Gente di Bracciano Aprile 2018 n. 19

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olo degli Inglesi in secca: Il molo degli Inglesi a Bracciano in una foto d’epoca. Qui facevano scalo gli idrovolanti dell’Imperial Airways. “Il 13 dicembre 1936 – scrive il colonnello pilota Massimo Mondini ne Il Lago degli Aviatori (Tuga Edizioni) – a seguito di una concessione provvisoria delle autorità italiane, l’Imperial Airways effettua un primo volo sperimentale sulla rotta Southampton-Marsiglia-Roma (Lago di Bracciano) – Brindisi – Atene -Mirabella bay-Creta-Alessandria d’Egitto… Il 6 febbraio 1937 iniziano con cadenza regolare – scrive ancora Mondini – i decolli e gli ammaraggi degli idrovolanti inglesi sul lago, e già in marzo gli scali salgono a quattro”. Oggi a questo molo è ormeggiata la motonave Sabazia II del Consorzio Lago Bracciano che dall’estate 2017 non naviga a causa dei bassi livelli del lago. Alla data del 5 aprile 2018 il livello si attesta a meno 154 rispetto allo zero “naturale” di 163,04 sul livello del mare individuato dal Parco Bracciano-Martignano nel 2004, equivalente alla soglia dello sfioratore del fiume Arrone, presso Castello Vici ad Anguillara. In atto un confronto tra il territorio ed Acea per lo stop alle captazioni dal lago. Attorno il 20 aprile al riguardo è fissata una udienza dinanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sul ricorso con il quale Acea e Comune di Roma chiedono l’annullamento della delibera regionale del 29 dicembre G.V. 2017 che condiziona nuove captazioni ad autorizzazione espressa della Regione Lazio.


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Giancarlo Pajetta: una vita da comunista

Gente Bracciano

Scontò anni di carcere per la sua fede antifascista, fu il partigiano Nullo e il volto schietto del Pci

Aprile 2018 - Numero 19

Dedicato a Vittorio Serami Editore: Associazione Gente di Bracciano Presidente: Claudio Calcaterra Direttore responsabile: Graziarosa Villani Redazione: Francesco Mancuso, Vittoria Casotti, Biancamaria Alberi, Luigi Di Giampaolo Collaboratori: Massimo Giribono Fabercross, Pierluigi Grossi, Mena Maisano Registrato al Tribunale di Civitavecchia n. 1388/2014

Stampa e impaginazione: FEDE 2011 srl Via dei Vignali, 60 - Anguillara Sabazia su carta riciclata

Se vuoi aderire alla nostra Associazione contatta la Redazione: gentedibracciano@tiscali.it

cell. 349 1359720

Buon 25 Aprile

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ente di Aprile. Passata la Pasqua il calendario ci riserva una nuova festa quella del 25 Aprile: Festa della Liberazione. Una ricorrenza che quest’anno fa emergere nuove riflessioni alla luce dei risultati delle ultime elezioni politiche. Non intendiamoci riferirci all’exploit del Movimento Cinque Stelle e della Lega ma all’affermazione di forze di estrema destra come Casapound, portatrici di atteggiamenti di marca xenofoba e razziale. Il 25 Aprile così, al di là dei ridonanti discorsi celebrativi, deve riuscire a focalizzare l’attenzione sull’intrinseco valore di questa ricorrenza che si ispira ai valori dell’uguaglianza, della libertà, dell’inclusione contro ogni forma di discriminazione, retaggio di un passato quanto più anacronistico in una società globalizzata dove flussi di migrazione sono dovuti al deliberato intento di nazioni che cercano di mantenere disperatamente la propria egemonia fondata sulle arni e sull’ingerenza e dallo strapotere di quelle “potenze occulte” che fanno della finanza uno strumento di guerra, mantenendo nelle proprie mani il grosso della ricchezza mondiale a scapito dell’intera umanità. Il 25 Aprile si fonda sui valori della Resistenza, periodo nel quale furono superati steccati anche di carattere politico tra le varie forze in campo, in nome di una suprema Unità politica nazionale. Dalla Resistenza nasce la democrazia italiana del Dopoguerra, il fervore costituente e quello splendido articolo 3 della Costituzione Italiana che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. É compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Noi vogliamo, anche da Bracciano, lanciare un grido contro ogni forma di discriminazione e razzismo e proclamarci “cittadini del mondo”. Le giunte passano, i governi anche. Ma i valori restano. La redazione

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etenuto politico, partigiano, parlamentare, direttore, autore. Ci sarebbero molte chiavi di lettura per incasellare la vita di uno dei grandi della politica italiana come Giancarlo Pajetta. Lo si può ricordare come il partigiano Nullo, il nome che lui stesso si è dato nei periodi della Resistenza quando era Capo di Stato Maggiore della Brigata Garibaldi, un nome che Pajetta aveva mutuato da quello del garibaldino Francesco Nullo, protagonista dell’impresa dei Milli che fu il primo a piantare il Tricolore a Palermo il 27 maggio del 1860. Lo si può ricordare anche per la sua ininterrotta vita parlamentare che lo vide sedere tra i banchi del Partito Comunista Italiano dalla prima alla X legislatura. Lo si può anche ricordare per quella sua eclatante presa di posizione che in risposta alla politica reazionaria del ministro degli Interni Mario Scelba lo portò, il 28 novembre del 1947, ad un’azione senza precedenti quale quella di occupare la Prefettura di Milano in segno di protesta per l’allontanamento del “prefetto della Resistenza”, Ettore Troilo. “Decidemmo di andare in Prefettura per chiedere a Troilo di restare al suo posto - raccontò lo stesso Pajetta a L’Europeo - Così facemmo, ma con calma, con i lasciapassare (tutto regolare, niente Palazzo d’Inverno dunque) per tutti quelli che entravano dal prefetto. Ci sedemmo accanto a Troilo, che se ne stava tranquillo ad aspettare gli eventi”. Ma il filo conduttore che davvero connota quest’uomo che a pieno titolo si può iscrivere tra i padri della democrazia italiana è la sua fede indefessa nei confronti del Partito Comunista Italiano. Quando aveva 10 anni il Pci si era appena costituto, quale costola del Partito Socialista Italiano e già da giovanissimo il torinese Giancarlo Pajetta vi si iscrisse, nel solco della tradizione di sinistra della famiglia. Ne divenne, già da allora uno dei dirigenti locali come capo della FGCI, queste azioni lo portarono ai primi anni di carcere. Nel novembre del 1927 fu arrestato e condannato a due anni di carcere per propa-

Giancarlo Pajetta

ganda sovversiva: aveva distribuito volantini antifascisti davanti le officine tipografiche Saroglia a Torino. Dopo la scarcerazione nel 1929, Pajetta, fu, negli anni Trenta, uno degli assidui frequentatori di Mosca, in quegli ambienti che radunavano esponenti da tutto il mondo alla internazionale comunista. “Fu nominato rappresentante dell’organizzazione giovanile comunista italiana all’Internazionale giovanile comunista - scrive la Treccani - e trascorse i suoi soggiorni a Mosca presso l’Hotel Lux che ospitava lo stato maggiore dell’Internazionale, ma in un’ala speciale dove ‘i giovani giocavano al Comintern’”. In uno dei vari rientri clandestini in Italia venne nuovamente arrestato. Per lui nel 1933 si riaprirono nuovamente le porte del carcere. Il carcere - nel penitenziario di Civitavecchia, dove venne trasferito nel marzo del 1934, e quindi in quello di Sulmona - lo vide “ospite” ancora per un lungo periodo di dieci anni fino al luglio 1943. Fu per lui e per altri la cosiddetta “Università del Carcere” dove, tra una let-

tura e l’altra, Pajetta consolidò la sua fede antifascista e profondamente comunista. Tornato libero, arrivò per Pajetta i il periodo della guerra di Resistenza. “Il 14 novembre 1944, con Ferruccio Parri, Alfredo Pizzoni ed Edgardo Sogno - scrive ancora la Treccani - partì attraverso la Svizzera e la Francia alla volta del Sud, in rappresentanza del Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia (CLNAI) e si impegnò in una trattativa per ottenere dalle forze alleate il riconoscimento del CLNAI come soggetto di governo nell’Italia occupata”. Dopo la Liberazione Pajetta venne eletto in Parlamento. Fu anche direttore di Rinascita e de L’Unità. Ma Pajetta fu soprattutto il volto noto e schietto del Partito Comunista. Era lui molto spesso a rappresentare le posizione del Pci all’interno delle Tribune Politiche che, in una TV, in bianco e nero, venivano trasmesse negli anni 60 e 70. Molti i suoi scritti e le sue testimonianze che si concretizzarono in libri tra i quali I comunisti e i contadini, scritto con Gerardo Chiaromonte, La lunga marcia dell’internazionalismo, I comunisti per la distensione e il disarmo, Le crisi che ho vissuto. Budapest, Praga, Varsavia, Il ragazzo rosso, Il ragazzo rosso va alla guerra. Comunista fin nelle ossa, Pajetta non accettò di buon grado la svolta della Bolognina, il colpo di mano di Achille Occhetto che cambiò DNA di questo partito, erede di Gramsci e Bordiga. Il giorno prima della sua scomparsa in una intervista a Il Messaggero come riferisce l’Anpi - Pajetta aveva dichiarato di vivere in quel momento i giorni più brutti della propria vita. Questo dolore non gli toccò perché la morte lo colse prima, il 13 settembre del 1990, all’età di 79 anni nella propria casa di Monteverde. La compagna, la giornalista Miriam Mafai, che dormiva nella stanza gemella, lo trovò alle cinque del mattino morto in bagno ancora vestito. Pajetta era appena rientrato da una Festa dell’Unità. A cura di Claudio Calcaterra

Se Marx è morto, lo è per qualche filosofo deluso dalla storia del mondo. Stenderle il certificato di morte è quantomeno prematuro e superficiale. Norberto Bobbio

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Nazzarena e Fausto: sposi d’amicizia

Nazzarena Cuicchi

che vedrà il nostro incontro, sul tavolo ha predisposto libri d’arte dove “alloggiano” suoi dipinti, articoli di giornale che riportano le sue performances, locandine che ricordano le mostre da lei tenute in tanti luoghi. Sono con Claudio e Mena che cercano di arginare la corrente del fiume, fatichiamo un po’ per dirle quale sia la nostra mission di biografi di strada, io intanto chiacchiero con Fausto Coccioni il suo compagno. Ha un volto popolano, mi ricorda i poeti a braccio di Trastevere giù alla fraschetta a bere e raccontare poesie, non mi sorprende affatto che fosse romano dè Testaccio, proprietario di un negozio di articoli per calzature. Mi sorprende invece quando mi dice quando è nato: 1924…94 anni d’allegria e d’ironia romana scolpiti sul volto….sai mamma Elisa e papà Remo tenevano il forno di Bracciano che sta all’inizio della discesa che porta al vecchio ospedale…i miei mi spedirono in collegio perché non mi piaceva molto studiare, zio mi veniva a prendere la domenica per portarmi a casa, la mia passione era il pallone e divenni titolare della Braccianese, quando era una squadra importante…gli

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Ermenegildo Fausto Coccioni

chiedo qualche memoria della sua giovinezza, allora si schermisce…ma che vuoi che mi ricordi, è stato tanto tempo fa, ma la debragliata, quella sì che me la ricordo, dovevo prendere la patente, facevo scuola su una vecchia giardinetta senza doppi comandi a quei tempi, dovevo affrontare la salita che dal lago porta a Bracciano, a una curva passai dalla seconda alla terza con una debragliata da campione, l’istruttore rimase basito e mi diede la patente con onore…mi guarda un po’, poi…sai mi chiedono spesso come ho fatto ad arrivare a questa età con ancora tanta passione ed energia: non lo dire a nessuno, il fatto è che io tutte le mattine mi faccio un ovetto con lo zucchero…Nazzarena con un occhio impegnato a far vedere le sue gioie a Claudio e Mena e con l’altro a guardare il suo Fausto si siede, ora tocca a lei raccontarsi. Nazzarena è piena delle sue creazioni, piena di energia con un volto solcato da rughe allegre, un foulard civettuolo al collo, pantaloni e un maglione bianco a corteggiare la sua figura ancora giovanile…io sono del 1937, eccomi agli ottant’anni e ai trenta e passa con il mio compagno, sai, ai venticinque abbiamo fatto una festa speciale a Ischia dove un caro amico

e prime parole che ho scambiato con Nazzarena mi hanno improvvisamente portato alla memoria una delle camminate più belle e dense che abbia mai fatto: quella nella valle dell’Alcantara, in Sicilia, dove scorre un fiume che passa per gole dove l’acqua ha scolpito e levigato rocce dantesche, un posto che sembra inventato. Si può camminare nelle sue acque gelide solo d’estate, quando la forte corrente delle sue acque è attenuata dall’abbassamento del suo livello. Per un attimo mi sono chiesto per quale motivo associassi quella passeggiata all’incontro con Nazzarena Cuicchi: una percezione che si è disvelata durante le tre ore in cui lei si è raccontata. Non facciamo in tempo ad entrare in casa che ci porta a vedere la stanza tutta per sé, quella dei quadri che lei dipinge. Ammiro una ballerina che ricorda Degas, un vecchio all’osteria che ricorda il dottor Gachet di Van Gogh, un interno con i contrasti dei colori che richiamano la pittura fiamminga, insieme ai ritratti ci sono dei paesaggi, ma è nei ritratti che Nazzarena esprime al meglio il suo talento, cosa che mi confermerà durante la sua narrazione. È un fiume in piena Nazzarena, ci porta nella stanza

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prete ha benedetto la nostra unione, il nostro è stato un matrimonio d’amicizia, sai ci siamo sposati solo in chiesa…cerco, non sempre con successo, di arginare il suo continuo andare avanti e indietro, i suoi successi, le sue mostre e di riportarla a raccontare di sé…sono nata a Serra san Quirico, nelle Marche, nel 1937, ricordo che quando cominciò la scuola i miei genitori dovevano far quadrare i conti per comprare i libri, allora bisognava risparmiare sul mangiare, ma io non volevo i libri volevo i colori, i vecchi colori Giotto, ho fatto sulla lavagna le mie prime mostre…Silvio e Francesca erano i miei genitori, gran lavoratori, papà stette molto male: era un gran fumatore, a Serra san Quirico tenevano un piccolo albergo di otto stanze che l’estate si riempiva sempre, eravamo sei fratelli, anzi cinque sorelle e un fratello, che era l’ultimo della serie, chissà dove saremmo arrivate se non nasceva il maschio che i miei genitori volevano a tutti i costi, papà intanto lavorava a Terni dove vivevano due sue sorelle, in una fabbrica d’armi, stava sempre male perché lì si respirava piombo, poi il sabato e la domenica a casa…senza pause…sai lì vicino c’era una balera, tutto il paese a ballare e noi a servire a tavola, a rifare letti, a lavare lenzuola, a pulire le stanze…una volta che andai a ballare, avevo 12 anni, mi si accostarono due pretendenti che arrivarono a picchiarsi per me finché a uno dei due non uscì sangue dal naso…senza pause…nel 1949 sbarcammo a Roma, papà andò a lavorare come giardiniere all’hotel Selene a Pomezia, a papà non piaceva la città, abitavamo a Santa Maria Maggiore vicino alla fabbrica di pasta “Pantanella”…nel senza pause sono comprese le piroette di Nazzarena, che si infila in uno dei suoi libri d’arte o s’alza per farci vedere l’Oscar per le arti visive che ha vinto due volte, nel 1982 e nel 2001 a Montecarlo...sai nel 1982 presi la statuetta proprio da Grace Kelly, che donna, che eleganza, che portamento…giro di valzer e…sai per molti anni anche vivendo a Roma l’estate la passavamo a lavorare nel nostro albergo…ma Nazzarena ha nella mente la sua arte, è parte di lei così alterna episodi di vita con i “colori” che l’hanno riempita…sai io dipingo su cinque elementi: stoffa, vetro, ceramica, porcellana e olio su tela…si alza, ci vuol far vedere un suo lavoro, l’aspettiamo qualche minuto e ci porta una giacca nera, sblusata, con sopra

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La pittrice al lavoro

dipinti dei fiori, molto bello, ci racconta un po’ della tecnica di pittura su stoffa e si siede nuovamente…sai, mi sono sposata a diciotto anni con Remo che avevo conosciuto ballando a Serra san Quirico…ci pensa un po’ quasi a raccogliere un pensiero antico, non andammo d’accordo da subito, due mesi dopo rimasi incinta e nacque Simonetta, la bellezza di mia figlia è sconvolgente ma non le andava d’imparare mai niente…si alza prende una foto e ci fa vedere suo figlio Fabio, assistente di volo, e la figlia in una giornata di festa, ma sento che l’Alcantara riprende forza, allora stringo la penna e traccio rapidi schizzi delle sue rughe allegre sul mio quaderno acchiappaparole…sai, sono sempre stata attratta dai colori, dipingevo le camicette delle mie sorelle, poi la sera mi affacciavo alla finestra e le mostravo ad una mia amica dirimpettaia e le chiedevo se le piacessero, ma il mio talento maggiore lo esprimo nel fare ritratti, ho fatto quello di Marilyn Monroe, di Sophia Loren e di tante altre attrici guardando le loro foto sui giornali…la prima mostra l’ho fatta in via dei Coronari, sai io dipingo forme classiche, nella mostra c’erano anche pittori moderni ma la gente veniva da me per lodare i miei dipinti e lamentarsi degli altri quadri che non riuscivano a capire…e mi fa vedere una donna nuda, leziosamente sdraiata sulla battigia del mare in un tramonto di varie tonalità di ocra, bello ma il mio preferito rimane il vecchio all’osteria…sai a quei tempi, era il 1978, lo quotarono tre milioni…ora ho bisogno io di una pausa e le chiedo un thè con biscotti, detto e fatto, pochi minuti e si presenta con un simpaticissimo servizio in terracotta e una squisita torta di mele farcita con crema che

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azzanno golosamente; mentre Nazzarena era impegnata in cucina mi sono letto il suo profilo accompagnato da uno scritto di un critico d’arte e da una bambina in rosso e cappello giallo (chissà se in onore del suo Fausto, antico romanista testaccino) che odora una rosa…scrive Dino Marasà, il critico: l’espressione artistica di Nazzarena Cuicchi ha le sue basi nel Classicismo. Da brava ritrattista riesce ad esprimere il suo talento su ogni tela…difatti Nazzarena getta le basi nell’applicazione istintuale del colore e lo stesso fa le veci del segno, conferendo in tal modo fedeltà al reale…la poesia di un volto nascosto da una rosa ci rimanda a una gestualità semplice e spontanea…mentre assaporo il thè Nazzarena è impegnata a mostrare a Claudio e Mena un album di fotografie dei suoi lavori, poi l’Alcantara riprende vigore e da dove decide lei…sai quando mi premiò Grace Kelly arrivai a Montecarlo in treno, una notte per arrivare e una notte per tornare ma che emozioni, ero orgogliosissima del premio, quello del 2001 lo ricevetti a casa ma diedi una gran festa nella nostra casa di San Celso accompagnata da un cantante che sembrava Frank Sinatra…senza pause… sul treno che mi portava a Montecarlo incontrai altri artisti anche loro premiati dall’Accademia delle Arti “ Greci Marino”, promotrice del premio, tutta la notte a discutere d’arte con l’incanto di una signora che ci lesse le sue poesie…senza pause…sai anch’io sono poetessa, ho scritto mille poesie per il mio sposo d’amicizia ma le mostro raramente, sono una mia cosa intima ma a voi voglio farle vedere, sai ho scritto tante poesie sull’autobus, la poesia eleva l’animo, immortala l’amore…e tira fuori un’agenda, non

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ricordo di quale anno, dove in ogni pagina è scritta una sua poesia, la calligrafia è pulita, quasi abbia voluto trattenerci la sua infanzia, ne prende una e ce la legge, chiedo a Vittoria, mia moglie, di fotografarla con il suo terribile telefonino multiuso, ho pensato che sarà bello pubblicarla:

senza pause…io ho venduto i miei quadri sempre privatamente, le gallerie volevano solo lucrare sul mio talento…riesco a frenarla e le chiedo quali sentimenti avesse quando vendeva un suo quadro…di perdita, sai! a volte non vado a trovare delle amiche a cui ho donato i miei quadri perché mi viene l’istinto di riportarmeli via… ho fatto una mostra importante a Palazzo Valentini a Roma e il portiere, un mattino, mi prese da parte e mi disse che quadri così belli non ne aveva mai visti, finalmente qualcosa di serio, non quei quadri di cui non si capisce niente…a questo punto sento una corrente dell’Alcantara dentro me e parlo della fotografia che ha rivoluzionato il mondo delle arti visive, di Picasso che scriveva che quando lui dipingeva un tramonto dipingeva le emozioni che lo attraversavano nel gioire dei suoi fuochi di mille colori e non quello che aveva visto, della tazza del cesso d’oro di Maurizio Cattelan esposta al Guggenheim di New York, insomma che l’arte ha mille volti e il bello mille anime. Approfitto del fatto che Nazzarena è di nuovo impegnata con Claudio e Mena per parlare con Fausto e gli chiedo cosa significhino quelle tredici navi da crociera che sono esposte nel corridoio…sono le crociere che abbiamo fatto io e Nazzarena, ci piace molto farle, ogni porto un luogo e che dire dei balli serali, abbiamo vinto venti gare, “lissio” e mazurka…sai sono quasi trent’anni che stiamo insieme, ai venticinque anni abbiamo fatto una grande festa ad Ischia dove un prete amico ha benedetto il nostro matrimonio d’amicizia…tutto cominciò una sera quando, mentre Nazzarena insegnava taglio e cucito, le chiesi se la sera di sabato avesse voglia di andare a ballare con me, era bella da mozzare il fiato e si era da poco separata da suo marito: fu l’inizio di un lungo viaggio….non vedo Nazzarena, sorpreso chiedo dov’è andata, il tempo di finire la frase e lei appare con un servizio di

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porcellana che lei ha dipinto: bello, davvero bello, somiglia alla porcellana di Limoges. L’incontro volge al termine e un pensiero irriverente mi attraversa: all’inizio ho faticato a starle dietro anche perché un po’ infastidito dalla sua energia prorompente, in alcuni momenti mi sembrava off limits, poi pian piano ho ammirato una donna consapevole di sé, delle cose che ha fatto, della sua arte, del suo modo allegramente passionale di stare al mondo…ma l’Alcantara ha un’ultima piena che mi travolge definitivamente… sai, nel 2001, insieme al premio, sono stata nominata professoressa d’Arte ad honorem dall’Accademia internazionale “Greci Marino e non ho che la terza media”… e lo dice con un orgoglio che sa di una sana consapevolezza, grazie Nazzarena, grazie Fausto. L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità. Theodor Adorno, Minima moralia, 1951

Francesco Mancuso

Gli “sposi” oggi

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Zuzzurellopolis 5 Calembour (giochi di parole) in libertà

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quella «i», dentro uno qualsiasi dei discorsi che vogliono convincerci dell’ineluttabilità dell’acquisto multimiliardario dei dannati F35. Nulla di nulla èPpiù simpaticamente osceno di un calembour del Potere. Per rifiatare un po’ sono tornato a Napoli ed ho fatto un giro per le vie del centro. Un fuoco d’artificio. Penna e quaderno e mi sono trascritto tutte le scritte che ho trovato in giro sulle vetrine dei negozi, credo che solo a Napoli sia possibile un simile divertimento. Si inviano fiori in tutto il mondo, anche via fax. Si vendono mobili del settecento nuovi. Vendo polli arrosto anche vivi! Nuovi arrivi di mutande, se le provate non le togliete più. Si riparano biciclette anche rotte. Se mi cercate sono al cimitero…vivo. In questo negozio di quello che c’è non manca nulla. A un certo punto, a forza di ridere mi si è seccata la voce, così sono entrato in un bar chiedendo un bicchiere d’acqua, mi sono sentito dire che l’avrei avuto solo se sapevo rispondere a una semplice domanda … bene dissi, qual è … i pesci hanno sete? ... gli ho risposto che io sono dei pesci … allora mi ha offerto un bicchiere d’acqua. Tornato a casa sono sprofondato in poltrona e ho cominciato a navigare in rete alla ricerca di altre curiosità. Mai lo avessi fatto, sono stato sommerso da curiosità, refusi, equivoci, giuochi di parole che mi hanno confermato quanto sia ricca e imprevedibile la parola. Nel 1631 un editore inglese pubblicò una Bibbia popolare.PUnico errore in tutto il libro, fu la mancanza di un “not” in uno deiP Dieci Comandamenti, che così diventò «Thou shalt commit adultery» e quindi, in pratica: «Devi commettere adulterio». Un altro curiosoPsbaglioPfu il termine “dord” aggiunto alla nuova edizione del 1934 dalP Webster’s New International Dictionary. La parola, che non significa assolutamente nulla, è spiegata con il significato diPdensità (ma si trattava appunto di un errore: gli autori volevano infatti scrivere solo una D, l’abbreviazione di densità). Fu scoperto solo nel 1939: per 5 anni,

asseggiavo allegro su e giù per lo splendido giardino di Caserta leggendo il giornale con le mani dietro la schiena, il cielo era del color della pece così mi venne da pensare a quel giorno al mare, ero in costume adamitico quando venne giù una pioggia incessante, un vero nubdifragio. Ma la lettura del giornale si dimostrò troppo intrigante per pensare a ripararmi, non riuscivo a staccarmi dalla lettura di un reportage dal Medioriente che mi aveva incuriosito: Il SultanoP- Qual rumore è questo?P Il Gran VizirP - Sire, vi sono dinnanzi al palazzo cinquantamila muti che chiedono ad alte grida di parlarvi.P Il SultanoP- Ma sono realmente muti?P Il Gran VizirP- Essi lo dicono, Sire! Telluricamente spassoso. A pagina 22, invece, nelle pagine culturali c’era una risposta di Gesualdo Bufalino a un lettore che si lamentava per alcuni errori nel suo scritto del giorno prima: “Caro lettore, lei ha ragione ma io non ho torto. Non “ceree polpe” avevo scritto ma “ceree colpe”, con riferimento alle statue del cristo morto, di livido gusto secentesco, che si portano in giro in Sicilia il Venerdì Santo. E non solo, avevo scritto attimi e non atti, dettato e non destato, Sicilia e non vigilia … è stato tutto merito del cattivo funzionamento del telefono … come vede sono senza “polpa”. Incuriosito da cotanta abbondanza di situazioni paradossali mi sono andato a rileggere quello che diceva Freud in merito: lui asserisce che ogni lapsus scaturisce da un pensiero rimosso, censurato dal nostro inconscio. È pur vero tuttavia che ci si sbaglia, si fanno dei lapis, non solo o non sempre per ragioni inconsce profonde, ma anche semplicemente e banalmente per stanchezza, per distrazione, per ignoranza, per divertimento.P Ieri incontrando Antonio, un vecchio e scorbutico vicino di casa, per allentare la tensione tra noi gli ho detto: “Antò, ci hai sessant’anni e ne dimostri il doppio, beato te, e che dire della tua figliola, ha due braccia candide e mirabilmente tornite, come quelle della Venere di Milo - la statua greca che, come tutti sappiamo, è senza braccia!”. Ma le pagine più divertenti di quel giornale erano quelle politiche, ne riporto alcune: al Pd c’erano un sacco di «amici del giaguaro», che fine avranno fatto? Letta èP a «tre piazze» ePla casa (di Arcore) «è chiusa». «L’Irto Colle», nei giorni della rielezione di Napolitano aveva il retrogusto scolasticoP d’altri tempi che al personaggio si addice: «Col de sac», quel tanto di demodé che non guasta. Gli andrà aggiunto certamente quel «Napolitanistan» più sbarazzino eP cinematografico, di tanta poca fiducia per le sorti della nostra democrazia, tanto che il suffisso minaccia di diventare seriale dopo un «Valsusistan» speso aP proposito delle vicende dei No Tav. «Preso per il Colle», aPproposito del cupo tramonto della stella di Bersani. «No grazia», che illustra una foto di Berlusconi ePNapolitano, una piccola crudeltà. Ma il titolo che più mi ha colpito è stato: «Caccia iPbombardieri». Uno sberleffo, divertente. Come se una mano anonima avesse aggiunto aP penna

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l’errore di stampa. Ho zuzzerellato abbastanza ma prima di lasciarvi vorrei condividere un’ultima straordinaria curiosità: il dipinto più grande del mondo. E’ un dipinto del pittore di corte Xu Yang della dinastia Qing che impiegò 24 anni per realizzare il rotolo dipinto chiamato “Scene di prosperità”, che illustra la ricchezza economica e culturale della città cinese di Suzhou nel XVIII secolo. Lungo 12,25 metri e alto 35,8 centimetri, comprende 4.600 figure, 1.140 edifici, 40 ponti e 300 barche. Riproduce fedelmente il paesaggio, le scene di vita urbana, i costumi locali nel periodo d’oro della Cina e riprende le attività quotidiane come viste dall’alto: ricco di dettagli, consente di vedere chiaramente le persone all’interno delle case o nei palazzi, sui ponti, i rematori sulle barche, le donne che ricamano la seta, gli uomini che trasportano la merce, le persone d’affari che barattano al mercato, i negozi e ristoranti.PUn racconto dipinto di come si svolgeva la giornata in una cornice incantevole di giardini ponti e fiumi della città di Suzhou. Suzhou è una città antichissima con oltre 2.500 anni di storia, situata lungo la riva del Fiume Azzurro e sulle sponde del lago Taihu nel sudest della Cina, è famosa per i suoi ponti di pietra, le pagode e gli splendidi giardini. Ha sempre avuto per la sua posizione favorevole un ruolo significativo nell’agricoltura, nell’industria e nel commercio. Fu visitata e descritta da Marco Polo come una città grande e nobile, durante la dinastia Ming e Quing e venne chiamata la Venezia dell’est e la metropoli numero uno del sud est della Cina. Un’ultima chiosa. Non ho mai capito se sono le persone a giocare “con” le parole, o se le parole “ci” giocano. Basta saltabeccare fra transitivo e intransitivo e siamo già piombati a piè pari nel mondo parallelo della parola: un mondo alla Lewis Carroll dove, dietro lo specchio, le cose (le parole) sembrano ancora ma non sono più proprio così. Dove le parole, che crediamo di pescare inerti e servizievoli dal sacco del nostro lessico, ne fuggono via per vivere avventure fantastiche, a noi del tutto ignote e spesso inaccessibili: «Difficile capire quando le parole giocano e quando fanno sul serio...». Le parole non stanno immobili in grassetto nelle pagine dei dizionari, le parole sono dispettose, spesso ci giocano, ci mettono in gioco. Giocano a nostro dispetto, giocano senza di noi, «le parole hanno i loro giochi», che a volte possiamo solo osservare dall'esterno. La parola “attore” è l’anagramma di “teatro”, quell’affinità folgorante e misteriosa non l’ha inventata nessuno, è stata solo scoperta, era già lì, predisposta da chissà quale intelligenza extraumana del linguaggio. Perfino un po’ inquietante, diciamolo. Che cosa fanno le parole quando noi non le parliamo? Aiutooo!!! Francesco Mancuso

quindi, la parola “dord” significò densità.P Anche Shakespeare è stato vittima di un refuso, o qualcosa di simile.PCimbelino,Puna delle sue opere meno apprezzate dai suoi contemporanei,Pcontiene un personaggio di nomePImogen. Ecco,Psi tratta diPun errore: il nome vero di questa ragazza che per una serie di vicissitudini finisce perP travestirsiP da uomo, infatti, all’inizio, eraP Innogen. Ma le due “n” vicine sembravano così tanto una “m” che, col passare del tempo, il nome finì per essere stampatoPdirettamente così. Una svista colossale la commise anche Dante Alighieri che inserì lo stesso personaggio sia nell’inferno che nel purgatorio. L’indovina Manto, personaggio della mitologia greca, si trova sia nel 20° canto dell’inferno che nel 22° canto purgatorio. Chissà se fu una dimenticanza o se il divino poeta volle riservarle un trattamento di favore! Benito Mussolini, nel suo famoso discorso del bagnasciuga nel 1943 quando si diffuse la voce che gli alleati stavano per sbarcare in Sicilia, proclamò che ogni tentativo di sbarco sarebbe stato congelato su quella linea che i marinai chiamano bagnasciuga. Peccato che il bagnasciuga è il pezzo di una nave che viene bagnato dal mare, quello compreso tra la linea di galleggiamento massima e minima dello scafo, mentre la striscia di sabbia bagnata dal mare è la battigia. Naomi Campbell, la Venere Nera voleva complimentarsi con Malala Yousafzai, la giovane attivista pakistana che ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 2014. Peccato che il correttore automatico abbia preso il sopravvento, modificando il nome della ragazza in «Malaria Yousafzai». Va detto che esiste una professione che dovrebbe evitare refusi ed errori: il correttore di bozze, che fu inventato nel 1440 quando il signor Gutenberg inventò la stampa, tirata una bozza della sua prima composizione trovò, nella seconda riga, “una signora elefante al posto di una signora elegante”. Allora il signor Gutenberg lanciò un grido di trionfo: aveva inventato

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Rete e democrazia: un grande equivoco

Il risveglio delle coscienze Riflessioni attorno alla politica braccianese

La politica al tempo degli algoritmi

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on chiniamo la testa per guardare i nostri piedi ma alziamola e rivolgiamo lo sguardo alle stelle”. È la sintesi della bellissima e profondissima espressione contenuta nel testamento etico di Stephen Hawking. La riprendo - il grande scienziato mi perdonerà - per ribadire quanto più volte auspicato in vari articoli con i quali esortavo molto più modestamente noi cittadini di Bracciano ad alzare lo sguardo oltre la siepe. La ripropongo poiché o ci riappropriamo in fretta del nostro futuro o il declino sarà inevitabile.P Non sonoPbastatiPe non potevano bastare i risultatiPdi uno spregiudicato “consiglio aperto”, palesemente privo di una piattaforma di discussione di interesse generale, a saziarePla belva costituita da quello che definiremmo fenomeno atmosferico immanenteP che si nutre tuttora di rabbia, di rancore di desiderio compulsivo di vendetta nei confronti di obiettivi tra i più disparati. Non accennano a finire le manifestazioni di compiacimento per le disavventure altrui di cui peraltro si rivendicano incredibilmente i meriti, espressione di una umanità perduta così come del senso di comunità. Ciò ha portato alla graduale ma continua perdita del senso della realtà, è mancata la lettura da parte dell’amministrazione rispetto agli eventi e ciò ha determinato un progressivo distacco dal popolo nonché la presa di distanza di importanti componenti della giunta. Non si perdono per stradaPquattro segretari generali, quattro assessori, di cui uno vicesindaco, se non a causa di una evidente incapacità gestionale da parte del sindaco. La rimozione dell’architetto Gianfranco Rinaldi è,P come riporta il relativo decreto, “finalizzata a garantire la serena prosecuzione e rilancio del mandato amministrativo per il superiore interesse della comunità amministrata”. Ebbene trovare in tutta Bracciano cittadini che possano credere a tale motivazione sarebbe un compito arduo anche per un esperto cercatore di tartufi. Non a caso viene citato il tartufo poiché laP motivazione sembraPessere talmente intrisa di ipocrisia da fare invidia a quella di “Le Tartuffe” di Moliere. Ci chiediamo quali siano i reali motivi dell’allontanamento dell’architetto Rinaldi, che pure aveva gestito il Comune, durante le assenze del sindaco, secondo precise direttive, stando a quantoP dichiarato in Consiglio. Forse ha qualcosa a che vedere con la delibera, firmata da Rinaldi e dalla Giunta, con la quale veniva giustamente stigmatizzata la incessante azione del “cittadino” che aveva messo in serie difficoltà il lavoro degli uffici

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Donato Mauro

comunali con diffide, formali messe in mora, istanze, contestazioni, reclami tanto da evidenziarePgli effetti negativi di tale azione nel Piano Triennale Anticorruzione del Comune. La scelta individuata dal sindaco per sostituire un vicesindaco, architetto, e un assessore, geometra, è caduta su due sottufficiali, uno della Marina Militare e l’altroP ex della Guardia di Finanza, sicuramente validi nelle loro professioni, per ricoprirePrispettivamente gli incarichi di assessore con delega all’urbanistica e ai lavori pubblici. La nomina del primo ha suscitato molta indignazione tra la cittadinanza e qualcuno parla addirittura di disgusto stando a quantoPriportato dai social, poiché eletto in una lista di minoranza ha traslocato disinvoltamente in maggioranza condividendonePevidentemente i temi e soprattutto le priorità. Costituite, sempre secondo i giudizi espressi dai cittadini su facebook, dagli interessi di un certo amico e non di quelli della cittadinanza. Ci troviamo di fronte al più pernicioso trasformismo politico che incide negativamente sulla lettura democratica della dialettica politica solo per assumere un effimero potere che esubera laPconsistenza del limitato consenso ricevuto. La concezione del potere come fine e non come mezzo. Per quanto riguarda la nomina dell’assessore ai lavori pubblici, mi sfugge la ratio e il collegamentoP traP la professione di finanziere e le competenze richieste per esaminare progetti o verificare il rispetto dei capitolati e delle messe in opera a regola d’arte, rilevando peraltro l’inopportunità di tale nominaP data la sua pregressa attività di investigatore svolta nel nostro territorio chePnon favorisce certo la serena convivenza ancheP in relazione ai procedimenti giudiziari ancora in corso. Dobbiamo pensare che il sindaco, “intuitu personae”, abbia contezza che i due neoasses-

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sori siano dotati di pregresse e consolidate esperienze in tali campi eminentemente tecnici.P Peraltro tali nomine rischiano seriamente di rendere ulteriormente difficile l’operato degli uffici del Comune stante il permanere dei contrasti con i sindacati che da tempo cercano di tutelare i diritti deiPlavoratori denunciando la continua violazione delle corretteP relazioni sindacali. In particolare viene evidenziato che il documento approvato dalla maggioranza concernente il Fabbisogno del Personale e Dotazione Organica triennio 2018/2020 “svilisce le competenze professionali esistenti nell’Ente a frontePdi assunzioni a termine ingiustificate anche ai sensi dell’articolo 110 del Testo Unico degli Enti Locali”. Cioè si procede ad assunzioni, abbastanzaPonerose, senza che ce ne sia bisogno e poi non ci sono soldi per la scuola maternaPo per rispondere alle quotidiane richieste di sostegno da parte della componenteP più debole della comunità. Il fallimento dell’amministrazione e sotto gli occhi di tutti, è persino stucchevole enumerarePle manchevolezze nei vari settori dal degrado urbano alla orrenda viabilità e alla chiusura del museo ecc. Quali risposte sono state date alle reali esigenze della comunità? La cittadinanza è passata dalle grandi attese per il cambiamento alla cocente delusione, toccandoP con mano che nessuno dei punti programmatici della maggioranza è stato realizzato. Si è arrivati a precludere ai cittadini, in deroga allo statuto comunale, la partecipazione alle commissioni consultive e non è stataPdata la possibilità nemmeno di eleggere i presidenti di quartiere. Il diritto dei cittadini di partecipare alla cosa pubblica, ai fini di controllo, stimolo e proposta, non può essere negato per nessun motivo.PÈ necessario risvegliare le coscienzePe ripartire dall’orgoglio di essere braccianesi, di nascita (anche se purtroppo nessuno nasce più a Bracciano) o di adozione, ponendo in essere politiche nonPperPdividere ma per unire in comune sentire. Dire basta a chi coltiva l’animosità alimentando il timorePe non la speranza. La gravità della situazione impone uno spartiacque, allargare l’orizzonte, pur nella diversità delle proprie posizioni politiche, consci del destino comune.PProveremoPcon tutte le nostre forzePa ridare linfa a BraccianoP chiedendo il contributo di tutti, comprese leP componenti della maggioranzaP consapevoli che voltare pagina sia inderogabile, al fine di programmare il presente per garantire un sereno futuro per il nostro amato paese.PPP Donato Mauro:

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n questo ultimo periodo è diventato particolarmente evidente come il trionfo della rete nella cultura e nella società globale stia dando i suoi frutti più maturi e più inquietanti anche nel campo della politica. L’avvento del Movimento 5 Stelle sulla scena pubblica italiana ha portato al centro del dibattito sulla relazione fra cittadini e politica tutte le tematiche connesse al web, ponendo con forza degli interrogativi fondanti quali la considerazione della rete come luogo iperdemocratico, come spazio dove “uno vale uno” e dove non esistono condizionamenti di alcun genere, come luogo di assoluta libertà, senza nessun controllo, di dibattito libero e di flussi fluidi di comunicazione fra gli individui. Il fatto che il Web sia un luogo ad altissimoPpotenziale democratico è difficilmente smentibile, tuttavia, proprio per attualizzare tale potenziale è necessario creare regole condivise che garantiscano le libertà e i diritti individuali e collettivi, contrastando la deriva regressiva che porta la rete, attraverso i social, ad assumere la funzione di “sfogatoio” dove chiunque esprime i propri rancori, lancia insulti e proclama le più svariate verità spesso deliranti, spacciando il tutto per “commenti” e dando vita ad una simulazione di democrazia alla perenne ricerca di un capro espiatorio; la profezia realizzata dei “due minuti di odio” di George Orwell in 1984. Per mettere a frutto il potenziale del Web è necessaria una riflessione collettiva molto approfondita su alcuni aspetti costitutivi, fisiologici del web: dalla diffusione iperveloce e acritica delle fake news alla certificazione di hardware e software sicuri, dalla tutela della privacy online alla blockchain e all'intelligenza artificiale fino al tema dei diritti umani e civili, della libertà d'espressione e della tutela del copyright. E non si tratta di questioni secondarie considerato che solo nell'ultimo anno ci sono stati circa 60 Internet Shutdowns che hanno visto i governi, dal Congo alla Turchia, impedire ai propri cittadini di accedere a Twitter, Facebook, radio e tv online. In India e in Arabia Saudita numerosi blogger sono stati arrestati, in Africa i responsabili del voto elettronico sono stati rapiti e torturati, in America così come in Europa alcuni funzionari governativi sono stati “pedinati” online ed eserciti informatici si sono scatenati per rubare dati, soldi e informazioni riservate, fino all’ultimo scandalo americano che ha investito il colosso “Facebook” per la vendita alla Cambridge Analytica dei dati di 50 milioni di persone utilizzati per la campagna elettorale di Trump. Il sogno della democrazia diretta, della partecipazione di tutti alla scrittura della politica, generato dalla potenza comunicativa della rete, sembra naufragare già sul nascere, travolto da interrogativi che, nel complesso, rimandano al tema più generale della democraticità e rappresentatività delle decisioni prese da chi effettivamente partecipa alla costruzione della politica sul web. La domanda fondamentale a questo punto riguarda quanto siano veramente democratiche le decisioni prese solo da minoranze agguerrite e non rappresentative di quello che vorrebbe la maggioranza, considerando che la tecnologia non è necessariamente neutra soprattutto se chi la utilizza lo fa solo allo scopo di legittimarsi usando il principio della partecipazione come alibi. L’argomento della partecipazione alla politica attraverso la rete, promosso e sperimentato in Italia in particolare dal Movimento 5 Stelle, si è scontrato da subito con numerosi problemi legati ai tempi della votazione troppo brevi, alla poca chiarezza delle regole, ai nu-meri troppo modesti della partecipazione, con il risultato che nel 99,9 per cento dei casi le decisioni prese dalla rete hanno coinciso perfettamente con l'indirizzo dato dal vertice, testimoniando l’impossibilità di sovvertire la volontà del ver-

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tice e configurandosi quindi più come un’operazione di legittimazione che non di partecipazione. A ciò si aggiunge inoltre il tema della qualità della partecipazione in rete compromessa dalla frequente mancanza di competenze e conoscenze necessarie alla definizione e poi alla concreta attuazione di qualsiasi politica. Perché il coinvolgimento della rete non resti uno specchietto per le allodole, è necessario che la volontà espressa dagli internauti si iscriva nel mondo del possibile. I desiderata espressi dal popolo del Web devono potersi conciliare con le conoscenze, con le expertise, con i dati, con ciò che è possibile fare. La politica deve saper declinare ciò che la maggioranza indica in rete come cose da fare, in proposte e progetti fattibili, tenendo presenti le conseguenze di quello che si fa. E questo è un problema molto più complicato che consentire alle persone di esprimersi, di votare o interagire.P Un dato acquisito sui comportamenti adottati in rete è che la maggior parte delle persone condividono notizie e esternano pensieri senza aver mai letto per intero il testo condiviso o commentato, senza aver controllato la fonte delle notizie e, addirittura, senza aver dedicato un minimo di tempo per informarsi, riflettere, ragionare, capire.P Il 60 per cento degli utenti su Twitter e il 70 per cento di quelli su Facebook condivide e commenta articoli e post dopo aver letto solamente il titoloP e, al limite, scorrendo fino al sommario. In questo modo i social network e l’intera rete virtuale diventano strumenti di disinformazione, in mano ai gestori di grandi piattaforme di comunicazione on line che detengono i dati sensibili e la conoscenza degli interessi di ogni individuo del mondo, o quasi, e possono gestirli a loro piacimento, senza alcun tipo di controllo o limitazione possibile. Il calcolo statistico, definito “algoritmo”, tracciando i gusti e le preferenze del pubblico “social” fornisce ai gestori delle piattaforme uno strumento efficace per influenzare un ampio pubblico in modo assolutamente occulto, libero da qualsiasi possibile controlloPpresente, viceversa, nella società civile reale.PGrazie agli algoritmi i navigatori del Web vengono “profilati” attraverso l’individuazione e la segmentazione dei loro comportamenti, delle loro ricerche, dei loro acquisti e via dicendo, da utilizzare per i fini più diversi in modo tutt’altro che trasparente. Fabbricare una realtà a misura degli indirizzi e degli umori socio-politici delle persone sotto forma di innumerevoli post equivale a manipolare l’opinione pubblica indirizzandola verso posizioni predefinite dall’alto ed illudendola di aver partecipato attivamente alla decisione ed aver dato vita ad una forma di democrazia diretta. Il senso e la sostanza di questa democrazia diretta, esercitata da pochi e senza trasparenza, sono evidentemente poco compresi da chi ha trovato nella rete la propria dimensione ideale e non intende perderla. L’esempio contemporaneo della politica del Movimento 5 Stelle illustra una pratica di democrazia diretta esercitata in rete per la scelta delle candidature, mettendo in evidenza tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, dove la platea dei votanti, se vuole essere accettata dalla rete, si allinea, altrimenti viene espulsa. Un altro esempio di come il rapporto tra rete e democrazia sia problematico. Biancamaria Alberi

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1696: a Bracciano arriva Livio Odescalchi

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feudo di Bracciano fu creato ed ampliato, compresa la costruzione del castello, dalla famiglia Orsini, uno dei più potenti e nobili casati romani. Elevato al rango di ducato nel 1560, il feudo rimase di proprietà degli Orsini fino alla fine del 1600 quando, per ripianare i troppi debiti che la famiglia aveva contratto ed ai quali non era più in grado di far fronte, furono costretti a venderlo frazionandolo fra vari acquirenti. In riferimento alla zona sabatina, i primi centri ad essere alienati furono Oriolo e Monterano, acquistati dagli Altieri nel 1671, ai quali seguirono, nel 1693, i centri di Anguillara e Trevignano che passarono in proprietà ai marchesi Grillo de Mari. Ma non avendo risolti i loro problemi finanziari, nel 1696 vendettero agli Odescalchi, nella persona di Livio, anche la residua parte del feudo riferita a Bracciano. Gli Odescalchi, quindi, non subentrarono in toto nel possesso del ducato degli Orsini ma quasi esclusivamente nel territorio di Bracciano. La famiglia Odescalchi, originaria della Lombardia, più esattamente di Como, era composta da banchieri e commercianti che si erano arricchiti con le loro attività e possedevano notevoli immobili nel nord Italia. Cominciarono ad interessarsi anche delle terre intorno a Roma allorché un loro membro, Benedetto, divenne papa nel 1676 assumendo il nome di Innocenzo XI. Fu un papa molto apprezzato e scevro dalle abitudini del tempo che vedevano i papi tutti assorti nei beni materiali e nella contesa dei possedimenti terrieri, mentre lui privilegiò la spiritualità del suo operato pastorale tanto che fu dichiarato “Beato” nel 1956. Tra le varie sue azioni volte a contenere la corruzione pontificia si annovera anche la lotta al “nepotismo” tipico del tempo, cioè la prassi consolidata di privilegiare i parenti del papa con l’assegnazione di laute prebende, titoli onorifici ed elargizioni di feudi. Il pontificato di Innocenzo XI durò 13 anni e terminò nel 1689. Molto vicino al pontefice, anche prima che divenisse papa, fu un suo nipote di nome Livio, figlio del fratello Carlo. Quest’ultimo era morto nel 1673 e, pertanto, essendo al tempo Livio giovanissimo, l’allora cardinale zio Benedetto ne divenne il tutore. Una sorella di Benedetto e Carlo, di nome Lucrezia, andò sposa ad Alessandro Erba, appartenente ad una rinomata famiglia anche questa di Como, e diverrà la nonna di Baldassarre Erba, adottato Odescalchi, che continuerà la dinastia che, altrimenti, si sarebbe estinta. Ma torniamo a Livio. Controverso è il suo anno di nascita: alcuni lo datano nel 1658 altri nel 1652, ma pochi anni non fanno la differenza. Vissuto sotto le ali protettive del potente zio fin da adolescente, Livio non nutriva gli stessi sentimenti del papa nei confronti delle proprietà ed ambiva a ricoprire un ruolo di prestigio che lo zio sembrava negargli, tanto che L. Pastor nella sua storia dei papi afferma che, se i Romani volevano imprecare la sventura a qualcheduno, dicevano: “gli possa capitare come a

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Livio Odescalchi”, intendendo con ciò evidenziare la mancata assegnazione delle prebende e la sua delusione per l’atteggiamento assunto dallo zio, dal quale però aveva comunque ottenuto la cessione dei cospicui beni patrimoniali dell’asse ereditario. Livio fu un personaggio eclettico mosso da vari interessi. La sua figura divenne oggetto di attenzione delle cronache del tempo con profili discordanti sulle sue capacità individuali. Nel libro “Dans l’intimité d’un collectionneur. Livio Odescalchi et le faste baroque” Sandra Costa lo rappresenta come un uomo dalle diverse sfaccettature dove si colgono i tratti di un moderno mecenate amante dell’arte, protettore degli artisti e grande collezionista. Fu molto attivo anche nei tentativi di condizionare la nomina dei papi tanto che in un manoscritto di un contemporaneo, “Gli intrighi dei Cardinali” dell’abate Atto Melani, ritrovato a cura di Monaldi & Sorti, nel conclave del 1691, due anni dopo la morte dello zio papa, cercò di orientare la scelta dei porporati potendo disporre dei voti di quindici cardinali. Nel descrivere le sue attività, si porrà attenzione e si darà risalto, quasi esclusivamente, a quanto da lui realizzato a Bracciano, tralasciando i suoi molteplici e prevalenti interventi ed interessi a Roma o in altre località. Le sue proprietà, infatti, furono notevoli e certamente il suo patrimonio fu tra i più cospicui tra la nobiltà romana del tempo, disponendo di una liquidità da far invidia. Dopo gli studi giovanili fatti a Roma dai gesuiti a partire dal 1674, Livio pensò ben presto di crearsi dei feudi intorno alla stessa Roma e già nel 1678 acquistò il feudo di Ceri, subito elevato a ducato. Ancora molto giovane, nel 1683, partecipò alla difesa di Vienna assalita dai Turchi e si distinse anche militarmente, tanto da meritare in seguito il titolo di principe del Sacro Romano Impero e, nel 1689, il collegio dei cardinali lo nominò generale della Chiesa. Abbandonata la guerra, si dedicò a nuove attività ricoprendo altri incarichi divenuti più numerosi dopo la morte dello zio, a conferma

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dell’apprezzamento per le sue personali qualità. Nel 1693 comprò il feudo di Palo e solo successivamente, nel 1696, quando cioè lo zio papa era deceduto ormai da sette anni, acquistò il territorio di Bracciano sul quale aveva ripiegato non essendo riuscito ad aggiudicarsi l’asta indetta due mesi prima per l’assegnazione del feudo di Albano. È probabile che se, invece, questa asta fosse stata a lui favorevole non avrebbe comprato Bracciano. L’anno successivo, nel 1697, l’imperatore asburgico Leopoldo I gli assegnò il ducato di Sirmio, antica città della Pannonia ubicata tra Vienna e Belgrado, attribuendogli il privilegio di fregiarsi del titolo di “Altezza Serenissima, Principe dell’Impero” con la facoltà di estenderlo anche agli eredi. Sempre nel 1697 pose la sua candidatura per essere eletto re della Polonia come successore di Giovanni III Sobieski, ma gli fu preferito il principe di Sassonia. Mantenne però buoni rapporti con la corona polacca al punto che, tra gli anni 1699/1701, ospitò nel suo palazzo romano la regina Casimira, vedova di Giovanni III. A Bracciano Livio iniziò subito a fare importanti lavori di opere civili, a partire dalla costruzione dell’acquedotto, i cui lavori iniziarono nel 1698 con lo scopo di trasportare l’acqua potabile dalle sorgenti della Fiora ed alimentare le industrie manifatturiere che si stavano sviluppando nel paese, principalmente cartiere, ferriere e mulini. Con Livio, quindi, si ha di fatto il passaggio di Bracciano da territorio quasi esclusivamente agricolo a realtà manifatturiera. Nel 1701 provvide alla sistemazione della facciata del palazzo della comunità (l’attuale municipio), da poco terminato, e successivamente fece costruire un teatro all’interno del palazzo stesso, teatro che rimase in funzione per quasi 200 anni. Aveva in progetto di realizzare diverse opere, tra cui un seminario ed un collegio da far gestire ai Padri delle Scuole Pie, l’ampliamento e la ricostruzione dell’ospedale e il rifacimento della facciata del duomo. Non riuscì però nell’intento per motivi di tempo. Fu così che la realizzazione di queste opere fu espressamente indicata nel testamento redatto nel 1709 a favore di Baldassarre Erba. Come già accennato, era costui il figlio di Antonio Maria Erba, a sua volta figlio di Alessandro Erba e di Lucrezia Odescalchi, sorella di Papa Innocenzo XI e, pertanto, zia di Livio. Baldassarre fu nominato suo erede e, alla sua morte avvenuta nel 1713, subentrò nei possedimenti e nei titoli. Livio, infatti, non aveva avuto figli né si era sposato per cui scelse di lasciare tutte le proprietà romane al nipote di sua zia Lucrezia, adottandolo come Odescalchi e consentendo così che il ramo di Bracciano non si estinguesse. I possedimenti del nord, invece, furono assegnati alla famiglia di Carlo Borromeo Arese, marito di Giovanna, sorella di Livio. Nel suo testamento precisa che “...li chiamati alla suddetta eredità devono assumere il cognome e stemma Odescalco” e l’erede deve “lasciare affatto il Cognome, e Casato proprio, ed assumere senza intercezione ritenere sempre il mio Cognome, e Casato Odescalco con l'aggiunta di Sirmio, e di Bracciano per contraddistinguersi dagli altri Rami, e Colonnelli della Famiglia Odescalco”. Baldassarre sposò dapprima Flaminia Borghese e poi, alla sua morte, la sorella Maddalena entrando così a far parte e pieno titolo dell’aristocrazia papalina e spostando definitivamente il centro degli interessi familiari da Como a Roma. Fu duca di Bracciano per ben 33 anni. Pierluigi Grossi

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Il Laboratorio dei lavori femminili: tesori nei cassetti delle famiglie braccianesi

Danza lenta Hai mai guardato i bambini in un girotondo? O ascoltato il rumore della pioggia quando cade a terra? O seguito mai lo svolazzare irregolare di una farfalla? O osservato il Sole allo svanire della notte? Faresti meglio a rallentare. Non danzare così veloce. Il tempo è breve. La musica non durerà. Percorri ogni giorno un volo? Quando dici “Come stai?” ascolti la risposta? Quando la giornata è finita ti stendi sul tuo letto con centinaia di questioni successive che ti passano per la testa? Faresti meglio a rallentare. Non danzare così veloce. Il tempo è breve. La musica non durerà. Hai mai detto a tuo figlio, “lo faremo domani? senza notare nella fretta, il suo dispiacere? Hai perso il contatto con una buona amicizia che poi è finita perché tu non avevi tempo di chiamare e dire “ciao”?

Le allieve del laboratorio del1910

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el 1856 nasce a Bracciano Il Laboratorio dei Lavori Femminili. Si trattava di una struttura, nata per volere della principessa Sofia Branika Odescalchi gestita dalle Suore della Carità di San Vincenzo De’ Paoli alla quale accedevano le ragazze di famiglie in parte agiate che potevano permettersi pertanto di non avere necessità del lavoro delle giovani. Tra gli insegnamenti che il laboratorio forniva alle ragazze in primo luogo il ricamo. Una sezione era poi dedicata alla maglieria. L’orario del laboratorio era dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 17. Il primo lavoro da imparare era senz’altro la “Santa Croce”, che in termini gergali è anche chiamato “imparaticcio”. Su un rettangolo di tela a trama larga venivano ricamate a punto croce le lettere dell’alfabeto, i numeri, il nome dell’allieva, l’anno. Vi si ricamavano anche piccole figure oltre alla croce ed altri simboli religiosi. Il passo successivo consisteva nella realizzazione di una borsa ricamata a punto Assisi. All’interno di questa borsa, a fine giornata, ogni allieva riponeva il proprio lavoro. Il terzo lavoro normalmente era dedicato alla realizzazione di un centro. Si passava poi al ricamo delle lenzuola. A scandire il lavoro la preghiera, ad inizio e fine giornata, e il rosario. Ma si cantava anche: canti popolari, motivetti in voga e inni religiosi. A fine anno si teneva la tradizionale gita a Roma e una mostra nella quale venivano esposti i lavori realizzati dalle allieve durante l’anno. Durante la guerra l’insegnante fu suor Giuseppina Grassetti e, dal 1947, Giuseppina Petrucci. Nel 1954 il laboratorio fu riaperto presso le suore del Divino Amore dove rimase fino al 1968. Le insegnanti di quel periodo furono madre Elvira e madre Palmira. Nel 2004, a cura dell’archivio storico comunale, venne allestita una mostra documentaria. Esposti anche molti lavori, messi a disposizione da molte famiglie braccianesi, la fattura dei quali mette in evidenza la straordinaria capacità raggiunte dalle allieve del laboratorio. Graziarosa Villani

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Faresti meglio a rallentare. Non danzare così veloce. Il tempo è breve. La musica non durerà. Quando corri così veloce per giungere da qualche parte ti perdi la metà del piacere di andarci. Quando ti preoccupi e corri tutto il giorno, come un regalo mai aperto… Gettato via. Ascolta la musica. ************* Questa poesia è stata scritta da una adolescente malata terminale di cancro. Leggetela, è la richiesta di una ragazzina speciale che presto lascerà questo mondo a causa della malattia. Le rimangono pochi mesi di vita e come ultimo desiderio ha voluto mandare una lettera, per dire a tutti di vivere la propria vita pienamente, dal momento che lei non potrà farlo. Professor Alessandro Cicognani Direttore Unità Operativa di Pediatria Università degli Studi di Bologna. Policlinico S. Orsola Malpighi V. Massarenti 11- 40138 Bologna

A cura di Claudio Calcaterra

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La soffitta: luogo della mente e del cuore

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i può interessare una rubrica che contenga informazioni sul mondo del teatro, sull’arte, sulla letteratura e varia umanità? Non certo studi approfonditi, certo non critiche fatte da specialisti: piuttosto, spigolature su aspetti particolari dell’arte, curiosità e riflessioni sul mondo del teatro o su qualche spettacolo degno di nota, considerazioni su qualche fenomeno di storia sociale. La rubrica potrebbe chiamarsi La soffitta. La parola - dal latino suffixus cioè collocato sotto - indica il vano di casa sotto il tetto, come tutti sappiamo bene: un luogo che evoca cose le quali - pur essendo state vive ed importanti - ora sono un po’ impolverate e trascurate. La parola indica anche quello spazio del teatro (la graticcia) allestito sopra il palco, nascosto al pubblico ma dove viene effettivamente messo in atto lo spettacolo. Come in una soffitta sonnecchiano nella nostra memoria cose che abbiamo sentito e dimenticato, cose che avremmo voluto approfondire, e non l’abbiamo mai fatto, cose di cui abbiamo sentito parlare, ma di sfuggita. Così, senza la presunzione di essere degli esperti, dei tuttologi, possiamo provare a gettare uno sguardo curioso in questo luogo della mente e anche del cuore dove ricordi e suggestioni dormicchiano nell’attesa di essere risvegliati, di riapparire davan-

V ti a noi, che siamo sempre distratti da tanti impegni. Uno sguardo un po’ più attento e mirato che ci faccia scoprire, o ricoprire, qualcosa di gradevole e stimolante, che conoscevamo o che avremmo voluto conoscere; come quando, in mezzo ad una folla anonima, si reicontra, inaspettatamente, un amico d’infanzia. Alberto Mancini

Il tempo non si trattiene: la vita è un compito da fare che ci portiamo a casa

A te donna

Quanto uno guarda e … sono già le sei del pomeriggio. Quando uno guarda ed è già venerdì. Quando uno guarda ed è finito già il mese. Quando uno guarda ed è già finito un anno. Quando uno guarda e già sono passati 50 o 60 anni. Quando uno guarda e si accorge di aver perso un amico. Quando uno guarda l’amore della propria vita andarsene e accorgersi che è tardi per tornare indietro. Non smettere di fare qualcosa che ti piace per mancanza di tempo, non smettere di avere qualcuno accanto a te o di goderti la solitudine. Perché i tuoi figli subito non saranno più tuoi e dovrai fare qualcosa con questo tempo che resta. In quanto l’unica cosa che ci mancherà sarà lo spazio che solo si può godere con gli amici di sempre, quel tempo che purtroppo non torna più… Prova ad eliminare il “Dopo” … Dopo ti chiamo… Dopo lo faccio… dopo lo dico…dopo io cambio…ci penso dopo… Lasciamo tutto per dopo come se il dopo fosse il meglio, perché non capiamo che: dopo il caffè si raffredda…, dopo la priorità cambia…, dopo l’incanto si perde…, dopo il presto si trasforma in tardi…, dopo la malinconia passa…, dopo le cose cambiano…, dopo i figli crescono…, dopo la gente invecchia…, dopo le promesse si dimenticano…, dopo il giorno è notte…, dopo la vita finisce… Non lasciate niente per dopo perché nell’attesa del dopo puoi perdere i migliori momenti, le migliori esperienze, i migliori amici…i migliori amori… Ricordati che il dopo può essere tardi, il giorno è oggi, non siamo più nell’età in cui ci è permesso di posticipare. Magari avrai tempo per leggere e dopo condividere quello che hai scritto… altrimenti lascialo per… “Dopo”.

i capelli diventano bianchi,

Aprile 2018

marciapiede, a dire il vero piuttosto stretto, è un continuo “scusi”, “permesso”, una signora con un passeggino rapidamente si fa largo. Un giovanotto con una barbetta da dottorino, mentre si fa da parte, “Prego, Signora, i piccoli hanno sempre la precedenza!”, “Grazie” risponde la Signora, mentre il bambino fa “ciao, ciao” con la manina. “Alfredi’, bello de mamma, quanno diventi grande nun te fa’ cresce la barba, sennò, bello de mamma, so’ tortorate!”. Varia umanità... Ecco che un’anziana signora si prepara ad attraversare la strada: appoggia il bastone sulle strisce, guarda a destra e a sinistra agita il bastone, come per dire “attenzione”, un ragazzo “Signora, posso aiutarla?”, “Chi sei?”, “Volevo farLe da cavaliere”, “Ce l’hai il cavallo?”, “No, perché’?”, “Allora se non c’hai il cavallo che cavaliere sei?! Fatte er cavallo, se voi fa’ er cavaliere, e poi mica so’ tanto vecchia”. Detto-fatto: sollevato il bastone, con tre salti è dall’altra parte della strada. Il ragazzo “E mo pe’ fa er cavaliere, me tocca compra’ pure er cavallo! Ma io vado a piedi”. Varia umanità... Passa un signore di corsa “Giova’ dove vai così di corsa?”, lo apostrofa un amico “Da nessuna parte”, risponde, e l’amico “Allora, se non devi andare da nessuna parte, perché’ corri?”, “e che ne so’, perché’ non se po’ corre?”. “Ma se nun devi pia’ er treno nun c’è bisogno da corre”, “Io er treno nu lo devo pia’”, “Allora nun corre”, “E io vojo corre”, “Fa ‘npo come te pare, ma mesa’ che mo er treno l’hai perso”, “Er treno nu l’ho perso e poi vojo corre, vabbè” e riparte con uno scatto da centrometrista. “Corri, corri tanto er treno l’hai perso”. Varia umanità... Chi cammina con passo veloce, chi con passo lento. Passa un prete, qualcuno “Buongiorno Padre”, qualche altro, probabilmente superstizioso, si “gratta”. “Battono” i rintocchi del mezzogiorno. Uno “Che sona a morto?”. “No” risponde un altro, “è mezzogiorno”, “Certo a morì proprio a mezzogiorno: che scarogna!”. “Guarda che non è morto nessuno”. “Ah! Meno male!!” Varia umanità…. Luigi Di Giampaolo

Varia Umanità

i è mai capitato, di osservare, magari mentre aspettavate qualcuno, il via vai delle persone? Beh, a me è capitato e mi sono accorto che questa umanità che gira intorno a noi è veramente “varia”. La strada è davvero un piccolo mondo, con i suoi “personaggi” più o meno strani. Osservo due signori che discutono animatamente vicino alla bacheca degli annunci funebri..“Eh”, dice uno leggendo, “Giovanni è tornato alla casa del Padre”, l’altro “Allora è tornato ad Oriolo”, “macché” ribatte il lettore, evidentemente più istruito “vuol dire che è tornato dal Padre, in cielo”, “ ma quale cielo, è tornato dal padre ad Oriolo”, “ ma se è morto?”, “ Embè, perché da morto non può tornare dar padre ad Oriolo?”, “ Te dico che è tornato dal Padre, in cielo”, “ Aridaje, è tornato dar padre a Oriolo, pure da morto”, “ No, è tornato lassù” e con il dito indica il cielo. “Io lassù non vedo gnente, Giovanni sta cor padre ad Oriolo”, “No, in cielo”, “No, ad Oriolo”, “Nooo in cielo”, “Noooo ad Oriolo”. Mi allontano, mentre continuano a discutere animatamente. Varia umanità… Questa mattina la strada è piena di gente, il viavai è continuo: sul

Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe, i giorni si trasformano in anni: Però ciò che è importante non cambia… la tua forza, il tuo coraggio non ha età. Insisti sempre, anche se tutti ti aspettano che abbandoni. Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c’è in te. a cura di Claudio Calcatera

Le ali del sorriso Amale vestite, che a spogliarsi sono brave tutte. Amale indifese e senza trucco,

Favoleggiando: La ricotta romana

U

n Giovane Esploratore stava camminando attraverso la Campagna Romana diretto al campo ed era tutto preso dai ruderi romani che si vedevano qua e là. “Anche i romani camminavano” pensava, “forse qualcuno proprio come me…allora le orme che lascio potrebbero essere anche le sue. Si dice che ognuno di noi abbia un gemello o lo abbia avuto o lo avrà’. Il mio era quel ragazzo romano: quattordici anni, alto un metro e sessanta e pesava cinquantotto chilogrammi. Chi potrebbe dire che non è vero? Quanto mi piace la storia!”. Giunse in vista di un gregge che brucava dentro un campo quadrato. La recinzione rustica che lo delimitava era ridotta ai soli pali conficcati al suolo. “Quei pali”, pensò, “sembrano dei ruderi di legno. Forse il mio gemello romano vedeva delle statue al loro posto, disposte a guardie di un terreno dedicato ad una divinità pagana.

A quel tempo si usava interpretare la volontà degli Dei studiando il volo degli uccelli; ma io dico anche esaminando le forme che assumeva il gregge mentre brucava. Sono sempre nuove,

Infatti quel pastore le guarda e non si annoia mai. Se sapesse che anche le pecore romane facevano così, si sentirebbe un sacerdote romano che rende nota la volontà degli Dei interpretando le figure delle pecore sacre. Ma lui che cosa ne può capire? Non voglio offenderlo, ma sicuramente sta pensando a tutt’altro”. Intanto era giunto presso i resti di un cancello. “È permesso?” chiese, “Entra pure ragazzo, ho appena fatto la ricotta ne mangeremo un po’ insieme; sapessi quanto mi fa piacere vedere qualcuno! Qui non cambia mai niente e certe volte mi sembra di essere antico come la Campagna Romana e mi sento un pastore romano. Sai che la pastorizia da allora è rimasta la stessa?”. “Sì”. “Lo sai? E allora che ne dici della ricotta romana?”. “E’ ottima”. Ettore De Santis

perché non sai quanto gli occhi di una donna possono provare scudo dietro un velo di mascara. Amale addormentate, un po’ ammaccate quando il sonno le stropiccia. Amale sapendo che non ne hanno bisogno, sanno bastare a se stesse. Ma appunto per questo, sapranno amare te come nessuna prima di loro.

Gelateria Pasticceria Enoteca

Bracciano Via Principe di Napoli, 9/11 Tel./Fax 06 90804194 www.caffegranditalia.com

Alda Merini

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Gente di Bracciano


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