ed ebbe rinnegato «Le esperienze audacissime di un tempo». «I futuristi, fin dall’inizio,» replica Fillia, dopo aver rivendicato una «coerenza perfetta» nei periodici futuristi, da Poesia a Stile Futurista, «hanno proclamato la glorificazione della civiltà meccanica che si sono ispirati ad essa. [...] Leggi meccaniche che portano fatalmente nell’impaginazione degli articoli, al semplice, al chiaro, al netto, al geometrico. I futuristi, in questo, si vantano di aver percorso quella estetica tipografica che oggi, per fortuna, trionfa in tutto il mondo». Fanelli. Il futurismo e la grafica. 43-45

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Gli anni eoici: 1909-1915 «Poesia»

A. Martini, copertine di “Poesia”, pag. 137 Medaglioni, in “Poesia”, pag. 139

Inchiesta internazionale di Poesia sul Verso Libero, in “Poesia”, pag. 140

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Alla preistoria del movimento appartiene la rivista Poesia (1905-1909), rassegna internazionale mensile, fondata a Milano da Filippo Tommaso Marinetti con Vitaliano Ponti e Sem Benelli, che dopo la prima annata rimane sotto la direzione del solo Marinetti. Ne escono 31 fascicoli, tra cui molti numeri doppi e tripli. La copertina reca sempre lo stesso disegno, di Alberto Martini, ma varia nel colore. Quasi ogni numero si apre con un medaglione dedicato a un poeta, di cui viene fornito un ritratto disegnato da Enrico Sacchetti o Ugo Valeri, in qualche caso da Giuseppe Grandi. Vi collaborano poeti di lingua francese, come Gustave Kahn, ideatore del verso libero, Paul Fort, Emile Verhaeren, il provenzale Frédéric Mistral, Jean Moréas, estensore del manifesto del simbolismo, Anna de Noailles, Alfred Jarry, il giovanissimo Jean Cocteau, Paul Claudel; autori di lingua inglese, come William Butler Yeats, di lingua tedesca, tra cui Arno Holz, ispano-latinoamericani, come Miguel de Unamuno; il simbolista russo Valerij Brjusov; il poeta nazionale greco Costis Palamas, e, tra gli italiani, Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Guido Gozzano. La rivista si impegna a difendere l’uso del verso libero, promuovendo un importante sondaggio, i cui risultati sono raccolti nel volume Enquête internationale sur le Vers libre et Manifeste du futurisme par F. T. Marinetti (Edizioni di Poesia, Milano 1909). La rivista propone altre inchieste concorsi e utilizza quei sistemi promozionali reclamistici


che divengono poi tipici della propaganda futurista. Salaris. La rivoluzione tipografica. 70, 71

Fondamentale è l’incontro di Marinetti e Lucini: quest’ultimo, sin dalla fine dell’Ottocento sta elaborando una certa visione nazionale della poetica simbolista, una via italiana proprio mentre questa tendenza in Francia e già in declino. Ma, individualista ed anarchico, Lucini non pensa ad un movimento organizzato bensì ad una vasta corrente di pensiero. Le sue riflessioni trovano un valido complemento nelle capacita manageriali di Marinetti. Prima tappa del sodalizio è l’inchiesta sul verso libero, che la rivista lancia nel 1905, prendendo lo spunto dalle innovazioni poetiche bandite in Francia da Kahn. Nella sua risposta, Lucini sostiene che il verso libero rappresenta la rivolta contro il principio d’autorità e diventa il mezzo più adatto per trasferire in poesia la realtà del mondo moderno. L’interpretazione progressista del neoilluminismo luciniano ha una notevole influenza sui seguaci marinettiani, soprattutto per ciò che riguarda quei contenuti sociali che si configurano come veri e propri «luoghi» poetici, sobborghi, prigioni, prostituzione, che tanta importanza avranno nel futurismo della prim’ora. [...] Poesia, ambiziosa «rassegna internazionale», trait d’union con la cultura francese, con le sue molteplici iniziative (concorsi, contatti a largo raggio) costituisce per Marinetti un prezioso rodaggio. Presto il nostro avrà alle spalle un apprendistato tale che gli permetterà di candidarsi come leader d’un movimento intellettuale. Inoltre, con la morte del padre, avvenuta nel 1907, Marinetti si trova ad amministrare una grossa eredità, che diventerà la banca da cui attingere

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F. T. Marinetti, Tuons le clair de lune!, in “Poesia”, pag. 143

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per progetti sempre più vasti. La bella e raffinata rivista, che ha contribuito a diffondere il simbolismo in Italia, elegantemente impaginata nel più schietto gusto liberty (Alberto Martini ha disegnato l’immagine allegorica in copertina, che cambia colore ad agni numero, nata con il motto «ma qui la morta poesia risurga», s’affretta ora a concludere il suo ciclo. Marinetti, come vedremo, brucia sempre le tappe, guarda al domani ed esaurisce presto le proprie iniziative per gettarsi in nuove imprese. Sul primo numero del 1909 appare il manifesto del futurismo. Il testo avrà una diffusione enorme in Italia e all’ estero, essendo subito registrato in tutto il mondo. [...] Le scelte non solo letterarie ma anche politiche di Marinetti si rivelano ben presto in occasione delle elezioni generali del 1909, quando Poesia riporta con un certo contrasto rispetto a fregi e ricercatezze tipografiche un immediato Manifesto politico futurista (che viene affisso anche sui muri): espansione nazionale, lotta a quei candidati che «patteggiano coi vecchi e coi preti» sono le coordinate che sia pure in embrione esplicitano la natura anarco-nazionalista del capo del nuovo movimento. Ormai per la Poesia seducente e preziosa non c’è più posto, Marinetti è convinto che la lotta contro il vecchio non possa limitarsi ad una battaglia letteraria, e nell’ alzare il tiro egli sente la necessità di armi più incisive, certamente meno estetizzanti. Quando appare il manifesto Tuons le clair de lune! la rivista è al suo ultimo numero. Marinetti taglia i ponti col passato, distrugge ciò che ha creato, indirizza i suoi strali contro quel simbolismo che fino a poco prima ha avuto il merito di diffondere. Come Edipo, egli


deve uccidere il padre. Quest’ultimo proclama marinettiano esorta i poeti incendiari a uscire dalle città di Paralisi e Podagra per dichiarare guerra ad un mondo di morti. Sempre sull’ultimo numero di Poesia appare emblematicamente una divertente tavola a colori su due pagine, disegnata da Manca e ripresa dal Pasquino di Torino, che raffigura satiricamente Marinetti incoronato in mezzo a seguaci in corteo che battono la grancassa, fanno piroette da clown, innalzano cartelli con la scritta «Pink», dal nome d’una celebre pillola. Per i suoi metodi «americani», scandalistici e pubblicitari, il capo del movimento si guadagna il soprannome di «poeta Pink». Scriverà in proposito Palazzeschi:

Manca, Le Futurisme dans la caricature italienne!, in “Poesia”, pag. 141

Marinetti aveva capito fino da allora il potere della pubblicità che doveva raggiungere fatti e persone a tutte le profondità e a tutte le altezze, nessuno escluso della compagine sociale, e riservata allora esclusivamente per le Pillole Pink, il cerotto Bertelli e la Chinina Migone, usarla per i problemi dello spirito era ritenuta dai ben pensanti tale ignominia per cui nessun vocabolario possedeva una parola infamante per poterla degnamente qualificare.

[...] Con Poesia nasce anche l’omonima collana, che resta in attività dal 1905 al 1943, sopravvivendo alla rassegna, la quale invece conclude la sua esperienza dopo gli ultimi tre fascicoli dedicati al futurismo. [...]La storia di queste pubblicazioni ha inizio nella fase simbolista e prefuturista, quindi fuoriesce in parte dalle vicende dell’ avanguardia. Le edizioni acquistano l’attributo di «futuriste» solo nel 1910, a partire da L‘incendiario di Palazzeschi. Salaris. Storia del futurismo. 19-23

Edizioni di “Poesia”, pag. 144

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«Lacerba»

G. Papini, Abbiamo Vinto!, in “Lacerba”, pag. 164

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Nel gennaio del 1913 prende l’avvio a Firenze la pubblicazione di Lacerba, per iniziativa del nucleo più vivace e inquieto dei vociano, formato da Papini e Soffici. La testata si presenta come scissione del gruppo. Durerà fino al maggio del 1915 quando, con l’entrata in guerra dell’Italia, la redazione riterrà di avere esaurito il proprio compito nella battaglia culturale mentre incombono altri doveri. Sull’ultimo numero Papini firmerà un fondo intitolato sintomaticamente Abbiamo vinto! Per più di due anni il giornale è stato uno strumento di rottura nell’ambito della cultura, divenendo da un lato la tribuna dell’avanguardia, grazie all’alleanza tra il nucleo fiorentino e il gruppo marinettiano, dall’altro la palestra interventista per molti intellettuali. Arte e politica qui si sono strette la mano vistosamente. Le matrici ideologiche del foglio sono quelle dell’irrazionalismo più spinto: il fine è rivendicare il principio dell’intuizione contro il razionalismo, il diritto di ribellarsi alle regole della società affermando la più anarchica libertà individuale, che peraltro viene riconosciuta specialmente all’artista. Questa è la linea degli animatori, che risentono tra l’altro di una fede in quel primordiale che a largo raggio viene spesso nelle arti nella cultura europea (basti pensare al fascino di Gauguin o al Doganiere Rousseau). Edita da Vallecchi, la rivista prende il nome da un’operetta di Cecco d’Ascoli (il titolo è però stampato senza l’apostrofo, come ricorda Soffici, proprio per creare disorientamento nel lettore e incuriosirlo). Su queste pagine avviene l’incontro col gruppo dei


marinettiani, tanto che la testata finisce col diventare l’organo del futurismo. L’alleanza subisce alterne e travagliate vicende: i primi contatti tra le due parti avvengono grazie alla mediazione di Severini, che ha conosciuto Soffici a Parigi; e pure il fiorentino Palazzeschi ha un suo ruolo nella liasion. La simpatia di Papini, anche se critica, nei confronti del movimento è evidente in alcuni articoli. Dal marzo del 1913 inizia l’apertura totale al futurismo, che durerà per 24 numeri fino al marzo dell’anno successivo, quando Boccioni nel reagire violentemente ad un attacco di Papini rivolto alla sua concezione pittorica, difenderà l’ortodossia futurista (Papini, Il cerchio si chiude, 15 febbraio 1914; Boccioni, Il cerchio non si chiude, 1 marzo 1914; Papini, Cerchi aperti, 15 marzo 1914). La polemica si allarga e si capisce che a Papini non va a genio tutta l’impostazione marinettiana del movimento. La rottura si esprime in pieno in un successivo intervento di Papini e Soffici (Lacerba, il futurismo e Lacerba, 1 dicembre 1914): vengono criticate le «esagerazioni» dei futuristi milanesi, e la gestione ufficiale del movimento, che rischierebbe di diventare una chiesa con i suoi sacerdoti riconosciuti. Il terrore del dogma fa dire ai due fiorentini in Boccioni sussistono elementi di «religiosismo umanitario complicato da un’ombra paurosa di accademia». Essi rimproverano a Marinetti di essersi impegnato poco nell’interventismo (!) E si lamentano della leggerezza con cui accoglie i nuovi talenti, quasi sempre di scarso valore. Più tardi Palazzeschi, Papini e Soffici riassumono in uno schema i difetti degli avversari, e così contrappongono ciò che a loro avviso è il vero futurismo al marinettismo: supercultura contro ignoranza, immagi-

G. Papini, Il cerchio si chiude, in “Lacerba”, pag. 162 U. Boccioni, Il cerchio non si chiude, in “Lacerba”, pag. 163

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ni in libertà contro parole in libertà, originalità contro stranezza formale, ironia contro profetismo, libertà contro solidarietà e disciplina, anche religiosismo integrale e amoralismo contro religiosità laica e moralismo (Futurismo e Marinettismo, 14 febbraio 1915). Il pezzo sul giornale porta anche le firme di Carrà, Govoni, Pratella, Severini e Tavolato (di essi solo Pratella reagisce pubblicamente, dichiarandosi un fedele di Marinetti). Contro il capo del futurismo, che molto diplomaticamente non risponde, si scaglia Soffici il quale, con un ridicolo pseudonimo (Elettroni Rotativi), firma il falso manifesto dell’Adampetonismo, parodia dei proclami marinettiani. Dall’agosto del 1914 la rivista diviene eminentemente politica, le sue pagine si riempiono di propaganda “antitriplicista” a favore della guerra; al nucleo fondatore si affianca una figura come quella di Fernando Agnoletti, tipico esponente di certo becerismo fiorentino popolaresco, guerrafondaio e antitedesco. Non va dimenticato che dietro le posizioni papiniane s’annida un individualismo nichilista e qualunquista, ben diverso dal messianismo ottimista di Marinetti: sintomatico e il suo articolo intitolato Freghiamoci della politica scritto per le elezioni del 1913, per le quali Marinetti elabora invece un programma politico futurista, una sorta di miscela modernista in salsa nazionalista. Nello spettro delle motivazioni non si dimentichi che Palazzeschi non esita a definirsi neutrale anche se poi sull’ultimo numero della rivista aggiunge dire: «Gridare: “evviva questa guerra” vuol dire anzitutto: “abbasso la guerra!”». Nei mesi dell’alleanza tra papiniani e marinettiani Lacerba rappresenta il polo principale dell’avanguar-

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dismo italiano: il tono cattivo insolente di Papini, che spara contro tutto e tutti, servendosi anche della parolaccia, e una indubbia novità nelle battaglie culturali, notevoli sono le “stroncature” di Italo Tavolato e i suoi articoli immoralisti che causano al giornale un processo per oltraggio al pudore (l’avvocato Ulisse Contri, pubblicherà l’arringa del volume In difesa di Italo Tavolato, Firenze, Vallecchi, 1914). Su queste colonne inoltre Soffici si distingue per le riflessioni sul cubismo ed anche per la rubrichetta arguta Giornale di bordo. Importanti sono inoltre gli scritti sull’arte di Carrà e Boccioni, e tutti manifesti di questo fertile periodo che, assieme alle prime parole in libertà, vedono la luce proprio sulla testata. Da non sottovalutare è l’apertura alla cultura europea: qui troviamo illustrazioni di Archipenko, Larionov, Picasso e collaborazioni di Theodor Daubler, Paul Fort, Max Jacob, e Apollinaire. In quest’ultimo Boccioni peraltro polemizza, ritenendo l’orfismo un’imitazione del futurismo. Il poeta francese poco dopo tuttavia lancia il manifesto L’Antitradition futuriste (29 giugno 1913 pubblicato su Lacerba il 15 settembre 1913), un omaggio al movimento marinettiano definito qui come «motore di tutte le tendenze», che termina con due sezioni in cui getta «merda» a professori, critici e pedagoghi, e «rose» ai rappresentanti del futurismo, ovvero ai più bei nomi dell’intelligenza internazionale (Picasso, Matisse, Duchamp, Stravinskij, Kandinskij Braque, Cendrars, ecc., accanto ai futuristi). In questa dimensione internazionale rientra il Manifeste futuriste contre Montmartre di Félix Mac Delmarle (10 luglio 1913, su Lacerba il 15 agosto dello stesso anno. L’autore ha firmato nel marzo dello stesso anno

G. Apollinaire, L’antitradition futuriste, in “Lacerba” pag. 165

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il manifesto Le peinture futuriste). Il primo episodio che sancisce l’alleanza tra milanesi e fiorentini nel corso del 1913 è la famosa serata al Costanzi di Roma (21 febbraio), durante la quale Papini tiene il discorso Contro Roma e contro Benedetto Croce, (in volantino, s.d. , è in fascicolo con il titolo Il discorso di Roma, Edizioni di Lacerba, 1913). Per avere un’idea dell’invettiva papiniana basta leggere queste frasi: Io sono un teppista, è arcivero. Mi è sempre piaciuto rompere le finestre e i coglioni altrui e vi sono in Italia dei crani illustri che mostrano ancora le bozze livide delle mie sassate. Non c’è, nel nostro caro paese di parvenu, abbastanza teppismo intellettuale. Siamo nelle mani dei borghesi, dei burocrati, degli accademici, di posapiano, dei piacciconi.

Questo becerismo serve all’oratore per colpire la capitale papalina, simbolo di passatismo e monumentomania, è al tempo stesso la filosofia crociana, definita un « vuoto fasciato di formule». Il tono battagliero immediato procura il giornale le simpatie degli ospedali. Più tardi scriverà Antonio Gramsci: «Prima della guerra i futuristi erano molto popolari lavoratori. La rivista Lacerba che aveva una tiratura di 20.000 esemplari, era diffusa per i quattro quinti tra i lavoratori». L’anima toscana del foglio è molto diversa da quella dei milanesi. Si dietro ai marinettiani c’è tutta l’aggressività rampante d’una borghesia che mitizza l’industria, dietro ai fiorentini invece si avverte la presenza di quei valori agrari che sono il prodotto di una situazione culturale che alle spalle la realtà della mezzadria. Quegli aspetti manageriali partitici

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della gestione marinettiana, che Papini scambia per molti ecclesiastici, non sono altro che mezzi adeguati per diffondere la cultura della società moderna, per rendere cioè l’avanguardia di massa. Marinetti intuisce più dei fiorentini le ragioni storiche dell’organizzazione massiccia. Papini e Soffici, invece, anche se spesso colgono nel segno in certe critiche, restano due intellettuali che credono nella nascita di un cenacolo selezionato di intelligenti anticonformisti, il loro è il vecchio italico sogno del gene isolato. Questa posizione si riflette nel loro interventismo. Papini non esita a presentarsi come l’«antifilosofo» (termine che stranamente anticipa la definizione coniata da Tzara) e presto diviene simbolo del ribellismo culturale per un discreto numero di giovani intellettuali (con le Edizioni di Lacerba ristampa nel 1914 Il crepuscolo dei filosofi del 1906, presentandolo come opera che ha anticipato il futurismo). Nel passaggio da La Voce a Lacerba veste i panni dell’estremista, incendiando gli animi di molti giovani, recitando oltretutto la parte del teppista della letteratura, del Barabba dell’arte o della apache della cultura. [...] va detto che di sicuro Papini cerca nel futurismo la possibilità di allargarsi al di fuori dei confini angusti provinciali da cui, bene o male, sono l’intraprendente Marinetti può trascinarlo via. Soffici è invece dapprima il dandy rimbaudiano che a Firenze ha diffuso la poesia francese moderna e l’arte figurativa, da Medardo Rosso a Picasso. [...] Qui, al di là dello spirito di parte e delle strumentalizzazioni, Soffici fornisce una seducente teoria dell’avanguardia: arte come totale libertà, non condizionata da finalità morali, etiche o religiose, arte come divertimento, ma non pura casualità, bensì lucida

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A. Soffici, Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi lirici, Edizioni Della Voce, pag. 168

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costruzione creativa: «Libertà, nella modernità, nella fantasia, nella giocosità, nella danzante ironia, nel rutilante fremito di intuizioni fuggevoli di prodigio: ecco la struttura mobile e capricciosa della nostra estetica». Il che denota una certa sintonia col nichilismo dadaista. In Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi lirici (Firenze, La Voce, 1915) Soffici offre uno dei più alti saggi di poesia futurista traversi libri ispirati al simultaneismo e un paroliberismo dato come alchimia lirica che giunge la distruzione del senso logico, con interessantissimi interventi tipografici, quasi dadaisti, e calligrafi. Forti sono le implicazioni rimbaudiane e baudelairiane cariche di un certo spleen. [...] Tra le pagine inoltre si può riscontrare qualche esempio di poesia astratta cerebralmente persurrealista. [...] Le Edizioni di Lacerba presentano la prima raccolta organica di scritti proclami, I manifesti del futurismo, nel 1914, e l’Almanacco della guerra, nel 1915, dietro cui c’è il solito gruppo di nomi, si tratta d’una canzonatura della Kultur tedesca. [...] il libretto è illustrato con bisogni primitivi di gusto fortemente infantile di Rosai. [...] Tra il 1913 e il 1914 è uscito a Firenze Quartiere latino che raccoglie i nomi di molti collaboratori del foglio papiniano (Ugo Tommei, Italo Tavolato, Govoni, Cardile, Sbarbaro, dando anche spazio a Lucini, di cui è annunciata la ristampa del Verso Libero). La rivista è, anche per questo motivo, una sorta di Lacerba artisticamente più cauta, di “destra”: il grande giornale fiorentino è infatti in piena fase parolibera. [...] Lacerba ha rappresentato dunque un’epoca: la sua testata si inserisce sempre più spesso come citazione (ritagliata o dipinta che sia) in numerose opere


di pittori da parte di tutto il mondo, come contrassegno di modernità (Picasso, Fèrat, Braque, Puni, Popova, Severini, ecc. Soffici da parte sua disegna le belle carte usate nella rilegatura editoriale delle tre annate, e si ha notizia perfino di una copia confezionata con le carte di Robert Delaunay). Salaris. Storia del futurismo. 71-79

Il titolo, ideato da Soffici, è tratto da un’opera di Cecco d’Ascoli, cui è stato tolto l’apostrofo per creare un neologismo senza preciso significato, che tuttavia suggerisce l’idea di qualcosa di “lacerante” e “acerbo” al tempo stesso. [...] Utilizzò colori e caratteri diversi: dapprima lettere di tipo etrusco stampate in colore terra rossa, poi enormi caratteri a bastone stampato in nero, esattamente uguali a quelli che si potevano vedere allora sui suoi manifesti affissi per le strade di Firenze e sulla copertina del suo libro Cubismo Futurismo; infine caratteri da santino impressi in un rosso vivo nell’ultimo periodo della rivista, pubblicata negli anni della guerra. Questi ultimi erano già stati utilizzati da Boccioni nel 1912. In nero, saranno ripresi ancora da Carrà nella copertina del suo libro Guerrapittura. La costante ricerca di un equilibrio e di una chiarezza strutturale della composizione della pagina esplicita comunque presso Soffici una scelta stilistica molto più vicina al cubo-futurismo della sua pittura che al futurismo più ortodosso di Boccioni e di Carrà. Le creazioni grafiche dell’artista toscano aprivano allora una linea espressiva caratterizzata dalla sobrietà e dalle forti evidenzialità plastica delle componenti

A. Soffici, testate di “Lacerba”, pag. 149

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G. Papini, Viva il maiale! in “Lacerba”, pag. 163 I. Tavolato, Elogio della prostituzione, in “Lacerba”, pag. 162

tipografiche della pagina. [...] Il contenuto degli articoli è programmaticamente provocatorio e antiborghese, tanto da suscitare reazioni ostili negli ambienti dei benpensanti (Odiatevi gli uni cogli altri, Viva il maiale!, Chiudiamo le scuole, di Papini; Elogio della prostituzione di Italo Tavolato). [...] Soffici crea dapprima una testata color ruggine, che nella seconda annata sostituisce con una nuova, dotata di enormi caratteri a bastone; infine, nell’ultimo periodo, sceglie per il titolo caratteri stampino in rosso. Per le rilegature del giornale fiorentino l’artista dipinge carte con decorazioni policrome astratte, non distanti dai motivi orfismi di Sonia Delaunay. Presto Lacerba diviene un tal oggetto di culto, per i bibliofili e per gli stessi futuristi, che negli anni Trenta il periodico Futurismo ne segnala una collezione rilegata con carte sofficiane, come se si trattasse di una vera rarità (Il futurismo in Italia, in Futurismo, 39, 4 giugno 1933). Lacerba ha anche una propria collana, dove appaiono opere di Soffici e Papini. Lista. Le livre futuriste. 77 Salaris. La rivoluzione tipografica. 71,72 II rapporto Marinetti - «Lacerba» Palazzeschi era stato il principale artefice del sodalizio tra i futuristi marinettiani e gli animatori della rivista Lacerba [...] In passato i rapporti tra La voce e i futuristi, in realtà, non erano stati buoni: nel 1911 Soffici aveva attaccato pesantemente su questo giornale proprio i pittori futuristi i quali, capitanati da Marinetti, avevano orga-

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nizzato in seguito una ‘spedizione punitiva’, culminata in una rissa al celebre caffè letterario delle Giubbe Rosse. Marinetti aveva poi diffuso un volantino, intitolato Schiaffi, pugni e quadri futuristi, in cui veniva descritto questa curioso episodio di ‘militanza artistica’. Ma ben presto, Soffici e Papini, stanchi dei rigori vociani, avevano sentito il bisogno di distaccarsi dalla testata prezzoliniana, e di fondare una nuova rivista più libera e più aperta alle questioni artistiche. Nacque Lacerba, che subito si caratterizzò per una radicale insofferenza nei confronti della cultura dominante, finendo così per attirare nella propria orbita i futuristi. Infatti, attraverso la mediazione palazzeschiana, Lacerba diventò, dopo i primi numeri, la tribuna ufficiale del movimento. [...] Finché il sodalizio tra i due gruppi ebbe vita, Marinetti mise a disposizione dei lacerbiani i suoi, rapporti con gli intellettuali italiani e stranieri, nonché la struttura organizzativa del futurismo e parte della tiratura di Lacerba fu da lui assorbita e diffusa. Occorre notare però che Papini e Soffici non entrarono nel novero degli autori delle Edizioni futuriste di Poesia, bensì pubblicarono presso la tipografia Valecchi con Le Edizioni di Lacerba. Lacerba ebbe un notevole successo di pubblico, tanto da costituire ben presto un’operazione in attivo. Sulla sua effettiva tiratura sono state avanzate delle ipotesi. [...] Marinetti in una lettera a Mario Carli: Sono convinto che una volta sparita la censura, si potrebbe superare la massime tiratura di Lacerba delIe 18.000 copie.

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[...] In una lettera a Palazzeschi, del 16 maggio 1913, l’editore Attilio Vallecchi invece accennava a «diecimila copie»; mentre Papini, in una missiva, inviata sempre all’autore de L’Incendiario, nello stesso periodo parlava di ottomila esemplari esauriti del numero di Lacerba uscito il 1° marzo 1913, contenente il Discorso di Roma, tenuto dallo stesso Papini nella burrascosa serata al Teatro Costanzi, in cui lo scrittore per la prima volta si era schierato ufficialmente dalla parte dei marinettiani: Lacerba va a ruba. Grandi discussioni e conversioni. Il n° è piaciuto molto e delle 8.000 copie ne rimangono poche.

G. Papini, Contro il futurismo, in “Lacerba”, pag. 161

Marinetti acquistava ben tremila copie della tiratura complessiva, che poi pensava a diffondere. É lo stesso Papini ad aver accennato a questa cifra in una lettera al capo futurista, in cui tra l’altro spiegava i motivi che l’avevano indotto a pubblicare l’articolo Contro il futurismo, apparentemente ostile al movimento, ma in realtà redatto proprio allo scopo di suscitare attenzione attorno alla svolta futurista di Lacerba. Oggi s’è finito di stampare L. e avrai subito le 3000 copie. Troverai in principio un articolo mio che ho voluto intitolare Contro il Futurismo. Non ti spaventare. L’ho fatto apposta per attirare l’attenzione e la curiosità della gente. È una apologia dei Fut. [...] Non ti avere a male se ripeto un paio di volte ‘Che non sono futurista’. È necessario per la tattica.

[...] Sono più che evidenti le aspettative che l’animatore di Lacerba riponeva negli aiuti anche finanziari del capo futurista, il quale per altro si prodigava nel

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procurare abbonamenti. Così scriveva infatti Papini a Marinetti nella fase di avvio del sodalizio: Ricevo lettera e abbonamenti. Ringrazio moltissimo te e gli amici. Ti farò spedire oggi a G.V. le 3000 copie di Lacerba.

Il direttore della testata fiorentina, inoltre, pensava di avvalersi dell’indirizzario dei futuristi per potere inviare Lacerba in omaggio, e ne faceva esplicita richiesta a Marinetti. Tra Firenze e Milano si stabiliva così un filo diretto: avvenivano scambi di cortesie e di informazioni. Per esempio, Papini avvertiva preventivamente Marinetti che su La voce sarebbe apparso l’intervento in cui Lucini avrebbe spiegato le ragioni della sua rottura con i futuristi, fornendo molti particolari sulla vicenda: Ti spedisco alcune copie di L. coll’articolo di Boccioni. Debbo avvertirti per debito di amicizia che Lucini ha mandato a Prezzolini per il n. futurista della V. un lungo artic. (Come ho superato il Fut), dove, a quanto pare, ci sono pettegolezzi di retroscena, lettere tue, di Govoni, ecc. - miranti soprattutto a dimostrare le tue pressioni e negligenze nelle cose dei tuoi amici futuristi.

Le reciproche gentilezze facevano parte dell’intesa: e del resto Papini diffondeva i manifesti della direzione futurista, infatti scriveva a Marinetti: Mandami subito un pacco di manifesti (compresi quelli in francese sulla pittura) e qualche copia del mio discorso.

I lacerbiani, per altro, erano fermamente intenzionati a mandare avanti l’alleanza coi futuristi milanesi anche per motivi non del tutto disinteressati: ai loro

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I. Tavolato, Elogio della prostituzione, in “Lacerba”, pag. 162

G. Apollinaire, L’antitradition futuriste, in “Lacerba” pag. 165

occhi Marinetti era il poeta milionario, che si poteva permettere il lusso d’una bella sede con dei dipendenti. [...] Nel giugno del 1913 aveva preso l’avvio il processo per oltraggio al pudore che portava Lacerba sul banco degli imputati a causa d’un articolo ritenuto lesivo della morale (Elogio della prostituzione). Papini e Marinetti testimoniarono in difesa dell’autore del brano incriminato: Italo Tavolato, un giovane triestino che vestiva i panni dell’immolista alla Karl Kraus. Contemporaneamente Papini veniva denunciato per vilipendio alla religione, avendo pubblicato sempre su Lacerba l’editoriale Gesù peccatore. Il vescovo di Firenze arrivò a proibire la lettura del foglio ai fedeli, mentre il processo per l’articolo sulla prostituzione diveniva nella città toscana il fatto del giorno. Tali episodi si trasformarono di fatto in pubblicità per il giornale. Nello stesso periodo prendeva corpo la singolare alleanza tra i futuristi e il poeta Guillaume Apollinaire, il quale, colto da breve infatuazione per il movimento marinettiano, volle firmare il manifesto L’Antitradizione futurista. Questo testa piacque a Soffici, che così ne parlò in una lettera a Marinetti: Ho ricevuto e letto con entusiasmo il manifesto di Apollinaire. Vi dicevo che non bisognava inimicarselo.

Il pittore di Poggio a Caiano era infatti il principale fautore del sodalizio col poeta francese, mentre Boccioni non era propenso a stringere trappo i rapporti col paladino del cubismo e dell’orfismo. Papini da parte sua approvava il testo, pur trovandovi dei limiti:

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Il manifesto nuovo e impreveduto e buonissimo e per quanta non vi sia gran che di nuovo per chi conosce gli arti, pure sintetizza bene le vertebre del movimento [...], tra i nomi ce ne sono alcuni che non conosco affatto altri non mi sembrano, come tu dici, degni di «rose» ma basta a me di vedermi assieme a molti che adoro ed ammiro per essere contento.

[...]Nel promuovere l’uscita di questo proclama, Marinetti aveva pensato certamente all’ipotesi di poter riunire sotto l’egida del futurismo gli avanguardismi europei. Apollinaire invece desiderava porsi a sua volta al centro di una operazione di raccordo, in cui il futurismo avrebbe dovuto svolgere un ruolo di comprimario con gli altri movimenti d’avanguardia. Non esisteva, dunque, unanimità tra i due poeti nell’impostare i termini dell’alleanza e non a caso il progetto non andò oltre la stesura del manifesto. Poco dopo, il 12 dicembre 1913, si teneva la serata futurista al Teatro Verdi e l’attenzione per il movimento marinettiano raggiungeva l’acme a Firenze. Papini informava Marinetti del successo di Lacerba: A quest’ora devi aver ricevuto già il n°. Soltanto a Firenze ne abbiamo vendute più di 3000 copie [...]. Martedì esce l’Almanacco. Ti raccomando i Manifesti. Cosa fai di quello di Palazzeschi?

Ma con il nuovo anno l’intesa tra lacerbiani e marinettiani andava sgretolandosi, anche a causa di un sentimento di rivalsa nutrito da «Gian Falco» nei confronti del poeta-manager di Milano. [...] vi erano anche altri motivi di scontentezza che spingevano Papini a prendere le distanze da Marinet-

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ti: quest’ultimo infatti come editore continuava ad ignorare i suoi lavori. [...] Quando, dopo l’estate, si instaurò in Italia il clima interventista, Papini cominciò subito a rimproverare a Marinetti e ai suoi intimi sodali un’inerzia in verità poco futurista: Quest’inazione futurista fa cattivissima impressione. A Roma socialisti e nazionalisti hanno saputo fare un po’ di rumore e voi altri a Milano niente [...]. Il futurismo ha in testa al suo programma l’adorazione della guerra e ora che la guerra c’è - e quale guerra! - tu stai zitto e fermo? Non credo che un manifesto mandato privatamente ai tanti indirizzi che possiedi sarebbe sequestrato. Bada che si tratta di un momento importantissimo e se il F. è assente c’è il caso che la guerra ammazzi anche lui.

G. Balla, Il Vestito Antineutrale Manifesto, pag. 35

[...] La tensione tra lacerbiani e marinettiani anche in seguito non accennò a diminuire: a fine annata i futuristi parteciparono alle manifestazioni interventiste romane, in occasione delle quali Cangiullo indossò il “vestito antineutrale tricolore”, ideato da Balla, che ai fiorentini parve una trovata puramente goliardica. In quel periodo Soffici annunciava a Marinetti: Lacerba diventa per mia volontà e per quella degli amici di Firenze, politica [...]. Dopo questo numero Lacerba uscirà settimanalmente [...] con meno pagine [...], l’editore si trova in una situazione terribile finanziaria dopo la crisi bancaria che ha dovuto licenziare molti operai [...]. Le parole in libertà: impossibile questa volta. Non possiamo comporle ne farle fotografare mancano gli uomini [...]. Bisogna però che tu e gli amici ci aiutiate per la pubblicazione ebdomadaria mandando articoli. Articoli cortissimi [...]. Dì loro che le loro passeranno appena finita la guerra, quando

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Lac. ritornerà artistico-letteraria.

Invece le collaborazioni dei marinettiani non giunsero ed i nodi vennero al pettine apertamente con la pubblicazione sulla rivista fiorentina dell’articolo Futurismo e Marinettismo (14 febbraio 1915), redatto da Palazzeschi, Papini e Soffici. In esso, oltre ai tre firmatari, venivano indicati come autentici futuristi antimarinettiani anche Carrà, Govoni, Severini, Tavolato e Pratella, i cui nomi però erano stati inseriti senza il consenso dei diretti interessati. Infatti il maestro Pratella si affrettava ad inviare una lettera di dissociazione, datata 16 febbraio 1915; che Lacerba riporta nel numero del 28 febbraio. Ma prima ancora che la smentita fosse pubblicata, Marinetti aveva scritto al maestro romagnolo queste parole:

Palazzeschi, Papini, Soffici, Futurismo e Marinettismo, in “Lacerba”, pag. 164

Tutti proclamano imbecillescamente passatista Lacerba; tutti trovano che laggiù sono impazziti e seguono ormai l’illustre portinaia Palazzeschi in quel partito d’invidia, di malafede e di professoralismo mascherato che si potrebbe chiamare il Portinarismo. Disgusto, nausea, pietà in tutti, a Milano e a Roma, dove mi recai, tra Venezia e Verona. Tavolato scriverà una lettera dichiarando che il futurismo è uno solo, che non vi è marinettismo, che Marinetti non è un Kaiser ma un semplice organizzatore, che senza organizzazione e solidarietà non vi è che guazzabuglio balordo, e impotenza passatista, e che non vuol quindi essere lanciato contra i veri futuristi.

E in un messaggio successivo, inviato sempre a Pratella, Marinetti aggiungeva: Ti ho telegrafato da Genova poiché pensavo alla possibilità lon-

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tana di una sfida e di un duello, e perciò ti facevo sapere dove ero, per una eventualità di padrini, ecc. Tutti hanno trovato la tua lettera degna di te e del sangue romagnolo. Russolo ha scritto pure una lettera violentissima e decisiva. Settimelli e Corradini hanno fatto lo stesso. Vedremo se le pubblicheranno.

Ai tre futuristi Lacerba rispose sul numero del 13 marzo 1915 con un articolo intitolato Marinettismo, firmato da Papini, Soffici e Palazzeschi in cui si leggeva: In questi ultimi giorni abbiamo ricevuto da alcuni accoliti del marinettismo, con sfida di pubblicazione, diverse lettere che non vogliamo né giudicare né pubblicare. Senza nessuna acrimonia né avversione personale, noi abbiamo voluto nei nostri due articoIi, chiarire la nostra divergenza teorica e pratica dal marinettismo e prendere davanti a quello una posizione netta. Ci sembra perciò che l’unica persona autorizzata a rispondere ai nostri argomenti a rettificare p combattere le nostre affermazioni dovesse essere il direttore, di quel movimento, cioè F. T. Marinetti.

Invece Marinetti non si curò di rispondere e Lacerba andò avanti fino al numero 22 del 22 maggio 1915. Dopo questo fascicolo la rivista fiorentina sospese le pubblicazioni. Nell’ultima fase Lacerba, trasformatasi in settimanale politico, aveva accolto il contributo dei vociani e in particolare di Prezzolini, che per altro sul suo giornale si era soffermato più volte sul futurismo, cercando di attirare in un contrasto polemico Marinetti, a cui nel 1913 aveva indirizzato una lettera aperta. Ma il capo futurista, secondo il suo solito modo di fare, aveva evitato le discussioni. [...]Marinetti sapeva troppo bene che farsi coinvolgere in una discussione significava offrire al proprio

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antagonista della pubblicità. La sua scelta diplomatica era dunque il silenzio. Successivamente, sul numero di Lacerba del 15 gennaio 1914, era apparsa sotto il titolo Affari idealisti una curiosa lettera, evidentemente falsa, indirizzata a Marinetti e firmata da Prezzolini. [...]Poco dopo Carrà scriveva a Soffici una lettera in cui diceva: Benissimo le Antiprezzoliniane che fate in Lacerba. A essere giusti con noi stessi Prezzolini meriterebbe ben peggio.

L’episodio rientrava dunque in quel clima di reciproche punzecchiature che caratterizzava i rapporti tra vociani e futuristi, ma era anche la spia della rivalità tra due concezioni di editoria militante, da un lato concordi nel promuovere una produzione finalizzata alla diffusione di idee e proposte nuove, ma dall’altro divergenti sul modo d’intendere l’approccio al mercato: non si dimentichi che Prezzolini, presidente della Società Cooperativa della Libreria de La Voce rimproverava a Marinetti di mandare in omaggio le intere tirature dei volumi, accusandolo di essere un editore «disorganizzatore » poiché mostrava di ignorare le leggi del commercio librario, alle quali invece la collezione de La Voce scrupolosamente si atteneva. [...] Ma per ironia della sorte oggi è ben più ricercata sul mercato un’edizione di Poesia di una pubblicazione di La Voce! Salaris. Marinetti Editore. 141-156 Salaris. Storia del futurismo. 8

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Guerra e dopoguerra

Marinetti, Carrà, Boccioni, Mazza, Piatti, Russolo, Sintesi futurista della guerra, pag. 36

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L’elogio della guerra come farmaco sociale, comune a tanti intellettuali del momento, trova nell’opera marinettiana la sua realizzazione più vistosa, il paroliberismo stesso è nato come mimesi dei rumori e della scenografia della guerra. L’idea del conflitto non solo appare al nostro come “igienica”, ma corrisponde quasi alla legge dell’evoluzione. Al contrario, il pacifismo risulta come stasi, sintomo di morte. Questi due opposti fantasmi hanno un ruolo importantissimo nel sistema mitologico marinettiano. Verso l’inizio del 1915, inoltre, viene lanciato il teatro sintetico che assume una funzione centrale nella battaglia politica a favore della guerra. Politica e spettacolo si compenetrano. Già nel settembre del 1914 avvengono manifestazioni interventiste a Milano, organizzate da Marinetti, Boccioni, Mazza, Piatti, Russolo, che vengono arrestati. Il 20 settembre i cinque futuristi, simbolicamente “dal cellulare di Milano”, lanciano il volantino-affiche Sintesi futurista della guerra, in cui è raffigurato un grande cuneo al cui interno vengono collocati i nomi delle nazioni avverse alla “passatismo” di Austria e Germania, ovviamente al vertice di questo fronte di sfondamento c’è il futurismo. L’immagine è simile al Cuneo che nel 1919 El Lissitskij concepisce nel voler rappresentare la armata dei rossi che «colpisce l’esercito bianco». L’idea del Cuneo come simbolo di battaglia è già apparsa nella firma di Marinetti, vera poesia visiva, in cui la scritta «FuTurisMarinetti» (si noti che le iniziali del poeta sono in maiuscolo) compone con le


sue lettere un angolo acuto che va a scagliarsi contro una linea spezzata, composta dalle lettere della parola “passatismo”. «Vela Latina» Verso la metà degli anni dieci il futurismo cominciò diffondersi dei centri principali (Milano, Firenze e Roma) alla periferia. A Messina nasce la rivista La balza (1915) di Giovanni Antonio Di Giacomo, detto Vann’Antò, Luciano Nicastro, Guglielmo Jannelli, a Napoli Vela Latina ospita tra il 1915 e il 1916 una “pagina futurista”, che si distingue per il paroliberismo più audace. Cangiullo ne è l’animatore. Proprio su questa testata viene tenuta a battesimo la prima paroliera ufficialmente riconosciuta, Marietta Angelini, cameriera di Marinetti, presentata dal gruppo come l’antiletteraria per eccellenza, in contrapposizione alle “celebri scrittrici” del periodo (Ada Negri, Neera, Deledda, ecc.). [...] l’idea di presentare l’Angelini rientra invece in quella scelta del naif che il gruppo persegue, presentando, tra l’altro su Vela Latina, quel Pasqualino 13 anni, fratello minore di Cangiullo, poeta parolibero in erba. La predilezione per le espressioni della creatività dei ragazzi è una tendenza che rientra nel primitivismo e nell’anticulturalismo del gruppo. All’insegna del disprezzo per ogni forma di accademia si muove con talento spontaneo, partenopeo e clownesco Francesco Cangiullo, che diventa uno dei più originali paroleliberi, non disdegnando peraltro di scrivere, accanto a canzonette popolari, poesie di varia ispirazione palazzeschiana (Le cocottesce, Napoli, Edi-

F. Cangiullo, Pasqualino 13 anni, in “Vela Latina”, pag. 177

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zioni giovani, 1912, con prefazione di Palazzeschi). «L’Italia futurista» Abbiamo visto come di fronte all’annuncio della guerra e il cerchio dell’esperienza lacerbiana si sia chiuso. Ma appena un anno dopo nella città toscana assistiamo alla nascita di una nuova importante testata d’avanguardia: L’Italia futurista che viene ad alimentare il cosiddetto secondo futurismo fiorentino (1 giugno 1916-14 febbraio 1918). L’intento dei redattori è quello di non dover necessariamente decorrere bene pennelli di fronte alla guerra: bisogna esercitare la creatività, usando tutti i ferri del mestiere, sullo sfondo del conflitto. Occorre insomma tener fede all’arte in tali frangenti è, semmai, trarre dall’esperienza bellica l’ispirazione necessaria per fare un’arte all’altezza dei tempi. Ma chi sono gli animatori del giornale? Essi si chiamano Emilio Settimelli, Bruno e Arnaldo Ginnani-Corradini (che, per differenziarsi assumono rispettivamente il nome di Bruno Corra e Arnaldo Ginna) Mario Carli, Remo Chiti. Questi intellettuali si battono da tempo per un’arte d’eccezione, che non esclude lo strano, il paradossale, l’eccessivo e il bizzarro, con implicazioni perfino esoteriche. L’originalità del punto di vista peraltro emerge in quel manifesto proto-concettuale su Pesi misure e prezzi del genio artistico, di cui si è parlato, che fa capolino nel clima di Lacerba, dove i nuovi venuti così strambi non sono troppo graditi a Papini il censore. [...] Il principale obiettivo del gruppo «liberista» è

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quello di collegare tra loro le arti, in vista proprio del recupero della creatività come dimensione globale. [...] Il sodalizio tra i simpatici “folli” e Marinetti avviene dapprima sulla base degli interessi teatrali, abbiamo infatti già visto quella decisiva funzione abbiano avuto Settimelli e Corra nell’elaborazione teorica e pratica del teatro sintetico. Proprio questo settore ha molto spazio su L’Italia futurista; infatti qui escono “sintesi” dei vari Boccioni, Buzzi, Remo Chiti, Alberto Maurizio, Mina della Pergola, Cangiullo, Volt, Neri Nannetti, Raffaello Franchi, ecc. Ma i campi l’azione e di intervento giornale sono molteplici, dallo spettacolo in senso lato, alla letteratura, dall’arte alla politica. Nel complesso due sono le anime che si congiungono in quest’esperienza: quella tecnologico-modernista dei marinettiani e quella cerebrale-simbolista del nucleo del giornale, portato a privilegiare una sorta di prosa poetica d’avanguardia, di tipo astratto-oniricoriflessivo, con puntate costanti nello “psichico puro”, nell’assurdo e nell’irreale. I nuovi venuti per tali caratteristiche occupano un posto particolare non solo all’interno della storia futurista, ma proprio nell’ambito della cultura italiana, dunque rappresentano una corrente post-simbolista e pre-surrealista. [...] Ciò per cui L’Italia futurista si distingue dalle comuni riviste dell’epoca è, tra l’altro, l’aspetto grafico, ricco di audaci spettacolari parole in libertà, di grande effetto. In questo settore visivo troviamo, accanto ai personaggi già noti, figure più o meno nuove. [...] Non mancano donne e giovanissimi, cui è riservato un’apposita rubrica. La gamma degli interventi paroliberi che varia, va dal quadretto tipografico piuttosto descrittivo (vedi Pasqualino 13 anni) al versante

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P. Buzzi, Pioggia nel pineto antidannunziana, in “L’Italia Futurista”, pag. 192

concreto (Piero Gigli, Luciano De Nardis, Cangiullo, Buzzi, per esempio, Pioggia nel pineto antidannunziana un componimento fatto di sole virgole). Notevole è infine l’astrattismo tipografico di Marinetti. Sul côté fonetico troviamo le prove di Balla (la famosa Treslì Trelnò), l’«omolingua» di Depero. [...] Con esiti molto personali invece Corra reinventa il linguaggio in Browning: Sì tu violenta detonazione crollo sparire via fuliggine concave sordomute nero rossastre in chiusezze amare pulsose via retacità nevroroventi centrocarnate vuotidiozie nucoochiodatamente orbitali autoassenze vertiginature gioiofollie in sbilichissimi ultraviolettari su miliaspillori di narcotici stramorcàssami tu acciaiezza.

S. Quasimodo, Sera d’estate, in “L’Italia Futurista”, pag. 193

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Tanti sono gli esempi, tra cui segnavo, non solo titolo di curiosità o propria dimostrazione dell’espansione tappeto del futurismo, la presenza paroliera dell’esordiente Salvatore Quasimodo, autore di una imprevista Sera d’estate. [...] Chi, oggi, potrebbe davvero attribuire al poeta del Nobel questo saggio? Il fatto è che per molti giovani assetati di novità il movimento marinettiano è stato punto di riferimento d’obbligo e L’Italia futurista, in questi anni di crescita numerica degli adepti, è riuscita a raccogliere i contributi più validi di tutte le contrade d’Italia. Nell’arco della sua esistenza il giornale diventa inoltre la tribuna da cui lanciare diversi manifesti. La linea marinettiana si presa col proclama La nuova religione morale della velocità (11 marzo 1916), che nel dare lo sfratto alla vecchia metafisica demistifica il concetto del sacro, ribaltando nella modernolatria che ha propri «luoghi abitati dal divino»: stazioni, sale cinematogra-


fiche, transatlantici, ecc. Accanto all’ortodossia marinettiana ha modo di dar frutto l’eterodossia latente del nucleo che ha in mano la testata, sul cui secondo numero appare uno dei più inquietanti manifesti del periodo: La scienza futurista di Corra, Ginna, Chiti, Settimelli, Carli, Oscar Mara, Vieri Nannetti. Il che equivale ad una dichiarazione di poetica collettiva: il rifiuto della conoscenza tradizionale si accompagna ad una attenzione per quella «quella zona meno scandagliata della nostra realtà che comprende i fenomeni del medianismo, dello psichismo, della rabdomanzia, della divinazione, della telepatia». Quest’anima esoterica, che sta alla base del pre-surrealismo del gruppo, è vivacemente attratta da tutto ciò che è abnorme. L’eclettismo che la caratterizza si riflette peraltro nel ventaglio degli interessi, che comprende perfino il cinema. [...] La testata fu anche da sfondo alla Manifesto della danza futurista di Marinetti (8 luglio 1917) come la descrizione di tre danze ispirate ai meccanismi da guerra: lo shrapnel, la mitragliatrice e l’aeroplano. Il capo del movimento suggerisce una gestualità meccanica, antiromantica, «disarmonica, sgarbata, antigraziosa, asimmetrica, sintetica, dinamica, parlolibera». Il conflitto ha un grande spazio sul periodico, ispirando non solo complimenti creativi ma numerosi articoli prettamente politici. Non mancano i manifesti legati direttamente all’argomento come Moltiplichiamo i sardi: primo materiale di guerra di Pasquale Marica (1 novembre 1916). [...] Il giornale promuove inoltre un’attività editoriale: i cosiddetti «Libri di valore», termine che rinvia alla concezione critica maturata dal gruppo, legata ad

F. T. Marinetti, Manifesto della danza futurista, in “L’Italia Futurista”, pag. 194

L. Labozzetta, Trincea, in “L’Italia Futurista”, pag. 196

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un criterio di misurazione oggettivo-scientifica della creatività. La collana, diretta dalla “musa inquietante” Maria Ginnani (che si chiama Maria Crisi ed è moglie di Ginna), annovera sette titoli in tutto; di essi i primi sei escono nel 1917 e in ultimo appartiene al 1918. Si tratta di disegni di lusso, con copertina di cartoncino, affidate alla generalità delle illustrazioni quasi dalle dadaiste e surrealiste di Ginna. I volumi si aprono con una foto dell’autore. Nel complesso l’iniziativa mantiene una certa indipendenza dai canoni dell’ortodossia paroliera marinettiana, per lo più presentando testi ispirati alla poetica del nucleo fiorentino. Salaris. Storia del futurismo. 79-97 «Roma futurista» Il manifesto che annuncia la fondazione della nuova organizzazione politica futurista appare per la prima volta sull’ultimo numero di L’Italia futurista nel febbraio del 1918 è nel settembre dello stesso anno sul primo numero della nascente Roma futurista, rivista che, ritorno dalla testata fiorentina il ruolo di giornale-pilota del movimento, finisce col rappresentare in pieno la fase in cui il futurismo naviga tra le sempre più agitate complesse correnti politiche del dopoguerra. Il manifesto, anticlericale e antimonarchico, è il risultato dell’incontro tra il “messianismo” marinettiano, trasportato dal cielo dell’arte al terreno delle cose pratiche, e fermenti di varia provenienza, anarchici, nazionalistici, riformisti. [...] Sono questi termini della cosiddetta “democrazia futurista”, con cui il movimento marinettiano si

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rinnova nel momento della riconversione dal tempo di guerra al tempo di pace, spostando così la battaglia sul fronte “interno” contro ex neutralisti, socialisti, borghesia parassitaria, pescecani, e via dicendo, con una violenza che aumenta dal momento in cui la vittoria si profila come “mutilata”. [...] Questi spunti, arricchiti di un evidente componente mazziniana, patriottico-repubblicana, si riflettono nei dibattiti di Roma futurista. Proprio questo giornale fa da sfondo al sodalizio tra futuristi e arditi, i militari dei reparti d’assalto sorti durante la guerra per risolvere situazioni di, noti come “fegatacci” pronti a tutto, non troppo rispettosi delle gelatine e delle discipline, sulle cui imprese all’epoca e nascondere proprio mito. [...] L’operazione passa oltre che su Roma futurista – che per tutta una prima fase la tribuna dell’arditismo – su vari giornali, tutti stampati a Milano: L’Ardito di Ferruccio Vecchi e Carli, La testa di ferro, “rivista del fiumanesimo” diretta da Carli, e I nemici d’Italia di Mazza. [...] La seconda manovra tentata su Roma futurista, certo meno eclatante di quella che riguarda gli arditi, ma da non sottovalutare, è costituita dall’apertura alle donne, potenziali alleate d’un disegno politico che viene ad inglobare i remi del voto e dell’emancipazione femminile. E sulla testata uomini e donne riflettono sul contributo femminile nelle opere assistenziali del tempo di guerra, sul ruolo della donna nella società, nella politica nel lavoro. Un ardito arriva perfino a lanciare un appello alle donne, esortandole partecipare alla ricostruzione del dopoguerra: non poche futuriste rispondono (da Fulvia Giuliani, vecchia co-

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noscenza di L’italia futurista, a Futurluce, ovvero Elda Norchi, Anna Q. Bonfadini, ecc.) e qualcuno propone l’organizzazione d’un fascio di Ardite! Il clima è rivoluzionario, dal dibattito sono perlopiù esclusi privato, la psicologia, mentre molto si parla di obiettivi giuridico-economici. Con rigor giacobino nello stesso periodo Marinetti arriva a formulare nel manifesto Contro il lusso femminile (11 febbraio 1920) un insieme di leggi suntuarie futuriste contro le vanità della moda esterofila. E sempre dalle colonne nel giornale al capo del futurismo fa eco Volt, ma con spirito leggero divertito, nel bizzarro Manifesto della moda femminile futurista che propone di ripassare il corpo della donna in base all’estetica fantasiosa, colorata, asimmetrica, polimaterica della creatività futurista. Viva la donna-scultura, la femmina-opera d’arte! Sintomaticamente il processo di riconversione dall’impegno al disimpegno che, è causato dalla delusione politica, si riflette ovviamente su Roma futurista che registra il polso della situazione. Questa è in sintesi la sua storia. Il giornale vive una prima fase tutta politica (20 settembre 1918-dicembre 1919) sotto la direzione di Giuseppe Bottai, affiancato da Enrico Rocca e Guido Calderini; vi lavorano Piero Bolzon, Ferruccio Vecchi, Volt, Mario Scaparro ecc. Proprio nel periodo elettorale Bottai affronta più volte il tema “futurismo contro socialismo”. [...] Solo dopo il fallimento elettorale si comincia sbriciolare il fronte politico e il giornale ritorna col vento in poppa sul terreno dell’arte fino alla chiusura (gennaio-maggio 1920): i pittori Balla e Gino Calli vengono a dirigere la testata mentre Bottai se ne va. In un periodo improvviso è annunciato con un Programma a sorpresa: la rivista torna agli antichi amori

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giudicando non piacevole la partecipazione alla battaglia elettorale conclusasi con l’insuccesso. Gli ultimi numeri di Roma futurista, testata nata per ragioni politiche e dunque piena di appelli, dibattiti e proclami, improvvisamente si riempiono di disegni, tavole paroliere, parole in libertà e testi creativi. Salaris. Storia del futurismo. 113-116 Anni Venti La guerra crea un solco nella storia del movimento: la spinta propulsiva degli esordi infatti rallenta. Un ciclo si conclude, tutto sembra ricominciare su altre basi, vengono nuove generazioni, nuove situazioni. È questo il tempo del “secondo futurismo”. L’ufficialità è rappresentata nel decennio da Il futurismo, la «rivista sintetica illustrata» che esce sporadicamente, dapprima a Milano (dal 1922 al 1924 fino al n. 9), poi a Roma, mantenendo quello stesso formato dei volantini, ai quali si sostituisce: qui appunto escono i principali manifesti. Ad essa si affianca Noi, seconda serie (Roma, 1923-25), la prampoliniana «rivista d’arte futurista » in carta patinata, dalle notevoli aperture internazionali, che rappresenta la linea vincente in seno al movimento: quella che punta a farsi riconoscere come tendenza esclusivamente artistica. Salaris. Storia del futurismo. 126,127 Per il loro impegno politico di vecchia data i futuristi hanno ritenuto di poter interpretare l’anima originaria del fascismo, quella “rivoluzionaria”, a cui

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continuamente si richiamano negli anni della “normalizzazione” con toni di effettiva nostalgia. Infatti, Marinetti, abbandonata definitivamente l’idea d’una politica in proprio, si limita a recitare la parte del “precursore”, al tempo stesso però cerca di far guadagnare al proprio movimento uno “status” ufficiale, ribadendo costantemente che il futurismo è l’unica corrente che abbia tutte le carte in regola per rappresentare l’arte del fascismo. Questo programma, tuttavia, non riuscirà ad ottenere il sostegno del potere politico, e ciò procurerà un continuo senso di frustrazione nelle file futuriste. [...] Anche per quanto riguarda la cultura popolare, i futuristi ritengono di poter fornire proposte appropriate, essendo animati dal desiderio di configurarsi appunto come i costruttori di un’ “avanguardia di massa”, Marinetti infatti ora tende a presentare i suoi artisti come specialisti e tecnici della comunicazione estetica allargata, in tutti i campi, dalle arti maggiori alle arti applicate, dalla propaganda al costume, ecc. [...] Si verifica così una sostanziale revisione del futurismo, che passa dalla contestazione globale a un obiettivo ben più limitato, la difesa sindacale dell‘avanguardia e la conquista di uno spazio. Nella prima metà degli anni Venti, dal punto di vista ideologico, si assiste ad uno spostamento di rotta che rovescia la visione “totalitaria” dell’anteguerra: Marinetti, deluso dalla politica, dapprima si pronuncia a favore del primato assoluto dell’arte, arrivando a formulare l’ipotesi utopistica, e del tutto metastorica e metaforica, degli artisti al potere. [...] L’avvenimento che nella storia del futurismo segna il momento del riavvicinamento al fascismo è

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la pubblicazione del manifesto I diritti artistici propugnati dai futuristi italiani, proprio sul primo numero de L’impero, nel 1923; in Noi, I, aprile 1923. Si tratta d’una articolata piattaforma di rivendicazioni corporative, che il gruppo di Marinetti, ripresentatosi compatto dopo un lungo silenzio, indirizza al “governo fascista”. Salaris. Artecrazia. 2-7

F. T. Marinetti, I diritti artistici propugnati dai futuristi italianiManifesto al governo fascista, in “Noi”, pag. 212

[...] Nel decennio venti-trenta pullula una miriade di situazioni provinciali e di piccoli centri, ruotanti attorno a riviste e rivistine locali; si tratta dell’aspetto capillare, diffuso del corpo del futurismo. [...] Questa avanguardia disseminata dalla Sicilia alle Alpi, spesso si annida in zone arretrate, dove il verbo marinettiamo è visto come un miraggio, una novità, o forse una “moda” al pari degli altri ingredienti tipici di questi anni folli. Salaris. Storia del futurismo. 126,127 «Dinamo» Rivista mensile pubblicata a Roma nel 1919. Sulla copertina del primo numero, uscito nel febbraio 1919, compare il sottotitolo “Rivista futurista”. La sede della direzione è inizialmente in via Conte Verde 15, a Roma; l’amministrazione invece risulta presso l’Impresa Editoriale Ugoletti in via Condotti 21, dove, dal maggio 1919, sarà situata anche la direzione. A partire dal sesto numero direzione e amministrazione saranno trasferite entrambe in via Venezia 18. Complessivamente escono sette numeri, l’ultimo dei quali riporta la data settembre/ottobre 1919; il sesto e il settimo fa-

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scicolo sono doppi. Ogni numero è costituito da una trentina di pagine di 25 cm ed ha un costo di 50 centesimi. La direzione del periodico è affidata ad Emilio Settimelli, Mario Carli e Remo Chiti. Dal numero 4 del maggio 1919 essi saranno sostituiti da Filippo Tommaso Marinetti. La maggior parte dei collaboratori (Bruno Corra, Mario Dessy, Volt, Crescenzo Fornari, Enrico Rocca, Pietro Pupino Carbonelli, Giuseppe Bottai, Paolo Buzzi, Luciano Folgore, Francesco Cangiullo, Fulvia Giuliani, Mina Della Pergola, Dinamo Correnti, Jamar 14) proviene dal gruppo di Roma futurista, il “giornale del Partito politico futurista” (divenuto poi “settimanale del Movimento futurista) nato nel settembre del 1918, prima della fine della guerra, per iniziativa degli stessi Marinetti, Carli e Settimelli, e che accompagna, non solo cronologicamente, la trasformazione del Futurismo da movimento in partito. Fin dall’editoriale del primo numero Dinamo (o La Dinamo, come talora si definisce la rivista) desidera sottolineare la differenza dagli altri giornali che, pur dichiarandosi futuristi, non furono in grado di seguire coerentemente la pratica avanguardistica. «La Dinamo sarà l’organo intransigente del movimento futurista artistico e del partito politico futurista». È evidente da queste prime dichiarazioni la netta presa di posizione del periodico e il desiderio di riaffermare prepotentemente l’esistenza di un futurismo unico, quello marinettiano. È forte inoltre la polemica nei confronti di quegli artisti che, pur provenendo da una militanza futurista, se ne sono poi distaccati per andare ad ingrossare le fila dei cosiddetti “passatisti”. La posizione del gruppo di “Dinamo” è coerente con l’atteggiamento abitualmente assunto da Mari-

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netti e risponde all’esigenza di un richiamo all’ordine e della ripresa dell’egemonia del movimento, in seguito allo sfaldamento del futurismo causato dalla crisi bellica. Dinamo non affronta mai apertamente le questioni politiche, ma resta legato ad un orizzonte strettamente artistico: molti sono i testi creativi, le parole in libertà, le sintesi teatrali. Frequentemente le pagine del periodico ospitano illustrazioni, disegni, riproduzioni. Largo spazio è dedicato anche a riquadri pubblicitari di mostre o pubblicazioni futuriste (una lunga recensione è dedicata a Crepapelle di Luciano Folgore); in particolare vengono messi in risalto i titoli dell’editore Ugoletti che, oltre a Dinamo stampava anche Roma futurista e Cronache d’attualità. L’unica rubrica presente nella rivista è denominata “Caffè-Concerto”; essa ha inizio col numero 4 e contiene cronache artistiche e teatrali. I testi teorici costituiscono una minoranza: nel numero di maggio appare L’arte dei rumori di Luigi Russolo, e in quello successivo troviamo l’articolo dal titolo Architettura futurista in cui Virgilio Marchi accosta l’architettura alla genialità, all’ispirazione. Tra i manifesti vengono riproposti La declamazione dinamica e sinottica di Marinetti e il Teatro futurista sintetico di Marinetti, Settimelli e Corra. Vi sono inoltre altri interventi, meno noti ma che vale la pena segnalare. Il primo numero ospita, ad esempio, l’ultimo scritto inedito di Umberto Boccioni dedicato a Virgilio Funi, definito “uno dei migliori campioni della giovane pittura italiana”. Sul numero 5 troviamo invece un curioso intervento di Marinetti (Il proletariato dei geniali) il quale propone che in ogni città venga costruito un palazzo, denominato “Mostra libera dell’ingegno creatore”,

L. Russolo, L’ Arte dei Rumori, in “Dinamo”, pag. 225 F. T. Marinetti, La declamazione dinamica e sinottica, in “Dinamo”, pag. 224 F. T. Marinetti, Teatro futurista sintetico, in “Dinamo”, pag. 224

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F. T. Marinetti, Il proletariato dei geniali, in “Dinamo”, pag. 223

Anonimo, Caffè-Concerto, in “Dinamo”, pag. 225

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dove possa venir valorizzata tutta la schiera di uomini geniali, troppo spesso “derisi, svalutati, imprigionati”. Nel sesto numero Mario Carli propone un articolo in cui manifesta tutto il suo disprezzo per gli artisti cosiddetti “puri”: gli apatici, i contemplativi, gli statici, i sofistici; e sottolinea il fatto che i futuristi non concepiscono altra opera d’arte se non quella che “scaturisce fulmineamente dall’urto brutale con la vita”. Dinamo, pur volendo riportare nell’alveo del futurismo i vari sperimentalismi, non giunge quasi mai a scontri aperti. Tuttavia, un accenno di polemica è rintracciabile nell’articolo di Gino Soggetti (n.3, aprile 1919), il quale si schiera contro le neo-nata Ronda, definendola «un’infelice creatura di cervelli pecorili non più giovani, uno scatto a vuoto nel campo dell’arte moderna». Violento e privo di mediazioni è invece l’attacco nei confronti del dadaismo: nella rubrica Caffè-Concerto del sesto fascicolo il movimento artistico fondato da Tristan Tzara è paragonato a «roba di seconda mano», «una specie di infantilismo e di balbettamento, che puzza alquanto di tedescheria». La rivista sospenderà le pubblicazioni prima delle elezioni e verrà sostituita dalla serie artistica di Roma futurista. Pur essendo di durata limitata, Dinamo rappresenta un’esperienza interessante poiché contribuisce a mostrare con chiarezza i fili che componevano la variegata trama dello sperimentalismo nella Roma tra la prima guerra mondiale e la fine degli anni Venti. Essa mette in luce il groviglio di inquietudini e di nuove ricerche che ha attraversato il Futurismo nel dopoguerra, e rende evidenti le soluzioni e gli atteggiamenti adottati dal gruppo per tentare di risolvere i problemi


dell’avanguardia marinettiana. CIRCE. Catalogo informatico riviste culturali europee Movimento e giornali a Gorizia Questa volta i segnali partivano da Gorizia, e Fiume, crogiuolo di tutte le irrequietezze per la cui causa il Futurismo si batteva e si agitava con vigore, stava sullo sfondo. A onor del vero l’avventura di D’Annunzio non era ancora in corso quando Roma futurista, organo del Partito politico futurista, ospitava nel suo numero 15/16 del 13/20 aprile 1919 una lettera di adesione al movimento e al partito di Sofronio Pocarini, giornalista e poeta del capoluogo isontino. Sul medesimo periodico, di cui era condirettore il goriziano Enrico Rocca, il 19 ottobre 1919, e quindi dopo l’occupazione di Fiume da parte dei legionari dannunziani avvenuta il 12 settembre, Pocarini annunciava, assieme all’architetto Mario Mirko Vucetich, la nascita a Gorizia della Sezione del Movimento futurista per la Venezia Giulia. Nella città del Carnaro, proprio nell’ottobre del 1919, Pocarini aveva consumato una breve ma intensa esperienza giornalistica, cogliendo l’opportunità di respirare l’aria eccitata delle primissime sperimentazioni politiche e culturali della ‘città di vita” dannunziana. Pocarini, del resto, aveva già organizzato a Gorizia, nella primavera del’ 19, un gruppo yoga di “ ... irruenti e arditi futuristi goriziani”. Egli insomma non era estraneo alle grandi tensioni del momento, sia sul piano politico che su quello culturale, e spesso in quei frangenti era l’attrazione per la battaglia politica a su-

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scitare l’interesse per l’impegno culturale. I fermenti fiumani, che nel corso del 1920 trovavano espressione, tra gli altri, nei periodici La testa di ferro, fondato e diretto dal futurista Mario Carli, e Yoga, con l’iscrizione in testata Yoga unione di spiriti liberi tendente alla perfezione, creato e guidato dal legionario futur-ardito Guido Keller assieme a Giovanni Comisso, costituivano quindi uno strato influente, ancorché indiretto, sulle vicende dell’avanguardia e del Futurismo giuliano e perciò della sua produzione editoriale, quantomeno sino alla fine del 1924. Nel 1921 il giovanissimo udinese profugo di guerra a Milano con la famiglia, Michele Leskovic (più tardi noto con il nome d’arte Escodamè) sottoscriveva nella capitale lombarda, assieme a tali Roberto Clerici e Pietro Albrighi, il manifesto futurista Svegliatevi, Studenti d’Italia! che prupugnava, tra l’altro, l’abolizione dell’insegnante, nell’interesse della libertà cerebrale dello studioso”. Il provocatorio ed entusiasmante messaggio sortiva i suoi effetti anche a Trieste, ove due giovanissimi studenti di scuola media superiore, Umberto Martelli e Bruno Giordano Sanzin, fondavano nel dicembre 1922 il Gruppo Futurista Studentesco, annunciandone la nascita su Gaudeamus igitur, settimanale studentesco della Venezia Giulia, su cui Sanzin reggeva la rubrica Futurismo, comprendente una pagina del periodico, che dava informazioni sull’attività del movimento a livello nazionale ed internazionale, nonchè pubblicava brani tratti da opere teatrali di autori futuristi.

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«L’Aurora» Il periodico, pur qualificandosi come organo del movimento futurista giuliano, rivela lo sforzo di comporre in una sola testata tendenze diverse, momentaneamente riferibili al futurismo italiano, ma di certo non tutte allineate con l’ortodossia marinettiana, nè sul versante politico nè su quello artistico e paroliberistico. Basta scorrere la rivista per notare la convivenza delle composizioni parolibere di Sanzin con quelle semi-futuriste o espressioniste di Pocarini e Tummolo e con gli sperimentalismi di Dolfi e Jablowsky, e ancora con i colti interventi culturali del trinomio di Epeo, che si occupa anche della recensione di libri e riviste d’avanguardia di tutto Europa, rivelando vocazioni ed interessi raramente riscontrabili nei più giovani protagonisti dei futurismi regionali italiani. Pocarini dosava con equilibrio la presenza dei grandi nomi del Futurismo nazionale, garantendo sempre la prevalenza degli autori locali, vuoi nella componente marinettiana ortodossa facente capo a Sanzin vuoi in quella “sperimentale” e di più ampie visioni degli epeiani, con a capo il “genio” Carmelich. L’Aurora peraltro suscitava interesse, e qualche riserva, quanto meno in due personaggi di livello europea e internazionale come Depero e Prampolini; il 10 aprile 1924 il primo scriveva infatti a Sonzin «Ho ricevuto vostra la rivista L’Aurora, cambiate il titolo, non va. Bella internamente - originali le xilografie di Carmelich. Vi abbraccio Vostro Depero»; il 18 luglio dello stesso anno Prampolini scriveva a Sanzin:

G. Carmelich, Xilografie, in “L’ Aurora”, pag. 230, 231

[...] Ho visto il n. 7 di Aurora, vedo sempre una grande reclame

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intorno a Depero, ma niente intorno a me che produco futuristicamente più di tutti, in occasione della mia esposizione a Vienna settembre Pocarini potrebbe fare un N. unico dedicato alla mia opera con vostri artisti e altri celebri futuristi. Desidererei anche una tua lirica in libertà intorno alla mia opera. Scrivi, io acquisterei un centinaio di copie a prezzo di vendita. Vi invierò delle segnalazioni. Scrivi a Pocarini. Con affetto Prampolini.

L’istanza di Prampolini sortiva i suoi effetti e il numero 10 dell’ottobre 1924 (l’ultimo che risulta pubblicato) veniva dedicato tutto a Prampolini con testi di Vasari, Gori, Furlani, Mix, Carmelich, Pocarini e dello stesso Prampolini. Per ironia della sorte non compariva Sanzin, che pure aveva perorato la causa del numero-omaggio a Prampolini; egli infatti aveva rotto i rapporti con il gruppo e in particolare con Pocarini a seguito di una feroce beffa giocatagli da quest’ultimo con la stampa a proprio nome, quale Edizione del movimento futurista giuliano , Trieste, del volumetto Un buon parolibero e un verseggiatore mancato, che contiene in realtà esclusivamente tavole parolibere e versi di Sanzin con una prefazione e una postfazione ai versi, queste sì di Pocarini, fortemente ironiche e assai pesanti sul collega triestino, che si vedeva così “bruciati” i materiali paroliberi di un suo annunciato prossimo volume dal titolo Guerra al passato. L’Aurora cessava di esistere dopo esser uscita con 11 numeri (a quanto consta dalle indicazioni in testata, ma se ne conoscono 7 e dopo aver segnato il momento più felice e più alto raggiunto dall’avanguardia giuliana raccolta sotto l’insegna del Futurismo.

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«25» L’esito del Primo congresso futurista di Milano (23-25 novembre 1924) era devastante per l’unità dei giuliani: Jablowsky, che del congresso era uno dei responsabili organizzativi, abbandonava il Futurismo. Carmelich e Dolfi orientavano i loro interessi di ricerca verso il Costruttivismo e, assieme all’amico, ricomponevano la triade di Epeo e davano vita a Trieste, nel gennaio 1925, ad una rivista significativamente intitolata 25, sintesi pubblicitaria dell’arte contemporanea. Il primo numero consiste in una cartolina a tre ante di formata cm. 9x14. L’impianto grafico, naturalmente elaborato da Carmelich, è di chiara ascendenza cubocostruttivista e quello tipografico richiama immediatamente le esperienze del Bauhaus e quelle raccolte nel Die Neue Typographie di Tschicold (che peraltro sarebbe stato pubblicato appena nel1928, quindi tre anni più tardi) e, ancor più da vicino, quelle della contemporanea Elementare Typographie, la nuova scuola russa che si rifaceva ai valori dei suprematisti russi, attingendo però a tutto campo alle fonti delle più avanzate avanguardie europee. Nella primavera del 1925 compariva il secondo numero, che si qualificava Rivista trimestrale; questa volta la forma è quella di un normale periodico, misura infatti cm. 23x 18 e consta di 12 pagine. I testi sono della solita triade, ma anche di Pocarini, Zaratin e, ciò che più conta e colpisce di Max Jacob; diretto quindi, e autorevole, il richiamo all’avanguardia europea. Non si conoscono altri numeri di 25, che tuttavia rappresenta un’esperienza avanzatissima e per certi

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aspetti unica nel panorama dell’avanguardia italiana. Baratti, De Grassi, Scudiero. Parole in libertà : libri e riviste del futurismo nelle Tre Venezie. 28-36 Anni Trenta Nelle arti del decennio il futurismo va sfumando quel toni trasgressivi che tanto scandalo hanno in passato suscitato; con l’aeropittura si recupera appunto un certo figurativismo e, sempre in fase di normalizzazione, si arriva a concepire perfino un arte sacra, in poesia tornano senso e sintassi, mentre l’ architettura diventa «arte trainante» sulle maggiori testate. Gli interessi architettonici, in grande espansione, sono il riflesso d‘un atteggiamento nuovo di fronte alle cose: non più la forza dell’utopia che distrugge il passato, disprezza il presente ed ha lo sguardo rivolto al futuro, bensì l’immersione nell’oggi, l’attuazione della progettualità futurista. Alla fase della scandalo subentrano la conquista del museo, la progettazione della Città nuova, non più futuribile, ma da realizzare. Questo «presentismo» si riscontra pure nei manifesti che non hanna più implicazioni palingenetiche ma si riferiscono piuttosto a settori particolari, investendo spesso la vita quotidiana, le arti applicate (dalla cucina alla plastica murale, dalla cravatta al cappello, dalla fotografia alla radio, dalla pubblicità al cinema, alla ceramica. Tutto diviene «aereo» in virtù del mito aviatorio, che peraltro cela un’aspirazione alla «leggerezza», ma anche alla fuga verso chissà quali cosmici approdi: aeropoesia, aero-

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pittura, aeroplastica, aeromusica, aerodanza, aeroarchitettura, ecc., ecc. Questo desiderio d’un «altrove» rappresenta una tendenza opposta a quella del presentismo, ma in fondo complementare. Marinetti funge da capo carismatico ed affida al luogotenente Mino Somenzi il compito di garantire un’ufficialità futurista attraverso una serie di testate, Futurismo, Sant’Elia, Artecrazia, che nel tempo organizzano il movimento come un vero e proprio partito di artisti. Fillia con le sue riviste rappresenta invece un volto del futurismo più aperto alle esperienze estere, una tendenza dunque meno autarchica. Tra queste due linee principali si collocano altre situazioni minori, che tentano di navigare controcorrente, mettendo in discussione la centralità rappresentata dalla gestione Somenzi, apparentemente avallata da Marinetti. [...] Con l’omaggio a Sant’Elia i futuristi intendono attribuire all’architetto comasco tutti i meriti dell’edilizia moderna ed anche la paternità del razionalismo. [...] Nel 1932 esce a Torino La città nuova, «quindicinale di artevita» di Fillia, che ha periodicità irregolare (vi collaborano Pagano, Levi-Montalcini). Salaris. Storia del futurismo. 190-192 Depero futurista Da un lato l’adesione di Depero al Futurismo non fu incondizionata. Ad esempio assunse fin dal principio una posizione critica nei confronti della volontà di Boccioni di “rifare la storia”. Fu invece molto più vicino alle concezioni del suo maestro Balla, conside-

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randolo il pioniere di una ricerca approfondita sulla genesi e la struttura funzionale della forma. Tale ricerca verrà poi portata avanti da Depero in maniera molto discreta all’interno del gruppo futurista, individuando e chiarendo analiticamente la relazione tra Futurismo e altre correnti artistiche che non fossero (ovviamente) il Cubismo, in particolare il Dadaismo di Marcel Duchamp. Nel 1927 pubblica il suo famoso Depero Futurista altrimenti noto come “libro bullonato”. Il volume di Depero, come è ormai noto, oltre che essere impresso in formato anomalo (cioè in ottavo oblungo) è infatti tenuto assieme da due grossi bulloni con relativo dado. Ma la fama che già allora il libro si guadagnò presso tutti gli ambienti culturali, anche e soprattutto extra-futuristi (Kurt Schwitters ne era rimasto affascinato, come scrisse a Depero, e ne custodiva una copia nella sua biblioteca che mostrava spesso ad amici e colleghi), era dovuta non soltanto all’originale legatura meccanica (ideata da Azari, l’editore del volume che però si compone e si stampa a Rovereto) quanto dalla nuova, globale, impostazione editoriale concepita da Depero. Non solo, quindi, operazione di confezionamento, di facciata esterna, quanto piuttosto autentica rivoluzione tipo-grafica nella composizione della pagina. Alto, basso, ortogonalità, corpo, carattere, carta: tutto viene sovvertito e piegato ai desideri dell’artista. I testi, di conseguenza, viaggiano in diagonale, oppure non vengono più composti per colonne ma assumono le forme più bizzarre (da quelle alfabetiche a quelle geometriche). Per poterli leggere consecutivamente il lettore è a volte direttamente, se non fisicamente, coinvolto (suo malgrado). Infatti, il senso della lettura

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assume spesso senso rotatorio e così tutto il libro deve essere ruotato seguendo apposite istruzioni e frecce direzionali poste a corredo. La carta cambia continuamente di spessore ed anche di colore: grezza, poti nata, fine, grossa, trasparente; di colore bianco, giallo, verde, azzurro. Inoltre, a causa della sua originale quanto ingombrante legatura, il libro diviene quasi incollocabile in libreria fianco a fianco con quelli “normali”, con il rischio di graffiarli od ammaccarli con i bulloni. Insomma libro ed allo stesso tempo oggetto, primo di una lunga serie cui si dedicarono poi molti artisti non solo futuristi. Ma, dal punto di vista del prodotto, dove finisca il libro e dove inizi l’oggetto è francamente difficile dirlo. Nel 1933 Depero si impegna a fondo nel suo nuovo progetto, la rivista Dinamo Futurista. Ne usciranno solo 5 numeri, di cui uno triplo dedicato a Boccioni, ma l’operazione di Depero sarà comunque di grande supporto all’attività dei gruppi futuristi del Veneto a cui dà grande spazio. Il formato è l’infolio grande (sul tipo dell’odierno tabloid), la grafica e l’impaginazione sono, come sempre, vivaci sebbene meno sperimentali delle opere precedenti. L’anno seguente, nel 1934, Depero concluderà il ciclo più felice delle sue proposte editoriali con le Liriche radiofoniche, che esce a Milano presso Morreale. Questo ennesimo libro di Depero vede, ovviamente, il suo precedente teorico nel manifesto di Marinetti. Baratti, De Grassi, Scudiero. Parole in libertà : libri e riviste del futurismo nelle Tre Venezie. 44-47

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«Futurismo» Nel maggio del 932 esce a Roma Futurismo, «quindicinale dell’artecrazia italiana» di Mino Somenzi. Il giornale, nonostante i periodi di sospensione, riesce a garantire una certa continuità, divenendo l’organo di stampa più importante del futurismo.(Cambierà la testata prima in Sant’Elia, poi in Artecrazia). La linea somenziana tende ad affermare l’identità ideale che lega futurismo e fascismo, tentando di rappresentare il movimento come massimo interprete artistico dello spirito sansepolcrista. La rivista vuole far passare l’idea d’un’avanguardia di massa, agendo allo scopo come un organo di partito: interessante è per esempio l’«aeropostale futurista» di Brunas (Bruna Somenzi), una piccola posta che funge da raccordo tra molteplici gruppi locali, spesso spontanei e singole persone. [...] L’allargamento del numero dei seguaci comporta necessariamente una certa elasticità nell’accogliere opere da pubblicarne deriva una linea non sempre coerente. Nel complesso, Somenzi assume il ruolo della «buona coscienza» del regime e da posizioni puriste non esita a denunciare certe iniziative dell’establishment fascista. [...] Il giornale dà notevole spazio alla Mostra della rivoluzione fascista (Roma, 1932-33), valutando gli allestimenti (a partire dalla facciata rifatta da De Renzi e Libera sul vecchio Palazzo delle Esposizioni) come obiettivamente influenzati da Sant’Elia. La grande rassegna pone il problema della fruizione politicopropagandistica dell’arte e quindi del ruolo dell’arte di stato, che ai futuristi oggi appare come illegittimo

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approdo del rifiuto dell’«arte per l’arte». E certamente negli allestimenti si riscontra una certa influenza dell’arte di propaganda russa o tedesca (molte sono le ispirazioni costruttiviste e frequente è l’uso del fotomontaggio, come si può constatare dal volume uscito nel 1933 a cura del Pnf). Dopo che La città nuova di Fillia chiude i battenti (1933) su Futurismo aumenta l’interesse per l’architettura (vi collaborano Sartoris, Levi-Montalcini, Fillia e Giuseppe Pensabene, che da difensore del razionalismo in seguito si trasformerà in nemico dell’ arte moderna). Nel 1933 a Futurismo si affianca il giornale di turismo, arte e architettura La terra dei vivi di Fillia (pubblicato dalla Casa d’arte di La Spezia durante la preparazione del premio di pittura Golfo della Spezia), che manifesta una particolare attenzione per il problema dell’estetica del paesaggio. Il giornale di Somenzi ospita poi le polemiche sul concorso per la stazione nuova di Firenze. Il progetto di Angiolo Mazzoni, cui dapprima è stato affidato l’incarico, ha suscitato infatti aspre critiche, e così è stata indetta una gara. Contro il Mazzoni, difeso da Ugo Ojetti, si schiera Marinetti che fa parte della commissione. II premio viene dato al gruppo toscano capitanato da Giovanni Michelucci. Con uno stupefacente voltafaccia, poco dopo la testata di Somenzi cambia opinione: dopo avere sposato la causa del gruppo vincente dà il via ad un processo di rivalutazione di Mazzoni il quale, sorprendendo tutti, e suscitando non poche perplessità nelle file marinettiane, si dichiara ben presto futurista. Verso la fine del 1933 Futurismo è impegnato a creare attenzione per la Prima mostra nazionale futurista

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che a Roma raduna un grandissimo numero di espositori. È evidente dai nomi il grande ricambio generazionale. «Sant’Elia» Dal luglio all’ottobre del 1933 l’ultima pagina di Futurismo reca la testata di Sant’Elia, che diventa il titolo della nuova pubblicazione di Somenzi in autunno. Il periodico vuol essere l’«organo del nuovo movimento italiano Sant’Elia». Futurismo diventa la testata dell’ultima pagina. Alla direzione troviamo anche Mazzoni, dal primo numero del 1934. Nell’editoriale d’apertura Somenzi sostiene che il giornale intende non solo contrastare le «molte influenze nordiche, moderne o pseudomoderne, che tentano pregiudicare lo sviluppo naturalmente antinordico della nascente architettura fascista», ma anche «coordinare le nascenti volontà fasciste contro l’invadenza di “stili” che non corrispondono alle esigenze liriche imposte dal clima dal temperamento della tradizionale gloria artistica della nostra razza». Si parla inoltre di «architettura mussoliniana» e non più di «architettura futurista»: la via dell’autarchia culturale è ampiamente praticata, contro le tentazioni razionaliste dei torinesi. Il giornale dà risalto ad alcuni temi: l’analisi del moderno come prodotto del genio di Sant’Elia, la critica del razionalismo come neoaccademia, la presentazione di materiali italiani per l’edilizia, e perfino l’architettura aerea (vedi il Manifesto dell’architettura aerea di Marinetti, Somenzi e Mazzoni - 10 febbraio 1934, nella pagina di Aerovita) in cui viene immaginata una

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«città unica a linee continue da ammirare in volo», con «edifici in forma di sfera, cono, piramide, prisma». Somenzi, Spiridigliozzi e Prampolini realizzeranno sul tema dei progetti. La ricerca d’uno stile fascista eclettico, non rigorosamente d’avanguardia, ed anche la presenza moderata del Mazzoni finiscono per creare dello scontento nelle schiere marinettiane. Nel corso del 1934 i torinesi non appaiono più sul giornale, che nell’ottobre di quest’anno abbandona il nome di Sant’Elia per nascere come Artecrazia (il titolo era già apparso come nome di un supplemento di Futurismo). Appare chiaro che Somenzi intende presentarsi come l’esponente d’avanguardia più vicino al regime, in qualche modo più adatto di Marinetti stesso a guidare un movimento per l’architettura moderna. «Stile futurista» Nel 1934 riprende La città nuova di Fillia, che porta avanti il colloquio coi razionalisti e dà spazio all’architettura degli interni. […] Nel 1935 fonda Stile Futurista, che dirige con Prampolini, dove affronta il rapporto pittura-architettura. Qui esce l’articolo-manifesto Plastica murale, di Fillia, che prelude al recupero del “soggetto”, ispirato alla realtà dell’epoca. Proprio a Genova, sempre nel 1934 si tiene la prima mostra di plastica murale (con catalogo pubblicato da Stile futurista). […] Tra il 1934 e il 1935 Stile futurista affronta il tema singolare del naturismo, che comporta la ricerca d’una nuova architettura nell’ambito dell’equilibrio tra spazio edificato e spazio verde.

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A Torino Fillia lancia il giornale La forza (1935), a Roma esce Il nuovo di Ginna (1934): entrambi parlano di naturismo. […] Nel 1934 Marinetti e Ginna in occasione del primo congresso naturista-futurista, tenutosi a Milano, hanno lanciato un manifesto in cui tra l’altro si condanna il nudismo perché poco eroico, troppo pacifista e antivirale (eppure una volta Marinetti sognava un mondo di uomini nudi, liberi dai vestiti “passatisti”, con piazze e strade “termosifonate” d’inverno. […] Non è escluso che Marinetti cerchi con questa dimostrazione di sopravvivere nel regime, mentre in Germania già infuria la lotta contro l’arte moderna. «Artecrazia» Artecrazia domina la situazione nella seconda metà del decennio. Il gruppo torinese si disperde dopo la morte di Fillia, avvenuta nel ‘36. Il giornale di Somenzi dà spazio a temi quali la difesa dalle incursioni aeree, l’urbanistica coloniale e l’autarchia edilizia, con impronta tutta mussoliniana; ma a parte ciò riesce ad assicurare a Marinetti la difesa del futurismo e dell’arte moderna in occasione del tentativo reazionario di trasferire in Italia l’operazione “arte degenerata”, di marca nazista, con tutte le sue implicazioni razziali. Dopo questo episodio la testata viene prima sequestrata e poi soppressa nel 1939. Per ricostruire sia pure sommariamente i fatti, occorre tornare un po’ indietro nel tempo. Un primo segno di attrito tra l’avanguardia italiana e la politica culturale del nazismo si è manifestato in

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occasione della mostra di aeropittura a Berlino (1934). Già si sta esprimendo l’intolleranza nazista nei confronti della cultura moderna […] l’arte d’avanguardia è vista come degenerazione ed espressione di corruzione e decadenza […] si individua la pericolosità politica insita nel concetto stesso d’avanguardia artistica. […] Somenzi, ebreo e intellettuale d’avanguardia, si è buttato nella mischia dando battaglia col suo giornale. Il culmine dello scontro è raggiunto nei due ultimi numeri (tra il dicembre 1938 e il gennaio successivo). Somenzi parla di speculazione nata da interessi di parte e i suoi toni sono espliciti e violenti. […] Nell’ultimo numero giungono i primi stralci d’una azione plebiscitaria in favore dell’arte moderna. […] L’equivoco d’un fascismo rivoluzionario è pure alla base della difesa di Marinetti, tutto teso a saldare la frattura che vuole allontanarlo dall’orbita del regime. Il fascicolo riporta inoltre un elenco di nomi, compilato da Marinetti, Sartoris e Terragni, che non rientrano nelle coordinate del bolscevismo e dell’ebraismo. Difesa diplomatica, questa, che tuttavia non salva il giornale dal sequestro. Salaris. Storia del futurismo. 193-203

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Epilogo La storia del movimento volge al termine sullo sfondo del secondo conflitto mondiale il futurismo segue il fascismo sino all’utimo atto. Marinetti, vantando di essere uno specialista nella descrizione poetica della guerra, tende a presentarsi ora come un «Omero meccanizzato». Al nuovo clima instaurato egli dedica i suoi interventi (dal Manifesto dell’aeropittura dei bombardamenti, in Il giornale d’Italia, 4 dicembre 1940 al Manifesto dell’aeropittura maringuerra, febbraio 1941). [...] Si conclude nei primi anni Quaranta la vicenda umana di Marinetti, condotto dalle scelte politiche su un fronte opposto a quello su cui si sono trovati tutti gli avanguardisti europei. In proposito vale la pena di ricordare una frase di Louis Mandin, tratta da Les Marges, che il capo del futurismo riporta nel «collaudare» il libro di Bellanova: Mallarmé è il nonno dei dadaisti divenuti surrealisti Aragon e Breton. Marinetti è il loro padre. Essi hanno rubato a Marinetti tutto: pantaloni, calze, tic nervosi. Marinetti tuonò manifesti incendiari; essi pure. Marinetti si fingeva Rabelais; essi pure. Marinetti abusava della parola di Cambronne; essi pure. Le parole in libertà futuriste furono la prima manifestazione dadaista e sfido chiunque a negarlo. Marinetti domandava il diritto all’incoscienza in poesia; essi pure. Se fossero andati in guerra anch’ essi non si potrebbe distinguerli dal loro padre.

C’è da aggiungere però a queste affermazioni che mentre il dadaismo trova terreno fertile nel pacifismo, e il surrealismo congiunge il pensiero di Freud al

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marxismo, il marinettismo, invece, affonda le proprie radici nell’irrazionalismo, tanto nella fase del superomismo aggressivo che in quella sentimentale-mistica degli ultimissimi anni. Ma l’elemento di fondo che divide il futurismo dalle correnti dell’avanguardia è proprio la politica; il dadaismo, il surrealismo e il futurismo praticano una rivolta del desiderio che postula il recupero della creatività da parte di tutti; in ciò i tre movimenti sono anarchici allo stesso modo. Ma in Marinetti è presente la componente nazionalista, per la quale egli ha ceduto sul terreno delle libertà, ponendo sempre e dovunque il patriottismo al primo posto. Salaris. Storia del futurismo. 243-250

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Sezione due Barattin, Dino; De Grassi, Marino; Scudiero, Maurizio. 1992. Parole in libertĂ : libri e riviste del futurismo nelle Tre Venezie. Monfalcone : Edizioni della Laguna. Bartram, Alan. 2006. Futurist Typography and the Liberated Text. New Haven: Yale University Press. Cammarota, Domenico. 2006. Futurismo: bibliografia di 500 scrittori italiani. Rovereto: Mart; Milano: Skira. C.I.R.C.E. Catalogo informatico riviste culturali europee. - Catalogo Informatico delle Riviste Futuriste. www.circe.lett.unitn.it Godoli, Ezio. 2001. Il dizionario del futurismo. Firenze: Vallecchi. Lista, Giovanni. 1984. Le livre futuriste. Modena: Panini.























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Corrado Govoni, Afa, anno V, 1909

Sem Benelli, Apparizione dell’idea, anno I, 1905

Alfred Jarry, Le Fouzi-Yama: (Poème en prose), anno I, 1905

Jean Cocteau, Tes yeux, anno IV, 1908

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Filippo Tommaso Marinetti, A Gustav Kahn, anno I, 1905, disegno di Enrico Sacchetti

Filippo Tommaso Marinetti, A Madame Ada Negri, anno II, 1906, disegno di Enrico Sacchetti

Sem Benelli, Giovanni pascoli, anno I, 1905, disegno di Enrico Sacchetti

ÉmileBernard, A Marinetti, anno IV, 1908, disegno di Romolo Romani

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Sem Benelli, Concorso di poesia, anno V, 1909

Filippo Tommaso Marinetti, Il grande concorso di Poesia, anno I, 1905

Filippo Tommaso Marinetti, Concorso di Poesia, anno I, 1905

Marinetti, Benelli, Ponti, Inchiesta internazionale di Poesia sul Verso Libero, anno I, 1905

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Manca, Le Futurisme dans la caricature italienne, anno V, 1909

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Filippo Tommaso Marinetti, Fondazione e Manifesto del Futurismo, anno V, 1909

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Filippo Tommaso Marinetti, Tuons le clair de lune, anno V, 1909

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Filippo Tommaso Marinetti, Uccidiamo il chiaro di luna!, Edizioni di “Poesia”, 1911

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Filippo Tommaso Marinetti, Les mots en liberté futuristes, Edizioni di “Poesia”, 1919


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Giovanni Papini, Introibo, primo editoriale di Lacerba anno I, n. 1, 1째 gennaio 1913

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Filippo Tommaso Marinetti, Ponte, anno II, n. 1, 1째 gennaio1914

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Guglielmo Jannelli, Messina, anno II, n. 4, 15 febbraio 1914

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Francesco Cangiullo, Fumatori: Parole in libertà , anno II, n. 1, 1° gennaio 1914

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Francesco Cangiullo, Serata in onore di Yvonne - Quattro tavole, anno II, n. 12, 15 giugno 1914

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Carlo Carrà, Cd’hArcOUrtFÉ, anno II, n. 13, 1° luglio 1914

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Ardengo Soffici, Al buffet della Stazione, anno II, n. 15, 1째 agosto 1914

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Giovanni Papini, Contro il futurismo, anno I, n. 6, 15 marzo 1913

Filippo Tommaso Marinetti, Programma Politico Futurista, anno I, n. 20, 15 ottobre 1913

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Italo Tavolato, Elogio dellaprostituzione, anno I, n. 9, 1째 maggio 1913

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Giovanni Papini, Il cerchio si chiude, anno II, n. 4, 15 febbraio 1914


Umberto Boccioni, Il cerchio non si chiude, anno II, n. 5, 1째 marzo 1914

Giovanni Papini, Viva il Maiale!, anno II, n. 10, 15 maggio 1914

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Palazzeschi, Papini, Soffici, Futurismo e Marinettismo, anno III, n. 7, 14 febbraio 1915

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Giovanni Papini, Abbiamo vinto!, anno III, n. 22, 22 maggio 1915


Guillaume Apollinaire, L’antitradizione futurista - Manifesto, Anno I, n. 8, 15 settembre 1913

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Filippo Tommaso Marinetti, Le immagini senza fili e le parole in libertà - Manifesto, anno I, n. 12, 15 giugno 1913

166

Carlo Carrà, La pittura dei suoni, rumori, odori. Manifesto futurista, Anno I, n. 17, 1° settembre 1913

Filippo Tommaso Marinetti, Dopo il verso libero le parole in libertà Manifesto, anno I, n. 22, 15 novembre 1913

Aldo Palazzeschi, Il controdolore Manifesto, anno II, n. 2, 15 gennaio 1914

Filippo Tommaso Marinetti, Lo splendore geometrico e meccanico nelle parole in libertà Manifesto anno II , n. 6, 15 marzo 1914

Antonio Sant’Elia, L’architettura futurista: Manifesto, anno II, n. 15, 1° agosto 1914


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Ardengo Soffici, Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi lirici, Edizioni Della Voce, Frontespizio,1915

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Ardengo Soffici, Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi lirici,Edizioni Della Voce, Tavola Parolibera, 1915


13



171


Jannelli, Nicastro, Vann’Antò, Il teatro sintetico futurista, anno I, aprile 1915

172

Jannelli, Nicastro, Vann’Antò, Boccioni; Russolo; I futuristi a San Francisco; Nella esposizione d’arte infantile; I pugilati della quindicina, anno I, aprile 1915


Francesco Cangiullo, Canzone pirotecnica, anno I, aprile 1915

173


Filippo Tommaso Marinetti, AntineutralitĂ : Sintesi teatrale, anno I, aprile 1915

174

Filippo Tommaso Marinetti, La guerra elettrica: (Visione-ipotesi) anno I, aprile 1915


Enrico Prampolini, Scenografia futurista-Manifesto anno I, maggio 1915

175



15



Jannelli, Paqualino, Parole in libertĂ , anno IV, 4 marzo 1916

179


Cangiullo, Buzzi, Nicastro, Jannelli, Parole in libertĂ , anno IV, 15 gennaio 1916

180


Marinetti, Mazza, Pratella, Buzzi, Cangiullo, Parole in libertĂ , anno III, 28 ottobre - 3 novembre 1915

181


Francesco Cangiullo, Pasqualino, anno IV, 26 febbraio 1916

182


Francesco Cangiullo, La prima poetessa parolibera: Marietta Angelini, anno IV, 12 febbraio 1916

183


Marinetti, Settimelli, Corra, Il teatro sintetico futurista-Manifesto, anno III, 23-31 dicembre 1915

184


Umberto Boccioni, Manifesto futurista di Boccioni ai pittori meridionali, anno IV, 5 febbraio 1916

185


Marinetti, Boccioni, Russolo, Sant’Elia, Sironi, Piatti, L’orgoglio italiano-Manifesto futurista, anno IV, 15 gennaio 1916

186


16





191


Paolo Buzzi, Pioggia nel pineto antidannunziana, 1916, tav. 6

192


Salvatore Quasimodo, Sera d’estate, 1917, tav. 8

193


194


195


Leoluca Labozzetta, Trincea, 1917, tav. 1

196

Paolo Buzzi, Canzone dei Bersaglieri, 1917, tav. 10


Jamar 14, Alla contessa Maria Ginanni dopo la lettura delle Montagne trasparenti, 1917, tav. 9

Francesco Cangiullo, Balie, 4 novembre 1917, n. 32

Lucio Venna, Sintesi di cittĂ ,1917, tav. 13

197


Ginna, Settimelli, Testata del 12 agosto 1917

198

Corra, Settimelli, Testata del 1째 dicembre 1916


22



201


Julius Evola, L’arte come libertà e come egoismo, anno IV, gennaio 1920

202


Gino Severini, La pittura d’avanguardia, anno II, febbraio 1918

203


Enrico Prampolini, Bombardiamo le accademie ultimo residuo pacifista, anno II, febbraio 1918

204


Filippo De Pisis, Il futurismo e l’arte contemporanea, anno I, 1923

Virgilio Marchi, Artefici futuristi, anno I,1923

205


Enrico Prampolini, L’atmosfera scenica futurista, anno I, 1924

206

Gino Gori, Teatro e scenografia in Italia, anno I, 1924


Antonio Angermayer, Il teatro espressionista e le sue tendenze artistiche, anno I, 1924

Filippo Tommaso Marinetti, Bollettino futurista, anno I, 1924

207


Filippo Tommaso Marinetti, Santa Unica torturata da Santa Velocità e da Santa Simultaneità: Parole in libertà, anno I, 1923

208


Vinicio Paladini, Estetica meccanica, anno I, 1923

Nelson Morpurgo, Parole in libertĂ , anno I, 1923

209


Francesco Cangiullo, Poesia Pentagrammata, anno I, 1923

210

Franco Casavola, Piedigrotta, anno I, 1923


Fernand LĂŠger, Natura morta, anno I, 1923

De pistoris, Ritratto: Costruzione spaziale, anno I, 1923

211


Prampolini, Pannaggi, Paladini, L’arte meccanica-Manifesto futurista, anno I, 1923

212

Filippo Tommaso Marinetti, I diritti artistici propugnati dai futuristi italiani-Manifesto al governo fascista, anno I, 1923


Filippo Tommaso Marinetti, Le futurisme mondial: Manifest Ă Paris, anno I, 1924

Filippo Tommaso Marinetti, Dopo il teatro sintetico e il teatro a sorpresa, noi inventiamo il teatro antipsicologico astratto, di puri elementi e il teatro tattile, anno I, 1924

213



25



217


Maino, Musica Passatista, Anno III, n. 84-85, 16 maggio 1920

218

Verderame, Ballerini, Anno III, n. 65, 11 gennaio 1920


27



221


Franco Bernini, Aerofrescura: (Parole in libertĂ ), anno I, n. 3, aprile 1919

222

Francesco Cangiullo, Pasqualino, Ritratto parolibero di Marinetti, anno I, n. 4, maggio 1919


Filippo Tommaso Marinetti, Il proletariato dei geniali, anno I, n. 5, giugno 1919

Giacomo Balla, Autoritratto; Primavera, anno I, n. 5, giugno 1919

223


Filippo Tommaso Marinetti, La declamazione dinamica e sinottica: Manifesto futurista, anno I, n. 1, febbraio 1919

224

Marinetti, Corra, Settimelli, Teatro futurista: Manifesto, anno I, n. 2, marzo 1919


Luigi Russolo, L’arte dei rumori: Nuova voluttà acustica, anno I, n. 4, maggio 1919

Anonimo, Caffè-Concerto, anno I, n. 6, luglio/agosto 1919

225


Giacomo Balla, studi del 1913 per le testate delle riviste “Dinamo” e “Dinamica”

226


65



229


Giorgio Carmelich, Ilustrazioni ne “L’ Aurora”, marzo 1923-1924

230


231


Giorgio Carmelich, Intestazione di carte da lettere per “L’ Aurora”, 1923

232


78



113





Mino Somenzi, Testata n. 8, anno I, 28 ottobre 1932

Mino Somenzi, Testata n. 29, anno II 26 marzo 1933

239



118





245


Fortunato Depero, Editoriale: Ringrazio, anno I, n. 1, febbraio 1933

246

Fortunato Depero, Grafica pubblicitaria Istituto di Credito Fondiario, anno I, n. 1, febbraio 1933

Fortunato Depero, Senza titolo, pagina di chiusura del fascicolo anno I, n. 1, febbraio 1933


Fortunato Depero, ABC del futurismo, anno I, n. 1, febbraio 1933

247


Fortunato Depero, Editoriale: Aver fede, anno I, n. 2, marzo 1933

Fortunato Depero, Grafica pubblicitaria Veramon-Schering, anno 1, n. 2, marzo 1933

248

Fortunato Depero, Grafiche pubblicitarie Radi; Komarek, anno I, n. 2, marzo 1933


Fortunato Depero, ABC del futurismo: Pittura futurista; Musica futurista; Architettura futurista, anno I, n. 2, marzo 1933

249


Giovanni Gerbino, Poesia pubblicitaria: Manifesto futurista, anno I, n. 2, marzo 1933

250

Filippo Tommaso Marinetti, Ritratto olfattivo di una donna, anno I, n. 2, marzo 1933


Fortunato Depero, Onoranze a Umberto Boccioni, anno I, n. 3-4-5, giugno 1933

Massimo Bontempelli, L’impegno prodigioso di Boccioni, anno I, n. 3-4-5, giugno 1933

251


Fortunato Depero, Grafica pubblicitaria, Cordial Campari anno I, n. 1, febbraio 1933

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TESTATE FUTURISTE

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SITOGRAFIA C.I.R.C.E. Catalogo informatico riviste culturali europee. - Catalogo Informatico delle Riviste Futuriste. www.circe.lett.unitn.it

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UniversitĂ degli Studi di Venezia FacoltĂ di Design e Arti CdL in Comunicazioni Visive e Multimediali Laboratorio di design della comunicazione 1 docenti: Sonnoli, Toneguzzi, Bisiani progetto di Rita Petrilli e Graziana Saccente

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