Gente di Bracciano Agosto 2020 n. 27

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Agosto 2020 - numero 27


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Gente Bracciano

Agosto 2020 - Numero 27 Dedicato a:

In ricordo di Marcella Mariani Editore: Associazione Gente di Bracciano Presidente: Claudio Calcaterra Direttore responsabile: Graziarosa Villani Redazione: Mena Maisano, Biancamaria Alberi, Luigi Di Giampaolo. Registrato al Tribunale di Civitavecchia n. 1388/2014

Stampa e impaginazione: FEDE 2011 srl Via dei Vignali, 60 - Anguillara Sabazia su carta riciclata al 100%

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Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti

Claudio Calcaterra: “La Rivoluzione culturale possibile”

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L’uomo ha bisogno di concretezza. L’uomo ha bisogno anche di utopia

a questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti. (L’ho consegnata di nascosto a Suor Chiara nella speranza che dopo la mia morte possiate leggerla). Comprendo di non avere più tanti giorni, dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna ricevuta per grazia da una giovane donna che ha la tua età Elisa mia cara. E’ l’unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso ma da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un po’ di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano. Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere su dispiacere sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi dentro questa bella “prigione”. Sì così l’ho pensata ricordando un testo scritto da quel prete romagnolo, don Oreste Benzi che parlava di questi posti come di “prigioni dorate”. Allora mi sembrava esagerato e invece mi sono proprio ricreduto. Sembra infatti che non manchi niente ma non è così… manca la cosa più importante, la vostra carezza, il sentirmi chiedere tante volte al giorno “come stai nonno?”, gli abbracci e i tanti baci, le urla della mamma che fate dannare e poi quel mio finto dolore per spostare l’attenzione e far dimenticare tutto. In questi mesi mi è mancato l’odore della mia casa, il vostro profumo, i sorrisi, raccontarvi le mie storie e persino le tante discussioni. Questo è vivere, è stare in famiglia, con le persone che si amano e sentirsi voluti bene e voi me ne avete voluto così tanto non facendomi sentire solo dopo la morte di quella donna con la quale ho vissuto per 60 anni insieme, sempre insieme. In 85 anni ne ho viste così tante e come dimenticare la miseria dell’infanzia, le lotte di mio padre per farsi valere, mamma sempre attenta ad ogni respiro e poi il fascino di quella scuola che era come un sogno poterci andare, una gioia, un onore. La maestra era una seconda mamma e conquistare un bel voto era festa per tutta la casa. E poi, il giorno della laurea e della mia prima arringa in tribunale. Quanti “grazie” dovrei dire, un’infinità a mia moglie per avermi sopportato, a voi figli per avermi sempre perdonato, ai miei nipoti per il vostro amore incondizionato. Gli amici, pochi quelli veri, si possono veramente contare solo in una mano come dice la Bibbia e che dire, anche il parroco, lo devo ringraziare per avermi dato l’assoluzione dei miei peccati e per le belle parole espresse al funerale di mia moglie. Ora non ce la faccio più a scrivere e quindi devo almeno dire una cosa ai miei nipoti… e magari a tutti quelli del mondo. Non è stata vostra madre a portarmi qui ma sono stato io a convincere i miei figli, i vostri genitori, per non dare fastidio a nessuno. Nella mia vita non ho mai voluto essere di peso a nessuno, forse sarà stato anche per orgoglio e quando ho visto di non essere più autonomo non potevo lasciarvi questo brutto ricordo di me, di un uomo del tutto inerme, incapace di svolgere qualunque funzione. Certo, non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine, ci sono anche alcune persone educate ma poi di fatto noi siamo solo dei numeri, per me è stato come entrare già in una cella frigorifera. In questi mesi mi sono anche chiesto più volte: ma quelli perché hanno scelto questo lavoro se poi sono sempre nervosi, scorbutici, cattivi? Una volta quell’uomo delle pulizie mi disse all’orecchio: “sai perché quella quando parla ti urla? Perché racconta sempre di quanto era violento suo padre, una così con quali occhi può guardare un uomo?”. Che Dio abbia pietà di lei. Ma allora perché fa questo lavoro? Tutta questa grande psicologia, che ho visto tanto esaltare in questi ultimi decenni, è servita solo a fare del male ai più deboli? A manipolare le coscienze e i tribunali? Non voglio aggiungere altro perché non cerco vendetta. Ma vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le rsa, le “prigioni” dorate e quindi, sì, ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro, almeno il dolore delle vostre lacrime unite alle mie avrebbero avuto più senso di quelle di un povero vecchio, qui dentro anonimo, isolato e trattato come un oggetto arrugginito e quindi anche pericoloso. Questo coronavirus ci porterà al patibolo ma io già mi ci sentivo dalle grida e modi sgarbati che ormai dovrò sopportare ancora per poco…l’altro giorno l’infermiera mi ha già preannunciato che se peggioro forse mi intuberanno o forse no. La mia dignità di uomo, di persona perbene e sempre gentile ed educata è stata già uccisa. Sai Michelina, la barba me la tagliavano solo quando sapevano che stavate arrivando e così il cambio. Ma non fate nulla vi prego… non cerco la giustizia terrena, spesso anche questa è stata così deludente e infelice. Fate sapere però ai miei nipoti (e ai tanti figli e nipoti) che prima del coronavirus c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide: l’assenza del più minimo rispetto per l’altro, l’incoscienza più totale. E noi, i vecchi, chiamati con un numeretto, quando non ci saremo più, continueremo da lassù a bussare dal cielo a quelle coscienze che ci hanno gravemente offeso affinché si risveglino, cambino rotta, prima che venga fatto a loro ciò che è stato fatto a noi.

Vostro nonno

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do”, feudale, degradato e alla mercé del fanatismo di una setta che con la storia, insieme ai nazionalfascisti, si scontra con la storia repubblicana libera e democratica. E come il capitalismo che fa del malessere che esso stesso genera. Il capitalismo nostrano è così epilettico, privo di fantasia e spregiudicato che gli italiani non devono temere per il mantenimento del proprio benessere e del proprio posto di lavoro gli extracomunitari ma piuttosto gli “extraindustriali” che puntano solo al profitto a vantaggio di pochi eletti. Il potere economico, come sta accadendo oggi in periodo di pandemia, va ribadito, è in mano ad un gruppo di “taglieggiatori” che non si creano scrupoli per recuperare, come meglio possono, danaro che non gli appartiene. Perciò abbiamo l’obbligo di una rivoluzione culturale che modifichi l’uomo dall’intimo, i suoi stessi sentimenti, la sua concezione della vita e di ciò che lo circonda, serve intanto riprendersi la “memoria storica”, divulgarla, mettere tutti in condizione di interpretare il presente, di strappare all’apatia coloro che sempre più frequentemente vengono gettati in un calderone bollente alimentato dalla bugia ricorrente, dalla mistificazione, dal loro stesso cinismo. I “televidioti”, gli stolti in genere, sono gli avversari più decisivi contro ogni cambiamento che le stesse classi dominanti mantengono. L’uomo ha bisogno di concretezza. L’uomo ha bisogno anche di utopia. Le classi dominanti sono insieme mandanti ed esecutori nel sopprimere queste esigenze: collettivizzarle, vivendo una grande avventura, per raggiungere qualcosa di meraviglioso: un mondo nuovo. Claudio Calcaterra

l dramma che ha coinvolto tutto il pianeta (Covid19) è anche figlio delle scelte del passato recente dei poteri forti. Arretramento, smarrimento, impoverimento e degrado in tutti i settori della società. Scoraggiare le masse è ciò che vogliono gli speculatori, i grandi evasori, i profittatori, i nemici delle masse annidati nei vari settori dei poteri economici, finanziari, politici, dell’informazione e purtroppo anche della Magistratura. Il cittadino è spesso “smarrito”. La relazione tra Nord e Sud passa attraverso una idea guida, per l’egemonia della grande città sulla piccola, di alcune regioni sulle altre Claudio Calcaterra per una sistematica distruzione di risorse ed energie, compresi usi costumi, patrimonio linguistico, storico, archeologico. Passa per interventi clientelari, sprechi di vari settori delle istituzioni, che lasciano aperti varchi enormi alla corruzione, alla criminalità organizzata, allo sfruttamento incivile dei lavoratori/trici nella produzione agricola (extracomunitari), nelle piccole e medie aziende, ai disservizi sanitari. Il disagio del Sud dell’Italia si manifesta senza nessun controllo e non s’indirizza verso un cambiamento possibile e democratico. Si esaltano, come sta avvenendo oggi, logiche separatiste e diventano merce a buon prezzo per le destre, per i loro spregevoli sentimenti di rivalsa storica e bramosia di potere. Non è vero che il Sud dell’Italia è una palla al piede del Nord perché non è vero che la sua enorme cultura, le sue numerose intelligenze, la sua stessa storia possano essere mortificati da qualche comiziante scemo che vive a Sud della Svizzera, a Sud di nessun Nord. È li che vuole stare quella parte dell’umanità che ha sentimenti sinceri e la forza della ragione. La Lega propone, farneticando, un Paese omofobico, intollerante, razzista e l’isolamento dall’Europa, cioè uno “Stato bastar-

In questi tempi di Covid 19, si vedono in alcune piazze persone e striscioni con grandi slogan senza senso, allora mi viene in mente un pensiero che uno stupido è uno stupido, due stupidi sono due stupidi, diecimila stupidi sono una forza sociale. Attenti gente, perchè già ci siamo passati non tanto tempo fa... C.C. Agosto 2020

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L’Albero della Concordia

Morricone è morto. Morricone vive

La devozione e l’iconografia legata al martire San Sebastiano

La leggenda di un compositore che se ne va senza “dare fastidio”

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el 2008 il Ministero dei Beni Culturali in collaborazione con la Direzione Generale degli Archivi e l’Archivio di Stato di Roma organizzarono un mostra documentaria dal titolo: “Con magnificenza e con decoro. I Comuni e la devozione civica nel territorio romano fra Settecento e Ottocento” che permise a quelle Amministrazioni che vi parteciparono con i loro archivi ed esperti di conoscere e di approfondire l’origine delle feste patronali. La ricerca archivistica da me condotta presso l’Archivio storico comunale di Bracciano con l’entusiastico coinvolgimento nell’organizzazione della mostra della Pro Loco di Bracciano, di Gianni Flamigni e dell’Associazione Forum Clodii consentì di ripristinare l’antica festa popolare di maggio in onore di San Sebastiano che la nostra comunità festeggia il 20 gennaio. I documenti infatti provarono l’esistenza di una “festa di maggio” in onore del “protettore Santo Sebastiano” che la comunità braccianese festeggiava sotto il patrocinio della famiglia Orsini già nel 1554 e che si affiancava a quella più canonica celebrata dal clero della Collegiata di Santo Stefano con il concorso delle confraternite locali, in primis di quella di San Sebastiano, che si recavano in processione alla chiesa omonima. La festa fu poi associata ad una fiera introdotta nel 1614 da Virginio Orsini “sull’esempio di Toscanella (Tuscania) e di Viterbo” tanto che nelle carte settecentesche si definisce “Festa e fiera di maggio”. L’origine delle devozione doveva essere molto antica in quanto i documenti riportano memoria di voti fatti in onore del santo martire fin dai secoli XIV e XV tanto da dedicargli una chiesa, cappelle e dipinti tra cui si ricorda quello di Giacinto Gimignani (1669) conservato nella cappella omonima in Santo Stefano che lo vede ritratto non nella classica iconografia del martirio con le frecce, ma con la mano protesa a proteggere il paese e un putto che regge le frecce, simbolo del martirio. Sebastiano venne martirizzato durante la persecuzione dei cristiani da parte dei Romani prima trafiggendolo con le frecce, poi curato e salvato dalla Santa Irene e dunque rinato, viene condannato a morte una seconda volta con le bastonate e infine sepolto sull’Appia. Le frecce rappresentano i flagelli inviati dall’Eterno Padre contro l’umanità corrotta sotto forma di malattie e pestilenze, il santo è spesso ritratto durante il martirio legato ad un albero o ad una colonna a richiamare il martirio di Cristo: così appare ritratto nel celebre dipinto di Mantegna e nella chiesa di San Sebastiano a Bracciano. Probabilmente la devozione dei Braccianesi per San Sebastiano fu legata al diffondersi della peste nei vari secoli fino a quella della seconda metà del Seicento che condusse alla morte del Duca Orsini Paolo Giordano II. La festa si svolgeva la prima domenica di maggio, era annunciata dallo “sparo dei mortari” e da suoni di campane che richiamavano i fedeli alle sacre funzioni, contava della presenza alla messa solenne degli Officiali e del Vicario rappresentante del Duca, prevedeva la predica di

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una padre francescano, venivano rappresentate poi “com[m]edie” ossia sacre rappresentazioni del martirio, corse di cavalli, lotte e palii, il paese era decorato da festoni ed illuminato dalle fiaccole, tutta la festa era allietata da “musici forastieri” ospitati a spese della Comunità. Da una delibera del Consiglio di Comunità conservata nell’Archivio di Bracciano sappiamo che nel 1588 il consiglio dei Priori decise di festeggiare la festa “ogni anno (probabilmente i costi e l’individuazione dell’organizzatore non era questione semplice anche allora) e di nominare 12 signori da durare 12 anni ad onorare 12 Apostoli, e con i seguenti patti e capitoli: 1. Che la comunità dovesse dare 50 scudi, e pagare i pagli (palii) e li pifari (pifferai). 2. Che se alcuno de’ signori rinunziasse, dovesse pagare scudi 25 d’aggiungersi per la festa. 3. Il signore della festa dovesse far tavola pubblica in piazza con far pasto generale a forastieri et uomini della terra [di Bracciano, erano gli ufficiali della Comunità], che invitar volesse, con la frascata, però con provvisione de piatti, bicchieri, e fiaschi da farsi dalla comunità”. Un anno per l’occasione vennero anche costruite delle panche fatte con il legno della Macchia di Pisciarelli. Il grande pranzo che prevedeva agnello e vino a volontà veniva allestito all’ombra di un grande albero, forse l’olmo (Ulmus Campestris) come avveniva per le feste principali di Anguillara “di Pentecoste” e di “settembre in onore della Madonna delle Grazie”. Quell’olmo secolare raffigurato in prossimità di porta Giudìa e della Piazza del lavatoio di Anguillara dal pittore G. Van Wittel, vissuto a cavallo dei secoli XVII e XVIII, è riportato anche in alcune memorie ricordate da don Zibellini dove si parla del pranzo per la festa di Pentecoste allestita sotto l’olmo con i “musici” fatti venire in barca da Bracciano. Anche per Vignanello Vincenzo Pacelli ci parla di un grande olmo che si erigeva nella piazza principale accanto alla chiesa antica della Matrice dove rogavano i notai. Nella toponomastica locale troviamo ancora via degli Olmi a Bracciano in località la Sentinella, piazza degli Olmi a Manziana, il famoso viale delle Olmate ideato dagli architetti del paesaggio ad Oriolo per gli Altieri, tra cui Carlo Fontana, l’olmo ricorre per tutto il territorio fin dall’antichità per la presenza di un sacello agreste forse di epoca repubblicana ritrovato anni fa in località Monte dell’Olmo a Trevignano Romano sull’odierna via di Monterosi. L’Ulmus Campestris dovette poi cedere il passo ad altre varietà, come pioppi e platani (famosi quelli impiantati dal sindaco Reginaldo Belloni sul lungolago di Anguillara agli inizi del Novecento) per il diffondersi di una malattia fungina letale, la grafiosi. L’olmo era considerato una pianta sacra dal grande valore simbolico utilizzata come tutore per reggere la vite a cui si addossava credendo non sottraesse alla medesima le sostanze vitali (si parla di vigneti e arboreti). La vite e il vino

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Il dipinto nel Duomo di Bracciano

rientravano nella simbologia cristiana come metafora di Cristo. L’unione fra albero e vite richiamava significati di amicizia, amore coniugale, concordia, giustizia. L’olmo inoltre ha un legno resistente e un portamento elegante. Fu immortalato da Virgilio nel libro VI dell’Eneide all’ingresso dell’Averno: “In medio ramos, annosaque brachia pandit Ulmus opaca, ingens, quam sedem Somnia vulgo Vana tenere ferunt, foliisque sub Omnibus haerent”. [Nel mezzo estende i rami e decrepite braccia, un cupo, maestoso olmo dove albergano, si dice, i vani sogni che alle foglie sono appesi] Un’immagine potente che richiama il grande albero della vita a cui sono appesi i sogni dell’umanità “che si ritengono vani”. I greci avevano consacrato la pianta a Morfeo, figlio del Sonno (Hypnòs) e della Notte (Nix), per cui era considerato la divinità dei sogni che prendono la forma (morfè) di ciò che si sogna. L’olmo nella mitologia greca diventa da simbolo del sonno anche del sonno eterno e della morte (Thanatos), fratello gemello ora di Hypnòs o figlio della notte, Nix, secondo la versione di Omero o Esiodo. Gli erano attribuiti anche poteri oracolari e proprietà medicamentose. Lo storico Vincenzo Pacelli appassionato di storia vignanellese ci ricorda anche che nel Medioevo e soprattutto in Francia si sedevano sotto un olmo “Piantato in genere davanti alla Porta del Castello i giudici del Popolo per emettere le loro sentenze in assenza di un tribunale vero e proprio”. Mi piace finire ricordando questa tradizione che lega l’albero dell’olmo alla vita, ai sogni, alla giustizia, alla concordia, all’armonia del canto e del suono dei musicisti, alla festa e alla bellezza, con il monito, quello sì, di tutelare i nostri alberi e la nostra memoria che attraverso dipinti e “Monumenti” (=documenti) ci parla ancora. Lucia Buonadonna, Archivista dell’Associazione Arca sul lago

a riposto la bacchetta. Imbracciato la partitura. Chiuso il pianoforte. Non ha voluto “dare fastidio”, ma tutto il mondo lo piange. Mancheranno le sue vibrazioni, quella gioia che viene da dentro nell’ascoltare la sua musica, la sottile malinconia di quel passaggio, la maestosità di alcuni brani. E poi il fischio, inconfondibile, entrato nell’olimpo della grande musica. Solo un ottone come lui poteva evolvere senza pregiudizi dal melange della musica contemporanea. Solo un musicista di razza come lui poteva comporre melodie in grado di toccare le corde di tutti, solcando l’indifferenza di monotone sonorità d’oltreoceano. Morricone è morto. Morricone vive nella sua musica, nei cuori di quanti si chiedono quale altre memorabili musiche avrebbe potuto elaborare mettendosi al pianoforte ogni mattina. Lontano dai clamori, solo dedito al lavoro in una continua ricerca dell’assoluto in musica. Morricone, lo si è capito subito non appena la notizia della sua morte si è diffusa il 6 luglio scorso col passaparola e con un tam tam mediatico mondiale, non è stato solo il compositore delle colonne sonore, ma è stato un grande della musica italiana ed internazionale. Semmai ci fosse un luogo dove i grandi della musica si possano riunire, senz’altro Morricone avrebbe un suo scranno. Faccia a faccia con Giacomo Puccini, con Giuseppe Verdi, con Richard Wagner, con George Gershwin, con Gaetano Donizetti, con Leonard Bernstein. Sarebbe un confronto schietto, intriso di elucubrazioni su una tal altra soluzione ritmica o proposta melodica. Una orchestra che si espande e che fa

Il maestro Ennio Morricone scomparso a Roma il 6 luglio 2020

spazio ai timpani, alle campane laddove fare musica diventa una innovazione e una sperimentazione efficace e di successo. Con lui in tanti hanno potuto capire cosa sia la musica, al di là delle sette note scritte in un pentagramma. La musica, e quella di Morricone lo è stata, è quella cosa che ti batte dentro, che solleva emozioni al solo ascolto. Probabilmente molte pellicole da lui musicate sono state nobilitate dal suo tocco musicale, dalle sue geniali battute musicali che da sole valgono un film, un Oscar, un premio. Morricone non c’è più. Morricone vive. Roma è stata il suo brodo di coltura, con la sua Hollywood sul Tevere, con i suo studi

di registrazione ma soprattutto con la sua Accademia di Santa Cecilia dove un giovane Ennio si inizia alla musica seguendo le lezioni di Goffredo Petrassi. Intriso di contemporaneità, tuttavia, Morricone trascende da quegli accostamenti dissonanti e approda ad una classicità da terzo millennio regalando all’umanità la gioia della musica. Nessun algoritmo saprà elaborare melodie simili. Morricone è morto. Morricone vive. Scrivere di lui è come mettere in atto un esercizio artificioso. Ascoltare... piuttosto, questo è necessario... Ascoltare. Ascoltare. Ascoltare... Graziarosa Villani

Bibliografia

Con magnificenza e con decoro: I Comuni e la devozione civica nel territorio romano. Luoghi, riti, feste e protagonisti, mostra documentaria, MIBACT, Roma, 2008, Gangemi. Augusto Santocchi, Bracciano ai tempi della Visita Apostolica del 1574, Manziana, 2013, Vecchiarelli. Vincenzo Pacelli, L’olmo delle meraviglie, Cronos, anno III, n. 2, aprile 2010. Patrizia Di Filippo, Passeggiando tra gli alberi di Oriolo Romano in “Percorsi naturali nella natura”, n. 1, Regione Lazio, 2008.

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Once upon a time in America - Theme di Ennio Moricone

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state le prime due case sul lato di piazza Mazzini che facevano ormai parte del convento. Al piano terra, oltre alla chiesa composta da tredici cappelle, si trovavano il refettorio, il farinaio, la cantina, la cucina, la dispensa - chiamata allora “procura” una foresteria, il granaio, la stalla ed il deposito. Alcuni di questi locali affacciavano sul chiostro ed altri, probabilmente la stalla, il granaio e la cantina, erano situati a ridosso dell’abside. Al primo piano si tro-

Prospetto su Via Umberto I

Il convento di Santa Maria Novella

vavano la sala capitolare, le due stanze del Priore, 15 stanze dei frati ed una seconda foresteria. Al secondo piano, nel corpo affacciante sul retro, si trovava il dormitorio dello studio. Tra il 1706 ed il 1712 i frati acquistarono tutte le proprietà che formavano il corpo edilizio su piazza Mazzini e ristrutturarono il convento che assunse l’attuale struttura quadrangolare. Nell’Ottocento, dopo la soppressione dell’ordine, il complesso fu acquisito dal Fondo Culto, organismo statale, e ceduto poi al Comune nel 1873. I frati furono costretti a trasferirsi, ma la chiesa rimase aperta al culto affidata ad un prete secolare. Divenne poi scuola, ufficio postale. Un piano fu destinato a Pretura. Nel 1888 l’orologio sopra il timpano della chiesa venne sostituito con uno di maggiore precisione e con i tre quadranti illuminati. Nel 1907 parte dell'edificio fu destinato a carcere. Il progetto di restauro avviato nel 1998, realizzato con i fondi del Grande Giubileo del 2000, si è conformato al minimo intervento ha previsto la conservazione di tutti gli elementi ancora in buono stato. I solai in legno, ad esempio, sono stati smontati e ricostruiti con la stessa tecnica detta “a regolo per convento”, dove “convento” sta per “giunto”. La struttura oggi ospita, tra le altre cose, il Museo Civico di Bracciano al piano terra, nella cui collezio-

La campana di Santa Maria Novella

ne va senz’altro segnalato l’Apollo di Vicarello, e al primo piano, l’Archivio Storico Comunale che custodisce, con documenti che vanno dalla pergamena più antica del 1541 al 1965, la memoria di Bracciano. Tratto in parte da “Il restauro del complesso conventuale di Santa Maria Novella”, 2002, Editrice Le Balze

Il pozzo rinascimentale all’interno del chiostro

Storia e restauri del complesso monumentale le cui origini risalgono ad una Bolla di Papa Eugenio IV del 1436

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l complesso conventuale di Santa Maria Novella trae origine dalla volontà del Cardinale Giordano Orsini di dare maggiore assistenza spirituale alla popolazione di Bracciano. Papa Eugenio IV (al secolo Gabriele Condulmer 1383-1446) di cui il cardinale era stretto consigliere, nel novembre 1436, emanò una Bolla con la quale si concedeva a Giordano di emanare agli Agostiniani una casa “in Castrum Bracchiani” per fondare un monastero sotto il titolo di Santa Maria Novella. In quell’anno era signore di Bracciano Carlo Orsini, nipote ed erede di Giordano. La comunità agostiniana si trasferì in San Liberato. La casa donata dal cardinale era situata fuori dalla cinta fortificata che aveva il suo limite inferiore nell’attuale via Fioravanti. Alla fine del XV secolo Bracciano aveva avuto una espansione demografica e urbana ed era stata ampliata la cinta mura-

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ria, al limitare della quale era stato compreso il convento. L’area compresa tra le vecchie e le nuove fortificazioni si era saturata ed il centro del paese si era spostato dalla sommità della collina verso piazza della Rocca oggi chiamata piazza Mazzini. La dimensione del complesso nella seconda metà del 500 era limitata. Si può ipotizzare che esistessero solo la chiesa, probabilmente in fase di completamento, e la casa donata dal Cardinale che si aprivano su uno spazio al centro del quale si trovava il pozzo ottagonale di buona fattura, tuttora in situ, che reca sui fianchi uno stemma Orsini-Medici che si riferisce alle nozze celebrate nel 1553 tra Paolo Giordano Orsini ed Isabella de Medici ed è quindi databile intorno a quell’anno. Alla metà del ’600 l’edificio era abitato da ventitre frati oltre ad alcuni novizi e conversi. Durante tutto il secolo sono documentati lavori di ristrutturazione ed ampliamento.

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Nel 1637 il convento era strutturato intorno al chiostro (che aveva il piano superiore loggiato) con il quarto lato che si affacciava sulla piazza, composto prevalentemente da case e botteghe private. Nel maggio di quell’anno vennero acquistate due case sulla piazza confinanti con il convento per permetterne l’ampliamento. In ottobre il capitolo decise di prendere 500 scudi in prestito per comperare altri immobili sulla piazza e completare i lavori. Nel 1643 il dormitorio dei frati verso piazza Mazzini e quello superiore dei novizi, detto “dello studio”, erano collegati direttamente da una scala in pietra (ancora esistente), murata in una intercapedine. Nel 1668 l’edificio si sviluppava intorno al chiostro centrale sul quale si affacciava un loggiato al primo piano. L’ala su via Umberto I, chiamata allora via di Santa Maria Novella era priva del secondo e terzo piano. Erano state acqui-

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Prospetto su Piazza Mazzini

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La mia vita in assemblea permanente Il mondo del lavoro tra passato e presente. Lavoratori e padroni. Serve un diritto di cittadinanza per i lavoratori

Torino - Mirafiori 1969

L’intervento di un lavoratore

Consiglio di fabbrica

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profonda trasformazione nel mondo del lavoro. Sono cambiate le regole che hanno retto per decenni, sono cambiati i soggetti, le rappresentanze e si sente la profonda mancanza (al di fuori di qualche rara eccezione) di figure che sappiano ragionare su questo radicale mutamento.

a mia vita ha avuto nel corso degli anni una storia complessa e per molti motivi difficile ma molto impegnata. Il mondo del lavoro l’ho sempre osservato dall’interno e l’ho vissuto in prima persona. Il mio impegno politico e sindacale mi ha portato ogni giorno in contatto con realtà dove si usavano parole come operaio, fabbrica, macchina, catena di montaggio, orari, infortuni, vertenze, salari e padroni. Una realtà concreta fatta di persone, di luoghi, di conflitti, di storie collettive e personali, di assemblee, di incontri. Oggi che con fatica stiamo uscendo dalla pandemia del coronavirus rifletto quotidianamente con la realtà attuale del lavoro, perché da troppo tempo ho la sensazione che i lavoratori abbiano perso il diritto di cittadinanza in questo Paese. È come se operai, impiegati, tecnici, precari ecc. fossero finiti in un universo parallelo che non riesce a farsi sentire da chi rappresenta, governa, descrive e racconta la società. I lavoratori sembrano diventati una specie in via di estinzione. Quando per qualche accidente (licenziamenti, chiusura di aziende, riduzione del salario, trasferimenti ingiustificati, ecc.) finiscono in prima pagina o vengono invitati in qualche trasmissione televisiva, sono sempre circondati da un certo stupore: perbacco, ma ancora ci sono gli operai?! Certo in continua evoluzione, trasformazione nelle fabbriche e nel terziario con rapporti precari, i lavoratori ci sono (senza di loro i padroni come farebbero a realizzare profitti) e Napoli. assemblea Whirpool hanno problematiche che si chiamano salario, orario, tempo, sicurezza e formazione. Il mondo del lavoro è composto da due soggetti, con uguale diritto di cittadinanza: le imprese ed i lavoratori. In un momento come quello attuale (coronavirus) in cui l’interesse generale sembra coincidere con le esigenze delle imprese, affermare che bisogna tener conto anche dell’interesse dei lavoratori rischia di rimanere una voce fuori dal coro. Inoltre sta avvenendo ormai da tempo una

Sento un vuoto intorno al mondo del lavoro, si avverte la necessità di esperti che sappiano leggere la realtà attuale, senza cercare di manipolarla per asservirla a interessi e poteri o per avvalorare tesi personali. Al contrario, penso occorra “ascoltare” il mondo del lavoro. I lavoratori hanno bisogno di un nuovo progetto, ma per costruirlo servono idee e volontà politica e anche di altri soggetti. Spero che questo contributo possa essere utile a chi vuole ricominciare a riflettere sul mondo del lavoro, dentro e fuori il sindacato. Perché è indubbio che la trasformazione abbia investito anche le organizzazioni sindacali. Una ultima cosa. Nelle righe che seguono troverete anche un punto di vista preciso. Sono stato sempre un uomo di sinistra che non intende rinnegare il proprio passato, non sono però un conservatore, non cerco le risposte alle questioni dell’oggi nel passato, al contrario, sono convinto che sia necessario uno straordinario sforzo creativo per trovare nuovi compromessi sociali, nuove soluzioni ai problemi, a quelli del lavoro in particolare come prioritari. Scrivendo, ho immaginato di rivolgermi a tutte le persone che come me sentono il disagio di una sinistra che ha perso i contatti con i lavoratori. Per questo ho sempre scelto la formula dell’intervento in assemblea, il luogo fisico ed ideale dove le persone si incontrano e hanno diritto di parola. Uno spazio ed un modo di comunicare che la sinistra sembra aver dimenticato, preferendo le platee televisive, sicuramente più veloci, più moderne, meno partecipate ma più seguite. L’assemblea, per me, rimane il modo migliore per scambiarsi opinioni, dialogare e ...magari litigare collettivamente. Ma questo forse e un mio limite. Claudio Calcaterra

Statuto dei Lavoratori Articolo 20 - Assemblea

Cessiamo di vivere nell’ignoranza e viviamo nell’intelligenza. Claudio Calcaterra

I lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell’orario di lavoro, nonché durante l’orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione. Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva. Le riunioni - che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi - sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell’unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro e secondo l’ordine di precedenza delle convocazioni, comunicate al datore di lavoro. Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale. Ulteriori modalità per l’esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.

“Istruitevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Organizzatevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra forza”. Antonio Gramsci

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Articolo 8 - Divieto di indagini sulle opinioni. È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore.

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Bracciano nel 1864 nel rapporto di topografia statistica dello Stato Pontificio Attive ancora le cinque ferriere

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na fotografia di Bracciano d’altri tempi, racchiusa prevalentemente nel borgo antico e molto operosa con le ben cinque ferriere ancora attive. È quanto emerge da questa descrizione topografica di Roma e Comarca che qui si riporta fatta nel 1864. Si tratta di un rapporto di topografia statistica dello Stato Pontificio, molto dettagliato ma errata in alcune sue parti di carattere storico-artistico. Il lavoro, come espressamente riportato descrive i paesi della cosiddetta Comarca di Roma ed in particolare di quelli come Bracciano che erano all’epoca sede di governo, “i loro monumenti, il commercio, l’industria l’agricoltura, gli istituti di pubblica beneficenza, i santuari, le acque potabili e minerali, la popolazione uomini illustri nelle scienze lettere ed arti con molte altre nozioni utili ad ogni ceto di persone etc. etc..”.

Bracciano 1877, incisione xilografica di Adolf Closs tratta da “L’Italie” di J. Gourdault

Governo di Bracciano

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ortendo da Porta del Popolo per la via Flaminia, selciata di lava pirosennica, dopo metri 3019, o miglia 2, 03, passato cioè ponte Milvio costruito di pietra albana e tiburtina, percorrendo prima una pianura sul sinistro margine del Tevere,

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la strada si biparte. La Flaminia diviene provinciale, e prendendo a destra va a Castel Nuovo di Porto, Rignano ecc.; mentre l’altro ramo nazionale acquista il nome di Via Cassia (V. la parte I. di Roma pag. 103), e ascende, e discende, e quasi sempre è sino al miglio 12 ondulata. Dopo un miglio, o poco innanzi dal ponte Milvio,

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v’è il rivo influente nel Tevere detto Acqua Traversa (Tutia), incontrandosi in alto a sinistra il casale e cappelletta Mazzetti, ed il sepolcro ricordato alla ridetta pagina. A circa 6 miglia a ponente della Capitale si vede il sito detto le Capannaccie, ch’era un castello fortificato nei tempi di mezzo. Si tragitta quindi a 7 miglia da Roma l’acque-

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dotto Paolo (Trajano) da sinistra a destra; e viene indi la Giustiniana, che è altro casale e piccola Chiesa a destra; e circa l’ottavo miglio il casale la Spizzichina a destra, con antica quadra isolata torre sopra picciol colle a sinistra poco lontano. Dopo il miglio 9.° pure a destra giungesi alla Storta, ch’è una campestre ben fornita Osteria. È dei RR. PP. Gesuiti, con chiesetta di S. Ignazio; l’acqua è non buona; e vi sono oltre la postale stazione, due o tre case ove stanziano sovente anche diversi Pontificii Dragoni. Passata la Storta, vedonsi due vie; la retta o Cassia adduce innanzi a Monterosi; l’altra a sinistra è la Clodia che va a Bracciano. A 10 miglia prima di giungere a questa città, s’incontra un casale con Chiesetta chiamato S. Maria di Galera, e v’è osteria; sopra un ponte a due archi si passa il fiumicello Arrone (da Aruns, voce etrusca) ed ivi mossa dall’acqua v’è una macchina da triturare il grano. Poco avanti fra cipressi a sinistra alquanto lontano dalla strada si scorge la chiesa di S. Maria di Galera, ed un castello abbandonato, e mezzo diroccato che è Galeria istessa. Poi sulla strada a destra v’è l’osteria del Fossetto, mezzo miglio più avanti. Poco oltre il 15° miglio v’è a destra la via che conduce all’Anguillara, di qua 5 miglia distante; e dopo il miglio 16° scorgi la strada che guida all’antica Cere, oggi Cerveteri. Vengono quindi le Crocicchie pure a destra 6 miglia circa da Bracciano, percorrendosi sempre una strada bella piuttosto ed in aperto orizzonte. Furon dette Crocicchie dal quadrivio formato dalla via Claudia attraversata dalla strada che dalla romana villa di S. Stefano va all’antica Cere, passando per Ceri moderno. A sinistra fra le Crocicchie e Bracciano si scorge un verde prato detto Lago morto, che fu il cratere d’un vulcano antico, messo poi a coltivazione. È situato Bracciano, Diocesi di Nepi e Sutri, 25 miglia o poco più distante dalla Metropoli, per ove sono ogni giorno Diligenze, Carrozze, Vitture. Amena, ed al Sud è la sua posizione, contornata da feraci campi, e da vigneti. Il nome di questa Città vuolsi derivato dalla gente Braccia, che vi possedeva un fondo, come ricorda anche il Cluverio. Rimane precisamente Bracciano nell’alto di una rupe sporgente al S-O sul Lago Sabazio, le cui estreme falde van giù fino ad esso, dal quale la Città in retta linea è distante un solo quarto di miglio. Belle, allineate sono le interne vie, e quella più ampia s’appella Borgo Flavio (ed ha in fondo piccola piazza), da Flavio, ultimo della Casa Orsini che ne fu Signore. Le altre belle strade sono dette di S. Maria Novella, dei Cappuccini, e della Ferriera. Primo Duca di Bracciano fu Orsini Paolo Giordano, nel 1502 fatto strangolare da Cesare Borgia, e della cui

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stessa morte già egli uvea ucciso Isabella sua consorte prima Duchessa di Bracciano. Gli Orsini potenti nel 1242, divennero più forti sotto il Pontefice Niccolò III eletto Papa in Viterbo nel 1277, dia morì tre anni dopo in Soriano. Dagli Orsini passò Bracciano istesso ai Principi Odescalchi che tuttora il possedono, e pe' quali fu comprato dal di loro zio Innocenzo XI nel 1679 che gli elesse Duchi di tale città, la quale già ebbe il proprio Statuto fin dal 1552. S’ignora tuttora chi verso il 500 costruisse l’imponente Rocca di Bracciano, che gigantesca s’innalza sull’apice del colle, ed ha grosse mura fondate sopra grandi rettangolari pietre. La sua forma è parallelogramma, e vi si conservano gli antichi suoi merli, ed i cinque torrioni, quattro de’ quali semicircolari si elevano più alto delle mura istesse; il quinto a destra della porta principale rimane mozzo pareggiando le mura. Entro tale Rocca evvi una vastissima Sala detta la Castellana adorna nelle pareti di nicchie, ed in grande numero sono le camere, i sotterranei; al pian terreno vi capivano sino a 3000 soldati, e si gira pure attorno l’alto delle mura dietro ai merli, da cui godasi la veduta di un sorprendente panorama. Unica nel suo genere è questa Rocca in Europa, ed abbellisce la città che signoreggia. Il Duomo consacrato a Santo Stefano Protomartire, è la sola Parrocchia, ed ha il suo Arciprete, il Capitolo di 18 Canonici, e s’eleva sopra tutte le case di Bracciano, che sono 416, contenenti 488 famiglie, formate da 2290 persone, dedite molte alla agricoltura, ed al commercio colla Metropoli, talune altre occupate nelle 5 Ferriere che vi sono, e nelle due Mole da grano, che rimangono ove era prima una Cartiera. Feste solenni della città si celebrano per il SS. Salvatore la prima Do-menica dopo l’Assunta, e per S. Sebastiano Protettore della città al primo Maggio. Il giorno 2 di questo mese v’è Fiera, ed altra al 13 Dicembre. Le famiglie primarie; sono il Principe Odescalchi, Traversini, Floridi, Monsignor Castellaci, Gandini, ed i Padri Agostiniani ricchissimi, che oggi sono 22. Di Bracciano è pure il chiarissimo D. Tommaso Mazzani Canonico Lateranense, e Professore di Meccanica ed Idraulica nell’Archiginnasio Romano. Dietro la Rocca vi sono piccole abitazioni, alberi, giardini, e ciò è detto Bracciano vecchio, che mediante un ponte si unisce a Bracciano nuovo, ove in generale sono buone le fabbriche, e ben tenute, e vi si scorge il bel Convento dei RR. PP. Agostiniani e Chiesa intitolata a S. Maria Novella. Dalla piazza, altra bella e grande via che va dolcemente salendo, è detta dei Cappuccini, perché tali Religiosi ritengono un quarto di miglio distante dalla città, in alto e a sinistra, un Convento, e Chiesa di

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S. Lucia, costruiti dal Duca Virgilio Orsini, e quei Padri vi preser possesso fin dal 1580. Essa Chiesa fu restaurata nel 1840 a spese di Sua eccellenza Don Marino Torlonia, in allora Duca di Bracciano che l'ebbe dagli Odescalchi col patto redimendi. La facciata si rinnovò con architettura d’Antonio Sarti. Nel colle ove sono i Cappuccini, oggi in numero 12, vi si vede piccola, ma amena macchia d’annose quercie; è detto di S. Lucia, ma in antico il chiamavano sacro, o sacrano. È di natura del tutto vulcanica, ed un piccolo rio che corre a suoi piedi, viene appellato dal volgo Fosso del diavolo. Entro la città vi sono buone botteghe con ogni sorta di commestibili, due Locande, Caffè, decente e ben fornita unica Farmacia Casetti; e in altra bella, e grande piazza con vaga fonte nello mezzo, evvi in un lato il comodo Palazzo del Co-mune con grazioso Teatro assai ben dipinto, ma oggi tenuto quasi in non curanza. Il territorio di Bracciano in piano e in colle, segna rubbia romane 7961. Attivissima vi si scorge l’agricoltura, ed orticoltura non meno, tantoché a non pochi vicini paesi vengono forniti in copia gli erbaggi, e frutta di Bracciano, ove sono buone anche le acque potabili; ed una acidula ferruginosa ve ne ha 3 miglia distante nella Castagneta del Duca, contenendo 3 grani di ferro per ogni bicchiere di fluido. Vi sono pure in Bracciano il Preposto del Bollo e Registro, il Cancelliere del Censo, l’Ispettore de’ sali e tabacchi, la Caserma di Gendarmeria. È Governo, e sono ad esso soggette le Comuni di Trevignano, e di Oriolo. Temperato è il suo clima, piuttosto umido, sebbene vi spiri il vento Nord, di raro Sud-Est. Vi regnano le febbri accessionali, le pleuritidi, la rachitide in molti; e in ambo i sessi, ed in qualsiasi età la verminazione. Il Medico ha scudi 240, e 180 il Chirurgo, ed entrambi una buona casa, che pure si accorda dal Comune. L’educazione delle Fanciulle è affidata alle Monache del Sacro Cuore: per la scuola dei maschi vi sono i RR. PP. Agostiniani indicati. Manziana 5 miglia distante, è il paese più vicino a Bracciano, se tener calcolo non si voglia dell'Appodiato o Frazione di questa città chiamata Pisciarelli, 3 miglia lungi, la quale consiste nella Chiesa Parrocchiale e poche case fra mezzo a boschi, con pessime strade nel verno. V’è un Medico con annui scudi 216, che deve percorrere una moltitudine di sparpagliate abitazioni, onde curare nel verno mali infiammatori, ed in estate una infinità di febbri accessionali, ed anche perniciose. Da Bracciano si corrono 5 miglia affine d’arrivare per carrozzabile strada ai Bagni di Vicarello, e 10 per quelli di Stigliano. - Cens. Rust. 349,965. - Urb. 52482. Direzione postale: Bracciano.

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Smart working: un’opportunità da cogliere

Pasolini ritratto da Sandro Becchetti

Permane il problema ben noto e mai risolto dell’organizzazione stessa della società, della scuola, della famiglia in cui le carenze del sistema di welfare sono e restano tutte sulle spalle delle donne

A Casarsa la mostra del fotografo braccianese d’adozione

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stata una delle novità imposte dalla pandemia: le persone dovevano restare a casa il più possibile e il “lavoro agile” era una soluzione sensata. Da qui si è aperto un mondo i cui lineamenti e confini non sono ancora chiarissimi. Lo Smart Working è stata un’esperienza molto diversa nelle varie attività lavorative: le aziende, soprattutto quelle più grandi, erano probabilmente molto più pronte di quanto non lo fosse la Pubblica Amministrazione che, pure, ha dovuto seguire le nuove regole imposte dal Governo e si è lanciata nell’esperimento inventando un modo diverso di lavorare. Del resto, necessità fa virtù. Dopo aver risolto i primi problemi organizzativi ed essere riusciti più o meno a coniugare le esigenze di garantire continuità ai servizi di propria competenza, in ambito pubblico lo Smart Working ha assunto la veste di una sorta di lasciapassare per la riforma della Pubblica Amministrazione che, puntando sull’ampliamento dei sistemi tecnologici di cui dotare tutti i propri livelli di governo, sulla carta di colpo diventa più produttiva, meno complessa e con un ottimo effetto sull’impatto ambientale. In realtà le cose sono meno semplici e di sicuro non basta lavorare da casa nello stesso modo in cui si sarebbe lavorato in ufficio per parlare di innovazione. Si è di fronte ad uno strumento che non dovrebbe limitarsi all’innesco di un diverso ritmo di lavoro e del minore impatto ambientale per la riduzione del traffico, ma dovrebbe riguardare la funzione stessa che si svolge. L’idea di lavorare per progetti, per esempio, di programmare gli interventi, di organizzare gruppi di lavoro, tanto per dare un’idea sommaria di quello che l’“agilità” del lavoro potrebbe rappresentare. Questo per dire che lo Smart Working è una grande occasione che si offre alla Pubblica Amministrazione per fare un salto di cultura e si spera che non sarà l’ennesima opportunità persa. L’esperienza dei Comuni di questa zona è significativa delle caratteristiche principali che hanno contraddistinto il lavoro agile a tutti i livelli. Innanzi tutto è stato subito chiaro come non tutti i ruoli fossero gestibili a distanza, almeno allo stato attuale. Viceversa per quelli che hanno lavorato da casa per un buon 70 per cento dell’intero orario, si è subito evidenziata la difficoltà di dividere equamente i tempi della vita privata dal lavoro. Il problema è sentito particolarmente dalle donne con figli piccoli che si trovano a lavorare in una condizione di estremo disagio essendo chiamate a concentrarsi su temi professionali e contemporaneamente a rispondere alle esigenze dei figli. Entra in ballo, in questo caso, il problema ben noto e mai risolto dell’organizzazione stessa della società, della scuola, della famiglia in cui le carenze del sistema di Wellfare sono e restano tutte sulle spalle delle donne. Ciò nonostante lo Smart Working nei Comuni ha funzionato. La cittadinanza ha comunque avuto i servizi forniti dagli uffici e, dopo il periodo di chiusura generale, si sono riaperte le porte con ingressi contingentati e controllati. Il personale a turno ha mantenuto una presenza negli uffici e gli atti sono stati istruiti e redatti principalmente da casa con il risultato di ottenere un buon livello di pro-

duttività continuando ad evitare occasioni di assembramento. Un altro aspetto interessante ha riguardato i rapporti con la sfera decisionale politica con cui condividere le scelte organizzative e gli obiettivi perseguiti. L’esigenza di organizzare incontri, riunioni, tavoli di programmazione e via dicendo, ha portato alla diffusione delle piattaforme di videoconferenza, che esistono ormai da tempo ma che sono state scoperte e utilizzate in modo massiccio da tutti i livelli di governo solo in questo periodo di pandemia. Il grande potenziale della tecnologia è emerso in tutta la sua grandiosità mettendo in evidenza l’inadeguatezza sia dell’infrastruttura pubblica, sia della formazione professionale necessaria per operare in modo efficiente utilizzando la rete. Tra le conseguenze dell’entrata in scena del Covid-19, il cambiamento delle abitudini sociali ha avuto un ruolo di primo piano. Nonostante le tentazioni del momento attuale di fare come se nulla fosse accaduto, l’esigenza di nuove forme di relazione e di strumenti efficienti per instaurarle è ormai un dato incontrovertibile. Serve quindi un grande investimento per risolvere le criticità principali ed implementare l’infrastruttura tecnologica dell’intero Paese, mentre sul piano dell’organizzazione del lavoro si deve investire sulla formazione di nuove professionalità necessarie per la progettazione e realizzazione di servizi in rete. Il Covid-19 ha cambiato lo scenario mondiale, ora sta alle istituzioni di ogni livello riuscire a governare questo cambiamento trasformandolo in un crescita culturale per l’intera società. Data l’eccezionalità del periodo non ci si stupisca dell’eccezionalità necessaria ad ogni cambiamento a venire. Biancamaria Alberi

racciano e Casarsa legate quest’estate attraverso il filo rosso di Pier Paolo Pasolini ritratto da Sandro Becchetti, il fotografo braccianese d’adozione scomparso nel 2013. Ha aperto il 25 luglio presso il Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia, paese natale dello scrittore, la mostra “Pier Paolo Pasolini attraverso lo sguardo di Sandro Becchetti: frammenti di una narrazione”. Ancora una volta Becchetti, come ha fatto per altro con gli scatti raccolti in Tenutelle Vendonsi edito dal Parco di Bracciano-Martignano, che racconta per immagini la campagna e gli uomini e le donne del Braccianese, ha saputo cogliere con la sua macchina fotografica alcuni ritratti di grande efficacia dell’autore di Ragazzi di vita. La mostra, ad ingresso libero, curata da Valentina Gregori e Piero Colussi ed inaugurata alla presenza di Ascanio Celestini, offre al pubblico gli scatti che Sandro Bec-

Pier Paolo Pasolini con la mamma Susanna Colussi

Altro ritratto del poeta

chetti realizzò nel 1971 per il quotidiano Il Messaggero su Pier Paolo Pasolini nella sua casa all’EUR, in via Eufrate, dove lo scrittore-maestro di scuola viveva dal 1963 assieme alla madre Susanna Colussi e alla cugina Graziella Chiarcossi. “In mostra - spiega una nota degli organizzatori - per la prima volta, accanto ad alcuni suoi celeberrimi ed intensi ritratti dello scrittore, fra i quali il più noto è senz’altro quello in cui stringe in mano la sua raccolta poetica Le ceneri di Gramsci, troviamo pressoché tutti gli scatti realizzati dal fotografo in quella giornata. La presenza dolce e silenziosa della madre Susanna accanto al figlio è colta dall’obiettivo di Sandro Becchetti con una sensibilità rara e ci dice molto del rapporto di grande affetto che li legava. Il percorso espositivo che si sviluppa sui diversi piani di Casa Colussi comprende, inoltre, gli straordinari ritratti di alcuni degli amici più cari: Bernardo Bertolucci, Dacia Maraini, Natalia Ginzburg, Federico Fellini, Alberto Moravia, Sandro Penna e Giuseppe Ungaretti. Infine poche, ma strazianti immagini in bianco e nero

Sono gli uomini che fanno la storia “Le cose amare, e non ce ne furono risparmiate, sono giustificate dall’averle vissute con passione, dal non averle mai considerate come motivo per ritirarsi in disparte, per rinunciare alla fatica di capire e lavorare per mutare una realtà che non siamo disposti a subire come avessimo dimenticato l’insegnamento che gli uomini fanno la storia”. Giancarlo Pajetta

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dell’orazione funebre tenuta da Alberto Moravia a Campo dei Fiori il 5 novembre 1975, poco prima di compiere il suo ultimo viaggio verso Casarsa e il Friuli”. G.V.

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La dimora dell’imperatore Domiziano a Vicarello

Il cameriere?...’na vorta!

L’ULTIMO DEI FLAVII tra terme, lago e battute di caccia

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l lavoro del cameriere è ritenuto dagli stranieri, chissà poi perché, tipicamente italiano. Il cameriere vero e proprio, quello che aveva come marchio di fabbrica i piedi, quasi sempre piatti, sembra essere, come i dinosauri, estinto. Vi sarà capitato di incontrare, soprattutto nelle trattorie a conduzione familiare, il cameriere “alla buona”, volenteroso, ma “casareccio”. Ve lo ricordate? Accolti da un “Buongiorno, accomodateve, ve spiccio subito er tavolo” ed appena seduti “‘ntanto c’aspettate ve porto n’antipastino: quarche bruschetta, quarche fettina de prosciutto, ‘na sarcicetta, due olivette, ‘na bottija de vino de la cantina nostra”, e con una certa enfasi “Signori, tutta robba genuina!”. Per dare maggiore peso a quanto diceva poi, dava voce al personale in cucina: “è vero Marì!”, e Maria facendo

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n imperatore romano a Vicarello. Lui è Titus Flavius Domitianus. Domiziano regnò sull’impero dall’81 al 96 d.C., anno della sua uccisione. In riva sul lago di Bracciano, a Vicarel-lo, si fece costruire un grande complesso architettonico che univa una villa privata al sontuoso impianto termale di rappresentanza. A Vicarello probabilmente Domiziano si dedicava alla caccia, una delle sue passioni. Di lui l’autore latino Svetonio scrive: “L’esercizio delle armi non lo interessava, ma era appassionato per il tiro con l'arco: spesso, nel ritiro del monte Albano, molte persone lo videro abbattere, colpo su colpo, cento animali diversi e divertirsi a piantare due frecce sulla testa di alcuni di loro, come se fossero corna”. Con il suo arrivo a Vicarello le terme conosciute come Acque Apollinari Novae, vennero, per così dire privatizzate. Si ridusse del tutto la frequentazione testimoniata dalle numerose monete rinvenute e dagli stessi bicchieri, noti come i “bicchieri di Vicarello”, oggi custoditi al Museo di Valle Giulia di Roma che riportano il tracciato, tappa dopo tappa, da Cadice a Roma. Le terme divennero così un luogo dove Domiziano riceveva per lo più i suoi stretti congiunti. La struttura venne adeguata alla nuova funzionalità ed in qualche modo monumentalizzata con la realizzazione di un complesso architettonico che, in chiave prospettica, aveva il suo fuoco nella grande statua dell’Apollo che, sormontato da un sistema di cascate, faceva bella mostra di sé quale effetto scenografico della grande sala. Si tratta di un Apollo arciere, del quale oggi si sono perduti (forse trafugati) il braccio, la faretra e gli arti inferiori. Un colosso dati i due metri di altezza che è stato individuato come una copia di epoca romana dell’Apollo arciere realizzato da Leocares nel IV secolo a. C.. Un omaggio alla bellezza della quale Domiziano era in qualche modo ossessionato. Svetonio ne fornisce un ritratto accurato: “Domiziano fu di alta statura, di volto modesto e arrossato, di occhi grandi, ma di vista piuttosto debole. Inoltre era bello, ben proporzionato, soprattutto in gioventù, e in tutta la persona, ad eccezione delle dita dei piedi che erano troppo corte. Più tardi fu abbruttito sia dalla caduta dei capelli, sia dall’obesità, sia dalla magrezza delle gambe, che si erano assottigliate ancor di più in seguito ad una lunga malattia”. Studi specifici sono stati condotti sul sito archeologico dal professor Giuseppe

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Il complesso del “Ninfeo di Apollo” (Marzo 1996) – Sabatia Stagna, Pisa, 2007, Edizioni ETS, pagina 103

Cordiano dell’Università di Siena. “Alla luce dello sviluppo architettonico e dell’enfasi decorativa - si legge nello studio Sabatia Stagna 2 - il fabbricato (il complesso ndr) viene considerato da alcuni specialisti come una vera e propria villa imperiale, voluta da Domiziano in persona, ...all’interno di una dimora articolata in almeno tre corpi di fabbrica: 1) la residenza privata prospiciente il lago (su cui sorse il casale tutt’oggi visibile e con la “ricostruzione” di due preesistenti ville rivierasche ndr), 2) il piccolo edificio termale delle Acque Apollinares e ...3) il limitrofo sontuoso e vasto fabbricato di rappresentanza detto convenzionalmente del “Ninfeo di Apollo”- Casa di Ledo (da Ledo Mandolesi che fino al 1970 del Novecento vi abitava in qualità di custode per conto della Congregazione di Nostra Signora ndr)/ex lavanderia (dell’albergo termale ndr)”. “In particolare, sotto Domiziano, alla luce di quanto elaborato e perfezionato dall’architetto Rabirio in primo luogo sul Palatino e nella villa presso il lago di Albano, è evidente la notevole fortuna incontrata, nel contesto della magnificenza architettonica sommamente cara all’ultimo degli imperatori flavi, dal motivo architettonico dell’abside a pianta semicircolare, riscontrabile anche a Vicarello in questo fabbricato di rappresentanza in più punti ed in con-

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testi sontuosi o meno...Tale elemento rinvia, unitamente allo stupore destato dall’altezza delle sale di tali residenze, all’idea del dinasta quale in terris Iuppiter coltivata da Domiziano ed espressa architettonicamente anche tramite lo sviluppo dell’abside, tesa ad isolare l’imperatore racchiudendo la sua divina figura vivente all’interno di una nicchia circoscritta per conferirgli già in vita un’aurea sovraterrena”. Altro elemento interessante messo in luce dalle indagini condotte in loco è che “almeno un braccio della successiva aqua Traiana del 109/110 d.C. fu appositamente realizzato già anteriormente al 96 d.C. per garantire al complesso il rifornimento idrico indispensabile al funzionamento dei ninfei e delle fontane...non a caso una condotta idrica, rifornita da una soprastante cisterna, verosimilmente correva lungo il muro perimetrale nord-orientale della sala biabsidata, rifornendo il Ninfeo di Apollo dell’acqua che per caduta ne avrebbe animato lo scivolo della cascata”. Il complesso monumentale, oggi non accessibile al pubblico (compresa la Casa di Ledo ricadente sotto la competenza del Parco di Bracciano-Martignano), attende da decenni interventi di restauro in vista di un necessario progetto di musealizzazione all’aperto. Graziarosa Villani

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capolino: “vero, vero!”. Poi poco dopo tornava volteggiando, come una libellula, con un “olè” metteva sul tavolo vassoi, piatti e piattini per l’antipasto e con una voce che lasciava trasparire una certa soddisfazione lanciava un “Prontiiii”! Poco dopo “mentre ve gustavate st’antipastino... ve dico, quello che c’avemo pe’ primo: fettuccine fatte in casa da mi moje Maria, pe’ secondo se scejete la carne ve faccio preparà n’abbacchio alla scottadito, che ce pensa mi cognato Giuseppe che è “spe-cia-le, pe’ contorno quello che volete: insalatina, broccoletti, spinaci e poi frutta a volontà’... vedo che avete finito er vino, mo’ ve porto na bottija de’ rosso che come se dice fa’ rinvivolì li morti, l’acqua vedo che ce l’avete ancora”. Alla fine del pranzo “Signori c’avemo un dorcetto fatto in casa, na’ crostatina, de quelle che fa’ mi moje Maria, da leccasse li’ baffi pure se non ce l’avete! E il conto? Su un foglietto con quattro scarabocchi e: “pe’ tutto...v’ho fatto no’ sconticino” e aggiungeva “grazie signori...a presto”, nel dire così si affrettava a porgere la giacca all’uomo e ad aiutare la donna ad indossare il soprabito. Dite la verità: vi sarà capitato di incontrare un cameriere così “ruspante” e una trattoria così casereccia? Ma...quel cameriere? ...’Na vorta! E poi? Poi non era raro imbattersi in camerieri maldestri che, ahi noi, lasciavano schizzi di sugo sugli abiti di poveri malcapitati clienti, oppure, servendo il brodo non si accorgevano di aver immerso il proprio dito nel piatto stesso... “mi scusi, mi scusi” e si affrettavano, con un tovagliolo a cercare di

rimediare al danno, alle scuse ripetute si rispondeva a denti stretti... “non è niente...non è niente”. Altri tempi! Sì, ‘na vorta. Meno male! Ma oggi? Oggi il cameriere, quello con la divisa, che ti diceva “prego s’accomodi, non esiste quasi più. Perché? Perché pure lui è diventato elettronico”. “Prego. Che ordinate?”. Bene. Tic, tic, tic, con una pennetta digita su una “scatoletta”: spaghetti, bistecca, insalata, patatine, vino o birra...tic, tic, tic...”tutto fatto”. Passano pochi minuti e arrivano: spaghetti, bistecca, insalata, patatine, birra e vino. Il commento “ammazza il servizio più veloce della luce!”. E il cameriere? Quello con i piedi piatti, con il tovagliolo sul braccio o sulla spalla, con la penna biro e il foglietto su cui scrivere le ordinazioni? Quello che ti accompagnava al tavolo con un “Prego accomodateve e ...’ntanto che aspettate ve porto ‘nantipastino”. Altri tempi! Ma allora il cameriere...sì! ‘Na vorta! Luigi Di Giampaolo

La Redazione di Gente di Bracciano esprime solidarietà al Consigliere Comunale di Bracciano Marco Tellaroli per le minacce di morte ricevute.

CARLO EVANGELISTA

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