Gente di Bracciano Luglio 2019 n. 25

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Gente di Bracciano

cortesia Paolo B. Nocchi

luglio 2019 - numero 25


Andrea Camilleri: il “contastorie” libero

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Uno spirito laico fra letteratura e politica. L’Italia perde un “grande maestro”. Disse: “Il Fascismo è un virus mutante. Non è mai morto. Non l’abbiamo mai ucciso. Ed ora è tornato, mutato”

Luglio 2019 - Numero 25

Dedicato A tutti coloro che perdono la vita in mare, vittime di guerra, miseria ed egoismo

Editore: Associazione Gente di Bracciano Presidente: Claudio Calcaterra Direttore responsabile: Graziarosa Villani Redazione: Mena Maisano, Biancamaria Alberi, Luigi Di Giampaolo.

Collaboratori: Elena Felluca, Fabercross.

Registrato al Tribunale di Civitavecchia n. 1388/2014

Stampa e impaginazione: FEDE 2011 srl Via dei Vignali, 60 - Anguillara Sabazia su carta riciclata al 100%

@matteosalvinimi

@stanzaselvaggia In risposta a @matteosalvinimi

Il compagno, con Emergency, ha salvato 6 milioni di vite, ha costruito ospedali, ha operato sotto le bombe, ha lottato per la messa al bando delle mine, ha rischiato la vita rimanendo in Paesi da cui tutti scappavano. Ha fatto l’eroe a casa loro. Non il bullo a casa nostra come te.

Dalla Repubblica del vaffa…alla Repubblica degli ignoranti

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on so se mi fa più paura Salvini o chi lo vota…E poi la vita ci insegna che bisogna sempre volare in alto…più in alto della stupidità, dell’egoismo, della cattiveria, dell’omofobia razzista becera di chi crede di essere più in alto di Dio (per chi ci crede) nel giudicare l’operato di chi è impegnato a salvare vite umane e a curare gli emarginati malati, espulsi da una vita normale e dalla civiltà cosiddetta occidentale.

Se vuoi aderire alla nostra Associazione contatta la Redazione: gentedibracciano@tiscali.it

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Bisogna sempre volare più in alto, dove certe parole non possono offenderci, dove certi gesti non possono ferirci, dove certe “persone” non potranno arrivare mai.

L’italiano medio è così: ai ladri poveri gli spara, a quelli che rubano 49 milioni di euro li vota. Nel far west sparare alle spalle o dall’alto ad un ladro disarmato veniva considerato omicidio. Perciò “ama il prossimo tuo” (cit. Gesù). Se questo vuol dire essere comunista: bene sono comunista nella mente e nel cuore. Claudio Calcaterra

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ieco, vecchio ed ora inerme. Eppure il gigante Camilleri anche negli ultimi suoi giorni ha fatto ancora paura tanto che c’è chi ha levato insulti contro di lui, e lo ha accusato di essere solidale con i migranti e critico col vicepremier Salvini per la campagna elettorale fatta con il rosario in mano. “Non mi rompete i gabbasisi” avrebbe probabilmente risposto lo scrittore siciliano che piuttosto che dedicarsi ai lillipuziani di oggi ha impiegato gli ultimi suoi anni ad interrogarsi su dei miti che, malgrado tutto, restano immortali. Un evento mediatico a tutto tondo è stato il suo spettacolo Conversazioni con Tiresia in cui sulle pietre del teatro greco di Siracusa, Andrea Camilleri si è calato nei panni dell’indovino per antonomasia che ha avuto gli onori di essere citato nel bene o nel male da Omero e da Dante. Una immersione nel mondo antico Andrea Camilleri riscoprendo un cieco ante litteram al quale tra gli altri viene attribuita la massima secondo la quale la donna prova nove volte più piacere dell’uomo nell’amplesso sessuale. E se un arresto cardiorespiratorio non lo avesse colto il 17 giugno scorso ed inchiodato alle macchine all’ospedale Santo Spirito di Roma, Camilleri avrebbe regalato al pubblico romano delle Terme di Caracalla le sue riflessioni con il nuovo spettacolo da protagonista Autodifesa di Caino, risalendo fino Genesi. Altro che Salvini. Il grande vecchio da ottanta sigarette al giorno si è sempre autodefinito un contastorie, di quelli probabilmente che giravano per la sua Sicilia raccontando del paladino Orlando, gesta oggi cuntate in massima parte solo dal Teatro dei Pupi. Affabulare, del resto è stato il suo lavoro già da quando nel 1954 entrò in Rai. è tale è la sua passione per la fabula che Camilleri riesce ad immaginare e a rendere reale una città, sì virtuale, come Vigata che esiste solo nelle sue pagine come esiste ormai nell’immaginario collettivo di più generazioni di Italiani. Ed ogni città ha il suo idioma e così nasce anche il vigatese una sorta di dialetto anch’esso tutto da scrivere e da immaginare. Dalla sua Porto Empedocle fino a Roma in un crescendo di popolarità Andrea Camilleri ha saputo affermarsi, divenendo un docente di regia all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica, dove peraltro era stato studente, che insegna col metodo della maieutica, ha saputo tenacemente restare fedele a se stesso, anche quando i suoi manoscritti venivano respinti dagli editori. Ed ora che il suo Commissario Montalbano assurge a serie storica come quelle del Tenente Sheridan di Ubaldo Lai o del Commissario Maigret di Gino Cervi, serie alle quali lo stesso Camilleri ha collaborato, il personaggio, pirandellianamente parlando, vive di vita propria, figlio di un autore che, ad un mese esatto dal suo ricovero è spirato. In quella camera dell’ospedale Santo Spirito di Roma, a pochi passi dal Vaticano e dal biondo Tevere, è certo che ha vissuto le sue ultime ore una mente libera, una mente pensante che si è nutrita di epica, storia e fantasia, come solo i grandi scrittori sanno fare. Con il suo Montalbano, Camilleri ha saputo mettere alla berlina i mali della sua Sicilia sullo sfondo della maffia, come si diceva in origine, e di una cultura antica e per molti versi ancora molto lontana dal Continente. Se Camilleri, da grande vecchio, faceva ancora paura è perché,

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forte dei suoi 93 anni, si è sempre sottratto all’omologazione anche politica di questi ultimi tempi. Se Camilleri faceva ancora paura è perché lo scrittore non si è sottratto a tuonare contro certi rigurgiti neofascisti che un negazionismo imperante vorrebbe sottacere e che invece giorno dopo giorno si insinua tra noi fino a che - narra quel famoso scritto - “Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Comunista nell’anima, Camilleri a più riprese si è affacciato nell’agone politico, operando come un battitore libero contro il berlusconismo e il suo peccato originale del conflitto di interessi prima e contro la politica anti-migranti di queste ore. L’eredità che ha lasciato Camilleri è intrisa di ironia, di umanità, di amore, di emozioni. Tutto il contrario dell’odio che i suoi detrattori hanno cercato di seminare. Il nome di Camilleri resterà nei libri di letteratura, quello di chi si è permesso di insultarlo, facendo il verso del leghista Salvini, verrà inghiottito nel vortice degli algoritmi social. Di fronte alla morte anche il leader leghista, “al di là delle polemiche politiche”, ha calato il cappello, riconoscendo a Camilleri il ruolo di “grande artista”. Come un coup de théâtre anche davanti a sorella morte, Camilleri ha spiazzato tutti: niente camere ardenti, niente solenni funerali. Ma solo una tomba laddove, all’ombra della piramide Cestia, riposano grandi pensatori liberi come lui al cimitero acattolico di Roma. Da laico, Camilleri ha deciso così. Ed ora le sue conversazioni coinvolgono menti come Antonio Gramsci, il poeta Percy Bysshe Shelley, l’intellettuale nipponico Ichiro Nishikawa, il fisico Bruno Pontecorvo, lo scrittore Carlo Emilio Gadda e tanti altri. Ce n’è da dibattere. Nella sua infinita miniera di fantasia, Camilleri ha custodito anche l’immagine della sua dipartita. «Se potessi vorrei finire la mia carriera seduto in una piazza a raccontare storie e alla fine del mio ‘cunto’, passare tra il pubblico con la coppola in mano». Viene in mente la canzone di Francesco Guccini “Il vecchio e il bambino”. “..I due camminavano, il giorno cadeva/il vecchio parlava e piano piangeva:/con l’anima assente, con gli occhi bagnati,/seguiva il ricordo di miti passati... Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,/ gli occhi guardavano cose mai viste/e poi disse al vecchio con voce sognante:/“Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!”. Graziarosa Villani

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Cristiano Bergodi: una passione per il calcio A 55 anni è uno stimato allenatore. Sette anni in squadra nella Lazio di Materazzi, Zoff e Zeman

Il calciatore durante una partita

Adriatico. Tra i calciatori che possono festeggiare la conquista del primo campionato c’è anche Cristiano Bergodi. Nei due anni successivi, con il ruolo di difensore centrale, Bergodi gioca ancora in Serie A con il Pescara. “Pescara - dice - è una città molto bella in cui si vive bene. Ho bei ricordi di quel periodo”. La lunga parentesi abruzzese si conclude per Bergodi con il passaggio alla Lazio. Il club biancoceleste acquista il car-

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Lo striscione della curva nord che inneggia a Cristiano Bergodi

na vita nel pallone e per il pallone. Ha coronato il proprio sogno di bambino Cristiano Bergodi, classe 1964, che nel ruolo di calciatore prima e di allenatore poi ha portato lustro a Bracciano. Oggi è in piena carriera di allenatore e ha chiuso la stagione con un successo sui campi rumeni dove il Voluntari, la squadra che ha allenato nell’ultima stagione si è assicurata, grazie anche al suo impegno, la permanenza nel massimo campionato rumeno. A Bracciano, Cristiano è un po’ una star, lo incontriamo, assieme a Mena e Claudio, al Sabazio, il bar del fratello Fabrizio in via XX settembre, uno dei locali storici di Bracciano. Quando non è fuori è qui che tutte le mattine Cristiano viene per la prima colazione, attorniato dall’affetto dei braccianesi.

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Un calciatore dai piedi per terra che ha saputo, dopo la conclusione a 34 anni della carriera di calciatore, rimettersi in gioco letteralmente passando a bordocampo a guidare le squadre. Forte di una necessaria formazione da allenatore e dirigente nel’“Università” di Coverciano. Il primo calcio al pallone lo diede a 10 anni nelle fila del Bracciano Calcio. A notare il talento di questo ragazzino fu subito Dioniso Arce, il calciatore venuto dal Paraguay. “Arce - racconta Cristiano - mi vide giocare sul campo di Bracciano e volle farmi fare un provino per la Lazio. Mi presero e passai ad allenarmi per il Nucleo Addestrativo Giovani Calciatori della Lazio. Era un’attività molto impegnativa.

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Ci si allenava nella struttura di via della Pisana due volte a settimana. Agli allenamenti spesso mi accompagnava mio padre Aurelio ma anche lo stesso Arce”. Furono negli anni della gavetta, del sudore, delle partite di campionati minori tra cui quelle per i colori del Casalotti. Un nuovo provino gli aprì la strada per una nuova esperienza. Passò infatti a giocare da professionista per il Pescara, prima nel settore giovanile. A vent’anni suonati si apre per lui l’accesso alla prima squadra del Pescara che allora giocava nel campionato di Serie B. Per Bergodi è l’occasione per mettersi in mostra. Il Pescara ottiene buone risultati fino alla conquista il 21 giugno 1987 della serie A dopo la vittoria contro il Parma per 1 a 0 in un gremito stadio

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Dioniso Arce

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tellino del giovane calciatore di origine braccianese e per Cristiano prende il via una nuova fase della vita. Per lui arriva la ribalta dello Stadio Olimpico. Sette anni per i colori biancocelesti nel ruolo di difensore e in alcune occasioni di capitano. Tra i suoi compagni sul campo e negli spogliatoi ci sono Orsi, Fiori, Gregucci, Gascoigne, Signori, Ridle, Nesta. Ci si allena nella struttura di Tor di Quinto. Giocando per la Lazio, Bergodi si ri-

congiunge idealmente in qualche modo con Bracciano dove a tifare per la squadra biancoceleste è pressoché l’intera popolazione. Lui stesso che ha sempre tifato per la Lazio si prende la soddisfazione di giocare per la propria squadra del cuore. I derby con la Roma sono ovviamente i più sentiti. “Ricordo una sera dopo il derby un acceso scambio di vedute con l’allenatore Carlo Mazzone che stimo molto. Stavo dando una intervista, lui passò con l’auto e

Con Paul Gascoigne

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L’assalto dei Borgia a Bracciano

Il coraggio di Bartolomea Orsini, l’appoggio di Bartolomeo d’Alviano

M Cristiano Bergodi nel suo ruolo di allenatore.

avendo ascoltato quanto stavo dicendo al giornalista, tirò giù il finestrino per controbattere a quanto dichiaravo”. Con i colori della Lazio, allenata allora dal grande Dino Zoff, Bergodi si avvicina a qualche traguardo ma senza mai raggiungerlo. “Arrivammo - dice - alla semifinale di Coppa Italia e ai quarti di finale di Coppa Uefa”. “I derby - commenta - erano le partite più belle della stagione”. Ricorda con grande emozione il giorno in cui un grande striscione che correva per tutta la curva nord dello stadio olimpico lo celebrava: “Nessun prezzo può valere la tua fede…Bergodi laziale a vita!”. “È stato davvero - dice Cristiano - un bel momento”. Nel 1996 Bergodi passa a giocare per il

Nella prossima stagione torna ad allenare il Voluntari

Padova e vi resta due anni e quindi vola in trasferta a Malta dove conclude, a 36 anni, la sua carriera di calciatore in campo con la maglia dello Sliema Wanderers, squadra con la quale conquista la Coppa di Malta. Ed è in questa fase della vita che Bergodi ripensa se stesso e si forma per divenire un allenatore, ruolo che negli ultimi tempi gli sta dando grandi soddisfazioni. “Ho frequentato - racconta - tutto l’iter formativo per allenatore di prima categoria”. L’esordio da allenatore per lui arriva nel 2002 con l’Imolese, poi negli anni passa al Sassuolo, al Lecce da viceallenatore. Ma la vera svolta arriva dall’estero. è in Romania che Cristiano Bergodi si afferma. Sono molte le squadre che allena: il Cluj, il

Graziarosa Villani in collaborazione con Mena Maisano

Con un suo collaboratore

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Rapid, il prestigioso Steaua Bucarest. Poi il ritorno in Italia come allenatore del Modena (2010 e 2016), del Pescara (2012) dove tutto per lui ebbe inizio, del Brescia (2015). L’ultima stagione appena conclusa gli ha dato qualche soddisfazione, il club romeno del Voluntari ha potuto festeggiare la salvezza. “Proprio in questi giorni - spiega Cristiano - ho firmato per la prossima stagione”. Quando può Cristiano rientra a Bracciano dove vivono i suoi fratelli Fabrizio e Davide, i suoi figli Federico, Martina ed Andrea. Quest’ultimo, tredicenne, milita per la Virtus Bracciano, la squadra che è stata sciolta di recente per le difficoltà dovute alla assenza di una struttura. “Sapevo che sarebbe stato un sacrificio, mentre i miei amici andavano a divertirsi io ero in ritiro” dice Cristiano della sua carriera. “Mi ero messo in testa che volevo fare il calciatore e ci sono riuscito. Devo ringraziare i miei genitori che mi hanno sempre appoggiato in questo percorso, anche loro con grande sacrificio ed impegno. Il calcio ti forgia il carattere, ti insegna il rispetto e la disciplina. La carriera è molto breve e bisogna essere capaci di reinventarsi. Con i braccianesi ho un buon rapporto. Molti mi vogliono bene”. Alle pareti del bar Sabazio molte fotografie raccontano, in una lunga carrellata, i momenti belli del calciatore Bergodi. A 55 anni, tra vittorie e sconfitte, esoneri e riconferme, la sua vita è ancora nel pallone, ma i piedi sono per terra. Nessuna arroganza, piuttosto un carattere gentile, attento alla famiglia, ai figli, ai valori vero dello sport e alla sua Bracciano.

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riprese d’inchiodare i cannoni e di distruggere le opere degli assedianti, egli era stato costretto all’ultimo di chiudersi nella terra, la quale sarebbe stata presa entro poco tempo se gli alleati degli Orsini non riuscivano ad allestire un esercito poderoso abbastanza da far levare l’assedio; Carlo Orsini, figliuolo di Virginio, e Vitellozzo Vitelli, erano giunti di Francia a bordo della piccola flotta che aveva così opportunamente soccorso Livorno, provveduti di danaro dato loro da Carlo VIII per rimettere in punto i loro uomini d’arme. Ei si recarono dapprima a Città di Castello, ove erano sovrani i Vitelli. I due fratelli di Vitellozzo Paolo e Camillo, che annoveransi a ragione fra i migliori condottieri d’Italia, avevano procacciato d’introdurre nel loro piccolo principato la tattica militare che tanto vantaggiosa tornava agli Oltremontani. Avevano assettati i loro cannoni sopra carri alla francese assai più facili a muoversi che quelli degl’Italiani; e armando i loro fanti di picche simili a quelle degli Svizzeri, ma due piedi più lunghe, gli avevano addestrati a ben maneggiarle. Per tale modo i Vitelli avevano adottato tutto che avevano trovato di meglio nella pratica militare degli Oltremontani, cui pure non avevano imparato a conoscere se non da circa tre anni. Erano questi signori amicissimi degli Orsini, ed apertamente vedevano che, soggiogati questi, il papa volgerebbe le sue forze contro di loro. Per la qual cosa, abbenché fossero tanto minori di forze, deliberarono di assalire il pontefice. Ed ottenuti dalle città di Perugia, di Todi e di Narni alcuni aiuti, colla loro piccola ma valorosa oste si avanzarono alla vòlta di Bracciano. Il duca d’Urbino, avvisato del loro arrivo, levò l’assedio e si fece loro incontro a mezzo il cammino in sulla via di Soriano. Lunga ed accanita fu la battaglia; ma una schiera di ottocento Tedeschi, che era il fiore dell’esercito pontificio, venne distrutta dalla fanteria di Città di Castello, la quale trafiggevali colle lunghe sue picche senza poter essere da loro ferita. Tutto il restante dell’esercito del papa fu bentosto sgominato, e fu fatto prigioniero lo stesso duca di Urbino con molti gentiluomini. Il duca di Candia, ferito nel viso, scampò a Ronciglione col legato e con Fabrizio Colonna: ma tutti i bagagli e tutta l’artiglieria caddero in potere dei vincitori, i quali nei susseguenti giorni ricuperarono tutti i castelli tolti agli Orsini, tranne l’Anguillara e Triboniano. Tratto da Storia delle Repubbliche Italiane del Medio Evo di I. L. Simondo Sismondi

a nel mentre che il vicendevole spossamento del combattenti riduceva la guerra di Toscana a misere scaramucce, l’ambizione di Alessandro VI ne accendeva un’altra nello stato di Roma, la quale poteva, non meno che la precedente, essere la cagione della venuta di stranieri eserciti. Ad altro non pensava il papa che ad ingrandire i suoi figliuoli; e credette giunta la propizia occasione di arricchirli, senza muovere a lagnanze la Chiesa, col sequestrare tutti i feudi degli Orsini, mentre che tutti i maggiori di quella famiglia erano in prigione a Napoli. ll 1º di giugno del 1496 Alessandro aveva condannato Virginio Orsini come ribelle per essere passato al soldo dei Francesi ed avere per loro portate le armi nel regno di Napoli. Aveva nello stesso tempo comandato a Ferdinando di ritenerlo prigioniero a dispetto della capitolazione d’Atella. Il 26 ottobre susseguente pronunciò in secreto concistoro la pena della confisca contro Bartolomeo d’Alviano Virginio Orsini e tutta la sua famiglia, e mandò il proprio figliuolo, Francesco Borgia, duca di Candia, e Bernardino Lonato, cardinale di Pavia, ad insignorirsi de’ feudi dell’Orsini. Egli pensò inoltre ad accertarsi della cooperazione dei Colonna, sempre disposti a combattere gli Orsini, loro emoli e loro vicini; e a dispetto della ripugnanza dei Veneziani per questa nuova guerra, ottenne che il duca d’Urbino, il di cui soldo era pagato per metà da loro e per l’altra metà dalla camera apostolica, fosse mandato a Roma per secondarlo. Prima che terminasse l’anno l’esercito pontificio aveva occupata la maggior parte dei castelli degli Orsini, e nei primi giorni del susseguente cinse d’assedio Tribuniano, indi l’Isola, ed all’ultimo Bracciano. Ma durante l’assedio dell’Isola e di Bracciano, Bartolomeo d’Alviano, assaltato alla sprovveduta Cesare Borgia, che conduceva l’artiglieria del papa, sconfisse la sua cavalleria, e lo inseguì fino alle porte di Roma. L’Alviano era nato da un ramo cadetto, o forse bastardo degli Orsini; era stato educato nella loro casa, e da loro aveva imparata l’arte della guerra; ed in tempo della prigionia de’ suoi padroni, provando loro la sua fedeltà, diede a un tempo i primi saggi di quel valore, di quell’audacia ed attività per cui si rendette famoso tra i capitani italiani. Bracciano veniva risguardato come il capo luogo del principato degli Orsini, Virginio vi avea lasciata una sua sorella, chiamata Bartolomea, il di cui maschio ed intrepido coraggio non si lasciava sgomentare dai pericoli della guerra. Questa fanciulla aveva raccolti tutti i soldati de’ suoi fratelli, che tornavano fuggiaschi dal regno di Napoli, e dato loro nuove armi e nuovi cavalli, aveva fatte ristaurare le artiglierie guaste, riparare le fortificazioni di Bracciano, e guarnire i parapetti di pietre e di pentole di fuochi d’artifizio da scagliare contro gli assalitori; e facendo ammaestrare nell’esercizio delle armi i contadini, assumeva fidentemente essa medesima il comando delle fortezze, mentre che Bartolomeo d’Alviano, scorrendo la campagna, travagliava i saccomanni del nemico, e attendeva a raunare un esercito che potesse liberarla. Frattanto Triboniano fu preso, e Bracciano era ognor più stretta mente incalzato. Malgrado i prosperi successi delle operazioni dell’Alviano, e sebbene ei fosse venuto a capo in più

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Corsi e ricorsi storici

“I meridionali? Sono biologicamente inferiori” 1876 - Cesare Lombroso

“Veneti diversi da Italiani, anche fisicamente, la faccia di Zaia non la trovi in Calabria”. 2019 Pietro Senaldi (direttore Libero) 7

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L’acquedotto di Bracciano, detto Odescalchi

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valle di poterla utilizzare per irrigare i propri campi, ma l’uso era precario e i principi non avevano alcun obbligo nei loro confronti. Questo fu più volte oggetto di contesa: accadde che Anselmi, proprietario di un terreno attraversato dal fosso in cui venivano sversate le acque di scolo, costruì un molino ad olio, ma gli Odescalchi lo diffidarono. Chiunque poteva creare delle piccole derivazioni lungo il tragitto degli scoli per irrigare i loro campi e i principi erano disposti ad affittare l’acqua e i locali degli opifici, ma nessuno poteva disporne a proprio piacimento senza il loro permesso. Poco tempo dopo, Sofia Branicka Odescalchi, moglie di Livio III e proprietaria del ducato, dovette dimostrare la piena proprietà della acque in una questione sorta contro il Comune di Bracciano. All’epoca esistevano quattro macine a grano degli Odescalchi, due delle quali giacevano inoperose a Vigna Grande, e un quinto molino di un altro proprietario impiantato da poco tempo sul fosso di Boccalupo. Il Comune di Bracciano, con la scusa che la produzione di grano non fosse sufficiente a soddisfare la popolazione, fece costruire, allo sbocco di Ponte Vecchio, senza i necessari permessi e senza aver sperimentato gli incanti, un altro molino a grano che sarebbe stato mosso con la forza dell’acqua proveniente dagli scoli dell’acquedotto degli Odescalchi. I rappresentanti del comune consideravano gli scoli pubblici e ne chiesero l’utilizzo al demanio. Sofia si oppose in virtù del principio secondo il quale il proprietario del fondo inferiore non poteva acquistare la servitù attiva di derivazione di acqua se non nei modi legali, ossia ottenendo il suo permesso. Il comune voleva per forza utilizzare il molino, considerando pubbliche le acque di scolo, tanto che l’ingegnere del Genio Civile si recò a Bracciano per misurare le acque da concedere e per determinare le opere occorrenti. Gli Odescalchi, vedendo che i propri reclami non venivano ascoltati e sapendo della visita dell’ingegnere, qualche giorno prima reputarono opportuno presentare prova del proprio diritto delle acque: riempirono i bottacci degli opifici delle acque di scolo, impedendo il deflusso nel fossetto finale. L’ingegnere del Genio, accompagnato dai rappresentanti delle parti, trovò il fosso vuoto allo sbocco del Ponte Vecchio. Molti tratti dell’acquedotto sono ancora oggi ben visibili, sebbene non siano più in funzione, ma la mancanza delle dovute attenzioni rischia di farci perdere una parte importante del nostro patrimonio culturale. è bene ricordare il prestigioso riconoscimento ottenuto nel 2017 dal Liceo Vian, per aver realizzato un significativo cortometraggio sulla storia dell’acquedotto aderendo al progetto nazionale “Adotta un Monumento”. Elena Felluca

La forza motrice della città tra concessioni e contenziosi

profondità e figura Bocca di Lupo […]. Livio fece fare da Carlo Buratti il tratto compreso tra la sorgente della Fiora fino ai Cappuccini, mentre il troncone cittadino, che prevedeva l’alimentazione di opifici e della fontana di piazza del Municipio, è opera di Mario Asprucci, chiamato dal successore, Baldassarre Odescalchi. Anche dopo la sua entrata in funzione, l’acqua che scorreva nel fosso aveva abbastanza energia per far muovere le mole di Vigna Grande, le quali potevano essere riattivate all’occorrenza, senza considerare che esso serviva ad accogliere le acque sversate ogni volta che l’acquedotto veniva ripulito, o restaurato. L’energia idraulica dell’acquedotto di Bracciano serviva a far funzionare una cartiera, un molino a grano, un forno fusorio, cinque ferriere, un molino a olio e una sesta ferriera, o distendino, in cui avveniva la lavorazione del ferro per produrre oggetti vari, quali vanghe, pennati, accette, picconi, zappe, badili, pale a strumenti necessari in cucina come mezzelune, padelle, testi per necci e cialde, mannaie, coltelli. Col tempo gli opifici vennero dismessi, i locali della cartiera furono ridotti in parte a magazzini, in parte ad abitazioni e la forza dell’acqua venne utilizzata per muovere due macine a grano. Nel forno fusorio Livio III collocò una segheria che lavorava con l’acqua. Nel 1852 la prima ferriera venne ridotta a molino a olio con tre macine e frullino per fare olio lavato. Nella quinta ferriera fu attivata una fabbrica di zapponi e di altri utensili campestri. Negli anni Settanta dell’Ottocento anche la seconda ferriera venne ridotta alla stessa funzione. Si cambiò destinazione d’uso delle ferriere per via della concorrenza nell’industria del ferro. Così, col passare degli anni, gli opifici mutarono la loro funzione originaria. I principi Odescalchi, nel tempo, fecero varie concessioni di acqua a titolo gratuito per la popolazione braccianese, con la clausola di conservarne il dominio assoluto: nel 1742 Baldassarre concesse una oncia alle Monache della Visitazione, nel 1762 Livio II concesse un quarto di oncia ai Priori della comunità di Bracciano per rifornire una piccola fontana sotto un arco dell’acquedotto delle

uando Livio Odescalchi comperò il ducato di Bracciano dagli Orsini, nel 1696, uno dei primi interessi fu quello di introdurre in loco l’attività industriale utilizzando la forza motrice di tutta quell’acqua che vedeva disperdersi nella campagna […] In distanza di 5 miglia da Bracciano, visitando il med.mo Principe Odescalchi il nuovo acquisto di questo suo Ducato, osservò tra alcuni pezzi di condotto in piano lungi la Chiesa della Madonna della Fiora scorrere un’acqua limpidissima e copiosa, comunemente chiamata della Fiora, rispetto forse al detto romitorio, rinvenne essere questi li scoli addunati delle Terme Claudiane, o Aureliane del predetto Pusilipo già nomati condotti Alseatini, terminando ad Also superba città, le cui gran rovine vegonsi ancora à Palo, Signoria parimente di S. Also, quali condotti provvedevano di quest’acqua dolce quel famoso porto di Also, trovandosi altri segni di ciò per la campagna di Bracciano, Ceri, à Palo […]. All’epoca l’acqua della Fiora continuava a cadere nell’omonimo fosso creando forza motrice per le mole di Vigna Grande. Essa scaturiva da sorgenti conosciute sin dall’antichità: vennero inglobate da Traiano, insieme ad altre, nel suo maestoso acquedotto, per il rifornimento idrico di Roma. La costruzione dell’acquedotto di Bracciano iniziò nel 1698, percorreva circa sette chilometri, a tratti in sotterranea, a tratti in superficie, con lo scopo di sfruttare l’acqua a beneficio pubblico: […] Per rimettere à beneficio pubblico della sua Ducale la copia di quest’acque in opera perché nei secoli venturi più non si perdessero, con vasta idea, emula degli acquedotti antichi di Roma, fece S. Alt. scavare più monti fino in profondità, et altezza di 162 palmi, p livello delle acque dilatando ed alzando il condotto in un arco continuo, sotto cui camina facilmente un uomo per osservare al didentro, se mai in alcun tempo slamasse, e facilmente restaurarlo, traforando in detta profondità p lunghezza di 220 canne (rimase) sotterraneam.te la viva pietra, a forza di scalpello, e per le nove sorgenti nelle viscere dei monti sbocate fece superare ogni più ostinata difficoltà da uomini vestiti di tela incerata, in tal guisa riducendo l’acquedotto a perfezione delle sue origini per 2500 passi, sino all’imboccatura di una valle fra due monti chiamata per la sua

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Una significativa adozione per i liceali del Vian dell’opera di ingegneria idraulica

arte architettonica degli antichi è veramente una seconda natura, che opera conforme agli usi e agli scopi civili” affermava Goethe nel corso del suo celebre viaggio in Italia, davanti ad un acquedotto (quello di Spoleto), nella cui imponenza egli avvertiva nitida la tensione immaginifica degli antenati verso una societas humana fondata sui valori del progresso e della condivisione. Ed in effetti cos’è un acquedotto se non un’opera nata dal genio dell’uomo per il bene dell’uomo stesso? C’è una dimensione creativa nella quale trovi un’espressione più chiara la capacità dell’arte e della tecnica di mettersi al servizio della comunità, favorendo l’accesso ad un bene primario come l’acqua? è con questa convinzione che un gruppo di studenti del liceo “Ignazio Vian”, attualmente tutti ormai diplomati, hanno dedicato tempo, energie ed entusiasmo all’adozione dell’Acquedotto Odescalchi di Bracciano nell’ambito del concorso “La scuola adotta un monumento”, organizzato dalla fondazione Napoli Novantanove e patrocinato dal Miur. Il cortometraggio realizzato nell’ambito del progetto - premiato nel 2017 con una lusinghiera medaglia d’argento - è un tributo appassionato ad uno dei simboli della cittadina lacustre da parte di una decina di ragazzi che, nell’epoca della socialità virtuale, hanno saputo

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Gli archi dell’Acquedotto Odescalchi

cartiere, nel 1767 Baldassarre concesse l’uso del sopravanzo dell’acqua del Fontanone ai Padri Agostiniani di Santa Maria Novella per un lavatoio. L’acqua dell’ultimo opificio scendeva nel fosso e da lì veniva usata per irrigare i campi collocati a valle, sempre a titolo gratuito. Per secoli gli Odescalchi hanno avuto la proprietà e la piena disponibilità delle acque che rifornivano l’acquedotto, anche di quelle di scolo, sebbene permettessero ai proprietari dei terreni a

mantenere forte il senso di appartenenza ad una storia reale, antica e bella. è un grido di allarme contro il rischio del degrado, che umilia e svilisce le tracce più vivide del nostro passato relegandole nell’oblio. è infine un monito a richiamare ogni giorno alla nostra coscienza civile le parole alte e solenni della Carta Costituzionale, che attribuisce alla Repubblica il sacro dovere della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. Significativa, a questo proposito, la riflessione di Samuele Bonetti, uno degli studenti coinvolti nel progetto: “l’acquedotto (opera di ingegneria idraulica della fine del XVII secolo) è una testimonianza unica della Bracciano che fu, del suo tessuto urbano, delle sue attività industriali, della sua storia; tocca a noi, come suoi eredi, salvaguardarlo per le future generazioni, affinché possa conservarsi anche un sentimento di appartenenza comunitario”. Del resto, afferma Tommaso Montanari, “nel patrimonio artistico italiano è condensata e concretamente tangibile la biografia spirituale di una nazione: è come se le vite, le aspirazioni e le storie collettive e individuali di chi ci ha preceduto su queste terre fossero almeno in parte racchiuse negli oggetti che conserviamo gelosamente”. Questo dunque il ruolo della scuola, come insegna l’esperienza posta in essere dal Liceo Vian: alimentare la cultura della memoria, affinché le storie delle generazioni che furono, mirabilmente evocate da Montanari, possano continuare a vivere nel presente, offrendoci il senso e la misura di quello che siamo. Professor Sandro Gambone - Professoressa Diana Lucidi

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Gente di Bracciano


Progetto Sabatia Stagna: da settembre al via musealizzazione all’aperto

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Interessato il sito archeologico indagato dal team del professor Giuseppe Cordiano sulle sponde del lago al chilometro 17 della Settevene-Palo

archeobattello è senz’altro il battello più affascinante che naviga sul lago di Bracciano. Si tratta sempre della motonave Sabazia ma navigare a bordo dell’archeobattello significa guardare il lago e le sue sponde sotto un’altra ottica, una prospettiva che da anni ormai il professor Giuseppe Cordiano dell’Università degli Studi di Siena ed il suo team sta lentamente ricostruendo attraverso campagne di scavi che si concentrano per lo più nei mesi estivi. Il lago che si può immaginare a bordo dell’archeobattello è quello della prima metà del I secolo d.C. quanto il lacus sabatinus costituiva una meta privilegiata per ricchi cittadini romani che sulle sue sponde avevano edificato quasi senza soluzione di continuità le loro ville. Un lago che assieme a quelli di Martignano, Stracciacappe, Lagusiello e Baccano andava a costituire quel territorio noto ai romani, appunto, con il nome di Sabatia Stagna. Se l’imperatore Domiziano aveva privilegiato Vicus Aurelii, la ricca matrona romana Rutilia Polla, detentrice del diritto esclusivo di pesca sul lago, aveva il suo quartier generale ad Anguillara che costituiva all’epoca un vero e proprio sistema portuale con tanto di molo dotato di torre faro che si spingeva sul lago. L’intero progetto di ricerca, coadiuvato sul territorio lacustre da associazioni tra le quali l’Antica Clodia di Anguillara, Comuni rivieraschi, parrocchie, Consorzio Lago Bracciano ed ora Parco di Bracciano-Martignano, sta restituendo pagine di un territorio sabatino pressoché inedito. Di anno in anno le scoperte si fanno sempre più intense e dettagliate. è di questi giorni la pubblicazione del volume Sabatia Stagna 3 Vigna Orsini (Bracciano): da villa romana semisommersa a luogo di sepoltura e venerazione dei martiri foroclodiensi Indagini archeologiche (20132017) a UT 135 che racchiude, come già avvenuto per i precedenti Sabatia StagnaInsediamenti perilacustri ad Anguillara e dintorni in età romana e Sabatia Stagna 2 Nuovi studi sugli insediamenti perilacustri di età romana nella zona del lago di Bracciano, le nuove evidenze sulle campagne di scavo e di rilevamento in atto. L’antefatto è costituito dall’incredibile ed improvviso innalzamento del livello del lago per circa quattro metri in un periodo che ricade attorno al 60 d.C., un evento epocale poco citato nelle cronache di allora se non per la richiesta, non accolta, della già citata Rutilia Polla al magistrato di otte-

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Giuseppe Cordiano

nere tre nuovi metri di terreno attorno al lago vista la proprietà perduta perché finita sott’acqua. Il professor Cordiano, con il suo tono divulgativo, a bordo dell’archeobattello il 6 luglio scorso ha fatto rivivere con i propri racconti il lago di allora. “Pensate che - ha detto - per tutto il suo perimetro il lago era costellato di insediamenti residenziali”. Se ne contano ad oggi oltre una trentina. “Una fitta urbanizzazione - ha sottolineato Cordiano - con ville sontuosamente costruite lungo le sponde anche con l’impiego di marmi venuti da lontano, dimore molte delle quali dotate di piccoli sistemi portuali”. La villa, scavata dal 2013 al 2017, e identificata come Unità Topografico-archeologica 135 è il sito di interesse di Sabatia Stagna 3 e si trova al chilometro diciassette della strada provinciale Settevene-Palo. E proprio questo sito, tra i tanti indagati in questi anni, è destinato a divenire, a partire da settembre, il primo nucleo di un progetto di musealizzazione all’aperto che riguarderà in particolare l’area termale. Progetto in nuce di un futuro possibile Parco archeologico diffuso del lago di Bracciano dedicato a questo genere di villae di epoca romana. Un traguardo importante per il professor Cordiano, che parla dell’assenso di tutti gli organismi competenti, perché destinato a dare sistematicità e visibilità concreta anche dal punto di vista divulgativo ai

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risultati emersi dagli scavi condotti in più di un decennio. Questo sito peraltro, una villa che si espandeva parallelamente alla costa è legato anche alle vicende di Forum Clodii, la prefectura romana posta alle spalle. Rinvenute le tombe e le prove della venerazione di alcuni martiri delle persecuzioni di Diocleziano, Marciano, Macario e Stratoclinio i primi santi del Braccianese da qui poi traslati nella vicina chiesa di San Liberato. “Una tomba vuota in pietra … ritrovata all’interno dei resti dell’impianto termale - scrive Cordiano in Sabatia Stagna 3 - si è rivelata essere stata oggetto di venerazione proprio nel punto, lungo il lago e la sua strada circumlacuale, in cui la Passio Sancti Marciani ricorda essere avvenuto il martirio del presbitero foroclodiense Marciano e dei suoi due confratelli di fede cristiana Macario e Stratoclinio. Prima del loro definitivo trasferimento in età carolingia in un’apposita chiesa voluta all’interno di quella che era stata la vicina antica città romana di Forum Clodii (odierna San Liberato-Bracciano), qui erano insomma state sepolte, grosso modo a metà strada tra Forum Clodii ad Ovest e l’odierna Trevignano ad Est - scrive ancora Cordiano - le spoglie dei tre martiri uccisi in età dioclezianea lungo la riva del lago tra le rovine di quella villa, abbandonata dopo il 60 d.C. Le rovine di questa vennero da allora in poi per alcuni secoli in parte rifunzionalizzate per il culto cristiano a mo’ anzitutto di recinto martiriale incentrato sulle tombe dei primi santi braccianesi oggetto di cristiana venerazione”. “La scoperta è importantissima - ha commentato Cordiano - non sapevamo, infatti, che dopo l’abbandono della villa (a causa del lago salito di livello sotto Nerone) proprio qui fosse avvenuto, in età dioclezianea, il martirio e l’iniziale sepoltura di questi tre santi”. Altra particolarità di questo sito è data dal rinvenimento di una via silice strata. Il basolato rinvenuto, ritengono gli studiosi, che corresse lungo la riva del lago in età tardo-repubblicana. Ma l’archeobattello, navigando sotto costa lungo tutto il perimetro del lago fa rivivere ed immaginare anche altri importanti siti tra i quali Montecchio (UT54) a Sud Est, Pizzo Prato (161) a Sud - dove l’emozione si fa grande per la vista degli alzati ancora visibili a pelo dell’acqua -, a Santo Celso. “È emerso in particolare - si legge in Sabatia Stagna 2 - come i 28 chilometri e mezzo dell’originario perimetro lacustre,

Gente di Bracciano

prima cioè che lo stesso si assestasse definitivamente sul livello attuale (al netto della riduzione avvenuta nel 2017 ndr) dopo la metà del I secolo d.C., a causa dell’innalzamento del livello di acqua del bacino, fossero quasi massicciamente punteggiati da una serie pressoché ininterrotta in primis di ricche dimore residenziali appartenute a facoltosi cives romani spesso caratterizzate da un’estensione superio-

re ai 3500 metri quadri, nonché di norma decorate con marmi: un paesaggio rivierasco, insomma, pesantemente connotato tra il II secolo a.C. ed il primo secolo d.C. da queste sontuose ‘seconde case’”. Ma se l’archeologia, non senza difficoltà, è all’opera, non così la geologia che dovrebbe svelare il mistero dell’eccezionale evento di improvviso innalzamento del livello del lago, a quanto pare, ciclico, con-

L’Italia ai tempi di Salvini

siderato che anche per quanto riguarda il villaggio neolitico sommerso della Marmotta gli studiosi della Soprintendenza alla Preistoria coordinati dalla dottoressa Maria Antonietta Fugazzola Delpino parlano di una crescita improvvisa del lago che indusse gli abitanti a lasciare in tutta fretta il villaggio non consentendo loro di portare con sé cibo e masserizie. Graziarosa Villani

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utti parlano di lui. Tutti si fanno un selfie con lui. Le donne lo baciano. Gli uomini lo adorano. Le donne giovani e anziane vorrebbero fuggire con lui. Gli uomini vorrebbero essere come lui. è diventato un mito, un divo. Le cose che dice sono tutte vere? Ci crede anche lui e soprattutto tutta quella massa di Italiani che crede ancora alle favole (senza nulla togliere alle favole della nostra adolescenza). Anni fa, quando ancora era fanciullo, a scuola gli rubarono il pupazzetto di Zorro. Un trauma che ancora lo perseguita e forse è proprio per questa ragione che spesso assume atteggiamenti da giustiziere e da vendicatore sia in Italia che in Europa (sic). Imperversa dappertutto, nelle piazze d’Italia, alla radio, nei giornali. Solo in Europa (Parlamento) non lo vedono mai, e con quel libretto sembra diventato lo scrittore più in vista del Paese. Un caso che turba la maggioranza (Ricordo a chi non sa fare i conti) degli Italiani. In un anno, dopo essere diventato “un esperto di economia”, un “valente” tecnico in infrastrutture, un “sensibile giovanotto riguardo al mondo del lavoro, ecc., grazie al consenso di strati vari della popolazione (innanzitutto sottoproletariato) ci aspetta (sic) sicuramente un futuro “luminoso”. Grazie a lui, il bonificatore dell’Italia e dell’Europa, viva gli ingenui, gli ignoranti, gli egoisti, gli opportunisti e tutti quelli che ci trovano vantaggi, se un giorno non molto lontano noi tutti (gli Italiani) ci ritroveremo con le pezze al culo… Caro fans di codesto signorino sai qual è l’unico modo per misurare quanto ami la libertà? Perderla!!!

Claudio Calcaterra

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Vignetta di Makkox - Marco Dambrosio

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Gente di Bracciano


La Bracciano di Vincoli in Rete

Estate torrida? Abituiamoci

Dai dati sulle temperature emerge che l’Italia si sta scaldando più velocemente della media globale

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ase, chiese, tombe, ville di epoca romana, palazzetti e persino una diga. Nove pagine fitte di beni culturali finiti nella rete di vincoli in rete, il database che fa capo al Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha debuttato su Internet da pochi mesi e che elenca, ad uno ad uno, i manufatti di un territorio di interesse. è come levare da una mappa tutto il superfluo e tenere davvero tutta quella urbanistica che vale. Così Bracciano, come del resto tutti gli altri Comuni italiani, viene passata al setaccio e dalle carte emerge un elenco che abbraccia varie epoche, da quella etrusca e romana fino alla contemporaneità. Il rione Monti, e non poteva essere altrimenti, ha un gran numero di manufatti identificati. Ce ne sono ben quattro in via della Rotonda (la casa al civico 4, la casa al civico 5, 6 e 7 e altre due case), quattro manufatti anche per via dell’Arazzaria (casa al civico 49, casa al civico 50, casa al civico 51 e casa al civico 53) uno in via della Collegiata (casa al civico 22), due in via Fioravanti (casa al civico 61, casa al civico 62). Compaiono inoltre la casa con portone e bugne e finestre in pietra in piazza San Miniato 4, la casa con edicola medievale e testina del moretto (in via del Moretto 4). Tra le strade del borgo compare la Salita del Moretto. Vi sono inoltre due piccole case in via del Pozzo Bianco (al civico 5 e 8). Lungo anche l’elenco dei beni di epoca romana. Tra questi la zona di Vicarello ma anche i ruderi di una villa romana databile al II - III secolo a Santo Celso, i resti di un ampio complesso di età romana a I Terzi strada Vigna di Valle-Palidoro, un’area con resti di una villa romana di età imperiale in zona Macchia-Muraccioli, ruderi di due conserve d’acqua di epoca romana in località Lobbia (o Lobbra), Nella lista compare anche l’oratorio in località Sambuco, frazione di Bracciano. I riferimenti normativi ai quali stanzialmente tre: la legge 364 del 1909, articolo 5, la legge 1089 del 1939 e più recentemente il Decreto Legislativo 42 del 2004. La prima normativa che stabilisce e fissa norme per l’inalienabilità delle antichità e delle belle arti dispone all’articolo 5: Colui che come proprietario o per semplice titolo di possesso detenga una delle cose di cui all’art. 1, della quale l’autorità gli abbia notificato… l’importante

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Via dell’Arazzaria

interesse, non può trasmetterne la proprietà o dimetterne il possesso senza farne denuncia al Ministero della Pubblica Istruzione”. La legge 1939, N.1089 Tutela delle cose d’interesse Artistico o Storico, detta anche Legge Bottai, è la normativa “storica” di riferimento, mentre la terza normativa è il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Se c’è chi tutela non c’è chi valorizza questo importante patrimonio culturale, pressoché nulli gli interventi di valorizzazione dei siti archeologici, pur nelle diverse competenze istituzionali, nulla si fa nemmeno per tutelare e valorizzare il centro storico nel suo complesso. Anche i siti ecclesiastici languono. Il patrimonio di fatto resta sulla carta e non produce per Bracciano nessun effetto moltiplicatore. Arriva intanto l’imposta di soggiorno per una Bracciano che, ad eccezione del castello e del Museo del Duomo affidato alla buona volontà della Forum Clodii, di fruibile ha molto poco. Gente di Braccciano da parte sua rilancia il progetto Vie di Bracciano per una diversa fruibilità del borgo attraverso un sistema identificativo mirato di vicoli e piazze del borgo. G.V.

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iù o meno è questo il messaggio che arriva dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, che nell’ultimo rapporto “Urban adaptation to climate change in Europe”, prevede, tra il 2071 e il 2100, una temperatura superiore ai 35 gradi di giorno e ai 20 gradi di notte per almeno 50 giorni all’anno. Che il clima stia cambiando sempre più velocemente è ormai evidente per tutti senza bisogno di citare le migliaia di articoli pubblicati sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, e riassunti ogni 6 anni dalle migliaia di pagine dei volumi dell’Intergovermental Panel on Climate Change (IPCC), il comitato ONU sul clima. L’intensità dei fenomeni a cui stiamo assistendo, che passano da temperature altissime ad alluvioni e grandinate con chicchi grandi come arance, è chiaramente percepita come un pericolo, ma sembra essere vissuta in realtà come una fatalità inevitabile, senza una presa di coscienza vera e propria da parte della maggior parte della gente. Il caldo che leva il fiato, così come la grandine gigantesca che rompe i vetri e ferisce le persone, sono conseguenze dirette del cambiamento climatico ampiamente studiato ed annunciato, in atto ormai da anni: il pianeta si sta riscaldando e continuerà a riscaldarsi nei prossimi decenni. Le cause principali del fenomeno sono la combustione di carbone, gas e petrolio. Le conseguenze già visibili sono alluvioni, siccità, ondate di calore che si stanno intensificando in diverse parti del mondo e in modo irregolare e mettono a repentaglio l’idea di stabilità cui siamo abituati: comunità distrutte, danni economici a persone e interi sistemi produttivi, e purtroppo anche morti e feriti. L’allarme è particolarmente grave per il nostro Paese. Dai dati sulle temperature emerge che l’Italia si sta scaldando più velocemente della media globale. Il nuovo record raggiunto nel 2014 è stato di +1.45°C rispetto al trentennio 1971-2000 (fonte: ISAC-CNR). La tendenza del riscaldamento globale, calcolata sull’andamento delle temperature registrate negli ultimi decenni, è per l’Italia una volta e mezzo quella delle media delle terre emerse e il doppio di quella di tutto il Pianeta. Eppure nonostante l’abbondanza di informazioni sul tema, nonostante la visibilità dei fenomeni, non sembra che i Governi riconoscano fino in fondo l’urgenza di politiche per la riduzione delle emissioni di gas serra in modo da limitare i danni futuri. Il 20 novembre 2018 la World Meteorological Organization (WMO) ha pubblicato un rapporto sulle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra nel pianeta: i livelli dei gas che intrappolano il calore nell’atmosfera hanno raggiunto livelli comparabili solo a milioni di anni fa, quando la temperatura era più elevata dai 2 ai 3 gradi e il livello del mare dai 10 ai 20 metri più alto . Gli effetti di questa deriva provocheranno nel prossimo futuro un restringimento della superficie abitabile della terra. L’innalzamento

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del livello dei mari, l’aumento delle temperature, i fenomeni meteorologici dagli effetti catastrofici stanno già restringendo gli spazi dove viviamo. Il perimetro della Terra sarà sempre lo stesso, ma la superficie abitabile si sta riducendo sotto i nostri piedi e nella nostra mente. E a pagare il prezzo più alto saranno come sempre le persone più vulnerabili. Di fronte a questi dati la domanda che il climatologo Andrew Dessler lancia su Twitter, non è se sopravviveremo, perché sicuramente sopravviveremo, bensì è come sopravviveremo, in quali condizioni vivremo. La domanda riporta la riflessione sul fronte politico sociale e sulla necessità di una mobilitazione a tutti i livelli, dai cittadini alle municipalità, dalle regioni al governo nazionale, per mettere in campo azioni in risposta alla sfida dei cambiamenti climatici azioni in grado di indirizzare i consumatori verso modelli di consumo più sostenibili implicando uno sfruttamento più oculato delle risorse, lo sviluppo di un’economia circolare, una riduzione dell’impatto ambientale umano. Vale la pena, a questo proposito, citare Il fenomeno Greta Thunberg, la giovane attivista svedese finita al centro del dibattito mediatico a causa del suo impegno a favore della lotta al cambiamento climatico. Dopo essere balzata agli onori della cronaca internazionale a seguito della partecipazione alla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2018 (COP24) e al Forum economico mondiale di Davos, la sedicenne è finita al centro di un turbinio mediatico in cui gli insulti e le insinuazioni, hanno superato di gran lunga i temi che Greta agitava, dimostrando ancora una volta la scarsa consapevolezza della maggior parte delle persone rispetto all’emergenza climatica. Tutto questo vuol dire che stiamo andando verso la catastrofe senza preoccuparcene troppo? Forse no, o almeno non necessariamente. Le ricerche progrediscono ogni giorno e in ambito specialistico, si sta sviluppando una strategia integrata che mette a sistema tutti gli strumenti disponibili: capacità nucleare globale, transizione dal carbone al gas naturale, implementazione dell’idrogeno, approccio rigenerativo con la cattura della CO2 al momento dell’emissione o direttamente in atmosfera, reti di trasmissione e distribuzione, aumento della capacità di assorbimento della biosfera, ingegneria climatica e geoingegneria. Il progetto prevede inoltre un programma di contenimento delle emissioni che, però, prenderà la forma di un percorso di efficientamento economico, energetico e tecnologico piuttosto che di rinunce. Il riscaldamento globale, in sostanza, è un fatto innegabile ed è importante che si crei una coscienza sociale sul tema del consumo sostenibile in tutte le comunità, ma è anche vero che si tratta di un fenomeno reversibile se affrontato efficacemente. Biancamaria Alberi

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Cruciverba: Conosci Bracciano?

Come passa il tempo!!!

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ome capita a molti il pomeriggio, quando l’aria diventa meno rovente, esco a fare un “giro”. La piazza del Comune è un punto di riferimento: con il suo brulicare di bambini che, con il loro vociare, il loro correre e il loro rincorrersi, mettono allegria. Noi bambini…accidenti, come passa il tempo!! Sulle panchine giovani e meno giovani chiacchierano, ma più spesso i meno giovani, ricordano. Ora i raggi di sole colpiscono le torri e il castello: sembrano più imponenti. Che spettacolo! Mi incuriosisce una panchina. C’è un ragazzino dall’aria birichina, un’anziana signora e due anziani. Mi avvicino. “Nonno - dice il ragazzino - quando divento grande?”. “Nipò, nun te preoccupà - risponde il nonno - il tempo passa più o meno velocemente”. “A te nonno - incalza il ragazzino - il tempo come passa?”. “Caro nipote - risponde il nonno serio ma non troppo - tuo nonno ha un segreto per non invecchiare”. “Davvero nonno e qual è?”. Accidenti, mi dico, il nonnetto ha scoperto il segreto della longevità. Mi faccio più vicino ed attento. “Dunque nipò - riprende il nonno il segreto è il ‘quartino’”. L’anzianotto vicino “anche mezzolitro”. L’anziana signora lì accanto, probabilmente la nonna “nipò nun dà retta a sti due ’mbriaconi”. “Quali ’mbriaconi, il quartino o come dice il mio amico il mezzo litro, è un elisir”. “A nonno, mo parli pure straniero?”. “Caro nipote, tuo nonno co’ sto elisir è sempre un giovanotto, voi vedè come

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Ponentino

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era una volta un venticello di città chiamato Ponentino. Si trattava di un venticello allegro e spensierato, la mattina si alzava quando si ricordava: alle undici, a mezzogiorno, a volte persino nel pomeriggio. La sua spensieratezza non conosceva limiti tanto che non aveva pensato neppure a crescere e così era rimasto sempre piccolo, così piccolo che non sapeva neanche fischiare. Solo d’estate Ponentino cresceva, quando veniva spinto da migliaia di ventilatori…allora si sentiva grande anche lui e si dava un sacco di arie: correva veloce come la Tramontana, girava su se stesso come un ciclone, sollevava cappelli, parrucche, sottane e pantofole e ci giocava nell’aria come un cucciolo giocherellone…Ma un giorno Ponentino la combinò veramente grossa: volle anche lui indossare il suo bravo vestito e, siccome voleva fare un grande effetto, lo scelse nero. Raccolse tutto il carbone che usciva dai motori delle auto, passò dentro i camini dei termosifoni, si tinse di nero e si innalzò sopra la città per farsi vedere da tutti. Ma l’effetto fu disastroso. La gente lo guardò come uno spettro neo apparso sulla città. Tutti indicavano quel fantasma nero, poi gli affibbiarono un nome che faceva paura: Smog. Provò a scendere e ad entrare in qualche casa ma tutti lo respingevano…lasciò la città….non sapeva dove andare. Un giorno vide una nuvola bellissima e verde posata a terra. Ormai senza più forze il venticello nero si posò su quella nuvola soffice e si addormentò…quando si svegliò si sentiva leggerissimo e fresco: il carbone non c’era più. Si innalzò diretto verso la città. Per arrivare prima passò sull’autostrada…correva velocissimo e all’improvviso, mentre sfrecciava sull’asfalto, Ponentino provò la più grande gioia della sua vita: fischiò. Quando Ponentino giunse in città era buono e fresco, tutto si aprì per lui: le camicie, i nasi, le finestre, come una festa di primavera. I ventilatori giravano pieni di gioia, carezzavano il loro ami-

sarto?”. L’anziano vicino “mo, nun ta allargà, piuttosto movemese, si no la cavoletta chiude”. “A nonno, dove vai?”. “Tu nonno, alla cosiddetta cavoletta, luogo culturale, checché ne dicano, va a fermà il tempo co sto’ elisir, quartino o mezzolitro”. Il nipote “davvero?”. La nonna “si stasera nun ritrovi la serratura te tiro un vaso in testa”. Il nonno “tanto nun ce coj, donna: l’elisir fa miracoli…”. “Te lo do io er miracolo”, risponde la nonna agitando la mano. Il nipote “allora, alla cavo…, come si chiama, ah sì, alla cavoletta vai a fermare il tempo con l’elisir?”. “Caro nipote il tempo passa…pe’ l’artri!!!”. Un quartino o un mezzolitro, un mezzolitro o un quartino…A passo svelto i due anzianotti si allontanano. Il tempo passa? Sì, ma pe’ l’artri… Luigi Di Giampaolo

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Gente di Bracciano

chetto, giocavano con lui a fare l’elicottero, l’aereo da caccia, il radar. Ponentino fu tanto felice si essere cresciuto. E adesso che è grande non dimentica più di alzarsi…nel pomeriggio.

Favola Tratta da Un prato in città di Ettore De Santis - Nato il 24 Dicembre del 1936 a Pisciarelli, frazione di Bracciano, De Santis è stato docente alle scuole dell’obbligo. È laureato in lingue e letteratura inglese. Parla e traduce dal Russo.

CARLO

A T S I L E G EVAN

Vieni a trovarci, potrai trovare una vasta gamma di articoli rigorosamente di grandi marche. A pochi passi dal centro storico di Bracciano, Carlo Evangelista vi aspetta per illustrarvi la vasta gamma di capi ed aiutarvi al meglio per la vostra scelta migliore, per uno stile dinamico, raffinato mai banale!

Via Traversini, 13-15 - Tel. 06 99803008 - BRACCIANO (RM)

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