Gente di Bracciano Dicembre 2021 - numero 31
Gente diBracciano Dicembre 2021 - Numero 31
Dedicato a
Editore: Associazione Gente di Bracciano Presidente: Claudio Calcaterra. Direttore responsabile: Graziarosa Villani.
Redazione: Mena Maisano, Biancamaria Alberi, Francesco Mancuso. Registrato al Tribunale di Civitavecchia n. 1388/2014
Stampa e impaginazione: FEDE 2011 srl Via dei Vignali, 60 - Anguillara Sabazia su carta riciclata al 100%
Il lavoro al centro
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l lavoro nobilità l’uomo. Il reddito di cittadinanza no. Se “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, come recita l’articolo 1 della Costituzione Italiana, la realtà è ben diversa. Con la misura di sostegno alla Povertà quale di fatto è il Reddito di Cittadinanza, lo Stato di fatto ha abdicato al suo principio fondante: ovvero il lavoro. Precarizzato fino allo stremo, il ruolo del lavoro è stato nei decenni eroso della sua centralità in una società democratica e giusta, nella quale il profitto dei più sia contemperato da salari e stipendi adeguati. Le liberalizzazioni, la globalizzazione, sono stati presi a pretesto per svilire, giorno dopo giorno, il ruolo del lavoro. I sindacati, anche a livello di pensioni, sono stati costretti via via a politiche di retroguardia mirate a salvare il salvabile piuttosto che conquistare nuovi diritti. I controlli mancano. “Se otto ore vi sembran poche…”, “lavorare meno, lavorare tutti…”, slogan d’altri tempi non più declamati. Eppure se il lavoro manca, se non si restituisce dignità a tanti uomini e tante donne con un lavoro adeguatamente retribuito, il profitto resta e cresce. Manca la redistribuzione del reddito. Pertini diceva “non c’è libertà se non c’è giustizia sociale”. Senza un lavoro adeguatamente retribuito le donne e gli uomini non sono liberi. Alle amministrazione del lago di Bracciano, neoelette o riconfermate ci sentiamo, da queste pagine, di lanciare un appello: non vivacchiare sull’ordinaria amministrazione ma puntare ad un obiettivo, ovvero contribuire a creare buon lavoro sul territorio così da ridare fiducia ai giovani, agli individui e alle loro famiglie.
La Redazione di Gente di Bracciano
Augura
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Buon Natale ed un Felice 2022
Madame Simon Veil: figura centrale del femminismo europeo
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Una donna che visse tre vite. Presidente del Parlamento Europeo dal 1979 al 1982 imon Veil nasce il 13 luglio 1927 a Nizza, Francia. Muore il 30 giugno 2017 a Parigi dove riposa nel Pantheon. Sopravvissuta alla shoah, di-venne prima donna presidente del Parla-mento europeo, ministra della Sanità. Figlia di ebrei parigini fu deportata e rinchiusa ad Auschwitz. Scampata allo sterminio perpetrato dai nazisti, diventerà un punto di riferimento, in Francia, per la battaglia sulla legge che depenalizza l’aborto, varata nel 1975. Laureata in Giurisprudenza, magistrato, sposò nel 1946 Antoine Veil dal quale ebbe tre figli. Fu tra i soci fondatori e presidente onorario della fondazione per la memoria della shoah. Il destino volle che vivesse ben tre vite. Nella prima venne stravolta dall’orrore dell’olocausto, al quale sopravvisse per miracolo. La seconda, fu la vita di impegni civili esemplari, che la portò ad assumere incarichi di altissima responsabilità in seno a due governi di Francia. Per ultima, impegnò energie militando attivamente nelle istituzioni parlamentari europee, in favore di un’Europa unita intorno a ideali di pace, democrazia e rispetto dei diritti umani. Icona del femminismo, emblema della memoria dell’olocausto ed europeista esemplare, riuscì a conquistare il sostegno dei suoi compatrioti e fuori dai confini della Francia. Riprese gli studi iscrivendosi alla facoltà di Diritto, dove conobbe il giovane studente Antoine Veil. Fu amore immediato e i due si sposarono dopo un anno. Da quel momento per settant’anni furono una coppia esemplare unita dall’affetto e rispetto reciproco, fino alla morte di Antoine. I Veil formarono una famiglia piena di affetto e solidarietà ed ebbero la fortuna di vedersi circondati da una dozzina di nipoti. Simon Veil seppe superare, il divieto di lavorare che suo marito, fedele alle tradizioni borghesi, le aveva imposto. Realizzò la sua prima formazione “politica” all’interno della propria casa, rinunciando ad esercitare l’avvocatura in cambio di una carriera di magistrato. In quei primi anni di matrimonio, la futura ministra si fece un’idea abbastanza chiara dei diritti delle donne e della lotta per reclamarli, che, in seguito sarebbe diventato uno dei pilastri sui quali basò la propria carriera politica e pubblica. Una carriera che visse uno dei suoi momenti più memorabili il 26 novembre 1974,
Simon Veil
giorno in cui Simon, all’epoca quarantasettenne, salì sulla tribuna dell’As-semblea nazionale per pronunciare il suo discorso di presentazione del disegno di legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. Fu allora che i francesi scoprirono una donna di origine ebraica e borghese che, nella qualità di ministro di un governo di centrodestra, era capace di dire, con parole semplici, quanto fosse scandaloso che in Francia ci fossero donne che abortivano in condizioni sanitarie adeguate, mentre altre rischiavano di morire a causa di ferite e infezioni. Dopo venticinque ore di dibattiti, di violenza verbale, con 284 voti a favore e 189 contrari la legge venne approvata. Dal 1970 al 1980, Simon scoprì la sua vera passione politica: contribuire a rafforzare le istituzioni rappresentative della comunità economica europea e dopo il trattato di Maastricht, nel 1993, dell’Unione Europea. In Simon Veil, si caratterizzava la tendenza alla indipendenza dai partiti politici. Non sorprende, quindi, che nel 1993 avesse accettato di ricoprire la carica di ministro di Stato per gli Affari Sociali, la Sanità e le Aree Urbane, su proposta dell’allora presidente della Repub-blica francese François Mitterrand.
Con il passare del tempo, i francesi finirono per riconoscere in lei l’incarnazione di alcuni valori che, senza rinunciare alle radici ebraiche, sono la massima espressione della Francia figlia dell’Il-luminismo: il rispetto delle leggi al di sopra di qualunque potere; l’uguaglianza dinanzi ad esse di tutti i cittadini; la ricerca della felicità individuale nel contesto di una nazione che è un onore servire. A tutto ciò si aggiunge, frutto della crudele esperienza di Auschwitz, un impegno ferreo nella difesa della memoria dell’olocausto. Con l’ingresso nel Pantheon nazionale, tempio della Francia repubblicana e laica, delle sue spoglie e di quelle di suo marito, i francesi riconobbero lo straordinario valore di una donna che rese possibili gli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza. L’accademico Jean d’Ormesson sintetizzò in una frase i sentimenti di un’intera nazione quando diede il benvenuto a Simon nell’Académie française, un grande onore riservato agli eletti: “Come l’immensa maggioranza dei francesi, noi vi amiamo, madame”. A cura di Claudio Calcaterra
I miei primi ottant’anni autobiografia di un uomo libero
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Memorie, ricordi e riflessioni dal racconto, ad episodi, di Claudio Calcaterra
asco nel 1937 del secolo scorso, 30 giugno, e sono dentro il ventennio fascista, ma vengo registrato all’anagrafe un mese dopo, il 30 luglio, che mi “perseguiterà” fino alla fine dei miei giorni. Che vi devo dire? Sarò fortunato o sarò “sfigato” tutta la vita? Cari lettori, se avrete la costanza e un po’ di curiosità vi racconterò la mia storia fortunata è “sfigata” nello stesso tempo. La mia adolescenza, Madonna che disastro, mia madre mi abbandona quando avevo 11 anni. Mio padre viene epurato dai vigili del fuoco perché iscritto al partito fascista (nel ventennio è obbligatorio avere la tessera del partito, se non vuoi morire di fame senza lavoro), io il più piccolo e due fratelli più grandi di cui maggiore è balilla del regime. Divento l’unico sostegno nelle faccende di casa (casa intendo una camera in subaffitto nell’abitazione del capopalazzo camicia nera e guardiano del regime dove tutto è sotto controllo in tempo di pace e poi in tempo di guerra). Ora comincio la mia storia di vita vissuta. Attenti, se vi interessa la storia di una persona qualunque, bene, al contrario, pazienza,
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chiudete il giornale e dedicatevi ad altro. Ho 7 anni, mia madre bellissima, è una delle donne del quartiere Trionfale, invidiatissima, nel periodo dell’occupazione nazista di Roma. Ammirata e odiata da tutto il quartiere. E da fascisti in voga. Mia madre imperversa nel quartiere con la sua bellezza e la sua capacità caratteriale di attirare l’interesse degli abitanti (un quartiere di Roma è come vivere in un piccolo paese) ma nello stesso tempo subisce l’invidia e l’acredine di molte “signore” della borghesia cattofascista. Continuando nel racconto della mia vita di adolescente ricordo mia madre. Mi sveglia in piena notte. Mi prende, avvolgendomi con una coperta, in braccio per andare nel rifugio antiaereo che non è altro che una cantina di un vecchio palazzo del quartiere. Le angoscianti sirene d’allarme annunciano l’incursione degli aerei americani che bombardano alcuni quartieri della città, specialmente dove ci sono stazioni ferroviarie e depositi di materiali. Noi siamo più fortunati, perché la nostra stanza in subaffitto si trova nei pressi dello Stato Vaticano, dove gli alleati non possono
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trova nei pressi dello Stato Vaticano, dove gli alleati non possono sganciare le loro micidiali bombe. Mio padre, in servizio presso la caserma dei “pompieri” di Testaccio insieme ai suoi colleghi accorre a sirene spiegate in soccorso dei cittadini di San Lorenzo, preso di mira dai bombardieri americani, per i depositi di materiale bellico. Ricordo, nel racconto di mio padre, il salvataggio di un sacerdote estratto dalle macerie delle case bombardate. Mia madre, molto attiva nel procurarsi il necessario per sfamare me e i miei fratelli apre un banco di frutta - vende prevalentemente pesche - a Piazzale Flaminio, chiaramente senza licenza o permesso della Questura. Tanto è vero che un giorno si presentano due poliziotti che le chiedono il permesso che le consente di stare lì con il banco. Per tutta risposta, mia madre minaccia i due con il “patocco” della bilancia. Detto e fatto. Dopo circa mezz’ora si ripresentano con un “cellulare” della Questura di via Tomacelli. Caricano il banco con tutta la frutta, me e mia madre e ci portano in un locale della Questura di fronte a un commissario con un atteggiamento molto paterno e forse un po’ ammaliato dalla bellezza di mia madre. Dopo le dovute formalità e raccomandazioni, il commissario ordina di lasciarci andare senza banco e senza frutta. Mia madre, oltre che bella, è una donna di carattere forte, romana e testaccina, ribelle, tanto è vero che una volta affronta, minacciandole, due camicie nere che hanno schiaffeggiato mio padre per il solo fatto che non si è tolto il cappello di fronte ai gagliardetti fascisti sventolati da giovanissimi balilla. Per assurdo, dentro la fila c’è anche mio fratello più grande. Un’altra volta, giocando a “nizza” con i miei amichetti, vengo schiaffeggiato da “er più”. In quel periodo i delinquenti sono chiamati così, per averlo sfiorato con il legno della “nizza”. Piangendo corro da mia madre che vuole sapere chi è stato, c’è anche mia zia, la sorella più piccola. Tutte e due partono alla ricerca “der più”, detto “er Provolone” e quando lo trovano “lo corcano” di botte. Nella camera in subaffitto dove viviamo in cinque, io dormo in mezzo a mia madre e mio padre, i miei fratelli in un lettino singolo, uno daccapo e l’altro da piedi. L’appartamento è composto da due camere da letto, una cucina grande, una cameretta di passaggio, un corridoio e un bagno dove ci sono soltanto un water e il lavandino. Il titolare della casa, camicia nera e capopalazzo, ha moglie e due figlie. Per l’abbandono di mia madre, quasi odiandola - a undici anni - accetto l’impegno di camminare da solo, di lottare, facendo leva su tutto quanto in me c’è di forte, di bello, cacciando i miei inutili rimorsi, la sofferenza sterile. A chi piacerà leggere la mia storia - quanto ho fatto di buono o di cattivo durante la mia vita - vorrei dire che sono consapevole di
I Fratelli Calcaterra. Al centro Claudio
essermi guadagnato tanti meriti quanto i demeriti e posso perciò credermi un uomo libero. (continua)
Per Rosy Bindi al Quirinale
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Donna di alta caratura politica
na donna al Quirinale. Lo si chiede da tempo. Le elezioni sono imminenti e tra i tanti nomi in lizza per la carica più alta dello Stato avanziamo una proposta: la candidatura di Rosy Bindi a Presidente della Repubblica. Figura di forte caratura politica, Bindi possiede tutte le caratteristiche per l’alto ruolo che la Costituzione affida alla carica. É stata assistente universitaria di Vittorio Bachelet. Era accanto a lui il 12 febbraio 1980 quando Bachelet venne ucciso dalle Brigate Rosse nei corridoi della Facoltà di Scienze Politiche di Roma. Bindi ha ricoperto l’incarico di ministro della Sanità (1996-2000) e quello di ministro per le Politiche per la Famiglia (2006-2008). È stata vicepresidente della Camera dei Deputati (2008-2013), presidente del Partito Democratico (2009-2013), presidente della Commissione parlamentare antimafia (2013-2018). Nel 2018 ha deciso di non ricandidarsi alle elezioni in Parlamento. A febbraio 2021 in una intervista a Il Fatto Quotidiano ha detto di non riconoscersi più nel Pd, partito per il quale non ha rinnovato la tessera. Sulla sua candidatura al Quirinale, incalzata il 26 novembre 2021 da Lilli Gruber a Otto e
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Gente di Bracciano
1832: Walter Scott in visita a Bracciano
Lo accompagna Michelangelo Caetani. Il soggiorno ricordato una cinquantina di anni dopo
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alter Scott giunto a Roma, quantunque già ammalato di quel malore che lo trasse poi alla tomba, tuttavia volle portarsi a visitar il castello di Bracciano. A mia volta volli andare a Bracciano per raccogliere traccie di lui, e se la mia brama restò per molto tempo non soddisfatta fu a cagione del noioso viaggio tra Roma e Bracciano. Un carrozzone a due cavalli, che fa il servizio postale, è l'unico mezzo per giungervi sicuramente in quattro ore e mezzo. Incrociate le gambe con due viaggiatori dirimpetto e appoggiato il fianco sinistro con un altro, mi trovai chiuso in una di quelle tradizionali diligenze che furono l'unico veicolo dei nostri nonni. I cavalli, a vederli, parevano due brenne, e pure sapeva che facevano giornalmente le venticinque miglia romane, montando al trotto le innumerevoli salite. Un vecchione con testa e barba da poter rappresentar Mosè al teatro senza camuffarsi, nato a Bracciano, ma dimorante a Roma, ci faceva da gentil cicerone. Non vi era torraccia o ruina mediovale di cui non sapesse dirci qualche cosa; non tramite, non armento, monticciolo di cui ignorasse le direzioni, il padrone, i prodotti. Quando si giunse alla Storta, gruppo di casolari con tre osterie, il cielo, già nebuloso al partire, finì di velarsi interamente da parere una cappa plumbea. Eccoti venir giù una pioggiarellina proprio passata al più fino staccio. Le lande romane, sempre per sé stesse melanconiche, diventavano tetre man mano che l'orizzonte facevasi fosco. Qua e là alla lontana branchi di giovenche capitanate da colossali tori; qualcuno di questi, isolato dietro macerie di vetusto acquedotto, mugghiando pareva lamentar il perduto harem. Talora sfilavano, rapidi come il vento, dei butteri, i cui ronzini nitrivano, e a cui rispondevano le giumente negli steccati. Erano gastaldi che facevano il rondello ai pascoli. Il muggito delle bovine, il nitrir delle equine, il rumor delle ruote del carrozzone erano quanto udivasi per quelle lande brulle. Il vegliardo braccianese mi additò la piccola punta di un campanile, che ora mostravasi ora scompariva a sinistra fra macchie e rialzi di terreno. È Galera! Loco desolato in cui grossi colubri serpeggiano per le abbandonate case; gufi e civette funestano l'aere coi loro stridi dall'alto della chiesa. Spira tale aria che conduce dritto dritto a Campo Varano (il cimitero). Anticamente fu luogo di salvaguardia per i banditi, per gli evasi dalle carceri. Alcuni resistettero e tirarono su abitati e chiesa; ma alla fine la malaria vinse ed ora ai
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Il famoso romanziere scozzese Walter Scott visitò Bracciano nel maggio 1832. Il 1° maggio aveva fatto visita e Frascati e il 9 maggio accompagnato sempre da Michelangelo Caetani che lo ritrasse nin questo acquerello, volle visitare anche Bracciano. Vi soggiornò un giorno e mezzo. Il castello all’epoca apparteneva ai Torlonia. Don Marino Torlonia, attorno il 1860, facendo da cicerone ad alcuni stranieri, ci tenne a segnalare la stanza del castello dove Scott aveva dormito quale segno dell’importanza del maniero.
tristi uomini sono successi i tristi animali. Nemmeno i masnadieri osano annidarsi in quelle deserte magioni, né il viandante, colto da bufera, si decide a riparar sotto le arcate volte, già sacre al culto. A cagione della pioggia la tenebria fu precoce; lampeggiava a lenti intervalli ed allora a destra appariva qualche tratto del lago di Bracciano, corrusco, smagliante, per scomparire all'istante. Un ultima salita e fummo a Bracciano. La Locanda Pala, con veri saloni, per quanto ad ampiezza, indicatami dal cortese compagno di viaggio, mi
offri un buon asilo e una cena casalinga.
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Erano le undici quando mi venne l’idea di godermi la vista del Castello e del sottostante lago al chiaro di luna. Questa erasi liberata del nebuloso velame e splendeva placida con un'aureola che faceva presagire altra pioggia per la dimane. Mi aggirai per nere viuzze attorno al castellaccio e scendendo per esse giunsi alla sponda del lago, il quale pareva un bacino di piombo fuso, ai raggi della casta diva. Maestoso, tetro specchiavasi, in un lato del medesimo, il turrito castello . Tutto taceva salvo il trillo dei grilli
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nesi dormivano tranquilli immemori dei loro antichi feudatari, che dall’alto di quelle torri avevano fatto giustizia molto Orsina. «E veramente fui figliuol dell’Orsa «Cupido si per avanzar gli Orsatti.... Agli Orsini erano successi gli Odescalchi, che la continuarono, nemmeno interrotta dal governo napoleonico. Bello era lo spettacolo; ma alla fine fu d’uopo ritornare sui miei passi. Nel ricalcare quei viottoli bui e strettissimi e con vetuste porte arcate, svegliai qualche cagna, il cui ululo si sposava tetramente alla scena notturna. E forse alcune femminette, svegliatesi trepidanti, fecero il segno della croce, scambiandomi, dalla finestrina della stamberga, per lo spettro che si crede vagolar gemebondo fra le nere mura del castello. A mia volta il sonno fu turbato da sogni o meglio da visioni storiche. Mi pareva di vedere Sisto IV passeggiar tronfio sui terrazzi del castello, sapendo che dal luglio al settembre 1478 vi aveva soggiornato. Dopo erano i Colonnesi con Innocenzo VIII che saccheggiavano Bracciano a danno degli Orsini (1486). Finalmente Alessandro VI guidava egli stesso le schiere per rivendicar la sconfitta toccato al suo esercito nel 1496. Al sorger dell’aurora balzai dalle candide coltri, e maggiormente belli mi si presentarono il lago ed il castello. Incontrai il mio compagno di viaggio che, udito il mio desiderio di visitar il castello, si offrì di accompagnarmi. La salita, erta, serpeggiante, ci portò ad una porticina, che per mezzo di bassissima bodola, ci lasciò penetrare in oscuro androne che metteva capo ad un cortile assai vasto. Poco mi curai di saloni, i quali nel principiar di questo secolo gli Odescalchi cominciarono a decorare e poi lasciarono interrotti. Un verone, con una delle più splendide prospettive sul lago e sui colli boscosi che lo contornano, mi attrasse. La superficie era alquanto agitata e formava dei piccoli marosi. Una barchetta solinga batteva i remi, portando a Trevi-gnano, sulla sponda opposta, un pescatore con la sua giovine sposa. Il paesello con i suoi casolari e con le sue chiese presentavasi ceruleo; da altra parte torreggiava il castello d’Anguillara, oscuro oscuro, e dall’opposta, ridente appariva Vicarello con i suoi antichi bagni apollinari. Tirava una brezzolina che fischiava fra i folti cespugli dell’ellera, sugli spaldi e sui merli della rocca. Qualche palustre augello si aggirava sugli ondeggianti giuncheti e collo stridere acuto manifestava forse il timore per i suoi implumi, cui le ondate minacciavano invadere il covo. Che bella veduta! – dissemi il mio compagno. Deliziosa. risposi. Fu ammirata anche da uno che ne aveva descritte delle belle e inventate forse delle migliori: Gualtiero Scott. E che sia rimasto incantato lo posso accertare io, che ricordo di averlo veduto in uno di questi seggioloni foggiati all’antica. Era lasso, non tanto per esser montato su, quanto perché rovinato di salute. Lo pregai di narrare quanto sapeva ed egli non si fece pregare. Il gran romanziere scozzese a Roma, ove
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era giunto da Napoli, aveva alloggio in casa Bernini. Invitato a pranzo dalla Duchessa di Torlonia, seppe che teneva allora il castello di Bracciano e manifestò il desiderio di visitarlo, rammentando scene tragiche degli Orsini. Fu tosto soddisfatto ed accompagnato da due o tre Inglesi e da don Michelangelo Caetani Duca di Sermoneta, che vive tuttora e pel quale Walter Scott aveva grande stima, qui giunse a dì 9 maggio dell’anno 1832. Io aveva allora vent’anni e ricordo quell’arrivo perchè avendo con vero entusiasmo letto la fidanzata di Lammermo-or, ben può immaginarsi che seguii l’autore in ogni suo passo per la mia patria Fece la stessa strada che noi abbiamo fatto. Rimase colpito dalla cupa apparenza dei torrioni tappezzati di ellera e di capperi. Sedè lungamente, come le dissi, nel vano di que’ finestroni: era il crepuscolo vespertino e il lago presentavasi seducentissimo. Restò silenzioso e mi parve che un mesto pensiero gli sorvolasse la mente. Era il ricordo della morte di Goëthe avvenuta poche settimane prima. Infatti l'udii mormorare: - «Ahimè per Goëthe ! però egli morì a casa sua; che io possa morire ad Abbotsford! Grata quies patriae ! ... Un grosso cane danese del castaldo venne a leccar la mano al bardo scozzese , che si scosse ed accarezzandolo disse: - «Tu mi rammenti il mio fido ad Abbotsford, più alto di te, ma certamente non così cortese con gli ospiti. Il castaldo - fu contento di udire ciò, benchè detto in francese, poco capito da lui, e appiccò discorso con Scott, narrandosi a vicenda le gesta dei loro cani. Volle vedere ogni andito, ascoltando con attenzione le notizie, che gli venivano date di trabocchetti, di un passaggio sotterraneo e di uno spirito che talora mostravasi sulla cima di una torre ove si giustiziavano i rei. Scott alla sera conversò allegramente avanti quel grande cammino, ove strepitava un buon foco e fu servito ripetutamente di thè. In sul tardi gli ritornò alla mente Goëthe, che nell’anno prima aveva veduto a Weimar molto vecchio ma arzillo, e gli aveva promesso di visitarlo nuovamente al ritorno. Esclamò: «Io sono vicino a chiudere la mia carriera letteraria; e da qualche tempo sono uscito di scena... » Fu distolto dai mesti pensieri dal duca Caetani. Passò la notte in quella
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camera laggiù, e di buon mattino si alzò e tosto volle fare un altro giro pel castello accompagnato dal custode e dall'indivisibile suo cane danese. Si indovinava che aveva già concepita l’idea o forse anche aveva già in mente preparato il soggetto per un romanzo. Sfortunatamente per Bracciano portò il medesimo nel mondo di là, poiché ebbe appena tempo di ritornare al suo castello per morirvi (27 settembre 1832). Lo rividi, fatta colazione nel castello, ripartire per Roma accompagnato sempre dai detti gentiluomini; fra cui Michelangiolo Caetani allora giovane al pari di me. Egli possedeva la spada del duca Valentino e l’ha tuttora, e di essa Scott era entusiasta, ed amava la ripetizione delle vicende storiche di quei tempi che il Caetani sapeva esporgli chiaramente. Quantunque le notizie datemi sul baronetto scozzese a Bracciano non mi giungessero tutte nuove, mi furono care, essendomi pervenute da un testimonio che si gloriava, dopo quasi mezzo secolo, di aver veduto e udito Walter Scott. Seguitai la visita del castello che, sorto nel secolo XV, assomiglia al palazzo di San Marco in Roma. Penetrai in ogni recesso, ma la mente era tanto preoccupata del romanziere che l'impressione al varcar un trabocchetto, all’entrar in una stretta prigione che precedeva il luogo della decapitazione, fu molto scemata. L’aver poi sempre sotto gli occhi l’amena prospettiva, faceva un fortissimo contrasto con l’aspetto cupo di quelle celle carcerarie sull'alto delle torri. Mi rincrebbe di non veder segnata in alcuno di quei saloni un’iscrizione ricordante la visita di Walter Scott. Avrei voluto andar al castello di Anguillara in barchetta, ma quando sbuffa la tramontana nessuno osa toccar un remo a Bracciano. Forse hanno ragione poiché in tutto il lago non vi sono che tre o quattro barcuccie miserabilissime, che possono capovolgersi facilissimamente. Il lago, creato da sconvolgimenti vulcanici, ha il perimetro di 20 miglia romane ed è ricco di reine, di tinche, di anguille e di altri pesci di minor conto. L’aspetto di Bracciano è piuttosto gradevole: vi sono ampie vie e una bella piazza con fontana in mezzo. Sopravvenne la pioggia ed io mi affrettai a rimontare nella diligenza che mi ricondusse a Roma sano e salvo. Articolo di A. Bertolotti
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“Percorsi familiari”:
Al Chiostro degli Agostiniani una mostra da non perdere
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l suo tratto è ormai inconfondibile, così i colori e quell’atmosfera evanescente ed evocativa che caratterizza le sue opere e che apre un racconto in cui si vuole entrare. Un’artista in continua evoluzione che ha tuttavia raggiunto una sua maturità, un suo modo di fare arte, un suo modo di raccontare il mondo. Che siano ritratti, nature morte, scorci di vicoli e piazze della sua Bracciano e della città di Palermo che lo abbraccia, Cristiano Guitarrini, cattura l’attenzione, affascina e convince. Dopo tante apparizioni sui social seguite im-mancabilmente da una lunga serie di complimenti, oggi, Guitarrini torna alla scoperto con una personale vera che si terrà al Chiostro degli Agostiniani di Bracciano a partire dall’8 al 12 dicembre. Una mostra dal titolo “Percorsi familiari”. “La mostra - commenta la nota di accompagnamento - nell’esposizione di oli e acquerelli, ripercorre alcuni temi e soggetti cari all’artista, sviluppati negli ultimi anni, come una sorta di caleidoscopio che attraverso le sue sfaccettature illumina aspetti della dimensione sociale e privata dell’autore: dall’indagine sull’immigrazione come fenomeno umano, passando per l’adattamento nella società urbana, fino a riaffrontare il tema del “filo” o “gomitolo” come elemento esistenziale. Poi Palermo, Roma, Bracciano e il Castello, termini di dialogo poetico all’interno della propria consuetudine quotidiana. Come un cerchio che si chiude, il percorso giunge a guardare negli occhi i propri familiari, fino ad arrivare allo specchio, nell’indagine su se stesso attraverso l’autoritratto, dove il segno inciso suggerisce una continua ricerca, in cui visione analitica e poesia sembrano due facce della medesima tensione creativa”. Guitarrini con questa mostra, pur restando nel figurativo, dimostra che nell’arte si può innovare. Racconta inoltre che anche l’arte può essere un atto di denuncia. Un artista del suo tempo che guarda il suo mondo ma che non dimentica i drammi di un’epoca che si dice democratica e solidale ma che fa del Mediterraneo una tomba. Occhi attenti hanno già plaudito all’espressione artistica di Cristiano Guitarrini. Nel catalogo della sua personale a Palermo Pedro Cano, grande artista spagnolo contemporaneo con un vissuto ad Anguillara al di là del lago, lo descrive in qualche modo come un allievo che ha trovato la sua strada. “Ho sempre creduto - scrive Pedro Cano che le città siano l’invenzione più importante dell’essere umano. Nate come luogo di scambio di merci, sono cresciute come scenario di rapporti e soprattutto di idee. Per me che sono nato in un piccolo paese del sud della Spagna, penso
Autoritratto (particolare)
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l’arte di Cristiano Guitarrini
Fiori di fine estate - acquerello su carta 38x56 cm
Ottanta New York, siano state le università dove ho imparato a dialogare con la vita. Cristiano Guitarrini cammina nelle città e in questo viaggio coglie il loro immenso caleidoscopio, emozioni e sentimenti, che con enorme maestria, traduce in pittura. Conosco - scrive ancora Cano - il suo operato da tanti anni. Era un adolescente quando mi mostrò per la prima volta il suo lavoro e fui subito meravigliato della qualità delle sue opere. I suoi disegni erano di grande valore e sono stati la base per raccontare la bellezza e il dolore attraverso una pittura ricca, a volte impalpabile altre volte fortemente materica... Questo pittore - commenta ancora l’artista spagnolo - ha molto ancora da dire nella storia della figurazione in Italia”. Intense e ragionate le parole di Claudio Strinati, noto critico d’arte. “Cristiano Guitarrini - scrive Claudio Strinati - un artista animato da grande fervore intellettuale e da autentica passione visiva. La sua attitudine a tradurre in immagini stati d’animo lo rende capace di trasformare una condizione esistenziale in forma autonoma che si realizza attraverso un delicato lavorio sul quadro, di volta in volta perfettamente definito e circoscritto...o sbozzato, come indefinito, nei momenti di riflessione e sospensione, nella meditazione sulla fragilità delle cose. Meditazione che - commenta Strinati spinge il maestro su quella soglia del non detto o del non dicibile che conferisce un fascino particolare alle sue opere. Sembra quasi che il
Pioggia di sole - acquerello su carta 28x19 cm
tema di fondo sia, come in certi seicenteschi, quello del passaggio inevitabile dallo splendore della forma al suo intrinseco declino, riformulato e ripensato da un pittore del nostro tempo che tratta il dipingere con sacrale rispetto e con suprema leggerezza, proprio quando si avvicina agli aspetti più intimi segreti di chi sa osservare e sa trasporre il proprio giudizio su quello che vede intorno a sé, ripensandolo nei nei termini dell’opera d’arte”. Dall’8 al 12 dicembre al Chiostro degli Agostiniani appuntamento con l’Arte. Graziarosa Villani
Riavvolgere ricordi - acquerello su carta 12x27 cm
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Sandro Pertini: “libertà e giustizia sociale, binomio inscindibile”
Il discorso di insediamento del compianto Presidente della Repubblica
Sandro Pertini incontra una scolaresca
Era il luglio del 1978. Dopo le dimissioni dell’ex presidente Giovanni Leone viene eletto alla carica di Presidente della Repubblica Sandro Pertini, un militante da sempre in nome della libertà. Fu un presidente molto amato, popolare. Vogliamo ricordarne la figura riportando il suo discorso di insediamento, in vista anche delle scelte che si faranno in occasione delle imminenti votazioni per il nuovo Capo dello Stato. Un discorso di cuore, quello di Pertini, che arriva negli anni difficili del terrorismo, dove parole come libertà, giustizia sociale e lavoro ricorrono. Nel ricordo anche di alcuni suoi compagni di viaggio, e di cella, tra i quali Antonio Gramsci.
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ella mia tormentata vita mi sono trovato più volte di fronte a situazioni difficili e le ho sempre affrontate con animo sereno, perché sapevo che sarei stato solo io a pagare, solo con la mia fede politica e con la mia coscienza. Adesso, invece, so che le conseguenze di ogni mio atto si rifletteranno sullo Stato, sulla nazione intera. Da qui il mio doveroso proposito di osservare leal-
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mente e scrupolosamente il giuramento di fedeltà alla Costituzione, pronunciato dinanzi a voi, rappresentanti del popolo sovrano. Dovrò essere il tutore delle garanzie dei diritti costituzionali dei cittadini. Dovrò difendere l’unità e l’indipendenza della nazione nel rispetto degli impegni internazionali e delle sue alleanze, liberamente contratte. Dobbiamo prepararci ad inserire sempre più l'Italia nella comunità più vasta che è l’Europa, avviata alla sua unificazione con il Parlamento europeo, che l’anno prossimo sarà eletto a suffragio diretto. L'Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della terra. Questa la strada, la strada della pace che noi dobbiamo seguire. Ma dobbiamo operare perché, pur nel necessario civile raffronto tra tutte le ideologie politiche, espressione di una vera democrazia, la concordia si realizzi nel nostro paese. Farò quanto mi sarà possibile, senza tuttavia mai valicare i poteri tassa-
Gente di Bracciano
valicare i poteri tassativamente prescrittimi dalla Costituzione, perché l’unità nazionale, di cui la mia elezione è una espressione, si consolidi e si rafforzi. Questa unità è necessaria e, se per disavventura si spezzasse, giorni tristi attenderebbero il nostro paese. Non dimentichiamo, onorevoli deputati, onorevoli senatori, signori delegati regionali, che se il nostro paese è riuscito a risalire dall’abisso in cui fu gettato dalla dittatura fascista e da una folle guerra, lo si deve anche, e soprattutto, all’unità nazionale realizzata allora da tutte le forze democratiche. È con questa unità nazionale che tutte le riforme, cui aspira da anni la classe lavoratrice, potranno essere attuate. Questo è compito del Parlamento. Bisogna sia assicurato il lavoro ad ogni cittadino. La disoccupazione è un male tremendo che porta anche alla disperazione. Questo, chi vi parla, può dire per personale esperienza acquisita quando in esilio ha dovuto fare l’operaio per vivere onestamente. La disoccupazione giovanile deve soprattutto preoccuparci, se non vogliamo che migliaia di giovani, privi di lavoro, diventino degli emarginati nella società, vadano alla deriva e, disperati, si facciano strumenti dei violenti o diventino succubi di corruttori senza scrupoli. Bisogna risolvere il problema della casa, perché ogni famiglia possa avere una dimora dignitosa, dove poter trovare un sereno riposo dopo una giornata di duro lavoro. Deve essere tutelata la salute di ogni cittadino, come prescrive la Costituzione. Anche la scuola conosce una crisi che deve essere superata. L’istruzione deve essere davvero universale, accessibile a tutti, ai ricchi di intelligenza e di volontà di studiare, ma poveri di mezzi. L’italia ha bisogno di avanzare in tutti i campi del sapere, per reggere il confronto con le esigenze della nuova civiltà che si profila. Gli articoli della Carta costituzionale che si riferiscono all’insegnamento e alla promozione della cultura, della ricerca scientifica e tecnica, non possono essere disattesi. Il dettato costituzionale, che valorizza le autonomie locali ed introduce le regioni, è stato attuato. Ne è derivata una vasta partecipazione popolare che deve essere incoraggiata. Questo diciamo, perché vogliamo che la libertà riconquistata ll Presidente allo stadio dopo lunga e dura lotta, si consolidi nel nostro paese. E vada la nostra fraterna solidarietà a quanti in ogni parte del mondo sono iniquamente perseguitati per le loro idee. Certo noi abbiamo sempre considerato la libertà un bene prezioso, inalienabile. Tutta la nostra giovinezza abbiamo gettato nella lotta, senza badare a rinunce per riconquistare la libertà perduta. Ma se a me, socialista da sempre, offrissero la più radicale delle riforme sociali a prezzo della libertà, io la rifiuterei, perché la libertà non può essere mai barattata. Tuttavia essa diviene una fragile conquista e sarà pienamente goduta solo da una minoranza, se non riceverà il suo contenuto naturale che è la giustizia sociale. Ripeto quello che ho già detto in altre sedi: libertà e giustizia sociale costituiscono un binomio inscindibile, l’un termine presuppone l’altro: non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Di qui le riforme cui accennato poc’anzi. Ed è solo in questo modo che ogni italiano sentirà sua la Repubblica, la sentirà madre e non matrigna. Bisogna cioè che la Repubblica sia giusta e incorrotta, forte e umana: forte con tutti i colpevoli, umana con i deboli e diseredati. Così l’hanno voluta coloro che la conquistarono dopo venti anni di lotta contro il fascismo e due anni di guerra di liberazione, e se così sarà oggi, ogni cittadino sarà
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pronto per difenderla contro chiunque tentasse di minacciarla con la violenza. Contro questa violenza nessun cedimento. Dobbiamo difendere la Repubblica con fermezza, costi quel che costi alla nostra persona. Siamo decisi avversari della violenza, perché siamo strenui difensori della democrazia e della vita di oggi cittadino. Basta con questa violenza che turba il vivere civile del nostro popolo. Basta con questa violenza consumata quasi ogni giorno contro pacifici cittadini e forze dell'ordine, cui va la nostra solidarietà. Ed alla nostra mente si presenta la dolorosa immagine di un amico a noi tanto caro, di un uomo onesto, di un politico dal forte ingegno e della vasta cultura: Aldo Moro. Quale vuoto ho lasciato nel suo partito e in questa assemblea! Se non fosse stato crudelmente assassinato, lui, non io, parlerebbe oggi stesso da questo seggio a voi. Ci conforta la constatazione che il popolo italiano ha saputo prontamente reagire con compostezza democratica, ma anche con ferma decisione, a questi criminali atti di violenza. Ne prendano atto gli stranieri, spesso non giusti nel giudicare il popolo italiano. Quale altro popolo saprebbe rispondere resistere ad una bufera di violenza quale quella scatenatasi sul nostro paese come ha saputo e sa rispondere il popolo italiano? Onorevoli senatori, onorevoli deputati, signori delegati regionali, invio alle forze armate il mio saluto caloroso. Esse oggi, secondo il dettato della Costi-tuzione, hanno il solo nobilissimo compito di difendere i confini della patria se si tentasse di violarli. Noi siamo certi che i nostri soldati saprebbero con valore compiere questo alto dovere. ll mio saluto deferente alla magistratura: dalla Corte Costitu-zionale a tutti i magistrati ordinari e amministrativi, cui incombe il peso prezioso e gravoso di difendere ed applicare le leggi dello Stato. Alle forze dell’ordine il mio saluto. Esse ogni giorno rischiano la propria vita per difendere la vita altrui. Ma devono essere meglio apprezzate ed avere condizioni economiche più dignitose. Vada il nostro riconoscente pensiero a tutti i connazionali che fuori delle nostre frontiere onorano l’Italia con il loro lavoro. Rendo omaggio a tutti i miei predecessori per l’opera da essi svolta nel supremo interesse del paese. Il mio saluto al senatore Giovanni Leone, che oggi vive in amara solitudine. Non posso in ultimo, non ricordare i patrioti con i quali ho condiviso le galere del tribunale speciale, i rischi della lotta antifascista e della Resistenza. Non posso non ricordare che la mia coscienza di uomo libero si è formata alla scuola del movimento operaio di Savona è che si è rinvigorita guardando sempre ai luminosi esempi di Giacomo Matteotti, di Giovanni Amendola e Piero Gobetti, di Carlo Rosselli, di don Minzoni è di Antonio Gramsci, mio indimenticabile compagno di carcere. Ricordo questo con orgoglio, non per ridestare antichi risentimenti perché sui risentimenti nulla di positivo si costruisce, né in morale, né in politica. Ma da oggi io cesserò di essere uomo di parte. Intendo essere solo il Presidente della Repubblica di tutti gli italiani, fratello a tutti nell’amore di patria e nell’aspirazione costante alla libertà e alla giustizia. Onorevoli senatori, onorevoli deputati, signori delegati regionali, viva La Repubblica, viva l’Italia! Sandro Pertini
Gente di Bracciano
Attorno al Grande Burlone
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Riflessioni al tempo del coronavirus
n po’ di parole per raccontare i miei pensieri cresciuti ai tempi del coronavirus. Li raccolgo in tre dilemmi che si contaminano tra loro ma, come nelle figure di Escher, tracciano strade che non s’incontrano mai, un viaggio nell’ignoto. Primo dilemma. Il presente. Ho cinque respiratori. Arrivano dieci infetti morenti. Devo decidere a chi attaccare i respiratori. A quelli che hanno più possibilità di vita, of course. Umanamente disumano. La risposta che bisogna avere a disposizione più respiratori vale per domani non per oggi magari ricordandosi che le politiche dominanti nell’era del benessere li hanno eliminati dalla sanità pubblica, o hai cinquemila dollari o muori. Secondo dilemma. Il futuro. O rischiare di morire socialmente abbracciati o rischiare di morire economicamente isolati. Sono un appassionato sostenitore Relatività di Maurits Cornelis Escher della necessità di pensare a una vita contrassegnata da una “decrescita fe- propri occhi e propri modi per sentire e penlice”, consumare meno per vivere me-glio. sare il che fare. La scienza studia e ha bisoIn questo isolamento in cui il Grande Bur- gno di tempo. Le religioni si affidano al lone ci rinchiude, che ha uno strano sopran- Supremo che dà e toglie possedendo un nome, distanza sociale, ho scoperto che è grande vantaggio competitivo, non si lascia bello sognarla dopo che tanti miei desideri, pensare, bisogna credergli, a prescindere. viaggiare, scoprire, volare, vedere bellezze, La politica, quella “aristotelica dell’animangiare chef, incontrare il mondo, avere il male sociale”, barcolla, il nemico è infido e tempo per leggere, poter fare i lavori che ho sconosciuto e ogni persona è rinchiusa nel scelto, sono riuscito, in qualche misura, ad proprio particolare con mille varianti legate appagarli. alla storia e alla cultura dei mille popoli che Ma chi non ha potuto o voluto pensa abitano la Terra. Poi c’è un meta-dilemma: giustamente che ora tocchi a lui! Il desiderio sono io che scrivo parole o sono le parole è un motore dell’evoluzione della vita e che scrivono me? quello che è stato scoperto vive per sempre, Sì, lo so, sto pazziando ma altrimenti intanto in noi. Bisognerebbe trovare il giu- non saprei come uscire dal culo di sacco in sto mezzo, antico dilemma dell’umanità, ma cui mi sono cacciato. Il Grande Burlone mi sembra che all’uomo sia più “facile” “usare” ha fatto visitare luoghi inconosciuti di me i tempi difficili per farsi guerra magari solo medesimo che ho voluto raccontare, anzi, “politica”, poi se ci scappa l’altra va bene lo solo scrivere, e a persone lontane: è stato un stesso: storia dell’umanità, farsi la guerra. aiuto enorme ma mi è mancato da morire il Esistenzialmente distruttivo. Terzo di- contraddittorio, quello che corregge e arriclemma. Il presente e il futuro insieme. chisce i miei prolegomeni… l’uomo deve Non conosciamo ancora bene il Grande avere il coraggio di cambiare, altrimenti Burlone. Lui ama i nostri corpi caldi e tem- c’è il nulla, c’è solo la vacuità che è pegperati. Otto miliardi di corpi caldi, anche se giore della morte… frase che mi piace ma non tutti temperati. Otto miliardi di storie ir- che non so se ha qualche connessione loriducibili. È possibile governare un di- gica con il resto, forse sì ma vallo a salemma così maestoso? Ognuno di noi ha pere… così, mentre queste parole
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scrivono di me mi è nato un desiderio e mi sono andato a “perare” con un film che adoro: “Il settimo sigillo” di Bergman… nel film vita e morte non sono contrapposte come si tende a credere, sono legate, fatte quasi della stessa sostanza… non basta esistere per essere vivi, ci si può sentire morti pur respirando… uhmmm!... mi sono letteralmente perso … il fatto è che il ciriveddru davanti a questi temi s’imparpaglia ma forse è proprio questo il super dilemma… mi perdo ergo sum… ma un piccolo sfogo me lo concedo… la scienza è imperfetta come la natura, va per tentativi ma studia, ricerca, prova a capire e ci salva: peste, vaiolo, malaria, poliomelite, la penicillina e via cantando hanno salvato figli, nonni, cugini, amici, senza distinzioni di pelle, di sesso, bisogna ricordarlo, sempre! Poi si può pensare ciò che si vuole ma due cose non possono mai mancare in una società civile: il rispetto dell’altro e le regole della democrazia che demanda ai più il governo delle dispute, il resto è fuffa, quando non l’imbarbarimento delle relazioni, l’anticamera dell’odio sociale, della guerra a prescindere… avanti Pulcinella, il teatro ha tirato su il sipario, inizia la Commedia! Ci sono notti che non accadono mai e tu le cerchi muovendo le labbra. Poi t’immagini seduto al posto degli dei. E non sai dire dove stia il sacrilegio: se nel ripudio dell’età adulta che nulla perdona o nella brama d’essere immortale per vivere infinite attese di notti che non accadono mai. Alda Merini
Francesco Mancuso
Gente di Bracciano
Marco Crocicchi nuovo sindaco di Bracciano
L’invenzione della stampa
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La stampa, patron Rocco, fu inventata da un certo Guttesburge Maganzese e fu proprio ‘na bella aritrovata che prese piede p’er paese.
Poi doppo un po’ de tempo fu mannata in antri siti, e quasi a capo un mese se vedeva la carta già stampata ne la lingua tajana e in der francese.
ento nuovo a Bracciano dove le elezioni di ottobre hanno decretato la sconfitta di Armando Tondinelli. Bracciano ha scelto Marco Crocicchi e la sua squadra. Un programma ambizioso attende i nuovi amministratori di Bracciano che hanno cavalcato l’onda elettorale promettendo partecipazione e condivisione. Non sono mancate, nella formazione della giunta, logiche spartitorie che, tuttavia, hanno lasciato fuori pezzi importanti del gruppo elettorale che è stato decisivo per la vittoria. Tra le forze politiche spicca il ruolo preminente del Partito Democratico. Tre le donne in giunta, elemento importante per una amministrazione che sappia assegnare una valenza alla diversità di genere. Nell’augurare un Buon Lavoro, la redazione aspetta la nuova giunta Crocicchi alla prova dei fatti.
Così successe, caro patron Rocco, che quannoannavi ne le libbrerie, te portavi via un libbro co’ un baiocco.
Mentre mó ce sò tante porcherie de libbri e de giornali che pe’ un sordo dicheno un frego de minchionerie. Trilussa
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A proposito di minchionerie
Marco Crocicchi, Sindaco con delega alla Pianificazione e tutela del territorio – Mobilità sostenibile e Impiantistica sportiva
Alfredo Massi, vicesindaco e Assessore al Bilancio, Tributi e Edilizia Scolastica Ida Maria Nesi, assessore ai Lavori Pubblici, Ambiente e Beni Comuni Emanuela Viarengo, assessore alle Politiche Culturali, Pubblica Istruzione, Area Museale e Centro Storico Maddalena Coletta, assessore al Turismo, Attività Produttive e Sviluppo Economico Massimo Guitarrini, assessore alle Politiche Sociali, Inclusione e Accoglienza
Si è spento l’uomo che si è dato fuoco (Giornale di Sicilia, 1998) Falegname impazzito tira una sega ad un passante (Corriere della Sera, 1991) Tromba marina per un quarto d’ora (Corriere del Mezzogiorno, 1997) Fa marcia indietro e uccide il cane, fa marcia avanti e uccide il gatto (Corriere della Sera, 1992) Incredibile! All’aeroporto spariscono le valigie del Mago Silvan (Il Messaggero, 2001) In cinquecento contro un albero. Tutti morti (La Provincia Pavese) Questa macelleria rimane aperta la domenica solo per i polli (Avviso in un negozio di Roma) Si affitta l’abitazione del terzo piano, la signora del secondo la fa vedere a tutti (Avviso una strada di Trapani) Si fanno giacche anche con la pelle dei clienti (cartello in un negozio di Latina) Funerali a costi ridotti. Cinquantasei rate a prezzi bloccati. Affrettatevi (Pubblicità su La Nazione, Firenze) Si avverte il pubblico che i giorni fissati per le morti sono il martedì e il giovedì (Ufficio Anagrafe di Reggio Calabria)
Consiglieri Comunali di maggioranza con le rispettive deleghe: Mauro Negretti (Capogruppo Una Costituente per Bracciano) Sanità, Promozione e sviluppo delle arti Giulia Sala, Presidente del Consiglio - Rapporti Istituzionali, Gemellaggi, Risorse Umane - Polizia Locale e Protezione Civile Andrea Serralessandri Verde Urbano, Giardini e Parchi Alessandro Ambrogi Manutenzioni
Alberto Leoni Pari Opportunità e Politiche di Genere - Coesione Sociale Luca Nozzolillo Partecipazione Fabio Antinucci Politiche giovanili e transizione digitale Emilio Scarafoni (Capogruppo Bracciano Ora Cambia) Sport Gessica Giorgi Agricoltura e Diritti degli animali Alfredo Leone Cura delle Frazioni
CARLO EVANGELISTA
Vieni a trovarci, potrai trovare una vasta gamma di articoli rigorosamente di grandi marche. A pochi passi dal centro storico di Bracciano, Carlo Evangelista vi aspetta per illustrarvi la vasta gamma di capi ed aiutarvi al meglio per la vostra scelta migliore, per uno stile dinamico, raffinato mai banale!
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Viaggio in Bicicletta
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Sempre alla ricerca di sè
nascita “Viaggio in bicicletta” è un tentativo per cercare di dare un senso alle sue esperienze, ai sogni in cui ha affabulato, all’aria che ha attraversato, alle storie che ha incontrato, alle persone con cui ha condiviso tratti di strada. Un tentativo gioioso e disperato, giuocato storcendo le parole fino a stravolgerle, un tentativo ai confini del mondo, della vita, un tentativo…
lan è un operatore di borsa. La sua vita è ricca e frenetica. Un giorno decide di partire per un viaggio in bicicletta. Non si dà una meta, è un viaggio dell’anima. Ilan, poi Lorck attraversa città e deserti, scopre ricchezze e miserie, amicizia e crudeltà, incontra donne con cui compie tratti di viaggio, sempre alla ricerca di sé e del senso della sua vita. Tutte le sue esperienze confluiranno in Kalvor e nel mistero della
Mi chiamo Ilan
È
una fresca giornata di un caldo agosto. Una brezza allegra carezza le mie gote e il mio fondo testa, ormai sguarnito di capelli. Il mio passo è lento mentre attraverso un viottolo roccioso, attorno montagne e speroni di roccia. L’aria è rarefatta, densa e faticosa, qualche rapace avventuroso solca un cielo blu, appena striato dalle ultime lame rosse dell’alba appena smarrita. Anche i miei pensieri sono lenti. Ho cominciato a chiedermi come sono potuto arrivare fin qui, imprevedibilmente, fino a ieri nulla faceva immaginare questo mio viaggio dell’anima. Mi chiamo Ilan e vivo a Hyxok, città frenetica, lavoro in borsa, più bull che bear, più rialzista che ribassista. Vivo in una grande casa lussuosa, provvista di ogni tecnologia capace di alleviare le mie frenetiche giornate. Mangio nei migliori ristoranti della città, vesto Armani e ho fatto diventare ricchi molti clienti, piccoli risparmiatori e grandi investitori. Mi accompagno con una modella di una bellezza sfolgorante. Ed ora perché sono qui? tra queste vette mozzafiato, con un silenzio denso di pericoli, è questa la domanda che mi stringe. Ci deve essere un perché. Potrei parlare di come amo i viaggi, il vagabondaggio, l’amore per terre e culture diverse, potrei dire che sto tentando di scappare da me medesimo, potrei narrare di come ho camminato nella palude del dolore del mondo, facendolo mio, fraternizzando con lui, caricandomelo sulle spalle e facendolo compagno di strada, potrei parlare del mio inferno personale e di come ho accarezzato la follia. Ma non sono solo tutti questi i motivi che mi hanno spinto ad affrontare questo viaggio. Io so che quando arriverò alla meta
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tutti i miei demoni e tutti i miei fantasmi saranno lì ad attendermi, e allora parlerò con loro, ci scambieremo insulti e brutte parole, carezze e complimenti, offese e spergiuri, consigli e suggerimenti e ci abbracceremo come vecchi amici lontani. Almeno così io spero. Mentre vago con i pensieri la strada comincia ad inerpicarsi, devo affrontare uno sperone di roccia. Lassù ho visto un’enclave dove potrò passare la notte. Il passo si fa affannoso, metto una moltiplica lenta, la fatica fa sparire i miei pensieri e pedalo, pedalo, incontro al mio sogno. Non so quanti chilometri ho fatto per giungere fin qui. Monto la tenda, mi preparo un thè in cui intingo biscotti secchi e mi addormento, senza sogni. Sono partito ieri da Etworeld, la mia città natale. È un posto in cui tutto è possibile, un universo abitato da storie che sarebbe un peccato non raccontare. Storie giovani e vecchie, ironiche e seriose, rock e classiche, romantiche e gelide, glamour e noiose, che hanno un inizio, uno svolgimento e una fine, non necessariamente in questo ordine. Ma, soprattutto, che hanno stile. Gli abitanti si conoscono tutti, si amano e si odiano con lentezza, ogni gesto è un teatro, vivono di miele e di arsenico. Qui sono nato e qui mi rifugio spesso per lenire i miei dolori, per ritrovare fiato, per ritrovare parole di senso. Una volta sono venuto con Aurora, per farle conoscere la città, i miei genitori, i miei parenti, i miei amici. Fu un disastro, scappò in fretta, verso il suo mondo di vestiti e gioielli, verso la sua città ideale. Fu al ritorno che decisi di partire: ho comprato una mountain bike al titanio e tungsteno, uno zaino con il necessario per sopravvivere in luoghi pericolosi, un manuale per la manutenzione della bicicletta, un prontuario su l’alimentazione necessaria per un lungo viaggio e, prima di salutarla, ho raccontato la mia storia dolorante alla mia città. (segue) Francesco Mancuso
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Compostare è meglio
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Avviato a Bracciano il Progetto ComLoc ompostare a Bracciano per trasformare la parte organica dei rifiuti in risorsa. Col Progetto ComLoc l’obiettivo è raggiungere almeno il 23 per cento di recupero di materia rispetto alla percentuale attuale del 5,2 per cento. Un traguardo importante che a Bracciano, comune capofila del Progetto ComLoc, si intende raggiungere con azioni che prevedono sia il compostaggio domestico che quello di comunità. In distribuzione alle famiglie 150 compostiere domestiche a rotazione con le quali in casa si può produrre concime di qualità per il proprio orto e giardino. Previste inoltre a Bracciano tre apparecchiature per il compostaggio di comunità a servizio dei quartieri. In fase di ultimazione infatti l'installazione di tre compostiere elettromeccaniche di diversa capacità. La prima, da 80 tonnellate l’anno, sta per entrare in funzione a via delle Palme. La seconda compostiera elettromeccanica, da 50 tonnellate l’anno, verrà avviata a breve in località La Rinascente. La terza apparecchiatura, da 30 tonnellate l’anno, è collocata presso la scuola di via dei Lecci. Sia l’apparecchiatura de La Rinascente che quella di Via dei Lecci sono dotate di un sistema di riconoscimento della persona. A finanziare il Progetto ComLoc è la Regione Lazio. Si tratta in sostanza di una gestione del rifiuto organico a km zero, un sistema che presenta vari vantaggi tra i quali - garantire un risparmio economico, ridurre l’impatto am-
bientale, promuovere il recupero del materiale - e che evita, allo stesso tempo, costosi viaggi lungo la penisola in direzione dei più grandi impianti di compostaggio. Per fare un buon compostaggio è necessario sapere cosa introdurre nella compostiera che funge da vero e proprio laboratorio naturale per la trasformazione dell'umido di casa in un buon fertilizzante. Ed è al riguardo che la Guida al compostaggio domestico in distribuzione si rileva di estrema utilità. Seguendo passo passo i consi-
gli della Guida sarà più facile riconvertirsi alla pratica del compostaggio fai da te. Dal punto di vista dei materiali organici da introdurre, in compostiera la Guida del Progetto ComLoc indica verdura, frutta ma anche fiori recisi e piante appassite. Vanno bene anche fondi di caffè oltre ai filtri del té. Ok anche per il pane ammuffito o secco. Chi ha il giardino può mettere in compostiera anche foglie, erba tagliata, piccoli rami, trucioli e scarti dell’orto.
Versi di Silvana Meloni Divinamente volo
Divinamente volo e atterro tra le tue forti braccia, intorno a me… Si accende nei tuoi occhi una scintilla, io la catturo e soffio mentre il cuore tuo, batte ancora contro il mio petto ed io lo sento andar come un sole d’estate calda che irradia l’universo che c’è in te.
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Parlami o poesia…
Parlami dalle viscere del tuo essere, ah! Che gravidanza triste sei… Parlami dei tuoi poemetti, dei tuoi premi del tuo madrigale inquieto delle tue rime castigate da critiche e poi oh, sì perle d’oro i tuoi versi fanno poesia i tuoi amanti? Dante, Manzoni e Pascoli ed io piccola peste di parole.
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Tutte le strade migranti portano a Roma
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Intervista a Michele Colucci del Cnr-Istituto di studi sulle società del Mediterrane resentato a Roma il 17 novembre “Le strade per Roma. Rapporto 2021 sulle migrazioni interne in Italia” che propone per la prima volta ricerche specifiche sull’enorme mole di flussi migratori provenienti dall’Italia che in età contemporanea si sono diretti verso la capitale. Per approfondire abbiamo intervistato il curatore Colucci. Michele Colucci, se dovessimo fare una storia della migrazione verso la capitale, quali sarebbero i flussi negli anni? Volendo ragionare su una periodizzazione, possiamo suddividere gli anni post-1945 in 4 grandi stagioni. La prima inizia proprio nel 1945 e attraversa tutti gli anni Cinquanta, per terminare simbolicamente nel 1961, anno nel quale il Parlamento abolisce la normativa fascista sull’urbanesimo. I flussi di questa stagione sono molteplici e appartengono a tipologie diverse tra loro, indubbiamente una presenza molto forte legata anche all’espansione urbana della città è l’immigrazione dei lavoratori impegnati nell’edilizia. La seconda stagione percorre gli anni Sessanta e Settanta e termina tra la fine dei Settanta e i primi anni Ottanta. I flussi migratori interni restano molto eterogenei, oltre a una robusta immigrazione operaia si rafforzano i movimenti legati al terziario, ai servizi, all’amministrazione pubblica, che conosce in questo periodo un ciclo di notevole espansione. Questa stagione termina con i primi anni Ottanta poiché quando si chiudono alcuni processi che in qualche modo erano attivi fin dal Dopoguerra. La terza stagione caratterizza gli anni Ottanta, Novanta e il primo decennio del Duemila: a livello demografico le migrazioni interne hanno una rilevanza residuale rispetto al flusso in crescita delle immigrazioni straniere. Ma sono anche gli anni in cui si manifestano con forza movimenti di massa inediti rispetto al passato, quale quello degli studenti universitari. La quarta stagione è caratterizzata dal nuovo quadro che emerge a seguito della crisi del 2008 e dell’impatto che ha avuto sui processi economici e urbani. Si riaffaccia un ruolo anche quantitativo importante delle migrazioni interne e il tema delle mobilità si intreccia alle recenti e ulteriori trasformazioni dell’urbanizzazione. Sono ad esempio gli anni in cui la cintura tra il Grande Raccordo Anulare e il confine esterno del comune di Roma viene popolata da nuovi insediamenti e nuovi quartieri, dove non è secondaria la funzione svolta da nuovi arrivi da fuori città. Migranti e periferie. Che rapporto c’è stato? Le periferie sono state letteralmente costruite nella gran parte dei casi da persone che arrivavano da fuori città, quindi il rapporto è strettissimo. Interi quartieri devono la propria nascita e il proprio consolidamento a un continuo scambio migratorio, che per molto tempo era incentrato sulle provenienze centro-settentrionali, poi centro-meridionali, infine dall'immigrazione straniera. Quali sono state, se ci sono state, le politiche dell’accoglienza delle nuove popolazioni? Restando nel periodo post-1945 ci sono state frequenti stagioni politiche segnate da interventi che erano rivolti verso le compagini più svantaggiate della popolazione, non solo immigrata. Queste politiche
erano il frutto di grandi mobilitazioni, che puntavano a integrare nella città le classi subalterne. Ma non erano propriamente legate a una questione migratoria, erano legate dal soddisfare le esigenze di quella parte di popolazione esclusa dai diritti fondamentali - come il diritto alla casa- che richiedeva con forza tali diritti. Dentro questa popolazione c'erano anche i nuovi arrivati, gli immigrati. Quali le similitudini tra vecchi e nuovi migranti nella capitale? Le similitudini come le differenze sono molte. Se vogliamo guardare alle similitudini mi vengono in mente principalmente quattro aspetti: la collocazione residenziale nelle aree periferiche e ultraperiferiche, il notevole sfruttamento che si registra in ambito lavorativo, le frequenti forme di razzismo, oggi orientate proprio verso la componente immigrata, nel passato più in generale verso la povertà, la tendenza al riscatto, principalmente nelle aspettative verso le seconde generazioni. Criminalità e migrazione. Per Roma questo binomio ha un senso? Sì ha un senso ma rispetto ad alcuni casi molto specifici, quali ad esempio i marsigliesi in passato o alcune mafie straniere nella fase più recente. In generale la letteratura scientifica e le inchieste della magistratura tendono a mettere in risalto alleanze, intrecci e accordi tra gruppi criminali differenti che solo in parte si possono ricondurre a legami con i network migratori. Quali le difficoltà che trovate nello studiare il fenomeno migratorio verso Roma? Nella letteratura e nel cinema la componente migratoria della città è stata inquadrata e raccontata, anche se il discorso sull’immigrazione è risultato continuamente messo in secondo piano da altri livelli di lettura che hanno egemonizzato il racconto: le borgate, la speculazione edilizia, l’espansione del terziario, il disordine urbanistico, i conflitti nel mondo del lavoro, solo per citarne alcuni. Dentro ad ognuno dei grandi temi che hanno catalizzato l’attenzione della produzione artistica e letteraria è presente la questione migratoria, che tuttavia ha ottenuto il centro dell’attenzione solo in modo intermittente e parziale. Qualcosa di simile è successo nella letteratura scientifica, a partire dalla storiografia. Le ricerche hanno ripetutamente sottolineato l’importanza del contributo demografico dato dalle migrazioni allo sviluppo della città ma generalmente la questione è stata più evocata che concretamente studiata e ricostruita. Il problema è che i processi migratori che hanno caratterizzato la città in una della fasi più rilevanti della sua eccezionale crescita contemporanea sono stati ricostruiti in sede scientifica ma non sono stati generalmente affrontati come esperienze migratorie e non sono stati conseguentemente studiati tenendo la questione migratoria come orizzonte di riferimento. Probabilmente alla base di questa scelta c’è una delle caratteristiche salienti delle migrazioni interne verso Roma: la tendenza dei protagonisti a “perdersi” piuttosto rapidamente nel labirinto metropolitano, rompendo apparentemente i legami con le rispettive origini migratorie. Qualcosa di molto diverso è successo a Milano e Torino, da quelle parti i percorsi migratori sono stati ricostruiti in modo più chiaro perché probabilmente si possono leggere in forma meno nascosta e più definita. G.V.